Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

le reti del valore, devi sacchetto, Sintesi del corso di Sociologia

Riassunto del libro reti del valore

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 05/02/2022

maricuper
maricuper 🇮🇹

4

(4)

4 documenti

1 / 47

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica le reti del valore, devi sacchetto e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! CAP 1: IL LAVORATORE MULTINAZIONALE IN EUROPA Con l'allargamento dell'unione europea da EU15 a EU28, diversi sono stati i dibattiti riguardante l'immigrazione, in particolare l'impatto dell'immigrazioni sui processi economici. Questo dibattito ha portato a due posizioni: Prospettiva del Dumping sociale----> migrazione della manodopera è un elemento destabilizzante e porta a una differenziazione negli standard sociali e salariali tra i paesi dell'Europa chi si traduce in un abbassamento degli standard sociali e di vita nell’EU15. Tre sono le conseguenze relative ai livelli occupazionali e salari: 1) l'abbassamento dei salari e degli standard di occupazione nell’Europa occidentale, derivate da un indebolimento dei sindacati e dal rafforzamento del potere del datore di lavoro che ha permesso di abbassare i salari e gli standard di lavoro perché i lavoratori dell'Europa orientale sono disponibili a percepire bassi salari 2) I sindacati dell'Europa occidentale sono contrari alla libera circolazione dei lavoratori perché vedono nella migrazione un fattore di pressione sui contratti collettivi 3) la costruzione di un unico mercato del lavoro europeo rinforza il potere dei datori di lavoro permettendo alle aziende di delocalizzare in posti dove la manodopera ha un costo basso. - Prospettiva integrazionista-----> migrazione è un fattore benefico per la crescita economica perché L'Europa avrebbe bisogno di nuova manodopera per compensare l'invecchiamento della popolazione e per Occupare le mansioni più nocive. Questa prospettiva appoggia la libera circolazione di lavoro e capitale perché avvantaggia sia i lavoratori migranti che i lavoratori autoctoni in quanto offre la possibilità di valorizzare il proprio capitale umano e migliorare le prospettive di crescita economica, permettendo: - riduzione della disoccupazione tra i lavoratori non qualificati e l'aumento dei salari - Colmare lacune nel settore secondario - per i migranti vi sono canali di immigrazione e di impiego legali, tutela e salari maggiori. l'analisi presentata si basa su una prospettiva dell'autonomia delle migrazioni che vede quest'ultima come una forma collettiva di uscita da ambienti dove il movimento dei lavoratori è controllato dallo stato, permettendo dunque ai lavoratori di uscire da condizioni di vita sfavorevoli. i dati della commissione europea evidenziano che nell’EU28 ci sono 26 milioni di migranti, tra cui 10,3 sono cittadini europei. Caso Foxconn Il caso evidenziato situato in Repubblica Ceca permette di illustrare le relazioni tra flussi di immigrazione e la composizione della forza lavoro. In questa fabbrica vi sono circa 9.000/10.000 lavoratori. quest'ultimi sono divisi per nazionalità, ovvero i lavoratori cechi sono assunti direttamente dall’impresa e rappresentano metà della forza lavoro, mentre l'altra metà è costituita da slovacchi, polacchi rumeni assunti dalle agenzie del lavoro temporaneo. Grazie a ciò si è permesso di capire come le esperienze di lavoro diverse hanno portato conoscenze riguardanti il mercato del lavoro, portando ai lavoratori europei un bagaglio non indifferente e aiutando anche ad estendere gli obiettivi nel prossimo lavoro. Attraverso la mobilità del lavoro si è potuto notare chi sono gli attuali migranti, cittadini dell'unione europea, i cui diritti e doveri sono garantiti dalla normativa europea stessa, nonostante l'attuale immigrazione intraeuropea sia molto più frammentata e fondata su limitazioni temporanee che portano ad una limitazione di movimento dei lavoratori dai nuovi Stati membri. I lavoratori della Foxconn vedono la loro occupazione come un evento di breve durata a causa della stratificazione del mercato del lavoro e delle loro stesse strategie migratorie. la stratificazione del mercato lavorativo la si può benissimo vedere in questa azienda dove all'interno della forza lavoro metà della manodopera è Ceca e possiede un contratto a tempo indeterminato. mentre il gruppo dei dipendenti indiretti (40%) è composto da lavoratori europei provenienti dalla Slovacchia dalla Polonia dalla Romania e dalla Bulgaria che sono stati assunti con contratti di breve durata attraverso agenzie di lavoro temporaneo. russa e le relative guerre commerciali che hanno portato un abbassamento dei posti di lavoro e l'aumento di flussi migratori. Il modo in cui i lavoratori migranti hanno in qualche modo negoziato i nuovi confini all'interno degli Stati migranti, ha permesso di far assumere ai confini di terra un ruolo particolarmente significativo, grazie a trasporti più economici e minori restrizioni. Ne è un esempio l'attraversamento dei confini tra Moldavia e Ucraina. Se da una parte hanno agevolato i flussi migratori, dall'altra parte hanno creato contrasti con le tradizionali forme di mobilità. Osservando la segmentazione del lavoro, nell ex Unione Sovietica, la migrazione della manodopera porta proprio ad una segmentazione della classe operaia andando ad alimentare la competizione etnico nazionale che va ad alimentare la xenofobia e il razzismo. In Russia o tutto ciò avviene perché l'accettazione della democrazia liberale non ha portato ad una politica di contrasto verso la discriminazione razziale e di genere, liberando il senso di superiorità di chi vive li rispetto ai nuovi arrivati, anche a causa delle organizzazioni sindacali che esprimono posizioni ambigue. Osservando Mosca e il mutamento avvenuto all'interno dei suoi distretti periferici si può vedere come la popolazione russa sia diminuita e abbia dato spazio a massicce flotte di migranti in arrivo Dall'Asia centrale. Tutto ciò ha portato un'impennata delle attività economiche che però allo sto tempo ha dato il via ad una sorta di segmentazione del mercato del lavoro ottenuto attraverso una particolare divisione legata allo stato di appartenenza, infatti i russi occupavano il vertice, Mentre i lavoratori dell Asia centrale erano confinati a svolgere il lavoro sporco. dunque possiamo vedere come la discriminazione nelle retribuzioni e nelle modalità di impiego si basa sulla cittadinanza, sulla nazionalità e sul luogo di residenza. CAP 3: le lotte degli esternalizzati nel settore dei servizi a Londra Su una campagna auto organizzata da parte di lavoratori migranti addetti ai servizi dell'università di Londra, si cerca di capire se i sindacati forniscono strumenti di contrattazione più o meno efficaci per i lavoratori. prendendo come spunto i servizi a bassa qualificazione dove lavorano i migranti, si è potuto capire come questi lavori in realtà sono poco sicuri e non sindacalizzati. infatti le nuove forme di autorganizzazione dei migranti si adattano alle nuove domande del mondo del lavoro in quanto viste come il risultato di anarco sindacalismo di stampo industriale e le istanze specifiche della classe lavoratrice trans nazionalizzata. Focalizzandosi su esperienze di lotta dei lavoratori A Londra, la ricerca mostra come: - diritto al congedo per malattia - ferie pagate - Pensione sono portate avanti dai migranti attraverso contrattazione e mobilitazione che coinvolge la società, insieme a modalità di visibilizzazione offerte dai canali e dai media sociali. i sindacati sono sempre stati legati ad un modello burocratizzato di sindacalismo dei servizi fondati sul lavoro che andasse a proteggere gli interessi dei ranghi sindacali tradizionali in particolar modo legati ai settori dell'industria. Non a caso infatti il numero dei lavoratori iscritti ad un sindacato è crollato negli ultimi 20 anni raggiungendo livelli senza precedenti. una delle spiegazioni di questa tendenza la possiamo ritrovare nel capitalismo del subappalto caratterizzato da una presenza di lavoratori esterni e con contratti instabili che rendevano sempre di più difficile l'organizzazione sindacale sul posto del lavoro. non a caso infatti negli ultimi anni si è assistito ad una crescita esponenziale del lavoro a chiamata che si basa sulla disponibilità da parte del lavoratore a lavorare in base alla richiesta di lavoro. questo però provoca: - incertezza nella quantità delle ore - Discontinuità del tempo di lavoro - salario instabile come si può vedere per esempio nell'assistenza domiciliare che impedisce di ottenere requisiti necessari per andare ad accedere ad alcuni benefici sociali legati al reddito. Nel Regno unito si sta assistendo ad un vero e proprio attacco ai diritti sindacati sul piano legislativo, non a caso infatti nel maggio 2016 il Parlamento britannico ha approvato una nuova legge “Trade Union Act” sì va' a restringere tutta una serie di azioni dei lavoratori come ad esempio l'esercizio del diritto di sciopero, andando ad attaccare l'azione sindacale. Negli anni recenti il rapporto tra il sindacato e le organizzazioni è stato molto dibattuto, specie per quanto riguarda la questione dell'organizzazione dei migranti che e affrontata come simbolo di crisi dei sindacati. chi va dunque ad analizzare due filoni legati a questo dibattito: - il primo filone è relativo alle trasformazioni della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro e chiamati come Union Voice - il secondo filone è legato al dibattito sulla ripresa di forme di organizzazione sindacali autonome di base. l'obiettivo è quello di capire come l'organizzazione dei lavoratori stia in piedi attraverso forme deboli e individualizzate, mentre i canali più istituzionalizzati e riconosciuti di sindacati sarebbero associati a mobilitazioni collettive. Nell'ultimo decennio l'università di Londra è stata teatro di significativi conflitti relativi al salario dignitoso per i lavoratori. L'inizio di tutto ciò avviene nel settembre del 2012 quando un gruppo di lavoratori Dopo aver ottenuto un incremento salariale, cercano di avere: - congedo per malattia - ferie pagate - maggiori oneri contributivi per la pensione del capitale. la diffusione del lavoro irregolare tra i lavoratori migranti e stata quindi Letta come un effetto e non una causa dei processi di informatizzazione. i migranti si sono dunque inseriti in un contesto caratterizzato da un ampio radicato settore informale, rivelandosi presto una manodopera particolarmente conveniente poiché lo status irregolare impediva loro di accedere al mercato del lavoro formale. infatti la manodopera migrante è stata impiegata nei settori ad alta intensità lavorativa, bassi livelli di innovazione tecnologica e di produttività come l'agricoltura le costruzioni i servizi alla persona e la piccola industria manifatturiera. Es. manodopera straniera femminile a basso costo legato a sevizio di cura. la crisi economica ha incrementato i tassi di disoccupazione tra i migranti e convogliato tali lavoratori verso occupazioni ancora più precarie e caratterizzate da bassi salari. I migranti maschili ad esempio sono stati i primi ad essere licenziati poiché erano impiegati nei settori più colpiti dalla crisi come l'industria manifatturiera e le costruzioni, mentre le donne impiegate nel settore del lavoro domestico e di cura sono state interessate in minor misura dalla contrazione dei posti di lavoro. non a caso infatti i lavoratori stranieri sono costretti a reperire in tempi brevi un nuovo impiego poiché non dispongono di risorse familiari sufficienti da consentire loro lunghi periodi di disoccupazione e chi non riesce a trovare un'occupazione nel mercato del lavoro formale e portato a cercarla nell'economia informale. dai dati Istat risulta infatti chi vi è un peggioramento delle condizioni lavorative soprattutto per i lavoratori poveri che sono per lo più rappresentati da cittadini stranieri giovani e donne. Lavoratori immigrati regolari il capitolo si basa su una ricerca longitudinale focalizzata ad analizzare l'impatto della crisi economica sui lavoratori migranti. sono stati infatti contattati tutti i lavoratori di cittadinanza rumena e marocchina che risultano disoccupati nell'ottobre del 2010 individuando dunque 762 individui. la domanda di ricerca che ha guidato la prima tornata di questionari e interviste condotte nel 2010/11 era orientata a comprendere quali fossero le principali ripercussioni della crisi economica sui lavoratori migranti e come si differenziassero in base allo status giuridico (se cittadini Eu oppure no) l'ipotesi era che i rumeni in quanto cittadini europei fossero più mobili e quindi orientati a strategie di mobilità circolare volte a fronteggiare la crisi mentre si riteneva che i marocchini fossero più limitati negli spostamenti e quando avessero elaborare strategie alternative di sopravvivenza. un secondo ciclo di ricerca riguarda le ricadute a lungo termine della recessione sulle traiettorie di vita e di lavoro dei migranti e dei loro familiari in particolare per quanto riguarda i processi di precarizzazione e le prospettive di mobilità. dalla analisi risulta come vi sia una forte precarietà soprattutto per i marocchini che vivono forme di disoccupazione e di discontinuità lavorativa, come dichiaravano nel questionario proposto. tra chi invece si dichiara occupato la metà gode di un contratto a tempo indeterminato mentre i restanti godono di contratti a tempi determinati oppure atipici, come operai manifatturieri o di logistica, mentre le donne nell'ambito dei servizi domestici e delle pulizie. vediamo dunque come i processi di casuali zazione ed in formalizzazione assumono forme differenti in base al genere degli individui e a sua volta produce effetti differenti sulle relazioni di genere. per quanto riguarda invece il settore del lavoro domestico e di cura, si può notare come questo settore sia interessato da un lavoro irregolare o grigio ed intensificato soprattutto durante la crisi economica. questo avviene soprattutto perché le lavoratrici, pur di lavorare, accettano condizioni di lavoro che in altri periodi avrebbero rifiutato. specialmente nel lavoro domestico dove i confini tra lavoro formale ed informale diventano sempre più labili. le pratiche più comuni individuate sono: - assumere la lavoratrice con un contratto part-time e pagarla in nero per il resto del tempo - assumere le lavoratrici con un contratto a tempo pieno ma chiederle di lavorare anche durante le ore di riposo previste nel contratto - impiegare un'assistente familiare a tempo pieno ma chiederle di svolgere anche altre mansioni per la famiglia allargata come stirare far le pulizie o la baby-sitter. infine non è raro trovare migranti fuoriuscite dal lavoro operaio intermittente per tornare ad occuparsi della famiglia e dei figli. si tratta di lavoratrici che hanno alle spalle traiettorie lavorative discontinue segnati da un susseguirsi di contratti interinali tramite agenzie che decidono di escluderle dal mondo lavorativo. la crisi economica e i processi di in formalizzazione e casualizzazione che si sviluppano in tale contesto socio economico spingono dunque le migranti verso la sfera domestica. infatti la casualizzazione rende sempre più complicata la conciliazione della vita lavorativa con gli impegni familiari. per quanto riguarda invece gli effetti della formalizzazione e della casuali azione sugli uomini migranti vediamo che quest'ultimi sono interessati da un'intensificazione della precarietà derivante da contratti di lavoro sempre più brevi che alternano periodi di disoccupazione e peggioramento generale delle condizioni del lavoro, portando dunque l'individuo a svolgere lavori in nero o in grigio. osservando le carriere lavorative dei migranti nel corso della crisi economica vediamo un'intensificazione della precarizzazione, ma allo stesso tempo strategie adottive per rimanere in equilibrio. tuttavia l’insicurezza lavorativa rende piu precaria anche l'identità di genere degli intervistati infatti chi vive in Italia con la sua famiglia cerca di realizzare il modello di male breadwinner-----> (modello di sostentamento in cui sono i soli uomini a guadagnare un salario familiare e a provvedere al mantenimento della famiglia, mentre le mogli si dedicano ai lavori domestici e alla gestione e alla cura dei membri della famiglia) ma non è possibile per le spese. La ricerca mette in luce come si sviluppano i processi di in formalizzazione e di precarizzazione che interessano soprattutto gli immigranti a vivere una vita basata trauma il lavoro formali informale e disoccupazione. Differenza di genere tra uomo e donna parlando invece di sfruttamento possiamo accostare questo termine a sfruttamento umanitario del lavoro perché se inizialmente può essere utilizzato in un'accezione neutra, come nel caso dello sfruttamento delle risorse, lo dello sfruttamento dell'immagine, in questo caso lo sfruttamento legato al lavoro va a sollecitare una reazione di indignazione legato a comportamenti riprovevoli. il lavoro infatti non è una risorsa che può essere fatta fruttare come le altre perché la forza lavoro non è il dicibile ad una merce. lo sfruttamento umanitario si dimostra dunque un ossimoro produttivo nella misura in cui rimette al centro del discorso la valorizzazione della relazione in campo ovvero l'estrazione di valore propria della nozione di sfruttamento al di là della dimensione dell'abuso, della coercizione, della violenza privata da cui pure prende le mosse la sua traduzione giuridica. dunque si tratta di puntare i riflettori sulla produzione, nonché sulla catena del lavoro del valore così come essa si compone lungo la filiera produttiva. Il migrante viene visto come individuo al quale bisogna fare fronte da aiutare, m CAP 6: teoria politica le migrazioni sembrano funzionare secondo un meccanismo che nega il loro significato politico perché lo si va a legare alla morale, facendo de una teoria politica delle migrazioni dovrebbe in primo luogo considerarle in maniera tale da capire il modo in cui i movimenti dei migranti modificano materialmente: - le strutture istituzionali - i rapporti di potere - i concetti fondamentali della politica moderna andando ad indagare come in realtà le migrazioni siano un processo politico in grado di ridefinire in maniera significativa il fondamento di legittimità dello Stato. Come infatti si può osservare stesso i migranti come tali mettono costantemente in tensione una figura politica fondamentale, come la rappresentanza, finendo per favorire la de- costituzionalizzazione dello Stato moderno. le migrazioni diventano dunque un problema politico nello stesso momento in cui il neoliberismo-----> Il neoliberismo è una dottrina economica che tende a ridurre l'influenza dello Stato sull'economia, lasciando che le forze del mercato, guidate dalle regole della concorrenza, regolino l'equilibrio del sistema economico diventerà progressivamente la razionalità alla quale tutti gli Stati si adegueranno perché tale ideologia è stata l'unica ad avere risposto all’ avvento della società- mondo, permettendo di capire l'effetto congiunto che migrazioni e neoliberismo hanno prodotto sulla forma contemporanea dello Stato. non a caso infatti le migrazioni diventano un problema politico nel momento in cui obbligano in continuazione la ridefinizione delle funzioni statali. Sayad afferma che l'ordine nazionale non derivi dagli immigrati ma dall'impronta nazionale dello status che determina norme e valori. I migranti si trovano dunque confrontati non soltanto con lo stato ma anche con le logiche e le coalizioni governate dall'istituzione statale. Si stabilisce, in questo modo, una continuità tra il paese di partenza e quello di arrivo che sono spesso congiunti da una serie indeterminata di stazioni intermedie, tutte corrispondenti a pratiche politiche ed amministrative relative al rapporto dello Stato con gli individui presenti sul suo territorio. In altri termini nel governo transnazionale delle immigrazioni, che ridetermina in primo luogo la politica dei confini, il rapporto dei migranti con il politico trova un'articolazione differente rispetto all'orizzonte dello Stato nazione. Giddens definì infatti lo stato nazione come un “contenitore di potere con dei confini” facendo intuire come sia centrale la questione dei confini e delle frontiere per comprendere le trasformazioni di quel contenitore (cioè lo stato). La politica delle migrazioni agisce comunque sullo stato, dove all'interno di quest'ultimo i migranti sono una figura fondamentale perché la loro presenza non può essere presupposta nel momento simbolico della costruzione in comune sul quale si fonda lo stato moderno. La conseguenza è che concetti politici fondamentali come popolo e nazione perdono immediatamente rilevanza. le migrazioni intervengono dunque sul soggetto presupposto dello Stato moderno mettendolo per così dire fuori asse perché esso non arriva più a funzionare come unità chiusa in quanto è costantemente esposto all'irruzione di uomini e donne che non sono identificabili quali membri del Popolo della nazione. si può dire in questo senso che le migrazioni contribuiscono al processo di de- costituzionalizzazione dello Stato in quanto rivelano una cesura tra il soggetto costituente e quelli effettivamente presenti in quanto i loro movimenti sfuggono alle politiche statali perché derivano tanto dalle logiche di altri sottosistemi sociali. Lo stato globale quindi è il risultato delle sfide che gli pongono la mobilità del capitale e quella dei migranti che cerca di impedire la politicizzazione di ogni differenza specifica soprattutto quella dei migranti. Sheila Benhabib afferma che “Il sentiero del potere dello Stato è cosparso dei corpi dei migranti vivi e morti” per indicare come si sia riempito di potere il contenitore di cui parla Giddens: si tratta di riconoscere i modi in cui gli individui accettano il rischio della loro vita, CAP 7: L’ETNICIZZAZIONE DELLA FORZA LAVORO NELLA MODA ITALIANA La ricerca sulle modalità di insediamento dei migranti cinesi nel manifatturiero italiano si focalizza su alcune aree dove la presenza cinese è significativa, come a Prato, considerato il primo distretto industriale di insediamento dei migranti cinesi e che negli anni ha continuato a svolgere il ruolo di: - centro di smistamento in Italia - Committente - centro di una catena di produzione transnazionale di fast fashion. gli imprenditori cinesi sono quindi riusciti a occupare quasi interamente la filiera della moda. A partire dagli anni 80, industria della moda italiana e soda coinvolta in cambiamenti sismici globali a causa di altri paesi chiamati nuovi competitori globali che hanno spostato il potere dei produttori ai retailler globali (= rivenditori globali), facendo emergere strategie fast fashion che hanno imposto cambiamenti e rapidi adeguamenti, senza contare tutta una serie di delocalizzazioni produttive. in un contesto in cui il modello italiano di produzione dei distretti industriali stava declinando, le piccole imprese artigiane avevano bisogno di nuove e più drastiche in modalità di estrazione del profitto. Per spiegare l'emergere di un nuovo regime produttivo, l'analisi deve essere oh stata sulla rete di laboratori terzisti cinesi sparsi in Italia, dove prevale una riconfigurazione estrema della spazialità, a livello: - intra laboratorio, In cui i cinesi vivono all'interno del laboratorio dove lavorano o in appartamenti. Tutto ciò viene chiamato sleeping agreements, E offri alle ditte una storia di delocalizzazione in loco garantendo delle condizioni analoghi offerte dalla delocalizzazione internazionale, come: manodopera a basso costo violazione sistematica delle leggi sul lavoro ed esternalizzazione dei costi di produzione. gli sleeping sono nati con i terzisti cinesi in quanto veniva offerto loro vitto e alloggio nei laboratori stessi e pagati a cottimo. Gli sleeping Permettono di mettere piccole ditte finali della moda italiana nelle condizioni di rispondere ai cambiamenti legati alla globalizzazione del mercato della moda. Altre importanti strategie è quella di cambiare frequentemente datore di lavoro. Questa riorganizzazione viene chiamata regime mobile e consiste nella mobilità dei lavoratori e nei laboratori per rendere possibile una drastica riconfigurazione dello spazio produttivo. tutto ciò è importante perché permette di capire che la riorganizzazione della produzione e della vita degli operai nei laboratori terzisti e il modo in cui i migranti cinesi attivi nell'industria della moda italiana hanno interpretato gli imperativi della fast fashion, sottolineando ulteriormente come questo modo di lavorare sia un modello produttivo Derivato da un contesto in cui i mercanti del lavoro cambiavano drasticamente in seguito al risultato dell'interazione tra l'agency dei migranti cinesi e i processi di riorganizzazione della moda italiana. Vediamo dunque che da una parte le ditte preferiscono ricorrere ai migranti cinesi perché offrono condizioni vantaggiose, dall'altro i terzisti autoctoni non sono in grado di competere con la riconfigurazione adottata dai terzisti cinesi che stravolge la vita lavorativa personale e sociale. nelle reti di laboratorio cinesi della moda italiana, Un'importante caratteristica e che occupano esclusivamente una forza lavoro con caratteristiche specifiche, ovvero: - stesso luogo di origine in Cina - Una lingua nazionale - l'ideologia cinese dei migranti - aspettative comuni per passare il tempo libero dunque affinché tutto sia perfetto è necessario creare una forza lavoro costituita solitamente da connazionali attraverso un processo di etnicizzazione (= modo per ridurre le diversità linguistiche e culturali sul posto del lavoro) della forza lavoro che serve a ridurre la diversità dei lavoratori in modo tale da ridurre la mediazione. dunque la cultura che è parte integrante dei processi di insediamento di migranti cinesi in Italia va intesa come circoscritta nel tempo e nello spazio. Edoardo Barberis ho messo in evidenza come l'inclusione dei migranti cinesi nei distretti italiani avvenga attraverso un processo di etnicizzazione, legato alle più ampie trasformazioni socio economico. non a caso infatti la scelta di includere solo lavoratori cinesi nella rete di laboratori terzisti nella moda italiana può essere Letta con un processo di etnicizzazione della forza lavoro che ha come obiettivo quello di ridurre la diversità della forza lavoro al fine di creare un fluido funzionamento dei laboratori. Anna Tsing afferma che ci sono chiare linee di demarcazione tra quello che i marchi globali vogliono controllare ad esempio prezzi e logistica e quello che non vogliono controllare come accordi di lavoro e pratiche ambientali. nelle catene di produzione globali i terzisti non garantiscono solo una prescriva e continua riduzione dei costi per i marchi globali ma li liberano anche di ogni responsabilità per quanto riguarda il lavoro e industria della moda italiana va a riprodurre la divisione della responsabilità descritto dalla studiosa. non a caso infatti i terzisti si assumono le responsabilità per ogni violazione della legge in tema di lavoro e sono direttamente responsabili dello sfruttamento dei lavoratori. Possiamo notare dunque come: - il regime mobile con la sua etnicizzazione della forza lavoro - la delocalizzazione della riproduzione sociale - e la mobilità dei lavoratori all'interno del network di laboratorio cinese siano tutte pratiche che le ditte finali non vogliono controllare ma delle quali beneficiano largamente, creando un processo in cui la rete dei terzisti cinese è costruita come un'architettura di segregazione e auto segregazione e lavorativa funzionale all'industria della moda, portata volontariamente anche dai migranti che hanno attivamente contribuito a dare forma a questo regime lavorativo interpretando le esigenze del mercato. Ecco spiegato perché i migranti cinesi occupano quasi esclusivamente il ruolo di terzisti e i committenti sono perlopiù autoctoni e sempre meno terzisti. il regime mobile dei migranti cinesi nella moda italiana e la sua compressione della diversità della forza lavoro vengono quindi visti come un'espressione della diversità del lavoro a livello globale. processi che possono essere agganciati prendendo in esame la restrizione della circolazione a cui sono sottoposti in Romania i prodotti a marchio italiano che vengono realizzati. Questa restrizione viene giustificata dagli interlocutori sul campo in relazione ad una peculiare valutazione estetica dell'oggetto nel contesto reale. ecco dunque che gli imprenditori italiani pur riconoscendo il notevole divario tra il costo del lavoro il prezzo della merce, per spiegarne la mancata commercializzazione in Romania chiamano in causa il fatto che la clientela rumena non sarebbe pronta ad apprezzare la qualità dei prodotti a marchio italiano. Parliamo di lavoro che avviene attraverso la produzione just in time che rimanda anche al processo di valorizzazione con la finalità di eliminare scorte in eccesso che se invendute sono destinate a deprezzarsi nel tempo. Dunque l'analisi antropologica dello studio della merce nel capitalismo contemporaneo si confronta con processi che rimandano ad un complesso sistema di relazioni in quanto la produzione a rete globale implica una connessione tra aziende geograficamente dislocate e una specifica configurazione dei rapporti tra lavoro materiale e componenti immateriali. Come si crea il valore attraverso le varie fasi di produzione. Oggi si guarda l’immagine ma senza calcolare la produzione e cosa succede. C’è questa gerarchia dei rapporti che va a controllare e questo controllo viene fatto da chi ha più potere. Prada non vuole vendere in romania perche dicono con apprezzi il lavoro, quando in realtà prada cerca di tutelarsi attraverso la non vendita di lavoro. CAP 9: GENERE, LAVORO E DEINDUSTRIALIZZAZIONE NELLO SPAZIO POST- JUGOSLAVO Questo saggio si concentra sui processi di globalizzazione, deindustrializzazione e intensificazione del lavoro che hanno trasformato lo spazio post jugoslavo negli ultimi 20 anni, andando ad esplorare la soggettività delle lavoratrici ed ex lavoratrici del tessile, un settore femminilizzato esposto al declino industriale. L'industria tessile è stata caratterizzata da uno sfruttamento esasperato dei lavoratori e delle lavoratrici ed a condizioni di lavoro precarie. Lo sfruttamento globale del lavoro dell'industria tessile non colpisce solo i paesi del Sud del mondo ma si stende anche lungo le periferie europee attraverso il sistema di produzione chiamato CMT= taglia cuci e rispedisci nel più breve tempo possibile. questo saggio si propone di far luce sulla soggettività delle lavoratrici del tessile nello spazio post jugoslavo e sul processo di soggettivazione, ovvero per indicare la specifica visione del mondo creato dall'industrializzazione in un tempo e luogo specifico e basata su un insieme di valori etici e morali e in una visione del mondo che viene messa in discussione con la chiusura delle fabbriche britanniche e la scomparsa dello spazio industriale di cui gli operai e le operaie facevano parte, creato dall'industrializzazione socialista e dell'autogestione. La concezione del lavoro come fonte di dignità, significato e valore faceva parte dell'impianto ideologico del sistema socialista jugoslavo che auto gestiva le fabbriche con l'aiuto dei lavoratori. Tale gestione è piuttosto dura perché i meccanismi di partecipazione e di riconoscimento sono diventati inimmaginabile nel periodo post socialista attuale. La letteratura relativa all'autogestione jugoslava in particolare quella scritta da testimonianze dell’epoca, Fornisce una serie di elementi importanti sui meccanismi di partecipazione e sul divario tra discorso ufficiale e realtà. Nonostante vi siano diversi limiti all'interno della manodopera tessile femminile, quest'ultima ha permesso un tasso di occupazione e di emancipazione dando il via al mondo dell'istruzione e del lavoro di cui erano state precedentemente escluse. l'accesso delle donne al lavoro nel settore nel 1900 coincise inoltre anche con i processi di urbanizzazione e industrializzazione che trasformarono completamente il paese segnato da dopoguerra, povertà, analfabetismo e arretratezza rurale. Infatti in quel caso i lavoratori le lavoratrici del tessile godevano di una serie di diritti e tutele sociali che includevano ferie pagate e alberghi di turismo popolare, sovvenzionati, assicurazione, sanità e alloggi a buon mercato e mense di fabbrica. tutto ciò però rimase legato all'idea del lavoro visto come sacrificio di ogni singolo individuo per il bene collettivo e per le generazioni future, soprattutto per le lavoratrici dell'industria che avevano difficoltà anche con la famiglia. ES. La fabbrica di maglieria Arena era stata fondata nel 1948 con il nome di Olga Ban e successivamente divenne Arena per via dell'anfiteatro romano. Dopo un ottimo rendimento negli anni 90 produce per le imprese occidentali e per la Croazia grazie alla mancanza di competizione interna nel settore della maglieria e per la qualità molto elevata a prezzi ridotti. nel 2014 viene dichiarata la bancarotta e i dipendenti perso il lavoro senza neanche ricevere lo stipendio che spettava. Questo caso dimostra come il crollo del mercato jugoslavo e la competizione globale insieme al processo di accumulazione innescato dalle privatizzazioni hanno drasticamente ridotto le occupazioni in vari settori industriali, tra cui quello tessile. CAP 10: MULTINAZIONALI, LAVORATORI E SINDACATO IN BRASILE L'esperienza sindacali in Brasile è stata fortemente influenzata nelle sue origini dai movimenti anarchici perlomeno fino al 1917 quando uno sciopero generale nella città di San Paolo segna il prevalere della corrente comunista all'interno del movimento sindacale. negli anni 30 ha inizio la formazione dello Stato nuovo e l'incorporazione del sindacato nell'apparato di Stato, con l'obiettivo di regolamentare tutti gli aspetti connessi alla prestazione lavorativa, con l'obiettivo di trasferire i conflitti di lavoro dal piano sociale a quello giuridico e assicurare una crescita industriale al riparo dai conflitti sindacati. nel 1931 il governo Vargas emana un decreto con il quale lo stato assume il controllo sui sindacati, introducendo l'esistenza di un solo sindacato nel luogo di lavoro, chiamato sindacato Pelego, che si propone di interessarsi agli interessi dell’impressa rispondendo ad l'indirizzo corporativo dello Stato nuovo. per questo motivo i lavoratori iniziano a mobilizzarsi soprattutto quelli appartenenti al settore agricolo che rivendicano la riforma agraria e dei lavoratori del settore industriale soprattutto per quanto riguarda le condizioni di lavoro e i livelli standard salariali. La crisi della dittatura determina la formazione di una componente interna al sindacato che darà il via all'esperienza del nuovo sindacalismo in contrapposizione a quello dell'epoca di Vargas, caratterizzato da una forte azione sindacale rispetto a quella di natura più assistenziale. - In entrambi gli stabilimenti la capacità di intervento del sindacato sul processo produttivo e molto debole anche perché la normativa non prevede la possibilità di uno spazio interno alla fabbrica riservato al sindacato In conclusione, possiamo dire che la legge sul lavoro CLT interviene ancora oggi su un'ampia platea diritti individuali anche se limita la natura collettiva restringendo normalmente lo spazio della contrattazione e questo limite emerge in tutta evidenza quando si osserva la quasi totale concentrazione nella negoziazione della parte salariale. in un paese nella quale sono assenti contratti collettivi nazionali di lavoro la possibilità, dunque, di stipulare accordi sindacali a seconda di un sindacato forte costituisce per le imprese un vantaggio ma al suo tempo per i lavoratori una diminuzione alla rappresentanza effettiva degli interessi propri. CAP 11: NUOVA LOGISTICA EUROPEA La natura istituzionale atipica dell'unione europea non è il frutto di un'integrazione imperfetta, né di deficit democratici, né di contraddizioni tra gli interessi degli Stati membri ma questi fattori sono il risultato della costruzione di una formazione politica diversa rispetto alla forma stato e agli stessi assetti istituzionali dell'unione europea che trova le basi di legittimazione per un'organizzazione sovranazionale la cui relazione tra: - Territorio - Confine - Diritti è flessibile. andremo dunque a concentrarsi su la rivoluzione logistica e la mobilità. la rivoluzione logistica si intreccia tra spazi istituzionali e con la capacità di creare aggregati di governo e di poteri sovranazionali. Dunque, la mobilità appare come un insieme di dinamiche sia oggettive che soggettive che tendono a disarticolare il rapporto tra forme istituzionali, organizzazione economica e il territorio producendo processi di riaggregazione di questi fenomeni. la nuova logistica europea descrive la formazione di uno spazio politico economico frammentato e proteso verso la dimensione globale, frutto dell’intreccio tra le trasformazioni che hanno coinvolto la produzione e l'organizzazione dei trasporti con lo sviluppo dell'unione europea come spazio infrastrutturale orientato al mercato. Questo spazio inoltre è attraversato da dinamiche di mobilità che non possono essere assimilate a un movimento ordinato e sottoposto alla razionalità logistica. dopo la Seconda guerra mondiale lo spazio politico europeo si è costituito come espressioni istituzionalmente organizzata delle priorità del mercato e della interconnettività che andavano ridefinendo si all'interno di un progetto di sviluppo globale nel quale la stessa proiezione spaziale dell’Europa era in forte tensione con la sua nascente articolazione istituzionale. nel contesto della globalizzazione l'unione europea, la cui istituzionalizzazione coincide con la ricollocazione dei mercati nazionali all'interno di un largo mercato comune, si trova a inarcare la contraddizione Trump politiche e interessi nazionali, la dimensione comunitaria è un contesto economico dove la mobilità gli scambi non erano più né geograficamente all'interno di confini né statali. modificando il rapporto tra mobilità produzione e territorio, infatti, la rivoluzione di trasporto iniziata negli anni 50 del secolo scorso è stata accompagnata da attività produttive insieme a catene del valore e supply change che hanno assunto una dimensione globali. tutto ciò ha permesso la moltiplicazione di assetti amministrativi che hanno caratterizzato una fase di ristrutturazione logistica costituendo un campo di tensione nel quale coesistono processi instabili di: - localizzazione statica - stratificazione del territorio - produzione dinamica dello spazio che suggeriscono di indagare l'emergere di specifiche forme politiche all'interno di siti istituzionali atipici. nel primo Libro bianco sui trasporti del 1992 l'obiettivo principale era favorire il corretto funzionamento del mercato interno per realizzare rete Intermondiali trans europei perché la proiezione esterna veniva considerata come un elemento fondamentale, riconoscendo la tensione esistente tra il perseguimento di una dimensione unitaria della politica comune sui trasporti e le iniziative dei singoli stati rispetto ai paesi terzi. questo attivismo delle istituzioni europee sul tema dei trasporti e delle infrastrutture avveniva parallelamente ad una progressiva ridefinizione delle mappe economiche europee dietro la spinta di forze verso l'Europa orientale dove la finalità era quello di creare dinamiche di trasformazione portando l'allargamento del mercato, in modo tale da creare nuove possibilità di connettere contesti differenti dal punto di vista dell'organizzazione politica territoriali e delle condizioni lavorative. le istituzioni europee hanno promosso l'introduzione di strumenti di governance per indirizzare i diversi fondi per la coesione nella direzione di rete transeuropea e in particolare nel campo dei trasporti dell'energia introducendo l'approccio del corridoio che consiste nell'individuazione di una rete centrale verso la quale far convergere gli interventi prioritari in Il dibattito sulla globalizzazione riconosce novità e benefici. la sociologia in particolare si interroga sul mutamento strutturale che la globalizzazione porta con sé e che si riverbera sia sui macro sistemi sia sulla vita quotidiana dei soggetti. questo articolo discute della globalizzazione economica e delle sfide che essa ha lanciato alle scienze sociali i cui assunti ontologici ed epistemologici sono risultati inizialmente incapaci di cogliere la complessità di tale fenomeno. tuttavia la disciplina è stata suscitata ad interrogarsi sulla natura del capitalismo globale e sulle implicazioni per il lavoro. l'articolo dunque approfondisce le prospettive di Agency da parte delle organizzazione sindacali. la globalizzazione fa riferimento ad una serie di processi sociali favorirà lo sviluppo tecnologico e dei mezzi di comunicazione che hanno dato via ad una vera e propria rete mondiale di connessioni spaziali e di interdipendenza funzionali tanto che certi eventi vengono condizionati da altri eventi, anche se a distanza. in ambito economico la globalizzazione ha delineato un'economia in grado di funzionare comunità unica su una scala mondiale a causa anche di: - interdipendenza dei fattori di produzione e finanziari - l'apertura degli scambi commerciali la complessità dei processi che stanno modificando il nostro modo di vivere ha portato ad avere difficoltà sul comprendere il fenomeno della globalizzazione che riflette un impianto teorico e metodologico permeato da una visione di Stato centrista: dunque lo stato è considerato come un contenitore omogeneo di relazioni socioeconomiche e politico culturali guidato dalla logica della sovranità e dalla gerarchia, garantendo una stabile organizzazione della società sul territorio e proponendo: - l'affermazione di un sistema amministrativo coerente - Un'economia e una cultura che si integrano tra di loro anche se le analisi dei principali approcci di political economy hanno sofferto di una trappola territoriale in quanto hanno concepito la territorialità dello Stato come una dimensione statica. La globalizzazione si riduce alla comparazione nazionale dei modelli, con la loro diversa capacità generale competitività internazionale ma senza considerare che le relazioni economiche transnazionali solo per loro natura intercorre lati e producono norme istruzioni un sia un ambiente socio economico, ad esse idonee. La natura transnazionale del capitalismo, la sua espansione strutturata, la sua logica conflittuale, contraddittoria e diseguale diventano oggetto di analisi in quanto l'obiettivo è quello di capire: - come le forze producono specifiche configurazioni economiche e istituzionali - le motivazioni che portano le forze a strutturare spazio sociale e geografico in determinati modi - le ragioni che influenzano l'evoluzione degli assetti concependo il capitalismo come una formazione storica sociale economica, la globalizzazione appare come una nuova e diversa fase di cambiamento e riorganizzazione delle forze produttive che poggia l'attività economica su 1)imprese transnazionali, che sono artefici di rinnovate forme di: - decentramento - ricollocazione - riorganizzazione della produzione attraverso la valorizzazione della dimensione spaziale, 2) Tecnologie digitali 3) superamento di vincoli sociali 4) nuova divisione internazionale del lavoro dove le relazioni sociali che governano l'economia penetrano e prendono sempre maggior possesso delle relazioni sociali non economiche. dunque al centro dell'analisi vi è la natura capitalistica della globalizzazione con le sue dinamiche di accumulazione, di produzione e con le sue contraddizioni e instabilità, dunque il processi del capitalismo globale si fondono su un riordinamento di differenze e complementarietà, non a caso infatti la globalizzazione economica è di fatto l'interdipendenza derivanti da processi articolati su varie scale di organizzazione sociale così come di complesse gerarchie casuali. La capacità del capitalismo di dilatare lo spazio di comprendere il tempo rappresenta il meccanismo per trovare nuove condizioni per il processo di accumulazione e quindi negoziare una nuova articolazione dei rapporti sociali nello spazio. I continui processi di deterritorializzazione Sono quindi espressione degli inevitabili attrito tra la spinta ad accelerare la circolazione di capitale, abbreviando il ciclo di produzione tra progettazione e consumo finale e lo sviluppo infrastrutturale a lungo termine da cui questo dipende. in questa prospettiva la globalizzazione è prodotta dei processi di produzione spazio temporanei sotto il capitalismo. allo stesso tempo però vi sono studi di natura empirica che tendono a mettere in luce gli effetti negativi della globalizzazione sul lavoro. i processi di accumulazione del capitalismo globale si basano infatti sulla produzione e riproduzione di differenziazioni e di asimmetrie sotto il profilo sia economico sia sociale secondo modalità, i cui esiti però non sono iscritti nel suo operare. Si rileva dunque l'incremento delle forze di lavoro globali con l'ingresso di nuove fasce di popolazione soprattutto nel sud del mondo, tra cui le donne che contribuiscono ad assicurare la flessibilità del lavoro, una maggiore produttività e minore costi. Inoltre lavorare con migranti, il lavoratore a contratto, donne e altri categorie sono centrali nella costruzione di un lavoro estremamente flessibili in quanto rappresentano la stragrande maggioranza della forza lavoro, mentre i lavoratori meno qualificati con meno opportunità di formazione ma con salari relativamente più elevati, sei confrontati con i lavoratori dei paesi in via di sviluppo sono quelli maggiormente esposti ai cambiamenti economici in atto. infatti la globalizzazione capitalista mira alla ricerca di forze di lavoro dotati di specifiche caratteristiche producendo nuovi e ampliando vecchi e disuguaglianze sociali, legate a genere, razza, etnicità. Nonostante ciò il dibattito in ambito internazionale sia è interrogato sulla capacità del lavoro di influenzare le traiettorie del capitale e del sindacato per riorganizzarsi: si assiste a un rinnovato attivismo delle organizzazioni sindacali sul piano internazionale che ha come obiettivo quello di creare legami alleanze e solidarietà tra i diversi luoghi di lavoro sparsi nel nord e nel sud del mondo e di condividere proposte soprattutto per tutelare il lavoro a scala globale che sia intrecciato con il processo di apertura del commercio internazionale. questo tipo soprattutto per aumentare le loro liquidità. In ultima analisi, l’indice del successo di queste attività è la misura in cui esse fruttano più (o meno) liquidità di quella che costano. Un’impresa di successo riceve non soltanto un rendimento del suo investimento, ma anche un rendimento su quell’investimento”. In questa prospettiva ha rilievo la natura monetaria: ciò che gli strumenti contabili registrano come valore è l’accumulazione di ricchezza a vantaggio del detentore del capitale. In che modo questo orientamento complessivo delle strategie delle imprese partecipa alle trasformazioni del lavoro e della condizione dei lavoratori? Esso ha effetto dirompente sul piano dell’organizzazione delle imprese e delle catene del valore. In una ricerca è stato ricostruito un quadro di implicazioni sul piano della configurazione d’impresa, delle situazioni di lavoro, dei rapporti inter-impresa: implicazioni che vanno dalla ristrutturazione dei portafogli di attività, all’accentramento del controllo e del coordinamento, all’aumento della fungibilità del lavoro, allo sviluppo della retorica delle risorse umane, alla riduzione dei margini di autonomia degli esecutori e quindi allo svuotamento di contenuto del lavoro, all’insistenza sulla riduzione dei costi, all’esplosione dell’outsourcing. Questo quadro di trasformazioni è l’esito di un processo di subordinazione della dimensione produttiva delle imprese alle esigenze di un’accumulazione di breve periodo incardinata sulla valorizzazione finanziaria del capitale. Cenno più specifico alla dimensione prettamente occupazionale, all’impatto subito dai redditi di lavoro e alle implicazioni sul piano della distribuzione della ricchezza attraverso evidenze empiriche. a. I processi di finanziarizzazione delle imprese si accompagnano a una riduzione della forza-lavoro. Alla base di questa tendenza c’è la convinzione che l’impresa debba non soltanto rendere remunerativo l’investimento di capitale, ma lo debba rendere più remunerativo rispetto a utilizzi di rischiosità comparabile. Quando anche le imprese non finanziarie considerano il capitale come una merce che deve essere allocata nella maniera più redditizia, le imprese stesse assumono la tendenza a ridurre il capitale utilizzato negli impieghi produttivi. La diffusione di strategie di accumulazione finanziaria genera perciò una tendenza al disinvestimento sul piano della produzione, a una riduzione dei volumi delle attività produttive e quindi una desertificazione dei settori dell’economia ad alta intensità di lavoro. La riduzione dei volumi di manodopera è uno dei più agevoli strumenti di riduzione dei costi fissi, con effetti immediati sul rendimento del capitale investito. I dati disponibili mostrano chiaramente che i processi di finanziarizzazione delle imprese italiane si sono accompagnati a drastiche riduzioni del costo del lavoro. b. I processi di finanziarizzazione delle imprese si accompagnano a un complessivo indebolimento del contropotere sindacale e a una riduzione delle retribuzioni del lavoro. Contestualmente al progredire dei processi di finanziarizzazione delle imprese, si riducono radicalmente le tutele del lavoro e della sua retribuzione, e anche le organizzazioni sindacali si indeboliscono. Fenomeno legato alla pressione delle direzioni di impresa, ma anche alle trasformazioni normative, che rendono la forza lavoro un oggetto sempre più fungibile e gestibile in maniera conforme alle esigenze di breve periodo. Per farsi un’idea di quanto il contropotere sindacale possa essersi indebolito si possono considerare alcuni indicatori come l’andamento della densità sindacale, scesa dal 50% al 35% fra il 1980 e il 2010, l’indice di protezione del lavoro, dimezzatosi dal 1996 a oggi. D’altro canto, quando l’impresa assume una configurazione orientata all’accumulazione finanziaria, anche la figura del datore di lavoro diventa evanescente e inafferrabile da parte del contropotere sindacale. L’impatto della perdita di rappresentanza e di potere del lavoro sulla distribuzione del reddito negli ultimi cinque anni è stato drammatico. Secondo dati OCSE, il totale dei redditi da lavoro in Italia, pari a circa il 70% del PIL nel 1974, nel 2010 si attesta intorno al 55%. c. I processi di finanziarizzazione delle imprese generano un trasferimento di ricchezza dall’impresa in quanto tale agli azionisti/investitori. L’adozione di questo approccio non assicura affatto un incremento del valore dei titoli. Se si osserva l’andamento dei corsi azionari, si nota chiaramente che le grandi imprese sono ben capaci di “distruggere valore” piuttosto che di crearne. Assai più che le qualità dell’azione manageriale, per l’andamento del capital gain contano gli orientamenti, assai volubili, dei mercati stessi. Il valore dei titoli lo fanno i mercati, e i mercati non sono affatto giudici obiettivi e razionali. Nondimeno, da quando è in auge il dogma della massimizzazione del valore per l’azionista, non soltanto si riduce spesso, in suo nome, lo spessore prettamente produttivo delle imprese, procurando quindi una distruzione di valore nel medio-lungo termine; ma si riafferma una gerarchia che vede l’assoluta preminenza degli interessi degli azionisti/investitori rispetto a ogni altro. Questa gerarchia si riflette chiaramente nella distribuzione della ricchezza prodotta. d. I processi di finanziarizzazione delle imprese si accompagnano a un aumento delle retribuzioni del management di vertice. L’ipertrofia delle retribuzioni dei top manager è divenuta oramai un dato di dominio comune. L’aumento della compensation del management di alto rango è una tecnica per garantire il controllo degli azionisti sull’operato dei manager: per invertire la tendenza novecentesca all’emersione di un potere dei tecnici, i manager di nuova generazione sono indotti ad agire nella prospettiva della sua massimizzazione. In un contesto come quello italiano, nel quale l’azionariato di controllo delle grandi imprese ha spesso legami di tipo personale o familiare con il top management, il fenomeno è meno impressionante, ma resta comunque macroscopico. Peraltro, si può pensare che l’impennata delle retribuzioni dei CEO abbia avuto un ruolo trainante per l’aumento delle retribuzioni di soggetti operanti in ambiti diversi, come le superstar dello sport e dello spettacolo. In un periodo di complessivo riorientamento delle strategie dei grandi attori economici si trasformano in profondità sia la regolazione del lavoro, sia la distribuzione della ricchezza. In questa prospettiva si dovrebbe leggere anche l’impiego della tecnica e della tecnologia: il quale è un elemento strumentale dell’azione economica, funzionale alle scelte di campo e alle strategie di accumulazione. È nell’ambito di queste trasformazioni che occorre cercare le radici della nuova struttura della disuguaglianza. È del tutto ragionevole ipotizzare che l’uso del capitale dentro circuiti prettamente monetari piuttosto che attraverso dinamiche di produzione, e il ritorno di una concezione dell’impresa come patrimonio del proprietario/azionista/investitore, siano uno dei motori più importanti del processo di patrimonializzazione dell’economia. Comprendere il rapporto fra modalità di accumulazione e distribuzione della ricchezza è necessario per rendersi conto che, se è sempre meno tollerabile osservare l’ipertrofia di redditi e patrimoni dee porzioni ultra- ricche della popolazione, è perché le modalità attraverso cui si alimentano queste rendite e questi patrimoni minano le basi del benessere collettivo: esse definiscono i contorni di un’azione economica che estrae valore dal contesto sociale, piuttosto che produrne. È da questa premessa che occorre partire per argomentare la necessità di una licenza sociale per l’azione economica, a cominciare dai settori dell’economia fondamentale, i quali riproducono quotidianamente l’infrastruttura della riproduzione sociale ma sono il bersaglio più recente delle strategie di estrazione di valore del capitalismo finanziario. CITTA’ DEL CAP 14: LAVORO E CITTA’ DELLA CONOSCENZA La figura della città come configurazione del sociale è stata utilizzata in diversi contesti e può aiutarci a riflettere sul modo in cui è venuto trasformandosi il rapporto tra lavoro, conoscenza e società. La città, intesa come spazio di attivazione di principi di organizzazione sociale, è stata ad es. chiamata in gioco nella “città del lavoro” da Trentin in una riflessione su come, del lavoro, siano andate cambiando rappresentazione e riferimenti che questi movimenti avevano utilizzato per costituirsi”. Occorre evitare letture totalizzanti o fatalistiche, nelle quali la narrazione del presente oscilla tra la rassegnazione e il fascino per l’ineluttabilità e, alla fine, la necessità del dominio. È prezioso riprendere il tema dell’accumulazione originaria proposta da Chakrabarty che illumina il lato che in quelle storie di capitolazione rimane oscuro, vale a dire la costante esistenza di altre storie che “ineriscono e tuttavia interrompono e punteggiano il funzionamento della logica propria del capitale”: la dimensione della Storia 2. Si tratta di una coesistenza di piani storici che, in forme differenti, si ripropone a tutti i livelli analitici, da quello macrosociale a quello del processo di soggettivazione. Accanto al processo nel quale ogni forma di vita e ogni azione è tradotta in modo conforme a quelle “astrazioni reali” attraverso le quali il capitalismo incorpora e governa il funzionamento sociale, esistono “altri modi di fare mondo”, altre logiche delle forme di vita. In questa prospettiva, la presa del capitalismo su quello “spazio interpretativo” che è la modernità coesiste sempre con uno spazio di possibilità, le “modernità possibili” di cui parla Santos, che cambia nel tempo e co- evolve con le trasformazioni della Storia 1, ma che è irriducibile a essa ed è costantemente presente nella sua alterità. È in questa direzione che vanno cercate le condizioni e i fattori perché conoscenza e lavoro umano riconferiscano potere ad “altri modi di fare mondo”. Si tratta intanto di fare spazio alla capacità di aspirare degli individui = proposta di ridefinizione del concetto stesso di cultura, laddove quest’ultima viene rimessa in stretta relazione con l’orizzonte del futuro entro cui ogni individuo proietta e declina la propria vita e la possibilità di trasformarla. La capacità di aspirare è dunque la competenza culturale di immaginare e argomentare, anche attraverso la protesta, ancor prima che perseguire in termini pratici, condizioni di vita migliori di quelle attuali. Una capacità niente affatto naturale e che, laddove gli individui vivono in situazioni di deprivazione e di annichilimento più o meno intenso della possibilità di pensare a un futuro diverso e migliore, perdono rapidamente. Una capacità, pertanto, che va coltivata e nutrita su un terreno in cui immaginazione e pratiche si intrecciano e si condizionano reciprocamente e costitutivamente. Essa si alimenta in primo luogo con l’esercizio di una capacità di voice che, per quanto riguarda il lavoro, è invece stata ampiamente impoverita → la conoscenza consente di esercitare quella che è una delle dimensioni costitutive della capacitazione degli individui, cioè la capacità di voice, ovvero la capacità di ogni individuo di esprimere il proprio giudizio e il proprio pensiero e di rendere tale giudizio e tale pensiero pertinenti in una discussione pubblica; la capacità di partecipare criticamente alla discussione collettiva dei propri problemi. In tale cornice il lavoro gioca un ruolo cruciale e il continuo tentativo di estromettere i luoghi di lavoro dalla sfera pubblica, per farli rientrare nella sfera privata, sono una componente fondamentale dei processi di impoverimento della “capacità di aspirare”. Le condizioni di lavoro incidono profondamente nel dilatare o nell’impoverire questa capacità. In molte circostanze, le modalità con cui la direzione e l’organizzazione dei luoghi di lavoro sono esercitate negano recisamente ogni spazio a tale capacità. E, viceversa, l’impoverimento della capacità di aspirare e della “capacity for voice” dei lavoratori contraggono lo spazio di intervento sulle condizioni di lavoro e tendono a oggettivarle. La rinuncia a incidere su esse si traduce in una più generale riduzione di tale capacità culturale, i cui effetti negativi non sono contenuti nel ristretto perimetro dei luoghi di lavoro e non possono trovare alcuna adeguata compensazione in quello che chiamiamo il “tempo libero”, esso stesso del resto sempre più intensamente riassorbito nei processi di produzione del valore Quella tra potere come dominio e potere come capacitazione è il campo di tensione sul quale ci interessa qui portare l’attenzione. Campo che si manifesta con chiarezza nella “città del lavoro”, nel conflitto tra la concezione del (nuovo) lavoro della conoscenza come mera intensificazione del controllo e dell’eterodirezione del lavoro stesso, da un lato; e quella che invece esige una ricomposizione del rapporto tra conoscenza e lavoro finalizzata a una riappropriazione, da parte degli individui, del senso di ciò che fanno nei luoghi di lavoro e del modo in cui lo fanno, dall’altro. Tale tensione si riflette anche nell’esperienza che i soggetti fanno, nei diversi ambiti della propria vita sociale e della propria attività, delle potenzialità di capacitazione intrinseche alla conoscenza e della mortificazione di tali potenzialità in ambito lavorativo → esperienza di drammatico sfasamento, tra la condizione di soggetti abilitati, in quanto cittadini, a prendere parte attiva nel governo delle “città”, ma privati del diritto di perseguire anche nel lavoro la stessa possibilità di esercitare la propria capacità di voice. In questo senso, l’effettivo esercizio di questi diritti “pone immediatamente l’esigenza di riunificare nel lavoro quello che era stato separato da un muro invalicabile”. Una separazione che si riproduce oggi in nuove forme fondate sulla mancanza di autonomia e di autodeterminazione che invece a quella riunificazione dovrebbe associarsi. Oggi assistiamo a una ulteriore fase di trasformazione del modo in cui la conoscenza viene incorporata nei dispositivi di governance, sociale e del lavoro, che si riflette in un dominio crescente dei saperi esperti e della conoscenza codificata, incorporati in dispositivi tecnici e de-politicizzati, sul lavoro vivo delle persone. Al tempo stesso, le conoscenze di coloro che hanno direttamente a che fare con i problemi e le materie su cui quei dispositivi intervengono sono solitamente espunte dal processo di knowledge-making delle basi informative che di quei dispositivi costituiscono il fondamento. La capacità di voice degli attori, in quanto spazio di rinegoziazione anche conflittuale dei termini di riconoscimento, ne viene sempre più marginalizzata. Nello scenario della “città per progetti”, che pare costituire l’orizzonte attuale della forma politico-morale in cui si inscrive la condizione del lavoro flessibile e precario, si assiste allo smantellamento di quei collettivi a cui abbiamo accennato e dei quali si avvaleva lo statuto sociale e politico del lavoro. Smontaggio che tende a divaricare le traiettorie delle persone, facendo di un numero sempre più ampio di esse “individui per eccesso”. Gli spazi in cui è possibile alimentare un rapporto tra potere e conoscenza orientato alla capacitazione diminuiscono drasticamente, laddove sono le stesse facoltà umane a diventare fattori di produzione e la conoscenza a collassare sul “capitale umano” indispensabile per stare con successo nelle reti di cui si avvale il processo di produzione del valore. In queste circostanze, l’urgenza di riconnettere la produzione di conoscenza con la capacità di aspirare degli attori sociali, si va facendo sempre più intensa. Tale urgenza chiama in causa le agenzie specificatamente deputate alla produzione di conoscenza e si configura in un obbiettivo di democratizzazione della ricerca: si tratta di assumere piena consapevolezza del ruolo che la ricerca può svolgere per intensificare quella “capacità di aspirare” degli individui. A tale proposito, occorre ripensare la ricerca come un “diritto umano”, cioè il diritto “agli strumenti attraverso cui ogni cittadino può incrementare l’insieme della conoscenza che più ritiene vitale per la propria sopravvivenza come essere umano e per le proprie rivendicazioni in quanto cittadino”, anche a partire da una ridefinizione dei dati e delle basi informative che alimentano la discussione su questioni controverse. Solo attraverso tale connessione la capacità di aspirare non si limita a un vano fantasticare e la ricerca non gira a vuoto su sé stessa. L’alternativa a tutto ciò è l’abisso di cui parlava Trentin: “l’abisso che già tende a dividere, nel rapporto tra governanti e governati, quelli che sanno da quelli che non sanno; quelli che comandano perché sanno da quelli che non possiedono nemmeno più gli strumenti culturali per comprendere il significato di quello che si ordina loro”.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved