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LE SCUOLE NUOVE E L’ATTIVISMO PEDAGOGICO, Tesine universitarie di Storia Della Pedagogia

LE SCUOLE NUOVE L’ESPERIENZA EUROPEA LE SCUOLE NUOVE IN ITALIA L’ATTIVISMO PEDAGOGICO IL METODO EDUCATIVO DI MARIA MONTESSORI LE CASE DEI BAMBINI L’EREDITÀ DI MARIA MONTESSORI LA PEDAGOGIA DI JOHN DEWEY LA SCUOLA ELEMENTARE DELL’UNIVERSITÀ DI CHICAGO LA SCUOLA COME LABORATORIO DI DEMOCRAZIA IL CONCETTO DI ESPERIENZA IN AMBITO EDUCATIVO

Tipologia: Tesine universitarie

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Scarica LE SCUOLE NUOVE E L’ATTIVISMO PEDAGOGICO e più Tesine universitarie in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! UNIVERSITÀ TELEMATICA “e-Campus” Master “L'INSEGNAMENTO DELLE MATERIE FILOSOFICHE E UMANISTICHE NEGLI ISTITUTI SECONDARI DI II GRADO: METODOLOGIE DIDATTICHE” LE SCUOLE NUOVE E L’ATTIVISMO PEDAGOGICO. DALLE ESPERIENZE DEL PRIMO NOVECENTO FINO ALLA PEDAGOGIA DEWEYANA Anno Accademico 2019 / 2020 2 INDICE INTRODUZIONE ................................................................................................ 3 1. LE SCUOLE NUOVE ..................................................................................... 4 1.1 L’ESPERIENZA EUROPEA ............................................................................... 5 1.2 LE SCUOLE NUOVE IN ITALIA .......................................................................... 6 2. L’ATTIVISMO PEDAGOGICO ....................................................................... 9 2.1 IL METODO EDUCATIVO DI MARIA MONTESSORI ............................................. 11 2.2 LE CASE DEI BAMBINI .................................................................................. 13 2.3 L’EREDITÀ DI MARIA MONTESSORI ............................................................... 14 3. LA PEDAGOGIA DI JOHN DEWEY ............................................................ 16 3.1 LA SCUOLA ELEMENTARE DELL’UNIVERSITÀ DI CHICAGO ................................ 17 3.2 LA SCUOLA COME LABORATORIO DI DEMOCRAZIA .......................................... 18 3.3 IL CONCETTO DI ESPERIENZA IN AMBITO EDUCATIVO ...................................... 19 CONCLUSIONI ................................................................................................ 21 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................... 22 5 promuovere lo sviluppo dell’autonomia, della socializzazione e della collaborazione. 1.1 L’esperienza europea Il primo significativo esempio di scuola nuova fu quello pensato e realizzato ad Abbotsholme nel 1889 da Cecil Reddil. Rivolta studenti di un età compresa tra gli 11 e i 18 anni, la New School era un istituto privato che ospitava ragazzi benestanti a cui veniva impartita una formazione improntata a favorire lo sviluppo delle capacità e dell’autonomia attraverso un’educazione fondata sull’autodisciplina, sul gioco come strumento educativo, sull’esperienza all’aperto, sull’importanza di conoscere il mondo anche attraverso i viaggi, mantenendo una grande attenzione all’acquisizione di conoscenze linguistiche e scientifiche. Liberty is obedience to the law (la libertà è obbedienza alla legge) era la dicitura che incarnava l’approccio educativo di questo esperimento in cui la disciplina veniva considerata come propedeutica alla formazione del carattere e della personalità dei ragazzi e volta all’acquisizione di un’adesione cosciente e volontaria alle regole. In Francia si deve ad Edmond Demolins la nascita della prima scuola nuova nel 1899 in Normandia. La sua Ècole de Roches accolse, in un ambiente naturale ai limiti del selvaggio, i giovani rampolli dell’alta borghesia. In base all’approccio educativo elaborato, i ragazzi erano lasciati liberi di muoversi senza vincoli e di abitare in case realizzate per evocare il più possibile un’ambientazione familiare. La formazione - molto attenta sul fronte dell’insegnamento delle lingue, della matematica, delle scienze, della geografia e della storia - si distinse per 6 l’approccio educativo globale e per la messa in atto di metodologie didattiche legate all’esperienza diretta degli studenti. Il pedagogista tedesco Hermann Lietz, ispirandosi all’esperienza di Abbotsholme, diede vita in Germania alle Case di educazione in campagna in cui l’apprendimento era guidato da una didattica pratica e realistica curata dalla figura del maestro. Queste scuole purtroppo risentirono dell’influenza dell’aristocrazia terriera che non permise lo sviluppo dell’innovativo modello educativo di Cecil Reddie, determinando l’attuazione di un approccio più autoritario. 1.2 Le scuole nuove in Italia Maria Boschetti Alberti, insegnante e pedagogista, realizzò a Muzzano (Piemonte) un’esperienza educativa, nuova ed innovativa, rivolta ai fanciulli di 6- 8 anni provenienti da contesti umili e difficoltosi. La figura del maestro era fondamentale nel suo metodo in quanto promotore e motivatore per lo sviluppo, da parte degli studenti, dell’impegno necessario per vivere efficacemente la pratica educativa. Alberti riteneva fondamentale favorire la spontaneità e la libera espressione dei bambini, strutturando l’attività scolastica sulla base delle loro specifiche inclinazioni, dei loro interessi, delle loro passioni e delle loro ispirazioni. Le attività, elaborate per raggiungere concretamente questo fine, ponevano spesso al centro della didattica l’uso del dialetto e la valorizzazione della poesia tradizionale e popolare. A Mompiano (Lombardia) le sorelle Rosa e Carolina Agazzi, educatrici e pedagogiste, fondarono un modello innovativo di scuola materna in cui tutto 7 doveva ricordare l’ambiente familiare e domestico. L’obiettivo era quello di creare una sorta di continuità tra la casa e la scuola, evitando così che i bambini potessero percepire e vivere una sensazione di separazione e distacco dalla famiglia. La casa comprendeva un ampio giardino, arricchito dalla presenza di animali, per consentire lo svolgersi di attività all’aria aperta e favorire l’apprendimento attraverso un naturale processo di scoperta. Peculiarità del modello delle sorelle Agazzi erano il “museo delle cianfrusaglie”, un luogo in cui i bambini potevano raccogliere diversi oggetti da utilizzare nel corso delle lezioni, e i “contrassegni”, immagini utilizzate dai bambini per ordinare gli oggetti, sviluppando così attitudine all’ordine e capacità di osservazione da una parte e acquisendo maggiori competenze linguistiche dall’altra; nominare gli oggetti, infatti, incentivava la conoscenza e l’apprendimento di parole nuove. La Scuola Rinnovata, ad opera della pedagogista Giuseppina Pizzigoni, fu senza dubbio una delle esperienze più significative nell’ambito del filone delle scuole nuove. Fondata nel 1911 a Milano, nel quartiere della Ghisolfa, fu caratterizzata da un approccio sperimentale in cui i punti cardine, tra cui l’esperienza diretta e l’osservazione in quanto conoscenza del reale, venivano attuati valorizzando particolarmente le pratiche di socializzazione come gite ed esercitazioni collettive. Il modello educativo della Rinnovata si proponeva di contribuire allo sviluppo di coscienze virtuose “attraverso le buone abitudini di vita singola e collettiva; attraverso buone impressioni di vita vissuta; attraverso una vita di lavoro; attraverso un metodico esercizio di introspezione, che ti fa guardare le tue azioni (confrontandole) con la legge morale esterna, che è quanto dire coi 10 Fu caratterizzato da un solido impianto teorico e pratico in cui si incontrarono i contributi provenienti dalle discipline psicologiche, sociologiche e filosofiche ad opera di numerosi studiosi che contribuirono a rendere questo movimento un punto di riferimento per educatori ed insegnanti per decenni. L’attivismo voleva porsi nel contesto storico-sociale come punto di riferimento delle moderne società di massa, affermandosi nell’istituzione scolastica come modello educativo innovatore e democratico, capace soprattutto di guidare la formazione degli studenti affinché potessero diventare cittadini liberi, responsabili e dotati di senso critico. Principi chiave dell’attivismo pedagogico sono l’antiautoritarismo, inteso come decentramento dell’adulto rispetto al bambino, del quale vengono rispettati i tempi di apprendimento e il principio dell’autoeducazione, superando di fatto la verticalità di un’educazione formalistica e trasmissiva; e l’anti-intellettualismo, ossia la predilezione per un’organizzazione didattica meno rigida e meno legata ad un esclusivo sapere “libresco” e didascalico e più orientato all’acquisizione di conoscenze vicine alla realtà. Tra i punti cardine dell’attivismo troviamo certamente il puerocentrismo, quell’approccio che considera il bambino fulcro del processo educativo; la sua formazione e l’attività scolastica in genere devono svilupparsi attraverso l’esperienza che si declina con lo svolgimento di numerose attività pratiche come il gioco e il lavoro. L’apprendimento diretto, il “fare”, è considerato, infatti, lo strumento privilegiato della conoscenza, sollecitato dalle inclinazioni naturali del bambino, dai suoi interessi e dai bisogni; di conseguenza l’ambiente va acquisendo un ruolo fondamentale in quanto fonte principale di stimoli. 11 Le attività pratiche vengono pensate per essere svolte anche in gruppo al fine di favorire i processi di socializzazione e guidare gli studenti verso relazioni che soddisfino i propri bisogni personali nel rispetto degli altri. Principali protagonisti dell’attivismo pedagogico sono R. Cousinet, C. Freinet, E.Claparéde, O. Decroly, fondatore a Bruxelles della "Ècole de l’Ermitage" fino ad arrivare a Maria Montessori e John Dewey, i quali ripresero e approfondirono le tematiche principali portate alla ribalta dal movimento delle scuole nuove. Lo fecero aprendosi organicamente non solo alle discipline psicologiche e sociologiche ma anche agli approcci proposti dalle scienze mediche, biologiche e neurologiche grazie alle quali furono avviati una serie di costruttivi e proficui studi sui portatori di handicap e non solo dal punto di vista della didattica. Il metodo Montessoriano è un esemplare lascito di questa esperienza; molte delle prassi e dei materiali elaborati dalla pedagogista furono, infatti, inizialmente pensati per guidare il percorso educativo e scolastico dei fanciulli con difficoltà di apprendimento, prevalentemente ortofrenici. La prospera commistione di studi e competenze maturata nell’ambito dell’attivismo pedagogico ha certamente contribuito a rendere tale movimento un laboratorio di idee e ideali didattici, ancora oggi punto di riferimento per la pedagogia. 2.1 Il metodo educativo di Maria Montessori Tra le principali protagoniste dell’attivismo a livello internazionale, Maria Montessori - educatrice, pedagogista, laureata in medicina con studi in neuropsichiatra infantile - con la sua concezione educativa apportò un contributo di grande valore al movimento, nonostante i suoi approcci si collocassero in 12 posizione contrapposta rispetto alle metodologie preferite e impartite nel periodo fascista in cui visse. L’elaborazione del suo metodo partì dal riconoscimento del bambino come essere umano completo e complesso, detentore di disposizioni morali e in grado di produrre e alimentare dinamicamente energie creative. Questa acquisizione la portò a concepire e individuare nella libertà del discente il caposaldo delle sue teorizzazioni in merito alla prassi educativa, in quanto strumento privilegiato per lo sviluppo della creatività e del suo ingegno. La libertà e l’educazione ad orientarsi attraverso di essa, devono essere però affiancate dalla disciplina, principio altrettanto importante nell’orientare lo sviluppo del bambino, poiché un bambino educato alla disciplina, che ha imparato a badare a se stesso e a prendere decisioni in autonomia, sarà in grado di seguire e rispettare le norme che regolano la vita in tutti i suoi aspetti. Fondamentale nel metodo montessoriano è, infatti, il concetto di mente assorbente secondo il quale durante l’infanzia i fanciulli acquisiscono dall’esterno una serie di informazioni con grande facilità, trovandosi nel pieno delle potenzialità creative, che rendono proprie con grande semplicità e naturalezza, quindi senza compiere sforzi cognitivi. La forza del pensiero pedagogico montessoriano risiede nella scelta di introdurre in ambito educativo l’approccio scientifico, come unico metodo possibile per determinare un’osservazione obiettiva del bambino (che Monessori chiama embrione spirituale) e del processo di scoperta che lo caratterizza autenticamente. 15 capacità e nelle potenzialità dei più piccoli, dei quali è importante rispettare i ritmi di apprendimento affinché possano crescere sviluppando una consapevole autonomia. Il tema della fiducia riposta nei bambini e nella loro riconosciuta libertà d’azione rappresenta senza dubbio uno dei principali tra gli elementi fondativi del metodo montessoriano. Questo, insieme alla ricerca sperimentale, determinante per il suo approccio scientifico, e all’impegno costantemente profuso a difesa dell’infanzia e delle donne, realizzato attraverso iniziative concrete e inclusive (specialmente in ambito educativo) e finalizzate all’emancipazione sociale dei soggetti più fragili, rappresentano il cuore dell’attivismo pedagogico promosso dalla scienziata italiana. Si tratta di una grande eredità che oggi vive nei molteplici istituti scolastici che, in tutto il mondo, hanno scelto di adottare il suo metodo, riconoscendo nella libertà un importante strumento per la crescita del bambino e nell’autoeducazione e nella disciplina gli elementi funzionali allo sviluppo dell’autonomia. 16 3. La pedagogia di John Dewey Filosofo, pedagogista e pensatore sociale, John Dewey nacque in negli Stati Uniti nel 1859. Studio nelle università del Vermont e di Baltimora per poi intraprendere la carriera universitaria come professore nelle università del Michigan, del Minnesota, di Chicago fino a giungere alla prestigiosa Columbia University di new York. Fu proprio in quel periodo, tra il 1904 e il 1929 che partecipò a numerosi dibattiti non solo accademici ma soprattutto di carattere politico e sociale, affermando a livello internazionale il suo nome. Nell’articolazione del suo pensiero in ambito educativo emerge come elemento chiave la considerazione che l’educazione rappresenti una necessità nel corso della vita. Nel libro “Il mio credo pedagogico” del 1897, spiega come il processo educativo sia caratterizzato da due fondamentali e complementari aspetti, psicologico e sociologico, i quali devono essere necessariamente tenuti in considerazione in egual modo per prevenire la produzione di “cattivi risultati".4 È necessario che ogni individuo partecipi alla coscienza sociale, sviluppando questa attitudine mediante gli stimoli educativi che devono operare per raggiungere un equilibrio tra il soggetto e il suo ambiente di riferimento, quindi tra i due aspetti sopra citati (psicologico e sociologico). Per Dewey grande rilievo assume la figura dell’educatore che si colloca nel rapporto con i discenti come una guida assume il delicato e articolato compito di guidarli nel processo educativo attraverso l’esperienza. Quando si verifica la rottura dell’equilibrio tra il piano psicologico e quello sociologico, quindi tra individuo e ambiente, per Dewey il soggetto mette in 4 J. Dewey, Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull'educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1954. 17 campo un atto che il pedagogista definisce “pensiero riflessivo” con il quale si propone di ripristinarlo. Il pensiero riflessivo è caratterizzato da cinque fasi. La prima è la motivazione, cioè la spinta emotiva che attiva il soggetto al fine trovare una soluzione per il problema riconosciuto in quanto tale; successivamente, mediante la fase dell’intellettualizzazione, il soggetto cerca di definire con precisione i diversi aspetti della problematica, avanzando ipotesi per la sua risoluzione. La terza fase è quella dell’osservazione mediante la quale la mente, in base alle ipotesi elaborate, cerca di acquisire il maggior numero di informazioni per migliorare la formulazione delle ipotesi. Nella quarta fase avviene la definizione precisa della migliore ipotesi ipotizzata. Con il controllo si mette in atto la quinta ed ultima fase del pensiero riflessivo che ha il compito di verificare se l’ipotesi formulata è efficace per ristabilire e raggiungere nuovamente l’equilibrio. L’educazione è per Dewey educazione al pensiero riflessivo. 3.1 La scuola elementare dell’Università di Chicago La scuola-laboratorio dell’Università di Chicago, fondata da Jhon Dewey nel 1896, rappresenta una delle più esemplari testimonianze di scuola nuova. Fu pensata dal pedagogista come luogo in cui sperimentare il metodo educativo attivo che i suoi studi lo portarono a teorizzare. Partì dalla considerazione che l’istituzione scolastica è prima di tutto un’istituzione sociale e dovesse pertanto riprodurre, in scala ridotta, la complessità della società, intesa come comunità, fatta di persone che interagiscono e si relazionano attivamente. 20 organizzando, quindi, un modo proficuo di relazionarsi con l’ambiente di riferimento. Per la formazione intellettuale è indispensabile applicare il metodo scientifico, fatto di indagine e verifica, quindi di elaborazione da svolgere anche in gruppo e da sottoporre all’attività di controllo. Solo il metodo scientifico può plasmare l’esperienza individuale e sociale razionalmente. In Scuola e società (1899) Dewey spiega che l’istituzione scolastica può raggiungere questo obiettivo realizzando se stessa come una comunità in miniatura, collegata alla società nei suoi aspetti concreti, primo tra tutti quello lavorativo. È fondamentale pertanto che realizzi al suo interno laboratori connessi al tessuto produttivo. Al maestro è riservato il ruolo fondamentale di accompagnare e guidare il processo di apprendimento, organizzando e coordinando tutte le attività didattiche, quelle laboratoriali ed esperienziali insieme alle discipline tradizionali. . 21 Conclusioni Il grande contributo apportato dall’esperienza delle scuole nuove e dell’attivismo pedagogico risiede principalmente nell’aver saputo collocare, in ambito educativo, il ruolo del bambino in una posizione centrale, riconoscendogli una funzione attiva e sociale, a partire dai suoi bisogni, con l’obiettivo di valorizzare le sue potenzialità. La portata rivoluzionaria di questo nuovo approccio riuscì ad affermarsi solo in modo frammentato. Non fu purtroppo accompagnato da una solida azione politica che sarebbe stata necessaria per affrancare le pratiche educative tradizionali e trasformare quella che può essere definita una “visione” in una efficace e struttura prassi educativo-pedagogica in grado di produrre realmente l’auspicata integrazione tra istituzione scolastica e società. Nonostante ciò, il patrimonio ereditato dall’esperienza attivistica resta prezioso e di grande attualità per le riflessioni che continua a generare e per il profondo messaggio di cambiamento intrinseco nelle sue teorie e nelle sue prassi educative. 22 Bibliografia  Ernesto Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, Firenze, La Nuova Italia, 1948.  Ernesto Codignola, Un esperimento di scuola attiva: la scuola-città Pestalozzi, La Nuova Italia, Firenze 1954.  Maria Montessori, La mente del bambino, Milano, Garzanti, 1948.  Maria Montessori, Discorso inaugurale in occasione dell’apertura di una “Casa dei bambini” nel 1907, in La scoperta del bambino, Milano, Garzanti, 1970.  John Dewey, Il mio credo pedagogico. Antologia di scritti sull'educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1954.  John Dewey, Democrazia e educazione, Firenze, Sansoni, 2004.  John Dewey, Scuola e società, Roma, Edizioni Conoscenza, 2018.  Giuseppina Pizzigoni, Le mie lezioni ai maestri delle scuole elementari d'Italia, Brescia, La Scuola Editrice, 1961.  Saverio Santamaita, Storia dell'educazione e delle pedagogie, Milano- Torino, Pearson Italia, 2019.
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