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Le scuole nuove e l'evoluzione dell'educazione infantile in Italia, Appunti di Pedagogia

L'evoluzione dell'educazione infantile in Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento, con particolare attenzione alle scuole nuove e ai loro metodi pedagogici. Vengono presentati i contributi di diversi protagonisti del movimento, come Baden-Powell, Pasquali, le sorelle Agazzi e la Pizzigoni, e viene analizzata l'importanza dell'esperienza diretta e dell'attivismo nella formazione dei bambini. Vengono inoltre descritti i principi fondamentali della pedagogia di Dewey e la sua concezione dell'esperienza come base dell'educazione.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 01/03/2023

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Scarica Le scuole nuove e l'evoluzione dell'educazione infantile in Italia e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Le prime esperienze (attivismo Hegel) del movimento delle scuole nuove si collocano tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e il primo del Novecento. Le innovazioni sono derivate dall'esperienza concreta piuttosto che da una teorizzazione pedagogica organica. Sul piano della pratica il primato della dimensione del "fare" si traduce in un mutato rapporto tra istruzione e educazione. L'ex- ufficiale dell'esercito Robert Baden-Powell (1857-1941), teorizza una forma di associazionismo giovanile, quella dei boy-scout, che otterrà un vastissimo successo. Si basa su un metodo educativo attivo e integrale, spirito di osservazione, disciplina, responsabilità e appartenenza. In Italia vi sono nuove iniziative orientate all'educazione popolare, primaria e infantile. Pietro Pasquali avviò una riforma degli asili infantili, ossia delle istituzioni assistenziali e educative per i bambini in età prescolare, cercando di modificarne i caratteri portiani sulla base di indicazioni derivate dai Kindergarten di Frobel. Per Pasquali, gli asili devono avere aule adatte e un giardino, e svolgere attività che siano come «ponti fra il lavoro e il gioco»>. Testo: i "lavori" dell'asilo potranno perciò essere svolti negli stessi ambienti della vita in comune, con materiali semplici e quotidiani. L'intero asilo diventa così "scuola di vita", in continuità con la vita familiare. Rosea Carolina Agà propongono una trasformazione dell’asilo infantile seguendo i modelli di Fröbel e di Pasquali. L'educazione deve essere caratterizzata dall'atmosfera familiare e affettiva. Al centro della scuola materna sta l'attività del bambino, secondo gli influssi della religiosità cattolica e dell'idealismo pedagogico. l'educatrice la quale deve possedere particolari capacità di iniziativa, di promozione, di organizzazione, unite a flessibilità e a sensibilità; salvaguardando la conti unità tra la vita scolastica e quella familiare. Testo: La preparazione psicologica è indispensabile per l'attività didattica, ma più di tutto conta la capacità dell'educatrice di tradurre le proprie conoscenze e competenze in effettiva opera educativa, con sensibilità, amore, dedizione spirituale e spirito di iniziativa. La scuola deve essere simile a una casa, mantiene le caratteristiche del Kindergarten fröbeliano, ma oltre all'aula e al giardino essa ha una sala adibita a «museo», detto «delle umili cose". Il «museo didattico» nasce da un'intuizione legata alla capacità dell'educatrice di immedesimarsi nel bambino e di vedere le cose con i suoi occhi. Per le sorelle Agazzi le lezioni devono essere collettive e devono essere ridotte al minimo e sostituite con attività individuali libere. Secondo il principio del mutuo insegnamento, ossia dell'aiuto reciproco tra gli allievi. Il metodo intuitivo è supportato dall' azione indiretta dell’educatrice. L' insegnamento Agazzino avverte la profonda differenza esistente tra il fare, il conoscere e l’azione emotiva e morale che la scuola materna deve offrire ai bambini. Tra le attività di vita pratica un posto particolare spetta al giardinaggio. Il bambino sovrappone il lavoro al lavoro spontaneo della natura. Le attività di vita pratica educano al fare, alla socialità e alla conoscenza della realtà, ma possiedono anche una dimensione estetica. Le sorelle Agazzi forniscono dunque al bambino spazi e materiali adeguati alla sua produzione "artistica", tra cui il disegno e la recitazione, strettamente collegata all'educazione estetica è l'educazione sensoriale, che ha inizio dai colori. Essa costituisce un vero e proprio itinerario della cosiddetta "educazione all’immagine, che promuove anche la crescita intellettuale, stimolando la curiosità, l'esplorazione e un atteggiamento analitico. L'analisi della lingua parte dai nomi dei «Contrassegni e approda a parole mente sempre più lunghe e foneticamente più complesse. L'uso dei «Contrassegni» costituisce un ulteriore elemento per una didattica legata alle cose e all'esperienza quotidiana. Agazzi difende anche il canto, che richiede anche una disciplina di esecuzione. In questo panorama spicca la scuola rurale della Montesca, fondata da Franchetti, lo scopo è fornire un’alfabetizzazione di base. La gestione della didattica diviene quindi sempre più consapevole, anche nei suoi aspetti materiali. Venne fondata "La Rinnovata (1911), da Giuseppina Pizzigoni, che porta un rinnovamento che si caratterizza soprattutto nel metodo e nella sensibilità. Della pedagogia positivistica, la Pizzigoni condivide: l'obiettivo di fornire ai fanciulli una cultura di base consistente innanzitutto in abitudini per la vita; il principio di fondarsi sui fatti obiettivi, ambiente educativo nuovo, caratterizzato dalla serenità, ma soprattutto nell'esperienza personale dell'allievo. La scuola deve essere un ambiente di vita completo, familiare e culturale, sereno, ricco e stimolante. Ce l'idea innovativa di una continuità tra interno ed esterno, Scuola all'aperto» significa dunque portare l’universo nella scuola e viceversa. La Pizzigoni identifica la «scuola nuova» come un luogo in cui si hanno esperienze dirette. La Pizzigoni propone un'idea del rapporto didattico e educativo ancor oggi stimolante. "La Rinnovata propone di essere un ambiente sereno di vita, In questo quadro rientra anche il far partecipare le famiglie alla vita della scuola, "La Rinnovata" è una scuola incentrata sull'attività e sull'educazione integrale. Ferriere ha rintracciato l'elemento centrale dell'attivismo nel "puerocentrismo", in contrapposizione con l'educazione tradizionale. Dewey ha una concezione dell'esperienza secondo la quale l'uomo deve ininterrottamente accettarne i rischi. L'educazione sarà riorganizzazione continua dell'esperienza personale e sociale. Nel Il mio credo pedagogico Dewey sintetizza 5 punti: 1) l'istruzione è frutto della partecipazione progressiva dell'individuo al patrimonio del genere umano, 2) l'istruzione è un processo sociale e la scuola è il fulcro, 3) il fondamento dei programmi di insegnamento è la vita del fanciullo, 4) a ispirare il metodo educativo devono essere gli interessi del fanciullo, 5) l'istruzione è il fondamento del progresso sociale e politico. Perciò l'educazione mira a suscitare nel singolo la capacità di comprendere e di saper cambiare la società. La scuola deve svilupparsi gradualmente, partendo dall'esperienza in famiglia e nell'ambiente sociale. La rivoluzione industriale ha allontanato il bambino, lo ha separato dal lavoro e privato di occasioni di formazione. Dewey ritiene che con il lavoro si può rendere la scuola veramente "attiva. Dewey attribuisce all'educazione una funzione di trasmissione sociale. L'esperienza condotta nella "scuola-laboratorio" elementare all'Università di Chicago consente a Dewey di mettere in pratica le proprie teorie sulla scuola attiva attraverso un percorso di studi dai 4 ai 18 anni, intervallato da "anni-ponte" che hanno lo scopo di favorire i passaggi e la continuità. Dall'esperimento di Chicago scaturisce una concezione nuova della scuola come luogo di esperienza e attività, di progettazione attiva e partecipazione democratica, di investimento nella funzione educativa del lavoro. Il lavoro diventa così anche punto di raccordo interdisciplinare. Nell'opera Esperienza ed educazione Dewey ammette che non tutte le esperienze sono positive, perciò è importante l'educatore. I consigli di Dewey: • i nuovi apprendimenti devono essere collegati a quelli dell'esperienza infantile, • il passato deve costituire la base per il presente, • i contenuti del sapere dall'adulto devono rappresentare una meta• il lavoro scolastico deve essere organizzato con progetti e laboratori. Formatosi attraverso lo studio della medicina e dell'educazione dei bambini che oggi definiamo "diversamente abili", Decroly. Secondo Decroly l'allievo è vittima della scuola tradizionale, in quanto essa non tiene conto delle sue facoltà, oppure le impegna separatamente. I nuovi programmi dovranno allora rispettare, in una forma unitaria, sia l'esigenza soggettivo- psicologica sia quella oggettivo-sociale. L'esigenza soggettivo-psicologica, 4 tipologie: 1) il bisogno di nutrirsi; 2) il bisogno di lottare contro le intemperie; 3) il bisogno di difendersi dai nemici; 4) il bisogno di lavorare con gli altri, riposarsi e ricrearsi. Per l'attività didattica Decroly propone di scegliere un argomento e di farne, per un certo periodo, il "centro" di tutta l'attività scolastica. L'unità della proposta didattica è garantita da un programma di idee associate. In seguito i bambini potranno associare nello spazio e nel tempo» quanto osservato e quindi esprimere quanto acquisito nella direzione delle realizzazioni artistiche, pratiche e linguistiche. Decroly sottolinea che il programma di idee associate deve tener conto del fatto che questi instaura precisi rapporti con i diversi ambienti in cui vive. Ai due diversi approcci metodologici (quello diretto e quello indiretto) corrispondono due tipi di esercizi: di osservazione e di associazione. Decroly rammenta che esiste una terza tipologia: quella degli esercizi di espressione. Per Decroly, il sistema educativo concepisce in modo errato l'ambiente: per questo nella "Scuola dell'Ermitage" l'ambiente non è l'aula, ma la natura. Decroly è convinto che la costituire una struttura accentrata, gerarchica e disciplinata, tenuta insieme da legami ideologici e operativi. Un'influente organizzazione educativa, capace di orientare sia il singolo insegnante sia il singolo allievo sia le famiglie, secondo Makarenko è la scuola, intesa anch'essa come collettivo pedagogico. L'insegnante si forma solo all'interno. La scuola ha a capo un direttore e si suddivide nel collettivo degli insegnanti e in quello dei ragazzi, a sua volta articolato in collettivi di base che promuovono il raggiungimento di una migliore identità di gruppo e di una più organica divisione del lavoro. Il senso di identità viene cementato con riti, simboli e cerimonie dall'aspetto talvolta simile a quello militare. L'elemento che più riassume la concezione del collettivo è però l'assemblea. Il collettivo si organizza innanzitutto attorno al lavoro. Tutti devono contribuire per il raggiungimento di questi obiettivi, che divengono anche un'occasione per apprendere le principali attività. Per Makarenko la disciplina deve manifestarsi in un atteggiamento consapevole. La vera disciplina è dunque il risultato della combinazione di una serie di «influenze» ideologiche e culturali, tra le quali una profonda educazione politica, l'istruzione obbligatoria, i giornali, il lavoro collettivo. La situazione scolastica italiana, secondo Gramsci, deve basarsi nella creazione di una scuola unica di base, culturale e disinteressata, ma anche tecnico-scientifica. La nuova scuola potrebbe assumere la forma di un "collegio", dotato di strutture di servizio e orientato a stimolare il più possibile la partecipazione degli allievi, per poi favorire verso i sedici anni il loro inserimento in scuole specializzate o il loro accesso agli studi superiori. Nell'impostazione educativa di Gramsci, lo spontaneismo non può essere accettato: la civiltà industriale richiede un insegnante in grado di suscitare nel discente la consapevolezza della necessità di disciplina e sforzo. l'alunno è motivato non appena si rende conto di essere parte un'attività organizzata, di cui egli deve essere protagonista. Coerentemente con il proprio «attualismo», in cui il reale viene ridotto a un «atto» del pensiero, ad «autocoscienza» dello Spirito, Gentile necessità di un riesame della pedagogia ripartendo da Hegel. Nell'educazione di Hegel, sono presenti le dimensioni della libertà, dello sviluppo e dell'autocoscienza: per Gentile queste tre sono caratteristiche di tutto il reale, il quale è un "processo educativo". Nell'educazione autentica vi è immedesimazione del maestro nello scolaro e dello scolaro nel maestro. In quest'ottica cessa di esistere il problema del rapporto tra autorità e libertà. Così la sintesi del rapporto tra insegnante e alunno è rappresentata dall'amore in nome del quale l'autorità del maestro rende l'alunno libero. Gentile liquida anche il problema dell'antitesi tra forma e contenuto: poiché non vi può essere forma senza contenuto, e viceversa l'educazione formale, che punta allo sviluppo dell'intelligenza, non può essere disgiunta dall'educazione contenutistica, incentrata sulla memoria. Gentile chiama pedagogismo la tendenza a considerare la pedagogia come un sapere scientifico a sé stante, rescindendo così il suo legame con la filosofia e dando origine a ulteriori distinzioni dannose. Un altro rischio è quello della pedotecnica, tendenza negativa a tradurre la spiritualità dell'atto educativo in una serie di precetti di carattere tecnico. Per lui la didattica non può che essere generale, nell'unità dello spirito e del sapere. Se la didattica è teoria della scuola, l'insegnamento è teoria in atto, «didattica speciale», chi insegna deve affrontare questo compito sulla scorta delle proprie risorse interiori. Giuseppe Lombardo-Radice coniuga il lavoro nella pubblica amministrazione con la ricerca e la divulgazione incessante dei più significativi esperimenti di "scuola attiva". Per l'attualismo lo spirito è creazione, autonomia. Ne consegue che l'educazione è sempre autoeducazione e che il rapporto maestro- scolaro è costituito da una sostanziale unità spirituale. Il carattere dialettico della compenetrazione spirituale tra maestro e scolaro. Per ben realizzare la propria funzione, l'istituzione scolastica deve garantire un lavoro educativo sereno e costruttivo, in cui la disciplina sia interiorizzata e fatta propria. Ecco perché la scuola deve essere «serena». È serena in quanto rende possibile il processo di auto-educazione, «perché rasserenatrice della irrequietezza dei fanciulli, con il lavoro spirituale creativo. Il fine dell'educazione è il superamento dell'individualità, e il metodo non può essere che lo stesso superamento dell'individuale. «Il metodo è il maestro». La didattica non esiste come sapere a sé, ma si risolve sempre nei vari insegnamenti. Il maestro deve cercare di rinnovare il rapporto educativo che intrattiene con ogni allievo. Anticipando quel che oggi è noto come "principio della discriminazione positiva", egli spiega che il maestro deve partire dai più deboli. Per lui l'educazione deve essere rispettosa delle particolari caratteristiche psicologiche dell'infanzia, poiché il metodo è sempre “adeguazione", e deve valorizzare le capacità espressive e lo spirito di ricerca del bambino. Ugualmente occorrerà promuovere la poeticità il disegno, sottolineando l'importanza degli «scarabocchi», come espressioni dell'intuizione infantile. Sigmund Freud è il protagonista della rivoluzione psicoanalitica. Freud afferma che nella nostra psiche esiste una dimensione inconscia e irrazionale, in cui si annida una serie di istinti e di desideri (perlopiù di natura sessuale). Queste pulsioni inconsce si manifestano innanzitutto nei sogni, ma ne è condizionata l'intera condotta. Nel descrivere il funzionamento della vita psichica, Freud individua tre componenti della personalità: l'Es, sede inconscia degli istinti, l'Io, dimensione prevalentemente conscia di controllo dell'Es, e il Super-Io, formazione morale che "censura" i desideri ritenuti socialmente inaccettabili. Parallelamente Freud opera una distinzione tra Eros, pulsione di vita che si esprime nell'amore, nella creatività e nella costruttività, e Thánatos, pulsione di morte che si esprime nell'odio, nella meccanicità e nella distruttività. Il compito interminabile dell'uomo, che in questo può essere aiutato dalla psicoanalisi, è di sottoporre gli istinti al controllo dell'Io, senza far prevalere eccessivamente le richieste schiaccianti del Super-Io. Secondo Freud i primi sei anni di vita sono decisivi per l'organizzazione di un corretto sviluppo della personalità. Freud ritiene che un corretto sviluppo psicosessuale nei primi sei anni di vita si realizzi solo mediante interazioni positive con gli adulti. Tra il bambino e l'adulto estraneo alla cerchia familiare può verificarsi un processo di «transfert», ossia di trasposizione inconsapevole sull'insegnante di sentimenti e di emozioni originariamente diretti. Le pulsioni profonde e innate non possono più venire ricusate, e vanno comunque soddisfatte, anche se in forma controllata e "dirottata" verso mete socialmente accettabili. Convinto che nell'educazione si debba cercare di «ottenere il massimo e nuocere il minimo»>, Freud denuncia l'atteggiamento sia di coloro che ignorano l'esistenza di una sessualità infantile, sia di coloro che cercano di impedirne il manifestarsi. Alfred Adler teorizza una concezione dello sviluppo come processo organizzato intorno a un «sentimento di inferiorità»> dell'Io e a un «ideale di perfezione»> compensativo. Questo ideale affiora nell'infanzia in relazione alla propria condizione naturale e sociale e all'intervento educativo dell'adulto; in seguito esso può venire perseguito in forma equilibrata, come principio regolativo, oppure attraverso una compensazione nevrotica. Per questo l'intervento educativo diviene fondamentale al fine di favorire l'individuazione delle strategie necessarie per consentire a tutti la sua realizzazione. Un bambino troppo viziato o trascurato nell'infanzia diverrà per Adler un adulto il cui «complesso di inferiorità» si tradurrà in un carattere nevrotico. Anna Freud si preoccupa anche di analizzare il rapporto tra la psicoanalisi e la pedagogia. Il contributo della psicoanalisi alla pedagogia può servire a riparare i danni causati da un'educazione sbagliata. Per Anna Freud lo sviluppo dei bambini è profondamente influenzato dalle relazioni familiari e sociali, e il compito della psicoanalisi consiste sia nel riequilibrare le condizioni psicologiche del bambino in crisi, sia nell'agire nei confronti dei genitori e degli educatori, perché a loro volta siano in grado di comunicare efficacemente e positivamente con lui. Melanie Klein teorizza la presenza di un Es, di un Io e di Super-io già nel primo anno di vita, cioè in un'età in cui le possibilità di incidere sulla personalità con l'azione educativa sono molto limitate. L'opera del terapeuta, secondo Melanie Klein, deve dunque consistere soprattutto nel leggere (attraverso il gioco) le tensioni psichiche del bambino e nel cercare di alleviarle. Erik Erikson estende le fasi psicosessuali freudiane all'arco di tutta la vita, trasformandole in otto «fasi di sviluppo psicosociale», ciascuna riconducibile a uno specifico momento dello sviluppo. Secondo Bettelheim nell'educazione «l'amore non basta». La complessità dei processi psicologici coinvolti nelle relazioni affettive richiede che l'educatore sappia cogliere i bisogni profondi del bambino e interagire con il suo sviluppo rispettandone l'individualità. Per Bettelheim le fiabe non sono funzionali all'interpretazione della realtà storica in cui il bambino vive, ma offrono un contributo importante alla sua comprensione del mondo interiore e delle relazioni che possono istituirsi tra le persone. Il bambino, inoltre, ha bisogno di una guida morale che lo aiuti a trarre un senso dal succedersi delle proprie emozioni. Max Wertheimer constata che gli insegnanti, anziché stimolare l'attività autonoma dei discenti, tendono prevalentemente a fornire agli allievi dei procedimenti precostituiti per la soluzione dei problemi. Questo fatto, osservato soprattutto nell'ambito della didattica della matematica, porta Wertheimer a notare che la strategia di apprendimento degli alunni è tendenzialmente passiva e mnemonica. Gli studenti entrano quindi in crisi qualora si trovino in una situazione che non lascia adito a una semplice applicazione meccanica delle regole. Secondo lui la didattica è dunque efficace quando «insegna il meno possibile», quando pone i soggetti di fronte a problemi affrontabili con strategie alla loro portata. Il compito dell'insegnante diventa così quello di offrire aiuti o stimoli, di "attivare" l'alunno di fronte al problema o di insegnare. La teoria psicologica piagetiana è definita "psicologia genetica" e studia soprattutto le funzioni e le strutture cognitive legate all'intelligenza, mentre tende a non occuparsi dell'affettività come motore di sviluppo psichico. Per Piaget lo sviluppo psichico avviene attraverso l'interazione con l'ambiente fisico e sociale circostante: il bambino possiede fin dalla nascita una serie di riflessi basilari e una "programmazione" della forma e della successione delle fasi di sviluppo. L'ambiente fornisce invece gli stimoli per l'elaborazione delle strutture mentali e del loro contenuto. Piaget ritiene infatti che i tempi e la successione delle fasi di sviluppo psicologico siano sostanzialmente universali e immodificabili. L'intervento degli adulti non può né accelerare né cambiare questi aspetti. L'educazione non può produrre direttamente i progressi dell'allievo, ma solo preparare l'ambiente adatto alla loro comparsa, oppure rinforzarli. Il motore dell'intelligenza del bambino è la sua azione: per questo l'educatore deve soprattutto predisporre le condizioni adatte all'esercizio di questo "autonomo fare". La centralità attribuita al "fare" del bambino è in pieno accordo con le concezioni dell'attivismo, ma l’analisi di Piaget delinea un insegnante diverso. L'insegnante, per Piaget, deve essere un vero e proprio "ricercatore", in grado di rintracciare le condizioni migliori per l'apprendimento. Vygotskij prende le distanze dalla riflessione di Piaget. Per Vygotskij l'aspetto caratteristico dello sviluppo è la sua socialità: il bambino cresce nell'interazione con gli altri, in primo luogo con gli adulti, e questa interazione ha un effetto trainante sulle acquisizioni dello sviluppo. Se per Piaget l'educazione e l'istruzione devono sostanzialmente “seguire" lo sviluppo, per Vygotskij esiste un'area di sviluppo potenziale nella psiche del bambino se opportunamente stimolata dall'azione educativa dell'adulto, consente progressi nell'apprendimento. La pedagogia di Vygotskij si incentra sull'idea che tutte le relazioni sociali abbiano una forte valenza educativa. Alla rivalutazione pedagogica del gioco da parte delle scuole attivistiche, Vygotskij fa corrispondere una nuova e approfondita analisi delle sue valenze psico-evolutive. La concezione dei comportamentisti dal punto di vista applicativo si traduce nell'accurata predisposizione da parte dell'educatore delle circostanze istruttive e nella graduazione delle reazioni ambientali al comportamento del soggetto. La teoria comportamentista spiega l'apprendimento come una risposta a degli stimoli, sul fondamento di una filosofia empiristica e deterministica. Watson la conoscenza è ricettività e i suoi contenuti muovono dall'esterno verso l'interno: l'apprendimento è il risultato di una lunga catena di condizionamenti, per cui l'individuo gradualmente trasferisce risposte innate a situazioni nuove, ma in qualche modo collegate a casi analoghi in cui la risposta si sarebbe prodotta in modo naturale. Thorndike molto noto per i suoi esperimenti sugli animali, di pochi anni precedenti alle ricerche di Watson. In base alle sue osservazioni, ad esempio, sulla capacità di un gatto di apprendere il percorso per uscire da un labirinto, Thorndike prospetta la cosiddetta «<legge dell'effetto»>, secondo cui nelle situazioni nuove gli organismi procedono per causalità dialogica, secondo cui in ogni processo sono necessariamente presenti elementi complementari e antagonisti; • principio ologrammatico, secondo cui in un sistema complesso non solo la parte si trova nel tutto, ma anche il tutto si trova nella parte; • centralità del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza. Ferire sviluppa la consapevolezza del legame tra oppressione politico-sociale e educazione conservatrice. Nasce il progetto di una pedagogia degli oppressi. Se in un rapporto educativo l'educatore è "tutto", allora all'allievo non rimane nulla al di fuori della dipendenza totale dall'insegnante. Ferire propone invece che educando e educatore si educhino insieme, percorrendo il cammino che porta alla liberazione di entrambi. Per Ferire la liberazione degli oppressi deve realizzarsi anche fuori della scuola, in quelle realtà di miseria e oppressione in cui l'istruzione non esiste o è riservata a pochi. Per questo occorre che gli educatori vadano nelle strade e nei villaggi, rivolgendosi ai bambini e agli adulti per offrire loro un'alfabetizzazione allo stesso tempo culturale e politica. La scolarizzazione degli oppressi infatti non si esaurisce nel possesso degli strumenti per leggere, scrivere e far di conto»>, ma deve giungere alla coscientizzazione, cioè all'acquisizione di una capacità critica che solo il dialogo comunitario può consentire. La polemica di Illich si indirizza principalmente alla scuola come "istituzione", ovvero alla scuola intesa come una sorta di "chiesa" che custodisce con una rigidità di tipo sacrale l'insegnamento e l'apprendimento, tenendoli fuori dalla «vita reale e compiuta» libertà del soggetto di apprendere direttamente e senza sottostare ad alcun controllo sociale. A ciò va contrapposta. La divisione scolastica del sapere in materie, che pretende di organizzare la conoscenza secondo parametri ben definiti e oggettivi, e di misurare in modo altrettanto oggettivo il suo possesso, mette l'individuo nella condizione di non poter più giudicare il proprio valore secondo la propria esperienza, fagocitata dal parere "oggettivo" della valutazione scolastica. Illich e Reimer postulano la creazione di una rete di strutture educative aperte, organizzata in quattro servizi fondamentali: 1) negozi e ambienti appositi per l'apprendimento formale, affiancati da strutture sociali, 2) iniziative di raccordo per mettere in contatto chi insegna e chi desidera imparare, anche per poter effettuare scambi di competenze; 3) socializzazione libera, mediante la formazione di gruppi di lavoro riuniti intorno a un interesse comune; 4) creazione di un «annuario degli educatori», in modo che chi ritiene di aver bisogno di un “esperto” possa mettersi in contatto con lui e avvalersi delle sue prestazioni. Capitini ritiene che la pedagogia attivista abbia svolto un ruolo importante per l'avvento di una società democratica e non violenta, promuovendo la cooperazione, l'esperienza, la libera ricerca, i positivi rapporti sociali, la libera discussione, gli scambi internazionali. Ciò non toglie che l'impostazione attivistica debba arricchirsi di obiettivi etici. L'autore offre un'indicazione importante a questo riguardo parlando della non violenza, che intende come «unità-amore con tutti gli esseri» e come «vivo interesse anche alla loro esistenza», e quindi come concreta iniziativa educativa, volta a creare le basi per la trasformazione della società. Secondo Capitini la non violenza è un'attività positiva, che si concretizza nella spinta morale alla realizzazione dell'esistenza e della libertà del maggior numero possibile di esseri viventi, nella discussione riguardo alla situazione attuale del mondo e nell'insoddisfazione per essa. Ciò conduce a un programma religioso e sociale di riforma, il cui fulcro è il tu piuttosto che l'io. Progetto di Nomadelfia scaturisce sia dalle esperienze giovanili di don Zeno, sia dalla esso concezione tipicamente cattolica della centralità della famiglia nel processo educativo; tiene però anche una visione comunitaria della vita sociale, che implica la strutturazione in piccoli gruppi di famiglie autogestite, capaci di offrire un valido apporto alla più vasta comunità in sono inseriti e alla società in generale. Secondo don Milani la lingua è un pericoloso strumento di discriminazione sociale, utilizzato dai ricchi nei confronti dei poveri: ecco perché alla «professoressa» egli ricorda l'articolo della Costituzione sull'uguaglianza di tutti i cittadini, uguaglianza che non può tener conto della lingua parlata. Tale articolo viene disatteso ogni qual volta si utilizzi la lingua come strumento di selezione, producendo disuguaglianza ed emarginazione proprio per quanti hanno maggiore necessità dell'istruzione per emanciparsi. Secondo don Milani si dovrebbe abolire la pedagogia così come comunemente viene intesa, in quanto fonte di affermazioni astratte, che non possono essere calate nelle singole realtà e nei problemi che materialmente sorgono in un rapporto educativo con individui concreti e assolutamente singolari nelle loro necessità. Occorre dunque che la pedagogia si faccia giorno dopo giorno, alunno per alunno, caso per caso. Secondo Dolci bisogna distinguere fra «trasmettere» e «comunicare»: il primo è un puro e semplice passaggio di informazioni indipendente dalla personalità del ricevente; il secondo implicazione. Nell'attuale sistema sociale, compresa la scuola, prevale la trasmissione. Occorre invece un coinvolgimento profondo della personalità sia di chi comunica sia di chi accoglie la comunicazione, sviluppare nel dialogo la creatività di ognuno, esercitando gli individui allo spirito critico per e tare l'omologazione. La ricerca educativa e i suoi metodi: La ricerca educativa non è monopolio di studiosi e ricercatori, ma appartiene a tutti coloro che sono coinvolti nel processo educativo, anche e soprattutto agli insegnanti e agli studenti. Allo stesso tempo la ricerca educativa è uno strumento fondamentale flessione sull'educazione, poiché consente il reperimento dei fatti sui quali costruire le teorie. Da questa valorizzazione scaturiscono la molteplicità e la complessità delle attività di ricerca nei contesti educativi, alle quali non corrisponde tuttavia un orientamento unitario interno. Data la difficoltà di avvalersi di indagini "da laboratorio" nella ricerca sui processi educativi, l'attenzione si è spostata sulle condizioni e sui risultati dell'apprendimento scolastico, anche nell'ambito di quella ricerca più affine alla tradizione della pedagogia sperimentale. Particolarmente diffuse sono anche le indagini sul problema cruciale della valutazione, sui campi specifici dell'apprendimento, sugli stili e sull'efficacia dell'insegnamento, sui curricoli intesi come sequenze di obiettivi. Infine sono sempre più presenti, nella ricerca educativa, le indagini sull'educazione permanente, sul rapporto tra educazione e servizi sociali, sulle tematiche educative della devianza e dell'associazionismo, sul rapporto tra educazione e lavoro e così via. La ricerca in ambito scolastico presuppone inoltre un duplice atteggiamento: quello dello studente, nell'interesse del quale la scuola dovrebbe promuovere l'apprendimento attraverso attività di ricerca, e quello dell'insegnante, che dovrebbe gestire l'attività didattica in uno spirito di ricerca e innovazione. Più che sul versante sperimentale, la ricerca educativa si orienta sull'uso di strumenti di tipo descrittivo e osservativo, tipici della ricerca nel campo delle scienze umane. Questi approcci escludono però dalle possibilità di indagine numerose componenti fondamentali del fatto educativo. Per questo la ricerca educativa si avvale anche di metodi differenti, come il metodo clinico che ricostruisce elementi essenziali dell'interazione educativa per sottoporli al controllo razionale, il metodo comparativo che confronta realtà educative differenti nello spazio, il metodo storico che indaga le variazioni nel tempo dei fenomeni educativi. Attualmente è possibile includere nell'ambito della ricerca educativa anche le analisi concettuali sui fondamenti epistemologici della pedagogia, sui concetti e sui valori collegati, sul linguaggio della riflessione e della pratica educative. Secondo l'approccio della ricerca-azione, infine, la ricerca può svilupparsi all'interno di situazioni vissute come problematiche dagli stessi ricercatori, sulla base di una strategia "esplorativa" che dovrebbe permettere, in seguito, di giungere a una comprensione più profonda e ad azioni più efficaci. Scuola mondiale e formazione adulti: Attraverso la dimensione comunitaria, la dimensione culturale e la dimensione curricolare che la caratterizzano, la scuola cerca di rispondere ai due mutamenti più significativi dell'educazione sociale nel XX secolo: l'estensione di massa della scolarizzazione e l'aumento progressivo delle richieste sociali di educazione programmata. A tal fine è necessario che la scuola si confronti con un insieme di scopi e di richieste che possono essere: istituzionalmente riconosciuti; non istituzionalizzati, ma socialmente percepiti, riconosciuti e legittimati; individuali, come quelli degli insegnanti e degli studenti. La valutazione dell'efficacia della formazione scolastica è un tema oggi molto dibattuto, anche sulla scia di indagini comparative effettuate a livello internazionale sul rendimento scolastico degli studenti. Il progetto PISA, ad esempio, monitora periodicamente i risultati degli studenti di circa cinquanta Stati aderenti all'OCSE. Oltre che per valutare l'efficacia della scuola nel raggiungimento dei suoi obiettivi, molte agenzie sociali si sono attivate anche per una revisione delle sue finalità e dei suoi metodi, ritenendo che solo così l'istituzione scolastica possa diventare un reale investimento futuro di coloro che la frequentano. Inoltre, al fine di renderla uno strumento di socio-economico, di recente è stato promosso l'ingresso in essa di una "cultura d'impresa", che attribuisce funzioni manageriali ai dirigenti scolastici e finalizza le attività formative all'inserimento degli educandi nel mercato del lavoro. Nonostante tutte le innovazioni promosse, attualmente sembra che la scuola non riesca a svolgere pienamente i compiti che le vengono attribuiti: in particolare, essa soffre di discontinuità interna (anche a causa della concorrenza esercitata nei suoi confronti dalle agenzie educative extrascolastiche) e tende a fornire conoscenze inadeguate e improduttive. L'obiettivo pedagogico del passaggio da una scuola "di élite" a una scuola "di tutti e di ciascuno", senza discriminazioni di genere, condizione sociale o reddito, si è tradotto nella creazione di una scuola di massa, in cui tutti avessero pari opportunità. Questa scolarizzazione di massa, tuttavia, non riesce a tenere fede ai propri propositi, né è in grado di mantenere alto il livello dell'offerta formativa contenendo allo stesso tempo i costi. Per rispondere alla crisi della scuola, negli anni Settanta del secolo scorso è stata avviata una politica di riforme concernenti, da un lato, la creazione di organi collegiali per estendere la partecipazione delle famiglie e della comunità alla gestione scolastica, e, dall'altro, l'introduzione di nuove tecniche di valutazione e di programmazione e la sperimentazione di discipline inedite, di metodi didattici alternativi, di indirizzi specialistici e di forme di organizzazione innovative, con il rischio di una "super scolarizzazione". Appare tuttavia necessario un processo di "riscolarizzazione", ovvero il recupero dell'originaria funzione culturale della scuola. È attualmente diffuso in tutto il mondo un consistente movimento per la comparazione dei sistemi e dei processi educativi dei diversi paesi, allo scopo di favorire un'educazione sempre efficace e correttamente rispondente ai bisogni sociali. A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso ciò ha condotto a numerose ricerche sistematiche e alla produzione di documenti e "rapporti" su cui orientare una politica di riforme. Sul piano europeo questo sforzo si è tradotto nel tentativo di realizzare un'Europa dell'educazione" capace di perseguire obiettivi comuni, come quelli fissati dal Consiglio di Lisbona nel 2000. Per queste ragioni anche la scuola italiana ha dato il via a un profondo processo di riforma a partire dal 2003. Secondo una definizione dell'UNESCO l'educazione permanente è «quell'insieme di strumenti messi a disposizione degli uomini senza distinzioni di età, di sesso, di posizione sociale e professionale, affinché essi non cessino, se ne hanno desiderio, di formarsi e di informarsi allo scopo di raggiungere il pieno sviluppo delle loro facoltà, e nello stesso tempo la più efficace partecipazione al progresso della società». Lo sviluppo dell'educazione permanente ha messo in una nuova luce il valore dell'educazione degli adulti: per questo viene auspicata da più parti l'elaborazione di un'andragogia adeguata, ossia di un opportuno insieme di principi pedagogici relativi appunto all'educazione degli adulti. Altrettanto importante è la diffusione di una vera e propria geragogia, intesa come "preparazione all'invecchiamento" e alla sua accettazione. Nel sistema formativo integrato il territorio rappresenta un luogo dell'azione educativa, un luogo di partecipazione all'azione educativa, un luogo dove si pongono problemi di vita che l'educazione deve affrontare, e, infine, un distretto socio-educativo e culturale al cui interno vengono collegati gli interventi delle diverse agenzie, cercando di creare reti territoriali di servizi educativi, con uno spazio particolare per i servizi sociali e socio-assistenziali. La competenza principale degli specialisti di questi servizi sul piano educativo è di favorire lo sviluppo equilibrato, il recupero e il reinserimento dei soggetti in difficoltà attraverso l'attività in centri di aggregazione, comunità, case-famiglia o il lavoro "di strada", talvolta facendo ricorso a una pedagogia curativa. Una parte considerevole dell'attività educativa del territorio nei confronti dei giovani è poi
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