Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Fascismo e Nazionalsocialismo in Italia e Germania: La Nascita dei Regimi Totalitari, Schemi e mappe concettuali di Storia

La nascita e consolidamento dei regimi totalitari di Mussolini in Italia e di Hitler in Germania, attraverso la crisi economica e politica dei loro rispettivi paesi. Il testo illustra come la instabilità politica e sociale, le elezioni, la violenza e la mancanza di alternative politiche contribuirono alla crescente influenza di questi leader. Vengono inoltre descritte le politiche interne e estere dei regimi, le loro ambizioni imperialistiche e la reazione della Società delle Nazioni.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2017/2018

Caricato il 07/05/2018

claudia-barletta
claudia-barletta 🇮🇹

2 documenti

1 / 10

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Fascismo e Nazionalsocialismo in Italia e Germania: La Nascita dei Regimi Totalitari e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! IL FASCISMO L'Italia fu, dopo la Germania, il paese europeo che la III internazionale ritenne più prossimo alla rivoluzione. Alle tensioni derivanti dalle irrisolte questioni territoriali, si aggiungevano i disagi sociali; infatti nel 1919-20 (biennio rosso) gli scioperi operai ebbero un poderoso aumento di intensità e durata, ottenendo importanti conquiste fra cui la giornata lavorativa di otto ore. Ad essi si aggiunsero anche alcune agitazioni non specificatamente operaie, e soprattutto un'esplosione di conflittualità nelle campagne. Gli scioperi agrari coinvolsero un numero di lavoratori più che sestuplicato dall'anteguerra e nelle aree bracciantili della Valle Padana procurarono alle leghe rosse il controllo del collocamento: i lavoratori venivano assunti tramite il sindacato, esercitando, così, una solida egemonia sociale. Lo stacco più netto dal passato fu costituito dal fatto che i mezzadri delle regioni centrali, con un'impetuosa ondata di lotte, imposero nuovi patti colonici e gli ex fanti-contadini nel Mezzogiorno si impadronirono di quanto era stato loro promesso nel 1918, occupando vaste estensioni di terre incolte. L'occupazione delle fabbriche fu in effetti una prova di forza decisiva, alla quale la dirigenza massimalista del PSI non seppe dare uno sbocco politico. Con l'abile mediazione del vecchio Giolitti, essa si concluse con un compromesso che soddisfece le richieste salariali dei metallurgici e introdusse il controllo sindacale sulle aziende, ma politicamente fu un secco insuccesso operaio e spianò la strada a una dura reazione. Apparve allora evidente che il socialismo italiano soffriva di una profonda rivoluzione tra i massimalisti (che avevano la maggioranza nel PSI e si proclamavano rivoluzionari) e i riformisti (che auspicavano ad una politica di collaborazione con le classi dirigenti, che controllavano la Confederazione generale del lavoro e le molte amministrazioni comunali “rosse” del centro-nord). Nel novembre 1919 si tennero le elezioni politiche, che si svolsero per la prima volta con il sistema proporzionale (introdotto da Nitti) e non con il sistema uninominale fino ad allora in vigore. Un quinto dei suffragi andò al Partito popolare, appena fondato da Don Luigi Sturzo che inaugurò un'autonoma presenza dei cattolici nella vita politica italiana. I Fasci di combattimento Nell'instabilità politica e sociale, era nato a Milano il movimento dei Fasci italiani di combattimento, fondato da Benito Mussolini, direttore dell'”Avanti”. Alla loro nascita, i fasci avevano riunito piccoli gruppi di futuristi, ex sindacalisti rivoluzionari e “arditi”, cioè membri delle truppe d'assalto della Grande Guerra. Il loro programma riprendeva alcuni punti della tradizione democratica e socialista, come la richiesta di un'assemblea costituente e la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. La partecipazione alle elezioni del 1919 si risolse, però, in un fiasco totale: Mussolini non riuscì a conquistare neanche un seggio in Parlamento. Così, il movimento fascista rivide le proprie posizioni e si schierò apertamente contro i sindacati. A partire dal 1920 il fascismo si trasformò così, nel braccio armato del capitalismo più reazionario. Il fascismo si organizzò il squadre paramilitari, che compivano delle spedizioni punitive, soprattutto in Emilia e in Toscana, ai danni dei scioperanti e sindacalisti. I metodi violenti e antidemocratici dei fascisti (pestaggi, spedizioni punitive, saccheggi) trovarono ampio consenso anche nelle forze armate e nella piccola e media borghesia, spaventata dal disordine sociale. Mentre i Fasci di combattimento facevano sempre più proseliti, il Partito socialista si indeboliva a causa delle spaccature interne. Al XVII congresso del PSI tenutosi a Livorno nel gennaio 1921, l'estrema sinistra uscì dal partito per costruire sotto la guida di Amedeo Bordiga il Partito comunista d'Italia, cui aderì anche il gruppo torinese del giornale l'”Ordine nuovo”, composto da giovani intellettuali di grande valore come Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti e Umberto Terracini. Come in altri paesi, il Partito comunista rimase, però, minoritario. A sancire il fallimento del PSI contribuirono altre due scissioni: nel 1922 vennero espulsi i riformisti che avevano come leader Turati e nel 1923 un gruppo favorevole al Comintern, diretto da Serrati, che l'anno dopo si unì ai comunisti. La marcia su Roma Un banco di prova per verificare i nuovi equilibri politici furono le elezioni del maggio 1921 dove i fascisti vennero inseriti nei blocchi nazionali e Mussolini ottenne 35 seggi. Nel novembre 1921 il movimento dei Fasci si costituì in Partito nazionale fascista, il quale si proponeva come obiettivi la difesa dello Stato dall'anarchia sovversiva, la tutela della tradizione e della famiglia, l'esaltazione nazionalistica e patriottica, il superamento dei conflitti sociali nell'interesse comune del Paese. La confusione che regnava nel quadro politico italiano aiutò Mussolini. Giolitti, privo di una solida maggioranza parlamentare, dovette lasciare l'incarico e i suoi successori (Bonomi e poi Facta) si dimostrarono incapaci di affrontare la violenza fascista, ormai divenuta incontrollabile. Così, i dirigenti del Partito fascista organizzarono un'azione paramilitare: la marcia su Roma delle milizie fasciste. Mussolini, che gestiva l'operazione senza compromettersi direttamente, attese a Milano gli esiti dell'azione. Il 28 ottobre 1922 colonne di “camicie nere” fasciste affluirono a Roma da tutta Italia, senza incontrare alcuna resistenza. Invano Facta tentò di convincere il re a firmare il decreto per lo stato d'assedio, che avrebbe consentito di fermare le squadre fasciste: al contrario, Vittorio Emanuele III convocò Mussolini a Roma, incaricandolo di creare e guidare un nuovo governo. La marcia su Roma era stata, quindi, un successo. La Camera dei deputati, mortificata da Mussolini, concesse subito i pieni poteri al governo, del quale fecero parte anche ministri nazionalisti, liberali e popolari. Pochi anni dopo, la confluenza dei nazionalisti nelle sue file e il ritiro di Sturzo (imposto dalla Santa Sede) dalla segreteria del partito popolare, mostrarono che le classi dominanti stavano ricompattandosi nel fascismo. Aspetti di modernità caratterizzarono l'esperienza fascista. Uno di essi fu costituito da un ampio ricorso ai mezzi di comunicazione di massa come la radio e i giornali e si aprì la Mostra internazionale di Venezia e fu inaugurata Cinecittà. Altri elementi di modernità sono stati individuati nell'adozione di politiche sociali e assistenziali all'apparenza non molto diverse da quelle diffuse in altri paesi capitalistici retti da ordinamenti democratici e nel ricorso all'intervento statale per contrastare gli effetti della crisi del 1929. Quanto alle politiche sociali, nel campo delle assicurazioni del lavoratori, si affermò un sistema che destinò le pensioni e i regimi previdenziali contro infortuni, malattie e disoccupazione, anzitutto all'industria, penalizzando specialmente l'agricoltura e il lavoro femminile. Il sistema previdenziale unificato nell'Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale (INFPS) e nell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), fu riordinato ma conservò immutati i suoi caratteri di fondo. Negli anni trenta, inoltre, la politica sociale del regime fu sempre più orientata a sostenere l'incremento demografico, in sintonia con l'immagine di nazione giovane e fertile voluta da Mussolini e con le sue ambizioni di potenza. L'Opera nazionale maternità e infanzia fornì assistenza alle madri e favorì la professionalizzazione femminile nella pediatria e nell'ostetricia. Di fronte alla crescita urbana, il fascismo si impegnò in una politica urbanistica volta a costruire un'immagine di città a misura delle classi medie e delle pretese imperiali e monumentali del regime. LA POLITICA ESTERA La politica estera del fascismo fu caratterizzata da significativi elementi di continuità. Fin dalle origini, il mito della “vittoria mutilata”, e il risentimento nazionalista per i risultati della pace del 1919, alimentarono velleità revisioniste nei confronti degli assetti di Versailles, che si tradussero in gesti di rottura come l'occupazione dell'isola greca di Corfù. Per tutti gli anni venti, tuttavia, la politica estera del fascismo fu volta in primo luogo ad accreditare all'Italia un ruolo di mediazione tra le potenze e di mantenimento degli equilibri europei. Stabilizzatori il regime e recuperato il controllo della Libia, in gran parte perduto durante la guerra, le ambizioni espansionistiche del fascismo dispiegarono negli anni trenta. Le ambizioni di Mussolini furono peraltro condizionate dalla debolezza dell'Italia, che lo indusse ad appoggiarsi alle grandi potenze. Nel luglio 1933 l'Italia firmò con Francia, Gran Bretagna e Germania un patto che espresse la volontà di inserire in nuovo regime hitleriano nel concerto europeo, ma l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni e l'avvio del riarmo tedesco, tolsero spazio alla funzione mediatrice italiana. La minaccia tedesca all'indipendenza dell'Austria costituì, anzi, un forte motivo di attrito tra Italia e Germania: nel 1934 Mussolini manifestò la sua volontà di tutelare l'Austria. L'Italia fascista si stava preparando all'attacco all'Etiopia, che iniziò nell'ottobre 1935. La Società delle Nazioni adottò nei confronti dell'Italia sanzioni economiche, bloccando i rifornimenti esteri all'industria bellica. L'efficacia di tali misure fu però, molto parziale e in compenso il fascismo fece un abile uso propagandistico della polemica contro le “inique sanzioni”. La proclamazione dell'impero da parte di Mussolini segnò così, il momento di massimo consenso degli italiani al regime. La guerra di Etiopia rovesciò gli equilibri europei. L'Italia ottenne infatti la solidarietà della Germania e nell'ottobre 1936 la nascita dell'asse Roma-Berlino consacrò l'intesa tra i due dittatori. La guerra civile spagnola fu il primo banco di prova di questa alleanza. Germania e Italia appoggiarono la sedizione del generale Francisco Franco contro il governo repubblicano e Mussolini inviò in Spagna un corpo di spedizione. I passi successivi, furono la firma del patto antisovietico con Germania e Giappone, l'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni e l'annessione dell'Italia al Terzo Reich. IL NAZISMO L'AVVENTO DI HITLER Alla crisi della repubblica di Weimar dette un contributo decisivo la crisi del 1929, le cui conseguenze furono particolarmente gravi in Germania. L'ultimo governo di coalizione tra SPD, Centro cattolico e Partito democratico, fu succeduto da un governo diretto da Bruning, che segnò un passaggio importante nella transizione al nazismo. Perseguì, infatti, una politica economica deflazionistica di contentimento del debito pubblico e dell'inflazione, non riuscendo ad attenuare gli effetti laceranti della crisi sui ceti più poveri e meno protetti. Alle elezioni del 1928, il partito nazionalsocialista ottenne il 2% dei voti, ma nel 1930 divenne il secondo partito tedesco, dopo la SPD. La conquista dell'egemonia fu perseguita dalla NSDAP sfruttando quattro risorse decisive: una tattica legalitaria, un'efficiente organizzazione paramilitare, un'abile propaganda e un leader carismatico, Hitler. La tattica legalitaria si accompagnò comunque a una violenza diffusa e sistematica. Alle strutture di partito si affiancavano organismi di massa e soprattutto formazioni paramilitari come le SA (protagoniste della violenza) e le SS (guardie del corpo di Hitler). Hitler interpretò infine nel modo più efficace il ruolo di leader e illustrò l'ideologia nazista nel Mein Kampf, dove descrisse il progetto di stato razziale che era il cuore del suo programma. Per sopravvivere il Volk germanico (popolo, nazione), aveva bisogno di uno spazio vitale in cui abitare preservando la sua purezza dalla contaminazione di altre razze che lo avrebbero indebolito e condannato all'estinzione. Controparte negativa del dominio razziale degli ariani era la figura dell'ebreo, popolo senza spazio, definito parassita ed eterna sanguisuga. Alle nuove elezioni i nazisti divennero primo partito ma il sistema politico restò in una situazione di stallo. IL TERZO REICH La rapidità con cui i nazisti crearono un regime fu sorprendente: la dittatura fondata sul partito unico venne infatti costruita in soli sei mesi. Il 1 febbraio 1933 fu sciolto il Parlamento. Il 27 febbraio venne incendiato il Reichstag, la sede del Parlamento: attribuito ai comunisti, quell'attentato fu il pretesto per un ulteriore giro di vite. I principali esponenti del partito comunista vennero arrestati e Hindenburg firmò un nuovo decreto che soppresse a tempo indeterminato i diritti costituzionali di libertà, consentì la violazione del segreto epistolare e il controllo dei telefono, e autorizzò il governo centrale a intervenire nei confronti di quelli regionali. Nonostante ciò, alle elezioni del marzo 1933, la NSDAP ottenne un risultato analogo a quello delle opposizioni socialdemocratica, comunista e cattolica. Hitler fu così costretto a formare un altro governo di coalizione con il partito nazionalpopolare e il 21 marzo, il capo delle SS Himmler aprì a Dachau un campo di concentramento per
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved