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Le Teorie delle Comunicazioni di Massa & La Sfida Digitale (Riassunto Completo), Sintesi del corso di Teoria E Tecnica Delle Comunicazioni Di Massa

La società di massa può essere definita come società in cui le istituzioni relative ai diversi sottosistemi sociali sono organizzate in modo tale da trattare con vasti insiemi di persone considerate come unità indifferenziate di un atteggiamento o massa. Dunque, oltre che a vasti insiemi di persone, siamo in presenza di individui che non appartengono più integralmente a un certo segmento o status sociale, ma dispongono dell’accesso ai diversi sistemi differenziati, anche se solo per funzioni specifiche. Tale differenziazione sociale è propria delle società moderne, società nate con le profonde trasformazioni in campo economico, sociale e culturale avviata alla fine del XIX secolo. I fenomeni che segnano tale periodo e che necessitano di un’attenta riflessione sono quelli noti dell’industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione: non è un caso che proprio in quegli anni nasce la sociologia.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Le Teorie delle Comunicazioni di Massa & La Sfida Digitale (Riassunto Completo) e più Sintesi del corso in PDF di Teoria E Tecnica Delle Comunicazioni Di Massa solo su Docsity! Le Teorie delle Comunicazioni di Massa & La Sfida Digitale (Riassunto Completo) Cap. 1 Società & Comunicazione di Massa 1.1. Società e comunicazione di massa La società di massa può essere definita come società in cui le istituzioni relative ai diversi sottosistemi sociali sono organizzate in modo tale da trattare con vasti insiemi di persone considerate come unità indifferenziate di un atteggiamento o massa. Dunque, oltre che a vasti insiemi di persone, siamo in presenza di individui che non appartengono più integralmente a un certo segmento o status sociale, ma dispongono dell’accesso ai diversi sistemi differenziati, anche se solo per funzioni specifiche. Tale differenziazione sociale è propria delle società moderne, società nate con le profonde trasformazioni in campo economico, sociale e culturale avviata alla fine del XIX secolo. I fenomeni che segnano tale periodo e che necessitano di un’attenta riflessione sono quelli noti dell’industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione: non è un caso che proprio in quegli anni nasce la sociologia. Tra i primi a interrogarsi Claude-Henri Saint Simon, che elabora il concetto di società organica, ossia una società equiparata a un organismo all’interno del quale tutti i soggetti non sono che parti. Perché possa affermarsi questo modello, è necessario che la riorganizzazione della società avvenga su basi scientifiche e sul lavoro industriale. La “fisiologia sociale” di Saint-Simon considera la differenziazione delle parti all’interno dell’organismo sociale come qualcosa di inevitabile, che può essere controllato e organizzato su basi scientifiche, la differenziazione di cui si parla è quella introdotta dall’industrializzazione. Sarà proprio l’accentuazione della differenziazione tra le parti a costituire la base per l’elaborazione di una teoria della società di massa. Si tenga presente il filo rosso che unisce Saint-Simon ad August Comte, che nel suo Corso di filosofia positiva propone una concezione organica della società: all’interno di questo organismo è possibile individuare una molteplicità di parti che operano in modo coordinato, ciò implica il presupposto di una divisione dei compiti tra i vari soggetti nell’obiettivo di mantenere un’armonia complessiva. Comporta in altri termini l’introduzione del concetto di specializzazione che tuttavia implica il rischio di un eccesso di specializzazione, tale da indebolire lo spirito d’insieme. Può capitare di assistere quindi a una scomposizione della società stessa in una moltitudine di corporazioni incoerenti, che sembrano quasi o per niente appartenere alla stessa specie. La specializzazione rischia di produrre distanza e incomunicabilità tra individui, dando vita a inattese forme di disorganizzazione. L’incomunicabilità e la distanza tra individui intesi come frutto dell’eccesso di specializzazione rappresentano uno dei punti di partenza fondamentali del dibattito sulle comunicazioni di massa. Sulla questione della profonda trasformazione della sfera relazionale dei soggetti, ulteriori elementi di conferma vengono forniti da Ferdinand Tönnies nel suo lavoro Comunità e società: la comunità si riferisce a un modo di sentire comune, che fa sì che gli uomini si sentano parte di un tutto, che partecipino della realtà nella quale vivono immedesimandosi completamente con essa; la società è invece impersonale e anonima, basata sulla forma di relazione sociale tipica del contratto tra individui in vista di un tornaconto personale. Lo studioso prevede dunque che nella società industriale scompariranno gli insiemi dei sentimenti comuni e reciproci in virtù dei quali gli individui rimangono uniti, gli individui continuano quindi ad essere descritti come sempre più soli e immersi in relazioni sociali sempre meno condivise fino ad arrivare, in casi estremi, a dar vita a ciò che Durkheim ha chiamato anomia (assenza di norme). Egli ricostruisce il complesso delle relazioni che si stabiliscono all’interno di una società: la solidarietà meccanica deriva dalle somiglianze tra gli individui, si accompagna a una divisione del lavoro elementare e si caratterizza per dare vita a un essere collettivo; la solidarietà organica tra invece origine dalla eterogeneità tra gli individui, si traduce in una divisione del lavoro molto sviluppata e viva a seguito dell’introduzione di numerose relazioni formali e frammentate. L’eterogeneità tra individui e la marcata divisione del lavoro possono, in casi estremi, dare vita a una situazione caratterizzata da anomia, rintracciabile laddove la società non si configura più come in grado di regolare e porre limiti all’agire degli individui. In breve, ciò che viene meno è la capacità di sentirsi parte di una comunità e stabilire relazioni significative con gli altri membri. Ne discende che gli individui: • Vivono in una condizione di isolamento; rapporto tra individui e mezzi di comunicazione di massa determinato interamente da questi ultimi. La preoccupazione relativa agli effetti manipolatori dei mezzi di comunicazione sugli individui, pur non poggiando su dati empirici di sostegno, era fortemente diffusa tra gli studiosi. I postulati sui quali si fonda la teoria ipodermica sono i seguenti: • Il pubblico è una massa indifferenziata, con individui che sono in una condizione di isolamento fisico, sociale e culturale; • I messaggi veicolati dai media sono potenti fattori di persuasione; • Gli individui sono indifesi di fronte al potere dei mezzi di comunicazione di massa; • I messaggi veicolati sono ricevuti da tutti i membri allo stesso modo. Il punto di partenza dal quale muovere per studiare il rapporto tra mezzi di comunicazione di massa e individui si caratterizza per la collocazione di questi ultimi in una sorta di vuoto sociale. Gli individui appaiono completamente soli, privi di reti di protezioni, esposti senza scampo agli stimoli dei media. In questo modello però c’è una semplificazione estrema del rapporto comunicativo, ridotto a un mero “Automatismo”: non è presente alcuna traccia di una qualche forma di potere ascrivibile ai destinatari. Da questo modello prendono le mosse due ingegneri – Shannon e Weaver – che elaborano la teoria matematica della comunicazione: obiettivo quello di definire una teoria sulla trasmissione ottimale dei messaggi. Le possibili “fonti di rumore”, in grado di produrre una dispersione di informazioni, rappresentavano lo specifico oggetto di studio. In entrambi i modelli dunque si ha un punto comune: un emittente costruisce e veicola un messaggio che deve arrivare al destinatario, consentendo l’attivazione di una “risposta”. Eco sottolinea come sia possibile sempre ritracciare una fonte o sorgente dell’informazione, dalla quale, attraverso un apparato trasmittente, viene emesso un segnale; questo segnale viaggia attraverso un canale lungo il quale può venire disturbato da un rumore. Uscito dal canale, il segnale viene raccolto da un ricevente che lo converte in un messaggio. Come tale, il messaggio viene compreso dal destinatario. Questo schema può essere applicato a una comunicazione tra macchine, tra esseri umani o tra esseri umani e macchine. Estraneo al processo rimane il momento dell’attribuzione di significato al messaggio da parte del ricevente. 1.4. Il Modello di Lasswell Il modello comunicativo elaborato da Lasswell costituisce il primo tentativo di sistematizzare i dati di ricerca e le riflessioni teoriche raccolte e sviluppate nella fase iniziale dalla communication research. Wolf sottolinea come tale modello superi la teoria ipodermica, evidenziando le innovazioni introdotte; tuttavia, non si tratta di un superamento, ma di un perfezionamento: gli elementi sottolineano come tale teoria ribadisca un assunto fondamentale della teoria ipodermica, ovvero che l’iniziativa della comunicazione è un’esclusiva del comunicatore e che gli effetti sono da riferirsi esclusivamente al pubblico. Prestare attenzione a chi attiva il processo comunicativo significa collocarsi nell’area di studio dell’emittenza; l’operazione di separare la figura dell’emittente da quella del destinatario appare oggi difficilmente difendibile e tale da ignorare l’ingresso di nuove figure come quella del prosumer, un soggetto che veste alternativamente i panni tanto del produttore quanto del consumatore: ai tempi dei social media e di una comunicazione che diventa sempre più orizzontale, dinamica e frutto di numerosi soggetti, una rigida divisione dei ruoli appare inopportuna oltre che inadatta a descrivere i processi comunicativi in corso. Secondo elemento del modello è il cosa viene comunicato: questo implica un’automatica collocazione nell’area di studio del messaggio: il filone della content analysis trova in Lasswell il suo padre fondatore. Per far ciò, Lasswell prende in esame una specifica situazione (discorso del 1° maggio in Unione Sovietica): la staticità del contenuto del messaggio analizzato dagli studiosi rischia di trasformarsi in un limite conoscitivo di notevole impatto. Le pratiche del mush up (inclusione di contenuti e informazioni diversi) possono modificare infatti il messaggio in misura significativa fino al punto di stravolgerlo e rendere decisamente difficile la sua analisi. Prestare attenzione a chi è il destinatario del messaggio implica l’assunzione di un focus d’attenzione centrato sul pubblico dei media; prestare attenzione a quali effetti vengano attivati nei destinatari significa entrare di forza nel campo di studio che più di altri ha attraversato l’intera storia della mass communication research, quello degli effetti. La tripartizione del campo di studio (emittenza, messaggio, ricezione) ha a lungo costituito un punto di riferimento nella communication research, quantomeno dal punto di vista dell’organizzazione della ricerca. Un’efficace sintesi delle critiche mosse ai presupposti teorici del modello è stata elaborata da Wolf, che ha sottolineato: • L’asimmetria della relazione che lega l’emittente al destinatario; • L’indipendenza dei ruoli; • L’intenzionalità della comunicazione. Lo stesso ideatore del modello cerca di correggere il tiro, ma le integrazioni proposte non sono state sufficienti ad aggirare le critiche mosse riguardo alla staticità delle categorie. Inoltre, le trasformazioni avvenute durante il tempo rendono pressoché impossibile continuare ad assumere a riferimento il modello di Lasswell; ciò nonostante, tale modello deve essere considerato come un framework interpretativo che ha guidato una lunga fase della ricerca e che, oggi, può essere assunto a riferimento per realizzare una sorta di benchmark sulle trasformazioni avvenute nel corso del tempo. 1.5. I “Payne Fund Studies" Considerati una pietra miliare nell’ambito della communication research, i Payne Fund Studies rappresentano la risposta empirica al clima di allarme sociale diffuso negli Stati Uniti negli anni Trenta a seguito del grande successo del cinema: in quegli anni la platea cinematografica era amplissima (40 milioni di biglietti venduti ogni settimana nel 1922, mentre nel 1929, 40 milioni sono i minori presenti agli spettacoli); le storie di Hollywood, però, non sempre raccontavano storie edificanti. La preoccupazione per le giovani generazioni esposte a tali messaggi portò alla nascita dei Payne Fund Studies, che finanziarono ben tredici ricerche relative al contenuto dei film e agli effetti esercitati sulle giovani generazioni nell’arco temporale dal 1929 al 1932. Le ricerche hanno individuato dieci generi maggiormente presenti nel cinema: crimine, sesso, amore, mistero, guerra, infanzia, storia, avventura, commedia e questioni sociali; il 75% dei film cade nei generi di sesso, amore e crimine e inoltre spesso venivano ritratti individui che consumavano tabacco e alcol (erano gli anni del proibizionismo). Si trattava di risultati che confermavano la pericolosità di un’offerta che si poneva talvolta in aperto contrasto con i valori e i comportamenti delle generazioni adulte e integrate. sospinte dai nuovi media che cominciano a mutare l’esperienza audiovisiva del pubblico di massa e che hanno la capacità di adattarsi per soddisfare le esigenze e i desideri dei singoli. L’offerta mediale si pluralizza e diversifica attorno alla moltiplicazione di canali televisivi; la personalizzazione si muove intorno alla diffusione di tecnologie come il walkman e il videoregistratore. La moltiplicazione delle possibilità di scelta e la pluralizzazione delle esperienze mediali cominciano a produrre un declino dell’idea di pubblico di massa: l’idea di un pubblico omogeneo a cui inviare contemporaneamente uno stesso messaggio non costituisce più il riferimento né per le strutture editoriali né per chi studia le comunicazioni di massa. Questa direzione, però, assumerà pieno compimento solo nel momento in cui sarà possibile una reale alternativa all’unidirezionalità della comunicazione, aprendo a prospettive interattive dei pubblici. Il senso dello schermo per i pubblici evolve così da una prospettiva “catodica” a una realtà in cui informazione, comunicazione e intrattenimento possono passare da schermi sempre più portatili e personali. Tale trasformazione non avviene nel vuoto sociale e non è determinata tecnologicamente, ma è supportata da un mutamento che precede lo sviluppo dei media digitali e che riconfigura la morfologia sociale in una società definita da Castells network society: rintraccia le radici della trasformazione tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta a partire da tre fattori indipendenti i cui effetti si intrinsecano: • L’affermarsi di un nuovo paradigma tecnologico che ha al suo centro le tecnologie dell’informazione; • La messa in crisi dei modelli socio-economici capitalisti e statalisti e una loro ristrutturazione; • L’affermarsi di alcuni movimenti culturali portatori di valori sociali come la difesa dei diritti umani, l’ambientalismo e il femminismo. Le caratteristiche che costituiscono il cuore del paradigma della tecnologia dell’informazione e che rappresentano il fondamento essenziale della nuova società sono cinque: • La centralità dell’informazione; • La diffusione pervasiva degli effetti delle tecnologie che agiscono in profondità; • Lo sviluppo di una logica di rete (network logic) di ogni sistema o insieme relazionale che usa le tecnologie informazionali; • La flessibilità del paradigma informazionale; • La convergenza delle tecnologie in un unico sistema integrato. L’informazione diventa la pietra angolare sulla quale è costruita l’evoluzione tecnologica: siamo di fronte ad un rovesciamento di senso rispetto alle evoluzioni tecnologiche precedenti che vedevano l’informazione agire sulle tecnologie e non il contrario. La network society trasforma l’esperienza spaziale e temporale, producendo cambiamenti nella nostra esperienza del mondo, fattore che si interseca, a metà degli anni Novanta, con la fusione di un nuovo sistema di comunicazione elettronico fra i mass media, globalizzati e personalizzati, e la comunicazione mediata dai computer. Questo secondo Castells dà vita a uno specifico modello socio-culturale che modifica le caratteristiche identificative dei pubblici di massa e che oggi ci paiono ancora capaci, seppur con qualche revisione, di rappresentare il contesto mutato dei pubblici dei media: • Una differenziazione culturale e sociale diffusa; • Una stratificazione sociale degli utenti che oggi è prodotta da un divario conoscitivo e da diseguaglianze non solo sulle competenze, l’accesso e l’uso, ma relative anche alle ricadute tra inclusi ed esclusi da meccanismi di partecipazione attraverso i media; • L’integrazione dei messaggi in uno schema cognitivo comune; • L’assorbimento all’interno del sistema dei media digitalizzato di tutte le espressioni culturali e delle loro distinzioni. Di fronte ad un approccio di così ampio respiro, sono state formulate diverse critiche; nonostante ciò, questo lavoro seminale costruisce un quadro di riferimento imprescindibile per comprendere come sia evoluta la società di massa e come il pubblico si sia trasformato in un soggetto collettivo di riferimento all’interno di un contesto in cui la network logic e l’infrastruttura di rete pervadono la dimensione sociale e quella mediale. 2.3. “Connective Society”: la diffusione di una cultura della connessione Un secondo approccio è quello che definiamo come connective society e che si interroga circa il nesso fra dimensione sociale e media prodotto nel momento in cui la propensione all’essere online networked tende a diventare una condizione diffusa e a essere vissuta come uno stato di normalità e non come un’eccezione. L’interrogativo al quale si tenta di dare una risposta riguarda quale cultura della connessione si stia strutturando nella continuità tra online e offline, sviluppatasi in particolare con una penetrazione dei social media nella vita delle persone e come supporto a molte pratiche di comunicazione. Raine e Wellman esplorano la natura della società in rete mettendo in relazione lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione con quella delle reti sociali e delle persone. La pietra angolare di questo studio è il concetto di networked individualism, che mette in luce come si sia passati dalla connettività tra i luoghi a quella tra le persone. Alla base di questo nuovo sistema operativo sociale vi è una triplice trasformazione: • La Social Network Revolution; • L’Internet Revolution; • La Mobile Revolution. Essere connessi diventa una condizione stabile e permanente e la forza dei legami sociali dipende interamente dalla forma della sua momentanea possibilità di realizzarsi e dall’investimento emotivo che viene riversato in questa esperienza. Castells definisce come mass self-communication la forma di comunicazione basata su internet e su altre reti digitali di comunicazione orizzontale e che si caratterizza nei seguenti termini: • Resta di massa; • E’ multimodale; • E’ autogenerata. Si tratta di un cambiamento sia qualitativo che quantitativo → gli individui percepiscono di non essere più semplice “oggetto” di una forma di comunicazione di massa prodotta attraverso i media dall’intrattenimento, dalla tendente alla standardizzazione in un’ottica di macroprocesso. Le affordances agevolano inoltre pratiche di appropriazione e remix pubblico dei contenuti: se da una parte si assiste a una forma di empowerment degli utenti, dall’altra dobbiamo considerare che gli utenti dei social media sono essi stessi un prodotto della direzione data dall’algoritmo, spinti verso contenuti particolari e venduti agli inserzionisti. Le piattaforme incoraggiano gli utenti all’uso di una logica neolibersita nella gestione dei rapporti di rete, perché le proprie risorse personali ed espressive vengono concepite e utilizzate come un insieme di beni che devono essere continuamente investiti, nutriti, gestiti e sviluppati. È proprio la struttura di piatteforme come i social media a sostenre questo approccio visto che: • Consente di presentare il proprio sé come una collezione di gusti, coerentemente con la riduzione del cittadino a consumatore propria della logica neoliberista; • Offre una rete di contatti con cui tessere alleanze finalizzate a ottenere vantaggi relazionali e simbolici in termini divisibilità, popolarità e autopromozione; • Offre un’informazione ampia ma mai completa, mai scevra da ambiguità, zone di ambivalenza, possibilità di fraintendimento. Gli effetti delle piatteforme sugli individui non riguardano solo un modo tecnico di relazionarsi online, ma costituiscono una condizione pervasiva che converge con le istituzioni offline e le pratiche attraverso quali sono organizzate le società tradizionali, producendo una realtà che Van Djick definisce platform society, un termine che enfatizza l’inestricabile relazione tra le piatteforme online e le strutture sociali. Le piatteforme producono le strutture sociali nelle quali viviamo. In quanto nuovo spazio pubblico, le piattaforme hanno permesso di sviluppare pratiche di visibilità delle istanze dal basso che hanno la capacità di influenzare le dinamiche della politica e i mass media, che riprendono certi temi e istanze dei pubblici online resi evidenti da affordances come gli hashtag e pratiche come l’hashtag activism, che hanno introdotto nuove modalità di espressione da parte dell’opinione pubblica. L’agire connesso delle persone, a partire dalle loro azioni individuali online, si struttura con una cultura della partecipazione che le piattaforme stesse promuovono e che ha prodotto l’intrusione dell’intrattenimento nella dimensione più propriamente politica. La Platform society è caratterizzata quindi dal confronto e dal conflitto fra diversi sistemi valoriali, da diversi modi di intendere il bene comune e una nozione in costante contestazione tra interesse pubblico e privato. Cap. 3 Dalla manipolazione alla comunicazione persuasoria 3.1. La Scoperta delle Variabili Intervenienti Nel 1948 Berelson arriva a sostenere che certi tipi di comunicazione su certi temi sottoposti all’attenzione di certi tipi di persone in certe condizioni hanno certi effetti: si apre da questo momento la strada a un’interpretazione alternativa a quella fino ad allora prevalente. Molti degli assunti di Lasswell vennero mantenuti senza essere messi in discussione; tra questi vi era l’intenzionalità della comunicazione da parte dell’emittente: in altri termini, volontà di perseguire un obiettivo. In virtù di tale assunto, oggetto di studio privilegiato divennero le “campagne” volte a conseguire specifici obiettivi. L’attenzione si focalizzò su un unico tipo di effetto, quello relativo al cambiamento di opinioni e atteggiamenti nel periodo immediatamente successivo all’esposizione del messaggio. La chiave di lettura per identificare le coordinate all’interno delle quali si colloca la ricerca amministrativa e tutta la ricerca sperimentale che forniva dati utili ad aumentare l’efficacia dei messaggi o comunque a rivelarne gli ostacoli: il punto di vista presupposto era cioè quello degli effetti voluti o progettati dall’emittente. I Lang hanno sottolineato come un approccio simile neghi qualsiasi possibilità di considerare l’effetto totale della comunicazione, ossia il frutto di una comunicazione che non si esaurisce nei tempi di una campagna elettorale ma che, al contrario, si estende proprio tra una campagna e l’altra. L’elevato numero di ricerche consente di cogliere i segnali di una crescente e diffusa consapevolezza circa la necessità di introdurre fattori di mediazione tra i messaggi mediali e i membri dell’audience → la difficoltà stava nel trovare dati empirici univoci in merito alla presenza di effetti a breve termine sul pubblico. Usando il termine “variabili intervenienti”, Katz e Lazarsfeld ampliano l’ambito applicativo del concetto e dichiarano che esse contribuiscono, in certe condizioni, a facilitare il flusso delle comunicazioni tra i media e masse e, in altre condizioni, a bloccare il flusso delle comunicazioni. In questo senso, le definiamo intervenienti. Appare chiaro come la consapevolezza del complesso rapporto tra mass media e individui inizia a farsi lentamente strada tre ricercatori. Una prima occasione viene offerta dal lavoro di Cantril, volto ad analizzare le reazioni di panico derivanti dall’ascolto del radiodramma La guerra dei mondi: in tale occasione emerse la rilevanza delle differenze individuali nell’attivazione di reazioni di panico, alla base dell’elaborazione del concetto di abilità critica, cioè quella capacità di valutare le situazioni e reagire adesso in modo appropriato. Nel far ciò, lo studioso prende una certa distanza dall’approccio secondo cui i messaggi veicolati dai media sono ricevuti tutti nello stesso modo. Seguendo la stradi indicata da Klapper, i fattori di mediazione possono essere individuati in relazione al pubblico e al messaggio: si fa riferimento a quell’insieme di variabili che favoriscono o ostacolano l’esposizione a determinati messaggi. I fattori di mediazione rispetto al messaggio fanno riferimento al contenuto e alle modalità di presentazione di quest’ultimo. Le acquisizioni conoscitive derivanti da una lettura che pone il destinatario dei messaggi mediali nella condizione di sottrarsi alla comunicazione, insieme alla rilevanza assegnata all’influenza personale nelle comunicazioni di massa, costituiscono le basi per l’elaborazione del cosiddetto paradigma degli effetti limitati dei media, quell’orizzonte teorico e di ricerca basato sul ridimensionamento degli effetti dei media. 3.2. Reazioni di panico per molti, ma non per tutti: il caso de “La Guerra dei Mondi” Dopo la trasmissione del radiodramma di Welles La guerra dei mondi a New York si scatenò il panico, in quanto i radioascoltatori credettero che si trattasse di una vicenda vera. Cantril individuò i fattori che, a suo avviso, avevano reso il programma più veritiero di altri: • Il tono realistico; • L’affidabilità della radio; • L’uso di esperti; • L’uso di località realmente esistenti; • La sintonizzazione dall’inizio del programma o a programma già cominciato. Poi costruì quattro categorie di radioascoltatori: La ricerca empirica, poi, fece emergere il ruolo esercitato dall’influenza personale. Sempre partendo dallo studio della campagna presidenziale del 1940, Lazarsfeld e gruppo dichiararono che in qualsiasi momento della campagna fosse stato chiesto agli intervistati di ricostruire la loro esposizione ai vari tipo di comunicazione, le discussioni politiche erano state citate più spesso della radio o della stampa. La maggiore efficacia dei contatti personali vs la comunicazione mediale deriva da alcune caratteristiche dei contatti face to face, ossia la casualità e non intenzionalità della comunicazione, la flessibilità dello stesso messaggio, la gratificazione personale dei soggetti coinvolti e l’attribuzione di prestigio e autorevolezza ad alcuni soggetti. I ricercatori sostengono che l’influenza personale è più pervasiva e meno autoselettiva di quanto lo siano i media; i contatti personali si caratterizzano poi per l’elemento della flessibilità e offrono una ricompensa immediata a seguito della condivisione di un’opinione e, nel caso ciò non accada, possono dare vita a forme di emarginazione. Infine, nelle interazioni personali gioca un ruolo rilevante l’elemento della fiducia e del prestigio. Questo condusse i ricercatori a individuare alcuni soggetti dotati di influenza, che per la prima volta furono denominati leader d’opinione. Individuata la rilevanza dell’influenza personale, era necessario indagare il rapporto intrattenuto dai leader d’opinione con i mezzi di comunicazione di massa. Per interpretare i dati raccolti e dare conto del diverso rapporto con i media, Lazarsfeld, Berelson e Gaudet elaborarono il famoso modello del flusso a due fasi della comunicazione: le idee sembrano spesso passare dalla radio e dalla stampa ai leader d’opinione e da questi ai settori meno attivi della popolazione: i leader sono più esposti ai mass media. Dunque, un diverso consumo mediale si pone come il primo elemento di differenziazione tra leader d’opinione e soggetti influenzati. Katz e Lazarsfeld, partendo dalla definizione di leader molecolare introdussero una differenziazione tra i tipi di leadership: • Leadership orizzontale d’opinione: influenza che si esercita tra simili e che può essere intercambiabile; • Leadership verticale d’opinione: influenza esercitata da soggetti collocati a un livello superiore nella scala sociale. Merton introduce un’ulteriore differenziazione: • Leader d’opinione locale: soggetto che ha sempre vissuto all’interno della comunità, aderisce a organizzazioni formali così da pervenire a una elevata conoscenza personale di molti individui, non esibisce competenze specifiche ma è profondamente addentro alla vita complessiva della collettività. Nella sua dieta mediale non trovano spazio pubblicazioni di impegno elevato e dei prodotti comunicativi consumati tende a enfatizzare quegli appetti legati alla vita quotidiana e personale degli individui. • Leader d’opinione cosmopolita: non viene percepito come un membro della comunità, spesso è arrivato da fuori, intrattiene poche e selezionate relazioni interpersonali, consuma media di qualità elevata e specialistici. A questo soggetto, tuttavia, vengono riconosciute competenze specifiche tali da consentirgli di esercitare influenza in relazione a un ambito circoscritto e, per questa ragione, si parla di un leader monomorfico. I contesti comunicativi furono con questi studi posti per la prima volta in un contesto all’interno del quale i destinatari esibivano appartenenze a reti sociali e relazioni interpersonali in grado di mediare rispetto ai messaggi veicolati. Se la comunicazione si articola in un flusso a due fasi, obiettivo degli emittenti non potrà che essere quello di raggiungere quei soggetti che si collocano a un punto di snodo rispetto ad altri. Un approccio del genere presuppone un ambiente mediale estremamente semplice. 3.6. Dal Leader D’Opinione all’Influencer In un contesto come quello attuale si ha il passaggio dal leader d’opinione all’influencer. Watts e Dodds adottano un modello di influence networks che differisce da quello del flusso a due fasi: se nel modello precedente l’influenza era un flusso che andava unicamente dall’opinion leader ai suoi seguaci, il modello reticolare vede l’influenza propagarsi per molte vie e il flusso andare in ogni direzione del reticolo. Nella loro analisi gli studiosi evidenziano come la propagazione attraverso il modello di influenza capace di generare vere e proprie cascades che producono un effetto di massa non si realizza per opera di alcuni individui altamente influenti che influenzano tutti gli altri ma piuttosto a causa di una massa critica di individui facilmente influenzabile che influenzano altre persone facili da influenzare: influenza maggiormente guidata dall’interazione tra le persone che vengono maggiormente influenzate. Le logiche dei social media e l’economia politica del web e delle piatteforme hanno stimolato e intensificato le pratiche di microcelebrity e di self-branding, istituzionalizzando e generalizzando un modello emerso e promosso dalle reality television, che negli anni tra il 1990 e il 2000 ha veicolato un modello di massa di ricerca della celebrità all’interno delle sue proprie audience. Possiamo pensare alle microcelebrity come a un insieme di tecniche che hanno a che fare • Con la crescita di popolarità online utilizzando diverse pratiche che riguardano la produzione di video, la gestione di blog o i contenuti che si producono e distribuiscono nei siti di social network; • Con la gestione dei propri followers e friends come proprie audience. Dunque, quando parliamo di microcelebrity ci riferiamo semplicemente a un set di pratiche e non a un giudizio di valore. Negli ambienti digitali vediamo coesistere diversi leader molecolari: • Leader d’opinione capaci di influenzare la propria rete personale secondo il modello two-step-flow; • Influencer che utilizzano la propria visibilità e centralità dei network per garantire una larga propagazione del messaggio. Cap. 4 Le teorie della selettività 4.1. Gli Effetti Limitati dei Media La pubblicazione nel 2008 dell’articolo di Bennet e Iyengar ha segnato il ritorno di interesse per gli effetti limitati dei media. Ricordiamo le conclusioni alle quali giunse Klapper, sintetizzabili nell’assunto secondo cui la comunicazione persuasoria di massa tede ad agire più in direzione del rafforzamento e della modificazione di lieve entità. A sostegno di ciò, lo studioso porta una ricca e articolata rassegna sulle principali ricerche condotte e prendeva le mosse dalla ricerca di Lazarsfeld condotta sulla campagna elettorale del 1940 nella contea di Erie (Ohio): i risultati mostrano come i media erano maggiormente in grado di attivare un effetto di rafforzamento piuttosto che di conversione. Uno studio successivo condotto da Berelson sulla campagna elettorale del 1949 nello stato di New York portò ulteriori elementi di conferma. • Selezione tra news e intrattenimento: riguarda i prodotti che gli individui scelgono nel momento che hanno la possibilità di farlo. Questo tipo di selezione si lega strettamente all’aumento dell’offerta grazie alla pluralità di canali presenti su diverse piatteforme. Se da un lato risponde a un desiderio degli individui, dall’altro contribuisce a costruire audience separate, con il rischio che queste non entrino mai in contatto tra loro → rischio che si creino mondi non comunicanti e distanti tra loro. • Selezione di messaggi concernenti diversi temi: temi che possono motivare l’esposizione: interessi personali o professionali, ad esempio. • Selezione di determinati media outlet: non si tratta di una scelta legata a temi o generi, ma allo stesso mezzo. Le ricerche condotte al riguardo mostrano come gli individui che ritengono il coverage informativo dei mainstream media non affidabile si rivolgono alla vasta offerta garantita da internet. • Selezione di messaggi coerenti con le proprie posizioni: ha a che fare con la scelta di informazioni, soprattutto di natura politica, effettuata in base alla condivisione dell’orientamento dei soggetti. Gli individui privilegiano la discussione con persone con le quali condividono le stesse posizioni politiche. Questa veloce panoramica sulla natura e i tipi di selezione individuati ci consente di prestare maggiore attenzione alle numerose sfumature e anche di comprendere meglio i fenomeni delle echo chambers e delle filter bubbles: il primo è generato dalla volontà dell’individuo e il secondo da un algoritmo. 4.4. La Selettività nel caso delle “Echo Chambers” Per quel che riguarda il fenomeno delle echo chambers, individuato da Sunstein, la rete consente la presa di parola di tutti i soggetti intenzionati a prenderla, producendo una diffusione di massa indistinta di informazioni e dando vita a forme di disintermediazione dei media tradizionali e delle strutture informative. Ciò non garantisce la strutturazione dell’opinione pubblica ma crea problemi relativi alla distinzione tra notizie vere e false → in tali condizioni gli individui si confinano in “camere di risonanza”. Conseguenze sono: • Rischio di estremismo violento; • Problemi per la governance; • Mutazioni nelle forme del consenso; • Visibilità ed esaltazione dei meccanismi di partisanship; • Difficoltà a distinguere le notizie vere dalle notizie false. La soluzione proposta dallo studioso è quella di far incontrare utenti con informazioni, idee e pensieri diversi e contrastanti con i loro, abituandoli a una sorta di sensibilità per le differenze di convinzione. 4.5. Quando la selezione è operata da un algoritmo: il caso della filter bubble Nel caso delle filter bubbles l’attenzione si concentra sulle peculiari logiche di filtraggio introdotte dalle affordances di piattaforme e ambienti digitali regolate principalmente da algoritmi: gli algoritmi di personalizzazione modellano i contenuti ai quali accediamo tramite i nostri browser. In questo campo un contributo fondamentale è dato da Pariser: punto di partenza della riflessione è quello dell’esposizione selettiva ma, a suo avviso, le “bolle di filtri” si differenziano in base ad alcuni elementi fondamentali: • Processo centrifugo operato dai filtri che porta a isolarsi nel perimetro delle proprie selezioni e a creare un contesto iper-personalizzato; • Invisibilità selettiva che non ha criteri trasparenti al punto che l’utente ignora le ragioni per cui ha trovato alcuni risultati al posto di altri; • Ingresso passivo nella bolla. Shirky parla di social filtering (o collaborative filtering): pur non eliminando completamente la prospettiva dell’iper-personalizzazione e i rischi a essa correlati, questo approccio introduce iniezioni di agency nella realtà di filtraggio con quote di consapevolezza degli utenti e di visibilità delle scelte. Gli algoritmi rappresentano il motore di questa azione selettiva rendendo più visibili alcuni contenuti rispetto ad altri, ma nel farlo rendono invisibili i principi sui quali si fondano. In questo quadro, Borgeius e colleghi distinguono due tipi di personalizzazione: personalizzazione autoselezionata e personalizzazione preselezionata. 4.6. Le conseguenze della selettività fra frammentazione, “misinformation” e polarizzazione Infine, l’incremento esponenziale dell’offerta produce una maggiore libertà per gli individui. Il rischio connesso a tale nuovo scenario risiede nell’estromissione di alcuni prodotti comunicativi – come quelli informativi – che sono alla base della costruzione del tessuto sociale. Il fenomeno della frammentazione deve essere affrontato in un’ottica più ampia di quella dell’esposizione selettiva o comunque deve tener conto della dimensione della crossmedialità e dell’esposizione casuale. Di maggiore gravità è il rischio che si entri a contatto con le cosiddette fake news, che costituiscono una delle ricadute più significative delle ricerche intorno alle echo chambers e ai fenomeni di polarizzazione. Si verifica dunque il fenomeno della misinformation. Cap. 5 Gli usi e le gratificazioni: il passaggio dall’audience passiva all’audience attiva 5.1. Alle origini dell’approccio: il contributo del funzionalismo L’approccio degli usi e delle gratificazioni è stato spesso messo sotto accusa a causa della scarsa chiarezza dei suoi riferimenti teorici; allo stesso tempo, però, non si può negare che esso continua a essere fruttuosamente utilizzato per indagare il rapporto degli individui con i media e la loro offerta. I principali punti di tale approccio sono: • L’audience è attiva; • Il consumo mediale è orientato a un obiettivo; • Il consumo mediale consente un ampio ventaglio di gratificazioni; • Le gratificazioni trovano origine nel contenuto mediale, nell’esposizione e nel contesto sociale nel quale si colloca la stessa esposizione. L’articolazione di questi punti è il frutto di un lungo percorso che ha preso le mosse dalla teoria del funzionalismo: che cosa fanno le persone con i media? Mcquail e Gurevitch sottolineano come il consumo mediale sia concepito dalla prospettiva teorica del funzionalismo come un comportamento che soddisfa (o che fallisce nel soddisfare) bisogni che hanno origine dall’interazione tra le disposizioni psicologiche individuali e l’esperienza della situazione sociale. Gli individui si rivolgono ai media per trovare una gratificazione e così facendo rovesciano il tradizionale approccio che assegnava ai soggetti una posizione di passività rispetto al interno il prodotto comunicativo, gli attributi del mezzo, l’esperienza dell’esposizione, gli effetti legati a certe gratificazioni. Ci sono stati diversi tentativi di costruzione di classi di bisogni che spingono gli individui a consumare i prodotti dei media. Mcqual e altri hanno proposto una tipologia con quattro categorie: • Evasione; • Relazioni interpersonali; • Identità personale; • Controllo. Katz individua cinque classi: • Bisogni cognitivi; • Bisogni affettivo-estetici; • Bisogni integrativi a livello della personalità; • Bisogni integrativi a livello sociale; • Bisogni di evasione. È possibile ipotizzare che i soggetti, in presenza di un bisogno cognitivo, si rivolgeranno al mezzo e al prodotto ritenuto più adatto a soddisfarlo; la presenza di bisogni diversi si correla a mezzi diversi e ciascun mezzo sembra offrire una comunicazione unica di contenuti caratteristici, attributi tipici e tipiche situazioni di esposizione. La consapevolezza della diversità dei vari media è alla base dell’individuazione di una sorta di divisione del lavoro nella gratificazione dei bisogni dei consumatori dei prodotti mediali. Le esperienze di consumo mediale che facciamo ogni giorno e, contemporaneamente, la riflessione teorica più aggiornata, suggeriscono una situazione di gran lunga più complessa. Rubin ha introdotto la distinzione tra esposizione al mezzo televisivo di natura rituale e strumentale: la prima avviene quando accentiamo la televisione solamente per guardarla la seconda si realizza quando l’accendiamo con l’intenzione di vedere uno specifico programma. Un ulteriore elemento di cui bisogna tener conto è quello relativo alle circostanze ambientali e sociali che spingono il soggetto a rivolgersi ai media per ottenere una gratificazione. Un tentativo abbastanza articolato di mettere in relazione i fattori sociali e i bisogni che si cerca di soddisfare mediante il consumo mediale è stato operato da Katz: • La situazione sociale crea tensioni e conflitti che possono allentarsi mediante il consumo mediale; • La situazione sociale crea la consapevolezza circa l’esistenza di problemi riguardo ai quali possono essere acquisite informazioni tramite i media; • La situazione sociale crea rare opportunità di soddisfazione concreta di determinati bisogni, che si cerca di soddisfare tramite i media; • La situazione sociale fa emergere determinati valori, la cui affermazione e il cui rinforzo sono facilitati dal consumo di prodotti mediali; • La situazione sociale crea un campo di aspettative e familiarità rispetto a certi materiali mediali, che devono essere costantemente monitorati dagli individui per sostenere la propria appartenenza a gruppi sociali di riferimento. Il consumo dei prodotti mediali deve essere posto in relazione al contesto sociale entro il quale si sviluppano i bisogni che spingono gli individui all’esposizione. L’accentuazione a livello individuale del nesso impedisce di cogliere la questione del complesso rapporto che lega l’intero sistema mediale al sistema sociale. Nonostante questa limitazione interpretativa, l’ancoraggio delle gratificazioni offerte dai media al contesto sociale all’interno del quale nasce la spinta all’esposizione si pone come un elemento caratterizzante la fase “matura” di questo approccio. Tale fase si è chiusa consegnando alla comunità scientifica acquisizione, dati empirici, suggestioni e riflessioni sulle quali ancora oggi si discute e si fa ricerca. 5.4. Nuove gratificazioni per nuove tecnologie? Le profonde trasformazioni del sistema mediale hanno imposto sulla scena nuove domande circa il nesso tra motivazioni del consumo mediale e loro soddisfazione. L’affermazione di internet ha ulteriormente enfatizzato la necessità di dare risposte a tali domande. Papacharissi e Rubin giunsero alla conclusione che i soggetti che utilizzavano internet erano mossi da ragioni interpersonali, evasione, ricerca di informazioni, utilità e intrattenimento. Alle stesse condizioni giunsero Haridakies e Hanson. Se in prima battuta questi risultati possono indurre a ritenere che i nuovi media non offrono qualcosa di realmente nuovo rispetto a quelli tradizionali, un’analisi più approfondita conduce in tutt’altra direzione. Un contributo nella direzione di individuare eventuali specificità dei nuovi media è stato fornito da RUGGERO allorché ha richiamato l’attenzione degli studiosi su alcuni attributi di internet assenti nei media tradizionali: interattività, demassificazione, asincronia. Nella stessa direzione si colloca il contributo di RAFAELI, che aggiunge multimedialità e ipertestualità. Nuove affordances prese in considerazione a proposito dei nuovi media da SUNDAR e LIMPEROS sono modality, agency, interactivity, navigability. Queste caratteristiche dei nuovi media sono nella condizione di stimolare nuove forme di gratificazione legate a bisogni di natura non più soltanto sociale e psicologica, ma anche tecnologica. 5.5. Attualità e prospettive dall’approccio degli usi e delle gratificazioni Perloff sostiene che l’approccio degli usi e delle gratificazioni si configura come un candidato naturale per contribuire a illuminare l’era dei media online, nella quale gli utenti dei media digitali sono tanto emittenti che riceventi dei messaggi. Si tratta di mutamenti che hanno messo gli individui nella condizione di produrre, editare e selezionare contenuti, realizzare forme innovative di engagement e creare un proprio universo comunicativo/informativo, sfruttando e interpretando le nuove affordances tecnologiche. Oltre a tenere conto della forte interconnessione tra dimensioni diverse, è necessario considerare le caratteristiche degli stessi media e le gratificazioni associate al loro uso. In questo caso l’interconnessione è tra la dimensione tecnologica e quella del consumo che, talvolta può risolversi nella gratificazione ottenuta dalla stessa attività. È sempre più difficile tentare modalità di interpretazione basate alternativamente ora sulle tecnologie, ora sugli utenti; è necessario elaborare un approccio focalizzato sui processi dinamici che coinvolgono tutte le variabili potenzialmente in gioco, abbandonando modelli di lettura lineari propri di altre poche. In breve, l’introduzione di modelli analitici più sofisticati sarebbe oltremodo utile e proficua. In un ambiente nel quale le scelte di consumo sono così ampie e imprevedibili, basate tanto su elementi di natura tecnologica quanto su elementi di natura individuale, l’approccio degli usi e delle gratificazioni, pur con i limiti segnalati, continua a offrire agli studiosi ottime possibilità di comprensione del rapporto tra media e individui. 1 La ricerca amministrativa è maggiormente interessata all’efficacia e all’efficienza dei media più che a riflettere sul cambiamento sociale, la ricerca critica ha una natura sociocentrica che la porta a concentrarsi su come i media affrontano questioni pubbliche e sociali. Allo stesso tempo è interessata ad analizzare effetti comunicativi come fattori sociali che influenzano il processo comunicativo e mediale. 2 La ricerca critica è meno dipendente dalle organizzazioni mediali e dai loro obiettivi. 6.2. Elementi di teoria critica La teoria critica, nota anche come Istituto per la ricerca sociale o Scuola di Francoforte, nacque nel 1923 in Germania ad opera di Marcuse, che formulerà una dura critica nei confronti sia del marxismo sia della società capitalistica americana; Fromm, che proseguirà nell’interpretazione di Freud e nella teoria critica della società contemporanea; Benjamin, che si porrà come studioso di opere d’arte; Adorno e Horkheimer che studieranno la nascita e l’affermazione dell’industria culturale. Il programma di ricerca viene definito da Horkheimer in un saggio del 1937 in cui distingue tra “teoria tradizionale” e “teoria critica”: la teoria critica non si limita a descrivere dei dati di fatto, ma analizza la direzione del cambiamento sociale a partire dalle contraddizioni interne alla società stessa. Il progetto è quello di sviluppare una ricerca sociale al di là di ambiti di competenze distinti e il campo di studio è quello della società intesa nel suo complesso. La teoria critica vorrebbe dunque che la sociologia prendesse posizione e si esprimesse sui suoi oggetti di studio. In ottica neomarxista, gli studiosi riconoscono un potere egemonico alla cultura: cultura industriale, complesso di organizzazioni che trasformano la creatività in merce. A differenza di Marx non ritengono che la cultura sia un sottoprodotto del processo di industrializzazione ma un agente attivo al servizio delle istituzioni e i cui meccanismi di asservimento devono essere illuminati e svelati, al fine di produrre consapevolezza e possibile mutamento. Altro concetto fondamentale individuato da Adorno è quello di genere: non si può realizzare sempre lo stesso prodotto e gli spettatori attivano un consumo distratto → necessaria l’elaborazione di regole per la produzione ma anche di regole per il consumo per prevenire la stereotipizzazione della produzione, ma anche a quella dei meccanismi di fruizione. • Forti tratti comuni con la teoria ipodermica: per i teorici critici, il pubblico non può sottrarsi in nessun modo ai messaggi veicolati dai media. 6.3. L’industria culturale e la nascita dei generi Il contributo più rilevante è la nozione di industria culturale, contrapposta a quella di “cultura di massa”. Essa è una vera e propria fabbrica del consenso che ha eliminato la funzione critica della cultura attraverso la costruzione di un vero e proprio sistema dei media governato istituzionalmente, che presenta un’offerta solo apparentemente diversificata e che nasconde l’insidia del perseguimento del dominio sull’individuo. Il prodotto dell’industria culturale è determinato quindi dal suo carattere industriale, dalla logica seriale che lo contraddistingue dal suo essere merce di consumo quotidiano; in quanto merce viene privato del suo valore estetico a favore di un valore di scambio. In tal senso, l’industria culturale agisce sull’autonomia del consumatore riducendola a intrattenimento, intrattenimento che assorbe completamente il pubblico orientando le pratiche di fruizione attraverso strategie di tensione che richiedono capacità di osservazione e di intuito per seguire trame e situazioni, e impediscono allo spettatore l’attività mentale: easy listening o “consumo distratto” che diventa obiettivo dell’industria culturale. Qualsiasi occasione di fruizione mediale deve poter essere ottenuta senza sforzo da parte del fruitore; per far ciò, l’industria culturale ricorre allo strumento dello stereotipo, vale a dire alla stabilizzazione di alcuni elementi utili per la loro riconoscibilità in futuro. Il ricorso alla stereotipizzazione si traduce in nascita di generi che definiscono il modello attitudinale dello spettatore: il suggerimento è di studiare i meccanismi sottesi alla costruzione dei prodotti mediali che li rendono riconoscibili ai pubblici in quanto progettati per esserlo e che generano un modello stabilito di aspettative che agisce fin da prima della frizione. Adorno nel 1954 individua i tratti portanti dell’offerta televisiva che soddisfa tipi di pubblici diversi a partire da un unico modello stereotipato; il modello attitudinale con il quale ci avviciniamo al prodotto predetermina la sua fruizione e deriva dall’affermazione del processo di stereotipizzazione. Nell’industria culturale si propongono nuovi generi nel tentativo di evitare un improbabile rifiuto da parte del pubblico. 6.4. Il ritorno del concetto di manipolazione Dal punto di vista degli effetti attivati dall’industria culturale, l’obiettivo principale è quello di manipolazione del pubblico: Adorno sottolinea come ci troviamo di fronte a un effetto di sistema capace di promuovere una manipolazione latente di stampo omologante anche a fronte di messaggi manifesti di tipo libertario: per gli individui, privati di qualsiasi individualità, non vi è possibilità di fuga: l’industria culturale è troppo potente. La reintroduzione del concetto di manipolazione rimanda subito all’idea di un sistema di media onnipotente rispetto ai soggetti: in questo senso la teoria critica pone la sua attenzione sull’analisi del sistema dell’industria culturale al fine di svelarne la pericolosità. 6.5. La teoria critica nelle trame di Internet L’approccio critico a internet assume consistenza nel momento in cui si realizzano due condizioni relative alla diffusione e all’accesso della rete: la massificazione e l’internazionalizzazione del web. Il sociologo e giornalista Morozov mette in guardia nei suoi saggi e articoli sul “lato oscuro” della libertà della rete: secondo la sua prospettiva, queste hanno contribuito a definire internet come una realtà stabile e coerente nelle nostre vite: le masse utilizzano internet per intrattenimento e convalida personale sottolineando come l’attivismo da tastiera si risolva in una forma di slacktivism. Inoltre, indica come internet sia assoggettata alle forme istituzionali dei governi e come quelli più oppressivi la utilizzano per reprimere la libertà. Siamo di fronte a una critica di sistema tesa a svelare la pericolosità di internet come ideologie e a un’idea totalizzante degli effetti che non tiene conto delle diverse realtà presenti in rete. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un’audience che viene osservata in modo stereotipico. Il tema della componente ideologica della rete viene analizzato più attentamente dal teorico delle culture di rete olandese Lovink, che sottolinea come occorra analizzare in profondità l’architettura e la logica di funzionamento di internet in modo da Morin nel suo volume L’esprit du temps, accanto alla cultura nazionale e a quelle classiche, individua una terza cultura, la cultura di massa, da indagare come un corpo di simboli, miti e immagini, un sistema di proiezioni e identificazioni specifiche prodotte secondo le forme della fabbricazione industriale di massa. Egli adotta come metodo quello della totalità, al fine di evitare un sociologismo astratto e settoriale, e affinché il ricercatore sia ricompensato nella sua ricerca. Il funzionamento dell’industria culturale si fonda su due coppie antitetiche, burocrazia-invenzione e standard-individualità; tuttavia, la standardizzazione non comporta necessariamente una disindividualizzazione, ma rappresenta la formulazione di regole. La contraddizione tra standardizzazione e originalità trova quindi una via di uscita attingendo alla struttura stessa dell’immaginario che si fonda attorno ad alcuni archetipi. Troviamo così delle strutture esterne (generi, convenzioni) e delle strutture interne (situazioni tipo e personaggi tipo). Un ulteriore contributo viene dal sincretismo culturale, ossia dalla tendenza a omogeneizzare sotto un comune denominatore contenuti diversi. Ma la cultura di massa è anche la cultura del loisir, vale a dire non solo lo svago di massa entro i tempi liberi dal lavoro ma anche il consumo dei prodotti che diviene autoconsumo. Il consumo dei prodotti si trasforma nell’autoconsumo della vita individuale che vive nell’esaltazione di ciò che viene offerto. I meccanismi attraverso cui opera la cultura di massa sono: • Il meccanismo di proiezione, che esercita una funzione evasiva; • Il meccanismo di identificazione, che esercita una funzione integrativa della vita reale: in questo senso, per Morin la vita reale passa in secondo ordine. La critica all’opera è quella di essere un lavoro che vede la cultura come egemonica, capace di forgiare l’immaginario delle masse senza tenere conto della diversità e della complessità d’uso dei media, delle pratiche culturali e dei contesti di ricezione dei pubblici. D’altra parte, la rilettura più recente propone di comprendere le logiche di produzione, le strutture delle rappresentazioni e le dinamiche di trasformazione che sembrano generare un immaginario comune significativo di uno spirito del tempo. Cap. 7 I Cultural Studies 7.1. Nascita del Center for Contemporary Cultural Studies Lo studio della cultura di massa si sviluppa in modo autonomo a partire dagli anni Cinquanta mettendo al centro una vocazione politica: cultura come luogo in cui osservare le dinamiche di potere della società. Si tratta di una prospettiva critica da volgere allo studio dei fenomeni socio-culturali attorno ai media e alla comunicazione che prende corpo con i Cultural Studies (1964). Obiettivo dichiarato era sviluppare una critica ideologica del modo in cui le discipline umanistiche si presentavano come forme disinteressate di conoscenza; dal punto di vista metodologico si trattava di far diventare il concetto di cultura un tema accademico da analizzare attraverso l’analisi di testi e di fenomeni sociali supportati da modelli teorici capaci di spiegare ciò che accadeva. Gli studiosi utilizzano il metodo etnografico sul campo, le interviste, l’analisi testuale e discorsiva e i metodi storici tradizionali. Per comprendere appieno l’approccio occorre fare riferimento al contesto sociale dell’Inghilterra di quegli anni: sul fronte socio-economico, si hanno il Walfare State e la ritrovata unità dell’Occidente contro il nemico comune (URSS); sul fronte culturale si hanno i segni di un’americanizzazione della cultura che desta preoccupazioni. In questo clima vengono pubblicati due testi che costituiscono la principale fonte di ispirazione per i Cultural Studies: The use of Literacy, di Hoggart e Culture and Society, di Williams. Nel volume di Hoggart venivano esaminati prodotti culturali della più diversa natura e, contemporaneamente, si posava lo sguardo sui luoghi della cultura pubblica; William studia l’evoluzione del concetto di cultura tra l’inizio della rivoluzione industriale in Inghilterra (1780 ca.) e gli anni Cinquanta: la sua tesi è che l’idea che si ha della cultura sia fortemente influenzata storicamente ed economicamente: è un prodotto socialmente determinato. L’idea di cultura abbracciata dai Cultural Studies è quindi il risultato di una visione pienamente sociale. Al fondo del lavoro dei Cultural Studies troviamo l’esigenza di difendere le espressioni della cultura popolare, che si costruisce nel tempo attraverso un processo di elaborazione e rielaborazione continua delle trasformazioni dovute alla modernizzazione: si tratta di un lavoro caratterizzato da un doppio movimento di contenimento e di resistenza, fatto di appropriazione ed espropriazione. Questa visione critica colloca gli aspetti di manipolazione da parte dell’industria culturale all’interno di un più ampio campo di forza delle relazioni di potere e di dominio culturale. Rispetto ai precedenti studi sulla comunicazione (Hall) è possibile individuare ben quattro tipo di rottura allorché i Cultural Studies: • Rompono con l’enfasi comportamentista; • Sfidano l’idea dei testi mediali come portatori trasparenti di significato; • Rompono con l’idea di ricezione passiva e indifferenziata dei pubblici per indagare le varietà dei modi in cui i messaggi possono essere decodificati; • Rompono con l’idea di cultura di massa come fenomeno unitario e indifferenziato. Il continuo riferimento alla realtà sociale nella quale vivono i soggetti che producono e consumano cultura, rendono i Cultural Studies uno dei più interessanti contributi teorici allo studio del sistema dei media. Secondo Hall il sistema mediale assolve principalmente a tre funzioni ideologiche: • Offerta e costruzione selettiva della conoscenza sociale; • Visibilità di un’apparente pluralità delle situazioni di vita sociale; • Organizzazione e direzione di tutto ciò che i media tengono insieme. I media sono quindi funzionali al mantenimento dell’ordine sociale egemonico e la conseguenza di tale ruolo comporta la codifica, tramite un codice egemonico (punto di vista dominante), dei prodotti dei media, cioè di una lettura preferita che sostiene le condizioni sociali esistenti. A tale attività di codifica si contrappone quella di decodifica dell’audience. 7.2. Il modello “enconding/decoding” Studiando il rapporto tra codifica e decodifica Hall elabora un modello più generale di encoding/decoding che ridefinisce il contesto comunicativo degli effetti mediali e mostra le opzioni di sintonizzazione o resistenza rispetto ai meccanismi ideologici. Collocando il processo di comunicazione di massa nell’ambito di una struttura articolata in momenti interdipendenti di produzione, circolazione, distribuzione/consumo e riproduzione, Hall specifica che prima di produrre un effetto sul pubblico, il messaggio deve assumere per esso un significato, deve cioè essere percepito come dotato di senso, e il significato di un testo mediale si colloca sempre tra chi lo produce e chi lo consuma. Il produttore (codificatore) crea il o Apprendimento sociale di modelli e valori; o Competenza e dominio; In linea con questi studi, l’ascolto radiofonico studiato dalla Hobson funzionava come demarcatore regolativo, sancendo le diverse attività di lavoro domestico e le sue routine. Sia la tipologia costruita da Lull che i risultati riportati dalla Hobson rimandano ad alcuni dati emersi dagli studi sugli usi e le gratificazioni, ma a differenza della prospettiva adottata in quel caso, qui ci troviamo di fronte non ai singoli spettatori con i loro bisogni psicologici, bensì a soggetti sociali che vanno compresi a partire dai contesti di fruizione, all’interno di dinamiche sociali più estese e tenendo conto delle condizioni materiali in cui le pratiche di ascolto vengono effettuate. Nell’ambito di quella che ormai è definita audience research è ampiamente scontato che le audience sono molteplici e diversificate e che il momento della ricezione deve essere posto in relazione con il contesto culturale. 7.4 Il radicamento e l’addomesticamento dei media nella vita quotidiana Moores ha raccolto e valorizzato la svolta etnografica riconoscendo la necessità di passare dall’idea di un pubblico dei media a quella plurale dei pubblici dei media: individua elementi generali che vanno focalizzati all’interno della ricerca sui consumi dei media. Innanzitutto il concetto di “consumo” che va esplorato dalla dicotomia oppositiva con il concetto di produzione (consumo vs produzione) per pensarlo come una vera e propria attività produttiva: questo non deve però far dimenticare come l’azione dei produttori crei una pressione sulla produzione di significati legati ad una specifica tecnologia mediale; d’altra parte occorre anche evitare di cadere nell’estremo opposto. Un secondo elemento è presentato dal concetto di radicamento (embedding) che indica come sia le pratiche di consumo sia i media come oggetti culturali siano entrambi situati → una tecnologia mediale si inserisce e si situa all’interno di determinati contesti famigliari e con altre tecnologie presenti; inoltre, nella fase di radicamento si può verificare una rinegoziazione delle dinamiche famigliari. Altro elemento preso in esame è la ridefinizione dei confini tra la sfera privata e i diversi mondi pubblici cui consente di accedere. Un terzo elemento è costituito dall’articolazione, cioè dai modi in cui una nuova tecnologia mediale si sposa con le culture vive del consumo: vari livelli nell’ambito delle strutture identitarie dei soggetti. Silverstone osserva i media come parte dell’esperienza umana: concetto di addomesticazione, domestication, che rappresenta il passaggio di una frontiera dallo spazio pubblico a quello privato. Tale teoria si fonda su tre elementi costitutivi: • Economia morale della famiglia; • Doppia articolazione tra medium come oggetto e come mezzo di comunicazione; • Presenza di quattro dinamiche processuali. 1) Partendo dal primo elemento, l’unità domestica è da considerarsi come una parte del sistema transazionale di relazioni economiche e sociali all’interno dell’economia formale della sfera pubblica; in questo senso le tecnologie mediali assumono un valore nel momento in cui si inseriscono all’interno del contesto di significati propri dell’ambito domestico. 2) La domestication è caratterizzata poi da una doppia articolazione che riguarda la relazione tra natura materiale dei media e i significati relativi ai contenuti → sia oggetto che mezzo di comunicazione: come oggetto un medium viene acquistato e portato nel contesto domestico per le sue caratteristiche funzionali ed estetiche, entrando a far parte di precise routine; come mezzo di comunicazione, attraverso il suo consumo, vengono negoziati significati pubblici e privati. 3) L’addomesticamento avviene poi attraverso quattro momenti: o Appropriazione: quando il mezzo lascia il mondo del commercio ed entra nell’ambito domestico; o Oggettivazione: inerente alla collocazione spaziale dell’oggetto-medium e alla sua esibizione; o Incorporazione: riguarda i modi in cui gli oggetti mediali si inseriscono nelle routine quotidiane, rientrando nei ritmi temporali dell’unità domestica. Solitamente la variabile temporale è associata a quella di genere o di età; o Conversione: definisce la relazione fra ambito famigliare e mondo esterno. Le fasi centrali di incorporazione e oggettivazione lavorano sui meccanismi di differenziazione all’interno della realtà domestica e presiedono alle dinamiche di identificazione consentite sia dall’esibizione che dall’uso della tecnologia. Si tratta di momenti che intrecciano le variabili spaziali e temporali. Le fasi che si trovano ai margini connettono l’interno con l’esterno. A fondamento di queste analisi è l’idea di come i media assumano significati profondi nella vita quotidiana e nell’esperienza dei pubblici, non solo nella fruizione testuale ma per la rilevanza che assumono nel sistema espressivo dei valori. Parallelamente occorro considerare come gli immaginari di una società si sacrifichino nelle rappresentazioni mediali e agiscono nel quotidiano; Fausto Colombo precisa come i media non siano l’unico luogo di rappresentazione di una società, eppure sono i perfetti indicatori di ciò che avviene nell’immaginario. 7.5. La consapevolezza delle audience attive: il paradigma “spectable/performance” La ricerca sui pubblici costituisce un tassello importante nel processo di riconoscimento della dimensione attiva e produttiva delle audience; è evidente la rottura rispetto ad un’idea di ricezione passiva e il lavoro sulla negoziazione dei significati costituisce un passo in avanti rispetto ad un’idea monolitica e unitaria di effetti dei media. Esiste una distinzione fra un primo momento caratterizzato dall’approccio encoding/decoding di Hall e ciò che avviene con la svolta etnografica. Una storia della audience research è ricostruita da Abercrobie e Longhurts attraverso una periodizzazione che vede prima l’affermarsi di un paradigma comportamentista – connotato dall’oscillazione tra ricerche sugli effetti die media e quelle su usi e gratificazioni – e poi l’approccio alla ricezione attraverso il paradigma di incorporazione/resistenza e identificato con i lavori di Hall, per poi arrivare ai lavori di Silverstone. I due evidenziano con chiarezza il limite del paradigma dell’incorporazione/resistenza: occorre abbandonare questa polarità per pensare le audience come soggetto performativo capace di definire la propria identità nell’ambito delle relazioni che costruiscono con le forme mediali. Questa condizione si pone tra due processi storici: la concezione del mondo come spettacolo e la costruzione narcisistica dell’individuo: nella società contemporanea Lo studio di Jenkins presenta un’ampia ricerca etnografica ed autoetnografica sul mondo dei fan, che vengono analizzati come una comunità interpretativa che depreda i testi dei media per sovvertirne il significato e rivendica una proprietà sulla cultura popolare al di là degli interessi economici delle organizzazioni mediali. I fan non sono quindi semplici consumatori ma una vera e propria comunità creativa: cultura partecipativa che crea in tal senso uno spazio che mette in relazione forme di produzione culturale e forme di scambio sociale, generando comunità informali in cui le pratiche di interpretazione, rielaborazione e messa in circolazione dei testi mediali sono forme significative di partecipazione. Nella transizione al digitale il termine cultura partecipativa ha assunto un valore più astratto diventando un concetto operativo nella cybercultura, andando a definire non solo i pubblici specifici come i fan ma più in generale le forme di produzione culturale e di condivisione mediale che emergevano in questa prima fase di esplorazione del web e che puntava l’attenzione su nuove aggregazioni degli utenti online: le comunità virtuali. Lo studioso è un punto di svolta sia per quanto riguarda il contributo dato allo sviluppo dei fan studies sia per aver introdotto con il concetto di cultura partecipativa la necessità di analizzare le relazioni complesse che esistono tra produttori e consumatori di testi mediali; inoltre il suo lavoro ha introdotto la necessità di superare negli studi sulle audience la pura dimensione della spettatorialità per esplorare diverse forme di partecipazione culturale. Un approfondimento rispetto alle logiche del digitale è rappresentato da un secondo suo lavoro, in cui la cultura partecipativa viene associata alla più ampia possibilità di produzione e consumo di contenuti a cui internet abilita gli utenti e viene messa in relazione con il concetto di convergenza mediatica: per convergenza intende il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell’industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento. Si tratta di un cambiamento culturale che porta le persone a ricercare e consumare i contenuti combinando fra loro diversi media. Contributo fondamentale è quindi quello di dare centralità alla componente culturale che si struttura attorno a pratiche e forme della condivisione. Nel lavoro di ricerca per la MacArthur Digital Media and Learning Initative vengono individuate le caratteristiche che rappresentano le condizioni strutturali, vocazionali e di apprendimento: • Una relativamente alta propensione all’espressione artistica e al coinvolgimento civico; • Con forti supporti per creare e condividere le proprie creazioni con gli altri; • Con un qualche tipo di mentorship per cui ciò che è conosciuto dai più viene trasmessi ai novizi; • Dove i membri posseggono un qualche grado di connessione sociale con gli altri membri. Il concetto di cultura partecipativa sposta quindi l’analisi della audience all’interno di un contesto che vede un intreccio complesso tra le interazioni tra i pubblici consentite dalle tecnologie della comunicazione, le comunità culturali che nascono attorno a tali interazioni e le attività produttive, distributive e di consumo che vengono tecnicamente consentite e culturalmente promosse nel dialogo/conflitto con le istituzioni mediali. Si tratta di un concetto che può essere utilizzato come modello sia descrittivo che aspirazionale: come modello descrittivo come insieme di pratiche incentrate su forme accessibili e comuni di produzione e condivisione culturale; come modello aspirazionale incarna una serie di ideali su come queste pratiche sociali possano facilitare l’apprendimento, l’empowerment, l’azione civica e il rafforzamento delle capacità. 8.2. Oltre le audience attive: prosumers e produsers La partecipazione mediale associa la dimensione del consumo a quella della produzione di contenuti → prosumerismo. È il sociologo Ritzer ad evidenziare come non si tratti di un fenomeno di per sé nuovo, ma costituisce una nostra condizione primaria; la società contemporanea conferisce ulteriore centralità questa figura, specialmente con l’avvento del web 2.0: maggiore attenzione all’utente di internet, che risente del multistep-flow e di un influence network. Ci sono poi anche comunità che sviluppano dinamiche collaborative, attraverso una condivisione di informazioni e conoscenze, in cui l’idea di utente finale, di semplice consumatore di ciò che in quegli ambienti si produce si è dissolta a favore di una condizione potenziale ed effettiva in cui ognuno è necessariamente sia produttore sia consumatore: produser. Tale concetto si focalizza sulla dimensione di empowerment dal basso e tende a generalizzare un modello di coinvolgimento dei pubblici che, se utile a spiegare alcuni fenomeni specifici di creazione collaborativa online, resta problematico nell’aiutarci a definire la dimensione più globale dei pubblici online. 8.3. Networked publics: spazi e pubblici connessi Il termine networked publics fa riferimento alla nuova specifica condizione di connessione digitale tra pratiche culturali, relazioni sociali e sviluppo delle tecnologie mediali e si pone in alternativa a quello di audience consumatori per sottolineare il mutamento dei modi in cui gli individui sono connessi. I pubblici possono reagire, (ri)fare, (ri)distribuire partecipando alla condivisione di cultural e conoscenza attraverso le logiche del discorso e dello scambio oltre che quelle della sola ricezione mediale. Un contributo viene dato dalla studiosa Boyd, che attribuisce al concetto di networked publics un duplice senso che ha a che fare con la ristrutturazione dell’ambito pubblico e dei pubblici da parte delle tecnologie di rete e che quindi riguarda contemporaneamente a) lo spazio costruito dalle tecnologie di rete e b) il collettivo immaginato che emerge all’intersezione di persone, tecnologie e pratiche. Sono quattro le affordances che modellano la maggior parte degli ambienti di connessione generati dai social media: • Persistenza; • Visibilità; • Diffondibilità; • Ricercabilità; Esse poi danno vita a tre dinamiche che giocano un ruolo centrale nel modellare i network publics: • Audience invisibili come il mezzo che mantiene ancora oggi quel ruolo di facilitatore sociale che tradizionalmente gli è stato riconosciuto. Ma l’approccio che analizza i pubblici connessi si differenzia in modo sostanziale da quello degli usi e gratificazioni: si concentra sull’analisi della dimensione comunicativa delle audience connesse, superando un approccio individualizzato e psicologico. L’uso diffuso dei media digitali ha comportato numerosi cambiamenti nel modo in cui le persone consumano contenuti televisivi; il comportamento del pubblico televisivo è diventato oggetto di studi specifici che sono mirati a ottenere informazioni sul tasso di approvazione di personaggi, attori e trame. Secondo questo studio, l’aumento della conversazione su Twitter durante la programmazione dal vivo è strettamente correlato con un elevato coinvolgimento cognitivo con il programma da parte delle audience più generali. Le ricerche volte ad analizzare l’uso di Twitter nelle pratiche di second screen si concentrano prevalentemente sui casi specifici, ma è possibile trovare anche ricerche di tipo cross-genere riguardanti intere stagioni di programmazione. In questo lavoro si osservano le diverse strategie conversazionali che i generi abilitano nella dimensione pubblica: mentre le opinioni personali sono più frequenti quando lo stimolo mediale è costituito dall’intrattenimento, l’engagement conversazionale di Twitter nei talk show politici sembra essere caratterizzato dal riutilizzo di opinioni espresse da altri. In tal senso, l’analisi delle opinioni dei pubblici connessi e le loro modalità conversazionali attorno a contenuti mediali devono tenere in considerazione non solo le caratteristiche tecniche consentite dalla piattaforma, ma anche le specifiche modalità espressive che si trovano all’incrocio tra pratiche proprie delle audience e pratiche civiche di partecipazione. Per quanto riguarda il rapporto tra social media e politica, le ragioni che portano ad affrontarlo con gli hashtag studies su Twitter sono diverse: il microblog presenta innanzitutto caratteristiche strutturali che si adattano al dibattito pubblico sulle news; in secondo luogo Twitter è ampiamente utilizzato tra élites dell’informazione e della politica; terzo, la piattaforma ha una struttura aperta e accessibile che ha consentito ai ricercatori di utilizzare le API di Twitter per fare analisi tramite metodi digitali. Uno degli ambiti maggiormente indagati circa il rapporto tra social media e politica è la dimensione della partecipazione e, in particolare, se l’impegno politico sui social media alimenti o meno l’engagement inteso in senso più ampio o sia qualcosa di diverso. L’approccio degli hashtag studies si scontra via via con l’evoluzione sociale che Twitter ha avuto nel tempo e che ha visto diversificarsi e moltiplicarsi le occasioni conversazionali non solo attorno ai diversi hashtag ma anche tra topic diversi che portano un dibattito di Twitter a traslarsi in un altro. Un altro limite è rappresentato dal fatto che viene analizzata solo una porzione dei pubblici connessi che trattano uno specifico tema, ovvero quelli osservabili a partire dall’hashtag prescelto dal ricercatore. Un’alternativa è oggi rappresentata dagli approcci population-based che si fondano sulla creazione di una lista di profili Twitter di attori politico- istituzionali utilizzati per rintracciare i tweet pubblici e tutti quelli che provengono da utenti comuni a menzionano o retwittano questi account. Cap. 9 La teoria dell’agenda-setting 9.1. Il contributo dei media alla costruzione sociale della realtà La formulazione iniziale della teoria prevedeva un approccio mediacentrico: i media ci indicano i temi intorno ai quali pensare; successivamente si è giunti a una riflessione a tutto campo sui processi di costruzione di tali temi e sulle relazioni esistenti tra di essi e gli attori sociali: i media contribuiscono alla costruzione sociale della realtà. Per rendere l’idea della portata di tale riconoscimento, partiamo dall’affermazione che ciò che sappiamo della nostra società, ed in generale del mondo in cui viviamo, lo sappiamo dai mass media. Si tratta di una forma di conoscenza definita di seconda mano (secondhand experience), la cui inevitabile prevalenza discende direttamente dalle trasformazioni delle società e dall’opportunità offerta dai media di vivere esperienze altrimenti impossibili. Secondo Lippmann, la stampa, ma più in generale i mass media, attraverso la costruzione di stereotipi che contribuiscono a creare uno pseudo-environment, consentono ai cittadini di conoscere eventi e algoritmi del tutto estranei alla loro realtà soggettiva. Gli elementi chiave che caratterizzano la posizione di Lippmann, la costruzione di stereotipi e l’assunzione di condotte derivanti dall’immagine della realtà fornita dai media, permettono di stabilire le coordinate di base che caratterizzano l’approccio massmediologico: si tratta di un approccio che focalizza l’attenzione sull’impatto che le rappresentazioni offerte dai medi hanno nella costruzione soggettiva della realtà sociale; in questo ambito, i media assumono un ruolo rilevante non solo nel fornire informazioni ma nell’offrire riferimenti contestuali all’interno dei quali collocare e dare senso agli eventi stessi. • In tutte le teorie che si occupano di questo tipo di studi (spirale del silenzio, della coltivazione e del knowledge gap) i media consentono agli individui di accrescere il loro grado di conoscenza e informazione ovvero di cogliere le correnti di pensiero e gli atteggiamenti dominanti in un dato momento storico Al centro dell’attenzione sono posti i processi di formazione dell’opinione pubblica, con la piena consapevolezza della complessità delle dinamiche esistenti tra i vari attori, ulteriormente accresciuta a seguito dell’affermazione del web e dei processi di convergenza da esso attivati. La teoria dell’agenda-setting può essere sintetizzata come la capacità da parte dei media di formare l’opinione pubblica grazie all’influenza esercitata in merito alla rilevanza dei temi nell’agenda pubblica. Tale teoria presenta tre livelli di evoluzione: • Assunti base (primo livello) • Evoluzione attraverso il passaggio dell’assegnazione di rilevanza agli attributi oltre che ai temi (secondo livello) • Network di relazioni tra temi e attributi (terzo livello) 9.2. Dall’agenda dei media all’agenda del pubblico: il primo livello di agenda setting Partendo dal primo livello, gli assunti di tale teoria sono forniti da Shaw: i media non cercano di persuadere gli individui ma offrono loro una lista di temi intorno ai quali pensare: i soggetti sono esposti all’influenza dei media per ciò che riguarda l’individuazione dei temi. realtà esterna, la logica che governa la selezione delle notizie e la costruzione di un tema nell’ambito dei media. Riguardo al primo punto, vi sono alcuni temi che possono nascere o trovare nuovi impulsi da dati oggettivi: il ruolo giocato dalle media logic si manifesta nella selezione autonoma dei temi e nel loro trattamento tramite le regole giornalistiche che governano il mondo dell’informazione. Per quel che riguarda la costruzione di un tema, Kurt e Lang sostengono che i media scandiscono le seguenti fasi della nascita di un tema: in prima battuta, mettono in luce alcuni avvenimenti; in un secondo momento elaborano il tema in modo tale da attribuirgli un significato simbolico; in un terzo momento, creano un legame tra l’avvenimento specifico e alcuni simboli secondari; infine, associano il tema a un portavoce. In merito al rapporto di potere esistente tra i vari soggetti, Reese elabora un’interessante tipologia di rapporti che intercorrono tra media e fonti: i primi dispongono del potere di destinare spazio e attribuire enfasi a temi da essi selezionati, i secondi dispongono del potere di diffondere le informazioni utili alla copertura dei temi: in presenza di rapporti di potere non equilibrati, l’agenda che ne deriverà potrà essere sbilanciata a favore di alcuni temi e a svantaggio di altri. Mccobbs evidenzia l’insieme delle relazioni tra l’agenda dei media e tutte le altre: per cogliere l’effettiva portata dell’influenza, egli suggerisce di tenere conto dei seguenti elementi: • Le fonti principali che forniscono informazioni alla base di una copertura giornalistica; • Le altre testate giornalistiche e di informazione; • Le norme e le tradizioni proprie del giornalismo. I rapporti di potere tra media e fondi e delle relazioni che si stabiliscono tra le diverse testate sono definiti intermedia agenda: influenza esercitata da alcune testate su altre nella selezione e trattazione dei temi. Il primo a individuare questo processo di influenza fu Breed nel suo studio sul contributo dato da alcune testate giornalistiche alla standardizzazione dei contenuti informativi. Weaver e Choi considerano cinque possibili influenze sulla costruzione dell’agenda dei media nell’attuale ecosistema mediale: oltre a confermare la necessità di considerare l’influenza esercitata dalle fonti autorevoli e dotate di potere (1), dagli altri media (2), dalle norme e tradizioni giornalistiche (3), aggiungono gli eventi inattesi (4) e le audience mediali (5). 9.3. La questione dell’agenda building: ovvero, chi costruisce l’agenda? Il trasferimento di salienza di temi dall’agenda dei media all’agenda del pubblico è lo snodo centrale del primo livello dell’agenda-setting; con il corso del tempo gli studiosi si rendono conto che esistono altre dimensioni di cui tenere conto. Lo stesso Mccobs sostiene che si debba prestare attenzione anche al rapporto tra oggetti e attributi: ciascun oggetto ha numerosi attributi che completano e articolano la sua immagine e anche essi presentano una variazione di cui è necessario tenere conto visto che tanto la selezione degli oggetti che quella degli attributi esercitano un effetto di agenda-setting: i media non solo hanno successo nel dirci intorno a cosa pensare, ma hanno successo anche nel dirci come pensare. 9.4. Tra tema e frame: il secondo livello dell’agenda setting Con l’introduzione degli attributi e del frame l’influenza dei media non è più quindi limitata alla dimensione cognitiva (primo livello) ma anche a quella persuasiva (secondo livello), allorché ipotizza una valutazione di un soggetto o tema a partire dalle caratteristiche ad esso associate. Se gli attributi possono essere pensati come un set di sottotemi che definisce il tema principale, non ci si può chiedere cosa li differenzi rispetto al frame alla luce del fatto che costruire un frame significa selezionare alcuni aspetti della realtà e attribuire loro una salienza maggiore all’interno di un testo. Se si definisce quindi il frame come la prospettiva prevalente rispetto a un oggetto, ciò implica che esso sia definito da una selezione di attributi e implica una distinzione tra due principali categorie di attributi: aspetti (categoria generale di attributi) e temi centrali (categoria specifica di attributi). 9.5. Networked agenda: il terzo livello dell’agenda setting Dopo aver ipotizzato che i media sono in grado di influenzare l’agenda del pubblico selezionando alcuni temi e che sono nella condizione di dirci intorno a cosa pensare [primo livello di agenda-setting], vi è stata un’ulteriore elaborazione della teoria che ha ipotizzato la capacità dei media di dirci anche come pensare intorno ad alcuni temi grazie all’uso degli attributi riferiti ad essi [secondo livello di agenda-setting]. Vi è stata poi un’ulteriore rivisitazione che attribuisce ai media un’influenza sull’associazione tra gli stessi temi e tra di essi e gli attributi, in grado di attivare un network di relazioni: il terzo livello della agenda- setting può dunque essere definito come l’insieme delle relazioni che intercorrono tra gli elementi dell’agenda dei media e l’agenda del pubblico. Con questa elaborazione, in primo luogo vi è un mutamento di prospettiva nell’analisi delle relazioni tra agende: ciò che si trasferisce da un’agenda all’altra non è più soltanto una lista di temi ordinata gerarchicamente ma un insieme di relazioni tra temi e attributi. Poi, un ulteriore elemento di differenziazione rispetto al passato è rintracciabile nella metodologia di analisi dei dati: il terzo livello offre una comprensione più sfaccettata degli effetti dell’agenda-setting e arricchisce ulteriormente la nostra comprensione della metafora di Lipmann, ossia che i media contribuiscono a creare uno pseudo- environment. Gli sviluppi della ricerca empirica nella direzione di cogliere e descrivere le interrelazioni tra le agende costituiscono la fase attuale della teoria dell’agenda-setting e ne rappresentano una sintesi; tuttavia rimangono dei problemi aperti, tra cui la persistenza dell’uso di categorie tematiche estremamente ampie come la politica, l’economia, la salute che solleva molti problemi sul fronte di un’inevitabile semplificazione. Cap. 10 La Spirale del Silenzio 10.1. Una Teoria dell’opinione pubblica La teoria della spirale del silenzio, sebbene sia soggetta a numerose e veementi critiche è tutt’ora considerata come una delle teorie più influenti sviluppate negli ultimi cinquant’anni; il suo contributo fondamentale è rintracciabile nella revisione del paradigma degli effetti limitati dei media. 10.3. Le ipotesi della teoria alla prova della ricerca empirica Quando la Noelle-Neumann elaborò la teoria della spirale del silenzio, il sistema dei media era profondamente diverso da quello di oggi; tuttavia è importante prestare attenzione al ruolo attribuito ai media nella formazione dell’opinione pubblica. La legge della selettività viene rimessa in discussione dalla ricercatrice tedesca a partire dalla centralità acquisita dal mezzo televisivo all’interno del sistema mediale: è proprio questo a rendere la percezione selettiva più difficile di quanto non avvenga con la stampa o altri media: consonanza e cumulabilità del mezzo televisivo. Con il primo termine si rimanda alla presenza di argomentazioni molto simili all’interno dell’intera programmazione, mentre con il secondo si indica l’apparizione periodica di tali argomenti. I media contribuiscono quindi a creare un doppio clima di opinione, vale a dire che la percezione del clima di opinione da parte degli individui si correla con il loro consumo mediale, integrando gli elementi provenienti dall’esperienza personale: osservazione dell’ambiente portava soggetti a formulare alcune previsione, mentre i media contribuivano a elaborarne altre (in riferimento alla ricerca empirica del 1976 in clima elettorale). Ma il potere dei mezzi di comunicazione non si limita a dare vita a questo doppio clima di opinione; esso si rintraccia in riferimento alla difficoltà di distinguere tra la propria percezione del mondo e quella che viene elaborata tramite il ricorso ai media, dando vita al fenomeno della pluralistic ignorance: gli individui credono di essere gli unici a pensare in un certo modo e preferiscono quindi non esprimersi e rimanere in silenzio. 10.4. Il ruolo di media Ai mezzi di comunicazione viene attribuita anche un’altra funzione: quella dell’articolazione delle argomentazioni: i media non si limitano a dare spazio a una posizione, ma forniscono il materiale per sostenerla. Ma il sistema mediale è ben più complesso di quanto ipotizzato dalla ricercatrice e in un paese democratico è difficile accettare questa visione distopica orwelliana secondo cui viene riportata soltanto l’opinione maggioritaria. In tal senso, Losito mette in risalto come tutto ciò si regga solo a condizione di considerare il sistema dei media come un unico mega-medium; Moscovici evidenzia come oggi l’opinione pubblica sia spesso divisa su molti temi. Come si può continuare a ipotizzare la paura dell’isolamento sociale? 10.5. Una spirale o tante spirali? Con l’evoluzione tecnologia e la sempre più ampia disposizione di mezzi informativi, non si può ignorare comunque che è ricorrente il rischio di trovarsi all’interno di camere di risonanza e che gli algoritmi che governano piattaforme come Google, Facebook o YouTube rischiano di rendere ancora più rigidi i confini che delimitano le bolle informative degli individui. Detto ciò, è chiaro che non si tratta più di un unico e consonante clima di opinione, stante la possibilità di ritrovarsi in camere di risonanza senza averne alcuna consapevolezza. Cap. 11 La teoria della coltivazione 11.1. TV & Storytelling Elaborata da Gerbner a cavallo degli anni Sessanta, si colloca provocatoriamente nel novero delle teorie a rischio di archiviazione (idem teoria della spirale del silenzio). Enunciato principale della teoria è il seguente: gli individui definibili come forme di spettatori della televisione hanno maggiori probabilità di sviluppare punto di vista che riflettono quelli veicolati dall’offerta mediale. Elemento di debolezza sta nell’attribuzione di un potere di coltivazione da parte della televisione in un contesto come quello contemporaneo, caratterizzato dalla frammentazione e diversificazione dell’offerta e da un incredibile incremento delle opportunità di consumo e produzione. È necessario ricostruire le caratteristiche del mezzo televisivo ritenute significative da Gerbner e dai suoi collaboratori: innanzitutto la vocazione di storytelling della tv: essa offre ai suoi spettatori storie ripetitive che sono ritualisticamente consumate e costruisce quello che i membri del suo gruppo di ricerca hanno definito uno storytelling commerciale di massa. Tali storie, nella teoria della coltivazione, si riflettono sul nostro modo di vedere e interpretare il mondo: altro elemento correlato è la funzione bardica del mezzo. Dunque, due funzioni svolte dalla televisione: • Affabulatoria; • Bardica: rispetto alla affabulatoria, ha anche la capacità di pervenire alla costruzione di un linguaggio comune Fiske e Hartley attribuiscono alla televisione le seguenti funzioni: • Articolare le linee principali dell’interpretazione culturale della realtà; • Coinvolgere i singoli membri del suo sistema di valori dominanti, mediante la condivisione di messaggi tesi a rafforzare l’ideologia sottesa a tale sistema; • Celebrare, spiegare, interpretare e giustificare le azioni dei singoli in relazione al mondo esterno; • Rassicurare la cultura in generale della sua adeguatezza pratica, sostenendo che l’ideologia a essa sottesa può essere utile in un mondo potenzialmente imprevedibile; • Svelare le eventuali inadeguatezze pratiche della cultura in modo tale da farle riorientare verso una nuova posizione ideologica; • Convincere i membri dell’audience che il loro status e la loro identità come individui sono garantiti dalla cultura stessa; • Trasmettere un senso di appartenenza culturale, procurando sicurezza e coinvolgimento. La complessa analisi di Fiske e Hartley condivide molti elementi che appartengono anche all’approccio di Gerbner: insieme dei messaggi televisivi in grado di dare una I valori ottenuti vennero messi in relazione con il consumo televisivo degli intervistati, classificato in debole, medio e forte: differenziale di coltivazione, ossia il margine di differenza in concezioni della realtà tra i forti e i deboli telespettatori appartenenti agli stessi sottogruppi demografici. Ne risultò che telespettatori forti ritenevano di avere maggiori probabilità di essere coinvolti in episodi di violenza. Per quel che riguarda la programmazione televisiva analizzata, i dati raccolti dai ricercatori condussero alla ricostruzione del seguente scenario: • Per ogni dieci protagonisti di sesso maschile che commettono violenza, ve ne sono undici che sono vittime; • Per ogni dieci donne che commettono violenza, ve ne sono sedici che ne sono vittime; • Le minoranze e le donne straniere sono le più penalizzate; • Tra i vari gruppi che hanno le maggiori probabilità di subire violenza, soltanto in un caso si tratta di un uomo anziano Gerbner sostiene che lo studio della coltivazione non può che prendere le mosse dallo studio delle istituzioni che consentono un sistema di produzione di messaggi per poi andare oltre e investigare i contributi che questi sistemi e le loro funzioni simboliche offrono alla coltivazione di opinioni circa la vita e il mondo. L’impianto analitico si articola lungo tre direttrici relative a: • Istituzioni mediali: analisi critica dei mezzi; • Messaggi: vuole individuare i pattern stabili di significato veicolato, prescindendo dal singolo messaggio o prodotto; • Effetti: con l’analisi degli effetti si pone l’intento di indagare le conseguenze dei sistemi di messaggi veicolati dai media. Le tre aree di analisi sono strettamente intrecciate. Dopo la fase iniziale nella quale la coltivazione veniva individuata e misurata tramite l’esposizione al mezzo televisivo, l’introduzione dei nuovi concetti permise di rispondere alle numerose critiche formulate al riguardo nonché di tenere conto della rilevanza del contesto entro il quale si colloca il consumo: introduzione del concetto di mainstream: comunanza di punti di vista coltivati dalla televisione. Con tale concetto, il consumo di televisione viene posto in relazione con altre variabili e collocato in un contesto nel quale altri fattori di socializzazione sono presenti. Altro concetto introdotto è quello di risonanza, che sostiene che i telespettatori che esperiscono situazioni simili a quelle rappresentate dal mezzo televisivo saranno maggiormente sensibili al contenuto del messaggio. 11.3. Sfumature di coltivazione Sul versante dell’affinamento degli strumenti teorici si colloca la specificazione di differenti tipi di coltivazione → effetti di primo ordine o effetti di secondo ordine: i primi sono quelli che descrivono l’adozione da parte dei telespettatori di letture e interpretazioni del mondo offerte dalla televisione che sovrastimano alcuni fenomeni; i secondi sono relativi alle interpretazioni, le attitudini, i sentimenti e i valori rispetto al mondo mutati dalla televisione. Emerge dunque con chiarezza come l’approccio inizialmente formulato da Gerbner si sia modificato nel corso del tempo; oggetto stabile di analisi sono rimasti sia il messaggio che gli effetti di coltivazione. 11.4. Coltivazione e nuovo sistema mediale È ovvio che un sistema televisivo come quello con cui si trovava a che fare lo studioso negli anni Settanta non esiste più ed è anche difficile descriverlo alle nuove generazioni: differenziazione delle modalità e dei tempi di consumo. Tanto la diversificazione dell’offerta quanto quella delle modalità di consumo implicano una frammentazione/diversificazione dell’audience, che si compone e scompone in relazione alle scelte di consumo che vengono effettuate rispetto all’offerta: muta il “materiale” preso in riferimento dagli studiosi della coltivazione, non solo perché diventa difficile ipotizzare un unico e diffuso sistema di messaggi, ma anche perché diventa difficile sostenere che il consumo televisivo sia estraneo a scelte selettive dei consumatori. A queste obiezioni sono state offerte contro-obiezioni, e si sostiene che ci sia più televisione oggi di prima (si pensi ad esempio al fenomeno delle second screen television): si parla quindi di pluralismo della coltivazione. 11.5. Una coltivazione o tante coltivazioni? Se vi siano ancora ragioni per continuare a ipotizzare effetti di coltivazione non è un compito facile: articolazione del discorso su tre direttrici: • Tenuta dell’approccio originario: focalizzazione sull’analisi dei messaggi e degli effetti, tralasciando lo studio delle istituzioni mediali → tratto distintivo della teoria che si ridimensiona nel corso del tempo. Si è registrato un duplice movimento che ha portato a uno spostamento dal macro al micro: ricerca si concentra sui singoli generi televisivi e sui meccanismi della memoria attivati nel fornire risposte agli item utilizzati per misurare la coltivazione • Tenuta e validità della ricerca empirica dal punto di vista statistico-metodologico: le critiche sono state formulate riguardo all’imprecisione dell’analisi del contenuto dei messaggi e della misurazione del contenuto televisivo, all’ambiguità della costruzione delle risposte televisive vs le risposte provenienti dal mondo reale e, infine, alla natura spuria di alcuni nessi causali stabiliti tra consumo televisivo e risposte televisive. La teoria infatti si basa sulla correlazione che si viene a stabilire tra due fenomeni: esposizione televisiva e coltivazione di determinate immagini della realtà: rapporto che non è in grado di etichettare le variabili dipendenti e indipendenti, mentre in questo caso l’esposizione al mezzo televisivo viene considerata come variabile indipendente e la coltivazione di determinate rappresentazioni della realtà come variabile dipendente, stabilendo un rapporto causa-effetto. • Tenuta della teoria all’interno di un sistema mediale profondamente mutato: le trasformazioni del sistema mediale costituiscono il problema maggiore per la tenuta della teoria, a cominciare dalla difficoltà ad analizzare il contenuto dei messaggi moltiplicati in modo esponenziale e a misurare l’esposizione al mezzo televisivo, sempre più distribuita su più dispositivi e in momenti diversi della giornata. In conclusione, si può sottoscrivere quanto affermato da Perloff, cioè che la coltivazione continua a operare, solo in un modo differente. D’altra parte, se si abbandona la sua variante più rigida, essa può essere ancora utile per leggere e interpretare il mondo simbolico del presente. Cap. 12 Il meccanismo che porta alla chiusura o al rallentamento del gap è identificato negli «effetti soglia» che si manifestano in base: • All’interesse nell’accesso all’informazione; • Al grado di ripetitività e diffusione dell’informazione; • Alla preoccupazione generata da un argomento; • All’eventuale conflittualità determinata da un argomento che fa aumentare l’interesse; • All’omogeneità delle comunità. Gli effetti soglia si possono ritrovare in teorie già studiate: • Nell’agenda setting, in cui la ripetitività dell’informazione può essere letta come una trasformazione di un tema a soglia alta in un tema a soglia bassa. • L’agenda setting, inoltre, è l’opposto del Knowledge Gap perché, la prima attribuisce ai media un tipo di influenza che coinvolga intorno al contenuto dei media, il secondo implica un costante processo di differenziazione sociale nei sistemi di conoscenza. • Infine, c’è un collegamento con il flusso di comunicazione a due fasi, che favorisce la chiusura del gap nelle piccole comunità. In conclusione gli effetti-soglia potrebbero essere considerati la punteggiatura di un processo costante di generazione degli scarti di conoscenza. 12.4. Il tema del presente: la questione del «digital divide» Il lento ingresso di Internet all’interno del sistema mediale ha riproposto con maggior forza l’esistenza di squilibri tra gli information haves e information have nots, rendendo attuale la teoria degli scarti conoscitivi. Nel caso di Internet, si alimenta la questione del digital divide. Sul versante dell’offerta, Internet consente una frammentazione e targettizzazione dei messaggi più di ogni altro media. Sul versante del consumo, vanno sottolineate alcune variabili che entrano nella definizione di un attuale potenziale comunicativo, rendendo più evidenti i possibili scarti tra gruppi privilegiati e non. Internet marginalizza il ruolo di storyteller, in quanto impone agli utenti la costruzione autonoma di un percorso. Il digital divide rischia di diventare il moderno spartiacque che crea discriminazione tra i cittadini. 12.5. Società dell’informazione e differenziazione sociale Lo sviluppo del sistema mediale nelle moderne società ha riposto l’ipotesi alla base della teoria degli scart i conoscitivi. La diffusione della televisione via cavo, satellitare, digitale, ecc., comporta effetti sociali di differenziazione che diventano ogni giorno più evidenti. Si può sostenere che si passa da un modello broadcast, che intende una diffusione di messaggi da uno a molti, a un modello netcast, che intende una diffusione dei messaggi a rete. Per soddisfare i bisogni del pubblico si è affermato il modello narrowcastin, basato su una categoria (informazione, cinema, musica, ecc.) ed è la risposta a una richiesta di differenziazione dell’offerta. L’informazione diventa una risorsa alla quale i soggetti attingono con modalità diverse e con esiti diversi.
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