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LE TRASGRESSIONI DELLA CARNE, Sintesi del corso di Antropologia

Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, sec. XII-XX

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica LE TRASGRESSIONI DELLA CARNE e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia solo su Docsity! LE TRASGRESSIONI DELLA CARNE Questo libro, a cura di Umberto Grassi e Giuseppe Marrocci, raccoglie contributi di 7 studiosi: Rowson, Tadeschini, Kuru, Lavenia, Mantecòn Mavellàn, Mott, Bourge) circa i rapporti omosessuali nei secoli dal medioevo al Novecento, indagandone le caratteristiche, la diffusione e la reazione della società alla loro più o meno evidente esistenza. Particolare attenzione viene concessa all’aspetto religioso della questione: la legittimazione (o presunta tale) dell’omosessualità e dell’atto omosessuale, sarà infatti tra i primi capi di imputazione con cui la chiesa cattolica motiverà la necessità di estirpare dal mondo la religione islamica, e di arrestarne la propagazione. Il tentativo è quello di creare un’immagine complessiva del fenomeno omosessuale in un periodo piuttosto vasto, per cui l’aspetto storico, filosofico e letterario, risultano fondamentali. I nuclei fondamentali di questa trattazione potrebbero essere così individuati:  Omosessualità nel mondo islamico e nella letteratura ottomana;  Omosessualità e islamofobia nel mondo cristiano;  Rapporti omosessuali tra musulmani e cristiani;  Omosessualità nell’immaginario europeo tra Ottocento e Novecento La somma dei singoli studi consente di avere una valida base di partenza per procedere allo studio, indagando nella genesi, le forme e le ragioni profonde. Il volume si propone di studiare il tema dell’omoerotismo del desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano nell’arco dei secoli dal 12° al 900. Concentrandosi sul tema dell’omosessualità divide il lecito dall’illecito, il socialmente accettabile da ciò che non lo era. Basti pensare a quanto l’ombra dell’omosessualità fu presente nell’elaborazione dello stereotipo del nemico sulla mano nella retorica di cristiani tra medioevo ed età moderna. Nella prima parte intitolata DESCRIZIONEE PROIBIZIONE vengono analizzati atteggiamenti culturali, sociali, giuridici e istituzionali verso l’omosessualità e omoerotismo nel mondo islamico e quello cristiano: Rowson descrive la posizione dei mamelucchi rispetto alle relazioni omoerotiche in Egitto e in Siria, l’autore sottolinea che nonostante il comportamento omosessuale fosse punito aveva in ogni caso dimensione pubblica. Nelle elite l’amore per i giovani veniva accettato fin quando non distraeva i potenti dai loro obblighi di comanda. Questa relativa accettazione, nella sua difficile coesistenza con i divieti religiosi, non fu costante nel tempo. Todeschini invita a ripensare i paradigmi storiografici consolidati. Al nemico interno o esterno (che funge da capo espiatorio, di volta in volta ebrei eretici strage e sodomiti) viene associata l’idea di “contro natura”, ovvero ribellione a Dio e all’ordine del creato. Kuru ricostruisce il tema dell’amore per i ragazzi nella letteratura turca ottomana tra 400 e 600. Lavenia esplora la genesi dello stereotipo del musulmano sodomita nella cultura cristiana europea tra 400 e 600. Traccia la storia della costruzione dello stereotipo islamico. La seconda sezione è intitolata INTERAZIONI E IMMAGINARI Movellan sulla Spagna di 500 e 600. Presenza di una sottocultura omosessuale in Spagna. Sottolinea come moriscos e schiavi rivestisse un ruolo centrale nell’economia del desiderio di questi circoli clandestini. Mott esplora le relazioni omosessuali tra musulmani e cristiani in Portogallo e in Africa del Nord concentrandosi su moriscos e rinnegati. Tramite l’analisi di processi per sodomia dell’inquisizione portoghese, rivolti contro musulmani e cristiani convertiti all’islam in Nord Africa. Bourge ripercorre il processo tramite cui nell’ambito del colonialismo di 800 e 900, gli stereotipi conobbero una trasformazione grazie alle rappresentazioni letterarie artistiche e anche scientifiche, prodotte dai colonizzatori orientalisti. La raccolta di saggi sottolinea la presenza di un quadro molto variegato dei discorsi relativi all’identità sessuale. Si propone di indagare la costruzione delle varie identità sessuali e il ruolo che innesta giocavano stereotipi e pregiudizi. Per quanto riguarda l’omosessualità nel mondo islamico e nella letteratura ottomana, rilevano il saggio di E.K. Rowson “Omoerotismo ed elite mamelucca tra Egitto e Siria nel tardo medioevo” per il primo aspetto, ed il contributo di S.S. Kuru per il secondo. Rowson analizza in particolare le conseguenze dell’intreccio tra amore omosessuale e potere e, per introdurci al racconto dell’omosessualità nella compagine islamica, parte da un esempio paradigmatico verificatosi in Occidente: il caso di Edoardo II d’Inghilterra (1307). Il sovrano inglese, invaghitosi di uno dei pari di Francia, Peter Gaveston, gli aveva dedicato denaro e attenzioni trascurando le questioni di Stato, e opponendosi alla richiesta dei nobili di esiliare il suo favorito, causandone così la decapitazione ad opera di questi ultimi. Dopo la morte di Gaveston, re Edoardo scelse una nuova coppia di favoriti: i Despenser, padre e figlio, intrattenendo con il secondo un legame di natura sentimentale. Sia i Despenser che il sovrano furono uccisi, seppure in momenti diversi, quando le forze francesi invasero l’Inghilterra. Nel mondo islamico, l’omosessualità era ammessa, quantomeno tra le più alte cariche della società, purché non creasse disagi nell’amministrazione del potere e non fosse eccessivamente palesata ed esclusiva. Inoltre in questo contesto era perfettamente ammesso il rapporto omoerotico tra un potente e uno o più soggetti socialmente più deboli, mentre l’amore omosessuale, in quanto determinato dalla passione, era spesso considerato potenzialmente un pericolo per l’ordine sociale e dunque avversato. A palesare questa contraddizione interna alla compagine islamica, furono nel XV secolo le parole di Ahmad b. al-Nassir Muhammed, uno dei protagonisti del caso forse più emblematico in tal senso, allorquando si ribellò all’ordine degli inviati di suo padre che gli imponevano di esiliare il suo amante, opponendo l’irrazionalità di un tale provvedimento in un contesto che ammetteva l’omoerotismo per i funzionari del sultano. Ahmad b. al-Nassir fu per breve tempo sultano di Egitto e di Siria. A causa dell’amore per al- Shuhayb, un ragazzo conosciuto nel tempo trascorso lontano dalla sua famiglia sperperò parte del suo patrimonio ed entrò in conflitto con il padre e con chiunque proponesse o auspicasse un allontanamento dal suo giovane amante, arrivando a minacciare il suicidio e fin quasi ad uccidere degli eunuchi colpevoli di aver maltrattato il suo favorito. A causa del suo impetuoso comportamento era stato diseredato, e questo aveva dato l’avvio ad una serie di lotte dinastiche per la successione del trono, durante le quali gli stessi mamelucchi di Ahmad uccisero al-Shuhayb, considerato la causa della sua rovina e del suo disonore. Dopo questo evento, Ahmad prenderà il trono, ma trascorrerà tutto il periodo del suo regno a Karak, dedicandosi ai piaceri ed al vino, sperperando il patrimonio ed uccidendo persino coloro che lo avevano sostenuto. Sono molti altri i casi di relazioni omoaffettive nel mondo islamico tra sultani o re e persone del loro stesso sesso, solitamente loro favoriti a corte, che saranno tacitamente accolte fin quando non creeranno situazioni di eccesso o di squilibrio nella gestione del potere. I governanti, d’altra parte, non dimostrano mai di voler nascondere la loro attrazione nei confronti di altri uomini. Alcuni la espressero cimentandosi nella poesia, scrivendo dei versi non soltanto per dei veri e propri amanti, ma anche per i protagonisti di semplici passioni passeggere, altri giungendo ad atti fin troppo palesi e sfacciati che, spesse volte, soprattutto per volere dei religiosi più conservatori, non restarono impuniti. Ancora più gravi e più duramente repressi i casi in cui ad essere accusati di sodomia, erano i membri di una casta sacerdotale. In ogni caso, presto si iniziò a tentare di trovare una giustificazione alla diffusione del fenomeno omosessuale. che sul famoso verso “vita bestial mi piaque, e non umana”, sull’improduttività del personaggio, tanto come individuo inserito nel contesto sociale, quanto come essere umano. A causa di essa, afferma Benevento, il Fucci fu paragonato da Dante ad un mulo, destinato per il suo peccato alla sterilità. Qui viene espresso per la prima volta un concetto che ritornerà spesso nella mentalità e nella letteratura occidentali, ossia l’analogia tra l’usuraio/ladro e il sodomita, entrambi avversi alle regole sociali e divine ed entrambi improduttivi. Un’altra opera esemplare, fu il “Liber Gomorrhianus” di Pier Damiani, una lettera spedita a papa Leone IX nel 1049. Questa epistola si configura come un’accesa polemica antisodomitica, in cui l’autore evidenzia la natura malvagia del rapporto omosessuale. L’omoerotismo viene presentato come una bestia atta a distruggere la verginità, la castità e la decenza, sia dei laici che della classe sacerdotale. Bisogna dunque resistere al contagio di questo morbo, ed esiliare dalla comunità cristiana, assieme agli indemoniati, i sodomiti, abitati da spiriti malefici. La sodomia viene avvertita e presentata da Damiani come il peccato per eccellenza, la deviazione della norma divina, l’espressione paradigmatica del sovvertimento dell’ordine da Dio imposto alle cose, addirittura un’esperienza che trascende l’arbitrio umano, poiché deriva dall’azione di spiriti malefici che privano l’uomo della sua natura umana, rendendolo irrazionale, bestiale e abbruttito dalle relazioni con maschi. Il tema del peccato sodomitico viene trattato anche da una figura importantissima della cultura medievale come Tommaso d’Aquino, il quale attribuisce sì una natura peccaminosa al vizio della gente di Lot, ma ne ascrive la colpa ad una scelta dell’uomo, che decide di seguire e soddisfare appetito nefandi allontanandosi da Dio, senza alcun intervento da parte di entità maligne. Animalizzazione dell’uomo dovuta all’abbandono della razionalità. Il peccato sodomitico, afferma Tommaso, rende l’uomo non più uomo, lo separa definitivamente da Dio perché lo priva della somiglianza con il creatore, così come era accaduto con Adamo. Anche la domanda “Adamo ubi es?”, rivolta da Dio al primo uomo dopo il peccato originale, è da vedere in quest’ottica: essa costituisce la prova biblica dell’annullamento, agli occhi di Dio, dell’uomo che si rivolta alla sua legge, e nel caso del peccato omoerotico, anche alle leggi della comprensione sociale ed ecclesiastica, che mina a dissacrare e distruggere. Tra 12° e 13° secolo si afferma dunque una nozione di comportamento contro natura intera alla rappresentazione di ordine naturale di origine divina. Una tale visione dell’omosessualità implica necessariamente un rigetto totale per quei popoli che sembrano adempire alla pratica piuttosto regolarmente, quale, appunto, quello islamico. Tuttavia bisogna specificare che il rifiuto della sodomia nel mondo cristiano, essendo strettamente correlato all’idea di improduttività del rapporto sessuale, riguarda l’utilizzo di questa pratica tanto tra maschi, quanto tra uomo e donna. Un verso del Corano recita : “Le vostre spose sono per voi come un campo da arare. Venite pure al vostro campo come volete”. La cultura cristiana in età medievale e moderna, vide in questa espressione la legittimazione, ad opera di Muhammed stesso, del peccato di sodomia con la propria moglie. Questo fattore, in aggiunta alla forte presenza dell’omoerotismo nei paesi islamici, creò nella mentalità cristiana e occidentale il mito della bestialità dei musulmani e la conseguente islamofobia, giungendo ad identificare il profeta Maometto con l’Anticristo e la sua discendenza con l’incarnazione del male. L’approccio cattolico fu quindi, prima di tutto, repressivo. Tra 12° e 13é secolo inoltre, il sodomita e l’usuraio vengono accostati in quanto sono considerati entrambi improduttivi e contro natura. Gli usuari vengono considerati improduttivi per la sterilità del denaro prestato e per questo accostati alla sterilità del rapporto contro natura. Nel suo saggio “Sessualità, islamofobia e inquisizioni nell’Europa moderna”, Lavenia traccia un percorso molto dettagliato della condizione dei musulmani in Spagna nell’età moderna e del rapporto tra questi ultimi ed il potere spagnolo ed ecclesiastico. Non sono giunti fino a noi provvedimenti particolarmente rilevanti contro i sodomiti tra il XII ed il XIV secolo, e sappiamo che l’attività del tribunale inquisitoriale era limitata alla sola Castiglia. Risale al 1254 la prima prescrizione antisodomitica, ad opera di Alfonso X di Castiglione, che prevedeva la pena di morte per chiunque si fosse macchiato di una tale nefandezza. Nel corso del Trecento la situazione si aggravò. Allorquando si diffuse la peste a Valencia e furono accusati di aver causato il morbo con il loro peccato, proprio gli islamici sodomiti: Dio stesso, infatti, aveva provato con l’episodio biblico della distruzione di Sodoma, di repellere il peccato sodomitico più di ogni altro. La sorte di Sodoma a causa della gente di Lot, si credeva, sarebbe toccata alla Spagna a causa della gente di Muhammed. Nel corso del 400, l’intolleranza sembrò aggiungere vette esponenziali, con l’approvazione dei provvedimenti sulla limpieza da sangre, contro musulmani e conversos. Nonostante i vari scritti anti-islamici ad opera di esponenti del cattolicesimo particolarmente illustri, come la confutazione teologica degli errori dell’islam di Tourquemada o il Fortalitum Fidei di Alfonso Espina, che diventerà un vero e proprio manifesto ideologico dell’inquisizione spagnola, fino al 1942 il tribunale inquisitoriale non opererà in maniera massiccia contro musulmani e moriscos. Nel 1942, a seguito della caduta di Granada, si diffuse in Spagna un clima di generale paura e irrequietezza, l’attesa di un evento apocalittico a colpire il mondo. Molte prediche di vescovi e sacerdoti cristiani in questo periodo pullulavano di calcoli millenaristici e terribili previsioni. Iniziò a prendere piede a questo punto, l’idea che fosse compito dei cattolici salvare le anime degli infedeli e dei peccatori, discostarli dalla loro impura pratica e ricondurli nella grazia di Dio attraverso il castigo. Si avrà quindi un inasprimento dei controlli, degli arresti e delle pene comminate ai sodomiti e, con Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, l’introduzione della conversione forzata al cristianesimo di ebrei e musulmani, pena l’esilio. Filippo II, prima della sua morte, chiese a papa Clemente VIII di concedere all’Inquisizione di Castiglia maggiore potere per estirpare la cattiva usanza dei musulmani. La sua richiesta non fu esaudita, sebbene lo stesso pontefice avesse assegnato all’inquisizione in altri territori spagnoli la potestà di intervenire contro il vizio nefando. Così a determinare la cattura e le punizioni per i sodomiti in Castiglia, fu ancora il potere temporale e civile. In Sicilia il vicerè aveva addirittura negato la competenza dei giudici inquisitoriali sulla materia. Nonostante questo rifiuto dell’attività dell’Inquisizione in materia omoerotica, i tribunali secolari di Castiglia furono spesso ancora più sbrigativi e cruenti degli inquisitori, condannando al rogo moltissimi uomini, cui erano imputati crimini contro natura, in particolare nel periodo compreso tra il 1567 e il 1616. Questa rigida politica di repressione e cattolicizzazione culminò nell’espulsione dei moriscos dalla Spagna, nel 1609-1614, ma questo non servì ad acquietare il clima. Anzi gli spagnoli presero atto di quanto il vizio sodomitico si fosse ormai diffuso in ogni ceto sociale ed etnia che componeva la popolazione, e i roghi ripresero con maggiore frequenza che in passato, tanto che furono molti coloro che decisero di lasciare il proprio paese recandosi per lo più a Roma, dove speravano di trovare un clima più indulgente. L’Italia, tra l’altro, si distingueva già da molto tempo per l’estrema frequenza con cui l’omoerotismo era praticato, in particolare in alcune città come Firenze, seppure in modo meno sfacciato di alcuni conversos che, in Spagna, secondo le testimonianze del tempo, erano solito portare capelli e ornamenti alla maniera femminile, mentre le donne avevano preso a portare i capelli come gli uomini e ad indossare il cappello e la cintura. Di fronte a episodi del genere, la chiesa di Roma si era affrettata ad emanare una bolla papale che consentisse agli inquisitori di perseguire il reato sodomitico in Aragona, prendendo atto della viziosità ormai propria anche degli spagnoli, ed in particolare degli aragonesi. Gli aragonesi dunque, una volta cacciati i moriscos ritenuti artefici della corruzione e della conseguente bolla papale, chiesero al pontefice la modifica del provvedimento, o quantomeno l’estensione di questo a tutta la Spagna, poiché essi ritenevano di non essersi macchiati dal vizio sodomitico più di altri. Movellàn, “Oltre la repressione: relazioni omosessuali tra musulmani e cristiani nella Spagna del 500 e 600” I rapporti tra cristiani e musulmani, tuttavia, non furono sempre ed esclusivamente dettati dalla repressione e da un rigida distinzione razziale. Islamici e cattolici, dividendo lo stesso territorio, ossia quello spagnolo, entrarono spesso in relazione tra loro e, talvolta, si instaurarono tra le due etnie anche rapporti omoerotici. Un’integrazione di questo tipo fu indubbiamente favorita dal rastrellamento repressivo a cui sia i sodomiti cristiani che quelli musulmani erano sottoposti dalle autorità. Infatti quando ad essere protagonisti degli atti contro natura erano i cristiani, l’atteggiamento del potere era ambivalente: alcune volte questi venivano puniti in quanto peccatori e trasgressori, ma erano considerati quasi inconsapevoli, circuiti dagli islamici che, atti a praticare la loro sodomia, sapevano come condurre al vizio coloro che ancora non avevano peccato. Molte altre volte invece, i cristiani sodomiti venivano punti assai duramente in quanto, se l’immonda legge di Maometto ammetteva la sodomia, la legge di Dio la repelleva e condannava, dunque l’infrazione risultava ancora più grave. Il saggio si concentra sull’attività della giustizia secolare della Spagna dell’età moderna, viene presa in analisi un testo che contiene le memorie del padre gesuita Pedro de Léon che fu confessore dei condannati rinchiusi nelle carceri di Siviglia tra il 1578 e il 1616. Viene sottolineato che la repressione colpì generalmente uomini provenienti da ceti popolari. Per poter deliberare in favore di una pena capitale, erano sufficienti indizi o presunzioni. Questa strenua lotta contro le pratiche sodomitiche (perfettamente comprensibile se consideriamo che queste ultime assurgevano tanto al rango di delitto quanto a quello di peccato) contribuì a creare una sorta di autocoscienza omosessuale e di solidarietà e complicità tra omosessuali che condividevano lo stesso territorio e la stessa sorte. La clandestinità fece sì che questi uomini costruissero dei linguaggi taciti e sconosciuti ai più per comprendersi, per riconoscersi, per interagire con la certezza di appartenere alla stessa minoranza, senza rischiare quindi la pena capitale. Si venne a creare così una vera e propria sottocultura, non molto diversa da quella che sarà presente in altri paesi anche europei secoli dopo. Cristiani e musulmani, quindi iniziarono ad appartenere alla stessa compagine e ad identificarsi in un unico e coeso gruppo. I luoghi in cui in particolar modo sembrava diffondersi la pratica di avere rapporti sessuali con partner dello stesso sesso, erano quelli frequentati da soli individui di sesso maschile, come ad esempio le scuole o gli acquartieramenti militari. Altrettanto rischiosi erano quei contesti in cui individui deboli (solitamente bambini o ragazzini) si trovavano assoggettati all’autorità di un maestro, un sacerdote, una figura, insomma più forte e potente, come ad esempio nel caso degli orfanotrofi. Consapevoli della ormai diffusione del fenomeno omosessuale e della facilità con cui i giovani tendevano a soddisfare certi appetiti, gli educatori iniziarono a sviluppare una vera e propria fobia del tatto, poiché essi ritenevano che il semplice contatto fisico poteva aprire le porte dei sensi e indurre i ragazzi in tentazione. Ad essere puniti per l’appagamento di questi istinti, comunque, erano per di più i ceti poveri o le fasce medie della popolazione, mentre i personaggi più insigni praticavano spesso l’omoerotismo con la tacita complicità delle istituzioni che avrebbero dovuto comminare la pena per i loro atti e dare esecutività all’eventuale sentenza capitale. Disegno di fine 700, proveniente da un trattato omoerotico turco-ottomano, in cui si vede il massaggiatore di un bagno turco con la parte inferiore della testa rasata. A quanto pare, questi giovani prestavano regolarmente servizi sessuali. Chi commetteva il suddetto peccato della sodomia portava la nuca rasata. Ancora oggi, in Brasile, si usano le espressioni “mangiare carne di collo” o “inspirare nella cervice”, per indicare la posizione assunta dal partner attivo che si sdraia sulla schiena del passivo. Su circa 600 processi per sodomia che coinvolsero oltre cinquemila “complici”, sono due solo le occorrenze incontrato circa il tagliarsi i capelli sulla nuca o il rasarsi gli organi genitali. In entrambi i casi in rapporto ad amori omoerotici connessi all’islam. Bourge, “Colonialismo, omosessualità e mondo islamico nell’immaginario europeo tra 800 e 900” Un percorso di colonizzazione, per molti versi analogo a quello avvenuto in età moderna, caratterizzerà anche la storia del XIX e XX secolo. Le grandi potenze europee infatti, in particolare la Francia ed il Regno Unito, diedero vita ad una vera e propria epopea coloniale, anche questa volta, come secoli addietro, nel nome della “civilizzazione”. In questa occasione, però, l’influsso del positivismo portò i conquistatori ad avere un diverso approccio nei confronti delle popolazioni conquistate, ossia un approccio scientifico, tendendo allo studio di questi uomini così diversi attraverso l’analisi. Si svilupparono, ad esempio, gli studi di criminologia. Ad interessare in particolar modo i colonizzatori, però, furono i comportamenti sessuali degli indigeni. Un tale interesse non era ascrivibile solo a fini accademici di ricerca scientifica: esso aveva come ulteriore e fondamentale scopo la conoscenza delle popolazioni assoggettate, per averne assicurato il dominio. Lo studio della sessualità di questi popoli si concentrò anche sulle devianze del comportamento sessuale, prima fra tutte l’omosessualità. La forte componente omosessuale dei colonizzati si inseriva perfettamente nell’ottica occidentale: alla razza bianca, eterosessuale, civilizzata, spettava il dominio su un mondo incivile, che appariva in decadenza e deviava dalla norma e dall’ordine. Le teorie scientifiche circa lo stretto legame tra il corpo dell’uomo e le sue caratteristiche comportamentali, che avevano avuto molta risonanza in occidente, (basti pensare alla fisionomia del crimine secondo Lombroso) vennero applicate anche agli indigeni in questione. Per quanto riguarda l’omosessualità in particolare, vennero condannati vari sudi anatomici, portati avanti soprattutto da Kocher sulla base degli studi di Tardieu, per tentare di motivare l’inclinazione delle popolazioni islamiche e orientali al coito anale. Molte di queste ricerche però si rivelarono infruttuose. Vennero allora indicati come fattori scatenanti dei comportamenti anomali, caratteri di ordine religioso e morale. Chevalier, supportato da molti altri suoi contemporanei tra cui Kocher stesso, individua varie cause di questo tipo: innanzitutto egli affermava che a determinare la preferenza dei soggetti presi in esame per i partner del loro stesso sesso, fosse la poligamia che, causando nell’uomo un’eccessiva saturazione sessuale, lo spingeva a cercare legami, relazioni, amplessi di tipo diverso, ossia omosessuale. Un’altra ipotesi avanzata fu quella dell’omosessualità situazionale: questi studiosi ritenevano che la poligamia e gli squilibri economici tra i vari ceti sociali determinassero l’acquisizione, da parte dei membri delle classi superiori, della maggior parte delle donne, causando una penuria di individui di sesso femminile nelle classi inferiori, in cui i membri dovevano allora ripiegare sugli uomini. Fu preso in esame in questo periodo anche un altro fenomeno, che solitamente era stato trascurato: l’omosessualità femminile. Questa analisi è sorprendente non soltanto perché prende in considerazione una componente solitamente invisibile, ma anche perché la causa dell’omoerotismo viene attribuita, per la prima volta, agli europei. Infatti le donne arabe venivano considerate deboli e remissive, dunque incapaci di rappresentare la personalità dominante in una relazione lesbica, in quanto alla donna omosessuale si riteneva dovessero appartenere caratteristiche considerate peculiarmente maschili, come la forza e l’intraprendenza; oltre che degli organi genitali anormali. Solo una donna europea poteva dunque incarnare la personalità maschile e prendere l’iniziativa di una relazione sessuale lesbica. L’interesse occidentale per la sessualità di questi popoli, affetti dal cosiddetto “vizio orientale”, fu presto tradotto in opere letterarie e pornografiche che avevano lo scopo di nutrire l’immaginario degli europei e stimolarne gli appetiti. Al contempo di mostrare il “nemico” secondo degli schemi precisi di squalificazione dello stesso, dipinto come eccessivamente sessualizzato, e decisamente barbaro rispetto ai popoli colonizzatori. Esempi emblematici di questa tendenza furono, ad esempio, il romanzo pornografico “La Venere indiana” scritto da un fittizio ufficiale inglese, in cui vengono descritte le avventure sessuali di quest’ultimo con giovani inglesi preoccupate della loro verginità e con prostitute indiane, decisamente non inibite dagli stessi freni morali. Mentre nell’unico episodio in cui i protagonisti maschili sono i colonizzati anziché i colonizzatori, questi giovani indiani sono descritti nell’atto di commettere un abuso sessuale nei confronti di alcune giovani ragazze inglesi, che l’ufficiale protagonista sarà dunque chiamato, dalla sua coscienza e dal suo orgoglio nazionale, a difendere. Altro esempio indicativo sono le varie fotografie che circolarono per lungo tempo in occidente, raffiguranti harem pieni di donne perpetuamente insoddisfatte, lascive, dedite a saffismo e seminude, uomini effeminati, bellissimi, dai lineamenti delicati, con il turbante e talvolta accessori femminili: rappresentazioni iconiche della concezione occidentale dello straniero, del popolo incivile e sottomesso, privato della propria intimità, esposto al pubblico, ridotto ad una sterile ripetizione di topos rispondenti alle aspettative ed al gusto europei. Il saggio di Bourge ha, dunque, focalizzato l’attenzione su tempi più recenti e sul rapporto dell’uomo europeo con l’alterità, sia essa razziale o sessuale. Il percorso tracciato attraverso i saggi che compongono “Le trasgressioni della carne: il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, sec. XII-XX”, non è semplicemente una descrizione dettagliata e complessiva di eventi passati, ma una scoperta degli avvenimenti storici che ancora oggi continuando ad avere ripercussioni ed eco, un percorso attraverso l’evoluzione del pensiero e dell’atteggiamento umano circa le inclinazione sessuali considerate devianti. Per capire quanto il presente sia condizionato dal passato, quanto la storia rappresenti non una disciplina statica, ma un processo dinamico e perpetuo, basti pensare alla rivoluzione di Stonewall, ai movimenti per la libertà sessuale e omosessuale affermatisi soprattutto a metà 900, che forse si sarebbero determinati in maniera diversa senza quel processo di costruzione dell’autocoscienza omosessuale che abbiamo visto formarsi fin dall’età moderna, e che sarà destinata a svilupparsi ed affermarsi nel corso dei secoli successivi. Allo stesso modo, non si potrebbero comprendere a pieno le varie influenze sulla percezione dei comportamenti omosessuali e la reazione di essi nella società attuale o nella Chiesa, senza conoscere le questioni filosofiche e teologiche che, nell’età passate, avevano fornito la base ideologica alla repressione del fenomeno omosessuale, e al contempo alla tacita affermazione di una pratica che, nonostante le violenze e i roghi, ancora oggi non si è estinta. La letteratura scientifica, la pornografia coloniale, come gli zoo umani e altre esposizioni coloniali, si rivolgevano esclusivamente al pubblico europeo. Creando la finzione di una relativa prossimità con i colonizzati ridotti a corpi mostruosi, permettevano di rassicurare lo spettatore europeo circa la sua superiorità sulla scala della civiltà e di giustificare la conquista coloniale “civilizzatrice”. L’interesse del colonizzatore europeo per la sessualità degli orientali, e più in particolare per l’omosessualità, non era disinteressato. Sotto lo sguardo medico legale, attraverso il prisma dell’antropologia, in cima alla penna di uno scrittore o, ancora, dietro l’obiettivo pornografico, la visione che gli occidentali avevano dell’omosessualità del mondo arabo-musulmano contribuiva appieno al processo di squalificazione dell’altro. L’Oriente era costruito come una miscela di società malate e viziose: gli occidentali erano i medici, la colonizzazione la cura.
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