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Legislazione dei Beni Culturali, Sintesi del corso di Diritto dei beni culturali

Sintesi della prima edizione del manuale

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 21/06/2024

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Scarica Legislazione dei Beni Culturali e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dei beni culturali solo su Docsity! 1. La Roma del Rinascimento 2. Napoleone e il saccheggio del patrimonio artistico italiano Le origini della tutela o 1726-1815: Roma fu soggetta a vicende che hanno costituito elementi decisivi per la creazione del fondamento ideologico e culturale della legislazione di tutela o 26 Ottobre 1795: in Francia, si scioglieva la Convenzione e s’insediava il Direttorio che, nel 1796, inviò in Italia di Napoleone Bonaparte. Le sue campagne toccavano non soltanto il nord, ma anche il centro e intaccò il patrimonio artistico italiano: la consuetudine dell’epoca ammetteva il saccheggio da parte dei vincitori di un conflitto bellico (detto “jus preade”) o 1974: la Convenzione espresse un orientamento politico volto ad assicurare alla Francia (patria delle arti, del genio, della libertà e dell’uguaglianza) le opere d’arte di altri paesi. L’ideologia sottostante a questo comportamento emerge chiaramente da un discorso politico dell’epoca: “... ha custodito con cura le numerose opere d’aere abbandonate dai despoti nella fretta della fuga. Per troppo tempo questi capolavori sono stati insudiciati dalla vista della schiavitù […]. Ma adesso queste opere immortali non sono più interra straniera; oggi esse sono giunte nella Repubblica francese.” o In occasione delle campagne d’Italia fu costituita una “Commision pour la recherche des objets des Sciences et de l’Art”, nella quale rivestì un ruolo di rilievo il matematico Gaspard Monge. Questa commissione organizzò la razzia di molte opere d’arte (anche libri, incunaboli e manoscritti) nei ducati di Modena e Parma, nello Stato Pontificio e nei territori della repubblica di Venezia. o Il saccheggio bellico operato da Napoleone a Roma fu in seguito legittimato anche giuridicamente o 17 Febbraio 1797: Trattato di Tolentino-> fu definita la pace tra la Francia e la Santa Sede dove sancì il diritto della Francia di trattenere cento opere a scelta, così confermando quanto già convenuto nell’armistizio di Bologna (23 Giugno 1796) o Le opere razziate da Napoleone furono trasportate a Parigi e per la loro entrata trionfale fu organizzata una cerimonia di due giorni denominata “Fêtes de la liberté”: il 27 e il 28 luglio 1798 (9 e 10 termidoro), nel quarto anniversario della caduta di Robespierre: - nella prima giornata, le opere ricevute dal Ministero sfilano davanti al popolo parigino sulla riva sinistra della Senna - nella seconda giornata, le opere sfilarono nel corteo trionfale davanti al Direttorio e agli ambasciatori dei paesi esteri o Il patrimonio artistico francese aveva sofferto per le distruzioni dei rivoluzionari, denunciate all’assemblea nazionale nell’Agosto del 1794 dall’abate Herni Grégoire. Esso, però, si arricchì con le opere provenienti dall’Italia, le quali aumentarono le collezioni a Louvre, che venne aperto al pubblico dopo che Luigi XVI era stato Ghigliottinando (21 Gennaio 1793) e la Convenzione aveva deciso di nazionalizzare i beni La tutela del patrimonio artistico affonda le radici nel Rinascimento . . Uno dei provvedimenti più antichi è la bolla Cum almam nostram urbem del 28 aprile 1462 emanata da papa Pio II. Imponeva il divieto di distruggere o danneggiare gli antichi edifici pubblici o i loro resti esistenti nel soprassuolo di Roma e nel suo territorio anche se collocati in aree di proprietà privata. Il divieto era sanzionato con la scomunica, il carcere e la confisca dei beni. . La bolla Cum provida del 1474 di papa Sisto IV vietava di spogliare le chiese dei marmi e degli antichi ornamenti. Questo interesse si intensificava nella prima metà del XVII secolo con un nuovo editto del 1646 e si introducevano così i primi fondamenti della legislazione di tutela. L’esportazione di beni artistici era assoggettata ad una licenza, anche gli scavi archeologici con l’obbligo di denunciare i reperti e di trattenerli per il controllo delle pubbliche autorità. . Ancora, abbiamo l’editto del 21 ottobre 1726 del cardinale Annibale Albani. I monumenti antichi e le opere d’arte del passato alimentavano un ricco mercato antiquario che spogliava la città di Roma. Essi erano protetti perché attiravano il turismo, ma anche perché volevano a promuovere l’istruzione artistica: gli artisti contemporanei traevano sempre nuova ispirazione dalla contemplazione e dall’ammirazione dei capolavori dell’antichità. . Lo Stato pontificio rinnovava la protezione dei beni artistici con l’ Alessandro Albani (1733) e poi con l’editto del cardinale Silvio Valenti Gonzaga (1750). . I pontefici erano grandi committenti per gli artisti del loro tempo e iniziavano la creazione delle collezioni poi ordinate nel museo pio-clementino, nucleo di base del complesso dei musei vaticani, realizzato, su impulso dei papi Clemente XIV e Pio VI. . Nel 1738 nel regno di Napoli il re Carlo III di Borbone promosse a Ercolano gli scavi archeologici che misero in luce statue in marmo e in bronzo, iscrizioni, decorazioni della scena del teatro. . Dieci anni più tardi, nel 1748, iniziarono gli scavi archeologici anche a Pompei. Dal 1750 la villa reale di Portici diventò il “Museum Herculanense”. A partire dal 1755 l’Accademia Ercolanense pubblicò otto tomi con la documentazione degli scavi, contribuendo al pieno inserimento di Napoli nel Grand Tour. Nel 1764 fu pubblicata a Dresda l’opera di Johann Joachim Winckelmann frutto del soggiorno a Roma, La Storia dell’arte dell’antichità. . Ebbe un ruolo fondamentale nel superamento degli studi di antiquaria di quell’epoca, nella creazione del gusto artistico e nell’impostazione scientifica della moderna archeologia come studio della storia dell’arte. Fra il 1796 e il 1815 molte opere d’arte conservate a Roma furono oggetto di vicende hanno costituito un tornante essenziale per il fondamento ideologico e culturale della legislazione di tutela dei beni culturali. Il 26 ottobre 1795 si scioglieva in Francia la Convenzione. Si insediava il Direttorio che inviava in Italia un giovane generale di artiglieria, Napoleone Bonaparte. Napoleone sconfiggeva i piemontesi e proseguiva le operazioni belliche in Italia settentrionale contro l’Austria fino alla pace di Campoformido (17 ottobre 1797). . Le campagne d’Italia di Napoleone investivano l’Italia centrale e toccavano il patrimonio artistico italiano. La consuetudine dell’epoca ammetteva infatti il saccheggio da parte del vincitore di un conflitto bellico, lo jus predae. . Già dal 1794 la Convenzione aveva espresso un orientamento politico volto ad assicurare alla Francia, le opere d’arte di altri paesi, cosicché l’esercito repubblicano francese aveva saccheggiato il patrimonio artistico dei Paesi Bassi. . In occasione delle campagne d’Italia fu costituita una Commission pour la recerche des objets des Sciences et de l’Art. Questa Commissione, operante al seguito delle truppe napoleoniche, organizzò la razzia di molte opere d’arte nei ducati di Modena e Parma, nello Stato pontificio e nei territori della repubblica di Venezia. . Furono così trasportati a Parigi l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, la Trasfigurazione, la Madonna di Foligno di Raffaello Sanzio, i cavalli di bronzo della basilica di San Marco a Venezia, a loro volta provenienti dal saccheggio di Costantinopoli del 1204, in occasione della quarta crociata. . Il trattato di Tolentino (17 febbraio 1797) col quale fu definita la pace tra la Francia e la Santa Sede, sancì il diritto della Francia di trattenere cento opere a scelta. 3. Le lettere à Miranda di a.c. Quatremère de quincy Il saccheggio di opere d’arte iniziato da Napoleone fin dal suo arrivo fu osteggiato nella stessa Francia. Nel 1796 Antoine Chrysostome Quatrèmere de Quincy pubblicava a Parigi in forma anonima un libretto di 74 pagine, il quale comprendeva sette lettere indirizzate al generale napoleonico Miranda. . In queste lettere poneva il fondamento ideologico di una parte importante della legislazione italiana ma anche di varie convenzioni internazionali sulla tutela dei beni culturali. La prima lettera si rifaceva a concezioni dell’illuminismo per sostenere una comunità culturale europea, una repubblica generale delle arti e delle scienze, con membri legati fra loro dall’amore e dalla ricerca del bello e del vero, interessati alla conservazione dell’intero patrimonio artistico. . La Seconda lettera considerava l’Italia una specie di museo e un deposito completo per la conservazione dei monumenti locali e delle tradizioni dell’antichità, sottolineando l’impegno dello stato pontificio per il recupero del patrimonio dell’antichità; la comune civiltà europea trovava la sua base nei modelli e nei monumenti artistici dell’antichità, capaci di esercitare un’influenza straordinaria sullo studio delle arti e sul genio dell’Europa. La Terza lettera esaltava Winckelmann per il suo spirito di osservazione, la sua capacità di analisi delle scuole e degli stili, la sua attitudine alla classificazione e al confronto delle opere, l’individuazione di principi critici e di un metodo; tale omaggio era funzionale all’affermazione del valore dell’unità del patrimonio artistico di Roma, un valore enunciato con l’affermazione di principio che “dividere è distruggere”; sosteneva, dunque, per le opere di antichità, il valore del contesto e cioè che esse dovessero rimanere nel luogo in cui storicamente si erano consolidate. . Nella Quinta lettera l’autore insisteva su una concezione universale dell’arte e sul valore del complesso dei monumenti di antichità presenti a Roma. Il viaggio a Roma costringeva gli artisti a staccare da ogni diverso interesse, serviva da stimolo ai talenti e tornava a vantaggio di tutti i paesi. . Nella Settima lettera sostiene ulteriormente la necessità di non frazionare le collezioni perché non equivale a propagare la conoscenza bensì a disperderla. " È:{ &" µ:*, • " ÷.ie?Yy È A 1 , i ¥? " & ! I µ µ " Yip µ " " " A ¥ µ IN 3. Le lettere à Miranda di a.c. Quatremère de quincy 4. ANTONIO CANOVA A PARIGI NEL 1815 5. IL CHIROGRAFO CHIARAMONTI E L'EDITTO DEL CARDINAL PACCA all’affermazione del valore dell’unità del patrimonio artistico di Roma, un valore enunciato con l’affermazione di principio che “dividere è distruggere”; sosteneva, dunque, per le opere di antichità, il valore del contesto e cioè che esse dovessero rimanere nel luogo in cui storicamente si erano consolidate. . Nella Quinta lettera l’autore insisteva su una concezione universale dell’arte e sul valore del complesso dei monumenti di antichità presenti a Roma. Il viaggio a Roma costringeva gli artisti a staccare da ogni diverso interesse, serviva da stimolo ai talenti e tornava a vantaggio di tutti i paesi. . Nella Settima lettera sostiene ulteriormente la necessità di non frazionare le collezioni perché non equivale a propagare la conoscenza bensì a disperderla. Nel 1815 dopo la caduta di Napoleone Bonaparte papa Pio VII e il segretario di Stato conferirono ad Antonio Canova l’incarico di recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi. Il compito si presentava molto difficile giacché il congresso di Vienna non aveva trattato il tema della restituzione delle opere d’arte razziate da Napoleone. . Canova fece ristampare a Roma e a Parigi, le Lettres à Miranda di Quatrèmere de Quincy nelle quali erano ben esposte le ragioni che egli intendeva far valere. . Le particolari circostanze dell’epoca consentirono ad Antonio Canova di recuperare solo parzialmente le opere d’arte trafugate da Napoleone nello Stato pontificio. Tra queste opere vi fu anche l’Apollo del Belvedere. Per il successo sia pure parziale fu decisivo il richiamo ai valori espressi da Quatrèmere de Quincy, il quale ebbe con Canova un profondo sodalizio intellettuale. Già prima dell’azione diplomatica di Canova conseguente alla caduta di Napoleone Bonaparte, le vicende dello Stato pontificio storico qui considerato appaiono decisive per lo sviluppo della moderna legislazione di tutela del patrimonio artistico. . Nel 1802 il cardinale Giuseppe Doria Pamphilij emanò con un suo editto un chirografo di papa Pio VII del 1° ottobre 1802 sulle antichità e belle arti in Roma e nello Stato ecclesiastico. . Il chirografo Chiaramonti rinnovò il divieto di esportazione di opere d’arte, recò varie altre disposizioni di protezione del patrimonio artistico romano impoverito dalla razzia napoleonica. Il chirografo confermò quanto già posto dalla bolla Cum almam nostram precisando (art. 8) che la licenza di demolizione sarebbe stata rilasciata dal cardinale camerlengo, previa visita dell’Ispettore delle belle arti e del Commissario delle antichità, soltanto per quei ruderi “la conservazione delli quali si conoscesse non essere di alcuna importanza né per le Arti, né per la Erudizione”. . Il chirografo Chiaramonti si spinse molto oltre. Stabilì il divieto di mutilare, spezzare, alterare e danneggiare le statue, bassorilievi, cippi, lapidi o altri antichi monumenti e di fondere metalli antichi figurati, medaglie di ogni tipo, iscrizioni in metallo e qualunque oggetto del genere, ancorché in frammenti. L’Ispettore delle belle arti e il Commissario delle antichità erano incaricati di vigilare sull’osservanza del divieto ma con facoltà di rilasciare licenza nel caso in cui gli oggetti non fossero di alcun pregio e si potessero senza danno convertire in altri usi. . Il chirografo Chiaramonti richiamò la costituzione Quam provida di papa Sisto IV del 1474 per confermare il divieto di togliere dalle chiese pubbliche e dagli edifici annessi i marmi antichi scolpiti, le iscrizioni, i mosaici, le urne, gli altri ornamenti o monumenti di qualunque specie. Il divieto di sottrarre gli ornamenti dalle chiese era corredato dalla precisazione che la facoltà di autorizzare la rimozione dalle chiese degli ornamenti era soltanto propria del cardinale camerlengo, in ogni caso previo esame e relazione dell’Ispettore delle belle arti e del Commissario delle antichità. . Lo stesso divieto era esteso ai quadri, per i quali era stabilito il divieto di rimozione, di alienazione, di restauro, di spostamento per la loro copia, senza il permesso dell’Ispettore e del Commissario. Il chirografo estese le limitazioni alle facoltà proprietarie anche alla decorazione architettonica antica e in genere a tutti i resti archeologici, nonché alla decorazione, fissa e rimovibile, delle chiese. . La tecnica seguita consisteva sempre in un divieto relativo, ossia nella sottoposizione degli interventi dei proprietari a un previo provvedimento di permesso dell’autorità, rilasciabile nel caso in cui l’intervento non costituisse danno per il patrimonio artistico tutelato. Il chirografo prevedeva inoltre gli Assessori, posti sotto la totale dipendenza e subordinazione dell’Ispettore delle belle arti e del Commissario delle antichità. . Le violazioni delle prescrizioni contenute nel chirografo erano sanzionate gravemente: erano previste, pene pecuniarie o corporali ad arbitrio del cardinale camerlengo, la pena di cinquecento ducati d’oro, la confisca dei beni. . Nello Stato pontificio la disciplina contenuta nel chirografo Chiaramonti del 1802 fu sviluppata dall’editto del cardinale Bartolomeo Pacca del 7 aprile 1820 il quale costituì il fondamento della legislazione italiana. 6. L'Unità d'Italia e la collezione d'arte Dopo l’unità d’Italia mancò per molti decenni una legge di tutela del patrimonio artistico. Nel 1871 fu disposto che continuassero ad avere vigore le leggi e i regolamenti speciali preunitari attinenti alla conservazione e agli oggetti d’arte (l. 28 giugno 1871, n. 286). . Nel territorio corrispondente a quello dello Stato pontificio continuarono dunque ad applicarsi il chirografo Chiaramonti del 1802 e l’editto del cardinale Pacca del 1820. . La l. 286/1871 regolò anche le collezioni d’arte per le quali vale in special modo la tesi di Quatrèmere de Quincy che “dividere è distruggere”. . Le collezioni hanno un valore culturale che trascende la somma dei valori dei singoli beni di cui sono composte e ha cercato di proteggere la loro integrità, evitando la dispersione dei singoli oggetti che lo costituiscono. . Il problema della tutela delle collezioni d’arte si poneva in particolare per la città di Roma ove si erano storicamente formate molte altre importanti raccolte di antichità e d’arte. L’integrità era stata protetta nel tempo dagli stessi proprietari mediante il fedecommesso. Il diritto dell’epoca consentiva infatti di istituire, mediante il testamento, una pluralità di eredi in successione tra loro. L’autonomia di ciascun erede era limitata giacché egli riceveva il bene fedecommissario con l’obbligo della sua trasmissione a successivi eredi già designati dal testamento: era quindi precluso lo smembramento del patrimonio ereditario. . I fedecommessi costituivano una limitazione alla circolazione dei beni considerata contraria alle nuove esigenze di libertà dello sviluppo dei traffici e dei commerci, e furono quindi aboliti nel regno d’Italia dal codice civile del 1865. . L’art. 24 delle disposizioni transitorie per l’attuazione del codice civile stabilì inoltre lo scioglimento, a partire dal 1° gennaio 1866, dei fedecommessi ordinati secondo le leggi anteriori, attribuendo la proprietà della metà dei beni al possessore a quella data e la proprietà dell’altra metà al primo o ai primi chiamati nati o concepiti alla stessa data, salvo l’usufrutto al possessore. . Dopo la l. 28 giugno 1871, n. 286 stabilì che, nonostante lo scioglimento dei fedecommessi e fino a quando non fosse stato altrimenti provveduto mediante una legge speciale, le gallerie, le biblioteche e le altre collezioni di arte o di antichità rimanessero indivise e inalienabili fra i chiamati alla risoluzione del fedecommesso, loro eredi o aventi causa. Il favore per la libertà di circolazione dei beni trovò dunque un limite: la legge volle evitare la possibile dispersione delle collezioni derivante dallo scioglimento dei fedecommessi e quini tutelò le collezioni d’arte stabilendo non solo la loro indivisibilità ma anche la loro inalienabilità. Non fu prevista la possibilità di un provvedimento di autorizzazione al loro smembramento. Ì La speciale disciplina delle collezioni d’arte oggetto in precedenza di disposizioni testamentarie fedecommissarie fu corretta nel 1883 su iniziativa del Ministro della giustizia Giuseppe Zanardelli. . La l. 8 luglio 1883, n. 1461 confermò l’indivisibilità delle raccolte già gravate da vincolo fedecommissario, ma consentì la loro alienazione in favore dello Stato, delle Province, dei Comuni, di istituti o altri enti morali laici nazionali fondati o da fondarsi, con l’obbligo per questi enti di conservare e destinare in perpetuo a uso pubblico le dette gallerie, biblioteche e collezioni. 5. LA CONVENZIONE DEL 4. L'obelisco di axum e la sua restituzione La vicenda dell’obelisco di Axum è significativa, una stele funeraria del III secolo d.C. in pietra basaltica scura, di 24 metri di altezza e 160 tonnellate di peso. L’obelisco fu trafugato nel 1937 in occasione della guerra d’Africa, dalla città di Axum nella regione del Tigrai in Etiopia e fu collocato a Roma nella zona del Circo Massimo in piazza di Porta Capena. . Nel 1947 l’Italia si impegnò a restituire all’Etiopia l’obelisco di Axum mediante il trattato di pace con le potenze alleate vincitrici della seconda guerra mondiale. Il termine di diciotto mesi non fu rispettato ma l’impegno alla restituzione fu confermato nel 1956 da un accordo tra Italia ed Etiopia. . Le spese dell’operazione erano poste a carico del Governo italiano, il quale avrebbe dovuto altresì prendere le misure necessarie per l’imbarco a Napoli con l’armatura e l’imballaggio necessari per l’inoltro in Etiopia. Questo impegno è rimasto inadempiuto per decenni, mentre il sito di Axum nel 1980 era iscritto nella lista dei beni culturali protetti dalla convenzione Unesco del 1972 come patrimonio dell’umanità. . Le ragioni dell’inadempimento non erano solo di ordine finanziario, tecnico o semplice inerzia amministrativa, ma anche di carattere politico. Vi era ancora chi preferiva ispirarsi a Napoleone Bonaparte. L’impegno alla restituzione dell’obelisco è stato infine adempiuto nell’aprile 2005. PATRIMONIO CULTURALE MONDIALE I valori sostenuti da Quatremère de Quincy nel 1796 sono stati raccolti anche nella convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, firmata a Parigi il 23 novembre 1972 nell’ambito della diciassettesima sessione della conferenza generale dell’Unesco. . Questa convenzione si ispira al principio che tutto il patrimonio culturale appartenga a tutti i popoli del mondo e che per la sua tutela occorra favorire la collaborazione tra i diversi paesi. . Il preambolo indica chiaramente presupposti e finalità della convenzione. Si afferma infatti che la degradazione o la sparizione di un bene del patrimonio culturale costituisce un impoverimento nefasto del patrimonio di tutti i popoli del mondo. Si afferma inoltre l’importanza che presenta per tutti i popoli la salvaguardia di beni unici e insostituibili a qualsiasi popolo essi appartengano. . La convenzione promuove la partecipazione di tutta la collettività internazionale alla tutela del patrimonio culturale di valore universale eccezionale mediante un’assistenza collettiva che la completi efficacemente. . L’art. 1 della convenzione reca una definizione del patrimonio culturale, distinto in monumenti, complessi e siti. La convenzione riguarda dunque solo i beni immobili. . Secondo l’art. 4 ogni Stato parte della convenzione riconosce che l’obbligo di assicurare l’identificazione, la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la trasmissione alle future generazioni del patrimonio culturale e naturale. . L’art. 5 indica gli Stati alcune misure essenziali per la tutela del patrimonio culturale. . La cooperazione internazionale si sviluppa in due direzioni, di cui la prima ha carattere negativo. . Secondo l’art. 6, par. 3 ogni Stato della convenzione si impegna a non adottare deliberatamente alcuna misura che possa direttamente o indirettamente arrecare danno al patrimonio culturale situato nel territorio di altri Stati parti della stessa convenzione. . In positivo, l’art. 7 stabilisce che per la tutela internazionale del patrimonio culturale mondiale si intende la costituzione di un sistema di cooperazione e assistenza internazionali miranti a favorire gli Stati parti della convenzione nei loro sforzi per preservare e identificare tale patrimonio. Questo sistema di cooperazione e assistenza si fonda su un Comitato intergovernativo costituito presso l’Unesco e denominato Comitato del patrimonio mondiale. . Sulla base di elenchi presentati dai singoli Stati parti della convenzione, il comitato compila, aggiorna e pubblica, sotto il nome di Elenco del patrimonio mondiale un elenco dei beni del patrimonio culturale. Inoltre quando le circostanze lo esigono, il Comitato compila, aggiorna e pubblica l’Elenco del patrimonio mondiale in pericolo per la cui salvaguardia si richiedono lavori considerevoli e per i quali è stata chiesta assistenza nell’ambito della convenzione. . Gli Stati parti della convenzione possono presentare al Comitato domande di assistenza internazionale per i beni situati nel loro territorio inseriti nei due elenchi. . Il Comitato decide sulle domande, determina, se nel caso, la natura e l’importanza del suo aiuto e autorizza la conclusione degli accordi necessari con il governo interessato. . A tal fine il Comitato decide sull’utilizzazione delle risorse del Fondo del patrimonio mondiale. La convenzione però stabilisce che il finanziamento dei lavori, in linea di principio, deve incombere solo parzialmente sulla comunità internazionale. 6. LA CONVENZIONE unesco del 14 novembre 1970 Ancor prima della convenzione esaminata al paragrafo precedente l’Unesco aveva adottato a Parigi, il 14 novembre 1970, la convenzione Unesco concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali. . Le finalità della convenzione sono espresse all’art. 2 secondo cui gli Stati riconoscono che l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali costituiscono una delle cause principali di impoverimento del patrimonio culturale dei paesi d’origine di questi beni e che una collaborazione internazionale costituisce uno dei mezzi più efficaci per proteggere i rispettivi beni culturali contro tutti i pericoli che ne sono le conseguenze. La convenzione riguarda dunque i beni mobili. . Gli Stati si impegnano, in particolare, a costituire e tenere aggiornata sulla base di un inventario nazionale di protezione, la lista dei beni culturali importanti pubblici e privati, la cui esportazione costituirebbe un impoverimento sensibile del patrimonio culturale nazionale. Essi si impegnano inoltre a esercitare un’azione educativa al fine di risvegliare e sviluppare il rispetto verso il patrimonio culturale di tutti gli Stati e diffondere largamente la conoscenza delle disposizioni della convenzione. . L’art. 6 della convenzione prevede però anche impegni specifici per il controllo dell’esportazione. Gli Stati si impegnano a istituire un certificato appropriato mediante il quale lo Stato esportatore specifica che l’esportazione del bene o dei beni culturali in questione è autorizzata e tale certificato deve accompagnare i beni culturali regolarmente esportati, a proibire l’esportazione dal proprio territorio dei beni culturali non accompagnati da questo certificato di esportazione, a portare questa proibizione a conoscenza del pubblico. . L’art. 7 della convenzione prevede gli impegni per prevenire l’illecita importazione di beni culturali e per rimediare ad essa. Gli Stati si impegnano ad adottare tutte le misure necessarie per impedire l’acquisizione da parte di musei e altre istituzioni similari di beni culturali provenienti da un altro Stato parte della convenzione esportati illecitamente dopo l’entrata in vigore di quest’ultima, a proibire l’importazione dei beni culturali rubati in un museo o un monumento pubblico civile o religioso, o in una istituzione similare situati sul territorio di un altro Stato parte dopo l’entrata in vigore della convenzione, ad adottare misure appropriate per recuperare e restituire, su richiesta dello Stato d’origine, qualsiasi bene culturale rubato o importato illecitamente. . Fra gli altri impegni previsti dalla convenzione meritano una particolare considerazione quelli all’art. 10 secondo cui gli Stati si impegnano a obbligare antiquari a tenere un registro che menzioni la provenienza di ciascun bene culturale, il nome e l’indirizzo del produttore, la descrizione e il prezzo di ciascun bene venduto nonché a informare l’acquirente del bene culturale del divieto di esportazione di cui tale bene può essere oggetto, a fare ogni sforzo per creare e sviluppare nel pubblico il sentimento del valore dei beni culturali e del pericolo che il furto, gli scavi clandestini e le esportazioni illecite rappresentano per il patrimonio culturale. In base all’art. 13 gli Stati si impegnano a impedire con tutti i mezzi adeguati i trasferimenti di proprietà di beni culturali diretti a favorire l’importazione o l’esportazione illecite di tali beni, a fare in modo che i propri servizi competenti collaborino al fine di facilitare la restituzione a chi di diritto, a consentire un’azione di rivendicazione dei beni culturali perduti o rubati esercitata dal proprietario legittimo, a riconoscere il diritto imprescindibile di ciascuno Stato di classificare e dichiarare inalienabili alcuni beni culturali che per questo motivo non devono essere esportati. +++++++ In base all’art. 11 vengono considerati come illeciti l’esportazione e il trasferimento di proprietà indebita di beni culturali risultanti direttamente o indirettamente dall’occupazione di un paese da parte di una potenza straniera. 7. La convenzione unidroit Il valore del mantenimento dei beni culturali nel loro paese d’origine è affermato anche dalla convenzione sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma il 24 giugno 1995. . Questa convenzione è stata promossa dall’Unidroit, l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato e la sua finalità principale è la tutela degli acquirenti in buona fede di beni culturali rubati o illecitamente esportati. . La convenzione dell’Unidroit non è alternativa ad altre convenzioni internazionali sulle stesse materie e in particolare a quella dell’Unesco del 1970. . Essa, infatti, non deroga agli strumenti internazionali da cui uno Stato contraente è giuridicamente vincolato e che contengono disposizioni sulle materie regolate dalla convenzione stessa, a meno che una diversa dichiarazione sia resa dai singoli Stati vincolati da tali strumenti. Gli Stati aderenti sono solo 41. . La convenzione dell’Unidroit afferma all’art. 13 il principio che i beni culturali rubati devono sempre essere restituiti. La restituzione deve essere però richiesta entro un termine prefissato. . Nel caso di beni culturali illecitamente esportati ne deve essere ordinato il ritorno quando lo Stato contraente dimostri che l’esportazione del bene comporta un significativo pregiudizio alla conservazione fisica del bene o del suo contesto, all’integrità di un bene complesso, alla conservazione dell’informazione relativa al bene, all’uso tradizionale o rituale del bene da parte di una comunità autoctona o tribale oppure quando lo Stato dimostri che il bene ha un’importanza culturale significativa. . La convenzione dell’Unidroit comporta una significativa correzione all’art. 1153 c.c., per i beni mobili l’acquirente in buona fede che abbia ricevuto in consegna il bene ne acquista la proprietà nonostante che il venditore non ne sia effettivamente proprietario. . Questa regola, volta a facilitare i commerci di cose mobili, risulta limitata dalla convenzione dell’Unidroit. L’acquirente in buona fede di beni culturali rubati, il quale pure ne sia diventato proprietario in base alle regola possesso vale titolo deve restituirli se lo Stato interessato lo richieda. . L’interesse economico dell’acquirente di buona fede del bene culturale rubato o illecitamente esportato è però protetto dalla convenzione. . Parimenti il possessore di un bene culturale che ha acquisito detto bene dopo la sua illecita esportazione ha diritto, al momento del ritorno al pagamento dello Stato richiedente di equo indennizzo con riserva che egli non sapeva né avrebbe dovuto ragionevolmente sapere al momento dell’acquisizione che il bene era stato illecitamente esportato. 8. Il commercio INTERNAZIONALE: IL GATT Il valore della conservazione dei beni culturali nel loro contesto è riconosciuto anche dall’accordo noto come Gatt, stipulato a Ginevra il 30 ottobre 1947 e ratificato dall’Italia con la , n. 1172. . Il Gatt è un accordo internazionale contenente un complesso di regole fondate sulla non discriminazione e sul divieto di restrizioni quantitative agli scambi internazionali. Ha stabilito, infatti, che esso non impedisce l’adozione o l’applicazione da qualsiasi parte contraente di misure imposte per la protezione di tesori nazionali aventi un valore artistico, storico od archeologico, alla sola condizione che queste misure non siano applicate in maniera da costituire un mezzo di discriminazione arbitraria ingiustificata tra paesi dove esistono le stesse condizioni. . La disciplina del commercio internazionale si è successivamente evoluta con nuovi accordi internazionali e in particolare l’Uruguay Round. I negoziati dell’Uruguay Round hanno portato a un nuovo accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio la quale funge da quadro istituzionale comune per la gestione delle relazioni commerciali tra i suoi membri nelle questioni relative ai nuovi accordi. 9. LA COMUNITÀ' EUROPEA E L'UNIONE EUROPEA Il 25 marzo 1975 veniva firmato a Roma il trattato istitutivo della Comunità economica europea che si è progressivamente allargata a 28 paesi. . Il trattato di Roma del 1975 è stato ripetutamente e largamente modificato dall’Atto unico , dal e dal trattato di Amsterdam. . Il trattato di Maastricht ha sostituito l’espressione Comunità economica europea con quella di Comunità europea. Il trattato di Maastricht ha istituito anche l’Unione europea la quale segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa. . Da ultimo il trattato di Lisbona entrato in vigore l’1° dicembre 2009 ha sostituito l’espressione Comunità europea con quella di Unione europea. Esso inoltre ha modificato il trattato sull’Unione europea di Maastricht e il trattavo istitutivo della comunità economica europea, ora denominato trattato sul funzionamento dell’unione europea (Tfue). . L’art. 5 di questa convenzione impegna infatti gli Stati aderenti a considerare gli oggetti di valore culturale europeo posti sotto il suo controllo come parte integrante del comune patrimonio culturale d’Europa, nonché a prendere appropriate misure per tutelarli e per assicurare ragionevole accesso agli stessi oggetti. 10. Comunità' europea e circolazione dei beni culturali La Comunità economica europea ha influito anche sulla disciplina interna dei beni culturali per quanto concerne specificatamente la loro circolazione infracomunitaria. . Il trattato di Roma intendeva realizzare un mercato comune caratterizzato dalla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali tra i paesi della Comunità. Il trattato dunque vietava i dazi doganali e le restrizioni quantitative all’entrata e all’uscita delle merci come pure tutte le altre misure di effetto equivalente. Il trattato riconosceva però la peculiarità dei beni culturali lasciando impregiudicati i divieti o le restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, alla sola condizione che tali divieti o restrizioni non costituissero un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. . Il trattato considerava il valore della salvaguardia del contesto per i beni culturali anche se non si spingeva fino a farlo proprio. Il trattato inoltre non poneva una definizione comunitaria dei beni culturali cosicché ogni Stato poteva stabilire quali beni dovessero essere considerati beni culturali. . La l. 1° giugno 1939, n. 1089 all’epoca in vigore, vietava l’esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico “quando presentino tale interesse che la loro esportazione costituisca un’ingente danno per il patrimonio nazionale tutelato dalla presente legge”: a tal fine la legge prevedeva una licenza dell’amministrazione. L’esportazione era gravata da una tassa progressiva. . Questa tassa era stata introdotta dalle prime leggi di protezione del patrimonio culturale e trovava la sua giustificazione razionale nel presupposto che i beni culturali vengono esportati in vista della loro alienazione. . Poiché l’alienazione amplia il novero dei soggetti interessati all’acquisto si presume che essa normalmente comporti anche un aumento del prezzo dell’alienazione. . La tassa colpiva tale presumibile aumento, assicurando all’erario risorse finanziarie utilizzabili per compensare il depauperamento del patrimonio culturale nazionale con l’acquisto di nuovi beni culturali da destinare alla fruizione pubblica. . Il d.l. 5 luglio 1972, n. 288 convertito in legge con la l. 8 agosto 1972, n. 487 ha esentato dalla tassa le esportazioni di beni culturali verso altri paesi membri della Comunità. 11. Sviluppi dell'ordinamento europeo Le disposizioni del trattato di Roma sulla circolazione dei beni culturali sono state confermate dall’Atto unico europeo, firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986. . Secondo una dichiarazione generale nelle disposizioni di quell’Atto nulla pregiudica il diritto degli Stati membri di adottare le misure che essi ritengano necessarie in materia di lotta contro il traffico delle opere d’arte e delle antichità. . Dal 1° gennaio 1993 è stato attuato in modo pieno il principio della libera circolazione delle merci all’interno della Comunità, ora dell’Unione, bisogna parlare di spedizione, mentre per esportazione si intende il trasferimento di merci fuori dell’Unione. . Inoltre l’applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 ha comportato la soppressione dei controlli alle frontiere interne tra i paesi aderenti all’accordo stesso. . L’eliminazione dei controlli sistematici alle frontiere, però, rende più difficile, se non proprio impossibile, il controllo da parte dei singoli stati sull’osservanza delle proprie disposizioni che limitano la circolazione dei beni culturali. La comunità ha riconosciuto questo effetto pratico del mercato unico e ha adottato due misure di carattere compensativo, rispettivamente con un regolamento e una direttiva. . I regolamenti comunitari sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Le direttive vincolano per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. 12. L'esportazione di beni culturali fuori dall'unione L’esportazione di beni culturali fuori dell’Unione europea è stata disciplinata dal regolamento n. 3911/92/Cee, del 9 dicembre 1992 modificato nel 1996 nel 2001 e nel 2003. . La disciplina è stata quindi codificata nel regolamento n. 116/2009/Ce del 18 dicembre 2008, che definisce un regime di protezione dei beni culturali negli scambi tra i paesi dell’Unione europea e i paesi terzi. . Il regolamento riguarda invece i rapporti commerciali con i paesi terzi e ha soltanto la finalità di istituire un regime di controlli uniformi alle frontiere esterne dell’Unione. L’allegato al regolamento definisce quindi le categorie di beni culturali che devono formare oggetto di particolare protezione negli scambi con i paesi terzi. . La particolare protezione prevista dal regolamento consente così di mantenere traccia delle esportazioni fuori dell’Unione dei beni culturali rientranti nelle categorie indicate dall’allegato, nell’interesse degli Stati in cui i beni si trovano. . Il regime europeo consiste in una licenza di esportazione, rilasciata dal paese in cui il bene culturale da esportare si trovava lecitamente e definitivamente alla data del 1° gennaio 1993. Dopo questa data la licenza di esportazione può essere rilasciata da un’autorità competente dello Stato nel cui territorio il bene culturale si trova, dopo essere stato lecitamente e definitivamente spedito da un altro Stato membro dell’Unione. . Questa licenza di esportazione può essere rifiutata qualora i beni culturali in questione siano contemplati da una legislazione che tutela il patrimonio nazionale avente valore artistico, storico e archeologico nello Stato competente al suo rilascio. . L’esportazione fuori dell’Unione di beni culturali non rientranti nelle categorie elencate nell’allegato al regolamento rimane invece soggetta in via esclusiva alla legislazione nazionale dello Stato membro di esportazione. 3. Le opere d'arte contemporanea L’art. 10, co. 5, nel suo testo originario aveva stabilito che non fossero soggette alla disciplina di tutela posta dal titolo primo della parte seconda del codice le opere di autore vivente o la cui esecuzione non risalisse a oltre cinquant’anni. . Veniva così confermato un principio che trova le sue radici nel chirografo Chiaramonti del 1° ottobre 1802. Il comma 5 dell’art 10 del codice è stato sostituito due volte, nel 2011 e nel 2017. Secondo il testo ora vigente “Salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente titolo le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni, nonché le cose indicate al comma 3, lettera d-bis, che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni”. . Le opere di autori viventi sono dunque sempre escluse dalla disciplina del titolo primo della parte seconda, indipendentemente dal tempo trascorso dalla loro esecuzione. Le opere di autori defunti sono invece escluse dalla disciplina di tutela tenendo conto del tempo trascorso dalla loro esecuzione. . Il limite generale originario di cinquanta anni è stato elevato a settanta anni ed è rimasto di cinquanta anni solo per una categoria di beni di nuova istituzione, quella della lettera d-bis del comma 3: - le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della nazione; . Si deve considerare però la disciplina posta dalla l. 22 aprile 1941, n. 633 e s.m.i., Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, la quale riguarda le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, ma anche alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. . Il titolo originario dell’acquisto del diritto d’autore è costituito dalla creazione dell’opera. Non occorre dunque alcun adempimento o formalità perché sorga la protezione del diritto. . Il diritto d’autore comprende i diritti morali i cui aspetti più importanti sono: - di rivendicare la paternità dell’opera; - di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, e ogni atto a danno dell’opera stessa che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione; . I diritti morali sono inalienabili e imprescrittibili. Il diritto d’autore comprende inoltre i diritti di utilizzazione economica dell’opera: - l’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera, un diritto importante per le opere letterarie e musicali; - l’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale e derivato, nei limiti fissati dalla legge, con diritti esclusivi fra loro indipendenti, cosicché l’esercizio di uno di loro non precluda l’esercizio esclusivo di ciascuno degli altri diritti i quali hanno per oggetto l’opera nel suo insieme e in ciascuna delle sue parti; . I diritti esclusivi sono: - di riprodurre ed esso ha per oggetto la moltiplicazione in copie, diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte, dell’opera, in qualunque modo o forma; - di distribuzione, avente per oggetto la messa in commercio o in circolazione, o comunque a disposizione del pubblico, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi titolo, dell’originale dell’opera o degli esemplari di essa; - di noleggiare ovvero cedere in uso originali, copie o supporti di opere tutelate dal diritto d’autore per un periodo limitato di tempo e ai fini del conseguimento di un beneficio economico o commerciale diretto o indiretto. . L’autore rimane comunque titolare dei diritti di utilizzazione economica anche in caso di alienazione dell’opera a terzi. Dunque anche dopo la vendita dell’originale l’artista conserva rilevanti interessi economici all’esercizio dei diritti esclusivi sull’opera venduta, diritti che alla sua morte si trasmettono ai suoi successori. I diritti di utilizzazione economica durano infatti sino al termine del settantesimo anno solare dopo la morte dell’autore. . Gli artt. 64 e 178 si applicano a tutti i beni culturali anche a quelli non soggetti alle disposizioni di tutela del titolo primo della parte seconda. . Chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico o di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, scultura, di grafica, di oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione attestante l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle cose vendute. In mancanza, deve rilasciare una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza delle cose vendute. In mancanza, deve rilasciare una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile e in relazione alla natura dell’opera e dell’oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi (art. 64). . I soggetti che occasionalmente vendano un bene senza essere commercianti non sono tenuti a rilasciare gli attestati di autenticità e provenienza. . La contraffazione, alterazione o riproduzione di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico, al fine di trarne profitto, costituisce un reato punito con: - la reclusione fino a quattro anni; - la multa fino a 3098 euro. Ì Incorre in reato anche chi pur senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio o detiene per farne commercio, o introduce a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque pone in circolazione come autentici esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle stesse opere. Chi, conoscendone la falsità, autentica opere e oggetti contraffatti, alterati o riprodotti (art. 178). Il codice peraltro chiarisce che non si intende punire la semplice copia bensì la frode: le disposizioni di questo articolo non si applicano a chi riproduce, detiene, pone in vendita o altrimenti diffonde copie di opere di pittura, di scultura o di grafica, ovvero copie od imitazioni di oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico, dichiarate espressamente non autentiche all’atto dell’esposizione o della vendita, mediante annotazione scritta sull’opera o sull’oggetto o, quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell’imitazione, mediante dichiarazione rilasciata all’atto della esposizione o della vendita. Le disposizioni medesime non si applicano del pari ai restauri artistici che non abbiano ricostruito in modo determinante l’opera originale. Al fine di evitare ulteriori conseguenze della frode compiuta col reato, il codice stabilisce che è sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere e degli oggetti considerati, salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato. 4. Beni culturali di interesse religioso Nei processi per contraffazione il giudice è tenuto ad assumere come testimone l’autore a cui l’opera d’arte sia attribuita o di cui l’opera stessa rechi la firma. Il codice infine dedica l’art 63 all’attività commerciale. Chi esercita il commercio di cose rientranti nelle categorie dell’allegato A deve presentare all’autorità locale di pubblica sicurezza una dichiarazione preventiva di esercizio del commercio di cose antiche o usate che viene trasmessa al Soprintendente e alla Regione. Gli esercenti questo tipo di commercio devono annotare giornalmente le operazioni eseguite nel registro prescritto dalla normativa in materia di pubblica sicurezza, descrivendo le caratteristiche delle cose stesse. Il registro è tenuto in formato elettronico con caratteristiche tecniche tali da consentire la consultazione in tempo reale al Soprintendente il quale verifica l’adempimento dell’obbligo con ispezioni periodiche. I beni appartenenti agli enti ecclesiastici sono soggetti alla legislazione statale di tutela delle cose di interesse artistico e storico fin dalle sue origini: - la l. 185/1902 stabilì che le collezioni di oggetti d’arte e di antichità, i monumenti e i singoli oggetti di importanza artistica e archeologica, appartenenti a fabbricerie, a confraternite, a enti ecclesiastici di qualsiasi natura e quelli che adornavano chiese e luoghi dipendenti o altri edifici pubblici fossero inalienabili; - la l. 364/1909 stabilì poi che i fabbricieri, i parroci, i rettori di chiesa e in genere tutti gli amministratori di enti morali presentassero all’amministrazione l’elenco descrittivo delle cose soggette alla legge di spettanza dell’ente da loro amministrato; . Il Concordato dell’11 febbraio 1929 escluse ogni intervento dello Stato nella gestione dei beni appartenenti a istituti ecclesiastici o associazioni religiose, ma non innovò le norme in tema di patrimonio storico e artistico: la l. 364/1909 rimase quindi applicabile agli enti ecclesiastici. . Il trattato del Laterano, stipulato insieme al Concordato, riconobbe alla Santa Sede la piena proprietà delle basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di San Paolo, cogli gli edifici annessi. (art. 13); . Queste basiliche e gli altri immobili indicati negli artt. 13, 14, 15 e 16 del trattato, tutti siti nel territorio dello Stato italiano, vennero esclusi da ogni ingerenza statale. Rientrano fra questi immobili il palazzo pontificio e la villa Barberini in Castel Gandolfo. . Salvo queste eccezioni, il patrimonio culturale di interesse religioso è pienamente soggetto alla legislazione italiana di protezione. .L’accordo del 18 febbraio 1984 di modificazione del Concordato lateranense del 1929 ha ora stabilito che “La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche”. . Disposizioni analoghe si trovano anche nelle leggi che hanno fatto seguito alle intese intercorse con altre confessioni religiose diverse dalla Chiesa cattolica. La materia dei beni culturali non è però diventata una res mixta, cioè una materia regolabile unicamente in via pattizia e quindi col consenso della controparte, poiché permane integra la sovranità dello Stato e le opportune disposizioni da concordare tra le parti interessate sono soltanto attuative della legislazione statale e quindi subordinate alla stessa. . Il codice dei beni culturali considera in più punti i beni degli enti ecclesiastici, pienamente soggetti alla disciplina di tutela: l’art. 1, co. 5, stabilisce che “I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione”. . Si vedano poi gli artt. 10, co. 1; 30, co. 2, 56, co. 2, lett b). . L’art. 9 del codice ha disposto che “Per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e per quanto di competenza le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d’accordo con le rispettive autorità”. . Emerge così la categoria dei beni culturali di interesse religioso come beni degli enti ecclesiastici che rientrano nel patrimonio storico e artistico nazionale e sono pienamente soggetti alla disciplina statale di tutela, ma per i quali lo Stato armonizza l’esercizio dei suoi poteri con le esigenze del culto. . Rientrano fra gli enti ecclesiastici la Conferenza episcopale italiana, le Regioni ecclesiastiche, le diocesi, le prelature territoriali, le abbazie territoriali, le parrocchie, le chiese, gli istituti religiosi, i seminari e in generale gli enti per i quali di volta in volta sia accertato il fine di religione o di culto come costitutivo ed essenziale. . Ai fini della soggezione alla disciplina di tutela, il codice accomuna i beni culturali degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti a quelli degli enti pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro. 5. La dichiarazione dell'interesse culturale I beni di proprietà di persone fisiche o di persone giuridiche private con scopo di lucro sono soggetti alla tutela soltanto se l’amministrazione abbia emanato e notificato al proprietario un provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale: - art.10, comma 3; -art 13. . Il termine notifica non è esatto perché confonde due atti diversi: la dichiarazione dell’interesse è distinta dalla sua notificazione, che è compiuta tramite il servizio postale o mediante il messo comunale. Questa distinzione risulta invece ora molto netta nel codice. . Il provvedimento reca, sulla base di una motivazione storico-artistica la dichiarazione che il bene presenta interesse artistico particolarmente importante e pertanto viene sottoposto alle disposizioni di tutela di legge: - la l. 364/1909 (art.1) richiese che le cose avessero importante interesse; - la l. 1089/1939 (art.1) richiese che tale interesse fosse particolarmente importante. . La maggiore intensità è stata confermata dal testo unico del 1999 e dal codice il quale all’art. 13 ha stabilito al comma 1 che “La dichiarazione accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell’interesse richiesto dall’articolo 10, comma 3”. . L’art. 10, stabilisce che sono beni culturali quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’Art.13: - le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 (Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali, altri enti pubblici, persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti) (lett. a); - gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante (lett. b); - le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quelle testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose (lett. d); L’interesse è diversamente graduato e di intensità ancora maggiore per la dichiarazione dell’interesse culturale relativa a tre categorie di beni: - le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale (lett. c); - le cose a chiunque appartenenti che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della nazione (lett. d-bis); - le collezioni o serie di oggetti a chiunque appartenenti che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse (lett. e); Il codice stabilisce inoltre che la dichiarazione non è richiesta per i beni indicati all’art. 10, co. 2 tutti appartenenti a enti pubblici. Questi beni rimangono sottoposti a tutela anche quando i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica. La dichiarazione dell’interesse culturale riconosce che il bene in concreto presenta le caratteristiche indicate dal codice ed è basata sull’esercizio della discrezionalità tecnica, con l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche. In caso di controversia, l’autorità giurisdizionale può valutare la logicità, coerenza e completezza della valutazione dell’amministrazione ma non può sostituirla con una valutazione diversa. Per quanto concerne specificatamente la dichiarazione dell’interesse culturale per motivi archeologici, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ritiene sufficiente la probabilità di rinvenimento di reperti di significativo valore valutata secondo un motivato giudizio tecnico- discrezionale. Spetta all’amministrazione l’attenta valutazione di tutte le circostanze di fatto. Considerata la continuità sostanziale della legislazione il codice ha stabilito la piena efficacia dei vincoli emanati in precedenza. 6. Procedimento di dichiarazioni dell'interesse culturale Il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale è regolato dagli artt. 14, 15 e 16 del codice. Il procedimento è avviato dal Soprintendente competente per il territorio anche su motivata richiesta della Regione e di ogni altro ente territoriale interessato, dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto. . Per questa comunicazione non sono prescritte formalità o modalità specifiche. La comunicazione di avvio del procedimento indica: - l’amministrazione competente; - l’oggetto del procedimento; - l’ufficio e la persona responsabile del procedimento; - l’ufficio in cui si può prendere la visione degli atti. . .Il bene oggetto della comunicazione di avvio del procedimento è già soggetto alla tutela del codice, come se la dichiarazione dell’interesse culturale si fosse già perfezionata: ma questo effetto anticipato ha carattere provvisorio poiché finisce alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento, stabilito in centoventi giorni. . Nell’intervallo tra la scadenza del termine per l’emanazione del provvedimento e la sua effettiva emanazione cessano gli effetti provvisori prodotti dalla comunicazione di avvio del procedimento. . Il Soprintendente cura l’istruttoria e formula la proposta di provvedimento, di competenza della Commissione regionale per il patrimonio culturale. . La dichiarazione è notificata al proprietario tramite il messo comunale o a mezzo della posta, mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Se si tratta di beni immobili la dichiarazione è trascritta nel pubblico registro immobiliare e ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo. . Contro la dichiarazione dell’interesse culturale è ammesso ricorso in via amministrativa per motivi di legittimità e di merito. Il ricorso è deciso entro novanta giorni dalla sua presentazione, dal direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio, sentito il parere di un organo consultivo, il Comitato tecnico-scientifico per l’archeologia o quello per le belle arti. 7. La verifica dell'interesse culturale I beni di proprietà dello Stato, delle Province, dei Comuni, degli altri enti pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, storicamente sono stati assoggettati alla tutela propria dei beni culturali secondo una disciplina diversa da quella concernente i beni di proprietà delle persone giuridiche private con fine di lucro. . Tutti gli enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro erano tenuti a presentare all’amministrazione l’elenco descrittivo delle cose di loro spettanza di interesse artistico. La presentazione dell’elenco non aveva carattere costitutivo: i beni culturali appartenenti a soggetti di questo tipo erano comunque sottoposti a tutela, anche se non compresi negli elenchi. Dunque i beni culturali degli enti pubblici e delle persone giuridiche private senza scopo di lucro erano soggetti a tutela ope legis. L’obbligo degli enti di presentare l’elenco è però rimasto assai largamente inevaso. . Nel vigore della l. 364/1909 si cominciò a dichiarare l’importante interesse anche di beni appartenenti a enti pubblici ed enti morali, soggetti quindi a tutela ope legis, risolvendo così un problema di certezza circa l’individuazione dei beni soggetti a tutela e responsabilizzando gli amministratori degli enti proprietari. . Il codice dei beni culturali ha ora modificato anche formalmente il sistema originario, senza sovvertirlo ma con una significativa novità. I beni degli enti pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro sono soggetti a tutela direttamente, sempre che siano opera di autore non più vivente e la loro esecuzione risalga a oltre settanta anni. . Questi beni però sono soggetti, su richiesta degli enti proprietari o anche d’ufficio, a verifica dell’interesse culturale, al fine di accertare la sussistenza nel singolo bene dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. A differenza di quanto prescritto per i beni appartenenti ad altri soggetti, non è richiesto che l’interesse sia particolarmente importante. Gli enti proprietari hanno interesse a promuovere il procedimento di verifica al fine di sottrarre i beni alla protezione del codice e di poterne quindi disporre liberamente. LE . In caso di verifica con esito negativo le cose sono escluse dall’applicazione delle disposizioni di tutela contenute nel titolo primo della parte seconda del codice. Se l’esito negativo riguarda cose appartenenti al demanio dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali, le cose vengono anche sdemanializzate. Il codice precisa che la sdemanializzazione è disposta qualora non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse. 11. Il vincolo indiretto L’espressione vincolo indiretto non figurava nelle leggi meno recenti ma è stata creata per denominare il provvedimento di protezione dei beni culturali immobili disciplinato dall’art. 21 della l. 1089/1939 e prima ancora dall’art. 14 della l. 364/1909. . Queste disposizioni costituiscono gli antecedenti storici dell’art. 45 del codice, secondo cui il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili e ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Queste prescrizioni sono notificate ai soggetti interessati e sono immediatamente percettive. . Si tratta di un provvedimento molto diverso dal vincolo diretto il quale consiste nella dichiarazione dell’interesse culturale del bene che ne costituisce oggetto. Il vincolo indiretto concerne invece il caso in cui si voglia proteggere l’ambiente circostante un bene culturale immobile già soggetto a tutela. . Il vincolo indiretto non tocca il regime del bene culturale immobile ma soltanto l’ambiente circostante al fine di evitare che sia messa in pericolo l’integrità del bene, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. . È irrilevante che il bene gravato da vincolo indiretto di per sé non abbia interesse storico, artistico o archeologico, ma conta solo la sua adiacenza a un bene immobile con queste caratteristiche. . Le limitazioni proprietarie derivanti dalla dichiarazione dell’interesse culturale del bene o vincolo diretto sono stabilite direttamente dal codice, mentre le limitazioni dell’ambiente circostante il bene sono stabilite di volta in volta come contenuto del provvedimento: esse possono anche consistere nell’inedificabilità assoluta, salvo l’obbligo per l’amministrazione di indicare le finalità che si intendono perseguire e le circostanze che, avuto riguardo alla natura del bene e alla sua ubicazione, hanno condotto al tipo di scelta adottata. . Il procedimento per l’adozione del vincolo indiretto è promosso dalla Soprintendenza competente per territorio. L’avvio del procedimento è comunicato al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile al quale le prescrizioni di riferiscono. Questa comunicazione comporta già la temporanea immodificabilità dell’immobile. Questo effetto temporaneo dura fino alla scadenza del termine di conclusione del procedimento fissato. . Il provvedimento è trascritto nei registri immobiliari e ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore. Contro il provvedimento è ammesso ricorso in via amministrativa per motivi di legittimità e di merito al direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio. Oltre al ricorso in via amministrativa sempre ammesso anche il ricorso giurisdizionale per motivi di legittimità al tribunale amministrativo regionale e in grado di appello al Consiglio di Stato. . L’inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta è punita con: - la reclusione fino a un anno; - la multa da euro 775 a euro 38.734,50. . Inoltre, se per effetto di tale inosservanza il bene culturale abbia subito un danno sarà ugualmente possibile l’ordine di reintegrazione come nel caso di violazione del vincolo diretto. 12. La circolazione dei beni culturali È disciplinata in modo differenziato a seconda della natura dei beni e del soggetto proprietario. . Beni di enti pubblici e di persone giuridiche private senza fine di lucro. . L’alienazione dei beni culturali di proprietà dello Stato e degli enti pubblici territoriali è disciplinata dal codice che ha distinto tra beni inalienabili e beni alienabili previa autorizzazione. . Ai sensi dell’art. 54, co. 1, sono inalienabili: - gli immobili e le aree di interesse archeologico - gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa all’epoca vigente; - le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche; - gli archivi; - gli immobili dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettera d); - le cose mobili che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre settanta anni se incluse in raccolte appartenenti ai soggetti di cui all’art. 53. . Sono inoltre inalienabili ai sensi dell’art. 54, co. 2: - le cose di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico appartenenti a enti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica dell’interesse culturale; - i singoli documenti appartenenti allo Stato e agli enti pubblici territoriali nonché gli archivi e i singoli documenti degli altri enti pubblici . I beni inalienabili possono essere oggetto di trasferimento tra lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali (art. 54, co. 3). . Gli altri beni culturali immobili dello Stato e degli enti territoriali sono alienabili previa autorizzazione del Ministero (art. 55) che non può essere rilasciata se: - la destinazione d’uso proposta sia suscettibile di arrecare pregiudizio alla conservazione e fruizione pubblica del bene o comunque non risulti compatibile con il carattere storico e artistico del bene; La richiesta ad alienare è corredata da: - indicazione della destinazione d’uso in atto; - dal programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene; - dall’indicazione degli obiettivi di valorizzazione che si intendono perseguire con l’alienazione del bene e delle modalità e dei tempi Le stesse pene si applicano a chi esegua, in caso di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni notevoli ai beni tutelati senza darne immediata comunicazione alla Soprintendenza ovvero senza inviare i progetti dei lavori definitivi per l’autorizzazione nonché in caso di inosservanza dell’ordine di sospensione dei lavori impartito dal Soprintendente. In aggiunta alle sanzioni penali è prevista anche la sanzione amministrativa ripristinatoria dell’ordine di reintegrazione. . Se per effetto della violazione degli obblighi di protezione e conservazione il bene culturale subisce un danno, il Ministero ordina al responsabile l’esecuzione a sue spese delle opere necessarie alla reintegrazione. In caso di inottemperanza a questo ordine, il Ministero provvede all’esecuzione d’ufficio a spese dell’obbligato e al recupero delle somme relative nelle forme previste dalla normativa sulla riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato. . Qualora la reintegrazione non sia possibile il responsabile è tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla cosa. I provvedimenti di autorizzazione hanno carattere tecnico e sono sempre attribuiti alla competenza di organi burocratici periferici. previsti per il loro conseguimento; - dall’indicazione della destinazione d’uso prevista anche in funzione degli obiettivi di valorizzazione da perseguire; - dalle modalità di fruizione pubblica del bene. . L’autorizzazione è lasciata su parere del Soprintendente, sentita la regione e gli altri enti pubblici territoriali interessati ed è di competenza della Commissione regionale per il patrimonio culturale. . Il provvedimento: - detta prescrizioni e condizioni in ordine alle misure di conservazione programmate; - stabilisce le condizioni di fruizione pubblica del bene; - si pronuncia sulla congruità delle modalità e dei tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione. . Il Ministero ha facoltà di indicare destinazioni d’uso compatibili con il carattere del bene e con le esigenze della sua conservazione. . Ai sensi dell’art. 56 è soggetta ad autorizzazione anche l’alienazione di: - beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati all’art. 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1; - beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. . Le alienazioni in favore dello Stato non sono soggette ad autorizzazione (art. 57). . L’alienazione dei beni culturali senza la prescritta autorizzazione è un delitto punito: - con la reclusione fino a un anno; - una multa da euro 1.590,50 a euro 77.649. . Beni di persone fisiche e di persone giuridiche private con fine di lucro. . L’alienazione dei beni culturali di persone fisiche e di persone giuridiche private con fine di lucro non è soggetta ad autorizzazione. . Ai sensi dell’art. 59, devono essere però denunciati tutti gli atti: - che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà di beni culturali; - che trasferiscono la detenzione di beni culturali mobili. . La denuncia è effettuata entro trenta giorni al Soprintendente del luogo ove si trovano i beni e deve contenere: - i dati identificativi delle parti e dei beni; - l’indicazione del luogo ove i beni si trovano; - della natura e delle condizioni dell’atto di trasferimento; . Una denuncia priva di queste indicazioni o incompleta è considerata non avvenuta. . Nel caso in cui i beni culturali siano alienati a titolo oneroso o conferiti in società lo Stato può esercitare il diritto di prelazione, cioè può sostituirsi nell’acquisto del bene al prezzo denunciato o al valore attribuito nell’atto di conferimento alla società (art. 60, co. 1). . La prelazione è esercitata a cura del direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio, entro i sessanta giorni successivi alla denuncia. . Può essere esercitata anche dalla regione, dalla Provincia, dalla Città metropolitana o dal comune nel cui territorio si trova il bene, se il Ministero rinuncia all’esercizio della prelazione e trasferisce questa facoltà all’ente interessato. 13. La soppressione della tassa di esportazione A seguito di una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, nel 1972 la tassa di esportazione è venuta meno per le esportazioni verso altri paesi membri della Comunità ed è rimasta soltanto per le esportazioni extra-comunitarie. . La l. 30 marzo 1998, n. 88, ha soppresso anche questa. 14. L'uscita definitiva dal territorio nazionale L’uscita definitiva dei beni culturali dal territorio nazionale è disciplinata sul piano interno dall’art. 65 del codice che pone due divieti assoluti non superabili mediante atti amministrativi di autorizzazione. . Il primo divieto riguarda i beni culturali mobili indicati all’art. 10, co. 1, 2 e 3 (art. 65, co. 1). . Il secondo divieto assoluto riguarda (art. 65, co. 2): - i beni mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché a ogni altro ente e istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre settanta anni, fino a quando non sia stata effettuata la verifica dell’interesse culturale; - i beni a chiunque appartenenti rientranti nelle categorie di beni suscettibili di essere dichiarati di interesse culturale e che il Ministero abbia escluso dall’uscita perché dannosa per il patrimonio in relazione a caratteristiche dei beni medesimi; . Il codice prevede poi un divieto relativo di uscita definitiva dal territorio nazionale. È relativo, perché è superabile mediante autorizzazione amministrativa (art. 65, co. 3), per: - le cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale e siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sempre che il loro valore sia superiore a 13.500 euro (fatta eccezione per le cose di cui all’allegato A, lettera B, numero 1); - gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale ma che non siano stati dichiarati di interesse storico particolarmente importante; - i beni, a chiunque appartenenti, i quali rientrino nelle categorie indicate dall’art. 11, co. 1, lettere f), g) e h); . L’uscita definitiva non è soggetta ad autorizzazione (art. 65, co. 4) per : - le cose di cui all’art. 11, comma 1, lett. d); - delle cose che presentino interesse culturale che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore a 13.500 euro (fatta eccezione per le cose di cui all’allegato A, lettera B, numero 1). . Secondo l’art. 68 chi intenda far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica beni culturali soggetti a divieto relativo deve farne denuncia e presentarli agli uffici di esportazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, indicando contestualmente e per ciascuno di essi il valore venale, al fine di ottenere l’attestato di libera circolazione – di validità quinquennale –, che consiste in un’autorizzazione amministrativa. . L’ufficio di esportazione del Ministero entro quaranta giorni lo rilascia o lo nega attenendosi a indirizzi di carattere generale stabiliti con decreto del Ministero sentito il competente organo consultivo. . Contro il diniego dell’attestato è ammesso ricorso amministrativo per motivi di legittimità e di merito al direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio il quale decide entro novanta giorni sentito il competente organo consultivo. Il diniego al rilascio Archeologia, belle arti e paesaggio il quale decide entro novanta giorni sentito il competente organo consultivo. Il diniego al rilascio comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale. . La violazione delle disposizioni del codice sui divieti assoluti di uscita definitiva dei beni culturali dal territorio nazionale e di quelle sull’attestato di libera circolazione e sulla licenza di esportazione costituisce reato, punito con: - la reclusione fino a quattro anni; - la multa da 258 a 5.165 euro. 15. L'acquisto coattivo L’ufficio di esportazione – ora la Soprintendenza – può proporre al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo l’acquisto coattivo del bene (art. 70) entro quaranta giorni dalla presentazione della denuncia per l’attestato di libera circolazione, dandone comunicazione alla Regione e all’interessato. . In tal caso, il bene resta in custodia presso l’ufficio di esportazione fino alla conclusione del procedimento e il termine per il rilascio dell’attestato è prorogato di sessanta giorni che si aggiungono al termine ordinario di quaranta giorni. . La possibilità di acquisto del bene prescinde da un trasferimento di proprietà: chi ha richiesto l’attestato di libera circolazione intende soltanto trasferire all’estero il bene di cui però rimane proprietario. . La facoltà di acquisto coattivo, a un prezzo corrispondente al valore indicato nella denuncia, può essere esercitata dal direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio entro novanta giorni dalla data della denuncia e presentazione del bene. . L’interessato può evitare l’acquisto coattivo: fino a quando non gli sia stato notificato il provvedimento di acquisto, egli può rinunciare all’uscita del bene e ritirarlo. . La facoltà di acquisto coattivo è riconosciuta, in via subordinata, anche alla Regione nel cui territorio si trova l’ufficio di esportazione proponente. Qualora il Ministero non intenda esercitare la sua facoltà di acquisto ne informa la Regione entro sessanta giorni dalla denuncia. La Regione ha facoltà di acquistare il bene entro il termine di novanta giorni dalla denuncia. . Ove la facoltà di acquisto coattivo non venga esercitata, il Ministero ha ancora dieci giorni per decidere sul rilascio o sul diniego dell’attestato. Il mancato acquisto coattivo non pregiudica la possibilità di negare il rilascio dell’attestato di libera circolazione e di promuovere il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale del bene. . Il mancato acquisto coattivo non implica necessariamente un giudizio di scarsa rilevanza del bene per le pubbliche raccolte. Esso può dipendere dall’indisponibilità di risorse finanziarie occorrenti. 16. L'uscita temporanea dal territorio nazionale L’uscita temporanea dal territorio nazionale è regolata agli artt. 66, 67, 71 e 174, comma 2. È necessario un provvedimento di autorizzazione – richiesto dalla convenzione Unesco – chiamato attestato di circolazione temporanea. . Il Ministero può autorizzare l’uscita temporanea dal territorio nazionale dei beni culturali per manifestazioni, mostre o esposizioni d’arte di alto interesse culturale, sempre che siano garantite l’integrità e la sicurezza dei beni. In generale, l’autorizzazione viene rilasciata in base ai motivi per i quali è richiesta. . In particolare, per l’uscita temporanea verso paesi non UE si applicano il regolamento n. 116/2009/Ce e l’art. 74, comma 4, che il codice richiama agli art. 66, 67 e 71. L’uscita verso questi paesi è quindi subordinata al rilascio della licenza di esportazione temporanea e dell’attestato di circolazione temporanea. . L’autorizzazione all’uscita temporanea può essere rilasciata anche per i beni indicati: - all’art. 65, co.1; co.2, lett a), gravati dal divieto di uscita definitiva dal territorio nazionale; - per i beni all’art. 65, co. 3. . Non possono uscire neanche temporaneamente: - i beni suscettibili di subire danni al trasporto o durante la permanenza in ambienti dalle condizioni sfavorevoli; - i beni che costituiscono il fondo principale di una determinata e organica sezione di un museo, pinacoteca, galleria, archivio o biblioteca o di una collezione artistica e bibliografica. . L’uscita temporanea dal territorio nazionale dei beni culturali può essere consentita anche quando i beni, delle categorie elencate precedentemente: - costituiscano mobilio privato di cittadini italiani che ricoprono, presso sedi diplomatiche o consolari, istituzioni comunitarie o organizzazioni internazionali, cariche che comportano il trasferimento all’estero degli interessati, per un periodo non superiore alla durata del loro mandato; - costituiscano l’arredamento di sedi diplomatiche e consolari all’estero; - debbano essere sottoposti ad analisi, indagini o interventi da eseguire necessariamente all’estero; - la loro uscita sia richiesta in attuazione di accordi culturali con istituzioni museali straniere, in regime di reciprocità e per la durata stabilita negli accordi medesimi che non può superare i quattro anni. . Non è soggetta ad autorizzazione l’uscita temporanea dal territorio nazionale dei mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni per la partecipazione a mostre e raduni internazionali, salvo che sia per essi intervenuta la dichiarazione dell’interesse culturale ai sensi dell’art. 13. . Chi intende far uscire beni culturali dal territorio nazionale in via temporanea deve farne denuncia e presentarli al competente ufficio di esportazione del Ministero (ora la Soprintendenza), indicando contestualmente e per ciascuno di essi il valore venale e il .responsabile della sua custodia all’estero. . Entro quaranta giorni l’ufficio comunica al richiedente il rilascio o il diniego, con giudizio motivato, dell’attestato di circolazione temporanea. Contro il diniego è ammesso ricorso gerarchico al Ministero. Il ricorso è deciso dal direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio. . La denuncia e la presentazione dei beni culturali all’ufficio di esportazione del Ministero per ottenere l’attestato di circolazione del loro interesse culturale. . L’attestato di circolazione temporanea reca le prescrizioni necessarie e stabilisce il termine per il rientro, prorogabile su richiesta dell’interessato ma comunque non superiore a diciotto mesi. Questo termine non si applica però nei quattro casi di uscita temporanea previsti dall’art. 67., co.1. I beni devono essere assicurati per il valore indicato nella domanda. Per mostre e manifestazioni promosse all’estero dal Ministero o con la partecipazione statale, l’assicurazione può essere sostituita dall’assunzione dei relativi rischi da parte dello Stato. L’uscita temporanea non può dare luogo ad un acquisto coattivo dello Stato. Il mancato rientro nel territorio nazionale costituisce un delitto punito con: - la reclusione da uno a quattro anni; - la multa da euro 258 a euro 5165. 23. LAVORI PRIVATI E RINVENIMENTI ARCHEOLOGICI Per la tutela dei beni di interesse archeologico non ancora rinvenuti il primo e fondamentale problema è quello della loro individuazione. . È normale che resti archeologici emergano fortuitamente in aree di proprietà privata, non previamente dichiarate di interesse culturale, nel corso di lavori di carattere privato intrapresi per la realizzazione di opere edilizie o anche nel corso di normali lavorazioni agricole. . In tal caso lo scopritore deve fare denuncia entro ventiquattro ore al Soprintendente o al sindaco o all’autorità di pubblica sicurezza e deve provvedere alla conservazione temporanea delle cose rinvenute, lasciandole nelle condizioni e nel luogo di rinvenimento. . La Soprintendenza interverrà per accertare la situazione e ove i lavori non vengano spontaneamente interrotti e i rinvenimenti siano effettivamente significativi, potrà adottare la misura cautelare dell’ordine di sospensione dei lavori, salvo avviare entro i successivi trenta giorni il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale per motivi archeologici. . La Soprintendenza dovrebbe altresì eseguire lo scavo archeologico, entro il limite delle risorse finanziarie disponibili, disponendo l’occupazione temporanea dell’area, sempre che il proprietario non la metta spontaneamente a disposizione per il tempo occorrente. . Nulla vieta che il privato proprietario assuma volontariamente a proprio carico la spesa necessaria per lo scavo archeologico. . Una volta completato e documentato lo scavo e sempre che sull’area non residuino beni di interesse archeologico non asportabili, l’area sarà restituita al proprietario. Ove invece residuino resti di interesse archeologico essi entreranno a far parte del demanio dello Stato. Il vincolo non potrà essere rimosso e la realizzazione del progetto edilizio in occasione del quale il rinvenimento è avvenuto sarà subordinata all’autorizzazione di competenza della Commissione regionale per il patrimonio culturale. . Non vi sono altri poteri di carattere preventivo a disposizione dell’amministrazione. Si presenta quindi il rischio che il privato proprietario occulti il rinvenimento o si impossessi dei beni distruggendo i resti. A fronte di questo rischio l’unico strumento disponibile per l’amministrazione di tutela è il costante esercizio dei poteri di vigilanza e ispezione. 24. LA VERIFICA PREVENTIVA Nel caso di realizzazione di lavori pubblici in aree di interesse archeologico il codice dei beni culturali attribuisce al Soprintendente il potere di richiedere l’esecuzione di saggi archeologici preventivi a spese del committente, anche se per le aree medesime non sia intervenuta la verifica o la dichiarazione dell’interesse culturale. . In seguito sono state emanate altre disposizioni sulla verifica preventiva dell’interesse archeologico, in attuazione anticipata parziale della convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico. Uno degli impegni di questa convenzione è infatti accrescere i mezzi materiali dell’archeologia preventiva. . La verifica preventiva dell’interesse archeologico è attualmente disciplinata dal codice dei contratti pubblici e: - prescinde dalla natura del soggetto proprietario; - riguarda solo l’interesse archeologico; - concerne soltanto aree sulle quali il progetto di fattibilità tecnica ed economica preveda la realizzazione di un’opera pubblica al fine di valutare compiutamente la possibile incidenza della realizzazione del progetto sull’interesse archeologico. . La verifica preventiva dell’interesse archeologico è importante proprio nei casi in cui non sia già intervenuto in precedenza un provvedimento di dichiarazione o di verifica dell’interesse culturale, né l’area sia soggetta a protezione provvisoria in attesa che si svolga il procedimento di verifica, ma si abbia motivo di ritenere che dalla realizzazione del progetto possa emergere una sorpresa archeologica. . Correttamente quindi è previsto che la dichiarazione o la verifica dell’interesse culturale per ragioni archeologiche possano essere una conseguenza della verifica preventiva dell’interesse archeologico ma non ne siano un presupposto. . Per le opere soggette al codice dei contratti pubblici le stazioni appaltanti trasmettono al Soprintendente competente per territorio copia del progetto di fattibilità dell’intervento o di uno stralcio sufficiente ai fini archeologici, compresi gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche. . L’obbligo di trasmissione della documentazione è escluso soltanto per gli interventi che non comportino nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate nei manufatti esistenti. . Il Soprintendente, qualora ravvisi l’esistenza di un interesse archeologico nelle aree oggetto di progettazione, può richiedere motivatamente, entro il termine di trenta giorni dal ricevimento del progetto di fattibilità, la sottoposizione dell’intervento alla procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico. Contro questa richiesta è ammesso ricorso gerarchico al direttore generale del Ministero. . La procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico si articola in fasi, costituenti livelli progressivi di approfondimento dell’indagine archeologica e si conclude con la redazione archeologica definitiva: - carotaggi; - prospezioni geofisiche e geochimiche; - saggi archeologici e sondaggi. . Gli esiti delle indagini sono tipizzati in: - contesti in cui lo scavo esaurisce direttamente l’esigenza di tutela; - contesti che non evidenziano reperti leggibili come complesso strutturale unitario, con scarso livello di conservazione per i quali sono possibili interventi di rinterro oppure smontaggio- rimontaggio e musealizzazione in altra sede; - complessi la cui conservazione non può essere altrimenti assicurata che in forma contestualizzata mediante l’integrale mantenimento in sito. . La procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico è condotta sotto la direzione della Soprintendenza, con oneri a carico della stazione appaltante. DELL'INTERESSE ARCHEOLOGICI Il ruolo delle Regioni e l’amministrazione 1. STATO E REGIONI NELLA TUTELA DEI BENI CULTURALI Il titolo quinto della parte seconda della Costituzione ha istituito quindici Regioni ordinarie e cinque Regioni a statuto speciale: Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto. Adige/ Südtirol, articolato nelle due province autonome di Trento e Bolzano. L’attuazione dell’ordinamento regionale ha però inciso solo in misura marginale sulla materia dei beni culturali. Nel 1972 è stato delegato alle Regioni l’esercizio delle funzioni amministrative di tutela del patrimonio librario non statale. In connessione con questa delega le strutture amministrative periferiche che curavano le funzioni delegate, le Soprintendenze ai beni librari, sono state trasferite alle Regioni. : Le altre funzioni amministrative in materia di beni culturali sono rimaste allo Stato che però nel 2015 ha assunto nuovamente le funzioni amministrative relative al patrimonio librario non statale già delegate alle Regioni, fatta salva la facoltà per le Regioni di esercitare le funzioni medesime sulla base di specifici accordi o intese previo parere della Conferenza Stato-Regioni. 2. LE REGIONI ORDINARIE 3. LE REGIONI SPECIALI L’art. 116 della Costituzione assicura forme e condizioni particolari di autonomia alle cinque Regioni speciali, secondo statuti approvati con legge costituzionale. Lo statuto della Sicilia attribuisce alla Regione potestà legislativa in materia di “conservazione delle antichità e delle opere artistiche”. . Lo statuto della Regione Trentino-Alto Adige/ Südtirol attribuisce alle due province autonome di Trento e Bolzano potestà legislativa n materia di “tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare”. . Entrambe queste espressioni sono equivalenti a quella di “beni culturali”. In Sicilia e in Trentino- Alto Adige/ Südtirol la materia dei beni culturali è rimessa a leggi regionali e, rispettivamente, provinciali. . In queste due Regioni le leggi statali continuano ad applicarsi soltanto per le parti in cui non siano state sostituite da leggi regionali e provinciali. . Le Regioni speciali e le Province di Trento e Bolzano sono dotate di autonomia amministrativa nelle stesse materie sulle quali si esercita la loro potestà legislativa. . Pertanto le funzioni amministrative in materia di beni culturali, esercitate per il restante territorio nazionale dallo Stato, sono state trasferite alla Regione Sicilia e alle Province di Trento e Bolzano, le quali sono subentrate integralmente all’amministrazione statale nell’esercizio dei compiti di tutela dei beni culturali per il rispettivo territorio. . Le Regioni Valle d’Aosta, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia sono titolari soltanto di potestà legislativa di integrazione e di attuazione delle leggi dello Stato in materia di antichità e belle arti. Esse dunque non sono abilitate a sostituire la propria legislazione a quella statale ma possono soltanto interagire e attuare la legislazione statale con proprie norme. Queste tre Regioni si trovano in una condizione almeno parzialmente simile tra loro nonché rispetto a quella delle Regioni ordinarie in forza dei trasferimenti disposti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti. . Alla Regione Sardegna è stata trasferita la Soprintendenza ai beni librari. Alla Regione Friuli- Venezia Giulia sono state trasferite le competenze della Soprintendenza ai beni librari di Verona per il territorio del Friuli-Venezia Giulia. La Regione Valle d’Aosta è subentrata delle competenze della Soprintendenza ai beni librari di Torino inerenti il territorio della Valle. . Per altri aspetti la condizione della Valle d’Aosta è diversa. Nel 1946 un decreto legislativo aveva stabilito che le attribuzioni spettanti le Soprintendenze alle antichità e belle arti fossero esercitate dalla Valle d’Aosta, la quale vi avrebbe provveduto con uffici e personale propri. . L’art. 38 della l. 16 maggio 1978 ha inoltre trasferito alla Regione Valle d’Aosta le funzioni amministrative degli organi centrali dello Stato in materia di antichità e belle arti. Il Ministero può inoltre sostituirsi alla Regione nell’esercizio del diritto di prelazione o della facoltà di acquisto, qualora la regione vi rinunzi. . La Regione Valle d’Aosta è quindi subentrata integralmente all’amministrazione statale periferica dei beni culturali che invece continua ad operare in Sardegna e in Friuli-Venezia Giulia. 4. LA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL 2001 La l.c. 18 ottobre 2001, n. 3 ha rinnovato il titolo quinto della parte seconda della Costituzione e in particolare ha modificato la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni. . Lo Stato ha ora potestà legislativa esclusiva nelle materie comprese in un elenco tassativo che comprende la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. La tutela dei beni culturali continua dunque a essere disciplinata da leggi statali, mentre l’autonomia legislativa della Regione Sicilia e delle province di Trento e Bolzano rimane un’eccezione. . La distinzione tra tutela e valorizzazione dei beni culturali è stata sviluppata dal codice agli artt. 3 e 6. La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. . La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Il codice reca una disciplina completa della tutela dei beni culturali, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. µ ! µ A. µ 1 • µ '" • I • • /l' • •µ • • • ' la µ " • | IN " .IM ' 1M " • 101 !• • ' IN ' Poiché invece la valorizzazione è materia di potestà legislativa concorrente, il codice fissa i principi fondamentali della valorizzazione, mentre la disciplina di dettaglio è rimessa alle Regioni. Il codice ha però corretto la ripartizione di potestà legislativa disposta dalla riforma costituzionale, impostandola seconda regime proprietario dei beni. . Lo stesso codice stabilisce la disciplina della valorizzazione dei beni statali, mentre la legislazione regionale di dettaglio riguarda la valorizzazione soltanto dei beni presenti negli istituti e nei luoghi di cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità. 5. L'AMMINISTRAZIONE DI TUTELA DEI BENI CULTURALI Le origini storiche dell’amministrazione tutela di beni culturali risalgono al chirografo Chiaramonti. L’istituzione di una tale amministrazione corrisponde anche a un impegno previsto dalla convenzione Unesco sul patrimonio culturale mondiale. In passato ramo dell’amministrazione statale preposto della del patrimonio storico artistico è stato il ministero della pubblica istruzione che in periodo fascista assunse la denominazione di ministero dell’educazione nazionale. Nel 1875 fu costituita la direzione centrale degli scavi e musei del regno che nel 1881 fu trasformata in direzione Generale delle antichità che belle arti. . Nel 1907 seguì la creazione nell’ambito del ministero di una rete di uffici periferici, Le sovrintendenze. Le funzioni relative agli archivi storicamente sono state svolte dal Ministero dell’Interno. . Nella legislazione meno recente gli archivi venivano considerati soprattutto come strumenti per una buona amministrazione volti ad assicurare certezze legali ed era preminente il problema della tutela del segreto amministrativo. . Al nuovo ministero sono state devolute le funzioni già svolte dalla direzione Generale antichità e belle arti del ministero della pubblica istruzione, le funzioni già esercitate dalla presidenza del consiglio dei ministri relative alla discoteca di Stato , Ai servizi delle informazioni e della proprietà letteraria, artistica e scientifica, Le funzioni già svolte dal Ministero dell’Interno in materia di archivi. Nel 1998 il ministero per i Beni Culturali e ambientali e stato soppresso È stato istituito il ministero per i beni e le attività culturali al quali sono state devolute le attribuzioni in materia di spettacolo di sport ed impiantistica sportiva. . Nel 2013 sono state trasferite al ministero che funzioni in materia di turismo ed è stata attribuita la nuova denominazione di ministero dei beni e delle attività culturali del turismo in Sicilia nelle due province del Trentino Alto Adige Südtirol le funzioni amministrative di tutela dei beni culturali sono esercitate rispettivamente dalla regione e dalle province di Trento e Bolzano la Valle d’Aosta è subentrata integralmente all’amministrazione statale, Essa applica la legislazione statale e le norme emanate in esercizio della potestà legislativa regionale di integrazione delle leggi statali. 6. L'ORGANIZZAZIONE CENTRALE DEL MINISTERO Il ministero dei beni delle attività culturali e del turismo costituisce un ramo di amministrazione statale di notevoli dimensioni. A livello centrale sono costituite 11 direzioni generali, uffici di livello dirigenziale generale. Le direzioni generali sono così denominate: educazione ricerca, archeologia delle arti paesaggio, arte e architettura contemporanea delle periferie urbane, spettacolo, cinema, turismo, sei, archivi, biblioteche istituti culturali, organizzazione, bilancio. Le direzioni generali centrali dunque non sono omogenee fra loro. . Le funzioni più importanti del direttore generale archeologia, delle arti paesaggio sono: l’espressione della volontà del ministero nell’ambito delle determinazioni interministeriali concernenti il pagamento delle imposte mediante la cessione di beni culturali, l’irrogazione delle sanzioni ripristinatore pecuniarie, l’adozione di provvedimenti di acquisizione di beni culturali a titolo di prelazione, di acquisto l’esportazione e di espropriazione, l’adozione di provvedimenti sulla circolazione di beni culturali in ambito internazionale, la decisione dei ricorsi amministrativi avverso provvedimenti di verifica e dichiarazione dell’interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione e della testata di circolazione temporanea. . Il direttore generale rilascia la concessione per l’esecuzione di ricerche archeologiche odio per diretta ritrovamento di Beni Culturali e paga il premio di rinvenimento. Direzioni generali sono coordinate dal segretario generale del ministero al quale è preposto dirigente generale che opera alle dirette dipendenze del ministro. . Le funzioni più importanti del segretario generale del ministero sono il coordinamento delle direzioni generali centrali e dei segretari regionali, coordinamento delle iniziative in materia di sicurezza in patrimonio, Il coordinamento dell’attività di tutela in base a criteri uniformi omogenee dell’intero territorio nazionale, Il coordinamento delle iniziative atte ad assicurare la catalogazione del patrimonio, il coordinamento delle attività internazionali, delle attività di studi ricerca, del servizio ispettivo. . Nell’ambito del ministero sono inoltre costituiti otto istituti centrali. Hanno inoltre autonomia speciale cinque unità organizzative costituite come uffici di livello dirigenziale non generale. 7. GLI ORGANI CONSULTIVI CENTRALI Gli organi consultivi centrali del ministero sono il consiglio superiore Beni Culturali paesaggistici e i comitati tecnico scientifici. Il consiglio superiore dei Beni Culturali paesaggistici e composto dai presidenti dei comitati tecnico scientifici ed a otto eminenti personalità della cultura nominata dal Ministro. Il consiglio superiore che guardano consultivo a carattere tecnico scientifico in materia di beni culturali e paesaggistici. Sono in carica tre anni esprime pareri obbligatori sui programmi nazionali per i Beni Culturali e paesaggistici. . Il consiglio superiore streaming altri pareri sugli schemi di accordi internazionali in materia di beni culturali e si piani strategici di sviluppo culturale e sui programmi di valorizzazione dei beni culturali. . I comitati tecnico scientifici sono sette ciascun comitato tecnico scientifico è composto da rappresentanti eletti dal personale tecnico scientifico dell’amministrazione da due esperti di chiara fama ed al professore universitario. Ciascun comitato elegge maggioranza il presidente vicepresidente che devono essere espressione di categorie diverse di componenti.
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