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Leopardi CLASSICI NOSTRI CONTEMPORANEI - analisi dei testi fondamentali, Dispense di Italiano

Analisi critica e riassunto dei seguenti testi: - La teoria del piacere - Il vago, l'indefinito e le rimembranze della fanciullezza - La teoria della visione - La teoria del suono - L'infinito - Ultimo canto di Saffo - A Silvia - Il sabato del villaggio - Canto notturno di un pastore errante dell'Asia - A se stesso - La ginestra o il fiore del deserto Con riferimenti al libro di testo "I classici nostri contemporanei 5.1"

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 29/07/2023

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anna-freddi 🇮🇹

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Scarica Leopardi CLASSICI NOSTRI CONTEMPORANEI - analisi dei testi fondamentali e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! L EO PARDI La teoria del piacere Dallo Zibaldone pag 20 libro 5.1 TEMI CHIAVE • il desiderio infinito di infelicità degli uomini • il nulla • la noia • l’immaginazione e le illusioni • la felicità dei fanciulli e degli antichi RIASSUNTO Nella teoria del piacere Leopardi affronta l’argomento del piacere sostenendo varie tesi: 1. Il desiderio del piacere è infinito per durata (non si esaurisce finché non finisce la vita) e per estensione (il desiderio del piacere è inesauribile perché riguarda il piacere in sé, e quindi non possono esistere singoli oggetti che lo soddisfino), inoltre, essendo il desiderio del piacere parte integrante dell’uomo, questo desiderio si può spegnere solo al momento della morte. 2. Il conseguimento di un oggetto di desiderio non spegne il desiderio del piacere, in quanto risponde con qualcosa di finito a una richiesta infinita, infatti quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, quindi desidera veramente il piacere, e non un tal piacere. Anche per questo tutti i piaceri sono misti a dispiaceri, in quanto l’anima cerca, nell’ottenerli, quel piacere infinito che, però, non può ottenere; 3. soltanto l’immaginazione può soddisfare il desiderio del piacere – desiderio che è infinito – perché soltanto l’immaginazione può creare oggetti infiniti per numero, per durata e per estensione; l’uomo sperimenta una condizione di felicità quando può soddisfare la propria infinita sete di piacere con questi oggetti infiniti illusori, creati dalla sua facoltà immaginativa, che viene considerata quindi la prima fonte di felicità umana. Infatti quanto più essa sarà presente nell’uomo, tanto più l’uomo sarà felice. Ma l’immaginazione non può esistere senza l'ignoranza, in quanto più si conosce la realtà, più l’immaginazione è circoscritta. 4. la natura aveva disposto gli uomini al piacere facendoli ignoranti, cioè capaci di illusioni e di immaginazione; 5. in poesia il vago e l’indefinito sono fonti di piacere in quanto attivano l’immaginazione (ciò che è indeterminato non può essere percepito dalla ragione perché la ragione non ha la capacità di concepire oggetti), infatti Leopardi sostiene che per scrivere opere, soprattutto poetiche, gli autori debbano usare termini vaghi e indefinit i , per lasciare spazio all’immaginazione del lettore, senza limitarla fornendo informazioni precise. IL VAGO, L’INDEFINITO E LE RIMEMBRANZE DELLA FANCIULLEZZA dallo Zibaldone pag 22 libro 5.1 TEMI CHIAVE • la rimembranza • la fanciullezza • il riflesso del passato nel presente RIASSUNTO Leopardi in questo brano afferma che se da fanciulli un determinato oggetto, immagine, pittura o suono ci piace o ci diletta, l’idea che ci provoca piacere è sempre vaga e senza limiti. Quando diventiamo grandi, nel vedere gli stessi oggetti proveremo un piacere, che però non sarà infinito, né vago. Infatti la nostra immaginazione non è più in grado di percorrere le stesse strade che percorreva da fanciulli, per arrivare ad un piacere infinito, quindi i piaceri indefiniti che proviamo da adulti non sono altro che rimembranze della fanciullezza, e sono come una conseguenza di essa. Vale a dire che la sensazione che proviamo da adulti, ci compare infinita, solo perché riviviamo la stessa sensazione che provammo da bambini, quando ancora la nostra immaginazione poteva raggiungere l’infinito. Quindi la sensazione che proviamo da adulti non è causata direttamente dall’oggetto che vediamo, ma dal ricordo della sensazione provata da bambini. ANALISI Dalla teoria del piacere si sviluppa tutta una poetica identificata con la poesia del “vago e indefinito”. Si distinguono tre passaggi: Questi sono particolarmente piacevoli perché non vedendo l’origine di tale suoni destano incertezza e confusione. Anche un luogo echeggiante è ugualmente piacevole. La notte o l’immagine della notte è la più propria ad aiutare o anche a cagionare i detti effetti del suono e Virgilio è maestro in merito. A Leopardi in particolar modo amerà alcuni versi dell’Eneide di Virgilio talmente tanto che ci fece riferimento in più opere, tra cui “A Silvia“. La traduzione di tali versi è: “spirano aure sulla notte, una luna chiara scopre la rotta alle navi, il mare trema di luce. Ed ecco vicine le rive di Circe sfiorate: una terra di boschi segreta dove si ode assidua la figlia divina del sole cantare nel suo palazzo di marmo; e col fuoco del cedro odoroso accende la notte scorrendo tele sottili col pettine stridulo“. Come possiamo notare sono ricorrenti nei versi di Virgilio lo stesso campo semantico di parole che usa Leopardi. L’INFINITO dal Zibaldone Pag 38 libro 5.1 Fu composto a Recanati nel 1819 e pubblicato nel periodico “Il Nuovo Ricoglitore” nel 1825, nei Versi del 1826 e nei Canti nel 1831. TEMI CHIAVE • la poetica del vago e dell’indefinito • il concetto di infinito nel tempo e nello spazio PARAFRASI Questo colle solitario mi è sempre stato caro, e cara mi è sempre stata questa siepe che impedisce la vista di una larga parte della linea dell'orizzonte. Ma sostando e guardando davanti a me, mi figuro con l'immaginazione spazi sconfinati oltre quella siepe e silenzi sconosciuti all'umanità e una immensa quiete; e davanti a questi pensieri il mio cuore è sul punto di smarrirsi. E non appena sento il vento frusciare tra le foglie delle piante, io confronto quell'infinito silenzio alla voce del vento: e mi vengono in mente l'eternità, il tempo passato e la stagione presente e viva e la sua voce. Così il mio pensiero sprofonda in questa immensità e in essa si annega: e il sentirmi naufragare provoca in me una sensazione di dolcezza. RIASSUNTO L'Infinito di Leopardi racconta un processo interiore: partendo dalle concrete esperienze sensoriali, il soggetto giunge a immaginare ciò che non ha limiti di spazio e di tempo, fino a uscire da se stesso e a sprofondare («naufragar») in quella sensazione assoluta. Nel 1819 il componimento anticipa in forma poetica un nucleo tematico che verrà affrontato negli anni successivi, ovvero la “teoria del piacere“, da cui si sviluppa la teoria del vago e dell’indefinito. Leopardi sostiene che particolari sensazioni visive o uditive, essendo vaghe e indefinite, inducono l’uomo a crearsi con l’immaginazione quell’infinito a cui aspira, e che è irraggiungibile, perché la realtà non offre che piaceri finiti e perciò deludenti. L’infinito è la rappresentazione di uno di questi momenti privilegiati, dove l’immaginazione isola la mente del reale, che è il “brutto“, e la immerge nell’infinito. La poesia si articola in due momenti che corrispondono a due distinte sensazioni: PRIMO MOMENTO (vv. 1-8) L’avvio è dato da una sensazione visiva, ovvero la siepe che chiude lo sguardo, impedisce la vista ed esclude il “reale“. In questo modo fa subentrare il fantastico che costruisce l’idea di un infinito spaziale, cioè di spazi senza limiti, immersi in “sovrumani silenzi“ e in una “profondissima quiete“. SECONDO MOMENTO (vv. 8-15) L’immaginazione prende l’avvio da una sensazione uditiva, ovvero lo stormire del vento tra le piante. Il vento, che da sempre ricorda qualcosa di effimero e di vano, viene paragonato all’infinito silenzio creato dall’immaginazione. Si forma così l’idea di un infinito temporale (“eterno“), in contrasto con l’epoca di Leopardi considerata effimera e destinata a svanire presto nel nulla. Tra i due momenti notiamo anche un PASSAGGIO PSICOLOGICO: PRIMO MOMENTO L’io lirico di fronte all’infinito spaziale prova un senso di sgomento (“il cor non si spaura”). SECONDO MOMENTO L’io si “annega nell'immensità” dell’infinito immaginato, spaziale e temporale, sino a perdere la sua identità in in una sensazione di un piacevole “dolce naufragio”. STRUTTURA FORMALE Anche dal punto di vista formale, Leopardi costruisce una struttura rigorosa, con precise simmetrie e articolata in due momenti, ciascuno di sette versi e mezzo. Il passaggio che avviene al verso otto è diviso in due da una forte pausa al centro. Nonostante ciò, il processo viene descritto come unico, dato che un’immaginazione scaturisce dall’altra, senza contrasti con la precedente, dando continuità al componimento. Le due sezioni si suddividono ancora ciascuno in due parti simmetriche: • nella prima (vv 1-3 e 8-11) sia il punto di partenza dell’immagine del dato reale, sensibile, la siepe e il vento che stormisce. • nella seconda (vv 4-8 e 11-15) troviamo l’allontanamento dalla realtà verso l’infinito immaginato. Le simmetrie possiamo trovarle anche sul piano sintattico: l’infinito spaziale temporale sono costruiti su due serie analoghe in forma di polisindeto: • nella parte dell’infinito spaziale sia la prevalenza di parole molto lunghe, • nell’infinito temporale le parole si fanno più brevi. Anche la fonetica ha un ruolo fondamentale: si usano vocali “a“ e toniche per dell’idea di vastità, mentre il brivido di sgomento è reso con vocali dal suono cupo. IN BREVE: SENSAZIONI PASSAGGIO PSICOLOGIC O SINTASSI E FONETICA PRIMO MOMENTO (vv. 1-8) = sette versi e mezzo PRIMA PARTE A (vv 1-3) partenza = dato reale, (siepe) sensazione visiva (siepe) = INFINITO SPAZIALE sgomento parole molto lunghe e vocali “a“ e toniche per dell’idea di vastità SECONDA PARTE B (vv 4-8 l’allontanamento dalla realtà verso l’infinito immaginato.FORTE PAUSA SECONDO MOMENTO (vv. 8-15) = sette versi e mezzo PRIMA PARTE A (vv 8-11) partenza = dato reale, (il vento) Sensazione uditiva (vento) = INFINITO TEMPORALE Perdita dell’identità Parole brevi e lo sgomento è dato da vocali dal suono cupo SECONDA PARTE B (vv 11-15) l’allontanamento dalla realtà verso l’infinito immaginato. • l’acqua del ruscello si sottrae quando i suoi piedi tentano di attraversarlo. Disperata, Saffo si chiede quale colpa possa averla macchiata perché il cielo e la sorte siano così ostili nei suoi confronti. Gli unici pensieri che le sovvengono sono: 1. che è una colpa la macchiasse prima della nascita. 2. che commise una colpa da bambina, ignara del male, che la privò della giovinezza. 3. che gli uomini siano stati creati per il dolore e chi solo gli dei sanno il perché di tale volontà. 4. che il Padre, ovvero Giove, abbia attribuito potere alle belle apparenze. Per questo neppure la più eroica delle imprese o il canto poetico più dotto poteva risaltare se fatto da un corpo deforme. Saffo è stata legata in vita ad un lungo amore, ma anche ad una passione vana e mai soddisfatta. Gradualmente arriva alla conclusione che nessun essere mortale è vissuto felice e che ciascun uomo è pervaso dal dolore. I sogni e le illusioni della giovinezza hanno reso lieti tali giorni, ma sono anche i primi a dileguarsi. Dopodiché vi è solo dolore, non solo per la consapevolezza del dolore che caratterizza la vita umana ma anche per elementi oggettivi come la malattia, la vecchiaia e la minaccia della morte. Giove infatti mai l’ha cosparsa del liquido contenuto nel vaso della felicità e a Saffo rimane solamente la morte, vista come una riva silenziosa. Tale paragone può intendere la riva del fiume Acheronte, ma anche la rupe da cui si getta la poetessa. In questi ultimi versi emerge la concezione del pessimismo cosmico concepito da Leopardi, che vedeva ciascun uomo pervaso da un dolore innato, il quale soffoca ogni virtù e si conclude solo con la morte. ANALISI Il tema centrale del canto sembra l’infelicità come destino individuale dell’io lirico, che avendo un corpo brutto è stato condannato all’esclusione dalla natura e all’infelicità. Inoltre il fatto che Saffo pronunci il “noi” al verso 46 e 47 fa intendere che questa infelicità sia in realtà un’infelicità universale. L’infelicità non è più quindi solamente appartenente ai moderni che hanno perso la facoltà di illudersi, ma deriva da terribili mali esterni, materiali e coinvolge tutti gli uomini in ogni tempo. La poetessa greca e quindi l’esempio di infelicità perfetto, a significare che neppure gli antichi possono sfuggire a un fato maligno. La concezione di questa infelicità universale nasce dal fatto che ora, all’idea di una natura benigna, si associa l’idea di un fatto crudele che dispensa sventure alla cieca e destina l’uomo alla sofferenza. Si delinea cioè un dualismo tra natura e fato. Tali concezione sarà però solamente una fase transitoria, che in seguito si svilupperà dando l’attribuzione alla natura delle caratteristiche di questo fatto ostile rendendola quindi maligna. A SILVIA dai Canti Pag 63 libro 5.1 Fu composto a Pisa nel 1828 ed inaugura i "Grandi Idilli”. TEMI CHIAVE • il ricordo e la memoria poetica (=la rimembranza) • la disillusione RIASSUNTO Leopardi dedica questo canto a Silvia, identificata con Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere morta di tubercolosi a 18 anni. Leopardi apre il componimento rivolgendosi direttamente alla ragazza, domandando: ricordi la giovinezza, quando la bellezza risplendeva nei tuoi occhi gioiosi e schivi e tu, serena il tempo stesso assorta in un’ombra di mestizia, eri il sul punto di passare dall’adolescenza alla giovinezza? Leopardi evoca i ricordi della gioventù, quando la ragazza tesseva e il suo canto risuonava per le stanze dove Giacomo studiava in un profumato (per i fiori) maggio. Era in quei momenti che Silvia progettava il suo futuro. In questo caso Leopardi lo definisce vago, nel senso di indeterminato, ma anche bello e desiderato. Leopardi interrompeva volentieri gli studi poetici e i faticosi lavori filosofici, nei quali si consumavano la sua gioventù e le forze migliori. (Ricordiamo il chiasmo: studi leggiadri /sudate carte). Al suono della sua voce, Giacomo guardava il cielo sereno, le vie soleggiate, il mare e le montagne e nessuna parola umana poteva esprimere efficacemente il sentimento che provava nel cuore. A questo punto la concezione di un Leopardi “maturo” viene messa in contrasto con le speranze e le illusioni giovanili. Allora la vita umana e il destino parevano felici, ma ora lo opprime un sentimento amaro di totale sconforto, che lo porta a piangere la sua sventura. Tale sventura consiste nella presa di coscienza che Leopardi ha maturato: Se prima la vita era emozionante e caratterizzata da progetti speranzosi per il futuro, ora Leopardi giunge alla consapevolezza che la Natura inganna i suoi figli e che la vita dell’uomo è destinata al dolore e all’infelicità. Dai versi 35 a 40, emerge la sua concezione di “pessimismo cosmico“: o natura, o natura, perché nella maturità non restituisci quello che prometti in gioventù? Perché a tal punto illudi i tuoi figli? Nella strofa seguente si rivolge nuovamente a Silvia, che consumata da un male interno, la tubercolosi, muore in tenera età senza aver visto realizzare le sue speranze, senza poter vivere il fiore dei suoi anni, i complimenti per la sua chioma e bellezza e gli sguardi innamorati che avrebbe suscitato ( “il fiore dei suoni anni” riferimento al “Cantico di un gallo silvestre” pag 157). Leopardi afferma che da lì a poco anche la speranza sarebbe morta. Difatti il destino avverso ha negato la giovinezza a: • Silvia, che è morta prima dell’inverno senza realizzare le sue aspirazioni, • Leopardi stesso che non ha goduto della gioventù per via dello studio matto e disperato, della famiglia poco affettuosa e dalle delusioni ricevute a Roma. La speranza è quindi compagna solo della giovinezza, perché nel diventare adulto, Leopardi prende consapevolezza del mondo che da giovane ha tanto immaginato. Chiude il canto dicendo che la speranza è morta e che l’unica consapevolezza che rimane all’uomo una volta presa coscienza della realtà e che l'unico fine della vita è la morte. ANALISI Silvia Silvia è una costruzione mentale dell’immaginazione poetica, un simbolo della speranza giovanile irrealizzata e della giovinezza prematuramente interrotta dalla morte. Gli aggettivi che Leopardi utilizza mettono in evidenza le sue caratteristiche psicologiche: gli occhi ridenti e fuggitivi indicano gioia e timidezza. Simbolicamente la speranza si incarna in Silvia, che difatti è stata compagna di Leopardi solo in gioventù, dopodiché è morta. Silvia-Leopardi In questo canto, Leopardi pone in contrasto la vita breve di Silvia, interrotta bruscamente dalla malattia, e la sua, stroncata dalla durezza della vita stessa. Ciò che unisce Silvia e il poeta è quindi solo la condizione giovanile, le speranze e i sogni rovinati dalla delusione acquisita con la maturità. È quindi assente un riferimento all’amore o ad un rapporto sentimentale. La vaghezza Tutta la lirica è caratterizzata dalla vaghezza: 1. La vaghezza dell’immagine di Silvia è descritta con due particolari: • fisico, gli occhi “ridenti I fuggitivi“, • psicologico, l’atteggiamento “lieto e pensoso“. 2. Il mondo esterno è raffigurato in modo vago e con aggettivi sobri e spogli: “quiete“, “odoroso“, “sereno“, “dorate“. IL SABATO DEL VILLAGGIO dai Canti p.84 TEMI • Il piacere come attesa di un godimento futuro (Giovinetta che si prepara per ornare il seno e i capelli in vista del domani, del giorno di festa); • Il confronto tra la speranza giovanile e il ricordo delle gioie passate (v. 1/15: Signora che, rivolta al tramonto, racconta la sua giovinezza, ovvero quando anche essa, come la giovinetta, ballava tre i compagni della sua giovinezza. V. 24/30: I ragazzi si muovono in gruppo facendo rumore mentre il contadino torna a casa fischiando e pensando al pasto che farà dopo poco); • Il vago e l’indefinito (Descrizione dell’ambiente esterno nei v. 16/23 l’aria si oscura, il cielo torna azzurro e la luce della luna, comparsa da poco, illuminano le colline e i tetti delle case. V. 31/42: Quando ormai il sole è tramontato possiamo sentire, nel buio e nel silenzio, il falegname che si affretta con martello e sega a terminare il lavoro prima del sorgere del sole e prima del giorno di riposo.); • L’invito a non spingere lo sguardo oltre i confini dell’illusione giovanile (V. 43/51: Invito al fanciullo spensierato a vivere a pieno la giovinezza, l’età fiorita perché piena di progetti. Come il sabato precede il giorno di festa, così la fanciullezza precede la giovinezza.) È un esempio di canzone libera leopardiana; alternanza di endecasillabi e settenari, non vi è un numero preciso di versi presenti in una strofa. Riassunto Nella prima strofa Leopardi ci introduce due personaggi contrapposti: la giovinetta che si prepara per ornare il seno e i capelli in vista del domani, del giorno di festa e la vecchierella che, rivolta al tramonto, racconta la sua giovinezza, ovvero quando anche essa, come la giovinetta, ballava tra i compagni durante il giorno di festa. Giacomo passa poi alla descrizione dell’ambiente esterno, riportandoci a vago e all’indefinito: l’aria si oscura, il cielo torna azzurro e le ombre prodotte della luna, comparsa da poco, si allungano dalle colline e dai tetti delle case. La campana della chiesa preannuncia l’arrivo della festa, attraverso questo suono il cuore riceve conforto. In gruppo i fanciulli si muovono facendo rumore piacevole, mentre il contadino torna a casa fischiando e pensando al pasto che sta per fare dopo una dura giornata di lavoro. Nella seconda strofa Leopardi ci riporta ulteriormente al vago e all’indefinito descrivendo come, quando ormai il sole è tramontato nel buio e nel silenzio, possiamo sentire il falegname che si affretta con martello e sega a terminare il lavoro prima del sorgere del sole e prima del giorno di riposo. Tra la seconda e la terza strofa vi è una svolta da un momento felice a un momento triste: il sabato tra tutti i giorni è il più gradito, in quanto pieno di speranze e gioia, mentre la domenica è caratterizzata dalla tristezza e dalla noia in quanto il pensiero ritorna naturalmente alle occupazioni e al lavoro. La lirica si conclude con un invito che Leopardi fa al “garzoncello”: la fanciullezza, come il sabato che precede il giorno di festa, precede la festa della vita ovvero la giovinezza. Lo invita a godere a pieno di questa stagione lieta, decide di non aggiungere altro ma spera che per lui il fatto che la giovinezza tardi ad arrivare non sia motivo di afflizione. Questo perché tutti i progetti che il fanciullo prevede di fare potrebbero colmare in delusioni. Analisi • La prima parte è caratterizzata alla descrizione degli aspetti della vita borghigiana mentre la seconda è più riflessiva: il piacere è visto come attesa di un godimento futuro, dunque come speranza e illusione. Parte descrittiva Leopardi ci presenta due figure femminili contrapposte: la giovane ragazza che immagina la gioia del giorno festivo, che rappresenta la speranza giovanile, e la vecchierella che invece ricorda la gioia delle feste della sua giovinezza, la quale rappresenta la memoria. La speranza e la giovinezza ci riportano al tema della festa e della primavera, che poi si concretano nel simbolo del “mazzolin di rose e di viole” a cui si oppone “il fascio d’erba” ovvero la vita quotidiana e le sue fatiche. Riferimenti letterari: • Donzelletta che si orna con ghirlande e fiori: Matelda di Dante e la fanciulla della ballata delle rose di Poliziano; • Le ombre che s’allungano dai colli e dai tetti rimandano a Petrarca (nel canzoniere “Discende dagli altissimi monti maggior ombra) che a sua volta rimanda a Virgilio. Parte riflessiva La riflessione non viene introdotta in modo brusco e occupa solamente 5 versi. Leopardi dialoga con il “garzoncello” invitandolo a non spingere lo sguardo oltre i confini dell’illusione giovanile. CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA dai Canti Pag 91 libro 5.1 Il canto viene composto tra il 1829 e il 1830. l’idea per il suo componimento venne Leopardi grazie ad un articolo scritto da un viaggiatore che riportava che i pastori nomadi dell’Asia centrale trascorrevano le notti seduti su una pietra a guardare la luna e a improvvisare parole tristi e malinconiche. TEMI CHIAVE • l'infelicità cosmica • la poesia del vero • il ciclo eterno e imperscrutabile della natura e, al contrario, della caducità dell’uomo • il dramma della vita RIASSUNTO Il canto si apre con un’interrogazione del pastore diretta alla luna, definita dal pastore “silenziosa”, per la consapevolezza che le sue domande rimarranno senza risposta. Successivamente fa un paragone tra la “vita” della luna, che sorge e tramonta guardando sempre le stesse valli, e quella del pastore, che guida i greggi nei campi e poi stanco si riposa la sera. Infine chiude la prima strofa con un’interrogativa: qual è il senso della vita del pastore e degli astri del firmamento? A quale fine è destinato questo mio breve vagare, a quale il tuo moto perpetuo? Nella seconda strofa Leopardi utilizza il climax per descrivere il percorso della vita, dipingendola come un percorso dal peso insopportabile, che non concede riposo, ma anzi da sola fatica e dolore, per poi alla fine condurre all’abisso orrido, immenso dove precipitando il tutto si oblia (la morte). Vergine luna, tale è la vita mortale. Vergine perché Artemide, dea della luna, era considerata tale nella mitologia classica, ma “vergine“ intende anche intatta e non corrotta dalla miseria dell’esistenza mortale. Leopardi intende che la vita è una corsa concitata e faticosa che conduce all’orrido abisso che la morte. Nella terza strofa Giacomo, attraverso il canto del pastore, riflette sulla nascita. L'uomo nasce a prezzo di una grande fatica e rischia già di morire. Da subito prova dolore, difatti il bambino piange, e da subito i genitori cercano di consolarlo e lo incoraggeranno per il resto della vita. A questo punto il pastore rivolge un’altra domanda alla luna: perché dare alla luce se poi è necessario consolare chi è nato dalla sventura della vita? Perché supportiamo tale vita? Intatta luna, tale è lo stato mortale, ma tu mortal non sei, e forse del mio dire poco ti cale (=importa). Ancora una volta la luna appare intangibile, pura, non contaminata dalle miserie umane e piano piano viene dipinta come sacra. Nonostante ciò, la luna per quanto sacra e personificata rimane un elemento naturale e il fatto che sia indifferente al dolore dell’esistenza umana si riallaccia alla concezione di natura maligna espressa nel “Dialogo tra la Natura e l’islandese”. Tuttavia nella strofa successiva, la quarta, il pastore si convince che la luna, solitaria, eterna viaggiatrice e pensosa, possa in quanto lontana guardare il mondo con un occhio diverso e riuscire così a comprendere il significato dell’alternarsi del giorno e della notte, dello scorrere del tempo, dell’infinito, delle stagioni, dell’esistenza terrena, del dolore e della morte. Quando il pastore guarda la luna e le stelle ardere nel cielo pensa: a cosa servono tante stelle? Che significato hanno questa solitudine immensa e la mia stessa vita? LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO dai Canti pag 121 Composta nel 1836 Ginestra= arbusto con i fiori gialli che nasce anche su terreni molto aridi. Si tratta di un fiore umile, se nasce sul vulcano si piega quando scorre la lava ma riesce sempre a risollevarsi. TEMI CHIAVE • Solidarietà fra gli uomini; • Polemica antireligiosa; • Possibilità di un progresso autentico di tipo civile o morale; • La potenza distruttiva della natura. Prima strofa (v.1-51) Riassunto Leopardi apre la Ginestra con un versetto tratto dal vangelo di San Giovanni: E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce. Si tratta di una polemica contro l’ambiente napoletano che preferiva non vedere e non prendere consapevolezza della condizione umana (luce) isolandosi invece nelle concezioni spiritualistiche e ottimistiche, e nella fede nel progresso (tenebre). Leopardi vede il fiore della ginestra sul fianco arido del monte Vesuvio, definito terrificante e sterminatore per le sue eruzioni catastrofiche. La vide anche adornare le solitarie campagne che circondano Roma (→ donna de’mortali→ dominatrice di popoli). La ginestra viene definita amica di luoghi tristi e abbandonati e compagna di fortune avverse, in quanto il vesuvio aveva distrutto intere fortune. Le distese cosparse di cenere e ricoperte da lava solidificata furono un tempo villaggi prosperi e campagne coltivate, furono città come Pompei, Ercolano e Stabia. Oggi però tutto intorno è avvolto dalla desolazione e dalla rovina e l’unico abitante rimasto è la Ginestra. A questo punto si apre una fase piuttosto polemica: Leopardi si scaglia contro le idee progressiste che circolavano al tempo, esorta i progressisti che vedono l’uomo come creatura privilegiata ad osservare queste rovine. Qui potrà giudicare la potenza del genere umano (ironia) che può essere distrutta da una scossa, distruggendo anche tutto ciò che l’uomo ha creato quando meno se l’aspetta. Analisi Leopardi dà alla ginestra un intenso valore simbolico: rappresenta la pietà verso la sofferenza degli esseri perseguitati dalla natura. Secondo Leopardi questa pietà si esprime solo attraverso la poesia (=unico conforto per l’infelicità umana) → identificazione tra la poesia e la ginestra. Inoltre la ginestra rappresenta anche la vita che è in grado di resistere ad ogni costo alla potenza devastante della natura. Opposizione tra tonalità e mezzi stilistici: • Monte vesuvio descritto come distruttore, la lava viene definita “impietrata” e i deserti di cenere → sublimità grandiosa e orrida; • I versi dedicati alla ginestra invece sono caratterizzati da una musicalità più delicata (“di dolcissimo odor mandi un profumo”) Seconda strofa (v.52-86) Riassunto Leopardi porta avanti la sua polemica verso i falsi miti dello spiritualismo (negare ciò che la ragione aveva affermato). Invita a vedere come questo secolo superbo e sciocco abbia abbandonato la via della ragione percorsa durante il Rinascimento facendo passi indietro e chiamando tutto ciò progresso. Tutti gli intellettuali esaltano il ragionamento infantile dello spiritualismo (pargoleggiar) anche se forse, nel loro intimo riconoscono la sciocchezza in questo pensiero. Leopardi sa molto bene che a coloro con idee diverse rispetto a quelle spiritualistiche e ottimistiche spetta l’oblio ma ciononostante decide di non piegarsi a questo pensiero. Leopardi e il suo secolo sono destinati a cadere nell’oblio per motivi differenti: Leopardi perché non soddisfa le attese dei suoi contemporanei e il secolo, invece, perché non produce nulla degno di memoria. Esalta il pensiero, visto come l’unica cosa che possa rendere l’uomo libero, il pensiero senza censure porta allo scambio di opinioni che guida il popolo verso il progresso. Però, lo spiritualismo non si cura della verità, ovvero dell’amara sorte dell’uomo, e girò le spalle alla ragione portando avanti falsi miti che fanno credere agli uomini di essere quasi immortali. Terza strofa (v 87-157) Riassunto (fino a 145) Un uomo malato e umile ma generoso e nobile d’anima non ostenta ne si illude di essere ricco o forte, non ostenta una vita splendida o un fisico in salute. Anzi non nasconde la sua debolezza, mostra la sua condizione così come è. Leopardi stima questo tipo di persona, ovvero colui che non è pieno di illusioni, che esalta il genere umano ma colui che presenta la sua condizione così com’è. Questo perché secondo Leopardi esaltare il genere umano in quanto creatura superiore è un’illusione, basta un’epidemia, un terremoto o del vento a distruggere ogni traccia dell’uomo. Leopardi continua esaltando l’indole nobile di colui che riesce a guardare in faccia il destino e di colui che riesce a riconoscere l’infelice sorte degli uomini. Elogia colui che si rivela forte nella sofferenza e soprattutto colui che non attribuisce la colpa della sua condizione ad altri uomini (= non aggiunge ulteriore odio nel mondo) ma riesce a trovare la vera colpevole ovvero la natura matrigna, considerandola come vera nemica e pensando che la società umana si sia unita proprio per combatterla e contrastarla. Inoltre l’uomo di cui parla Leopardi non arma la propria mano per fare del male a un altro uomo (= azione inutile) o per metterlo in difficoltà, Leopardi afferma che questa azione è sciocca come sarebbe sciocco, in un campo circondato da un esercito nemico, aprire ostilità contro i propri compagni. Analisi In questa strofa Leopardi offre una definizione della vera nobiltà spirituale che consiste nel saper guardare in faccia il destino con coraggio e nel saper riconoscere la condizione infelice e effimera del genere umano, mostrandosi forti nella sofferenza e mostrandosi solidali nei confronti degli altri uomini. Svolta nel pensiero di Leopardi → ammette una forma di progresso: il progresso autentico, di tipo civile e morale. Questo progresso si fonda proprio sul pessimismo e sulla consapevolezza della condizione umana (social catena= progresso). Inoltre Leopardi affida all’intellettuale il compito di rendere “palesi al volgo” questo concetto per dare vita a una nuova società. Il cantico ricorda agli uomini che: • l’ultima causa dell’essere non è la felicità • la stessa vita è un lento appassire e un arrestabile procedere verso la morte. • se il sonno fosse eterno, e quindi coincidesse con la vita, l’universo intero sarebbe inutile. Leopardi passa poi ad interrogare il Sole chiedendogli se abbia mai visto un solo vivente felice, arrivando a chiedergli se lui stesso sia felice = infelicità caratterizza l’universo intero. Il sonno risulta perciò un riposo necessario e una tregua dei mali della vita, ma allo stesso tempo non corrisponde alla morte. Tutti gli esseri viventi, non potendo raggiungere la felicità, hanno come unico scopo la morte. È questo l’ordine naturale e prima o poi anche l'universo e la natura si spegneranno, non lasciando traccia alcuna, come accaduto a regni ed imperi umani. Nel finale, l’autore cita il “silenzio nudo“, la “quiete altissima“ e lo “spazio immenso“, che ricordano gli "interminati spazi“, i “sovrumani silenzi“ e la “profondissima quiete“, descritti nell’Infinito. ANALISI In questo cantico viene esposta la condizione di eterna infelicità umana, tesi esposta già nello Zibaldone: l’uomo aspira ad un piacere infinito, ma dato che nessun piacere umano soddisfa tale esigenza, nasce l’infelicità. Il tema centrale è la morte e per analizzare il processo inarrestabile che attraversano gli esseri viventi per giungervi, Leopardi ricorre, come per l’islandese, ad un personaggio posto al di fuori del genere umano, privo di illusioni, che può osservare la condizione degli uomini da una prospettiva estraniata. Leopardi compara in seguito le diverse fasi del giorno con la vita umana: • mattina = giovinezza → l’uomo è più felice, come nella giovinezza (della serie “beata ignoranza”: l’uomo non è consapevole del male della realtà e del dolore della vita). Appena svegliati, la realtà sembra essere più sopportabile perché gli uomini sperano e si illudono che il giorno che li attende sia più felice del precedente. • sera = vecchiaia → la sera, ovvero nella vecchiaia, tale spensieratezza svanisce, lasciando il posto al dolore. La gioventù della vita intera è brevissima e fuggitiva e il fiore degli anni, è cosa misera, in quanto non appena vengono sperimentate e conosciute appieno le proprie forze, queste già scemano e si avviliscono. La massima parte del vivere è un appassire. La natura è intenta e indirizzata alla morte: ogni parte dell’universo si affretta infaticabilmente alla morte, con sollecitudine e celerità mirabile. DIALOGO DI PLOTINO E PORFIRIO dalle Operette morali, pagina 167 composta nel 1827 ma pubblicata nel 1845 Temi chiave: • il suicidio come rimedio all’infelicità umana; • il suicidio come causa di dolore per le persone care. Riassunto Nel dialogo Porfirio, discepolo del filosofo neoplatonico Plotino, confida al maestro il suo desiderio di suicidarsi. Gli dice che l’inclinazione verso il suicidio che sente non è dovuta ad alcun evento concreto ma si tratta di un dolore, di un tedio, di un fastidio che seente dei confronti della vita. Afferma che con il tempo ha preso conoscenza della vanità di tutto ciò che lo circonda (inconsistenza delle cose) e questo gli provoca noia. Questa noia è percepita da Plotino non solo dal suo intelletto, ma anche dai sentimenti e dal corpo stesso. Si rende conto che il dolore stesso non è che un sentimento vano in quanto analizzandone la causa e la materia non sono che inconsistenti. Solo la noia non può essere mai vanità e inganno perché non si fonda sul falso. Arriva dunque ad individuare come soluzione la morte vista come medicina di ogni male. Plotino ribatte offrendo al discepolo diverse argomentazioni: • riprende la filosofia di Platone secondo cui all’uomo non è permesso sottrarsi alla vita in cui si trova perchè andrebbe contro la volontà degli dei e stravolgerebbe l’ordine delle cose: Porfirio risponde che in realtà Platone parlava di vita dopo la morte solo per fare in modo che gli uomini non facessero del male per paura di subire pene future; • In realtà Porfirio non crede che le dottrine citate da Plotino non appartengano a Platone; • Inoltre Plotino aggiunge che la stessa natura ci dice che il suicidio non è cosa lecita in quanto attraverso il suicidio si stravolgerebbe l’ordine delle cose → Porfirio risponde che la natura stessa ha dato all’uomo l’odio per l’infelicità e che dunque il suicidio, unico modo concesso all’uomo per fuggire dall’infelicità, non può andare contronatura. • A questo modo Plotino ammette che uccidere sia un’azione utile per sottrarsi dal dolore ma allo stesso tempo aggiunge un’altra motivazione per convincere l’amico a non togliersi la vita: afferma che il suicidio non è che un atto estremamente egoista. Questo perché il suicida non tiene conto delle persone care e della sofferenza che un simile atto gli causerebbe. Infine Plotino invita l’amico ad abbandonare il suo pensiero, in quanto sarebbe la causa di grande dolore per i suoi amici che lo amano con tutta l’anima, tra questi ovviamente anche Plotino stesso. Lo spinge ad affrontare insieme a lui il dolore, a incoraggiarsi a vicenda per affrontare al meglio la fatica della vita. Analisi • I filosofi Plotino e Porfirio in realtà rappresentano le proiezioni delle istanze contrapposte presenti nell’animo di Leopardi→ il dibattito tra i due non è che un dibattito interiore del poeta. • Porfirio si fa portatore delle tesi sostenute dal pessimismo leopardiano: ◦ la vanità delle cose da cui deriva la noia; ◦ la natura e il fato come nemici del genere umano ◦ la morte come medicina di tutti i mali; ◦ il desiderio costante che non può essere soddisfatto; ◦ la ragione che allontana gli uomini dalla condizione naturale, causa di infelicità e corruzione; ◦ La stessa polemica che Porfirio fa a Platone non è che il risultato della polemica leopardiana contro la religione e i suoi effetti nefasti. • Il finale dell’operetta segna anche una trasformazione del pensiero di Leopardi: solo attraverso la solidarietà tra gli uomini si può sopportare l’infelicità che caratterizza la vita→ apre la strada alla stagione della Ginestra, che si fonda proprio sulla necessità di unione e di solidarietà fra gli uomini. Sviluppo dell’atteggiamento di Leopardi nei confronti dell’infelicità umana: • Nelle canzoni: ribellione titanica; • Negli idilli: rifugio nell’interiorità e nella memoria dell’età felice; • Nelle operette morali del ‘24: contemplazione lucida e ferma dell’arido vero; • In questa operetta e poi nella Ginestra: necessità dell’amore e della solidarietà fra gli uomini per far fronte ai mali della vita e per opporsi alla natura nemica.
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