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LETTERA A DOROTHEA, G. Scabia - Riassunto, Appunti di Letteratura

Riassunto completo de "Lettera a Dorothea" di Giuliano Scabia

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 07/01/2021

estelle17-
estelle17- 🇮🇹

4.3

(15)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica LETTERA A DOROTHEA, G. Scabia - Riassunto e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! LETTERA A DOROTHEA Scabia è in Sicilia, scrive una lettera a una certa Dorothea, una sua cara amica e compagna di teatro. Descrive il posto in cui si trova: un’aia incementata di un cascinale nell’entroterra siciliano. Poi dice di aver provato paura: paura dei ragni, del buio, degli assassini… ma anche paura di se stesso e del Diavolo. Scabia spiega di aver scelto di impersonificare il Diavolo proprio perché ne aveva paura: lui non crede nel Diavolo, ma sente che questa creatura stava emergendo in lui. Dice che in ogni teatro c’è il diavolo. E si chiede: O Signore, perché hai lasciato il teatro in mano al Diavolo? Scabia fa un excursus storico: dice che dal II al IV secolo il teatro veniva considerato impuro, cioè in mano al Diavolo. Perché? Chi era a quei tempi il Signore della scena? Chi è oggi? Com’è oggi? Per rispondere a queste domande, Scabia decide di impersonificare il diavolo, proprio per andare a fondo della questione. Ma chi è il Diavolo? Secondo Scabia il diavolo assume diverse forme: è uomo, donna, capra, uccello, Santo, Cristo… trasfigurandosi e assumendo ruoli diversi è proprio un attore. Solo i Santi e Dio capiscono che il Diavolo sta recitando e che quindi sta mentendo, svelando la sua “mens”, cioè la sua mente. Ma quale Diavolo sarebbe diventato Scabia impersonificando il Diavolo? Un Diavolo generale o un Diavolo particolare? Scabia cita l’Apocalisse, osservando il duello tra l’Arcangelo Michele e Satana. Si sofferma sul significato del nome Satana: inimicare, portar guerra, nemico perdente nel duello con la spada… è una lotta tra opposti, tra luce e tenebre, tra bianco e nero. Secondo Scabia, l’Apocalisse potrebbe essere intesa come un rito di passaggio annuale, come, ad esempio, il Capodanno, che sancisce la fine di un anno e l’inizio di un altro anno, come in una lotta tra Belli e Brutti, tra Bianchi e Neri, Cristiani e Pagani. Ma Scabia afferma che il Suo Diavolo deve essere concreto, cioè deve nascere dal suo interno, deve essere un Diavolo Personale: il Diavolo che in certi momenti può “uscir fuori” in ognuno di noi. Ma questo Diavolo non ha un’identità: va in cerca di essa. Ecco perché passa di paese in paese: chiede alla gente se ancora qualcuno crede in lui o se tutti lo odiano e lo additano come il Male. A questo punto Scabia pone una domanda a Dorothea: tu credi nel Diavolo, nel Diavolo che recito, nel Diavolo-attore? Scabia cita il Faust, affermando che Davide, il re poeta, dice che le divinità nelle altre religioni sono chiamate “demoni”: ecco allora che Dioniso è Diavolo, Afrodite è Diavolo, etc… Tutti i demoni in antichità aprivano le strade alla passione, all’amore, alla bellezza dei corpi, all’ebbrezza erotica, al sogno. Ma poi è arrivato il Cristianesimo… Scabia dice a Dorothea che è normale che la sua mente (di lei) sia confusa, perché non sa ancora in quale categoria racchiudere il Diavolo e il suo Angelo. Quindi la invita a cercare insieme a lui. A questo punto, Scabia racconta di una rappresentazione giornaliera che “gli appare” lì in Sicilia: ogni mattina incontra un bambino “selvatico” di nome Saro. Egli appare, cioè si affaccia, si nasconde ma non si fa più trovare. “Apparire” è un verbo che può far capire com’è il Diavolo: quando Scabia va di paese in paese recitando la parte del Diavolo, appare alla gente, proprio come appare la Madonna, Gesù, etc… “Apparire” è misterioso: apparire all’amato, senza farsi vedere da altri. Scabia racconta delle sue peregrinazioni nei paese/città italiane recitando la parte del Diavolo (una di queste avviene nella città di Perugia il 24 luglio 1980 – Scabia si domanda com’è fatta Perugia vista con gli occhi di un Diavolo e di un Angelo. Poi fa una regressione sulla “città mitica”: se Perugia un tempo era una città in cui si potevano incontrare Diavoli e Angeli, oggi è diventata una città “della cartolina” cioè del turista; ma anche se è venuta a mancare un po’ quell’aura mitica, gli sguardi dei turisti, le fotografie, le descrizioni delle guide racchiudono in sé presenze ed apparizioni). Egli dice che il Diavolo improvvisa: l’improvvisazione sta nel Diavolo, perché lui va per tentativi, intuizioni… tentazioni! Scabia poi racconta l’episodio della vendita degli occhi del Diavolo e dell’Angelo: l’occhio dell’Angelo porta bene, l’occhio del Diavolo porta fortuna (gli occhi sono stati fatti da un artigiano di Perugia, Ulderico Pettorossi: Scabia afferma che nel momento in cui sono andati a “ritirare” gli occhi che avevano commissionato, lui e l’Angelo hanno invaso la casa dell’artigiano, cantando un’operetta che avrebbero poi portato per le strade nei giorni a venire. Scabia afferma che in quel momento ha sentito quanto si stava definendo la figura del suo Diavolo e del suo Angelo). Racconta poi la prima volta che hanno provato ad uscire per strada in costume: erano a Pannarano, un piccolo paese della provincia di Benevento, in Campania (Scabia si sofferma sul nome del paese, che deriva da Pan). Qui hanno incontrato una sarta, Tranquillina, che si era occupata di sistemare gli abiti di scena. Una volta sistemati gli abiti, i due sono usciti, recitando: questi sono stati i primi vagiti del Diavolo e del suo Angelo. Il Diavolo fa da prua, l’Angelo da timone, il forcone del Diavolo fa da remo. A questo punto Scabia racconta di come si sia interessato alla figura del diavolo: dice di averla studiata anni fa e di averla incontrata mentre era in biblioteca a Roma: un gruppo di giovani alla guerriglia contro la facoltà di scienze politiche di Roma ha assediato l’Università e Scabia ha deciso di seguirli per curiosità. Loro erano i Diavoli e i loro nomi sono scritti sul libretto che Scabia porta con sé durante gli spettacoli: li chiama per nome, perché li cerca… il Diavolo che cerca i suoi compagni. Scabia racconta poi il giro del Diavolo e del suo Angelo nella città di Venezia: anche in questo caso, pur conoscendo la città in ogni minimo angolo, per Scabia, vestita da Diavolo, la città è quasi sconosciuta. Dice di aver scoperto luoghi intimi e suggestivi mentre recitava la parte del Diavolo. Il nome dell’azione teatrale di Venezia è “giro del Diavolo e del suo Angelo”: è importante soffermarsi sulla parola “giro”, proprio perché racchiude il significato della rappresentazione che Scabia ha voluto dare alla sua azione. “Giro” per Scabia è sinonimo di “visita”: visitare ha in sé qualcosa di affettivo, è un continuum: parto per andare a visitare qualcuno e poi torno al posto da cui sono venuto. E’ a Venezia e a Perugia che Scabia si accorge anche del “fattore linguistico”: l’importanza della lingua, della parola, del gesto associato alla parola. Scabia si sofferma sull’oggetto “maschera”: lui impauriva la gente, a volto nudo, perché era mascherato (significato del Carnevale secondo Scabia: la gente si maschera perché deve ritrovare se stessa). Scabia racconta del giro con Diavolo e il Suo Angelo per l’alto Cosentino, con visita al monastero della Verna, durato 5 giorni. Qui Scabia si sofferma sulla visita dei luoghi prima di andare in scena (visita questo territorio insieme a Guido, un suo studente). Importante è la conclusione del passaggio in cui Scabia descrive il giro nell’alto Cosentino: egli afferma di star scrivendo questa lettera, o racconto?, ed è notte fonda. Vede i limoni brillare a causa del riflesso della Luna: ma, attenzione, se i limoneti che ha davanti sembrano dei Paradisi, in realtà nel Paradiso c’è anche la morte perché lungo i recenti degli agrumeti c’è un cartello con un teschio con scritto “pericolo di morte” (a causa dei pesticidi). Paradiso è quindi anche morte. Morte è quindi Paradiso. C’è complementarietà. Scabia racconta a Dorothea la storia raccontata da Frate Alfonso: “come messere Orlando da Chiusi donò il monte della Verna a San Francesco”. Scabia poi fa una regressione sul concetto di “stile”: Che cos’è lo stile? In cosa consiste? Cambia lo stile con il passare degli anni? Egli dice di aver imparato molto osservando: ha osservato gli animali e i bambini. Ha imparato a muoversi come loro. Ha ascoltato i vari dialetti e ha imparato a cogliere i diversi suoni e i dievrsi ritmi (questo è un bellissimo passaggio, a pag. 18).
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