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Lettera di Nureyev sulla danza, Dispense di Storia della danza

Testo tradotto della lettera scritta da Rudolf Nureyev sulla grande arte della danza, tra sacrificio e passione.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 08/03/2023

pietropigna
pietropigna 🇮🇹

5

(1)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Lettera di Nureyev sulla danza e più Dispense in PDF di Storia della danza solo su Docsity! La sua danza L'uomo che inseguì d isperatamente i l suo sogno di perfezione ) Colum McCann Era l ’odore del la mia pel le che cambiava, era preparars i pr ima del la lez ione, era fuggire da scuola e, dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo diec i f ra te l l i , fare quei due chi lometr i a p iedi per raggiungere la scuola di danza. Non avre i mai fat to i l ba l ler ino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero l ì , con le mie scarpe consunte a i p iedi , con i l mio corpo che s i apr iva a l la musica, con i l respiro che mi portava sopra le nuvole. Era i l senso che davo a l mio essere, era stare l ì e rendere i mie i muscol i paro le e poesia, era i l vento t ra le mie bracc ia, erano g l i a l t r i ragazzi come me che erano l ì e forse non avrebbero fat to i ba l ler in i , ma c i scambiavamo i l sudore, i s i lenz i , la fa t ica. Per t redic i anni ho studiato e lavorato, n iente audiz ioni , n iente, perché serv ivano le mie bracc ia per lavorare nei campi . Ma a me non in teressava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossib i le non far lo , mi era impossib i le pensare d i essere a l t rove, d i non sent i re la ter ra che s i t rasformava sot to le mie p iante dei p iedi , impossib i le non perdermi nel la musica, impossib i le non usare i mie i occhi per guardare a l lo specchio, per provare passi nuovi . Ogni g iorno mi a lzavo con i l pensiero del momento in cui avre i messo i p iedi dent ro le scarpet te e facevo tut to pregustando quel momento. E quando ero l ì , con l ’odore d i canfora, legno, ca lzamagl ie ,  ero un’aqu i la su l te t to del mondo, ero i l poeta t ra i poet i , ero ovunque ed ero ogni cosa.  Ricordo una bal ler ina, Elèna Vadis lowa, famigl ia r icca, ben curata, bel l iss ima. Desiderava bal lare quanto me, ma p iù tard i capi i che non era così . Lei bal lava per tut te le audiz ioni , per lo spet tacolo d i f ine corso, per g l i insegnant i che la guardavano, per rendere omaggio a l la sua bel lezza. Si preparò due anni per i l concorso Djenko. Le aspet tat ive erano tut te su d i le i . Due anni in cu i sacr i f icò par te del la sua v i ta . Non v inse i l concorso. Smise d i bal lare, per sempre. Non resse la sconf i t ta. Era questa la d i f ferenza t ra me e le i . Io danzavo perché era i l mio credo, i l mio b isogno, le mie paro le che non d icevo, la mia fat ica, la mia pover tà, i l mio p ianto. Io bal lavo perché solo l ì i l mio essere abbat teva i l imi t i de l la mia condiz ione socia le, del la mia t imidezza, del la mia vergogna. Io bal lavo e tenevo l ’un iverso t ra le mani  e, mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi a l le se i del mat t ino, la mia mente soppor tava tut to perché era ubr iaca del mio corpo che cat turava l ’ar ia . Ero povero, e sf i lavano davant i a me ragazzi che s i es ib ivano per concors i , avevano abi t i nuovi , facevano v iaggi . Non ne sof f r ivo, la mia sof ferenza sarebbe stata impedirmi d i ent rare nel la sa la e sent i re i l mio sudore usc i re dai por i del v iso. La mia sof ferenza sarebbe stata non esserc i , non essere l ì , c i rcondato da quel la poesia che solo la subl imazione del l ’ar te può dare. Ero pi t tore, poeta, scul tore. I l pr imo bal ler ino del lo spet tacolo d i f ine anno s i fece male. Ero l ’un ico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in s i lenz io, ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vest i t i , nuovi , br i l lant i e , dopo t redic i anni , mi det tero la responsabi l i tà d i d imost rare. Nul la fu d iverso in quegl i at t imi in cui  danzai su l palco, ero come nel la sa la con i mie i vest i t i smessi . Ero l ì e mi es ib ivo, ma era danzare che a me impor tava. Gl i applausi mi raggiunsero lontani . Diet ro le quinte, l ’un ica cosa che volevo era togl iermi quel la calzamagl ia scomodiss ima, ma mi raggiunsero i compl iment i d i tut t i e dovet t i aspet tare. I l mio sonno non fu d iverso da quel lo del le a l t re not t i . Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana a l l 'or izzonte. Da quel momento la mia v i ta cambiò, ma non la mia passione ed i l mio b isogno d i danzare. Cont inuavo ad a iutare mio padre nei campi anche se i l mio nome era sul la bocca d i tu t t i . Divenni uno degl i ast r i p iù luminosi del la danza. Ora so che dovrò mor i re, perché questa malat t ia non perdona, e   i l mio corpo è int rappolato su una carrozz ina, i l sangue non c i rco la, perdo  peso. Ma l ’un ica cosa che mi accompagna è la mia danza, la mia l iber tà d i essere. Sono qui , ma io danzo con la mente, vo lo o l t re le mie paro le ed i l mio dolore. Io danzo i l mio essere con la r icchezza che so d i avere e che mi seguirà ovunque: quel la d i aver dato a me stesso la possib i l i tà d i es is tere a l d i sopra del la fa t ica e d i aver imparato che se s i prova stanchezza e fat ica bal lando, e se c i s i s iede per lo sforzo, se compat iamo i nost r i p iedi sanguinant i , se r incorr iamo solo la meta e
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