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Perelà in Palazzeschi: magia e irrazionalità in Orfici e Levi, Appunti di Letteratura Contemporanea

La figura di perelà nel romanzo futurista di aldo palazzeschi 'il codice di perelà' e il contesto magico-irrazionale nei canti orfici di dino campana e nel romanzo 'il mondo di sotto' di carlo levi. Viene approfondito il concetto di alienazione e distacco dalla realtà nella società moderna e il ruolo delle figure magiche e irrazionali in questi testi.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 12/02/2024

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biancamaria-bettelli 🇮🇹

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Scarica Perelà in Palazzeschi: magia e irrazionalità in Orfici e Levi e più Appunti in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! Letteratura italiana contemporanea Lezione 1 - 18/09/2023 LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA Tema: come gli scrittori rappresentano il corpo nella loro opera. Con corpo si intende un oggetto che ha delle caratteristiche che orientano la nostra lettura. INCARNAZIONI: come gli autori incarnano le loro idee dentro ai corpi dei loro personaggi, come rappresenta la corporeità.
 E’ un termine legato al lessico religioso, ma non è l’ambito di riferimento. IDENTITÀ: identità dei testi, ogni opera ha una sua identità che parte dal genere letterario. L’autore vuole che il suo testo abbia identità. Ad esempio Calvino ha scritto opere narrative con aspetti e generi diversi, non ha mai scritto ciò che viene definito romanzo, si ritiene uno scrittore in continua metamorfosi. IMMAGINAZIONE: Iniziamo con l’inizio del ‘900 (tecnicamente il Futurismo) e finiamo con la metà degli anni ‘70. Inizio del ‘900 Avanguardia è un termine che viene dal linguaggio militare, è il soldato che va in avanscoperta. Si usa questo termine perché quasi tutti si dichiarano innovatori, nuovi e rivoluzionari, infatti molti sosterranno l’entrata in guerra perché pensano che la situazione può essere risolta solo dalla guerra. Spesso si raggruppano in movimenti che danno forza e nel loro insieme sono stati definiti AVANGUARDIE STORICHE perché sono le prime del secolo che rompono con il passato, serve come atto di identificazione. L’idea di essere giovane implica l’idea di distinguersi e vedere le cose in modo diverso. FILIPPO TOMMASO MARINETTI La sua grande idea è di sparare addosso alla tradizione italiana, cioè bruciando le biblioteche, abolendo la tradizione letteraria per creare un nuovo modo di fare letteratura. Enuncia le sue idee dapprima a Parigi, e non Italia, in un luogo più centrale per la letteratura. Il suo primo manifesto (dei futuristi) è una proclamazione di intenti, è un’opera che vuole dichiarare perché lui e i futuristi saranno CONTRO la tradizione e combatteranno. 
 Marinetti è un esaltato di viralità: coraggio, ribellione, amore per il pericolo, aggressività. Vedeva la guerra come solo modo per purificare il mondo, ma sono tutte provocazioni volute e cercate.
 Poco dopo il suo manifesto Valentine de Saint-Point, una donna francese, scrisse un manifesto a sua volta nel 1913 dal titolo “Il Manifesto futurista della Lussuria” dedicato alla sessualità e alla sua liberazione. Scrive per farlo leggere a coloro che considerano la lussuria un peccato: attenzione sul fatto che sia una donna ad esaltare un argomento del genere in quegli anni. Lei prende delle cose di Marinetti e le coniuga nella dimensione del piacere sessuale. La lussuria la definisce con più espressioni: ●  è il modo con cui un essere, un individuo, si proietta al di là di sé stesso, vuol dire che attraverso l’atto sessuale va al di là di ciò che è ●  è il dolore di sbocciare ● è l’unione carnale ●  è la comunione di una particella dell’umanità (che si unisce) con tutta la sensualità della terra ●  è creazione che ha a che fare con un piacere fisico, con l’arte Marinetti non condivide a pieno, rimane più maschile/maschilista, gli dà un po’ fastidio che una donna possa averlo superato in questa carica di idee, che vanno al di là di ciò che lui ha detto. Il manifesto è attaccato sulle città, lanciato sulle auto, e il nome della donna diventa diffuso nonostante non scriva molto altro. La guerra è un prodotto della sensualità perché la lussuria è scatenamento di forze. “Zang Tumb Tumb” 1914: opera di Marinetti dal titolo onomatopeico per non creare la logica specifica di un titolo, usa anche uno stratagemma visivo. Sono parole in libertà, vuole distruggere per portare la letteratura su un altro livello. Forse aveva capito qualcosa che solo nei nostri anni è stato realizzato con strumenti diversi: Es. —> libri non più stampati, magari recitati, che circolano sul web, che sono alla base di performance. La sua idea era destinata a fallire per i tempi, lui stesso torna sui propri passi più tradizionali. Quest’idea di andare al di là di un libro con grafiche, suoni, sintassi, esecuzione vocale, vuole far percepire degli impulsi da colui che segue il libro. Per lui c’è una letteratura alternativa alla letteratura. Allora questa letteratura che identità ha? Non ce l’ha fissa, non è riconoscibile, parla di guerra, suoni, bombe, personaggi combattenti quasi surreali, nel giro di pochi anni mette in crisi l’idea tradizionale. ALDO PALAZZESCHI (Aldo Giurlani) La prima opera di cui parliamo è “Il codice di Perelà” del 1911, scritta da Aldo Palazzeschi; le tracce di quanto già detto si trovano in profondità, è più un’opera teatrale che un romanzo nonostante sia stato definito dall’autore come romanzo futurista. L’autore è il fiorentino Aldo Palazzeschi (in realtà Giurlani), esordisce come poeta. Il romanzo è scandaloso e Marinetti lo accetta subito. Gli editori di oggi lo hanno presentato al pubblico in due versioni: quella del 1911 e quella di Mondadori che è l’edizione rivisitata negli anni ‘50. Scelgono quella copertina per attirare l’occhio dei lettori perché il protagonista è il primo personaggio della letteratura italiana che non ha un’identità, non si sa cos’è, che forma abbia, è un uomo fatto di fumo e aria. Lezione 2 - 19/09/2023 L’INCENDIARIO Il componimento L’incendiario è contenuto nell’omonima raccolta di versi pubblicata nel 1910. La poesia, collocata proprio in apertura del volume, possiede evidentemente un valore programmatico. In questi versi infatti, è possibile individuare una ulteriore, importante componente, oltre il riso, della poetica palazzeschiana: la volontà distruttiva. Palazzeschi vuole distruggere, ma, al contrario del “violento” Marinetti, ricorrendo a tematiche e soluzioni irrisorie, irriverenti, dissacranti. Una distruzione più che altro figurativa, simbolica. Tutte le frasi riportate nel testo poetico sono le voci di persone che vedono al centro della piazza del paese una gabbia di ferro all’interno del quale c’è un incendiario (piromane). Tutti si aggirano intorno alla gabbia, come uno spettacolo pubblico, un circo, uno spettacolo in cui un uomo viene deriso dalla folla. - Collegamento con Kafka - gabbia con uomo digiunatore -
 Il soggetto diventa vittima della società che è dominata da altre esigenze (es. economiche, industriali, di progresso) e l’arte viene considerata in tutte le sue forme come una modalità di svago. L’arte serve alla borghesia come momento di svago dalle cose importanti, non c’è più un’idea sacrale (a differenza dell’800). Gli artisti si difendono da questo attacco riconquistando un ruolo all’interno della società.
 Il poeta è un incendiario perché è colui che con le sue parole può creare un incendio simbolico - anima della nostra fiamma - l’entusiasmo devastatore. La messa in scena comincia a intravedersi perché l’incendiario è la vittima di coloro che lo deridono, è la prima volta che in un testo esteso il poeta si mette sotto gli occhi del pubblico per essere oggetto di una violenza verbale da parte del pubblico. Ogni verso è una battuta di qualcuno che passa di lì.
 C’è quasi piacere nell’essere derisi. Il poeta ha attraversato il mondo per salvare l’incendiario, lo riconosce come una figura sacra. Gli uomini normali non l’hanno riconosciuto perché non capiscono più qual è il valore del fuoco come elemento che ridà la vita, che rimette gli esseri in una condizione particolare. cattivo odore e capelli arruffati) e salì sullo scalone della reggia, arriva nella sala del trono e rovescia due sacchi d’oro talmente grandi da non avere concorrenti, diventando quindi Re, incoronato dopo 24h. Iba è un altro irregolare che non ha a che fare con l’umano, ma ha le caratteristiche della bestia. Arriva per assumere un ruolo che non è il suo, come Perelà che potrebbe prendere il potere attraverso il suo Codice.
 Palazzeschi usa la tradizione delle favole e del folclore europeo secondo la quale può verificarsi in certi momenti della storia il rovesciamento di tutti i valori: è la tradizione del Carnevale. Uno studioso russo dice che prima dell’800 esistevano tradizioni popolari che non conosciamo più ma talmente forti che erano fondate sul rovesciamento delle condizioni e dei ruoli, attraverso strategie complesse: attraverso le maschere, che servivano a distinguere la trasformazione.
 Il Carnevale era un grande spettacolo pubblico: si offendevano con linguaggi volgari o con il lancio di escrementi contro i nobili, poteva durare anche più giorni, dominava l’ubriachezza e l’abbondanza di cibo, ma finito questo periodo le cose tornano alla normalità. In tutti i grandi luoghi europei c’erano grandi masse di senzatetto, migliaia di persone messe in grandi luoghi fuori dalla città dove potevano dormire e che diventano ospedali. Nasce il concetto di periferia come luogo degradato.
 In un certo senso il Carnevale serve anche come momento di sfogo a una tensione sociale, lasciando spazio a questa strana umanità che non avrebbe un ruolo, ma anche per far emergere ciò che non si può dire o fare, viene esaltato il corpo nella sua fisicità (organi sessuali maschili e femminili perché è ciò che dovrebbe essere tenuto nascosto).
 Con questo rituale Palazzeschi ha pensato a Iba come l’esempio di questo mondo lontano che non esiste più. Iba però deve essere nominato Re, si porta dietro questo mondo diseredato salendo sul trono, lui DEVE diventare re. Quando esce dalla reggia, però, nessuno lo applaude, succede che improvvisamente da una finestra viene sparato un colpo di fucile che non colpisce Iba, ma dopo quello altri spari cercano di ucciderlo, i cittadini non accettano che sia lui, lo disprezzano(collegamento con L’Incendiario) e cominciano a lanciare escrementi verso di lui —> RIBELLIONE CARNEVALESCA CONTRO IL NUOVO RE.
 Iba entra nella reggia e si siede sul trono, reagisce rimanendo impassibile. Non può regnare perché è rappresentato come mostruoso, non rispetta le regole di cura e pulizia che gli uomini condividono. Se diventasse re la città non sopravvivrebbe perché manderebbe all’aria tutte le regole. Il Diverso Iba avrebbe distrutto la città, e se Perelà diventasse re cosa accadrebbe? E’ il grande enigma di tutto il racconto. Lui deve conoscere Iba perché deve vedere un essere diverso per capire qualcosa.
 Lo stratagemma che condanna Iba (forse non vero) è che qualcuno dice che nella capanna dove Iba dormiva sono stati trovati due sacchi di denaro uguali a quelli che portò lui - contravvenzione alla regola perché si è tenuto metà del denaro. Questo fa in modo che Iba dopo 4 giorni di regno venga preso e sbattuto in carcere. Come faceva Iba ad avere tutto quel denaro? Non si sa, forse ereditato da un vecchio usuraio, ma non lo rivelò mai.
 Egli (Iba) ha ai piedi una brocca piena di vino, lo stato gli passa vino finché riesce: forse egli è felice, è la grazia che lo stato gli accorda. E’ quella parte della realtà che la società moderna NON VUOLE vedere (infatti nella cella non si può entrare, si vede solo attraverso lo spioncino).
 Perelà non commenta. Nei pazzi domina la fantasia e l’immaginazione, ma anche questo non è concesso dalla società. Capitolo: SCENA DEL TÈ Palazzeschi sostiene che le donne debbano iniziare a ricoprire un ruolo nella società. Le nobildonne accolgono Perelà perché gli era stato chiesto dal re. Le donne (dai nomi molto strani) offrono il tè a Perelà, che non l’ha mai bevuto. Anche qui c’è un ribaltamento. Le donne dicono: a noi il fumo piace (il fumo della sigaretta era abbinato alle prostitute). Tutte andiamo in estasi per il fumo, quindi potremmo essere le mogli di Perelà. Sentite com’è morbido (iniziano a toccare Perelà - gioco di allusioni erotiche). Ciascuna donna decide di raccontare a Perelà la loro storia. Il fatto che una donna racconti i suoi desideri è rivoluzionario. Son tutte insoddisfatte dai loro mariti. Questa sfilza di donne racconta quello che non si può dire, i taboo della società. È Perelà che con la sua presenza le porta a liberarsi dai vincoli delle convenzioni. Lui sta zitto, loro parlano, si confessano, si degradano di fronte a lui. Una di queste donne si innamora di Perelà, la Marchesa Oliva di Bellonda che ricoprirà un ruolo fondamentale sulla fine del romanzo. Un’altra si è coperta di bende e decine di abiti: lei non gode mai, desidera gli uomini ma ha paura di farsi vedere. In realtà lei vuole essere guardata mentre compie atti sessuali: fa solo finta di avere tutti questi scrupoli, o meglio: il pudore all’epoca era una virtù, trattenere i propri desideri era visto con fierezza. Aveva un fidanzato che capì che questa aveva paura quindi molto lentamente, anche dopo le nozze, continuò a togliere velo dopo velo. Il punto è che a lei piaceva il fatto che le si togliessero i veli. “Lui ormai era nudo ma io ne sentivo tanti” (erano lì lì ripperotti marito). E invece niente ripperotti: chiude un servo nella stanza in cui “il marito la possiede” e gode nell’essere vista durante l’atto. “A noi il fumo piace” perché in quel periodo le donne cominciano a fumare in pubblico.
 E’ una delle due scene più ampie perché le nobildonne improvvisamente vedono in Perelà una specie d’amico, simile a loro, al punto tale da confessargli ciò che non si può dire, la propria natura più profonda, quasi una scena di psicoanalisi. L’erotismo è protagonista.
 Si assicurano che sia discreto, una delle donne dice che per dare un ruolo alle donne nel nuovo codice, deve sapere qualcosa di loro: “noi sappiamo ormai tutto di voi”, ma sanno solo ciò che ha detto lui. Una donna insiste sul verbo “DETTARE il nuovo codice”, importante perchè sono i desideri a dettare. Il desiderio vero di una delle donne è quello di essere guardata, è spudorata—>“I dolcieri fanno le ciambelle, maneggiano la pasta e pongono sull’asse le ciambelle pronte per il forno così non potete giudicare dalla loro riuscita: le ciambelle non sono tutte uguali, buchi diversi o anche senza”. Doppio senso molto esplicito, la natura fa come i pasticceri. Lei è come la ciambella con il buco talmente piccolo da non poterla penetrare. Perelà non commenta, ma lo sviluppo della storia è che questa donna non ha mai potuto avere un uomo per la sua conformazione fisica e sua madre l’ha portata in tutto il mondo per vedere se si trovava un uomo adatto, finché non viene fuori: Carlo Mignolo per il suo piccolo organo sessuale. Dopo l’incontro organizzato dalla madre i due si innamorano. Palazzeschi era gay: in un momento si nomina la passività di Perelà, la sua stranezza forse era nella sua omosessualità.
 L’ultima figura femminile è la Marchesa Oliva di Bellonda, è la donna che trova l’amore in Perelà. Ognuno di noi nascendo porta in sé un altro cuore (di una fanciulla in un giovane e viceversa). Aristotele e Platone parlano di ermafroditi. Ci sono uomini che ricercano la parte femminile negli uomini e viceversa, le varianti si complicano: “giustifica” l’omosessualità.
 Secondo la Marchesa è impossibile trovare il cuore giusto. Anche quando siamo legati a colei/ colui che sembra essere l’oggetto d’amore giusto, poi ci sbagliamo. “Custodisco ancora il cuore dell’uomo che non troverò più, sono legata all’uomo che non aveva il mio.” —> E’ la donna più filosofica che ha ideali, scartati come inutili e romantici.
 Discorso di disperazione assoluta. Le amiche subito la deridono perché il suo è un discorso inutilmente romantico (nel futurismo non c’era spazio per il romanticismo ottocentesco). Una donna gli dice “non la ascoltate, sta con uno degli uomini più robusti e ricchi della città”, La marchesa dice che suo marito è un bruto ed è sottomessa a lui (questa donna ha degli ideali scartati come inutilmente romantici). Lezione 4 - 25/09/2023 La coerenza di Perelà sta nel fatto che non dà giudizi su ciò che vede, non ha un suo chiaro pensiero. Ribadisce un unico principio: l’essere leggero, diverso da qualsiasi altro essere. Capitolo: ALLORO Fino a questo punto Perelà è considerato come l’essere onorato che porterà nuove leggi, il suo essere leggero è ammirato da tutti. Improvvisamente un fatto rovescia l’assetto del racconto: il vecchio servo del Re, rispettato da tutti e di nome Alloro, è il più vecchio di tutti i servi del Re, improvvisamente sparisce e tutti cominciano a cercarlo. Il nome Alloro è un altro gioco di Palazzeschi (è la parte di regressione infantile): Questo servo era diventato irrequieto, perdeva il filo del discorso, si stropicciava le mani, si è messo in testa di diventare come Perelà, vuole imitarlo perché riconosce la sua grandezza enigmatica. Alloro ha un progetto molto chiaro e per realizzarlo si da fuoco. Perelà, dato che Alloro era dato per scomparso, va a cercarlo in tutto il palazzo del Re fino all’ultima torre in cui trova una porta chiusa da dentro, dalla quale escono alcune impercettibili spire di fumo. Alloro si è dato fuoco. Quando viene aperta la porta esce la nebbia di fumo denso. Al centro della stanza ci sono cenere e carboni e una catena di ferro fino a 2 metri dal suolo: Alloro si è appeso e si è bruciato. La figlia di Alloro si chiese perché ha voluto imitare Perelà: e così Perelà diventa come IBA, anche se ne è il contrario, diventa come lui perché è un essere pericoloso. Diventa l’assassino.
 Il colpevole è il diverso: la paura di poter essere identificato e messo al centro di un processo in quanto diverso.
 Perelà, secondo i cittadini, ha convinto Alloro perché alcuni li hanno visti parlare e potrebbe convincere anche altre persone. Non è più il portatore di saggezza, bensì il capro espiatorio della città. Improvvisamente arriva Perelà e dice: “voleva divenire leggero”. Questa frase condanna Perelà perché si mostra indifferente. Viene riferito al re che convoca una riunione e Perelà viene definito colui che causa la rovina della città.
 Deve essere scacciato ma ci vuole un processo, si deve rendere pubblica la sua colpa.
 Prima del processo c’è un capitolo strano in cui Palazzeschi ci fa assistere alla scena in cui c’è solo Perelà che esce dalla città dopo essersi chiuso nel suo appartamento per giorni, rendendosi conto che tutti ormai lo guardavano in modo diverso e si chiede “perché?” (titolo del capitolo), non se ne capacita perché ha detto la verità, non aveva idea delle idee di Alloro, altrimenti lo avrebbe distolto. Perelà ha la coscienza che gli uomini non sono come lui. In questo capitolo Perelà vedendo che è una bella giornata, esce da solo, tutti coloro che lo incontrano fanno finta di non vederlo, anche i militari e lo lasciano uscire e alle porte della città, così si trova in un luogo che non ha mai visto: immerso in un luogo di libertà assoluta. Intanto, in realtà, lo stanno spiando, forse tutti pensano che sarebbe meglio che andasse via per sempre, che forse è positivo se esce dalla città, ma la voce che si diffonde tra i cittadini è che è sospettato della morte di Alloro e Palazzeschi dice che è impossibile riportare quel che si dissero tutti, soprattutto tutte le donne. I suoi stivali sono come due corolle dalle quali esce il suo corpo come un fiore nell’aria, un essere quasi angelico prodotto dalla natura.
 Autocoscienza di Perelà: non può essere coinvolto nella vita della città, ma non se ne libera. Quando torna un gruppo di bambini lo prende a botte. Lezione 5 - 26/09/2023 Capitolo: PERCHÈ? Ispirazione a Nietzsche.
 E’ il capitolo meno legato al resto del racconto, Perelà è da solo senza personaggi che lo accompagnino, si libera dai vincoli della città a cui è sottoposto un uomo.
 Questo capitolo è usato per farci capire che la mente di Perelà per la prima volta sente qualcosa che è al limite del dicibile e che esprime con immagini che rimandano all’alzarsi verso il cielo (insita in ogni pensiero di liberazione). Anche se Perelà non è mai stato vincolato è particolarmente forte quest’attenzione, non si era mai sentito così leggero, le preoccupazioni si attenuavano.
 Contrasto esplicito tra ciò che c’è laggiù: comunità, gente e città conosciute. Ne prende distanza, quello è ciò che non vuole più frequentare. Si allontanavano e si perdevano quasi davanti al suo sguardo. La tensione che lo spinge a elevarsi si rileva l’ispirazione a Nietzsche: l’uomo si deve liberare dalla schiavitù del reale e pensare con una forme di piacere nuova. Lo stesso tipo di tensione, ma vissuta in maniera tragica, lo troviamo nei Canti Orfici di Campana (COLLEGAMENTO).
 Perelà appare come un essere fuori dalle regole e gli altri potrebbero considerarlo come l’IMMAGINE di un clown: un essere che provoca il riso con le parole che non si possono dire perché le convenzioni non consentono certi discorsi (il massimo del racconto si raggiunge nei discorsi delle nobildonne, diventano anche loro comiche perché si degradano davanti a lui).
 Palazzeschi aveva usato questa tecnica anche nelle sue poesie, dove è ancora più esplicito il gioco con le figure femminili. Il Re Torlindao compare solo qui attraverso una porta misteriosa protetta da un vetro, non concederà la grazia a Perelà.
 Il capitolo si chiude con una serie di donne che si dicono “allora questa sera ci rivediamo a cena, ma mancherà Madama Perelà”. Ultimo Capitolo - IL CODICE DI PERELÀ Perelà viene accusato di questa morte e tutta la folla lo insulta. Il re dà ordini che venga processato e condannato ad essere rinchiuso in una minuscola cella in cima al monte Calleio. Durante il processo, tutti i personaggi da Perelà incontrati, che avevano dimostrato immediatamente simpatia e ammirazione, lo accusano senza pietà, chi mosso da invidia o chi semplicemente perché lo fanno gli altri. Deve quindi essere costruita la prigione in cima al colle, come un buco scavato nella terra e che abbia una feritoia dalla quale scende la luce. Sarà messo anche un camino che rimanda all’oggetto dal quale nasce Perelà. Viene tenuto nella reggia finché non è pronta la prigione, il Re ha deciso di tenerlo lì, senza trattarlo duramente come tutti i colpevoli. Perché Perelà non ha mai parlato in sua difesa? Non può dire parole perché se si difendesse sarebbe come gli altri, infatti lo difende scorrettamente Olivia. La cella è molto piccola, ancora più terribile degli altri colpevoli, è completamente buia, anche se c’è questo camino perché bisognerà offrire a Perelà qualcosa che lo scaldi nell’inverno, potrebbe rimandare alla nascita e alla sua fuga, risalendo dal camino.
 Il giorno particolare è quando Perelà dovrà percorrere tutta la strada che dalla reggia arriva in cima al colle, stessa strada d’arrivo in città. Vediamo in qualche modo il rimando ai vangeli in cui Cristo, come vittima della comunità alla quale appartiene, viene fatto sfilare sotto gli occhi di tutto il popolo. La città vuole essere in qualche modo liberata dalla presenza di colui che avrebbe potuto causare la rovina della società.
 Perelà DOVREBBE cambiare l’ordine delle cose, ma entrerebbe in una dimensione che lo renderebbe troppo vicino agli altri uomini, lui è la contraddizione assoluta. Il rinnovamento della città è uno degli ideali dei futuristi, dei manifesti. Potrebbe essere lui che propone un cambiamento, ma tutto è basato sul riso che demistifica ciò che gli uomini dicono e fanno. Egli potrebbe essere l’incarnazione di questa forza irresistibile con la quale Palazzeschi si prende gioco, proprio dei suoi amici futuristi, gioca una partita tutta sua nelle poesie e nel suo primo racconto.
 Perelà rimane immutabile anche quando gli sputano sopra (gradinata di liquide frecce) - gioco onomatopeico.
 Anche la marchesa sale per il colle in disparte, gira attorno alla gabbia e si ferma davanti (rimando a Maria Maddalena).
 “Ostia pura di luce e di calore”: sole
 “Ostia pura di luce e di dolore”: la marchesa Perelà fa un discorso: Indica la sacralità della fine della sua opera, e infatti segue la pagina dove Perelà parla (unico discorso articolato). Lascia le sue scarpe, rimangono lì perché sta per uscire dal mondo degli uomini: le scarpe sono il primo oggetto che lega Perelà agli uomini per consentirgli il cammino, sono il vincolo che lo ha tenuto saldo al suolo. Invoca le sue tre madri.
 Annuncia la sua fuga in maniera irriverente, lascia le scarpe come codice dal momento che possono ragionare solo intorno ad esse. Volerà come una nuvola in cielo: “l’ultima persona che penserà a me non ha capito quello che c’è di vero: l’essere leggero leggero leggero”. Anche l’amore della marchesa si è indirizzato in maniera sbagliata, come tutto il resto. Palazzeschi mette in correlazione la pazzia della marchesa e il volo di Perelà perché la pazzia è una condizione che ci fa allontanare dal mondo degli uomini.
 Gli uomini guardano il cielo consapevoli che ci sia Perelà. Palazzeschi ripubblica il romanzo nel 1958 perché pensa che è la testimonianza di una storia dalla quale si è staccato.
 Nonostante le varie invenzioni di mezzi, il disprezzo si manifesta ancora con il liquido che viene dall’uomo, gettato in faccia a chi deve essere offeso. Lezione 7 - 2/10/2023 DINO CAMPANA
 Tende un esperimento più estremo: - Palazzeschi si dedica alla scrittura, Campana VIVE fuori dalle regole perché da ragazzino viene considerato violento e sottoposto a perizie psichiatriche, l’onda dell’anomalia mentale lo perseguita, non era malato di mente Dino Campana: spada barbarica Intorno a questo poeta ci sono problemi non indifferenti: unico poeta italiano che ha una vita caratterizzata da una serie di episodi sui quali non si è riuscito a fare luce perchè sono episodi dei quali mancano documenti. Fasi della sua vita di cui non si hanno documenti. Unici episodi della sua vita che ricorderemo: 1. Campana nasce in un piccolo paese dell’Appennino vicino a Faenza, tecnicamente è romagnolo (più toscano che romagnolo dal punto di vista linguistico). La sua vita gravita inizialmente su Faenza e la seconda parte di Bologna e in seguito Firenze. Chiaramente come tutti. I giovani che provengono da una famiglia benestante viene iscritto al ginnasio di Faenza quindi fa degli studi regolari a contatto con la letteratura italiana. 1900, dopo i 3 anni di ginnasio viene iscritto al liceo e proprio in questo anno succedono una serie di episodi che allarmano il padre: “mio figlio comincio a dar prova di un carattere impulsivo, morboso in famiglia e specialmente con la mamma” —> Il padre la scrive al medico avendo il sospetto che il figlio non avete una malattia curabile ma è necessario portarlo da degli esperti (di psichiatria al manicomio di Imola). Nel 1900 Campana ha 15 anni e si iscrive già al liceo, quindi uno studente molto maturo. Il fatto più interessante è che non è la madre a prendersi in carico i problemi del figlio ma il padre che decide di portarlo a fare questo primo controllo a Imola (—> si risolve co una serie di diagnosi sottolineando al fatto che è debito a uso eccessivo di bevande come il caffè e che è ossessionato da una mania che lo porta a scappare di casa e camminare compiendo tragitti lunghissimi stando fuori di casa ammonti giorni quindi una presenza di un tormento fisico legato ad un altro tipo di tormento). Il padre decide di mandarlo a studiare come privatista a Torino. Nel 1903 Campana di iscrive all’università di chimica di Bologna. Una delle prime testimonianze che abbiamo di una sua fuga lunghissima è del 1904 —> improvvisamente Campana viene ritrovato a casa dopo mesi di sparizione dove racconta di aver compiuto un viaggio in Russia: un elemento interessante essendo che Campana, nei mesi della sua vita in cui viene chiuso un un vero manicomio, racconta di aver fatto il mestiere di fuochista in una nave a Odessa. —> Parlerà poi in un componimento di aver conosciuto un russo. Nel 1905 abbiamo un documento dove richiede di essere ammesso a chimica farmaceutica all’università di Bologna. A Bologna succede probabilmente un episodio del quale abbiamo una testimonianza del rettore di bologna dove Campana viene espulso dall’Università: (Possibili motivazioni) —> Campana viveva in Via Zamboni 32 e scendendo dalla stanza aveva incontrato un maggiordomo che stava rientrando con il cane del professore e si dice che abbia cominciato a inveire contro quest’uomo e abbia scaraventato il cane dalle scale. Campana tenete di fuggire nascondendosi in una farmacia e poi venne preso e portato in questura. Lui decide di passare quindi all’università di Genova dove il rettore di Bologna scrive a quello di Genova dicendo che stava arrivando uno studente pericoloso (essendo anche uno studente di chimica). Torna poi a casa e fugge in seguito per andare in Francia e Svizzera. Una volta tornato nel 1906 Campana viene portato in manicomio a Imola e vengono fatte le prime diagnosi di una possibile malattia mentale. Fino ad ora non si hanno testimonianze di un’attività letteraria di Campana fino a questo momento anche se dobbiamo pensare che fosse già cominciata, essendoci molti anni in cui viaggia. Nel 1907/8 va in Argentina (vediamo molti testi ambientati nella pampa argentina). Viaggi non tipici per un letterario italiano che viaggia e si sposta, non vuole stare da nessuna parte ma girare. 2. 1909 torna in Italia e campana viene ricoverato d’urgenza al manicomio di Firenze, un anno dopo fugge in Belgio ma viene ricoverato di nuovo in un manicomio in Belgio. Lui ritorna poi a casa nel 1912 e per la prima volta a Bologna riprende gli studi di chimica, vediamo in un giornale degli studenti (Il Papiro), una pubblicazione di Campana di 2 poesie più 1 testo in prosa. Infatti in realtà nel giro d 2 anni nascono i “Canti Orfici”. Manda il manoscritto di quest’opera (si chiamava il più lungo giorno) a due letterari: Papini e Soffici. Andrà poi a casa di Soffici richiedendo il suo manoscritto e gli viene detto che era stato perduto: dopo tanti anni viene poi ritrovato quindi non sappiamo bene se fosse una storia vera o se fosse un invenzione di Campana. Sappiamo pero che tra il 1913 e il 1914 andando in giro per l’Italia riscrive il suo manoscritto su un quaderno e nel 1914 (giugno) proprio a Marrabi fa stampare il suo libro. Le fuga, gli internamenti psichiatrici ecc, porta alla fine alla composizione tra il 1912 e il 1914 dell’unico libro che Campana scriverà. I Canti Orfici vengono pubblicati a Marrabi preso una tipografia in una veste molto semplice. Nel 1918, Campana che ha girato ancora per il mondo e ha cercato di scrivere al tre poesie, vien emanato a un controllo e viene poi chiuso in un manicomio a CastelPulci vicino Firenze. Muore nel 1932 per una setticemia. Nel manicomio c’è un medico (Pariani) che decide di visitarlo e di fargli delle domande e usci un testo “Vita non romanzata di Dino Campana”. Questo medico nel 1938 raccoglie questi appunti per riscrivere in maniera non romanzata la sua vita. Chiaramente Campana non è un uomo che può parlare lucidamente di se. Viene raccontato che nel 1913 si trovava a Genova e che in realtà non riusciva ad arrivare alla Laurea e per questo disperatamente decide di imbarcarsi per Buenos Aires (noi sappiamo pero che lui era a Genova e viene poi mandato a Marrabi mentre il viaggio può essere stato fatto solo nel 1908 dei quali non ci sono pero testimonianze. La sua vita incidere profondamente su quello che scriverà poi nei Canti Orfici. 3. Campana era molto povero quindi quando andava in giro per il mondo viveva del suo lavoro, la famiglia non lo ha seguito sempre, anzi, avrebbe voluto liberarsene il prima possibile. Molti dicono che girava vestito da barbone. Guardando le sue foto, niente ci fa pensare a questa condizione. Quando Pariani lo intervista e lo conosce quando campana ha poco più di 30 anni, lui fa alcune considerazioni sulla sua malattia: dice che ha degli accesi di pazzia dissociativa (non conosce se stesso come se non fosse padrone di se stesso); lui dice anche che sembrava lucido, aveva nozioni fatte del tempo e dei luoghi e non si lasciava destrare da discorsi strani. Aggiunge che vi è una sua fotografia del maggio 1928 che fu presa in uno dei periodi di malessere; il suo viso appare spiacevolmente turbato, cruciato, messo li per forza. Questa fotografia ritrae Dino Campana nella quale si cerca di documentare un Dino Campana malato psichiatrico. Pariani scrive che nei primi incontri non potè evitare che lui facesse discorsi deliranti: la sintesi che viene fatta è “Poeta Pazzo”. Campana è la vittima della ricerca di una mente creativa influenzare dalla malattia psichica - umiliante perché definito poeta solo perchè pazzo. Prima frase detta da Campana: “Ero una volta scrittore ma ho dovuto smettere per la mente indebolita, non seguo e non connetto le idee” —> gli dice chiaramente di essere stato un poeta ma di non esserne più in grado. Le frasi seguenti sono frasi che ci fanno ipotizzare che lui non sia in grado di poter scrivere poesie, essendo lui delirante. 1916: Lettera a Checchi Campana confessa a Cecchi quella che è stata la sua vita fino ad allora, quello che ha sofferto fino a quel momento. Inizia con un accusa ai letterari fiorentini. Dice di averli sfidati, persino Marinetti. Campana chiede a Cecchi perché non è stato tenuto in considerazione dai fiorentini. Campana si presenta come un perseguitato, i fiorentini non l’hanno accettato e i compaesani lo hanno perseguitato solo perchè tornata dai viaggi stracciato, così scappo a Genova e poi sui suoi monti sempre però insultato e. perseguitato. Qui scrisse i Canti Orfici includendo cose già fatte. I canti orfici dovevano essere la giustificazione agli occhi di tutti la sua vita: far capire a tutti che era qualcuno perchè lui era fuori dalla legge e con quelli doveva giustificarsi. Importante: riscrittura a memoria del manoscritto. Sangue del ragazzo: sangue di Campana —> dice campana che quelle sono le uniche parole importanti del libro. Lui dice di aver preso la frase in inglese perchè quella frase sancisce la sua F) Barba giudaica di un vecchio —> profilo di un vecchio che fa pensare a un vecchio sapiente ebreo Tutta questa preparazione d uno scenario porta al canto delle zingare all’interno della palude che non ha voce (afona) che fa risaltare il canto monotono e irritante (nenia = ritmo cantanto come una canzone popolare). Questa nenia può portare il passaggio dalla veglia al sonno che potrebbe essere e rappresentare il tempo sospeso. Vuole che le immagini che si creano siano spostate in una dimensione che non è la realtà. (Gli errori presenti di comunicazione all’interno del testo vengono trascurati perchè dobbiamo arrivare a far in modo che la comunicazione agisca). — Il primo frammento (il canto delle zingare) è un varco. FRAMMENTO 2: Campana non è più nella campagna ma “inconsciamente” si trovo davanti alla Torre (di Faenza) che definisce “barbara” (= che ha qualcosa di arcaico e primitivo e appartiene a un’altra epoca). Senza rendersene conto, senza volerlo leva gli occhia a questa torre —> questa torre scatena in campana il ritorno di memorie. “Sopra il silenzio fatto intenso essa riviveva il suo mito lontano e selvaggio: mentre per visioni lontane, per sensazioni oscure e violente un altro mito, anch’esso mistico (prepara una forma di conoscenza che è una rivelazione) e selvaggio mi ricorreva a tratti alla mente” —> La torre barbara rivive il suo passato lontano e un’altro mito, questa volta dell’autore, ripercorre la sua mente. Campana si avvicina all’inizio del suo percorso partendo dal guardare la torre (nel terzo frammento capiamo che la torre simboleggia Faenza). Nella mente di Campana si fanno spazio delle visioni che hanno a che fare con delle donne che inizialmente sono indistinte definite come delle prostitute (le passeggiatrici, antiche, matrone, troie - probabilmente rappresentano figure che ha frequentato durante i suoi passaggi e allude a donne che si prostituiscono per denaro che per lui hanno una funzione nobile, cioè gli insegnano e gli consentono di capire qualcosa sulla sua esistenza - solo due poeti utilizzano le prostitute in maniera positiva: Gozzano e Campana) ; in seguito si fa strada una di queste donne chiamata “La Sera”, e infine viene toccata e abbracciata da colui che ricorda. La degradazione della prostituta si trasforma e diventa sublimazione (3 incontri in La Notte). Appare quindi una donna in particolare (dalle carni rosee e dagli accesi occhi fuggitivi): Lei - la Sera. Mentre Campana ha questo ricordo tutti gli anni del passato si uniscono in una sensazione di grande felicità, dolcezza e trionfo. Dal secondo al terzo frammento avviene un ritorno all’indietro; Campana non ha una stabilità. Penelà non aveva un corpo e poteva agire su tutti gli uomini solo con la sua presenza - Qui invece Campana ha un corpo ma non domina in maniera razionale l’immagine del suo corpo quindi può scrivere prima che alza gli occhi alla torre e poi come se tornasse indietro (Colui che io ero stato). Campana alterna quindi la prima alla terza persona. Vuole creare dei piani diversi del tempo (presente /passato/ memoria/ tempo sospeso) — La torre è il punto attraverso il quale avviene il secondo passaggio - FRAMMENTO 3: Campana dice che partendo proprio da quel punto dove vede la torre c’è un altro lui: colui che lui era stato si trovava avviato verso la torre. Quindi in questo frammento è il lui adolescente che percorre quelle strade. Ci troviamo in una dimensione che ha a che fare con il ricordo, e tutto è ora in terza persona. (Definito dai dottori il segnale della sua dissociazione - Pariani dice che la malattia mentale affluii in maniera negativa sulle sue attitudini di poeta). FRAMMENTO 4: Campana entra e esce da luoghi diversi: “Fu scosso da una porta che si spalancò” —> Campana entra in un luogo dove si trovano delle persone in condizioni disagiate (vecchi dalle forme oblique…); Campana assiste a una situazione di sofferenza, in un luogo dove vengono tenute sotto controllo delle persone con caratteristiche turbanti. Davanti a questo frate tutti questi vecchi fanno un inchino e si allontanano. FRAMMENTO 5: Anche in questo frammento Campana è sdoppiato (egli); seguiva lui in maniera meccanica il corteo dei vecchi. Vediamo una deformazione della realtà: un gruppo di vecchi, un frate, la donna alla quale diresse una parole. L’atmosfera che si crea non è realistica e nemmeno piacevole. Lui è entrato in una dimensione nella qual eluì più volte si è trovato (nello spazio, manicomio) dove si trovano figure spaventose. Nei canti vedremo che saranno ripetute queste situazioni, dove incontrerà figure strane che sono però degli altereghi di se stesso. (Analoga situazione la troviamo con il pittore Vincent Van Gogh - tutto ciò che egli rappresenta sembra sottoposto a un energia fluida, come se ci fosse un movimento interno che li deforma - Il quadro del carcere dove i carcerati vengono portati a camminare all’aperto in cerchio, in un piccolo spazio, si avvicina a questa figura che anche Campana ha cercato di rappresentare). FRAMMENTO 6: Con questo frammento non siamo più dentro la città ma avviene il primo incontro reale con la prostituta. Campana è accompagnato dalla sua ombra che viene attratta da questa prostituta. Vediamo questa oscillazione, dove egli cammina con la sua ombra ai confini della campagna e viene attratta da una porta dove si trovano le prostitute. Campana entra e incontra due figure femminili: la donna più anziana è la portatrice di una sapienza amica (matrona) - donna più giovane oggetto di desiderio erotico (ancella). Queste sono le due figure femminili nelle quali Campana ha identificato quella donna ideale che dovrebbe consentirgli l’acquisizione della salvezza. -La sua condizione mentale gli faceva sentire questa profonda distinzione all’intento di se: non riusciva a sentirsi un’unità - questo libro deve essere l’unità riconquistata e il segno della salvezza- La Matrona (barbaramente decorata) sta leggendo le carte (prevedere il destino); Campana individua poi la Ancella che invece sta dormendo e rappresenta l’attrazione erotica. FRAMMENTO 7: La Matrona (sacerdotessa) comincia a parlare di amore e la ancella si appoggia e lo guarda come una sfinge: si trovavano loro tre soli, vivi nel silenzio che li avvolge. Nasce quindi un rapporto strano: La sacerdotessa, l’ancella e il poeta si guardavano. FRAMMENTO 8: “Anime infeconde inconsciamente cercanti il problema della loro vita. Ma la sera scendeva messaggio d’oro dei brividi freschi della notte" FRAMMENTO 13/14: Tutto quello che precede il frammento 13 rappresenta il primo incontro con la prostituta e poi al numero 13 sappiamo dove si trova Campana: “Ero sotto l’ombra dei portici…” —> a Bologna. È una notte di dicembre e campana si trova di nuovo difronte a una porta che si apre e entra in un luogo dove trova due donne. Da Faenza a Bologna significa che campana cerca di sintetizzare in questo passaggio tutta la prima parte della sua vita. Adolescenza, anni di studio irregolari e poi arriva a Bologna. Vediamo il tema della notte e della luce che diventa sanguigna. Campana si trasfigura in un personaggio della letteratura che rivelerà nel frammento successivo (FAUST). Ancora una volta fissa un immagine femminile: Le bolognesi somigliavano allora a medaglie siracusane e il taglio dei loro occhi era tanto perfetto che amavano sembrare immobili a contrastare armoniosamente coi lunghi riccioli bruni. Campana quindi assume le sembianze di Faust (di Goethe): Campana si nomina Faust, un professore di Seine naturali come la chimica (campana prende questa idea perché lui steso si sarebbe dovuto laureare in chimica). Nel poema di Goethe Faust non è giovane e bello ma un professore anziano che viene raggiunto dal diavolo con la proposta di concedergli l’immortalità. Faust invece nel poema di Campana è giovane e bello e si diverte a guardare le studentesse di Bologna e rimane affascinato dalla loro bellezza. In questo frammento vediamo un incontro di tipo erotico; vediamo quindi la porta che si apre in uno sfarzo di luce. Egli entra in un luogo che ha un significato sacro: In fondo avanti posava nello sfarzo di un’ottomana rossa il gomito reggendo la testa, poggiava il gomito reggendo la testa una matrona… accanto una fanciulla inginocchiata. La tecnica è sempre la stessa della ripetizione di frasi (irregolarità della sintassi che scompone l’immagine) per creare una sonorità e rima all’interno del brano. Tornano quindi l’immagine della matrona e della giovane fanciulla —> descrizione molto esplicita + un elemento strano: “una tenda, una tenda bianca di trina” —> la tenda suscita delle immagini candide; la tenda ha una funzione: sembra agitare delle immagini. Descrizione della matrona: mammelle enormi = fecondità della vita Descrizione fanciulla: gambe lisce e ignude = giovinezza Tenda: su questa tenda scorrono immagini candide che hanno una luce bianca e luminosa; Lui è entrato li ed è stato investito dalla luce e da questa immagine che lui fissa costretto e attonito —> qui non siamo più nella realtà; È un livello visionario e fantasmatico: campana che potrebbe aver vissuto questo tipo di esperienza vuole raccontarci che entrare in quella casa ha un significato che va oltre quella che è l’azione in se. Campana sta facendo un percorso dentro la notte per salire a una condizione di ritrovamento di se. Le immagini che corrono su quella tenda bianca siano immagini che rimandano al suo passato, o possiamo pensare che nei suoi vagabondaggi aveva visto già degli spettacoli che anticipavano la tecnica del cinema (tendoni nelle campagne intornia nella città) e si stia riferendo a questo, e abbia utilizzato questa suggestione per parlare di quello che era la ricerca di se. In seguito il poeta e le due donne (come nel primo incontro) si ritrovano soli e nasce qui l’intimità. Campana semplicemente cita il canto 5 dell’inferno - Dante arriva in un luogo buio e vede delle anime sbattute da una tormenta (bufera infermale) e vede infondo due anime attaccate tra loro e si rivolge a loro: Francesca e Paolo; Dante parla dei colombi perchè nel medioevo erano simbolicamente legati alla lussuria- La matrona parla e usa le stesse immagini di Dante nominando un atto d’amore tra i colombi. La matrona esprime la sua curiosità sulla lussuria. Le domande rimangono senza risposta. Campana continua e sospende l’atto del possesso della matrona. Lei racconta degli episodi della sua vita (ricordava, ricordava a lungo il passato). Lei vuole revocare il suo passato per incitare il poeta a possederla; in realtà la reazione di campana è diversa: lui rimane sconvolto dalla rivelazione, con le lacrime agli occhi. Questo racconto provoca nel poeta delle fantasie e proprio questo susseguirsi di immaginazioni prende il posto di quello che si aspetterebbe essere l’atto finale della scena ( la voce era taciuta, la ruffiana era sparita). Ultima immagine: sempre con lo scenario della tenda la fanciulla posava sulle ginocchia (fanciulla con elementi maschili e femminili allo stesso tempo). Il centro della scena è la tenda di trina bianca che è l’oggetto ripetuto più volte e non è semplicemente lo sfondo della scena ma è l’oggetto principale dove Campana sente qualcosa che lo sconvolge e che ha a che fare con il ritorno di immagini del passato. Campana dice a Pariani che il viaggio degli Orfici viene inteso come un unico viaggio. Nel suo insieme questo racconto in prosa racchiude tutta la vita di Campana più o meno fino al momento in cui puoi decide di scrivere i Canti Orfici. Questo percorso di conoscenza arriva al momento in cui scrive i Canti. Lezione 9 - 09/10/2023 Due figuri principali: - La matrona (l’antica) - L’ancella (più giovane) della fuga o della partenza, nel componimento Genova è il luogo dove avviene l’ultimo atto di questa ascesa spirituale di campana: non è un atto salvifico. Genova è il porto: Campana nota subito che le navi vengono tenute nel porto quasi prigioniere. Le navi legate al porto soffrono di questa condizione (trasfigurazione di Campana in questi battelli che nella notte stanno legati). Sono oggetti inanimati ma soffrono della loro condizione e vorrebbero liberarsi. Rimbaud: “Il battello ebbro”: racconta di un battello che naviga liberamente lungo un fiume fino a quando viene bloccato. Considerato il più importante poeta francese, visionario diventa adulto e sparisce come se avesse anticipato il destino di molto scrittori del 900. Il destino del battello di Rimbaud è un po’ il destino di Campana: Campana viene definito quindi il Rimbaud italiano. Vi sono molte somiglianze tra il battello e Campana (leggere il testo di Rimbaud - Il battello ebbro) Molti sulla base del brano di Rimbaud, parlarono di un Campana come un Rimbaud italiano (somiglianze ci sono ma difficile paragonare i due stili). Campana ha compiuto il suo viaggio: non immaginandosi di essere un battello ma vedendo nei battelli legati al porto qualcosa nei quali si riconosceva. “Al porto il battello si posa Nel crepuscolo che brilla
 Negli alberi quieti di frutti di luce,
 Nel paesaggio mitico
 Di navi nel seno dell’infinito
 Ne la sera
 Calida di felicità, lucente
 In un grande in un grande velario
 Di diamanti disteso sul crepuscolo,
 In mille e mille diamanti in un grande velario vivente…”
 Questo battello ha finito il suo viaggio, ed è tornato di sera per posarsi al porto: questo è un momento di pausa dal dolore dell’esistere; In questo suo essere arrivato il battello sente qualcosa: si scarica, cigola —> un movimento di sofferenza. Non deve navigare più pero cigola perchè sente ancora una sofferenza anche se l’immagine che segue è un immagine di felicità -“ Corrono i fanciulli e gridano, Con gridi di felicità…” - L’immagine che campana vuole cogliere è quella della sera che scende una luce di pacificazione sulla città di Genova. Genova è un luogo pieno di vita, intensa e fugace; questa sera descritta ha qualcosa di positivo per Campana, l’ora della sera che si spande sulla città diventa un sudario d’oblio (un lenzuolo sacro che porta dimenticanza nella città). Campana chiama Genova: LA SUPERBA. I viaggiatori come cechi si avventurano per le strade della città. L’immagine successiva è il porto che riaddormenta ma che comunque rimanda alla sofferenza per via dei battelli che continuano a cigolare à—> da una parte la sera è un momento di pace, ma dall’altra lui non è coinvolto da questa pace. 
 “Vasto, dentro un odor tenue vanito Di catrame, vegliato da le lune elettriche, sul mare appena vivo. Il vasto porto si addorme.” Campana è sul porto e vede questa scena. Il porto si addormenta ma ce una forza dentro questo dormire: è la forza che riporterà i battelli il girono dopo a ripartire, è la forza che lui sente dentro di se e che tiene sotto controllo; una tristezza inconscia delle cose che saranno. Ultima immagine: “E il vasto porto oscilla dentro un ritmo Affaticato e si sente
 La nube che si forma dal vomito silente.” —> c’è il movimento tenuto sotto controllo, e la nube che si forma sarebbe la nube delle ciminiere di cui parla prima. Quello che esce dalle ciminiere è come vomito silenzioso. In questa strofa si sente la notte, il momento di pace nel porto ma nella quale c’è qualcosa che non ha quiete (il fumo delle ciminiere, la tristezza delle cose che saranno, il vasto porto oscilla nel ritmo affaticato). Poi c’è campana che trasfigura il porto come luogo dove ci sono cose che lo turbano. Poi improvvisamente “O Siciliana proterva opulente matrona” —> ultima matrona con la quale Campana chiude il suo percorso. Lei si trova affacciata a una finestra sul porto. La siciliana è la femmina dei porti (prostituta che sta nel porto) ed ha un ruolo particolare: ultima donna alla quale Campana si rivolge disperatamente sperando di ottenere qualcosa da lei. Vede queste prostitute come portatrici di un passato arcaico. Lui di questa donna vede pochissimo. Sovrapposizione di più piani del discorso: la siciliana è dietro a una finestra/affacciata a una finestra (immagine dei vetri) scura (cavità di ombra) —> da questa cavità Campana nota la luce vacillante e i seni della matrona: campana vuole sottolineare pero che i capezzoli del seno della siciliana in un certo senso emergono dall’ombra con qualcosa di luminoso. Dobbiamo collegare “luce vacillante” con “ai capezzoli” —> Lei chiusa nell’ombra della finestra e si intravede il seno grazie alla poca luce vacillante. La matrona viene definita l’incarnazione della notte e della piovra: lei è la piovra delle notti mediterranee; lei è l’incarnazione dell’anima del porto; della notte mediterranea. Dentro a quest’ombra la Siciliana diventa una piovra nascosta. Con al maiuscola vediamo la personificazione della Piovra. Troviamo la GRU: il braccio della gru - il tentacolo della piovra - la siciliana (immagine molto densa). “Il debole cuore batteva un più alto palpito: tu” —> allunga il verso e crea una doppia rima, aggiungendo “tu” (—> in questa posizione forte indica la donna). La finestra è chiusa o senza luce: lei è nuda In alto cava (utilizza 5 volte l’aggettivo cavo modificandolo di significato); e mistica (=che non parla/lo utilizziamo con l’unione con la divinità che non ci permette di esprimere parole). Per Campana è la notte tirrena ad essere mistica (ha delle caratteristiche: è una cavità, una cupola che lo sormonta dentro la quale avviene qualcosa, cioè una devastazione). In alto cava (utilizza 5 volte l’aggettivo cavo modificandolo di significato). Lui cerca salvezza ma lei non può dargliela, è l’ultima figura che compie su di lui un atto definitivo di sacrificio. Il palpito del cuore stretto dentro le mani della piovra viene definito come la morte o come una morte che lo porta a un momento mistico. Campana mette i piani espressivi uno dentro l’altro creando dei nodi difficili da sciogliere. “They were all torn and cover’d with the boy’s blood” = erano tutti stracciati (invece che straziati) e coperti con il sangue del fanciullo. —> Ultimo verso dei Canti Orfici —> sangue = sacrificio; Nel finale della notte a Genova, la siciliana attua l’ultima sto dei canti orfici: il cuore del poeta viene stretto e da questo deriva una specie di morte fisica o spirituale dopo la quale il poeta è pronto a ricominciare una nuova vita. Finiscono quindi con un sacrificio finale e forse l’inizio di una nuova vita. I Canti si chiudono con la dispersione di se stesso che non riesce a diventare unità. La vita di Campana ha delle irregolarità e ci sono alcuni dubbi sulla sua vita nonostante ci siano delle testimonianze dei suoi spostamenti (Faenza, bologna, Genova, Alpi). Infine l’internamento nell’ultimo manicomio dove viene interrogato da Pariani. 
 Campana nel 1916 (aveva già pubblicato i Canti Orfici) pensa di poter scrivere un secondo libro: comincia a pensare a un libro che dovrebbe essere la continuazione dei canti orfici. Scrive 2/3 poesie che pubblicherà rivista. Nell’estate 1916 conoscerà una donna che sconvolgerà la sua vita (6 mesi di relazione). Per identificare questa donna (paragrafo del manuale dove si parla di Sibillla e il romanzo “Una Donna”) Sibililla Aleramo è una donna unica che decide di raccontare la sua vita in un opera chiamata “una donna” senza aver paura di rivelare molti elementi che all’inizio del 900 una donna non avrebbe mai rivelato: il fatto di essere stat violentata da un collaboratore del padre; di aver vissuto in maniera tormentosa il rapporto con questiono; di averlo sposato e poi lasciato; di aver vissuto in maniera drammatica l’abbandono del figlio. Questa donna viene considerata la prima femminista della letteratura italiana del 900: naturalmente lei conduce una nota nel nome delle donne. Il suo romanzo esce nel 1906. Questa donna ha una grande passione per la letteratura e anche per gli scrittori. Lei avrà inoltre una relazione omosessuale prima di conoscere Campana. Lei raconta al femminile un esperienza simile a quella di campana. È la prima donna che ha il coraggio di raccontare di se a 360 gradi. Racconterà dei genitori, del padre, dell’adolescenza e maturità sessuale, la maternità, il matrimonio e la sua rottura e il bisogno di trasgressione. Sibillla ha cercato di rappresentare quella che è la vita di una donna moderna che cerca un’identità. Sibilla si interrogherà più volte se sia possibile per una donna trovare un’identità; una stabilità emotiva: da bambina nota che viene già agguantata e dice “parevano guardarmi come un oggetto curioso”. Capisce che quei complimenti non sono proprio complimenti ma tentativi di conquistarla sottolineando alcuni particolari fisici del suo corpo. Quando cresce si rendo conto che la madre (sempre stata considerata instabile) in realtà è una vittima del padre che la tradisce da molti anni. Sibilla comincia a pensare come sia possibile che questo fatto sia avvenuto sotto i suoi occhi mentre lei considerava il padre come figura divina. A seguito di questo fatto cede alle lusinghe di un impiegato della ditta del padre e subisce un atto di violenza: “due mani tremanti frugavano le mie vesti” —> a seguito di questo atto, rimane incinta e partorisce un bambino, si sposa con colui che l’ha violentata e per un periodo breve pensa di aver trovato una condizione di pace che durerà pochissimo (poche settimane). A questo punto dice “non potevo accettare questa dimensione, dovevo seguire il mio sogno” —> cominciare un percorso che non la soddisferà mai, ma pensa che la troverebbe solamente trovando un uomo complementare a lei, con il quale fondersi per creare la situazione mitologica finita dagli antichi “ermafrodito”. In realtà non raggiungerà mai questa perfezione. Quando decide di scrivere lo fa senza censure per raccontare queste fasi tormentate che la condurranno a rivolgere a suo figlio questo libro. “Questo libro l’ho scritto per dire a mio figlio quale è stato il problema della mia vita e della vita di mio figlio” In questo percorso Sibilla incontra Dino Campana: vivono mesi di amore tormentato e di violenza fisica. (Un viaggio chiamato amore - Sibilla e Dino Campana) IN UN MOMENTO (Dino Campana) In un momento Sono sfiorite le rose I petali caduti Perché io non potevo dimenticare le rose Le cercavamo insieme Abbiamo trovato delle rose Erano le sue rose erano le mie rose Questo viaggio chiamavamo amore Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose Che brillavano un momento al sole del mattino Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi Le rose che non erano le nostre rose Le mie rose le sue rose Questo mito per Freud spiega quello che succede nel mondo moderno nel territorio inesplorato dell’inconscio. Calvino dice che l’inconscio è ciò che rimane fuori dal confine del nostro linguaggio e non ci rendiamo conto che sotto le nostre strutture linguistiche stanno comunque i miti e l’inconscio. Cosa dovrebbe fare uno scrittore? Far sentire la presenza dei miti e dell’inconscio in quello che scrive. Per Calvino il più grande scrittore moderno che ha fatto questo è Kafka. Alberto Savino fa qualcosa che anticipa le idee di Calvino (sia come pittore che come scrittore). I suoi quadri sono la rappresentazione della costruzione di giochi o rappresentazione di persone animalesche (con la testa da animale) Esempi: - “Penelope”: Savino gioca con lo scambio immaginario; fa vedere degli uomini e delle donne che hanno la testa di animali. - Donne che appettano di andare ad un matrimonio ma hanno la testa di struzzi Queste rappresentazioni sono i miti di un passato animalesco: Savino gioca con queste figure che sono a metà tra l’animalesco e l’umano (smonta l’idea di umanità tramite la tecnica del surrealismo). —> collegato al tema delle metamorfosi (come la metamorfosi di Kafka/ e il pensiero del collegamento degli esseri umani con gli animali di Weininger). Savino mette animali che sono sempre animali con una denotazione molto particolare: donne vestite eleganti con teste di uccelli molto specifiche che potrebbero avere un valore legato a qualcosa di enigmatico (incarnazione della sfinge?; hanno un sapere particolare). Se noi pensiamo a Kafka c’è il tema delle metamorfosi ma lui lo trasforma in uno scarafaggio= questo scarafaggio rappresenta il tema di un figlio che viene rifiutato dall’autorità del padre e dalla sua famiglia/ e il tema della colpa. Nel racconto “Il Signore Münster” (anni 90) può essere presente questo tema della colpa. La storia è apparentemente banale (una crisi coniugale) —> il rapporto di matrimonio è ormai finito. 
 Münster ha conosciuto Erda insieme alle 3 sorelle e dopo aver conosciuto questa famiglia comincia a frequentare la casa e in un certo senso la madre decide che il Signor Münster e la figlia dovevano sposarsi. Per quale ragione decide di sposarsi: le vie possibile erano quelle che lui percorreva. Il signor Münster è un uomo che si fa condurre dal destino, senza qualità. Savino si diverte a trasformare improvvisamente la vita di quest’uomo: cosa succede se quest’uomo apparentemente normale improvvisamente impazzisce e comincia a vedere il mondo come i quadri di Savino. Esempi: Il signor Münster prima di alzarsi, apre gli occhi e inizia a vedere il salotto —> in questa casa scambia le immagini delle poltrone/l’arredamento come se fossero le persone della sua vita (le due poltrone sono suo papa e sua mamma negli ultimi anni della sua vita; la zia è il divano ecc…). Egli è rimasto bambino; è un uomo che sta allucinando la realtà e quello che lui fa è il gioco dei mobili che ripete ogni mattina. Perchè lo ripete ogni mattina? Perchè un bambino favorito da una più generosa fantasia gode a ripetere sempre lo stesso gioco, diversamente da un adulto. Ritorna il tema dell’infanzia/egli non è mai voluto crescere. Ogni particolare della stanza è un particolare che gli consente un gioco (luce che entra dalla finestra gli ricorda il mare che entra in mezzo agli scogli). Il signor Münster è un bambino, è un uomo qualunque ma per Savino rappresenta qualcosa di importante: cosa può succedere agli uomini se abbandonano le convenzioni e vivono guidato dalla fantasia. A Savino interessa come la fantasia entra nel discorso. Tutta la nostra vita è dominata da questo (fantasia) —> dobbiamo per un attimo aspettare che la madre della logica del giorno ci venga a prendere se no vivremmo in una situazione sospesa. Il signor Münster non vuole seguire la logica quindi viaggia con la fantasia come quando era bambino (lui viene definito come un bambino prolungato). A Savino non interessa ciò che è strano in se ma ciò che lo è nella dimensione del quotidiano. Ogni aspetto del quotidiano può provocare in noi una fantasia. Lezione 12 - 17/10/2023 Ad un certo punto il protagonista si rende conto di una cosa terribile: il suo corpo andrà in decomposizione (andrà a pezzi e marcirà). Qui inizia il nucleo dell’avventura del Signor Münster: il disfacimento del suo corpo. Egli durante il racconto si rende conto di sentire un odore sgradevole: l’odore della morte. —> lui pensa che sia suo padre che sta entrando in lui con la morte, e si chiede se ogni. Figlio proti in se la morte dei proprio genitori. Il signor Münster si rende conto pero che il suo corpo tra poco andrà appunto a pezzi. Questo racconto non riguarda una faccenda drammatica, ma una faccenda raccontata in maniera giocosa e paradossale (arte unisce comico e tragico= surreale)—> un uomo che si disfa completamente. La moglie comincia a cercarlo ma lui è preso da questa ossessione (di starsi decomponendo) e trova tutte le strategie per non farsi vedere. Savino inserisce qui una considerazione: il Signor Münster sa che ha cominciato a morire (è cosciente della sua stessa morte); e così scopre dentro di se che può guardare se stesso come se lui fosse un altro. Capisce che in lui c’è una particolarità: pensare cosa sta succedendo al suo corpo nel momento in cui ha preso consapevolezza della sua stessa morte. Il signor Münster si chiede anche se ci sia una vita dopo la morte del corpo e ne scrive dei pensieri senza pero trovarne risposta “sollevare il velo sui misteri dell’anima è impossibile”. Savino nella seconda parte del racconto si diverte a farci seguire i passi della progressiva distruzione del corpo di Mister. Savino passo dopo passo descrive tutti i particolari fastidiosi della consapevolezza che ha il signor Münster: quello che vede ogni mattina nel volto di sua moglie, i suoi piedi, ecc. (lui la vede come un essere repellente). Savino ci dice che Münster aveva una grande passione: l’arte. Appena uscito di casa il protagonista andava di fronte alle vetrine di arte ad ammirare i quadri esposti: “l’arte è lo spettacolo dei nostri desideri. Per il signor Münster essere dentro una grande opera potrebbe essere il modo di soddisfare un vero desiderio (il suo sogno era vivere dentro un affresco della pittura greca perchè gli dava il senso di superare le disgrazie della vita). Egli si fermava anche davanti ai negozi di moda per parlare con i proprietari e chiedere quali fossero i vestiti di moda. —> Amore per l’arte e per la moda. Lo scopo del signor Munster è fuggire di casa senza farsi vedere dalla moglie e dalla figlia. Si fa delle domande sul legame che lo lega con queste due donne e allo stesso tempo il fatto di sentirsi al di là della vita gli da una sensazione di grande felicità: si sente finalmente libero. Tutta la sua vita diventa un ricordo, le cose che gli stanno davanti compreso il suo corpo, le vede come passato, e quindi non desidera ne di dare ne di ricevere nulla. Il protagonista non sente di avere più legami con l’umanità. “La vita è una azienda modello” —> per uscire da questa condizione dobbiamo aprire gli occhi ad una realtà surreale; aprire gli occhi all’arte che ci consente di liberarci di vincoli della vita. Il signor Münster pensa a un’opera che si trova a Pompei: Casa di Lucrezio Frontone nella quale è rappresentato il quadro di Narciso che si specchia al fiume. Il protagonista descrive il corpo di Narciso; e gli parcevano molto anche i monti rappresentati nel fondo che accompagnavano l’inclinazione del giovane. Inoltre gli piaceva il volto di narciso riflesso nel fiume. Il fatto che sia riflesso è fondamentale: il Signor Münster preso da un terrore enorme —> se lui si vedesse allo specchio cosa vedrebbe? Egli non vuole vedere il suo disfacimento fisico. Anche il concetto di narcisismo è fondamentale. - (Significato psichico: secondo Freud ogni essere umano ha bisogno di avere questo rapporto intenso di narcisismo con se stesso; poi crescendo ci si deve liberare di questa condizione rendendosi conto che ci sono altre persone intorno) - Come fa il signor mister a far si di non vedersi? In ogni parte della casa copre gli specchi o li rovescia. Questo racconto è un po’ una sintesi di tanti temi (anima, copro, miti, narciso) e avrà un esito strano e conturbante: quando incontrerà la donna. - [Parentesi] - Carlo Levi in questo periodo è stato mandato al confino (socialmente pericoloso quindi mandato molto lontano così da non poter danneggiare quello che i fascisti consideravano il sistema ideologico giusto). Carlo Levi viene mandato da Torino a Matera (condizioni i vita primordiali a differenza di Torino che era già sviluppata) negli anni 30. Levi faceva il pittore, oltre a essere laureato in medicina, e arrivato a Matera decide di dipingere tuto ciò che non aveva visto a Torino (40 opere dedicate a uomini e donne che vivevano a Matera). Il rapporto con Savino si vede da ciò del quale Levi viene molto colpito: il rapporto tra gli uomini, le donne e gli animali che vivono in quel luogo —> animali che vivono una vita molto simile a quella degli umani. Anche i bambini hanno qualcosa che li lega profondamente al mondo animale. In pratica della fine degli anni 30, Levi vede un mondo in cui tutti credono a un mondo della metamorfosi: gli animali sono sacri, sono ancora l’incarnazione delle divinità. Tutto questo faceva parte del mondo reale, non erano stranezze perchè l’Italia era divisa in due parti: una parte che si credeva avanzata, industrializzata; e un Italia che era rimasta nelle condizioni di secoli secoli prima. Levi che era un confinato politico non poteva uscire per la strada, non poteva parlare con le donne, non poteva lavorare, e non poteva nemmeno dipingere perchè nella cultura di quel luogo un uomo che dipingeva veniva considerato uno stregone. Lui riuscirà a inserirsi nella vita del paese quando qualcuno che sa che lui è un medico lo chiama perché stavano morendo delle persone e i medici del paese non li sapevano curare: solo quando salverà queste persone verrà venerato dagli abitanti del paese. Molto interessante: un uomo che, alla fine degli anni 30 dal nord va al sud, dipinge dei quadri grazie ai quali riesce a lasciare le uniche testimonianze di quei mondi lì. L’operazione che fa Carlo Levi quando va al sud (completamente diversa da quella di Savino) è comunque legata a quella di Savino perchè entrambi persino che attraverso, uno la pittura e uno la letteratura, si possano fare delle operazioni magiche che avranno poi un impatto forte nella vita Il Signor Münster ha questa ossessione degli specchi: gli viene in mente che nella sua passione per la mitologia greca, lui ha letto un’opera di Ettore Romagnoli che riguarda il mito della Medusa (=creatura magica e fantastica che al posto de capelli ha una massa di serpenti e con il suo sguardo trasforma le persone in pietra; lei verra uccisa da Perseo che prenderà il suo scudo lucido, riuscirà a guardarla riflessa nello specchio per accoltellarla). Il Signor Münster si sente un po come Medusa ma che si riflette su se stesso: lui sente che la vista di se stesso lo ucciderebbe anche se lui è già morto (Savino gioca e smonta questi miti). Vi è un lato positivo del mito —> Ogni 1000 anni Medusa trova la sua identità di vergine bellissima solamente per un giorno e in quella notte ha un canto dolce e triste che placa anche i mostri. Vediamo un’altra personaggio: Alessandro il portinaio —> al Signor Munster ricorda Alessandro Magno anche se la somiglianza non esiste. La condizione del Signor Munster è quella di qualcuno che vede la realtà sotto diversi aspetti: lui vede dove gli uomini non vedono normalmente. Lui sa che la sua vita è finita quindi vede dove gli altri non vedono. Sta arrivando la notte e lui è riuscito a stare nascosto da tutti; lui pensa che sia arrivato il momento di andarsene di casa, andare nella natura e dissolversi lì. Rimembra in questo momento il passato e si rende conto che deve coprirsi completamente per non far vedere la decomposizione del suo corpo: decide di vestirsi con i vestiti di sua moglie (grande mantello di seta nera che le donne usavano per andare a teatro —> anche lui uscirà di scena - grande cappello di paglia anche la moglie portava al mare). Prima di uscire decide di accendere tutte el luci che ci sono nella casa: le accende come per lasciare una segnale di addio. Passa quindi nelle vie principali di Roma (via condotti e via babbuino); qui incontra una donna con una pettinatura sfatta (scabigliona); con il volto chiazzato di lividi e gli occhi stanchi. Si chiede chi Durante i racconti ci sarà un cane (Barone) che lo accompagnerà. Levi si siede nella cucina e vede degli elementi: - migliaia di mosche - la vedova Racconta di questa donna che ha perso il marito perchè quest’uomo è stato attratto da una strega contadina con dei filtri d’amore —> Levi capisce che qualcosa non va. Infatti nella scena seguente improvvisamente si sente battere alla porta, arrivano alcuni contadini che lo guardano e gli chiedono se lui fosse il dottore perchè c’era qualcuno che stava male. Egli si chiede il motivo per cui stanno chiedendo a lui invece che al loro medico; e i contadini rispondono che il motivo è perchè nel paese non ci sono medici. Arrivato nella stanza vede un uomo completamente vestito, con intorno, tra tante persone, anche un gruppo di donne che piangono disperatamente. Levi si rende conto che l’uomo sta morendo di malaria —> non fa in tempo a osservare l’uomo che egli muore. Il suo primo contatto con il paese è un contatto con la morte. Durante una camminata Levi incontra poi il Podestà: egli è un uomo abbastanza giovane che fa il maestro nelle scuole elementari e inoltre deve sorvegliare coloro che vengono mandati al confino. Questo Podestà lo avverte dicendo che in quel paese ci sono degli altri confinati (definiti gentaglia), mentre lui si capisce che è un signore (uomo di cultura), quindi differente da tutti gli altri. In seguito si avvicina il dottor Milillo che non è contento dell’arrivo di Levi essendo anche lui un dottore ma più preparato: e anche egli lo avverte dicendogli di stare attento, sopratutto alle donne. Più avanti dirà che le donne in quel paese sono moltissime, alcune molto giovani e altri vecchie; vengono definite come animali selvatici, e non pensano che all’amore fisico e ne parlano con una libertà e semplicità di linguaggio che stupisce. Levi non può agire nei confronti di queste donne, nonostante l’aria del paese viene definita fitta di desiderio. Perchè non può agire? Il dottore gli spiega che tutto ciò che le donne gli possono offrire da bere e da mangiare è sangue catameniale (mestruale). Levi dice che lui di questi racconti se ne è fregato perchè troppo lontani dalla sua realtà e quindi decide di bere comunque tutti i giorni vino e caffè offerto dai contadini; anzi dice che forse questo lo ha aiutato a entrare a far parte di quel mondo, a capirlo; un mondo che altrimenti, senza quella chiave, sarebbe chiuso. Questo racconto ci fa capire come un uomo attrezzato come Levi riesce ad entrare in questo mondo, attraverso una metamorfosi. Quando Levi scrive il romanzo sono passati 10 anni, il cambiamento quindi è già avvenuto. Levi è quindi finito in un mondo strano e pericoloso dove gli può succedere di tutto: gli uomini lo possono uccidere per motivi futili, le donne potrebbero attirarlo attraverso i loro filtri magici. Come fa Levi a vivere tanti mesi lì? Scena 1 - L’uomo capra Levi ci dice che sta camminando solo, e dopo la piazza centrale vede una piccola piazza con uno strano edificio al centro: un pisciatoio. Quando lui si avvicina vede che sulla parete di questo pisciatoio, addirittura costruito di cemento (materiale moderno), c’è scritto “Ditta Renzi, Torino”. Si chiede come fosse finito lì e il motivo è che il Podestà, per dare segno della sua modernità, aveva utilizzato una grandissima quantità di soldi per farlo costruire. Levi quindi incuriosito si affaccia all’entrata dell’edificio: Vede da un lato un maiale che beve e dall’altro due ragazzi che ci buttavano barche di carta (bambini che giocano). Solamente una persona, dice, lo usava per il suo vero scopo: lui. In seguito nota una strana figura ambigua: all’angolo della piazzetta c’è un uomo tutto vestito di nero che, con difronte una capra morta, soffia nel corpo di questa. La capra è sdraiata su un tavolo di legno e dopo averci fatto un incisione nella zampa dietro, lì, iniziava a gonfiare la capra, staccandone la pelle. Levi dice che sembrava di esistere a una strana metamorfosi dove l’uomo si versava piano piano all’interno della bestia: lei si gonfiava e lui si sgonfiava. Levi assiste a un fatto che avrebbe provocato disgusto in chiunque ma lui la descrive come fosse un fenomeno naturale. Levi si ferma sul particolare della capra: Erano state messe delle tasse su ogni capra che i contadini possedevano quindi questa tassa costringe i contadini a uccidere l’unica ricchezza delle famiglie. Paragrafo 8: Scena 2 Levi, dopo pochi giorni, si rende conto di un altro elemento. Egli è nella casa della vedova ed è estate. Levi non può fare molto, ancora non ha chiesto il permesso di dipingere. Stando in casa ci sono solo migliaia e migliaia di mosce e lui è incanto nell’osservare queste pareti completamente coperte da esse. Con lui c’è solamente il suo cane. In questo luogo non c’è nulla: silenzio e mosce. Quello che lo colpisce è la quantità di questi insetti che lui paragona al popolo di Mosè quando attraversa il mar rosso ( —> molte di queste mosce si annegano nei pomodori messi a essiccare al sole - rappresentano l’esercito del faraone). Il tempo in cui sta vivendo è un tempo senza fine e quindi inizia a pensare che in quel luogo ci sia qualcosa di realmente incomprensibile. Egli, sentendo il suono delle campane, pensa che ci sia un ragazzo che ogni giorno deve compiere l’azione di suonarle. Il cane di Levi però è infastidito da esse e sensibile agli spiriti, ogni volta che suonano comincia a ululare. Levi si chiede se anche Barone avesse dentro di se una natura diabolica. Levi esce di casa e descrive un’atmosfera magica che passa attraverso gli animali (incarnazione di qualcosa di magico - “incanto animalesco”) —> proprio perchè Levi sente questa atmosfera, ne sta iniziando a far parte. Il silenzio meridiano: il mezzogiorno (dalla cultura greca e nel medioevo nella quale avevano ancora paura del manifestarsi degli Dei) era un momento in cui gli Dei potevano manifestarsi —> [definito momento panico = nome del Dio Pan - personificazione umana di una capra maschio. (Pan è direttamente collegato al Dio Dioniso = Dio dell’irrazionalità). L’immagine del demonio viene definita poi, nel corso dei secoli, proprio come Pan. Questo dio è pericoloso e provoca panico] Quello che Levi descrive in questa giornata è l’effetto del panico; tutti gli animali che vede sono posseduti da qualcosa che lui sente. Percepisce però un animale più potente di tutti gli altri: la capra, che in questo luogo è l’incarnazione del diavolo —> frutto dell’evoluzione del Dio Pan. Lezione 13 - 23/10/2023 Levi nella scena all’interno della casa della vedova sente che la sua dimensione di uomo razionale e profondamente bevuta di una cultura moderna va comunque in crisi in questo mondo. Questa sensazione si fa ancora più intensa quando esce dalla casa a mezzogiorno: sente un incanto animalesco cioè la presenza di fenomeni non razionali che derivano dal mondo animale. La capra è l’animale che raccoglie in se le caratteristiche delle divinità del mondo classico (come abbiamo già detto): il Dio Pan. Il termine Pan significa il tutto: questo dio incarnava un insieme di fenomeni naturali. Questo dio porta in se la somma di tutto il mondo che in realtà non vediamo ma che agisce su di noi. Pan, nell’ottica dei contadini che Levi conosce, è l’incarnazione del diavolo nella capra. 
 Levi dice “Essa è demoniaca come ogni altro essere e più di ogni altro essere;”. Nella capra sta nascosta una potenza: qualcosa di ampio e nascosto; quella forma di potere che si può manifestare ma non è detto che si manifesti, sta nascosta —> può uscire alla luce ma che in realtà esiste in quanto nascosta. Spinoza utilizza il termine potenza come termine che lega gli individui tra loro: ognuno di noi ha una potenza e questa è l’equivalente di quello che è nella cultura cristiana l’anima. Questa potenza si manifesta in forme diverse: quando siamo in una condizione positiva la nostra potenza si allarga all’esterno e va a incontrare le altre potenze. Quando siamo in una condizione negative succede il contrario. Per potenza, Levi, intende questi capacità che hanno alcuni esseri e la utilizzano per avere degli influssi su altri esseri: una forza magica. Satiro (per i contadini la capra rappresenta il satiro), è ciò che viene usato dai Papi per dare forma al diavolo. Il Diavolo è un Satiro visto da un immaginazione cristiana. Molti scrittori greci che vivevano alla fine dell’epoca classica (quando comincia a diffondersi il cristianesimo) dicono che il dio Pan sia morto; Come se dalla morte del Dio Pan nasca il cristianesimo (cristo che si fa uomo). Cristo si è fermato a Eboli = da Eboli in giù ce il dominio di altre forze, Cristo non è riuscito a portare il suo messaggio oltre Eboli. Levi vuole spiegarci quale è il mondo che vive in una condizione precedente a quella di Cristo. Quello che si torva in questo mondo ha sempre a che fare con la sessualità (Dio Pan legato alla sessualità al contrario della figura di Cristo). La sessualità viene censurata con l’arrivo del cristianesimo perchè quello che è l’amore fisico deve trasformarsi nell’amore spirituale: deve nascere una forma di versa da quella che rappresentava il Dio Pan. In greco veniva definita Agape (amore spirituale), quello su quale la comunità cristiana forma i suoi valori. Egli arriva in un mondo dove ritrova valori che sembravano scomparsi nel mondo a cui appartiene: la sessualità. La capra è un animale demoniaco, per i contadini questa è il satiro; ma un un satiro povero, fraterno e selvatico (diverso da quello del passato). Levi non sa dove andare e, guardato dagli occhi della capra e accompagnato da queste presenze misteriose, arriva al cimitero. Il cimitero è l’unico luogo del paese dove ce qualche albero dove stendersi al fresco: egli per cercare un po' di sollievo fare una cosa molto strana. Siccome nel cimitero ci sono dei buchi dove verranno poi seppelliti i morti, Levi decide di sdraiarsi sottoterra per avere sollievo dal caldo. Non solo ci dice che ci sono animali che lo sorvegliano e lo accompagnano in questo cammino ma che andando al cimitero, in un certo senso è come se seppellisse se stesso nella posizione di un cadavere. Il cimitero è un luogo di protezione per Levi: è un luogo di meditazione. Egli si stende nella fossa, sente il fresco della terra e vede il rettangolo del cielo. Il suo cane dopo aver giocato in giro per il cimitero si mette con lui a riposare. Insieme al cane lentamente si addormenta. Levi, nonostante tutti gli avvertimenti, non si sente spaventato. In questo momento possiamo aspettarci che il capitolo finisca quando in realtà entra in scena un individuo particolare: potrebbe essere l’emanazione di una delle figure magiche di cui Levi ha parlato. Egli dice di essere svegliato da una voce senza sesso, ne timbro, ne età che pronunciava parole senza senso, che non riusciva a comprendere —> in realtà è un uomo molto vecchio che si sporge dall’alto sulla fossa e sta parlando. Cosa c’è di strano in questo vecchio? Egli ha qualcosa che non lo fa appartenere propriamente al genere maschile: - non ha ne barba ne baffi - parla una lingua che non è il dialetto del luogo perchè è nato in un altro paese (era un miscuglio di lingue) - Non aveva i denti (quindi non era facilmente comprensibile) Levi ci ha parlato degli animali e della capra; Ora ci parla di un essere vivente che usa una lingua con la quale non si può comunicare. Questo vecchio è un essere che sta un po’ nella realtà e un po’ nel mito (ne maschile ne femminile, usa una lingua incomprensibile, non si sa se ascolta veramente ciò che viene detto). Uno degli scrittori che deve di più a Carlo Levi è Italo Calvino; quando arrivò Calvino che ebbe una grande passione per il romanzo di Levi, parla di lui come un ambasciatore del mondo contadino pur appartenendo al mondo della città. Ci sono dei personaggi sui quali Levi si fermerà a lungo: - Anziano (sottolinea la sua presenza per farci capire cos’è questa magia nascosta che gira per il paese) - Prete - Donna Levi dice che questi contadini non possono essere dichiarati uomini come altri uomini ma sono pagani, persone che vivono come si viveva 100 anni prima; non hanno idea di cosa siano le leggi; vivono in una condizione secondo la quale tutti gli esseri viventi sono in collegamento tra loro. Credono anche alla vita delle piante, quindi non possono avere una coscienza individuale (ognuno id noi sa di essere un individuo, di dover rispettare regole e di avere un posto nella società). Levi sviluppa una passione per questo mondo: non deve essere distrutto, deve essere conservato. Allo stesso tempo Levi pensa che qualche cosa di lui si stia modificando. Qualcosa che lui ha sempre creduto fondamentale si sta modificando: “essi vivono immersi in un mondo che si continua senza determinazioni, dove l’uomo non si distingue dal suo sole, dalla sua bestia, dalla sua malaria…” Levi dice che è inutile farsi un’idea di un mondo antico felice (attacco a Virgilio e all’Eneide). Levi dice che non sono destinati alla speranza e alla felicità ma sono letteralmente in mano alle forze negative della natura. Cosa ce di importante in loro? Il senso profondo e umano di un destino comune, il sentimento che loro vivono un destino comune, che siamo qui perchè siamo sottoposti a un potere che non possiamo dominare e in quanto uomini siamo tutti uguali. Per questa civiltà lo stato italiano non ha ragione di esistere; è semplicemente una delle manifestazioni di questa forza negativa che li rende schiavi. Questa civiltà non sa nulla, la storia per loro è un forza alla quale vengono sottomessi. Esempio di Virgilio e l’Eneide: dice che è la storia di un uomo che scappa perchè viene sconfitto e arriva in un luogo chiamato Umile Italia (da Virgilio). Enea arriva all’altezza della Calabria e risalendo la costa si ferma dove trova le popolazioni del Lazio. Enea (e i troiani) portano i principi della religione e dello stato. (Per la cultura fascista l’Eneide era un testo fondato: utilizzata come modello culturale dove si parlava di uno stato forte fondato da Enea, si parlava anche di Roma) Levi smonta questo mito (l’Eneide) —> fa una polemica su quello che il regime fasciaste ha fatto. Levi si è formato in quei luoghi, tutto ciò che ha capito aha capito a contatto con quel mondo. Levi costruisce un opera che ha un valore documentario, politico, è un atto di opposizione contro la cultura del fascismo ed è una dichiarazione di rispetto per un mondo completamente diverso da quello di Levi che lentamente sta assorbendo. Punto di svolta fondamentale nel libro per Levi: Levi riesce a trovare una casa sua (l’unica casa civile del paese) —> infondo al paese su un grande precipizio. Levi vivrà l’ultimo periodo del suo soggiorno: questa cosa ha tre stanze, una verra utilizzata come cucina, una come camera da letto e quella che fa vedere più il paese come studio per dipingere. La cosa quasi incredibile è che c’è un gabinetto, l’unico in tutto il paese (questo perchè il proprietario della casa era riuscito a far arrivare dal nord questo oggetto). In tutto il suo soggiorno Levi ha sottolineato la presenza di Barone (il cane). Egli pero non può vivere da solo infatti viene tenuto sotto controllo perchè non ci può essere il rischio che Levi porti delle donne all’interno della casa. L’onnipotenza del dio dell’amore è così tale e naturale che non può esistere una vera morale sessuale. Per quel mondo l’amore e la sessualità è una forza naturale. Questa visione rende completamene diversa ciò che è il senso della morale in quanto paese confronto quello di un luogo apparentemente più civile come quello di Levi. Paragrafo 11: Levi poco dopo afferma che cura una settantenne che per ringraziarlo gli porta una cesta piena di cibi fatti da lei. Levi ha bisogno di una strategia per proteggersi da questi pericoli: fa un’altra considerazione sulle donne del paese. Queste donne pensano solo all’amore fisico e ne parlano con grande libertà; definisce la donne come “regine uccelli che regnano sulla turba bruciante dei figli” —> uccelli che covano tanti bambini. Dice anche che queste donne, proprio perchè non hanno nessun freno, sarebbero potute entrare in casa sua solamente se fossero state donne diverse dalle altre: donne che avessero avuto molti figli di padre incerto, che facessero mostra di una certa libertà di consumi. Le uniche donne che possono entrare in casa sua sono le streghe (donne che hanno uno statuto anomalo). (Elementi con statuto anomalo: la capra; il vecchio; il prete /sospettato di aver avuto rapporti sessuali/; le streghe) Michelet (storico francese): Teorie sulle streghe Nel medioevo ci sono delle donne che hanno ruoli particolari, usano le erbe medicinali, curano le malattie con la natura e istruiti misteriosi; queste donne vengono rispettate e perseguitate in certi casi ma la loro funzione fondamentale è il fatto che in loro rivivono le divinità anche che il medioevo ha rifiutato. A Gagliano c’erano una ventina di donne che venivano definite streghe. La vecchia donna che lui ha curato spiega che queste donne non possono essere tenute in casa perchè non sono in grado di fare le faccende domestiche ma solamente una riuscirebbe: Giulia Venere (40 anni). Levi la descrive: donna che incarna tutte le anomalie esistenti. Alta e formosa; vita sottile come quella di un anfora; viso rugoso e giallo per la malaria; testa piccola dall’ovale allungato; capelli nerissimi lisci e unti; occhi a mandorla. Viso con un carattere arcaico: proveniente da un antichità crudele e misteriosa. Il carattere principale è che non è una bellezza classica ma appartiene a un’ epoca più antica e misteriosa. Il problema è che Levi per la prima volta inizia una vita dove una donna ha un ruolo fondamentale: questa donna va certe ore del giorno per fare i mestieri di casa. Levi dice che questa donna conosceva tutti e sapeva tutto e sarà la sua principale informatrice. Conosceva la vita di ogni uomo e di ogni donna: era una donna antichissima come se avesse avuto centinaia d’anni. Questa donna han sapere che va oltre il tempo: “era come le bestie, uno spirito della terra…” Viene definita l’incarnazione umana della capra (altre elemento magico). Questa donna sa fare tutto in quella casa: prepara da mangiare (testa della capra). L’11 capitolo finisce con questa considerazione: Giulia va a casa di Levi tutti i giorni, fa il suo lavoro, e Levi può dedicarsi alle attività che gli interessano (studio e pittura). Egli dice che mentre si trova li a meditare e pensare udiva i passi di Giulia e abbaiare del cane. “Questi due strani esseri, la strega e Barone, furono i compagni abituali della mia vita”. Anche lui si sentirà come loro Levi ha bisogno della figura di Giulia —> molto interessante sarebbe capire cosa succede tra lui e Giulia. Lei stava in casa come una regina, come colei che vuole governare. Levi si fa coinvolgere dalla presenza di questa donna, lei è la prima con cui passa cosi tanto tempo. L’altro elemento è che Levi dice chiaramente che quando lui è in casa con Giulia, che sta svolgendo i lavori di casa, ce anche il cane. Lui li chiama “La strega e il Barone” che sono due parti della sua vita —> snodo improntate. Paragrafo 12: Nel paragrafo che segue inizia un periodo molto lungo che corrisponde a una lunga descrizione del mese di settembre (arrivò dell’autunno) e poi descrive ancora una volta il paesaggio che lui vede dal suo studio. Dentro questa descrizione ritorna il tema delle presenze mitologiche. Levi fa una considerazione: quando i contadini parlano della leggenda del drago e del cavaliere che lo uccide (apparizione della madonna nel racconto) dicono che questo drago è apparso dal paese da dove proviene Giulia. Questo drago infestata proprio quel paese lì. Levi quindi si chiede da dove ha origine questa leggenda. Ci potevano essere dei draghi in quel paese e i contadini e Giulia gliene parlavano: Levi non si meravigliava sentendo questo fatto; Per Levi tutto è possibile in quel mondo: Levi distingue ciò che possiamo considerare letterario da ciò che non lo è propriamente. Levi dice che tutto è possibile in quel mondo perché è il mondo dove il contatto tra i contadini e gli animali è un contatto quotidiano e non vi è un limite sicuro a quello che è umano verso il mondo misterioso degli animali e dei mostri. Non esiste il principio di contraddizione che secondo i filosofi da Aristotele in poi noi possiamo distinguere la realtà in parti che non sono sostituibili l’una all’altra. Levi è molto sottile a dirci questo: la contadina ha avuto una madre animale e una madre donna (vacca e donna). È stata allevata da una vacca e da una donna quindi viveva con la sua eredità animalesca (doppia natura). Altre leggende: - Uomini lupo Levi crede a queste leggende o non crede a queste leggende? Se non ci credesse non le avrebbe raccontate così, e non si sarebbe soffermato intorno a questi problemi. Egli elabora un pensiero che in un certo senso tenga insieme i due elementi: la doppia natura è talvolta spaventosa e orrenda come per i licantropi ma porta con se una trattava oscura ma genera il rispetto. Levi dice che questa visione era utilizzata acne per il suo cane: non era visto come un cane normale ma come un essere speciale. Tutti coloro che hanno una doppia natura vengono considerai esseri stronfianti, degni di essere onorati. Anche Levi, ha sempre pensato che ci fosse un “elemento infantilmente angelico o demoniaco”. Barone era stato trovato in treno con un cartello al collo con scritto “il mio nome è barone chi mi trova si prenda cura di me”; Questo cane deriva dal fatto che levi (che prima stava a grassona) decide di prendere un cane: i contadini gli regalano un cucciolo ma non riesce a instaurare un rapporto con questo e glielo ridà indietro. Quando arriva l’ordine di trasferimento da Grassano a Gagliano, i contadini gli portano come regalo Barone. - Ci chiediamo se Levi avesse letto il Faust di Goethe: il protagonista si trova davanti a questo cane barbone, il quale entra nella sua stanza e quel cane si trasforma nel diavolo. - Tutto ci fa pensare che levi abbia in testa il cane barbone di Goethe; inoltre questo cane ha delle virtù straordinarie, e non è un cane qualsiasi e Levi lo ripete di continuo. C’è qualcosa di divino in questo cane: bello, buono, affettuoso; ma ce anche qualcosa che lo inquieta perché sembra essere in contatto con un altra realtà. Infatti arrivati a Gagliano tutti notano la natura misteriosa del suo compagno. Barbone era un cane ma sottoposto all’attenzione di quella mente magica dei contadini, Barone diventa una creatura divina quindi Levi comincia a vedere in barone questa natura speciale. Levi pur tenendosi a distanza di sicurezza da questo mondo, lui assorbe comunque molti elementi di questo.
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