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Letteratura e società TURCHETTA, Appunti di Letteratura

Appunti chiari e completi della spiegazione riguardo la "Teoria della letteratura" e i "Rapporti tra i testi e la società" del professore G. Turchetta (ovvero la parte del corso più tecnica). Le lezioni risalgono all'anno 2019/2020, corso di "Letteratura e cultura nell'Italia contemporanea" primo semestre, facoltà di Mediazione Linguistica (UNIMI).

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 06/06/2020

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claudia-casadei-1 🇮🇹

4.6

(45)

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Scarica Letteratura e società TURCHETTA e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! Letteratura e società “Il testo letterario è una strana trottola che esiste quando è in movimento.” (Jean-Paul Sartre) Non è solo il contenuto che ci interessa, ma anche la forma. Non c’è contenuto senza forma, perché ogni forma, anche la più apparentemente eterea, produce degli effetti di significato a tutti i livelli (es. efficacia drammatica della scansione ritmica della cavalcata finale di Milton in Una questione privata —> tutto è significato).
 Vi sono due rischi nel leggere un libro: - rischio 1: schiacciare il testo sul contesto —> rischio di essere troppo sociologici (Pavese scrive in quel modo perché la società del suo tempo era così… sì però c’è altro) - rischio 2: soffermarsi troppo sulle forme dimenticando il contenuto. I testi letterari costruiscono delle forme specifiche che servono ad elaborare delle esperienze determinate. Uno dei misteri della letteratura e dell’arte in generale è che se funziona, continuerà a funzionare, anche in un tempo che sorpassa il tempo in cui un’opera è stata prodotta. Analisi di 12 testi raggruppati in aree problematiche, 6 da portare all’esame. Un certo atteggiamento verso la letteratura è determinato da un certo contesto sociale. Programma: 1. Teoria della letteratura 2. Discorso sul rapporto tra i testi e la società (critica sociologica/ideologica: quando si studiano i rapporti fra un contesto e il testo, si guarda ai testi studiando le condizioni della loro genesi, cosa viene prima, cosa c’è dietro, cosa ci sta sotto…; sociologia della letteratura: guarda a quello che succede dopo, il destino sociale dei testi —> i testi arrivano sempre a qualcuno). MARX E HENGELS - rapporto fra società, economia, e cultura Ancora oggi la riflessione di Marx e di Hengels ci offre un modello storiografico di lungo periodo che ha mostrato una capacità di lettura molto considerevole della realtà storica. Il capitalismo è un sistema economico che richiede un’espansione illimitata delle forze produttive, non possibile. Oggi sappiamo che i limiti sono nello sfruttamento del pianeta, non prevedibili da Marx. Marx aveva anche detto che il capitalismo ha sempre la necessità di produrre oggetti nuovi, di consumare, di gettare gli oggetti rotti e di comprarne di nuovi. Il capitalismo è un sistema economico che da un lato ha un bisogno costante di produrre nuove merci e dall’altro produce costantemente il bisogno di possedere nuove merci. I bisogni sembrano oggettivi, ma sono socialmente determinati: i soggetti desiderano quello che la società li porta a desiderare. Esistono dei desideri primari, ma sono molto limitati, mentre i desideri determinati sono molto più ampi. I soggetti vengono creati dalla società e anche i bisogni più materiali sono in realtà bisogni culturali. Ad esempio, che cos’è il gusto? Che cosa ci piace e perché? Marx aveva anche previsto una progressiva concentrazione delle proprietà, una progressiva espansione dell’economia finanziaria rispetto all’economia produttiva in senso stretto e il trionfo del valore di scambio sul valore d’uso degli oggetti (MDM —> DMD: priorità del valore d’uso surclassata dalla priorità del profitto, lo scopo non è l’uso ma è l’accumulazione del capitale). 
 STRUTTURA E SOVRASTRUTTURA - Il rapporto delle produzioni culturali e la società intesa come dimensione economica La struttura, ovvero l’economia (sia le forze produttive, sia l’organizzazione dei rapporti di produzione) è determinante rispetto alla sovrastruttura. La sovrastruttura è il sistema delle leggi, esse sono un effetto della struttura socio-economica (es. L’idea stessa di diritto d’autore non esisteva sulla terra fino alla fine del ‘700 - inizio ‘800. L’idea stessa di diritto d’autore non esisterebbe senza l’idea capitalistica di un soggetto con libertà di produzione, proprietario della propria forza lavoro, che deve essere pagato, ci vuole una certa idea di individuo/soggetto per immaginare il diritto d’autore. L’idea nasce nel contesto della Rivoluzione francese). Nella sovrastruttura sono presenti anche la politica, le dottrine religiose, le poetiche artistiche… C’è il rischio di pensare che tutta la sovrastruttura sia determinata dalla struttura e di rendere unilateralmente sociologica l’interpretazione di fatti culturali e letterari. Si deve subito cogliere l’importanza della metafora alla base del materialismo storico, che stabilisce una gerarchia delle cause storiche. Non ci sono solo i fatti sovrastrutturali come effetto e i fatti strutturali come causa, sarebbe una lettura semplicistica, deterministica e economicissima della realtà: c’è un’interazione in cui prevalgono le cause economiche e a seguire, sociali. I fenomeni sovrastrutturali possono essere a loro volta cause, acquisendo una loro autonomia, determinando la struttura. Il rapporto di interazione tra struttura e sovrastruttura è un rapporto di dialettica. Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo: Weber polemizza con Marx fin dal titolo. Dice che il capitalismo ha avuto una formidabile spinta dall’etica protestante, dall’etica del lavoro e della grazia divina. Ma Marx controbatte dicendo che l’etica protestante è a sua volta legata ad un contesto sociale che le ha permesso di nascere. Abbiamo capito che esiste una gerarchia tra le cause storiche che generano una storia: l’economia è a capo, essa ha infatti un peso determinante nella storia. Proprio per questo, l’uomo non può attenersi ad una visione della storia e delle arti slegate dal contesto storico. L’IDEOLOGIA Non si intende necessariamente un’idea politica, ma dal punto di vista di Marx si intende una visione del mondo correlata in maniera organica ad un contesto materiale, storico ed economico. Le idee non nascono dal nulla, ma sono una proiezione di determinate condizioni materiali che contribuiscono a consolidarle o a cambiarle. Anzitutto Marx ci dice che le idee non sono solo idee, ma il risultato di una dinamica sociale, di conflitti sociali, ovvero nelle idee si nascondono le relazioni e i conflitti della società. Fare storia non significa soltanto raccogliere dei fatti, ma costruire delle interpretazione complesse che tengano conto della correlazione delle idee con i contesti storici. Quando si parla di ideologia si parla di idee, di valori che orientano gruppi sociali e società intere, che costituiscono delle auto-rappresentazioni delle società (es. Verga, la morale dell’ostrica: ideale di fedeltà sentimentale proposto come ideale perdente; critica alla purezza morale dei ceti plebei, critica polemica ma allo stesso tempo interessata). Ci sono due modi (che non si escludono) di pensare all’ideologia: 1. Accezione negativa, critica: le ideologie, in quanto proiezioni degli interessi di un gruppo o di una società sono delle false coscienze. Le ideologie servono anche a mistificare i rapporti. 2. Accezione neutro-positiva: poiché tutti siamo storicamente determinati, tutti siamo ideologici. Nessuno di noi è in grado di produrre un sapere disancorato dalla società e in cui è nato. L’uomo non può fare a meno dell’ideologia, per quanto cerchi di demistificarla. Le ideologie sono delle pre-comprensioni: nella massa infinita di informazioni che ci arrivano, abbiamo delle strutture che ci permettono di classificarle, analizzarle e comprenderle (Heidegger). Croce, organico al progetto liberale-democratico della borghesia, vs fascismo, favorevole allo sviluppo capitalistico). È consapevole del proprio ruolo, egli diffonde idee, legate a dei contesti. In questa chiave Gramsci è pronto ad un atteggiamento di critica molto dura nei confronti degli intellettuali italiani che hanno favorito un esito storico drammatico. Gramsci costruisce una diagnosi storica dell’esito della storia italiana: il fascismo. - Sottolineò la stranezza della rivoluzione Russa che si sviluppò in un ambiente povero e rurale, contrariamente alle ideologie marxiste, e scrisse Una rivoluzione contro il capitale. - Intuì limiti del Risorgimento italiano: rivoluzione fatta non come rivoluzione ma come imposizione di un regime politico superiore. La rivoluzione italiana è una non-rivoluzione, che ad esempio non ha mai fatto una rivoluzione agraria… - Analizzò il blocco sociale che causò il fascismo: industriali con agrari. Il fascismo nasce da un patto sociale ed economico (molto marxista). Gramsci sostiene la necessità di un nuovo patto sociale tra i contadini e gli oprai, al quale si dovrebbero unire anche i borghesi. Gramsci afferma che tutti gli intellettuali sono attenti a costruire una letteratura che comunichi con il pubblico (es. vs Ungaretti e la poesia ermetica…). Gramsci sviluppò una riflessione sul significato della ideologia nella Divina Commedia dopo Benedetto Croce che nel 1921 pubblicò il saggio La poesia di Dante, nel quale cercava di districare, secondo l’estetica crociana, di quello che in Dante è poesia e quello che è non-poesia, ovvero ideologia (dove c’è ideologia non c’è poesia). Gramsci afferma che davanti a qualsiasi prodotto artistico il lettore non sarà mai in grado di capirlo esteticamente se non ne conosce il contesto culturale (lettura del primo capoverso dei Quaderni). Quando si entra in contatto con un prodotto artistico, c’è sempre la necessità di immergersi nel suo contesto culturale e di capire la prospettiva ideologica. Il giustizio estetico è vincolato da prospettive ideologiche (es. “Che schifo una poesia di un cannibale che elogia il banchetto di carne umana! —> giudizio, prima che etico o estetico, ideologico e culturale). Il linguaggio porta di per sé componenti ideologiche e ha un rapporto profondo e organico con la vita della genet: chiunque si esprima con delle parole deve sapere che esse fanno parte della vita di una comunità. Gramsci afferma che “il linguaggio letterario è legato alla vita delle moltitudini nazionali e si sviluppa lentamente e molecolarmente”, polemizzando contro la decisione dello Stato Italiano di utilizzare i Promessi Sposi (legge del 1860) come manuale linguistico all’interno delle scuole italiane, infatti credeva fermamente che nessuna legge potesse produrre un cambiamento linguistico, ma che esso potesse avvenire solamente in maniera lenta e “molecolare”. In Italia il termine popolo non è riuscito a raggiungere un’identità nazionale e il limite della cultura italiana è proprio quello di non aver sviluppato delle opere nazional-popolari, a differenza, ad esempio, della Russia. Gramsci ipotizza la creazione di una letteratura fortemente ideologica che possa collaborare alla creazione di un’identità nazionale, c’è la necessità di avere la consapevolezza delle espressioni ideologiche presenti nella letteratura. La riflessione du Dante è strategica e quello che dice Gramsci è anche ciò che dirà Henrick Hauerback. Gramsci si sofferma su un passo celeberrimo della Divina Commedia, il Canto X dell’Inferno, gli eretici: Farinata degli Uberti. L’attenzione è sul compagno di sarcofago di Farinata, Cavalcante Cavalcanti, papà di Guido Cavalcanti. La critica classica ci invita ad ammirare la forza degli affetti famigliari e dei sentimenti suscitati dalla commovente scena (lettura del passo), ma Gramsci afferma che mai avremmo potuto capire di cosa si parla nel passo se non fossimo stati consapevoli della loro collocazione ideologica e culturale, ovvero la loro valenza teologica: i dannati eretici sono infatti condannati a non conoscere il presente, mentre possono solo vedere il futuro. Contro la teoria di Croce, Gramsci afferma fermamente che o c’è la concezione della struttura ideologica, teologica e culturale, oppure il lettore non potrebbe capire niente della Divina Commedia. Dante ci mostra con molta nettezza la necessità di non dividere la poesia dalla cultura e per questo la critica formalistica non sarà mai divisa dalla critica contenutistica. Gramsci si propone anche di studiare la letteratura popolare (pag. 76) e fa un sorta di programma pionieristico per studiarne i generi (Hugo, Dumas, romanzo poliziesco, fantascientifico…). Egli si domanda, ricollegandosi ad un saggio politico-intellettuale di Ruggiero Bonghi, perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia: la risposta è che all’estero si era creata, a differenza dell’Italia, una letteratura popolare. Oggi le cose sono cambiate, ma solo dopo 150 anni: è avvenuta una lenta e molecolare evoluzione della narrativa italiana e la front-lista dei libri che vendono di più in Italia è per la maggior parte composta da libri italiani, a differenza di qualche anno fa. Quali sono glie siti di gusto del suo atteggiamento? Gramsci lavora al fine di una letteratura capace di lavorare ad un processo di ammodernamento del linguaggio, capace di costruire un canale comunicativo con il pubblico e capace di costruire un’identità nazionale. Egli coglie con grande tempestività il successo di Pirandello, giudicato come un “pazzo furioso” che diventerà famoso solo quando sarà vecchio, da metà degli anni ’20 in avanti. Oggi è uno degli autori già rappresentati al mondo, punto di riferimento del teatro mondiale. Capacità di partire da una situazione molto radicata, localistica (i siciliani, la Sicilia) e le fa diventare una vicenda mondiale, metafisica. Quello che sembrava una storiella da barzelletta viene trasfigurato in una dimensione italiane. addirittura sovranazionale. Viceversa antipatizza in modo estremo con Ungaretti e gli Ermetici (chiamati da lui i “neolalici”, giudicandolo il linguaggio ermetico come un linguaggio chiuso su se stesso e incomunicante)., Inoltre Gramsci descrive i futuristi come degli scolaretti che hanno fatto casino e sono stati rimandati in classe dal professore. GRAMSCI E L’ARCHITETTURA L’architettura italiana presentava un aspro dibattito tra i fascisti (razionalisti) e gli architetti monumentali Gramsci si schiera con i razionalisti (stazione di santa Maria Novella di Firenze) edificio monumentale iperfascita, Piacentini —> Stazione centrale di Milano Gramsci dice che l’arte deve essere funzionale —> sostiene la necessità di un’arte capace di rispondere a dei bisogni sociali MA la sua non è un’estetica normativa. Manca Lezione di lunedì 28 SETTEMBRE (foto) - Beniamin - lo statuto dell’arte, l’arte cambia radicalmente il proprio rapporto con il pubblico - questione della varietà dei gusti - Lo statuto della letteratura: ad un certo punto della storia la letteratura diventa soprattutto romanzo (non più poesia, critica e teatro, come era fino ai primi del 1800) - i cambiamenti dello statuto della letteratura hanno a che fare con i cambiamenti della produzione culturale di massa, lo società avanzata è la società dei media - grammatica testuale: tenere in considerazione un intero testo per capire il significato di una singola parola I CONTENUTI E LE FORME La distinzione fra contenuti e forme è una distinzione debole, che non significa niente: i contenuti sono sempre anche forme e le forme sono anche sempre contenuti. In entrambi questi due grandi maestri il discorso del cambiamento dello statuto della letteratura diventa il discorso su un vero e proprio trionfo del romanzo, mostrando come questo trionfo sia un fatto gigantesco e irreversibile. Parlare dell’egemonia del romanzo significa anche parlare della possibilità stessa del realismo, infatti fino agli inizi dell’Ottocento non era neanche pensabile che la letteratura avesse il compito di rappresentare la realtà. Nella letteratura moderna cade il sistema che prevede la separazione di stili e argomenti (per parlare di argomenti nobili ci vuole uno stile nobile, es. Baudelaire) e si mette fine al principio di auctoritas, ovvero che per scrivere fosse necessario fare riferimento agli auctores, ovvero ai grandi classici della letteratura (es. Virgilio, nello scrivere l’Eneide, prende a modello l’Iliade e l’Odissea di Omero), affermando la libertà espressiva di poter rappresentare la realtà senza schemi prefissati (—> realismo). Affermando la libertà di conoscenza, la libertà di cogliere noi stessi i dati dalla realtà, si afferma anche un forte avvicinamento alla realtà attraverso le percezioni personali. Michailn Bachtin Critico letterario, filosofo e studioso di linguistica e semiotica, nasce nel 1895 nel contesto del formalismo russo, un movimento decisivo della storia della critica e della letteratura (moderna teoria letteraria), ma ha anche una lunga storia politica, infatti vive nel periodo della rivoluzione bolscevica, ma formalismo e rivoluzione comunista non vanno molto d’accordo… Fu conosciuto in Italia solo a partire dalla fine degli anni 70, perché le sue posizioni erano poco compatibili con le idee politiche sovietiche, non potendo pubblicare libri per diversi anni. Proprio per questo è possibile che abbia pubblicato sotto pseudonimi e per questo vi sono molti dubbi su quale sia effettivamente il numero delle sue opere. 1956: XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica anni 70: pubblicazione di un grande volume du Dostojevski Secondo Bachtin l’uomo è un ideologo perché usa il linguaggio, ma è ancora più drastico e linguista di Gramsci, infatti egli ci ricorda che l’uso stesso del linguaggio implica un orientamento. Il linguaggio è sempre orientato, questo vuol dire che ogni affermazione linguistica nasce da un individuo che nel momento stesso in cui sceglie le parole e la struttura del discorso mostra “una ultima istanza del mondo”. Anche l’intonazione, che fa parte degli aspetti più difficili da studiare nella linguistica, mostra una posizione rispetto al mondo di un soggetto che valuta il mondo. Bachtin si pone con forza una domanda: da dove vengono le parole? Le parole vengono dagli altri. È estremamente interessante la conseguenza di questa intuizione: se le parole vengono dagli altri, le parole non sono nostre. Le parole che utilizziamo appartengono tutte ad un codice condiviso e ogni volta che noi parliamo facciamo nostre delle parole che abbiamo sentito dagli altri. Queste parole erano orientate da altri soggetti, ora noi ce ne impadroniamo e le riorientiamo. Ogni parola viva non si contrappone allo stesso modo al proprio oggetto con un rapporto diretto, tra la parola e l’oggetto vi sono le parole altrui su lo stesso oggetto. Le parole in primis si muovono dentro contesti, sono sempre dentro ad un flusso di significati, il vocabolario è il risultato artificioso, editoriale. Le parole non sono solo parole, ovvero constative, ma sono anche gesti (How to do thing with words), ovvero performative. Il linguaggio, per Bachtin diventa un linguaggio sempre contestuale, sempre rapportato ad orientamenti e ad espressività altrui. Il discorso sul linguaggio diventa un linguaggio anti-autoritario sulla verità: ogni parola per sua natura è dialogo e quindi interpretazione (scrive anche La filosofia del dialogo: filosofia ermeneutica, le parole sono frutto di un dialogo e in un dialogo vi è un’interpretazione). Lettura di La parola nel romanzo: Bachtin cerca di fondare la stilistica del romanzo. La letteratura moderna e in particolare il romanzo moderno usano il linguaggio valorizzandone il significato portane. - Nella psiche di chiunque non esiste un monologo, quando un individuo pensa fa dialoghi. - Bachtin fa un discorso complessivo sulla parola, sul dialogo, sulla verità, sulla democrazia. - tutte le parole hanno un aroma, un sapore - polifonia: pluralità di voci, di soggetti, di orientamenti sul mondo Domanda critico letteraria: come si definisce il romanzo? È difficile definire il romanzo perché portatore di lingue di stili infiniti. In quanto opera, il romanzo prima di essere plurale, è unitario, è un’opera chiusa con ha una forte unità, ma allo stesso tempo piena di tutto. La sua pluralità è, paradossalmente, il suo tratto caratterizzante. sistema che ha avuto modifiche e cambiamenti ma che è rimasto ancorato ad una tripartizione degli stili: stile alto, stile mediocre, stile umile. Ruota di Virgilio: • stile alto —> Eneide (epica): si può parlare di un certo tipo di personaggi, come il soldato generale, i governanti e bisogna farlo con un certo stile. È vietato utilizzare un termine che non rientra nel contesto aulico (es. equus per cavallo) • stile medio —> Le Georgiche: argomenti agricoli, il bue • stile basso/umile —> Le Bucoliche: Titiro e Melibeo… Perché “Commedia”?: la storia parte da una condizione negativa e approda ad una situazione positiva; Commedia inoltre definisce lo stile medio, per consentire l’escursione in alto e in basso. Spostamento di oggetto nella narrativa novecentesca: es. Virginia Wolf. Da eventi minimassimi fa nascere un mondo intero. LA PLURALITÀ DELLA RAPPRESENTAZIONE Auerbach sostiene che Virginia Wolf abbia fatto fare un passo avanti al realismo, a differenza della critica novecentesca che affermava che la letteratura si stesse allontanando dal realismo per avvicinarsi alla psiche. Il lettore all’inizio è spaesato, non sa neanche di chi si sta parlando e questo tipo di rappresentazione è un accesso ancora più profondo alla realtà. Il narratore, molto novecentesco, non da nessuna spiegazione, butta dentro la storia nel suo svolgersi. La capacità cognitiva del lettore è messa a servizio di un testo privo di chiarimenti. Il lettore è in difficoltà perché, non solo viene privato di chiarimenti e spiegazioni, ma anche perché viene sballottato in continuazione da un personaggio all’altro, da una situazione all’altra, da un punto di vista all’altro (shifting point of view), fa fatica a ricostruire l’unità dell’azione ed è obbligato a seguire la narrazione in modo rallentato (relentit). Elementi di pluralità della rappresentazione: - Pluralità delle line narrative: la storia va avanti, ma il lettore deve ricostruire allo stesso tempo più storie di personaggi diversi; - Pluralità di tempi: la rappresentazione non è solo quella della realtà del tempo di partenza della narrazione, ma entrando nei pensieri dei personaggi, si muove liberamente attraverso il tempo (ricordi…) e questo avviene sempre senza avvertire il lettore; - Pluralità di soggetti: ogni elemento della rappresentazione passa attraverso il soggetto, i punti di vista si mescolano e si intrecciano continuamente. Auerbach ci ha spiegato che in questo tipo di rappresentazione la realtà è soltanto la realtà filtrata dai soggetti, ma aggiunge che proprio questo è l’aumento del tasso di realismo. La realtà è sempre e soltanto una realtà esperita da qualcuno. Questa tecnica narrativa accentua la percezione individuale mostrandoci direttamente dall’interno in che modo si vive ed è naturale che appaiano momenti come i pranzi, le passeggiate, i ricordi, i pensieri scollegati, i bambini… Auerbach sottolinea che questo è un cambiamento generalizzato e che l’episodio di To the light house non è l’unico, infatti vi è uno spostamento generale del centro di gravità della rappresentazione nei romanzi: i romanzi non occupano più dei grandi eventi della storia, am di singoli e insignificanti avvenimenti della vita quotidiana. pag. 157-158: “Questo spostamento del centro di gravità (della rappresentazione) esprime quasi uno spostamento di fiducia. Si attribuisce meno importanze alle grande esperienze esterne… e si ha fiducia invece che un qualunque fatto della vita… possa rappresentare la somma dei destini” (es. il destino della signora Ramsay è il destino di un mondo intero). La narrativa cambia, l’Occidente accede a duna modalità nuova che consiste nell’esaurire nei minimi dettagli gli avvenimenti della vita quotidiana e il procedimento seguito dagli autori moderni può paragonarsi a quello di alcuni filologi antichi. Bisogna lasciarsi guidare dall’indagine di un fatto: la narrativa, come la critica, possono accedere alla totalità solo attraverso un singolo fatto. Non la totalità mistificata del grande racconto, ma la totalità raggiunta dall’approfondimento di una singola situazione, come dal singolo passo di un’opera. Jean Paul Sartre Sartre ha individuato il ruolo strategico e fondamentale del lettore: i testi esistono solo nel momento in cui qualcuno li leggi, se nessuno li legge solo semplicemente inchiostro su carta, Sartre li distingue in “oggetti letterari” e “testi”, ovvero testi non attivi, che non agiscono e non funzionano. Purtroppo, la grande maggioranza dei testi muore e sparisce dalla storia e dalla memoria, anche se la maggior parte della critica fa difficoltà ad ammetterlo. pag. 176: “Dunque non è vero che lo scrittore scriva per se” In Sartre è strategica la prospettiva esistenziale*, ovvero la prospettiva filosofica che mette come oggetto privilegiato l’esistenza. La filosofia esistenziale si sforza di pensare l’impensabile, ovvero ciò che è singolare: ogni esistenza è diversa da qualsiasi altra esistenza. La singolarità non è pensabile. La differenza tra un’esistenza e un’altra è la possibilità come possibilità di scelta. Il mondo del possibile è il mondo che si oppone al mondo del necessario. *L’existentialisme est un courant philosophique ainsi que littéraire qui considère que l'être humain forme l'essence de sa vie par ses propres actions, celles-ci n'étant pas prédéterminées par des doctrines théologiques, philosophiques ou morales. L'existentialisme considère chaque individu comme un être unique maître de ses actes, de son destin et des valeurs qu'il décide d’adopter. L'existentialisme de Sartre est une version célèbre: «  l'existence précède l'essence  », c'est-à-dire que chaque individu surgit dans le monde initialement sans but ni valeurs prédéfinies, puis, lors de son existence, il se définit par ses actes dont il est pleinement responsable et qui modifient son essence. À sa mort, son essence se fige (si blocca). En cela, l'être vivant se distingue de l'objet manufacturé qui, au contraire, a été conçu pour un but et se définit donc plutôt par son essence. L'homme façonne lui-même ce qu'il croit être juste ou vrai, et, de ce point de vue, il est seul responsable devant lui-même, de la civilisation comme de ses actes. Puisqu’il n'existe pas d'essence objective, alors il n'existe aussi ni morale ni même de vérité absolue. Il est donc inutile et néfaste de se cacher derrière un quelconque déterminisme: que ce déterminisme soit religieux et reconnaisse une existence déterminée par Dieu- existence où l'on devrait attendre la vraie vie dans un autre monde sans pouvoir agir sur le destin qui déterminerait la vie actuelle, ou qu’il soit seulement psychologique (ex. fataliste), et que ce déterminisme déclare que « les hommes sont comme ils sont et qu'on n'y peut rien changer » - il n’en reste pas moins que l'homme est le seul vrai maître de ses pensées et de ses croyances. L’existentialisme implique la liberté et le libre arbitre et il s’élève donc contre tout déterminisme «  matériel  ». Selon l’existentialisme sartrien, l’être humain est donc, paradoxalement, condamné à la liberté puisque: «  il n’y a pas de déterminisme, l’homme est libre, l’homme est liberté » Aussi, l’essence de l’être humain menant à celle de l’humanité, l’être humain définit en outre par ses choix le sens de la vie en général, c’est-à-dire qu’il engage « symboliquement » aussi toute l’humanité dans la voie qu’il choisit. Sartre explique par exemple que la personne qui se marie considère le mariage comme un choix intéressant, donc que, selon elle, tous les êtres humains devraient en faire de même: tout le monde en âge de l’être devrait être marié. Chez les existentialistes, l’angoisse ne désigne pas un simple sentiment subjectif et ne se confond pas non plus avec l’anxiété ou la peur. L’angoisse est toujours angoisse du néant et aussi angoisse devant sa propre liberté. Elle désigne l’expérience radicale de l’existence humaine. Chez Kierkegaard, l’angoisse naît de la liberté. C’est la découverte d’une liberté qui, tout en n’étant rien, est investie d’un pouvoir infini. L’angoisse n’est pas la peur. On a peur que de ce qui nous est extérieur: le monde et les autres. Mais, on s’angoisse devant soi-même. C’est ce que révèle l’expérience du vertige  : je suis au bord d’un précipice, d’abord vient la peur de glisser et donc la peur de la mort, mais tant qu’elle en reste à cela mon angoisse n’est encore qu’une anxiété et je suis encore passif. Je fais alors attention et mes possibilités d’échapper au danger, comme celle de reculer, annihilent ma peur de tomber. Mais alors, je m’angoisse car ces réactions sur lesquelles mon attention se fixe ne sont encore que de « libres » possibilités. Rien ne me contraint à sauver ma vie en faisant attention, le suicide est aussi une de mes conduites possibles. Mais là encore ce n’est seulement qu’une possibilité, d’où une contre-angoisse et je m’éloigne du précipice. J’ai peur de ce que je peux faire, du pouvoir immense que me confère ma liberté : c’est de là que naît l’authentique angoisse. L’existentialisme semble entraîner une vision très pessimiste des relations humaines. En effet, Sartre pense que l’homme est contraint de vivre avec les autres pour se connaître et exister mais il pense également que la vie avec les autres prive chacun de ses libertés. L’homme désespéré par sa propre banalité a construit ses propres illusions pour croire pouvoir néantiser les autres afin d’être au-dessus d’eux et ainsi s’échapper de la société. Pour Sartre, qui a beaucoup été influencé par Hegel, c'est le regard qui dévoile l'existence d'autrui. Le regard ne se limite pas aux yeux car derrière le regard il y a un sujet qui juge. Dans un premier temps, c'est moi qui regarde autrui, de telle sorte qu'il m'apparaît comme objet. Dans un second temps, c'est autrui qui me regarde, de telle sorte que j'apparaisse à autrui comme objet. Pour Jean-Paul Sartre, le fait de voir un homme, c’est inévitablement ne pas le considérer comme une chose, sinon on ne verrait pas un homme mais une chose de plus parmi les choses. Le distinguer des choses, c’est établir une nouvelle relation entre lui et les choses, c’est plus simplement se nier en tant que centre du monde. La seule distinction et perception d’autrui en tant que sujet pensant me force à me remettre en question, moi et tout l’univers que je me suis construit, tout l’ordre que j’avais établi entre les choses et moi  ; le système égocentré que j’avais créé s’écroule soudain par la seule existence d’un être qui, étant aussi capable de penser, est aussi libre que moi et a donc aussi toutes les chances d’avoir une vision du monde qui s’oppose à la mienne. Être vu, c’est aussi être jugé. Si autrui me regarde, je suis immédiatement modifié, altéré par son regard  : je suis regardé, concerné au plus vif de mon être. Être regardé, c’est agir par rapport à l’autre, c’est être figé dans un état qui ne me laisse plus libre d'agir. L'Autre nous fait être. Le problème est que l'autre nous fait être à sa convenance, il peut donc aussi nous déformer à volonté. Ainsi l’illusion est générale. Ni l'amour, ni la haine, ni l'indifférence, ne peuvent faire sortir les hommes de l'enfer dans lequel ils sont tous plongés puisqu'il y a les autres, puisqu’il faut tenir compte de leur présence et de leurs jugements. Le désir sexuel resterait le seul moyen de vivre en parfaite communion avec l’autre. Mais c’est là encore une manifestation de la mauvaise foi et un outil du narcissisme, or, il est lui aussi voué à l’échec. Le désir, c’est la chute dans la complicité avec le corps, c’est le dévoilement de son existence. On se laisse envahir par le corps, on cesse de le fuir. Il envahit la conscience qui glisse vers un état assez semblable au sommeil. libertà.
 
 pag. ?: “Non c’è rapporto tra l’opera della mente e il compenso pagato sotto forma di percentuale… In fondo, non si paga lo scrittore, lo si mantiene e non può essere altrimenti” — > Lo scrittore è inutile, è un parassita, è difficile pagarlo perché non fa nulla MA chiede di agire, di prendere coscienza, solo attraverso la lettura. Lo scrittore è un operatore che spinge alla presa di coscienza —> dove c’è letteratura c’è consapevolezza.
 
 Può essere nocivo che la società acquisti coscienza di sé e Sartre mostra chiaramente che il potere vuole che la gente non sia consapevole. Lo scrittore, facendo delle rappresentazioni del mondo, impone una presa di coscienza che ha delle conseguenze. Chi entra nella dinamica di questa presa di coscienza vede il mondo e non può più accettarlo così com’è, capisce che qualcosa non va, che è inaccettabile: il lettore vuole cambiare il mondo. 
 
 Lo scrittore produce consapevolezza, o meglio, impone alla società una coscienza inquieta. Dove c’è letteratura c’è coscienza inquieta, ovvero una rappresentazione che rende impossibile per il lettore di continuare ad essere inconsapevole. Lo scrittore diventa lo strumento della consapevolezza, che non è accettazione passiva, ma coscienza della necessità di cambiare.
 
 pag. 184: ambiente = vis at erro Ian Watt
 The rise of the novel (tradotto come “La nascita del romanzo borghese”) Quali solo le premesse con cui il romanzo può affermarsi? Quali sono i processi sociali, i cambiamenti tecnici, le comodità che permettono al romanzo di affermarsi? L’esistenza o meno dei lettori non serve solo a far vivere il testo, ma è un punto di riferimento che costituisce un cambiamento nella struttura del testo. Watt afferma che la lettura letteraria fa avere delle esperienze (studio delle neuroscienze dell’esperienza della lettura, delle scienze cognitive…), ma non è scontato che sia così. Le condizioni che consentono che la letteratura diventi un’esperienza più di quanto lo fosse in passato sono le condizioni che coincidono con il trionfo del romanzo e del realismo: premessa epistemologica e premessa economica.
 • Premessa epistemologica: il principio del realismo, ovvero di una conoscenza non dominata dalla tradizione, dell’auctoritas, non di quello che è stato detto prima, ma dominata dal libero rapporto con la realtà è alla base della nascita del romanzo, ed è anche in relazione all’affermazione del sapere scientifico. 
 
 Le nuove linee filosofiche vanno sviluppando il concetto della scoperta della realtà attraverso i sensi (es. Des Cartes; John Locke: saggio sull’intelletto umano, necessità in cui i soggetti umani conoscono). Il romanzo moderno si costruisce rappresentando esperienze che sono scoperta della realtà mediante i sensi, poiché rappresenta individui specifici che vivono esperienze specifiche e che quindi hanno percezioni specifiche e non generalizzate, frutto di una tradizione antica. 
 
 Watt ci ricorda anche che il nuovo grande genere letterario di chiami “novel”, ovvero basato sulla rappresentazione di novità, di storie non conosciute e proprio per questo si oppone alla tradizione classica. Le persone, fino al romanzo, conoscevano i personaggi delle storie (es. epica) ed erano cuocisi rispetto ai nuovi metodi di rappresentazione mentre con il romanzo tutto è nuovo e le storie sono finalmente compatibili con le esperienze dei lettori (principio di verifica dei fatti attraverso l’esperienza). I lettori vogliono storie nuove che consentano loro di avere nuove esperienze e di conoscere la realtà attraverso storie che possa sentire sue.
 
 • Precondizioni economiche: il romanzo si afferma perché ha dei lettori. Chi sono i lettori? Coloro che sanno leggere, coloro che possono avere in mano un libro. Per avere in mano un libro lo si deve compare. Quanto costa un libro? Quanto costa un romanzo? Molto meno di un tomo come l’Iliade o l’Odissea…Come esistono i lettori? quali condizioni ne permettono l’esistenza?
 1. Alfabetizzazione: perché ci siano dei lettori la gente deve saper leggere. Percorso che dura moltissimo tempo… Prima infatti avviene l’alfabetizzazione con la diffusione di scuole private e pubbliche, poi nascono le leggi sulla scuola (XIX sec), poi dal saper leggere si deve saper comprendere, analizzare (leggere la lista della spesa non è come leggere un libro o anche solo una ballata, un almanacco, un opuscolo). Inoltre bisognava combattere il dissenso dei ceti abbienti rispetto alla nascita di una consapevolezza critica anche tra le bassi classe sociali.
 2. Espansione del ceto medio: i processi di modernizzazione sono anche i processi di urbanizzazione, il contesto della città fa nascere la necessità di ampliare i servizi per la gestione della popolazione e degli spazi. Se si ampliano i servizi, aumenta anche il numero di persone in grado di gestirli, ovvero il ceto medio.
 3. Aumento del benessere: banalmente, chi deve soddisfare i bisogni primari (mangiare, bene, dormire e poco altro) non può di sicuro dedicarsi alla lettura. Bisogna stare bene per potersi permettere il lusso di avere esperienze che sono “extra” rispetto alla vita. Durante la rivoluzione industriale vi è stato un grande aumento del benessere, ma anche un grande aumento della miseria…
 4. Invenzione del tempo libero: in passato l’otium era destinato alle sole classi privilegiate, non esisteva una disponibilità di tempo che poteva essere riempito con delle attività di intrattenimento. Durante la rivoluzione industriale nasce la disponibilità di avere del tempo libero, anche se poco: la lettura è possibile in questo lasso di tempo nella giornata.
 5. Miglioramento della condizione della donna: la disponibilità di tempo libero è una novità sopratutto per le donne (es. dedica del Decameron di Boccaccio alle donne; ceto medio imprenditoriale dove la condizione femminile, anche non nobile, cambia in meglio). Lo sviluppo della modernizzazione e dell’industrializzazione rende industriali produzioni che fino a poco tempo prima erano casalinghe: le donne hanno più tempo libero perché sempre meno devono tessere, filare, fare il pane, le candele, il sapone, la birra… Il mondo dei servizi è anche il mondo dei negozi —> si liberano porzioni di tempo.
 6. Gli apprendisti e i domestici: nelle famiglie abbienti è normale che ci siano dei servitori che hanno la possibilità di leggere senza avere grandi possibilità economiche (FILM Quel che resta del giorno).
 7. Diminuzione del prezzo del libro: il romanzo è un genere che aspira ad un grande pubblico, quindi servono tante compie (dimensione imprenditoriale della diffusione del romanzo). La modernizzazione è legata alla nascita dell’editoria moderna: fino ai primi dell’Ottocento non c’erano gli editori, esistevano gli stampatori di Brai, che facevano tutto il processo produttivo (i Manuzio…). Quando la stampa diventa industriale con dei macchinari sempre più costosi è stato necessario qualcuno che investisse una grande quantità di soldi per mantenerle attive a lungo per poter stampare un’infinità di copie. L’editore (es. Mondadori) non stampa il libro, non ha un processo di integrazione verticale che comprende tutti i comparti della produzione, ma coordina il lavoro di altre persone: stampatore, rilegatore, cartaio, fabbricante dell’inchiostro, autore. Watt ci ricorda per esempio che i libri (non lussuosi) non costavano tanto di più di adesso, ma gli stipendi erano un decimo rispetto a quelli degli anni ’50-’60 in Inghilterra. Le macchine dovevano fabbricare copie non costose e soprattutto piccole, comode da trasportare, da leggere ovunque (≠ volumetti pubblicati in serie del 1700). La modernità industriale crea una nuova letteratura che non sia appannaggio di un ceto aristocratico: la letteratura parla di tutti. LA LETTERATURA DIVENTA LETTERATURA DI PIACERE Il periodo della diffusione del romanzo è anche il periodo della diffusione di riviste e periodici che si avvalgono della velocità e dell’economicità delle nuove tecnologie. Si diffonde anche la tecnica di mischiare testi grevi, seri, pesanti con testi di intrattenimento come barzellette, indovinelli, raccontini, finte pubblicità: Il Caffé (1984), oppure Il Conciliatore (1919-1921) che proponeva un mix originale e sorprendente di testi seri, divertenti e bizzarri. 
 
 GLI SCRITTORI CAMBIANO IL LORO MODO DI SCRIVERE Il cambiamento del pubblico cambia le forme letterarie, ma soprattutto richiede agli scrittori di cambiare il proprio modo di scrivere. Gli scrittori devono essere prolissi e veloci: - la grammatica narrativa è completamente opposta a quella del 1700: è rapita, senza informazioni inutili… - riduzione progressiva degli spazi descrittivi - i primi narratori sono prolissi perché devono andare incontro ad un pubblico nuovo - i neo romanzieri vengono pubblicati a quantità —> devono essere veloci a scrivere. C’è chi deve produrre in fretta per campare - rapporto tra commercialità delle opere e la loro qualità - editoria Sonzogno (Milano), editoria Perino (Roma): soprattutto libri per il popolo Hans Robert Jauss La reception esthétique (1967) e l’ermeneutica filosofica La lettura è interpretazione: chiunque legga si rapporta con qualcosa che non è suo e che cerca di fare suo. In ogni atto interpretativo c’è il passato (il prodotto) e l’attualità (l’interpretazione). Vi è un’ulteriore radicalizzazione dell’idea di letteratura come esperienza: la letteratura non è astrazione, ma è un processo in corso. Il fatto che ogni atto di lettura sia esperienza implica che l’esperienza non sia un fatto, ma un evento che è ogni volta nuovo. Ogni atto di interpretazione e di lettura aggiunge un qualcosa alle opere e i lettori, con le proprie esperienze, aggiungono senso all’opera. Se la lettura è un evento, l’evento muta l’opera: la storia letteraria si colloca sempre nella storia dell’interpretazione. Il punto di riferimento ideologico è Gadamer (Verità e metodo, 1960) che sviluppò in modo sistematico la filosofia ermeneutica, partendo dal presupposto che la verità è l’esperienza della verità e l’esperienza non è mai di un singolo, poiché io esperisco la verità sempre attraverso un dialogo, quindi con l’intervento degli altro. Ogni verità è interpretazione in rapporto con altre verità, non esiste una verità solitaria, ma solo una verità che si colloca in un processo infinito di rapporti con le verità degli altri. L’atto ermeneutico, per Gadamer, è una possibile funzione di orizzonti e Jauss lo sviluppa come concetto di orizzonte di attesa. Lo scambio, il dialogo con un altro verità, non avvengono nel nulla, ma nascono da presupposti, da esperienze pregresse: se un individuo prende in mano il romanzo, conosce già che cosa potrà accadere nel corso della lettura. Ogni interprete si muove quindi in un orizzonte di attese che muta grazie all’opera. Il lettore inizia a leggere con una serie di attese, durante la lettura il lettore acquisisce nuovi significati, attese e contenuti e allo stesso tempo l’opera muta il proprio orizzonte di attese. L’opera può produrre significati nel momento in cui qualcuno li attualizza. Jauss aggiunge una curvatura molto interessante e nuova rispetto alla curvatura etico-politica di Sartre: l’atto interpretativo non è soltanto un atto conoscitivo, ma anche emotivo. Tutto questo è in rapporto sostanziale con il piacere: quando leggo, voglio che mi piaccia quello che leggo (per questo fu rimproverato dalla Scuola di Francoforte che insisteva sul fatto che il lettore debba essere critico, lucido, che debba pensare). Jauss nega una lettura tutta di testa e intellettualistica, la lettura deve coinvolgere emotivamente perché al contrario, l’atto di lettura non precederebbe. dall’editore più potente di tutti (es. NEGATIVO il caso de Il Scialla di Oriana Fallaci; POSITIVO Il Nome della Rosa di Umberto Eco: in un anno ha venduto 2 milioni di copie solo in Italia). 
 
 Schema a Y: duplice investimento, unico ritorno. Chi produce un libro deve necessariamente dare dei soldi a due tipi di produttori per due tipi di servizi: • lo stampatore, il rilegatore, supporti materiali, passaggio dal file digitale al testo composto… • l’autore (6-9% lordi del prezzo di copertina) —> pagato alla fine e dopo il rendiconto annuale. Non c’è un rapporto diretto e corretto tra la fatica dell’autore nello scrivere un libro e il salario dell’autore.
 Se produrre libri è economicamente rischioso, le strategie degli editori utilizzano delle strategie di controllo del rischio. - Editoria di conservazione: fabbrica libri che sono più o meno come oggetti d’arte, costosi, poche copie, piccolo effetto dinamico - Editoria di consumo o sperimentale: nessun editore si può permettere di pubblicare solo i best seller degli autori famosi (problema trainante/frenante del nome dell’autore…).
 Ogni editore deve miscelare nella giusta quantità la novità e la continuazione, stampando libri che è quasi certo di vendere (es. autobiografia di Bruno Vespa) per potersi permettere di stampare libri più costosi e “rischiosi”. Ancora, ogni editore deve costruirsi un catalogo, ovvero un insieme di titoli che garantiscono una vendita nel tempo. La problematicità economica dell’oggetto libro è accentuata dall’arrivo del romanzo, poiché un allargamento del pubblico implica una quantità maggiore di stampe, di “oggetti” da dover produrre. La letteratura moderna offre una fase in cui tendenzialmente si può guadagnare molto con un libro, ma allo stesso nulla. LA DURATA DELLE OPERE LETTERARIE Alfred Audin: Qual è l’immagine sociale della letteratura? Cos’è che noi riteniamo letteratura? Qual è la memoria collettiva in base alla quale nasce l’idea di letteratura? Quanti testi sopravvivono? L’immagine sociale della letteratura è l’insieme degli autori che si ricordano.
 
 Audit fa un elenco di 1136 nomi di autori vissuti dal 1300 al 1830, Escarpit invece parte dall’inizio dell’età della stampa (1490) fino al 1900 e comprende 937 nomi. Escarpit ha raccolto i nomi citati in storie letterarie, in tesi di dottorato e nel Petit Larousse (enciclopedia in versione minore). Escarpit vuole capire qual è il numero reale di autori, non solo di quelli citati: fa allora una lista di “autori sopravvissuti” recuperandoli dalla memoria delle persone e dalla Bibliothèque Nationale de Paris: nella biblioteca recupera 100.000 nomi, dalla memoria della gente colta in media 250-300 autori a persona, tra la popolazione medio bassa 3-4 autori a persona. Vi è un’erosione profondissima che implica una morte reale e per lo più definitiva della maggioranza degli autori e dei titoli. Qui si colloca la riflessione che Escarpit sviluppa a partire dallo studio dello studio del sociologo americano Harvey Leman, il quale si interrogava sull’età della migliore prestazione. Leman è in difficoltà per quanto riguarda l’individuazione della migliore età rispetto alla letteratura e si ingegna facendosi fare una lista da un bibliotecario dei migliori libri, stabilendo dei gradi (da 1 a 50) a seconda dei numeri di citazione. Leman colloca il suo criterio di selezione al grado8 , ovvero prendendo in considerazione solo gli autori citati almeno 8 volte. Leman per alcuni versi ebbe ragione, per altri sbagliò completamente, ma grazie al suo studio Escarpit creò due leggi, le Leggi di Leman (pag. 256): • Prima legge di Leman: la quantità di scrittori morti e vivi nella lista degli scrittori ricordati è analoga. Esiste un zona di dimenticanza. • Seconda legge di Leman: un’opera scritta dopo i quarant’anni ha meno probabilità di durata rispetto ad un’opera scritta prima di quest’età. Per Leman, gli scrittori nella fascia dei 40 sono più bravi. Escarpit constata che Leman si sbaglia se parla di migliore performance, ma coglie qualcosa di importante e di molto vero. Cosa significa dire di qualcuno che è “scrittore”? Si diventa scrittori quando qualcuno ci riconosce tale ed è più probabile che ciò accada intorno ai 40 anni dell’autore. Ogni scrittore che si afferma ha un pubblico che è in grado di influire sull’opinione pubblica. Uno scrittore ha una sorta di ciclo quindicennale in cui esso viene riconosciuto, diventa un autore di successo socialmente riconosciuto come tale perché c’è chi ne tramanda la fama e poi, se il gruppo sociale che lo ha riconosciuto diventa meno influente, entrerà in una fase di declino. Secondo Escarpit ogni autore ha una seconda chance e una volta su un milione uno scrittore può passare ai posteri e quindi passare ai manuali. È evidente infatti che la distribuzione scolastica sia la strada maestra per arrivare ai posteri. Memoria collettiva: 1. Arrivare ad essere pubblicato —> diventare o no scrittore “in teoria” 2. Riuscire ad avere successo ed essere “letti” —> diventare scrittore “di fatto” e ottenere il riconoscimento sociale. 
 Pierre Bordieu L’ESERCIZIO DEL GUSTO E I PROCESSI DI VALORIZZAZIONE Ogni individuo genera in continuazione valutazioni estetiche, anche nel caso della letteratura. Bordieu mette a fuoco tre grandi aree dell’esercizio del gusto: - giudizio legittimo: legittimato dalle istituzioni - giudizio medio - giudizio popolare: è il gusto di chi non è ancora arrivato a costituire l’autonomia dell’estetico, di chi non separa la forma dalla funzione, giudica le cose in modo contenutistico (es. difficoltà a apprezzare la foto di una macelleria) Bordieu vuole demistificare l’idea di estetica moderna e lo fa nel libro La distinction, Critique sociale du jujement (La distinzione critica sociale del gusto). Il libro fa riferimento alla Critica della ragion pura di Kant, nella quale si parla anche della critica del giustizio estetico. Bordieu ha un atteggiamento di smascheramento, di demistificazione: tutti i suoi studi sociologici mirano a mostrare quello che c’è dietro l’ovvietà dei comportamenti, delle scelte e dei giudizi umani. Nel metodo di Bordieu c’è un’evidente convergenza del lato strutturale (strutture o permanenti o di lunga durata) e della prospettiva marxista (critica della ideologia, messa fuoco delle illusioni che sono negli atteggiamenti, nei giudizi, nelle valutazioni culturali degli uomini). Il discorso dell’ideologia assume una grande complessità, poiché Bordieu mette in gioco una serie di capitali (ideologico, culturale…). La vita sociale di ogni individuo è legata a meccanismi sociali di concorrenza e di dominio, la vita sociale è una continua lotta per l’affermazione, un vero e proprio “gioco” sociale. Anche il giudizio estetico si colloca in questa chiave: nel momento in cui si esercita un giudizio estetico (quando diciamo “mi piace” in presenza di altri), non stiamo solamente giudicando, ma stiamo anche dimostrando che siamo capaci a dimostrare, poiché nel momento in cui un individuo giudica si sta auto-promuovendo socialmente entrando nel gioco sociale. Bordieu ci mostra l’interazione tra vari campi di esercizio del giudizio estetico, ovvero i campi di arti molto riconosciute e arti così dette “secondarie” come il cibo, o i mobili… pag. 268: l’habitus - le azioni che sono spontanee sono in realtà delle acquisizioni che nel tempo sono diventate naturali per me, ma che all’inizio non padroneggiavo affatto (es. guidare la macchina) Bordieu studia l’esercizio dell’habitus e degli stili di vita dove il sociale viene disconosciuto, ovvero nell’ambito del giudizio estetico, che è anch’esso prodotto di habitus e di stili di vita. Il giudizio infatti non è un’azione semplice, ma un’azione complessa dietro al quale ci sono complessi culturali complicati dei quali sono completamente ignaro. Economia dei beni culturali (arti riconosciute come tali e anche arti decorative, arti minori…): 1. Condizione di produzione die gusti: in che modo si producono 2. L’identità dei consumatori: chi sceglie cosa in relazione a quali articolazioni vi sono tra il capitale culturale e il capitale economico 3. La natura degli oggetti: che cosa scelgo 4. I modi di appropriazione I PROCESSI DI SCOLARIZZAZIONE I processi di scolarizzazione sono anche dei processi di valorizzazione legati all’acquisizione di competenze: il titolo di studio è garanzia di capacità di giudizio. In certi campi la scolarizzazione costituisce capacità di giudizio e altri in cui non collabora o non più di tanto. Bordieu ha studiato per tutta la sua carriera i sistemi scolastici, poiché da un lato costituiscono una crescita e una possibilità democratica, dall’altro è un insieme di consolidamento di logiche e di potere inamovibili. Vi sono territori/campi in cui l’esercizio del gusto è più condizionato dalla scuola e luoghi in cui è più condizionato dalla posizione socio-economica. È infatti molto frequente che i critici d’arte siano persone provenienti da famiglie molto ricche, poiché hanno avuto fin da piccoli la possibilità di avere una rapporto fisico, diretto, con le opere d’arte (es. Vittorio Sgarbi e la famiglia Sgarbi). Giudicare significa avere già valutato, ovvero avere acquisito una familiarità con le opere, avere la capacità di paragonare. pag. 285-286: Capacità di giudicare qualcosa solo rispetto alla sua forma trascurando del tutto la sua funzionalità. es. Valutazione di fotografie, valutazione di oggetti che sono rappresentati. - foto di una donna con le mani rovinate - oggetti che con il tempo diventano sempre più belli: quando gli oggetti perdono il loro uso (es. vecchio ferro da stiro) e ne acquisiscono un altro (—> soprammobile). L’autonomia dell’estetico cancella tutto quanto nel giudizio estetico - non esiste il giudizio disinteressato Ulrich Shuls-Bushchaus 1987: saggio sulla conferenza tenuta a Milano. Filologo romanzo, studi dedicati alle lingue e alle letterature dell’area romanza senza una declinazione medievistica tipica italiana-francese-spagnola. Si occupa della letteratura contemporanea. Egli ha osservato che i criteri di giudizio riguardo alla letteratura cambiano nel loro complesso ed è un cambiamento irreversibile. Ulrich si concentra sulla trivial letteratura (letteratura di massa ≠ letteratura popolare, ovvero fatta per il popolo). Prima di tutto ci ricorda che nella letteratura ancien régime (pre-romantica) c’era un criterio di valore legato alla classificazione dei generi e degli stili legato ad una assiologia verticale, andato poi in frantumi all’affermarsi della modernità e del romanzo. Questa verticalità infatti mostra una distinzione di carattere puramente sociologico, economico e giuridico, mostrando gli automatismi della nobiltà e dell’aristocrazia. L’affermazione dell’individuo coincide con la libertà creativa e l’originalità, la novità diventano il valori prevalenti e tutto ciò che è ripetizione è disvalore (nascita del termine “Genio”). L’enfatizzazione del nuovo rilevata da Shuls di cui l’uomo è creatore e anche protagonista è però un paradosso: la necessità del già visto e la necessità di innovare per aderire alla logica dell’originalità. La cultura e la letteratura borghese fanno parte di questo paradosso, poiché si muovono in un’ottica di profitto, differente dall’ottica del passato: è necessario pubblicare dei libri innovativi e originali ma che allo stesso tempo siano riconoscibili dagli acquirenti come “simili” a qualcosa che hanno già letto ed apprezzato. La letteratura borghese non a caso fa trionfare il romanzo, molto commerciabile, innovativo e che spazia tra infiniti generi letterari. In Considerazioni storiche sulla trivial littérature (ovvero la letteratura di consumo, ordinaria) Shuls ci mostra che solo l’esistenza del termine “trivial littérature” o “para-litteratura” è una prova del
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