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La Donna nella Letteratura e nell'Arte: Baudelaire, Breton e Nadja, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Francese

Il ruolo della donna nella letteratura e nell'arte, attraverso l'analisi di due grandi autori: charles baudelaire e andré breton. Il primo scrive il pittore della vita moderna, un'opera che riflette sulla bellezza, sulle donne e sull'essenza della modernità. Il secondo, invece, scrive nadja, un romanzo autobiografico che racconta le sue esperienze con una donna misteriosa e ingenuamente indipendente. Il documento illustra come la figura della donna è stata un'ispirazione per entrambi gli autori, che la vedono come una divinità impenetrabile e un astro della vita moderna.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 27/02/2024

BeatriceVilla
BeatriceVilla 🇮🇹

4.3

(9)

21 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La Donna nella Letteratura e nell'Arte: Baudelaire, Breton e Nadja e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Francese solo su Docsity! LETTERATURA FRANCESE Breve introduzione Parlando di corpi, bambole e bambolotti si ha a che fare con dei corpi, con le loro pelli protettive, ma anche perturbanti → come sono usate nella scrittura letteraria, portano il segno e sono simbolo dei traumi dell'epoca. Possono essere mortiferi, fatali. La bambola può avere due risvolti, anche in contemporanea: un oggetto simile all'umano rassicurante, un oggetto che incute paura. Simulacro = Etimologicamente deriva dal latino simulacrum, significa figura, statua. È una derivazione del termine simulare, cioè raffigurare una forma simile a qualcosa. Dal punto di vista letterario può essere in particolare un'immagine che rimanda alle divinità, di marmo, d'oro, di legno... Dal punto di vista figurato, il simulacro è ciò che deve dare la parvenza esteriore, deve dare la rappresentazione esteriore e visibile della divinità (sia classiche/pagane che cristiane). Non è corrispondente alla realtà, ma è una modalità dell'essere umano per poter dare una forma all'invisibile. Il simulacro può anche essere l'ombra che viene descritta nel testo letterario, l'ombra che vediamo nelle rappresentazioni, l'ombra c'è solo se siamo vivi, può dare la forma all'invisibilitá di qualcosa che è bello o non. Un altro simulacro è il fantasma, la rappresentazione dell'invisibile, di una persona che non c'è più. Nella tecnica, può essere definito come modello dal vero di una macchina o di una parte che riproduce di questa solo la sua forma esterna. Feticcio = sostituto, oggetto materiale di venerazione religiosa in ambito culturale. Termine che deriva dal latino facticius = fabbricato, costruito, dunque anche falso e finto. Indica un oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale, perché c'è uno slittamento semantico del significato che va a trasfigurare l'oggetto nel suo valore d'uso, investendo la cosa con un valore simbolico o individuale o di gruppo. Il vocabolo viene adottato a partire dal XVI sec. (1500) dai navigatori portoghesi, che scoprono gli idoli e gli amuleti che facevano parte del culto dei popoli dell'Africa. Sono artefatti (fatti a mano, procedimento tecnico per la realizzazione), gli africani gli conferiscono valore simbolico che vale sia per l'individuo che per tutta la comunità/tribù. Contiene in sé qualcosa che va oltre l'umano, indica una forza non visibile (è qualcosa di finto, rappresentato). Anche i dipinti della crocifissione sono feticci. Il termine feticismo rientra in questo ambito, si riferisce a quegli oggetti che attraverso dei procedimenti che portano al simbolico, assumono un significato relativo alla sessualità, diventando sostituiti dell'oggetto d'amore. Concetto alla base di molte favole (pinocchio in legno, sostituto figlio in carne, incarna qualcosa al di là dell'umano ma contiene in sé una forza importante). Grazie alle relazioni del 1500 dei portoghesi, il termine feticcio viene tradotto in tutte le lingue d'Europa. Il feticismo viene a fare parte della discipline che studiano le religioni. A partire dalla seconda metà del 1700, lo scritto di Charles De Brosses (eclettico, magistrato e scrittore) "Sul culto degli dei feticci o parallelo dell'antica religione egiziana con la religione attuale della Nigrizia" porta un nuovo modo di guardare i sistemi religiosi. Si tratta di uno dei primi saggi che mette a confronto la storia delle religioni. Nel 1887 Binet scrive "Il feticismo in amore", gli interessi dell'autore vanno verso la psicologia (considerato padre della psicologia scientifica). L’autore si occupa in generale di tutti i temi centrali del suo periodo (ipnotismo, doppia personalità, perversioni, sessualità...). L'opera citata in precedenza è un testo cruciale per affrontare il tema della sessualità dal punto di vista psicologico, e ancora oggi c'è una categoria in questo testo che viene ancora utilizzata con il medesimo significato (il feticismo definito come l'attrazione sessuale verso un oggetto o una parte del corpo legata all'altro sesso). Il testo incide profondamente sugli studiosi e sulla psicoanalisi fino a Freud e incide anche sulle ultime edizioni del DSM (manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali). Karl Marx (Treviri 1818, Londra 1883) "il capitale",1867, è il testo più celebre. La concezione materialistica della storia fu sviluppata da Marx e da Engels nella prima fase della loro collaborazione, in una polemica diretta con la filosofia hegeliana. Collegata con tutta l'elaborazione di Marx, diventa una parte integrante del marxismo teorico soprattutto grazie all'opera editoriale di Engels. I due insieme hanno definito la loro ideologia filosofica. Nel capitale c'è un riassunto della teoria economica e politica di Marx suddivisa in 4 libri corposi totali, e solo uno esce ancora con Marx in vita, gli altri postumi (Engels autore in particolare dei primi due libri postumi e Kautsky del quarto). Il primo libro è una critica all'economia politica di stampo liberista dell'epoca a vantaggio di quella comunista. Include anche importanti considerazioni sociologiche, spiegate attraverso la dialettica. Marx sostiene che gli uomini si muovono, vivono e producono in rapporti necessari e che sono anche indipendenti dalla loro volontà. Questi rapporti costituiscono la struttura economica di una società che è la base reale, sopra questa una sovrastruttura legata ai rapporti giuridici e politici ma anche la vita intellettuale, morale, religiosa e soprattutto quelle che sono le forme determinate dalla coscienza sociale. Quindi c'è in sostanza una struttura legata all'economia e una sovrastruttura che egualmente determina questi rapporti necessari legati a rapporti giuridici,morali e intellettuali (sistemi di produzione e relazioni stesse nell'ambito lavorativo). Contrasti profondi nel campo della vita economica e produttiva → in questi momenti avviene un accrescimento dei mezzi di produzione che vanno a scapito di uno sviluppo e che determinano contrasti dal punto di vista sociale e dei conflitti. Quando le forze produttive e le forze di produzione sono in contrasto tra loro, si caratterizza l'epoca delle rivoluzioni, perché ad un certo punto l'equilibrio teso salta e va a confluire in quelle che sono trasformazioni sociali, giuridiche, ecc... in questi conflitti e rivolgimenti, anche le idee agiscono, come forza materiale che organizza i momenti di trasformazione. Nietzsche (1844 - 1900) "Crepuscolo degli idoli" 1889, mette in luce come in passato si ricercasse la prova dell'apparenza nella trasformazione, nel mutamento, nel divenire, mentre il suo approccio filosofico e storico è nei termini di unità, identità, durata, sostanza, causa, materialità ed essere. Mette in evidenza come nei filosofi ci sia una mancanza di senso storico e di concetto di divenire. Tutto è in divenire, nulla permane. I filosofi che si sono dedicati al mutamento cercano logiche scure, poco chiare. Non occorre secondo lui credere nei sensi come prova dell'esistenza del divenire (contrario dell'empirismo). Secondo Nietzsche Eraclito era nel giusto, dicendo non occorre affidarsi ai sensi, bisogna parlare di più di durata di identità di sostanza. Fa un distinguo rispetto alle scienze astratte (non hanno relazione con la realtà) e quelle scienze che usano anche un aspetto più materiale e sensoriale come strumento di conoscenza. Rifiuta l'aspetto dell'idiosincrasia dei filosofi (non si possono scambiare le posizioni, ciò che è primo con ciò che è ultimo). Un problema che si pone è quello legato all'errore, a ciò che prima si riteneva erroneamente corretto. L'errore secondo lui sta nell'espressione, nel linguaggio, la ragione deve essere metafisica del linguaggio. Volontà di riformulare completamente i rapporti dell'analisi della storia e della realtà, si parla di feticismo della ragione, con idolo linguaggio. L'espressione del linguaggio fa sì che travisiamo quello che è l'essere vero della storia. 4 proposizioni i: 1) i motivi per cui il mondo è divenuto apparente, in realtà ne fondano la sua realtà, motivi che lo rendono reale. 2) il vero essere delle cose è stato definito come nulla, come non essere ( il mondo vero si è costruito nella sua contraddizione con il mondo reale. Ciò che è l'essenza delle cose è stato associato al nulla). Si è costruita un'illusione, un mondo apparente, 3) pensare a un mondo diverso da questo non ha senso (c'è solo questa vita), 4) suddividere il mondo vero e apparente (come fa cristianesimo) è sintomo di declino filosofico e di percezione del mondo. L'idea che si parli di un feticismo è un legare l'idea di idolo a cui si è succubi (per Nietzsche è il linguaggio) che impediscono una corretta consapevolezza della visione della dimensione filosofica. Romano Madera (Varese, 1948) "sconfitta e utopia, identità e feticismo tra Marx e Nietzsche" del 1977. Il volume contiene un saggio del 2011 "Il codice genetico della civiltà dell'occupazione nelle scoperte di Marx". "40 anni dopo identità e feticismo, un messaggio gettato in mare dentro una bottiglia-libro" → madera pensa a questo libro come un testo che è una bottiglia libro, che contiene dunque un messaggio (come fosse gettato in mare, si sente un naufrago). Madera non rinuncia alla scelta di leggere Marx con il nucleo pulsante della sua teoria, cioè con la teoria del feticismo. Madera, nel 2011 afferma che ci si misura con quello che è diventato un capitalismo di tipo globale. Tratta di un mondo in cui tutto è assolutamente merce. È un naufragio delle speranze rivoluzionarie del 68. Precisa che il messaggio nella bottiglia non contiene lagnosi pentimenti e squallidi colpi nello stile di chi si gloria di colpire un uomo morto o gli sconfitti di turno, bensì il messaggio contiene il contrario, un amorosissimo testa a testa con il tentativo di Marx di coniugare la sua critica con una teoria rivoluzionaria basata sulle lotte di classe. Sempre nel testo, Madera si dedica al tentativo di rileggere Marx e assume l'idea che la teoria del feticismo non spiega soltanto l'ideologia implicita della produzione delle merci, ma è la teoria che fonda la teoria del valore e della sua forma, quindi la teoria generale dei rapporti di produzione e scambio capitalistici. La teoria del feticismo viene assunta con una sorta di DNA di tutto l'organismo sociale del pianeta, ovvero la nostra società capitalistica. Freud → Testo del 1919 "Das Unheimlich"= "il perturbante" (perturbante = mancanza di sentirsi a proprio agio, quando ciò che ci è assolutamente familiare diviene improvvisamente non familiare, ci spaventa). Il dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero e il dubbio che un oggetto privo di vita non sia per caso animato. La bambola può essere vista da un duplice punto di vista: come rassicurante o come massimamente perturbante. Dall'antichità, le bambole/bambolotti sono stati creati dalla nostra immaginazione come nostri doppi, per sconfiggere la solitudine, il buio assoluto, la morte (modo consolatorio). Oggetti avevano la nostra immagine e somiglianza, forme diverse a seconda delle epoche. Inizialmente realizzate in marmo (idoli di marmo, esempio dei gufi di marmo che rappresentavano la saggezza per funzione consolatoria) in epoca preistorica. illustrare la bellezza della modernità attraverso la scrittura. Inoltre, il gusto e la tendenza verso il vero non piacciono a Charles, perché secondo lui è indotto dal fascino per l’invenzione della fotografia e si tratta di un fascino che viene costituito dalla sorpresa di fronte a un’immagine che si presenta come replica esatta del vero. Tuttavia, la moda è emblema della modernità perché è congiunzione dell’eterno e dell’effimero (la moda per essere tale deve continuamente rinnovarsi e svelare la bellezza dell’epoca e ciò che c’è di eterno in essa). Fra le righe del “Pittore della vita moderna”, prende vita l’obiettivo di ispirare i pittori del tempo perché siano in grado di uscire dalle convenzioni delle accademie. Non bastava più rappresentare una realtà composita e armonica, si doveva andare oltre. Come un convalescente, il pittore doveva stupirsi di ogni aspetto della realtà. L’artista, in questo modo, avrebbe reso poetico anche quello che la tradizione considerava ‘brutto’ e indegno di rappresentazione. A modello vi sono le opere di Costantin Guys, dove emergono folla e vitalità, cosmopolitismo e stupore. Il titolo del primo capitolo è: “Il bello, la moda e la felicità“. Qui Baudelaire introduce il concetto di bello, descrivendone la duplice composizione: eterna e transitoria. L’elemento transitorio è rappresentato proprio dall’epoca, dalla moda, dalla morale o dalla passione. Queste componenti occasionali rendono, a loro volta, il bello ‘eterno‘. Fra queste quattro, più tardi, nel capitolo “Modernità”, Baudelaire invita a risaltare la moda e a far sì che questa acquisisca il diritto di diventare ‘antichità‘: occorre infatti estrarre la bellezza misteriosa che vi immette, inconsapevole, la vita umana. Sostiene che sia infatti molto più facile definire brutto il vestiario di un’epoca piuttosto che scovarne la bellezza. In Uomo di mondo, della folla e bambino: Guys ha osservato Parigi nella notte e tornato a casa deve cercare di mettere insieme i ricordi di ciò che ha visto per trasportarli sulla tela o sul foglio. Si accanisce con penna, matita e pennello e con frettolosità disegna ciò che ricorda. Una velocità e fretta che sono come la vita moderna. Guys ha paura che le immagini possano sfuggirgli. La memoria classifica i materiali raccolti secondo la memoria infantile: ciò che ci ha stupito di più, aver visto qualcosa con occhi completamente nuovi e meravigliati. La gioia del fanciullo come quella di Guys che introduce una novità nella pittura, come Baudelaire nella scrittura. Baudelaire sa che ha a che fare non solo con un’artista, ma bensì con un uomo di mondo, della folla e bambino. Artista perché ciò che vuole trasmettere può arrivare solo a un numero limitato di persone, uomo di mondo perché comprende e capisce gli usi e i costumi dell’epoca, avido di sapere e di conoscere, di folla perché è un flaneur, è un osservatore nella folla e si nasconde in mezzo agli altri osservando. Gli vengono attribuiti diversi volti: 1. È un dandy (per Baudelaire il termine dandy implica una certa intelligenza morale ed etica nella sua epoca, appartenenti al movimento del dandismo, svelare la modernità senza essere troppo caricaturale, rifiuto della mediocrità borghese). 2. Baudelaire è tentato di definire Guys un filosofo, ma non gli si addice, perché Guys rappresenta ciò che può vedere, che è tangibile. 3. Guys è un flaneur, osservatore, vagabondo, girovago a suo agio nella folla. La folla è anche incognita, ma il flaneur ha l’obbligo di dimorare in essa, nell’ondeggiamento delle persone, nella loro fuggevolezza. La folla comunque è ottima per il flaneur, non come nascondiglio, ma come luogo in cui osservare e memorizzare. Charles, la paragona a un serbatoio di elettricità e lo paragona a uno specchio (perché assorbe tutte le immagini e essendo un caleidoscopio riflette tutte le immagini contemporaneamente. Per analogia Charles ovviamente parla anche di sé stesso e del fare poesia con il presupposto di essere dandy e flaneur. In La modernità: In questo frammento l’autore ci spiega bene cosa secondo lui è la modernità. Ogni artista è stato moderno nella sua epoca, perché in grado di estirpare il bello, la moda, dando un tocco di eternità alla sua epoca, che costituisce il fatto che questi artisti sono ricordati nel tempo. Per Charles, nessun artista può essere definito moderno se cerca di rappresentare il bello e la moda, la vita, di altri tempi, scegliendo ad esempio soggetti antichi (dice ad esempio che un artista attuale alla sua epoca non può rappresentare il David). Guys per questo è un vero artista, in grado di rappresentare la fuggevolezza della sua epoca (la moda è fuggevole e passa veloce) e renderla eterna. Inoltre, l’autore critica chi ritiene brutta la moda dell’epoca, perché insinua che chi vede del brutto non sa trarre la bellezza misteriosa della moda dell’epoca. Ad esempio, l’autore contesta quegli artisti che rappresentano i propri soggetti con abiti antichi, sintomo di pigrizia, di utilizzare qualcosa che si è già visto e che si sta solo copiando. In Le carrozze: Le carrozze hanno figure geometriche e vanno velocemente nello spazio. Guys in questo modo rappresenta la bellezza fugace e passeggera della vita del presente. In L’arte mnemonica: Guys rappresenta il solenne e il grottesco. Dipinge per quello che ha in mente e si ricorda e per questo è ancora più un vero artista. Secondo l’autore, dipingere dal vero può essere solo un impiccio perché si viene distratti dalla realtà. Si apre così un conflitto tra il voler vedere tutto e il voler ricordare tutto. Paura di tutti gli artisti è quindi quella di farsi sfuggire qualcosa. In La donna per Baudelaire: Baudelaire definisce la donna come la fonte dei più vili piacere degli uomini. Non è soggetto del desiderio, ma oggetto del desiderio. Lo considera come un essere terribile con il quale non è possibile comunicare. Per altro la donna è ispirazione dei più importanti artisti e poeti e per lei si compongono i testi più preziosi. Ci sono per tre saggi in cui Baudelaire ci parla della donna, come una divinità impenetrabile, un idolo che lo turba e lo esalta, ma la donna per lui per essere adorata deve essere adornata. Gli artifici sono necessari per sostenere le fragilità della donna. La donna è oggetto, bello ai confini del grottesco, a volte divino. La donna è fragile perché ovviamente è soggetta al cambiamento, all’invecchiamento e quindi il trucco come il vestiario risultano fondamentali per nascondere ciò (bambola tra simulacro e feticcio). Baudelaire ci porta anche la contrapposizione tra rosso e nero, colori che rappresentano la vita soprannaturale. Il bordo nero fa lo sguardo più profondo e singolare, mentre il rosso accresce la luminosità Dello zigomo. Si ha dunque una donna bambola, un simulacro non più viva, è spersonalizzata e inorganica. In Elogio del trucco: è necessario che la donna si adorni per essere adorata. Il dovere della donna è quello di affascinare e farsi adorare, deve essere un’opera d’arte, un artificio. Mentre tutto questo per l’uomo non esiste, anzi l’uomo per Charles è cultura, mentre la donna è natura e per non esserlo deve abbigliarsi e truccarsi in modo stupefacente. In Le donne e le mondane: la donna qui è immagine equivoca della bellezza, bellezza che viene dal male, spoglia di spiritualità. Le donne sono come bambole viventi. Guys disegnava le donne adorne, rese più belle dalle artificiosità. La cortigiana come l’attrice sono creature di lusso, ma allo stesso tempo creature pubbliche, prive di personalità. Quelle mondane sono prive di ogni cosa, disperate alla noia si lasciano ai vizi come il tabacco e l’alcool e qui troviamo il bello nell’orribile e il male. Ovviamente, a scovare la bellezza della moda, deve essere l’artista, al quale è indirizzata l’estetica contenuta nel libro. Quest’ultimo dovrà, in vista di tale scopo, soffermarsi sulla donna, la quale è, secondo Baudelaire, la fonte dei piaceri più vivi e durevoli, per l’artista, un astro e una divinità, che presiede tutte le concezioni del cervello virile, oggetto dell’ammirazione e della curiosità più acuta. Non solo nel gesto o nel movimento delle membra, ma tutta la donna, nelle mussole, nei veli, nei nembi di stoffe in cui si avvolge, nel metallo e nel minerale che le serpeggiano intorno a braccia e collo. “Quale poeta mai, nel ritrarre il piacere prodotto dall’apparizione di una bellezza oserebbe disgiungere la donna dal suo abito?” Non è difficile capire il perché cimentarsi sulla donna, alla quale si associano i termini di “moda”, “acconciatura” o “trucco“. In merito a quest’ultimo, lo scrittore critica coloro che non comprendono l’importanza del make-up. Egli non disdegna artifici come la polvere di riso, che fa scomparire dalla carnagione le macchie, il nero artificiale che cerchia l’occhio e il rosso che segna la parte superiore della guancia, che rappresentano la vita, soprannaturale e smisurata. Il trucco non abbellisce il brutto e può servire soltanto la bellezza: non ha da nascondersi, né deve evitare di farsi percepire. Tale concezione deriva dal pensiero di Baudelaire della natura: la sede del male, dalla quale ogni artificio è utile per potersene allontanare. L’artista deve quindi prendere i mezzi per elevarsi al di sopra di questa. Poesia ad un passante: per l’analisi di questa poesia è fondamentale prendere in considerazione il commento di Beniamin. Studia la presenza segreta della folla e il transito, elementi sempre presenti in Guys e Charles. Parla di come il poeta viene improvvisamente colpito dall’immagine di una donna che cammina per strada e lui viene attratto dalla bellezza della donna, dal suo portamento e dai suoi occhi intensi. La donna stessa diventa una metafora per l’arte e il bello. Ma la donna è solo un passante, in mezzo al traffico, alla folla e svanisce in fretta alla vista. La donna in questo caso può metaforicamente rappresentare la comparsa del bello e dell’ispirazione, molto fuggevoli, che paralizzano il poeta ma che se non vengono fermati si rischia di perderli in un attimo. Così, alla fine il poeta piange l’opportunità perduta, perché sa che non potrà mai più rivedere la donna. Villiers de L’Isle-Adam e Eva futura A partire dal 1700 molti scienziati si occuparono di galvanismo/mesmerismo facendo anche diversi esperimenti sui cadaveri. L’immaginario letterario è ricco di questi eventi (ad esempio Frankenstein, una materia senza vita che viene resuscitata, il dottore è come se fosse un prometeo moderno che sfida la natura e le sue leggi per riportarlo in vita, romanzo gotico). Con Villiers siamo in un’epoca positivistica e non gotica. Nel romanzo Eva Futura, pubblicato nel 1896 il protagonista è Lord Ewald, nobile raffinato e sensibile. L’uomo, si innamora di una donna perfetta all’esterno, ma di poca intelligenza. Co- protagonista del romanzo (che non ha valenza storica) è il celebre scienziato Thomas Alva Edison, che decide di aiutare Lord Ewald, disperato e intenzionato a suicidarsi a seguito della disperazione per la donna. Edison, che nel passato era stato aiutato economicamente dal lord per i suoi importanti esperimenti che avrebbero portato progresso all’umanità, decide di aiutarlo. Crea e realizza di suo ingegno un andreide Hadaly, ossia una replica perfetta della donna amata in cui infondere l’intelligenza per arrivare a creare la donna ideale e sostituire quella reale. Così, lo scienziato porta nel suo laboratorio sotterraneo il lord e gli mostra un giardino, quasi un Eden, realizzato da lui con erba sintetica, piante e uno stormo di uccelli meccanici. Al centro c’è Hadaly, fatta di cavi, ossa di acciaio, carne in vitro. L’autore del romanzo si basa molto sulle invenzioni reali di Edison per scriverlo. Basti pensare al fonografo nel 1877 con la Edison Talken Doll, ossia la prima bambola parlante che ha dentro di sé un fonografo. L’autore in realtà vuole criticare il positivismo. Edison ha due valenze: quella di personaggio e quella di personaggio storico, ma allo stesso tempo in entrambi casi abbraccia il positivismo, il progresso umano e della tecnologia. All’epoca, mentre la tecnologia faceva passi avanti, banalmente pensiamo alla fotografia e alla trasmissione del suono, si iniziò anche a pensare che nel campo delle comunicazioni tecnologiche si potesse arrivare a parlare con l’aldilà. Una sorta di rapporto intrecciato da tecnologia e dottrine esoteriche. L’immaginario fantasmagorico rimane in voga fino ai primi anni del 900. Sono spettacoli illusionistici, detti fantasmagorie, che in Francia vengono diffusi grazie al credito che ottiene Robertson perché prima era in Inghilterra. Robertson (eminente fisico belga, docente di fisica e influente fantasmagor, nel 1799 brevetta il fantascopio, ossia un lavoro pioneristico sulle tecniche di proiezione per i suoi spettacoli di fantasmagoria, che per Villiers sono la rappresentazione di qualcosa che non c’è, proprio come l’Andreide. Lo spettacolo comprendeva anche voci che conia la parola surrealismo, adottata poi da Breton. Per questo, Nadja è un validissimo esempio calzante di scrittura surrealista. Le avanguardie dal punto di vista artistico e letterario, si muovono da un primo grande movimento: il dadaismo = nasce a Zurigo (nella Svizzera neutrale durante prima guerra mondiale) nel 1916 e si scioglie nel 1922, molti dei suoi aderenti andranno in altri movimenti come il surrealismo. È importante nel dadaismo e sarà poi importante nel surrealismo, che la vita viene retta dal caso, così proprio come la parola del movimento: dada, che nasce dal caso di aver aperto il dizionario e puntato il dito su una parola (dalla lingua infantile, dada vuol dire cavallo). Questa corrente ha interessato anche le arti visive, il teatro, i cabaret, cercando di incarnare la sua politica antibellica attraverso il rifiuto degli standard artistici tramite opere in cui viene rifiutata la ragione, la logica, si enfatizza la stravaganza, la libertà espressiva, l’umorismo, la derisione. Nel 1923 Breton ha una brutale rottura con Tzara (uno dei massimi esponenti del dadaismo), a seguire, come si leggerà anche in Nadja ci sarà una riconciliazione. Secondo Breton l’uomo tenta di riempire ciò che manca a seconda di quello che sappiamo, come il manichino moderno nella vetrina, la cliente guardando il manichino poteva quasi immaginare sé stessa con quei vestiti. A Parigi nel 1938 si terrà la cosiddetta Esposizione internazionale del surrealismo. Esposizione di artisti surrealisti che non volevano le regole tradizionali espositive, ripudio anche della collocazione dei quadri alle pareti della galleria. Il concetto più moderno è che la stessa esposizione dei quadri deve essere un’opera d’arte. Nell’ambito di questa mostra è centrale il ruolo del manichino, che compare nel cartoncino di invito alla mostra e non solo, nella stessa mostra sono esposti i manichini, addirittura nella sezione principale della mostra, che si chiama “La città surrealista”, sono esposti i manichi delle vie di Parigi, delle targhette con nomi indicano i loro nomi, un corridoio ampio che riporta le vie più importanti della capitale. Nella sezione campeggiano una ventina di manichini, vestiti dagli artisti. Al centro di tutto c’è il desiderio di creazione, immaginazione… desiderio estremamente presente in Nadja. Il libro venne pubblicato nel 1928. Nadja in realtà si chiamava Lèona Delcourt, quando incontrò l’autore cercava di sopravvivere a Parigi con quello che poteva, vendendo piccole quantità di cocaina. I due si incontrano casualmente e questo porta in Breton il fascino della casualità, che vanno al di là della consueta quotidianità. Il racconto inizia con la domanda Chi sono io? Breton afferma che nonostante le sue inclinazioni, affinità e attrazioni cerca di capire con tutto se stesso quale sia la sua differenza. Il libro va letto ben oltre la storia romantica dei due, perché al centro sta la ricerca di Breton di frequentare e conoscere un’idea diversa di mondo. Nel libro Breton vuole raccontare gli episodi più incisivi della sua vita, quelli che tutti nascono dalla casualità, a partire dal primo incontro con Paul Eluard alla prima del dramma di Apollinaire. Lì incontra Eluard, che gli si avvicina dicendogli che l’aveva scambiato per un amico, dato per morto in guerra, mentre pochi giorni dopo i due entrano in contatto tramite un altro scrittore senza che nessuno dei due abbia idea della fisionomia dell’altro. Breton da subito cita anche la Boulevard de Strasbourg, dove dice di recarsi quasi sempre, senza uno scopo preciso, ma con la sensazione che lì accadrà una specifica cosa. Nadja la incontra per la prima volta dopo essere stato in una libreria e aver acquistato l’ultima opera di Trockij. Ad un tratto, così mentre passeggiava per strada incontra la donna e le rivolge parola. Lei molto trasandata e il bordo degli occhi nerissimo. Vanno a bere un caffè, lei gli dice che proviene da Lilla e che è venuta a Parigi dopo il termine di una relazione. I due poi si sono rincontrati casualmente dopo anni (lei gli racconta del giorno in cui si sono rivisti: gli stava tenendo le mani quando poi si è resa conto che aveva due dita attaccate, discorso sul fatto che dopo tutti quegli anni, l’amore che c’è stato lei non si è mai resa conto di quel difetto). Dice che le piace chiamarsi Nadja perché essendo l’iniziale della parola speranza in russo, per lei è solo l’inizio. A Parigi non fa niente, dice che alle sette va sul mètro e osserva le persone che sono sul vagone, quasi tutti che tornano dal lavoro: qui inizia un discorso sul lavoro, società capitalista, lavoro in serie, riproducibilità, libertà dell’uomo negata. A quel punto Breton le chiede: chi è lei? (stessa domanda fatta all’inizio su se stesso) e lei gli risponde “l’anima errante”. Si rivedono subito il giorno dopo, ma lei è diversa, elegante in rosso e in nero. Sicuramente il romanzo è uno dei più particolari di Breton e più in generale di tutto il surrealismo. Nel testo Breton amplia il versante della ricerca surrealista, relativamente al background urbano (la città), agli eventi quotidiani che si svolgono proprio all’interno della città. L’opera è sicuramente una sorta di condensato di quella che è la teoria e la pratica surrealista inaugurata da Breton, tra il mondo esterno dell’immaginazione e l’interiorità senza limiti. Centrale è anche la riflessione sulle tematiche politiche e sociale dell’epoca che Breton riesce a fare, la quale diventa quasi un’urgenza dello stesso movimento surrealista. Sogno e realtà si mescolano in questo antiromanzo. Breton inaugura l’Amor fou = racconto autobiografico, che mescola narrazione, saggio, fotografie e disegni. La struttura del testo poi, è singolare, in quanto è come permettesse di scorgere questa intima relazione tra l’autore e la sua opera. Una sorta di anticipatrice rispetto a molte pratiche successive e contemporanee che riguardano i metalinguaggi romanzeschi. Come detto, il testo narra soprattutto dell’incontro avvenuto il 4 ottobre 1926 con Nadja. Nel romanzo ci sono molte fotografie. Breton commissiona al fotografo Boiffard questo compito, infatti la maggior parte di esse saranno proprio scattate dall’uomo in questione. Boiffard inizialmente studiava medicina, poi decise di abbandonarla per avventurarsi nel surrealismo. Avrà un’attività centrale all’interno del movimento. Inizierà poi a dedicarsi alla fotografia sotto la formazione di May Ray, divenendo suo assistente. Boiffard ad un certo punto decide di rompere con il surrealismo di Breton, perché si allea con i dissidenti dello scrittore. Cambiano, per avvicinarsi a George Bataille, direttore della rivista Documenti. Aderisce così al surrealismo di Bataille, abbandona la fotografia e ritorna a studiare medicina per poi diventare radiologo. Come sopra accennato, il testo comincia con la domanda. Chi sono io? = l’identità si rivela poco a poco. È come se Breton non si presentasse subito anche per dimostrare che nella vita non si è sempre gli stessi, che presentarsi dicendo io sono questo o quello, è qualcosa che riguarda ora e adesso, non per sempre. L’identità è stabilita non solo dalle nostre affinità e piaceri, ma anche da chi incontriamo, dalle nostre relazioni con il mondo esterno. L’uomo deve arrendersi al dato di fatto, ossia che il mondo esterno ricade su di noi. Secondo Breton, ciò che rivela la nostra identità, è ciò che fa di noi la differenza rispetto agli altri. Nadja è una donna ed è al centro del romanzo. Per i surrealisti la donna è centrale e fondamentale, è moto di desiderio, in un passo fa leva sull’immaginazione e spera in un incontro di una donna nuda in un bosco. Se questa cosa fosse avvenuta realmente, Breton afferma che tale sarebbe stato lo stupore che avrebbe mancato di presenza di spirito e contemporaneamente non avrebbe avuto lo stimolo e il desiderio di fuggire, sarebbe rimasto paralizzato e immobile. Per Breton un uomo deve affermarsi in quelli che sono i suoi desideri e trambusti interiori. I suoi detrattori letterari e artistici lo hanno visto allontanarsi da quella adesione alla rivoluzione in ambito politico portata avanti dal partito comunista. Sta parlando della sua identità, anche se il titolo è Nadja è tutto su sé stesso libro. Nadja, è una donna marginale, morirà in manicomio a 38 anni. Rimane incinta a 17 anni, ma per salvare le apparenze accetta la proposta dei genitori, va a vivere a Parigi sotto la protezione di un signore anziano industriale ricco e la bambina la lascia ai genitori. Qui la donna per sopravvivere fa qualsiasi cosa, frequenta ambienti marginali, che la coinvolgono in spaccio di sostanze stupefacenti. In generale i surrealisti hanno fascino per le donne ai margini della società o anche per donne criminali, perché è come se incarnassero la rivolta, la ribellione contro l’ordine sociale. I surrealisti esplorano concetti innovativi, come il desiderio, il sogno, la casualità, l’irrazionale, il mistero… per giungere alla concezione del mondo alternativa a quella conservatrice, opponendosi ai dogmi e tabù della religione, della politica di partito e dalle consuetudini morali della società di inizio secolo. Violette Nozières: raccolta di poesie del 1933, all’interno della quale ci sono anche poesie di Breton + disegni di artisti. Raccolta dedicata ad una criminale appunto, che venne accusata di aver avvelenato i propri genitori appena 18enne. In copertina i fiori, natura morta, raffigurano la vita spezzata della donna (la quale è stata una criminale francese). Nella poesia di Breton a lei dedicata c’è un verso che ci dice che la donna è stata mitologica per tutta la vita, parallelo con Nadja, anch’essa associata a figure mitologiche (sirena, gorgone, sfinge). Per Breton è cruciale il mito di Melusina, perché rimanda ancora di più al mistero. Infatti, nel romanzo Nadja rivela di sentirsi affine al personaggio di Melusina, al punto di accocciarsi con 5 trecce e lasciarsi una stella in cima alla fronte. Le figure mitologiche femminili esercitano un’attrazione al quale non ci si può sottrare. Ciò vale nei confronti di tutti coloro con cui la donna entra in contatto, Nadja ha un grande potere: quello di incantare, seduzione invincibile. Questo vale non solo Breton, ma per tutti coloro con cui la incontrano. Importante è il paragone con Elena, che compare nella giornata del 6 ottobre, che rinvia alla fotografia della veggente, rientra il fascino dei surrealisti e di Breton per tutto ciò che è scientifico, misterioso. All’inizio dell’anno in cui incontra Nadja, lei lo avverte che il suo pensiero sarà occupato costantemente da una Elena (figura mitica). Breton dice che in un sogno si sono fuse due immagini che sono normalmente lontane tra loro: poi Breton sognerà Nadja che gli dirà “Elena sono io”. Questo potere di fascinazione viene però declinato anche come una bellezza straniante, diversa dalle altre, ci si rifà alla speranza di incontrare la donna nuda del bosco, perché sarebbe stato straniante anche quello. Ritorno dell’uso del manichino straniante che affascina proprio per quello. Ritorno dell’uso del manichino straniante che affascina proprio per quello, qui donna vera in carne ed ossa, che opera lo stesso potere straniante dei manichini che sembrano veri esseri umani. Nadja è mutevole, al primo incontro sembra vestita male, mentre già nel secondo è molto elegante, altre volte ancora è trascurata. È un essere libero, sfuggente, erra per la città, è proprio questo a renderla affascinante per Breton. La domanda sostanziale che lui le pone è: Chi è lei? E la donna risponde che è un’anima errante. Egli afferma che dal primo all’ultimo giorno ha considerato Nadja un genio libero, sfuggente. Breton è autorevole, ma lei non la può prendere, il suo sguardo è meduseo, folgorante, mutevole, l’incontro è casuale e lascia le porte aperte all’enigma. Il genere preferito dei surrealisti è la poesia. La stranezza poetica è possibile scorgerla nei disegni contenuti in Nadja e nei dialoghi tra il poeta e la donna. La loro relazione intima dura poco, solo dieci giorni, ma la corrispondenza (ossia lo scambio di lettere) continua fino al 1927 quando Nadja viene internata in manicomio. Pochi mesi dopo la morte della donna Breton pubblica il libro. Un aspetto importante da ricordare è certamente la critica nei confronti degli psicologi e psichiatri dell’epoca, quella sorta di delirio allucinatorio di Nadja era dato soprattutto dalla vita turbolenta che aveva passato la donna. Nadja si delinea come una donna fascinosa, la cui attrazione deriva proprio dalla sua instabilità che viene a declinarsi nelle conversazioni con Breton. 13 ottobre altro disegno, in questo caso un collage, c’è una mano e la testa di Nadja che non è completamente incollata (si poteva muovere). Il numero 13 all’interno, in mezzo alla faccia di lei. Altro disegno: elementi, come serpenti, tre volti, un cuore e due mani che formano un abbraccio, pare essere protettivo. Potrebbe essere un vaso di Pandora al cui interno c’è l’inverosimile. 12 ottobre: riquadro pubblicitario di Mazda sui grandi boulevard. Mazda (lampada) e Nadja assonanza. A Nadja piaceva raffigurarsi sotto l’aspetto di una farfalla con il corpo formato da una lampada. Nadja ha iniziato ad esprimersi con questi disegni complessi, una creatività nata proprio dal loro rapporto. Esprime la sua complessità e peculiarità, lasciandola per sempre nei disegni che accompagnano il testo (e negli altri conservati alla biblioteca nazionale francese). Nel testo è presente un “A te”: è la persona a cui Breton si rivolge nell’epilogo del testo, ovvero la nuova compagna Suzanne Muzard, nome che non viene citato nel testo. L’autore grazie all’incontro con questa nuova donna riesce a distaccarsi dall’enigma che ha rappresentato Nadja nella sua vita. È una donna tranquillizzante, rassicurante per il poeta, ma soprattutto un antidoto perché non è un enigma, non c’è fascinazione divina che deriva dall’erranza e dalla mutevolezza. Breton non svela neanche il nome di Jacqueline Lamba. Il collegamento con il manichino diviene possibile, in quanto Nadja incarna un’idea, è un enigma sfuggente e diventa il simulacro vivente del surrealismo. Per i surrealisti la donna non esiste di per sé, è sempre proiezione di un desiderio maschile, o come Nadja è uno strumento attraverso il quale l’essere umano uomo può sperimentare il mistero. Questo desiderio è nei confronti di donne che devono essere dotate di una sorta di potere magico o metamorfico (vedi i riferimenti di Nadja, che cambiano). La figura della donna è sempre crinale per i surrealisti, da una parte vive all’apice (come il massimo) dall’altra non viene considerata come soggetto, ma come oggetto di cui ci si deve servire (Breton afferma di essere stato liberato da un enigma, come fosse inorganica). Nel testo l’oscillazione continua ad essere illustrata con precisione: Breton è ammaliato dai poteri visionari della donna. Il legame veritiero con Nadja (quello della corrispondenza) si interrompe nel momento in cui la donna viene impedita di intrattenere corrispondenza una volta rinchiusa nell’ospedale psichiatrico. Da quel momento si trasforma in questa immagine ambivalente e poetica. Distinzione tra surrealisti maschi e surrealisti donne: alcune artiste surrealiste negano la visione maschile. Vanno nella via della riproposizione di sé e del desiderio: no al patriarcato, si al matriarcato. Vogliono distaccarsi dal ruolo passivo che gli è stato affidato, dal profilo di donna tracciato dai surrealisti. Quando le donne negli anni 20 del 900 iniziano a lottare per i propri diritti, Breton e i surrealisti si ritrovano in una posizione scomoda perché di fatto il cuore e la poetica surrealista si basano nella rappresentazione bipolare del femminile, dell’aspetto di matrice romantico-simbolista baudelairiana. Da un lato per loro la donna è un’idea, un’astrazione, una proiezione del desiderio maschile (idea che rimane fino agli anni ’80 del ‘900). Dall’altro emerge la donna artista (celebre già all’epoca, non si arrende) che si afferma nella sua concretezza con i propri interessi e desideri. La passione di Breton per l’andare a zonzo, perdersi per Parigi, si intreccia con l’attrazione di Breton per gli oggetti trovati per caso, fuori moda, frammenti. Questa passione per la flâneuse (vagabondaggio) è all’origine dell’incontro casuale con Nadja, a sua volta una flâneuse. Anche Nadja stessa è un oggetto trovato. Il mito del morire per amore diventa una realtà, rischio per rischio, una sfida con sé stessi dove il caso decide. In un altro passaggio Breton racconta di una visita al museo Grèvin, durante la quale rimane totalmente affascinato da una statua che non ha potuto fotografare. La statua è dotata di sguardo ed è provocante, ma allo stesso tempo è di cera. Il fatto che non sia vera implica che non si potrà mai avere. Allo stesso tempo c’è del feticismo dato dalla giarrettiera (pezzo di gamba) o ad esempio anche dal guanto (la gamba come il polso sono coperti e lasciano il gusto di vedere/non vedere). Il museo Grèvin era molto in voga nella seconda metà del Settecento, in quanto erano esposte delle figure di cera molto di moda. Statue di cera di personaggi illustri e importanti dell’epoca, le figure erano molto somiglianti alle persone nella realtà in quanto il viso era ben scolpito. Sempre nel Settecento nascono laboratori di cere. I più famosi sono quelli di Curtis, Madame Tussauds è stata una delle più importanti e migliori allieve di Curtis, quest’ultimo le lascerà in eredità il suo museo di cera. Nel 1902 Toussard va a Londra e nel ’35 apre la “Camera degli orrori”, in cui rappresenta gli aspetti più sanguinolenti della Rivoluzione francese (es. teste tagliate, litografie, ghigliottine…) Il museo Grèvin di Parigi è ispirato a museo delle cere di Tussauds ed è stato aperto dal giornalista di cronaca Arthur Meyer e dal fumettista Alfred Grèvin. I due interpretano il museo delle cere come un giornale vivente che debba essere realistico (la stampa non poteva ancora avvalersi della fotografia a causa del costo eccessivo). Il museo rappresenta un gioco illusionistico tra realtà e sogno (le persone fanno parte della scena, malgrado siano solo dei passanti, ma proprio per questo fanno parte della presentazione che assistono ad avvenimenti). Nel 1963 esce la nuova edizione di Nadja e questa volta ci sono le foto dell’esca (statua), provocante. Nessuno aveva pensato al fatto che quel dettaglio proveniva dal museo di Grèvin, ma B. lo svela. La statua ha guanti, giarrettiera e abiti = feticci della donna. Contemporaneamente è anche simulacro perché rappresenta una donna (anche se in cera) nell’atto di fare qualcosa (tipico oggetto surrealista). I manichini sembrano quelli dipinti da de Chirico = enigmatici, senza volto, talvolta anche senza braccia, spesso nel contesto urbano, immaginario e surreale, scene tra diurno e notturno, simulacri e feticci. Foto guanto di donna: tutto il discorso surrealista che c’è nella slide. Collegamento con Atget che fotografa i manichini. Ultima lezione Robert Desnos “Les spetacles de la rue”, in “Le soir” dell’11 settembre 1928 ha definito Atget come un sensibile moderno. Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936 ha definito Atget come il primo ad essere stato in grado di disinfettare l’atmosfera stantia che aveva diffuso la ritrattistica di quel periodo. In grado di perseguire elementi dimessi, svaniti. Anche Susan Sontag in Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società ha dichiarato che il surrealismo è al centro della disciplina fotografica, dicendo inoltre che più la fotografia era costruita più ingenua appariva. Atget viene ad essere interpretato come colui che incarna la società moderna. Benjamin nel saggio Piccola storia della fotografia si sofferma su Atget come colui in grado di portare un assoluta novità nell’ambito fotografico, lui parla di disinfezione, non c’è più retorica, ritrattistica e fabula: nasce una nuova opera d’arte che prevede Cosa che sarà, dice Benjamin, la cima della fotografia surrealista, quindi Atget viene visto come il mentore di tutti coloro che hanno presentato un nuovo sguardo che giunge fino ai nostri giorni. 1977 Susan Sontag (siamo già oltre il surrealismo), ritorna su Atget, ma soprattutto dice come il surrealismo sia al centro di quella che è divenuta la prassi fotografica a venire, dicendo che il surrealismo è alla base di quel capovolgimento dello sguardo che porterà alle grandi interpretazione drgli informi (prassi artistica della cultura visuale, che comprende la pittura e la fotografia e il
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