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La letteratura modernista del 1922: Joyce, Woolf e la nascita del romanzo di coscienza, Sbobinature di Letteratura Inglese

Teoria letterariaPsicologia e LetteraturaStoria della letteratura modernista

Nel 1922 vengono pubblicati i primi lavori di James Joyce e Virginia Woolf, che segnano la seconda fase del modernismo. la definizione di metodo mitico e l'influenza psicologica sulla narrativa di Joyce e Woolf, con un focus sulle opere 'Finnegans wake' e 'The Waste Land'. Viene inoltre discusso l'evoluzione del romanzo da una rappresentazione realistica a una esplorazione della percezione individuale della realtà.

Cosa imparerai

  • Che opere di James Joyce e Virginia Woolf vennero pubblicate nel 1922?
  • Come la definizione di metodo mitico si applica alle opere di Joyce e Woolf?
  • Come la seconda fase del modernismo si distingue dalla prima?
  • Come la percezione individuale della realtà viene esplorata nelle opere di Joyce e Woolf?
  • Come la psicologia influisce sulla narrativa di Joyce e Woolf?

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

Caricato il 02/11/2021

ariannamusillo
ariannamusillo 🇮🇹

4.2

(5)

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Scarica La letteratura modernista del 1922: Joyce, Woolf e la nascita del romanzo di coscienza e più Sbobinature in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! La lingua utilizzata nel ‘900 è l'inglese contemporaneo. Con il termine modernismo si indica la rivoluzione culturale, artistica e letteraria dei primi trent'anni del ‘900. È un movimento molto composito, con una diffusione molto ampia in tutta Europa (ma anche in Russia e USA). Alcune città diventano il simbolo della rivoluzione modernista e luogo in cui gli artisti si concentrano, discutono ecc. Un elemento importante di questa rivoluzione è l’autocoscienza critica dei protagonisti del movimento, la loro consapevolezza di essere artisti e fare arte (progettualità artistica). Tra gli aspetti e i tipi di testo che hanno una grande fioritura in questo periodo abbiamo il manifesto e la rivista: il manifesto contiene la dichiarazione di intenti, esprime il progetto artistico; la fioritura di riviste artistiche e letterarie raccoglie i tentativi artistici, le proposte degli artisti stessi. Entrambi esprimono l’impegno di attualità, urgenza e sperimentazione, proprie dell’arte e della cultura del primo Novecento. Sarebbe più giusto parlare di modernismo al plurale in quanto tutti contribuiscono a creare questa rivoluzione artistica e culturale del periodo. Ha inizialmente origine dalla pittura, dalle arti visive e poi a seguire tutte le altre con cambiamenti nella scrittura (modo di scrivere e comparire). Il modernismo è anche anti-tradizione per eccellenza dal momento che questi artisti si scagliano tutti contro la tradizione passata. Solo in Inghilterra il concetto di tradizione verrà sviluppato in maniera diversa. La tradizione viene anche selezionata, letta in maniera critica e mai del tutto cancellata (come volevano invece i futuristi). Un’espressione esemplare del modernismo sono le avanguardie (Dada, Surrealismo, ecc.) e le novità sostanziali più che essere di natura linguistica sono di natura estetica e gnoseologica (la gnoseologia è lo studio della conoscenza e dei limiti di essa, intesa come relazione tra soggetto e oggetto). In questo periodo avvengono una serie di fenomeni culturali ma anche scientifici, ci sono molte scoperte nell’ambito della psicologia (Freud: l'inconscio e come esso opera; altre scoperte sono la macchina da scrivere, la radio, il telefono, ecc.). Tutte queste scoperte fanno sì che i concetti stessi di l'individuo individuo e realtà vengano mutati, si imposta un’idea complessa e polimorfica della personalità non è più conoscibile a priori ma risulta da un insieme di stimoli che reagiscono tra di loro, configurandosi di volta in volta in base all'esperienza. Le nostre percezioni, il modo in cui vengono concepite, cambia anche grazie ai nuovi mezzi di trasporto e comunicazione che accorciano le distanze: cambia la percezione del tempo e dello spazio. La dimensione cronologica del modernismo per eccellenza è la simultaneità: non ci sono più distinzioni tra esterno e interno, tutto avviene insieme. Anche il ricordo acquista il valore di percezione dal momento che i nostri sensi, le nostre percezioni, ci evocano ricordi. La percezione di più sensi insieme evocano anche un ricordo: sinestesia, ovvero l’azione contemporanea di più sensi, il trasferimento di significato da un dominio sensoriale ad un altro. Invece l’azione contemporanea di più sensi si avvicina alla simultaneità. Joyce nel 10° episodio di Ulisse ci fa vedere degli scorci della città frammentati da altri spazi della città, interrompendoli tra di loro: si tratta di frammenti di testo slegati fra di loro ma l’effetto è quello di metterli in parallelo, ovvero simultaneità (non si riesce però ad avere una visione generale e simultanea di ciò che avviene). In ambito letterario la simultaneità, la sinestesia, portano ad una molteplicità di prospettive e punti di vista dal momento che narratori e poeti toccano tanti punti di riferimento insieme, prospettive frammentate, diverse e limitate. L’aspirazione alla totalità fa sì che l’unità del mondo, dell’opera modello, venga meno, viene spezzata. Si pensi anche che dal punto di vista storico, dopo la Prima Guerra Mondiale, i confini vengono cambiati, anche la vecchia aristocrazia muore. Non c'è più l’unità del mondo (crisi economica) a cui gli artisti cercano di opporsi e questa disgregazione fa sì che si vada alla ricerca di un nuovo ordine e di una nuova visione anche attraverso il metodo mitico (Elliot). Alcuni grandi interpreti del modernismo appartengono ad aree geografiche marginali (Joyce, Becket, ecc.) oppure sono espatriati (Elliot), i cosiddetti outsider (vengono da luoghi non comuni e non europei). Il termine modernismo non è un termine che compare all'epoca, nessuno dei principali esponenti del modernismo usa questo termine. Il termine che veniva usato all'epoca anche dai fiancheggiatori che divulgarono era MODERN oppure MODERN SENSIBILITY. Nella critica inglese il termine modernismo inteso come sinonimo delle avanguardie storiche e sperimentali compare all'interno di uno studio del 1927 "A survey of modernist poetry" di Robert Graves e Laura Riding, questi due critici indicarono con questo termine una poesia difficile, impervia, totalmente disancorata dai modelli formali della tradizione. Tuttavia il termine non continua ad essere utilizzato, diventa un termine diffuso solo a partire dagli anni ‘60 del ‘900 e diventa successivamente dagli anni ‘70 il termine canonico per definire questo periodo che comprende i primi anni del ‘900 ed è usato proprio per descrivere una generazione di scrittori e artisti, una fase letteraria che ha le proprie origini nella poesia di Baudelaire e nel romanzo di Flaubert. Il punto massimo del modernismo per quanto riguarda la sperimentazione prima della prima Guerra Mondiale, quando coinvolge tutte le arti, si ha nel 1922 che è un anno fondamentale per il movimento modernista inglese ma non solo; il romanzo di Joyce e la Terra Desolata di Elliot, sono i due testi che in qualche modo modificano in maniera radicale il modo di scrivere il romanzo e la poesia che avranno un'influenza fondamentale per tutta la letteratura europea. Sempre nel 1922 oltre a Ulisse di Joyce e la Terra Desolata di Elliot, viene pubblicata la prima raccolta di racconti di Catherine Mansfield "The garden party" e il primo romanzo sperimentale di Virginia Woolf "Jacob's room". Quindi il 1922 è l’anno fondamentale per il modernismo. Perché modernismo e non moderno? Baudelaire aveva definito in un suo saggio del 1863 la modernité come il transitorio, il fuggitivo, il contingente, quasi tutta la nostra originalità deriva dall'impronta che le cose danno alle nostre azioni. Non sempre più soltanto una categoria della sensibilità, un modo di essere, ma diventa manifesto, programma, imperativo (Ezra Pound), un movimento, una mobilitazione di energie, allora diventa modernismo. Il suffisso - ismo attaccato ad un aggettivo viene usato per formare un sostantivo che indica un'astrazione, una dottrina, un atteggiamento. È questo il passaggio da qualcosa che è percepito come sensibilità individuale di alcuni artisti a qualcosa che diventa un programma, una collaborazione, un'espressione di energie, un movimento non più legato a personalità artistiche singole ma programma deliberato di gruppi e caratterizzato da questa volontà di fondazione del nuovo e svecchiamento in tutti i campi della cultura. Temporalmente il movimento è difficile da collocare con una data di inizio e una di fine, perché si tratta di energie che sono nell'aria e non che nascono da un giorno all'altro, per cui la collocazione temporale viene stabilita anche sulla base di eventi; ci sono varie date che vengono indicate per collocare il modernismo, c'è chi lo fa partire già dall'ultimo decennio dell'800, chi dopo (ad esempio Virginia Woolf lo colloca attorno agli anni ‘10 del ‘900, Lawrence propone un'altra data ovvero il 1915, anno in cui l'Inghilterra entra in guerra e dunque il vecchio mondo cambia). Per Virginia 1910 perché in questo anno fu organizzata a Londra una mostra intitolata "Monet e i post impressionisti", curata dal critico d'arte Roger Fry; la mostra introduce in Inghilterra le avanguardie artistiche, a questa ne seguirono altre che rivoluzionarono il modo tradizionale di percepire l'arte. Dunque in questo anno l'Inghilterra conosce la sperimentazione che sta avvenendo nelle arti nel continente europeo. Altre possibili date dipendono anche da come si vogliono vedere i legami con l'esperienza precedente del Romanticismo e tardo Romanticismo. Cianci divide il movimento in due fasi principali: la prima la definisce "prebellica" che va dal 1907 al 1915, la seconda fase le definisce "postbellica" che va dal 1918-19 alla fine degli anni ‘30 compresi, tutto il resto da qui in poi è definito "post modernismo". La fase prebellica inizia per Cianci nel 1907 perché in questo anno viene fondata la cosiddetta "/mage school" da parte del filosofo Hume, gli sviluppi di questa scuola si videro più avanti nell'imagismo di Ezra Pound (1913) per poi arrivare agli ultimi anni precedenti lo scoppio della guerra che sono gli anni decisamente più rivoluzionari che trovano un'espressione radicale nel vorticismo di Louise (1914-1915). Il vorticismo è un movimento prevalentemente cattolico ma anche letterario. La seconda fase del modernismo, "postbellica", culmina nel 1922 anno in cui vengono pubblicati i lavori della letteratura modernista e prosegue fino alla fine degli anni ‘30, con precisione il 1939 perché il 2 febbraio viene pubblicato "Finnegans wake” di Joyce e scoppia anche la seconda guerra mondiale. Le differenze tra le due fasi del modernismo: la prima fase è una fase progettuale, iconoclastica, sono anni in cui vengono elaborate le premesse per il rinnovamento in campo artistico, è il momento della negazione di ciò che ha acquisito, tentativo di distruzione. Significativo è il titolo di una rivista di William Louise che si intitola "B/ast" che vuol Pater nei saggi sul rinascimento del 1873 in conclusione a questo studio, da un certo punto di vista fa piazza pulita di molti concetti che erano alla base della società e della letteratura ottocentesca borghese, tra queste la concezione della realtà come conoscibile, misurabile, il valore del lavoro e dell'impegno sociale e politico, il concetto di utile economico e di bene comune, la stabilità dell'io e l'identità, il carattere di impegno attribuito all'arte. Pater è considerato il padre dell'estetismo inglese, esprime una concezione della realtà percepita soggettivamente da ogni singolo individuo: essendo l'io un'identità non stabile ma un qualcosa che prende forma continuamente e si dissolve sotto la spinta di sensazioni e impressioni, questo io non è mai uguale a se stesso. Se la realtà è percepita soggettivamente questo significa che un singolo individuo non sarà mai in grado di percepire la totalità della realtà perché noi tutti abbiamo delle capacità limitate anche dal punto di vista sensoriali, la nostra conoscenza della realtà è limitata dalle nostre percezioni. Se la realtà è percepibile solo individualmente ed essendo l'io limitato, allora la realtà non è conoscibile totalmente ma solo una piccola parte di essa che è quella consentita dai nostri sensi. Ognuno di noi tra l'altro percepisce la realtà in modo diverso. Nel corso del ‘900 sono stati fatti degli studi da degli psicologi cognitivi proprio per capire questo, ad esempio se un gruppo di persone assistono tutte allo stesso momento ad un incidente stradale, ognuna di esse se viene interrogata sul fatto, darà una propria versione dell'accaduto, non sarà mai la stessa riproduzione identica dell'evento. Nel tardo ‘800 anche grazie a questi scritti di Pater si assiste a questo passaggio da un io forte a un'entità debole , disunita, instabile che cambia a seconda delle esperienze, un soggetto che non è più struttura portante ma destrutturato. Se il soggetto non è più stabile allora anche la realtà non può più essere percepita come un'entità stabile e conoscibile oggettivamente ma come qualcosa di sfuggente, sfumato, frammentato, conoscibile solo parzialmente e soggettivamente. Questa idea del modo di concepire la realtà in maniera soggettiva, fa si che gli scrittori e soprattutto i romanzieri cerchino di trovare nuove forme espressive che possano rendere questa nuova percezione del sé e della realtà, il tentativo di giungere ad una maggiore aderenza tra il linguaggio del romanzo e quella della percezione individuale, della percezione soggettiva e più avanti dell'inconscio. All'inizio del ‘900 la psicoanalisi non ebbe un impatto effettivo sulla scrittura, ad esempio Joyce parla di subconscio ma non di inconscio. L'influenza di Freud inizia ad essere importante nel romanzo a partire da Lawrence, un po' più avanti. Nel romanzo abbiamo la disgregazione del punto di vista: nel romanzo ottocentesco il punto di vista è totalizzante, è quello della voce autoriale che sa tutto, vede tutto, sa come andrà a finire la storia, conosce tutte le azioni e gli sviluppi del romanzo (narratore onnisciente) che è la tecnica privilegiata nell'800, parla in terza persona e indirizza il lettore verso una certa lettura, anticipa gli eventi. A questa voce si va via via sostituendo altre forme di punto di vista: il racconto può essere narrato da un personaggio interno alla storia (non può sapere come si svolgeranno ma va di pari passo), oppure il narratore ripercorre con la memoria una vicenda del passato, è sempre un narratore parziale e a volte non affidabile perché per esempio ha dei problemi psichici (es. romanzi di Faulkner). Tra le altre tecniche c'è quella del monologo interiore, attraverso la quale il narratore segue fedelmente i pensieri di un personaggio dal loro sorgere nella mente al loro sviluppo, facendo sì che chi legge questi pensieri entri nella mente e nella coscienza di questo personaggio. È chiaro che si tratta di una finzione perché nessuno di noi può entrare nella coscienza di un'altra persona, questa tecnica vuole proprio dare spazio alla vita mentale della coscienza, è il tentativo di riprodurre fedelmente questi pensieri. È da qui che poi discendono modalità di rappresentare questi pensieri come la mancanza di punteggiatura, uso di un linguaggio proprio del personaggio, salti logici. | pensieri che noi leggiamo sono quelli del personaggio stesso e non di un narratore, sono propri dell'individuo e calano il lettore nel flusso interrotto dei pensieri del personaggio. Joyce individua i tratti salienti di questa nuova tecnica: riassume i termini del dibattito intorno alle funzioni e all'uso del monologo interiore, da un altro dice che lo intende come una cronaca del pensiero ovvero riprodurre cronologicamente come i pensieri hanno origine e si sviluppano nella mente con implicazioni di immediatezza realista, dall'altro c'è il suo impegno di individuare una linea espressiva profonda che faccia affiorare questi pensieri che non sono ancora detti, ancora non trasformati in azioni. Joyce ci spiega qual è il suo tentativo anche artistico e i termini su questo dibattito intorno al monologo interiore, ciò che emerge è anche un tentativo di accedere a territori inesplorati della soggettività che diventano il luogo di origine della scrittura. Ogni rappresentazione del reale è in qualche modo un prodotto della mente. La Mansfield nel 1919 scrive nei suoi racconti che è qualcosa che a che vedere con l'interiorità. Quello che gli scrittori modernisti fanno non è quello che la prosa non sia realista, ma si tratta di un nuovo realismo perché quello che vogliono fare è riprodurre una realtà interiore conoscibile solo dal soggetto, riguarda solo la realtà soggettiva. Il romanzo che nasce nel diciottesimo secolo acquista due termini in inglese che rimandano a due tipologie di scrittura e narrativa romanzesca: novel e romance. Novel (ROMANZO) si parla del romanzo realista, cioè del romanzo che vuole riprodurre la realtà con un linguaggio famigliare, personaggi in contesti facilmente riconoscibili dal lettore, vuole esser una forma di rappresentazione fedele e oggettiva della realtà (Dickens, Balzac, ecc.). Romance viene dal latino medioevale e indica un racconto, romanzo anche, spesso in versi che narra di avventure meravigliose, di eroi come ad esempio il ciclo di re Artù e i cavalieri della tavola rotonda, tutto ciò che a che fare con la fantasia, con una linea di mistero, atmosfere strane, non realistiche; è un genere parodiato da Cervantes nel Don Chisciotte, anche il genere fantasy fa capo alla tradizione del romance e non del novel. Proprio il romanzo quando nasce, nasce in parte come distacco da forme di romance medioevale. È più corretto parlare di un nuovo realismo perché l'idea di fondo è quella di trovare nuovi strumenti espressivi per rappresentare una realtà anche individuali, che sono mutati. Da questo punto di vista anche Virginia Woolf è realista. Questa possibilità di conoscere la realtà in maniera diversa, relativa e instabile che è anche il frutto di una serie di scoperte a cavallo tra i due secoli, ha una corrispondenza anche in uno scrittore americano che prenderà nel 1915 la cittadinanza inglese Henry James, non solo romanziere ma anche teorico del rinnovamento del romanzo; James, il cui fratello era uno psicologo Williams James e coniò l'espressione "stream of consciousness", oppone alla sua contemporaneità un romanzo fondato su una visone selettiva: se la realtà si presenta solo in modo frammentario, debole, un'adeguata rappresentazione di essa nel romanzo non può che essere altrettanto parziale; il narratore onnisciente degli scrittori ottocenteschi lascia il posto a narratori incaricati di fornire solo la loro personale visione dei fatti, limitata, non oggettiva; il romanzo per James è un impressione personale e diretta della vita (saggio del 1984), ognuno ha la propria visione colorata dalle proprie impressioni individuali. C'è un cambiamento radicale con la sostituzione dello sguardo e della sapienza del personaggio. James esclude qualsiasi intervento autoriale, teorizzando così il romanzo come narrazione filtrata da uno o più punti di vista, parziali e limitati che si intrecciano gli uni con gli altri, il romanzo diventa romanzo di coscienza che percepisce il modo in cui la mente legge e filtra la realtà, è più focalizzato sull'io che percepisce la realtà che sulla realtà stessa, l'esistenza della realtà si ha soltanto all'interno di coordinate individuali, è come se venisse creata dall'individuo stesso con una ricerca di tecniche narrative che prendono spunto dalla psicologia sperimentale. Un altro elemento del romanzo modernista è che si aprono in médias res: non c'è un inizio in cui ci vengono fornite tutte le informazioni per capire ciò che seguirà ma ci troviamo immersi nel flusso dell'esperienza del personaggio con il quale pian piano famigliarizziamo, e lo facciamo attraverso inferenze, associazioni. Il ruolo del lettore è particolarmente attivo perché se l'idea è che il narratore non può più conoscere tutto e darci tutte le informazioni possibili, e se siamo proiettati in un flusso di esperienza, è chiaro che la nostra posizione di lettori è molto più attiva, cerchiamo di capire cosa sta avvenendo. Queste inferenze possono essere sia confermate leggendo il romanzo ma anche essere smentite. Molto spesso la fine di questi romanzi e storie sono a finale aperto e ambiguo : non abbiamo la certezza di una conclusione come nel romanzo ottocentesco, non sappiamo con certezza qual è il destino finale dei personaggi. Il finale aperto fa sì che le interpretazioni siano molteplici e questo aggiunge complessità al romanzo stesso, sono tutte possibili chiuse che non sono mai uniche ma ce ne sono tante. Non vengono presentati grandi eventi, ma fatti piccoli e apparentemente banali che però rivelano qualcosa di importante per il protagonista, sono fatti minimi (es decisione da prendere ma che non viene presa, avventura per le strade della città che non va a buon fine), piccoli eventi che però nella vita di questi protagonisti hanno un significato particolare. Ci troviamo davanti a trame deboli che riflettono una sempre più debole autorità organizzativa: narratore debole, storie che non sono più le master narratives ma siamo davanti a dei plots banali e insignificanti, i grossi eventi rimangono sullo sfondo. Siamo in una prospettiva molto diversa e lontana, ma ciò non significa che questo sia una forma di narrativa anti realista anzi è un nuovo realismo che a che vedere con la realtà della mente, dell'interiorità dell'individuo, non specchio della realtà esterna conoscibile in maniera oggettiva. Lettura saggio Virginia Woolf “A Modern Fiction”: inizia parallelamente la sua attività di scrittrice e critica letteraria, inizia proprio a scrivere per le riviste letterarie recensioni e articoli. Questo saggio viene pubblicato per la prima volta nel 1919 verrà poi ripreso e ripubblicato con titolo e rivista diversa nel 1925. Nel 1915 pubblica “The Voyage Out” (la crociera) e nel 1919 “Night and Day”, che sono i suoi due romanzi più tradizionali. Nel 1922 pubblica il suo primo romanzo sperimentale “/acob’s room” dove il protagonista non compare mai nel romanzo ma viene solo ricordato attraverso i ricordi e i dialoghi degli altri. Poi ci sono i romanzi che hanno fatto di lei una delle più importanti scrittrici di lingua inglese nel ventesimo secolo, nel 1925 pubblica “Mrs. Dalloway” che segue la giornata di questa signora che sta organizzando una festa, anno in cui rivede e modifica il saggio Modern Fiction. Questo saggio è importante perché possiamo leggere la scrittura di una delle protagoniste e le sue idee intorno a come deve essere la narrativa (fiction) del nuovo periodo. Virginia fa un confronto tra due modelli di romanzo che lei chiama MATERIALISTA e SPIRITUALE. Il romanzo materialista secondo Virginia, ha come esponenti scrittori contemporanei a lei come Bennett, Wells e Galsworthy. Li definisce materialisti poiché concentrati su eventi esterni come descrizioni di abiti e ambienti, descrizioni che lei ritiene inutili alla comprensione della vera natura degli uomini e delle donne chiamati a cogliere i loro passi all'interno del romanzo. Sono materialisti perché non si occupano dello spirito ma del corpo e per questo ci hanno deluso; con materialisti si intende che loro scrivono di cose non importanti, inutili, sprecano un'immensa abilità e lavoro per rendere ciò che è banale e transitorio come se fosse vero e perpetuo; sottolinea quanto lavoro e fatica sprecata facciano; questi scrittori non sono liberi ma sono in schiavitù perché sono costretti a cercare di dare una trama, a classificare il lavoro secondo degli schemi tradizionali, cercano di scrivere secondo delle classificazioni che possono essere di genere letterario come commedia e tragedia, oppure secondo tematiche che richiederebbero un trattamento specifico e cercare di dare aria di probabilità. Il grande tiranno in assoluto è il plot, la trama, ed è ubbidito. Inizia la sua esposizione di ciò che lei ritiene dovrebbe essere appunto la modern fiction che lei definisce spirituale ed è in contrasto con questa modalità di scrivere romanzi che lei definisce materiale. Tra gli scrittori spirituali mette Joyce. Se uno scrittore fosse libero non seguirebbe più una trama, i dettami e le regole di un particolare genere letterario come della commedia o della tragedia; la vita non è una serie di lampade messe in punti precisi e simmetricamente collocate, ma è un alone luminoso, un involucro semi trasparente che ci avvolge dall'inizio della coscienza fino alla fine. Non la luce precisa e netta ma è qualcosa di luminoso e sfumato, la luce non è forte e precisa ma evanescente. La vita è un flusso costante di sensazioni, stimoli, attimi che si trovano costantemente in maniera anche disordinata e non organizzata così come dove non ci sono confini netti. Non è compito del romanziere comunicare questo spirito mutevole, sconosciuto, circoscritto, ma il compito è quello di cercare di riprodurre questo spirito mutevole, incostante e sconosciuto evitando il più possibile di contaminarlo con ciò che è estraneo ed esterno. Continua dicendo che ci sono alcuni giovani scrittori tra cui James Joyce il cui tentativo è di avvicinarsi alla vita ma per farlo devono allontanarsi dalla convenzioni che sono tradizionalmente osservate dal romanziere. Compito del romanziere è cercare di riprodurre e rappresentare questo flusso incessante di atomi e cercare di farlo possibilmente nel modo e nell'ordine in cui colpiscono la nostra coscienza, anche fatto presenta uno stile diverso a seconda di ciò di cui si parla. La definizione di metodo mitico che viene data nel saggio non vale solo per l'opera di Joyce ma anche e soprattutto per la Terra desolata perché costruito nello stesso modo. Definizione: nell'usare il mito Joyce persegue un metodo che altri dovranno perseguire dopo di lui, non saranno imitatori come non lo sono quegli scienziati che usano le scoperte di Einstein per portare avanti le loro scoperte, è semplicemente un modo per controllare, ordinare, dare forma e significato all'immenso panorama che è la storia contemporanea. In questo clima di incertezza, perdita dei valori, il confronto con il passato fa vedere un passato di gloria, ma in questo caso il passato si abbassa perché il mito viene sconsacrato, degradato a contatto con il mondo contemporaneo. La giusta posizione è una tecnica attraverso la quale elementi (versi) vengono posti sullo stesso piano senza che vengano esplicitati i legami logici tra queste due parti. Il metodo narrativo è un metodo che segue la logica, i legami logici per cui la cronologia, il prima e il dopo, causa e effetto; con il metodo mitico invece non ci troviamo davanti a un metodo logico perché il tempo viene concentrato in un unico attimo che è quello del presente (in cui passato e presente si concentrano) e poi si procede per salti logici. La terra desolata è difficile proprio per questa particolare costruzione che poco spiega. Il Metodo mitico deve sostituire quello narrativo. Il metodo viene teorizzato nel 1923 quando entrambe le opere erano già uscite ma evidentemente era già nell'aria. Quando nel 1921 Elliot fece leggere la sua opera a Pound, lui gli consigliò molti tagli narrativi sostanziali, sostituzioni di vario tipo, parte di questi accettati da Elliot. Si potrebbe addirittura parlare di una co-autorialità tra Elliot e Pound per La Terra Desolata. Gli studiosi hanno capito che gli interventi di Pound tagliavano parti troppo narrative, troppo parodiche, un'operazione cesarea (come Pound stesso l'ha definita), il suo intervento era sostanzialmente indirizzato ad un rafforzamento del metodo mitico: togliere tutti quei collegamenti che potevano creare legami espliciti. Questo fa sì che il testo sia molto più breve ma il metodo mitico è predominante. Il metodo mitico è anche quello quindi utilizzato da Pound nella sua poesia. Il titolo la terra desolata fa riferimento alla terra guasta della leggenda del Graal in cui abbiamo questo re malato, ferito che a che vedere con la sua fertilità; se il re è malato allora è malata anche la terra, affinché il re guarisca secondo la leggenda, un cavaliere puro deve partire, superare determinate prove (riti) e se riesce a rispondere alle domande del Graal e raggiungere la coppa del Graal (calice in cui venne raccolto il sangue di Cristo in croce morente da Giuseppe di Arimatea), a quel punto la terra tornerà fertile. Secondo le leggende medioevali quindi la terra malata è la terra che non dà più frutti. Secondo ciò che ci dice Elliot nella prima nota, Miss Jessie L. Weston rintraccia l'origine delle leggende del sacro Graal nei riti della natura che erano stati studiati per il bacino del Mediterraneo da James Frazer nel "Ramo d'oro". Il legame è che certe figure, certi oggetti sono figure simboliche che rimandano a questi riti che riguardano la fertilità umana, sono simboli della sessualità maschile e femminili. Virginia Woolf dichiarò che intorno al dicembre del 1910 il carattere umano cambiò, lei sceglie questa data non per un particolare evento storico ma perché questa data fa riferimento alla mostra che Fry organizzò a Londra (Galleries) dove vennero esibiti per la prima volta i quadri di Monet, Van Gogh, Cezan (già morti). Questa mostra fu un fallimento sia dal punto di vista della critica d'arte sia per il pubblico, ma divenne uno dei momenti più significativi della storia dell'arte moderna perché questi quadri mostravano il rifiuto palese dei modelli e delle convenzioni naturalistiche che erano stati oggetto e modello appunto per la pittura ottocentesca. La mostra introdusse un nuovo stile che cambiò la visione dell'arte, si allontanava dalle aspettative artistiche attraverso un uso audace del colore, delle forme e del pennello. La mostra nonostante il disastro fece di Roger Fry uno dei più importanti critici d'arte del 900. La prima cosa che si notò su questa sperimentazione era la totale emancipazione di questa pittura dal realismo, da quell'idea di riproduzione della natura di tipo mimetico; viene dissolta la prospettiva che era stata introdotta nel rinascimento e che aveva dominato l'arte per secoli, lo spazio prospettico viene dissolto; le forme vengono dislocate nello spazio e deformate (es. Picasso); sovrapposizioni di piani; uso del collage; realtà non più lineare e progressiva del naturalismo; cambiare la prospettiva significava anche scomporre e ricomporre in piena libertà le forme nello spazio come i cubisti. Così in letteratura, soprattutto in poesia, Elliot e Pound disattivano la compagine del discorso in modo da creare dei testi che contengono materiali disparati che sono costruiti da frammenti non legati apparentemente tra di loro. Quindi la loro tecnica può essere definita cubista come anche le loro opere (terra desolata e canti pisani). La citazione letteraria sembra avere qualcosa in comune con gli inserti, brani di musica, frammenti di giornali, che venivano utilizzati dagli artisti per creare opere d'arte (collage; il primo collage moderno è a opera di Picasso nel 1912). Analogamente a ciò che avveniva in pittura con la creazione di collage che implica l'uso di materiali disparati, così in letteratura abbiamo una poesia con mescolanza di registri linguistici, di materiali. Nella prima sezione di The Waste Land abbiamo per esempio un pezzo di libretto di Wagner, a cui segue un passo elegiaco, poi un passo della vita contemporanea, una sovrapposizione surreale tra la Londra contemporanea e l'inferno di Dante; tutto ciò avviene all'interno della prima sezione, gli effetti sono quelli di molteplicità dei punti di vista, dislocazione, l'idea è anche quella di creare effetti di simultaneità. Papiers collés: incollare sulla carta vari frammenti, ritagli disposti secondo l'effetto artistico desiderato dal pittore. Siamo difronte ad una poetica del frammento. Il frammento è anche adottato in Apollinaire ed altri, non solo in Elliot e Pound. Nella seconda sezione di The Waste Land l'ultima parte è una sorta di monologo drammatico che avviene all'interno di un pub; riusciamo a capire dove ci troviamo perché questo monologo è frammentato da un inserto che è "Harry up! It's the time": nei pub inglesi fino a qualche decennio fa quando il barista doveva chiudere urlava questa frase. Opera NATURA MORTA CON SEDIA IMPAGLIATA (Picasso) : forma ovale che sembra rappresentare il fondo di una sedia; JOU sono le prime lettere francese di journal, jour, ma anche l'inizio di jouer (giocare). Opera LES DEIMOSSELES D'AVIGNON. Un altro fenomeno interessante oltre al cubismo in questi anni è il Dadaismo con Marcel Duchamp che è una figura molta importante del movimento Dada a New York dove lui si era trasferito da Zurigo. Duchamp aveva aderito con altri artisti importanti (Joyce, Harp, ecc.) al movimento Dadaista che era più uno stile di vita che uno stile artistico. Questo movimento nasce durante la guerra, in particolare nel 1916 un gruppo di artisti rifugiati a Zurigo diedero vita al Cabaret Voltaire e da questo nasce il movimento Dada. Ha anche una rivista di cui uscirono 8 volumi tra il 1917 e il 1921. Il Dadaismo è il rifiuto sostanziale di tutti i valori politici, estetici e morali, il loro intento era quello di smentire il reale prendendolo in giro, "se i frutti di questa realtà è costituita dagli sterminati cimiteri di guerra allora tutto questo lo rifiutiamo"; a ciò opponevano una tabula rasa (ad es. Ernst il pittore, in una mostra attaccò un'ascia dicendo che serviva ai fruitori della mostra per distruggere quell'opera d'arte). Duchamp dopo l'esperienza di Zurigo va a New York dove mostra la sua opera “Le Fountain” (orinatoio rovesciato). Prese le difese della sua opera spiegando il concetto del ready made: andò a una mostra di prodotti sanitari e scelse questo orinatoio. L'artista sceglie un oggetto di uso comune prodotto in larga scala e lo presenta come un oggetto artistico, come un'opera d'arte. L'originale non esiste. Un altro suo ready made è "ruota di biciclette": una ruota di bicicletta montata sottosopra in cima ad uno sgabello da cucina a quattro piedi. Nei decenni successivi Duchamp creò altri ready made. Concepiva l'opera d'arte senza artista, metteva in discussione tutti i concetti legati a questi e quindi il concetto di originalità dell'opera d'arte, intenzionalità dell'artista. Ready made: attribuzione di nuovi significati all'oggetto che da utile e generico diventa unico ed estetico. Tutto questo per far sì di demolire secondo Duchamp le certezze borghesi legate al concetto di autorità, del buono e del cattivo gusto, di unicità dell'autore che crea l'opera d'arte. La questione di questi ready made è proprio quello di porci domande non tanto sull'oggetto che viene presentato ma quanto quali domande suscita ciò che viene rappresentato. Troviamo qualcosa di simile anche per quanto riguarda la letteratura, in particolare la poesia: testo "The red Wheelbarrow" di William Carlos Williams, poeta americano, questa poesia apparve per la prima volta in una raccolta del 1923 "spring and all", qui il testo non aveva il titolo ma era semplicemente numerata con il numero romano 22; la struttura del testo crea SOSPENSIONE; contesto rurale. La percezione che abbiamo di un oggetto definito artistico è sicuramente diversa da quella che abbiamo di un oggetto definito non artistico; se noi sappiamo che una poesia è opera d'arte, il nostro atteggiamento nei confronti di quel testo è diverso rispetto ad un qualsiasi altro frammento di testo. Cambia la concezione di come la poesia era concepita durante il romanticismo. C'è un'altra arte che contemporaneamente elabora una tecnica che è molto simile a quelle già viste: il cinema con la tecnica del montaggio per attrazione o montage, che in questo periodo diventa un'arte vera e propria. Il cinema nasce nel 1895 quando i fratelli Lumière proiettano per la prima volta in pubblico il loro primo cortometraggio "L'uscita dalle officine Lumiere". Questo cortometraggio era costituito da un'unica inquadratura che ritraeva gli operai che uscivano dalla fabbrica dei fratelli Lumiere. È importante perché abbiamo per la prima volta immagini in movimento in un contesto reale e questo costituisce qualcosa di nuovo rispetto ai precedenti mezzi artistici. Ciò rappresenta una novità. La tecnica del montaggio è stata elaborata dal russo Sergej Michajlovic Ejzenstejn il quale usa questa tecnica già a partire da uno dei primi film che fece nel 1924 "Sciopero" e poi "La corazzata Potemkin". Sempre lui in un suo libro spiega l'influenza del cubismo e la molteplicità dei punti di vista nel cinema: il cinema come arte non deve offrire una rappresentazione della realtà ma usare tecniche per una nuova espressione dell'identità. Questa tecnica è paragonabile a quella del collage cubista e alle altre adottate nelle arti figurative per ragioni simili. In un film, immagini o scene differenti possono essere avvicinate facendole seguire senza scosse, in maniera fluida, ma c'è anche la possibilità di fare cambiamenti repentini di inquadrature, con un passaggio immediato. Questa giustapposizione visiva diventa uno dei concetti più importanti del cinema russo prima della rivoluzione sovietica del 17. Questa tecnica è parte di una sua idea, di un suo approccio marxista alla regia che appunto non solo mette in luce un contrasto tra le immagini ma chiede anche un impegno attivo dello spettatore e quindi del pubblico. Lo spettatore non deve essere passivo ma deve essere scosso da queste immagini affinché possa partecipare attivamente alla ricomposizione del senso e della storia. IMAGISMO. Tecnica poetica che discende dalla Imagine School di Hume, fondata da questo giovane filosofo che muore a 34 anni durante la prima guerra mondiale e al momento della sua morte ci ha lasciato solo 5 componimenti due dei quali sono considerati come i primi testi imagisti. L'idea di Hume era quella che la poesia dovesse essere priva di ornamenti, nordica e asciutta, intenzionale, molto distante dalla poesia romantica. Gli anni dell'imagismo. Il termine fu usato da Pound per descrivere lo stile della poesia di H. D. (Doolittle) e Aldington; Pound usa il termine in francese imagistes nel 1913. Le poesie e i manifesti della poesia imagista appaiono tra il 12 e il 13, nel 14 viene pubblicata una rivista che si intitola "Des imagistes”. Caratteristiche della poesia imagista(definite da Pound) sono: trattamento diretto della cosa, non usare parole che non contribuiscono alla presentazione cioè stare lontano dagli aggettivi perché l'aggettivo esprimendo una qualità riporta anche l'atteggiamento del parlante nei confronti di ciò che si parla, il ritmo della poesia non è più dettato dalla metrica ma è quello del fraseggio musicale che nasce dall'immagine stessa (per immagine Pound intendeva qualcosa di molto particolare, ciò che presenta un complesso intellettuale ed emozionale in un istante di tempo; dove per complesso Pound intende un agglomerato di contenuti che sono anche psichici); quindi sono testi brevissimi che si compongono come un frammento esiguo o anche una certa compiutezza. Il lavoro del poeta non mira al bello ma tende a giungere all'essenziale. Il linguaggio deve dire la cosa, non parlare della cosa; Pound infatti dice che la poesia è presentazione non descrizione e neppure rappresentazione: eliminazione del ragionamento descrittivo, presentare in maniera "impersonale". Concentrazione ed essenzialità. Esattezza. Precisione. Sono tutte norme definite in primo luogo alla scrittura poetica. | caratteri salienti di questo movimento sono due: 1) l'apertura verso le altre arti (scultura, pittura, musica) con un'ambizione all'opera d'arte totale, 2) interesse testo sono datati nell'ottobre del 1917 ed indirizzati a sua madre. La struttura metrica e la regolarità cercano di controllare, di contenere la tragedia o l'evento che viene presentato. Si può dividere il testo in tre sezioni principali: la prima è una sorta di ambientazione, l'io che parla partecipa all'azione; è un campo di battaglia fangoso, soldati che pensano a salvarsi arrancando; nella seconda parte siamo nel momento drammatico dell'azione con l'attacco dei gas che furono usati e sperimentati come arma proprio durante la prima guerra mondiale, paragona la nebbia prodotta dal gas ad una sorta di mare verde e denso, descrive un soldato che non fa in tempo a mettersi la maschera e lo vede affogare nel gas, ancora dopo tanto tempo quest'immagine compare e riemerge nei sogni del soldato che parla; l'ultima parte è una sorta di monito velato di amara ironia rivolto contro le autorità, contro gli intellettuali, contro tutti coloro che in patria incitavano i giovani alla guerra, ad arruolarsi, come se fosse un evento epocale. La frase del titolo deriva da un testo contenuto nel libro delle terze odi di Orazio, scritto per esaltare chi era morto per la patria. Queste poesie sono state da alcuni critici considerati testi abbastanza poveri dal punto di vista poetico. The Waste Land è secondo la definizione di Pound il testo che è la giustificazione del movimento modernista, quindi un testo la cui importanza è riconosciuta dallo stesso Pound. Elliot nasce nel Missouri nel 1888, studia letterature e filosofie ad Harvard e dopo il master nel 1910 va a Parigi per poi ritornare negli Stati Uniti, allo scoppio della prima guerra mondiale si trasferisce a Londra dove nel 1915 sposa Vivian Haigh Wood e conosce sempre nello stesso anno Pound. Nel 1917 è impiegato di banca ed è dello stesso anno la prima raccolta di poesie che si intitola "Prufrock and other observation". Nel 1920 pubblica la prima raccolta di saggi "The sacred wood". Nel 22 pubblica The Waste Land prima su una rivista nell'ottobre del 22 fondata da Elliot "The Criterion", nel novembre del 22 viene pubblicata in una rivista americana "The Dial", nel dicembre del 22 viene stampata per la prima volta in volumetto con l'aggiunta delle note negli Stati Uniti dalla casa editrice americana "Boni??". La prima edizione in volumetto in Inghilterra è del settembre del 1923 e viene pubblicata dalla casa editrice "Hogarth press". Solo nel 1925 viene pubblicata con la dedica a Pound. Nel 1927 Elliot si converte all'anglicanesimo e prende la cittadinanza britannica, da quel momento la sua poesia cambia di temi e toni. È del 1930 la poesia "Ash Wednesday", "The Rock" e "Four Quartets". In tutto questo periodo continuò a scrivere saggi, si occupò di storia della cultura e di teatro con due testi molto famosi "The murder in the cathedral" e "Reunion by destruction", che sono un tentativo di riportare il teatro in versi che in qualche modo si oppone al naturalismo che si trovava sulle scene inglesi portato in Inghilterra da Bernard ??. Nel 1948 riceve il premio Nobel per la letteratura, nel 1957 sposa Valery Fletcher che era la sua segretaria. Muore nel 1965. Entrambe le donne che ha sposato hanno un ruolo importante nella sua produzione. Il matrimonio con Vivian non fu felice perché lei soffriva di depressione e proprio nel 20-21 in cui inizia a scrivere The Waste Land per lui sono anni molto duri perché il suo lavoro in banca risultava incompatibile con il suo lavoro di poeta e la moglie era sempre più malata. Nel 33 la fa rinchiudere in uno ospedale psichiatrico. Questi eventi causarono ad Elliot un crollo nervoso tanto che decise di trascorrere un periodo di riposo e cura in Svizzera e da qui si recò a Losanna per farsi visitare da un medico famoso dell'epoca Roger Vitozz nel novembre del 1921. Durante il periodo di cura Elliot butta giù la prima stesura di The Waste Land. Sulla via del ritorno a Londra Elliot si ferma a Parigi a trovare Pound, durante l'incontro gli fa leggere il testo e Pound inizia un lavoro fondamentale sul testo come sappiamo. Siamo a conoscenza degli interventi sia di Pound che di Vivian grazie alla pubblicazione nel 1971 da parte di Valery di una serie di manoscritti che documentano la composizione di TWL ed anche degli interventi e commenti di Pound sul primo testo del 21 ed anche di Vivian (donna colta e intelligente che commenta soprattutto la seconda sezione). La Terra Desolata. Il lavoro svolto da Pound sul testo fu riconosciuto da Elliot in maniera pubblica, nel 25 appare la dedica a Pound definito come "il miglior fabbro" (citazione presa dal ventiseiesimo canto del Purgatorio cit. da Guido Guinizzelli riferito ad Arnaut Daniel). LTD è un poema di 433 versi (anche se Elliot fa un errore a contare la quinta sezione). Tema= la crisi e frammentazione della cultura occidentale contemporanea a Elliot, identificata simbolicamente come perdita della fertilità naturale, aridità, che le antiche popolazioni primitive cercavano di esorcizzare attraverso una serie di riti e di rituali. Siamo negli anni che seguono la prima guerra mondiale. Sin dall'inizio LTD stabilisce una relazione fondamentale con un grande background antropologico. Le note che troviamo sul testo sono di due tipi: note originali di Elliot [E], e le note del curatore. La prima nota è importante perché in essa Elliot ci dice da dove rende pubblico il debito culturale dell'opera e ci dice anche qual è questo background antropologico; Jessie Weston era un'allieva di Frazer autore del Rango d'oro (importante opera antropologica, pubblicato in volumi tra il 1890 e il 1915, dodici volumi divisi in sette parti, in cui arriva a tracciare una storia del pensiero umano in particolare delle religioni primitive e dei riti che ne sono derivati e che si sono conservate nei secoli, adattandosi e modificandosi a seconda delle varie esigenze; in particolare si occupa delle popolazioni che abitavano il Bacino del Mediterraneo); Weston nel suo libro "From ritual to romance" cerca di rintracciare le origini della leggenda cristiana medioevale del Graal. La leggenda del Graal per alcuni derivava dal folklore celtico, per altri dal cristianesimo; Weston stabilisce un ponte tra il medioevo cristiano e gli antichi riti della vegetazione. Sacro Graal: calice che dà la vita eterna, calice in cui Giuseppe d’Arimatea ha raccolto il sangue di Cristo morente in croce. Sostanzialmente la leggenda che risale al diciottesimo secolo narra di una terra sterile, malata, desolata, guasta perché il suo re è ferito, menomato e impotente; per sanare il re e per far tornare fertile la terra è necessario trovare la coppa del Graal; molti cavalieri intraprendono l'impresa ma solo uno puro potrà raggiungere la cappella in cui è conservata la coppa, questo cavaliere deve rispondere a delle domande come una sorta di rito di iniziazione e solo se riesce a rispondere potrà trovare il Graal e salvare il re e la terra. Re pescatore perché il pesce è simbolo di vita, il re è anche associata alla figura pre cristiana del Dio dei riti della vegetazione. La ricerca del Graal diventa sinonimo della più grande impresa che è richiesta ad un individuo (chi non riesce a rispondere alle domande muore, infatti ci sono tutte tombe attorno). La coppa viene portata in cielo, il re guarisce e la terra torna fertile. Le prove avvengono in una cappella misteriosa, sempre con un alone di mistero attorno e con dei dettagli che variano di versione in versione, la cappella è appunto circondata dal cimitero in cui giacciono i corpi dei cavalieri morti. Oltre a questa figura del Re Pescatore abbiamo una serie di elementi, oggetti simbolici che ritroviamo appunto in questa leggenda e che avevano un significato simbolico legato ai riti della la lancia (che trafigge il costato di cristo) e la coppa, entrambi simbolo di energia riproduttiva femminile e maschile, legati vegetazione delle antiche popolazioni Cristiane, e sono simboli sessuali antichi e diffusi: al simbolismo della vita, usati nei rituali. Simili per simbolismo abbiamo anche il piatto e la spada. Questi quattro oggetti sono anche i semi delle carte da gioco e sono anche legati ai tarocchi. Nella versione di Robert De Boron ci dà delle spiegazioni sul nome di "re Pescatore": Bron; non è un personaggio giovane al contrario del valore che lo guarisce. Secondo la leggenda Cristiana il titolo di pescatore è connesso al simbolo del pesce. Secondo il folklore irlandese e gallese c'è un salmone chiamato "salmone della saggezza" che dà sapienza e conoscenza se mangiato. Quindi il pesce è simbolo di vita e il pescatore anticamente era sempre stato associato a divinità che erano legate intimamente all'origine e alla conservazione della vita. Il pesce aveva un ruolo importante nei culti misterici come cibo sacro. C'è un'altra idea legata a questo simbolismo: legame stretto tra la dea Astarte (dea fenicia, dea madre, progenitrice di tutti i viventi) e il pesce. Il Graal contiene dei segreti, è un oggetto enigmatico che incute paura e timore; solo il cavaliere puro potrà raccontare la meraviglia di questo oggetto. Il metodo mitico consiste nel continuo manipolare il presente e passato. Il titolo fa riferimento alla terra guasta, alla situazione presente dopo la guerra, alla terra malata del re pescatore. TWL è divisa in cinque sezioni, tutte provviste di titolo che sono precedute da un'epigrafe e dalla dedica a Pound. L'epigrafe è una citazione tratta in genere da un testo riconosciuto importante per l'autore, importante è la collocazione infatti si trova sempre tra il titolo di un'opera e l'opera stessa; ha una funzione particolare per quanto riguarda la lettura di un'opera perché grazie alla sua posizione mediana, ha un ruolo importante perché riverbera a ritroso sul titolo stesso, lo illustra, ma anche ha un riverbero in avanti a predisporre il lettore del testo ai contenuti del testo stesso. Quindi introduce temi e caratteristiche del testo che il lettore andrà a leggere. L'epigrafe a questo testo è tratta dal Satyricon di Petronio: rientra nell'episodio di un banchetto che il romano volgare rozzo ma ricco, Trimalchione, durante il quale racconta di aver visto una volta una Sibilla umana a Cuma che era talmente piccola da essere rinchiusa in un’ampolla, e quando i bambini le chiedevano cosa volesse lei rispondeva "morire". La Sibilla era la profetessa di Apollo, anche custode dell'antro dell'averno. Apollo le aveva donato la vita eterna ma non l'eterna giovinezza quindi era condannata a vivere ed invecchiare per l'eternità. Un'altra leggenda dice che Apollo le diede tanti anni di vita quanti granelli di polvere potevano stare in una mano. La Sibilla era anche la guardia dell'antro dell'averno ed è lei che accompagna Enea nel viaggio agli Inferi, durante il quale a Enea viene profetizzata la grandezza di Roma. Notiamo già rispetto all'opera di Petronio, un abbassamento del mito: il mito viene recuperato ma anche abbassato, parodiato, sconsacrato, ridicolizzato. La Sibilla è rappresentata come una figurina, talmente anziana e rinsecchita che sta dentro ad un'ampolla di vetro, la sua vista è limitata a questo spazio ristretto in cui lei è inserita; alla grande domanda profetica che viene posta a dei bambini, che la prendono in giro, è ridotta a una domanda personale sulla sua condizione e lei che dice "voglio morire". Quindi abbassamento del mito, introduzione della Sibilla come figura profetica degradata (la prima che incontreremo in TWL, poi vedremo la cartomante e Tiresia nel cuore del poemetto, secondo Elliot quest'ultima è la figura più importante dell'opera perché racchiude tutte le figure maschili e femminili). La Sibilla è imprigionata in una vita che non è più vita ma morte in vita. Questa richiesta di morte con cui la Sibilla risponde ai bambini non è solo un desiderio di porre fine alla vita, in realtà questo vivere e invecchiare in eterno vuol dire che il tempo non ha fine, soltanto con qualche cosa che giunge che appunto è la morte si può rinascere (interrompere questa vita che non è vita significa rimettere in moto il tempo stesso, la vita stessa). Abbiamo anche un'opposizione che tornerà nell'opera tra mondo pratico e volgare (Trimalchione) e mondo speculativo e sterile (Sibilla). Nella prima pagina un altro elemento importante che caratterizzerà TWL è il numero di lingue che compaiono: inglese, italiano, greco; sentiremo molte voci, ognuna che parla con una propria lingua, molti stili, molti suoni. Altra cosa interessante è che questa epigrafe non è la prima scelta da Elliot ma lui aveva scelto come epigrafe un brano tratto da “Heart of Darkness” di Conrad in cui si parla della morte di Kurtz nel cuore dell'Africa nera (europeo che era stato inviato in Congo ma che rimase lì per arricchirsi con l'avorio). Elliot credeva che questa fosse la più adatta in una lettera a Pound ma poi finì per dare ascolto a Pound che dubitava del peso letterario di Conrad, quindi decise di sostituirla. Anche questa citazione era appropriata perché la morte di Kurtz non è propriamente una morte rituale in senso stretto ma in parte lo è anche se non trova nessun momento per la rinascita. Elliot utilizzò ancora una volta una citazione da questo libro come epigrafe di un’altra sua opera famosa che è la poesia del 25 "The Hollow Man" ovvero "Mistah Kurtz - he dead". PRIMA SEZIONE - THE BURIAL OF THE DEAD Questa prima sezione è suddivisa in sottosezioni sia per volere di Elliot ma anche perché vengono introdotti stili e personaggi diversi. Tema: morte e vita. Il titolo si riferisce a diversi livelli di significato: il servizio funebre secondo il rito anglicano (il cui titolo è The Order for The Burial of the Dead), la sepoltura dell’effigie del dio che era pegno di rinascita nei riti della vegetazione, la sepoltura dei morti nel mondo contemporaneo come sepoltura metaforica di “uomini vuoti” che non vogliono risvegliarsi al dramma della vita. Le domande alla chiusura dell'epigrafe resteranno aperte fino alla fine, mai risolte. Gli scenari sono quelli della primavera e del tranquillo giacere invernale, quindi tra stagioni che possono rimettere in moto la vita. A questo primo movimento (sezione) si giustappone un altro movimento dopo il 18esimo verso: l'ispirazione viene da un’altra commedia di Middleton, “Women beware women”, in cui avviene una partita a scacchi (vedi nota p94). Tema: rapporto tra uomo e donna; Eros nevrotico dell'alta borghesia; quello banalizzato e squallido del proletariato: tema trattato in due ambienti completamente diversi. Entrambi all'insegna dell’incomunicabilità. Accomunati dalla partita a scacchi. Tema già visto con il giardino dei giacigli. In una partita a scacchi le mosse sono già prestabilite, ognuno si muove solo secondo determinate regole. Paragonare la partita a scacchi alla sfera erotica amorosa dei rapporti tra uomo e donna significa che è tutto già prestabilito. C'è una sorta di automatismo messo in evidenza da questo gioco. | rapporti assumono valenza automatica e quindi banalizzati. Riferimento a Shakespeare quasi immediato fin dal primo verso, che sembra rimandi all’Antonio e Cleopatra shakespeariano (amore maturo). Cleopatra che arriva su un'imbarcazione sul Nilo (vedi nota). L'ultimo verso, dove viene ripetuto goodnight, è preso da Amleto, ultime parole che Ofelia pronuncia prima di morire, morte per acqua. Attraverso questa citazione del verso finale si introduce un’altra figura femminile quindi, molto diversa come donna da Cleopatra. Queste donne sono accomunate dall'acqua: Cleopatra che arriva dalle acque, Ofelia che muore per acqua. Altro riferimento a Shakespeare fatto dal folletto Ariele (do you remember nothing? | remember...) riferimento alla tempesta di Shakespeare (già trovato nella prima sezione). Richiamo nuovamente alla morte rituale per acqua. TERZA SEZIONE - THE FIRE SERMON Nell’incipit della terza sezione si dispiega magistralmente il metodo mitico. Abbiamo un mosaico di citazioni bibliche: la tenda del fiume rimanda al Tabernacolo, simbolo della protezione accordata dal Dio di Israele al suo popolo, nonché al probabile paesaggio fluviale della morte di Ofelia nel racconto della regina (alberi affacciati sulle due sponde del fiume a costituire una verde folta). Si passa dal desolato spettacolo autunnale dell’apertura al Prothalamion di Spencer (Sweet Thames, run softly, till | end my song), che connota tutt'altro paesaggio: il Tamigi non è più popolato dalle ninfe ma trascina detriti e rifiuti della passata estate, squallidi residui di raduni profani. Eliot, attraverso la tecnica della preterizione, nomina per assenza ciò che il fiume ora NON porta più, si nomina un argomento per poter dire che non se ne parlerà, ma intanto si nomina. Eliot ci fa vedere così anche come l'acqua del fiume sia sporca, porti detriti, vi è desolazione, non ci sono più le ninfe, né i loro "amici". Il Lago Lemano richiama un Salmo che cantava l'esilio storico del popolo di Israele a Babilonia, ma la citazione viene modificata da Eliot, che al noi biblico sostituisce un “io” e il fiume Eufrate del Salmo con il Lemano succitato, fiume su cui si affaccia Ginevra (città dove il poeta compose gran parte di The Waste Land). Lemano era anche un termine utilizzato nel Middle English in tono spregiativo per indicare un amore illecito. Il titolo fa riferimento al sermone di Buddha, predicato contro le passioni umane, soprattutto contro la lussuria: il fuoco assume la valenza simbolica di purificazione, ed è presente negli ultimi versi che ricordano la conversione di Sant'Agostino in un passo biblico di Zaccaria. Abbiamo dunque la compresenza di due grandi tradizioni ascetiche: Buddha in apertura con il sermone del fuoco e Le Confessioni di Sant'Agostino in chiusura. Significativo è anche che in chiusa di questa sezione venga chiamato in causa un interlocutore diverso rispetto a quelli visti fin ora, Dio, un personaggio trascendente che va oltre la terra desolata e che introduce un senso di vertii viene sì evocato all'inizio e alla fine, ma la sezione si apre con "the River". Dalla scena dell'interno del pub à. Il fuoco siamo riportati di nuovo all'esterno. La seconda parte si apre con un ratto strisciante, il canto attuale non è quello di acque lievi, ma qui il mormorio è questo strisciare. Ed è qui il richiamo al Re Pescatore, figura leggendaria, che pensa al naufragio. Lo spettacolo è spettrale con questi corpi nudi sul terreno basso, con le ossa, cadaveri dei morti per acqua, dopotutto siamo nella terra desolata. Quest'attività, pescare, ovvero cercare la salvezza, è resa vana dalle circostanze. L'unico suono che si sente è questo strisciare del topo. Successivamente questo “io” si cala nella prospettiva di Ferdinando della Tempesta shakespeariana, il quale mentre lamenta la supposta morte per acqua del re suo padre, viene rapito dalla musica magica del folletto Ariele che lo attira verso Miranda. Abbiamo dunque un’assonanza del verbo “to crept”, scivolare: in Shakespeare (this music crept by me upon the water) la musica scivola sulle onde; qui il sinistro strisciare del topo (crept softly) sulla riva di un'acqua stagnante. Dopo la natura, segue la decomposizione di cadaveri bianchi, che richiamano al “corpse” della prima sezione (vv. 71-72) e la Rats’alley del nerves’ monologue (vv. 115-116). Atteone e Diana: Al vv. 197 abbiamo un altro riferimento mitico, suggerito dai versi del dramma di John Day, Parliament of Bees, il mito del cacciatore Atteone, il quale sorprese Diana mentre si bagnava nuda. La dea per punizione lo trasformò in un cervo e lo fece sbranare dai suoi cani. La storia di questi due personaggi, tuttavia, viene sostituita da Eliot con il volgare Sweeney (personaggio di alcune poesie dei Poems 1920) e Mrs. Potter, tratta da una ballata popolare oscena riguardante una prostituta che insieme alla figlia fa un bagno intimo. Qui Mrs. Porter si lava i piedi in acqua di soda. Eliot trasse spunto dal Parsifal di Paul Verlaine, dove il cavaliere puro ode dei fanciulli che cantano nella cupola (vv.202), che a sua volta si rifà al Parsifal di Wagner, dove c'è un lavaggio dei piedi rituale, di origine evangelica (lavanda dei piedi di Gesù). La profanazione dell’acqua che incontriamo con Mrs. Porter è in antitesi (anticlimax) con la simbolica lavanda dei piedi di Verlaine. Il canto dei fanciulli invece richiama il canto dell’usignolo della prima sezione (Filomela). Eliot fu suggestionato dalla musica di Stravinskij: aveva da poco assistito a Le Sacre du Printemps, nel periodo in cui era intento a dare forma definitiva al poemetto. Egli stesso paragonò la musica del compositore allo sferragliare di una macchina (vedi vv. 197). Modalità di dissonanza di tale tipo si sono incontrate anche con il fiume dei rifiuti e il fiume di Spencer, il suono della corrente e lo scrocchiare delle ossa, i corni della caccia di Atteone e il rumore di motori che conduce Sweeney da Mrs. Porter. Tiresia centro del poemetto: Giungiamo, finalmente, alla metà del poemetto, dove incontriamo la terza figura profetica Tiresia, il grande veggente della mitologia greca ridotto a misero cieco dello squallore attuale. Egli è la figura più importante del poema, unisce tutti gli altri. Tiresia è cieco, e sull'origine della sua cecità esistono tre tradizioni: - Prima tradizione: fu reso così dagli dei perché non volevano che profetizzasse argomenti "segreti"; - Seconda tradizione: è figlio di una ninfa ed è reso tale da Atena per punizione perché la vide nuda farsi il bagno, ma poi, su supplica della madre, fu reso indovino dalla stessa dea; - Terza tradizione: Tiresia passeggiando incontrò due serpenti che si stavano accoppiando e ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì. Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo. Un giorno Giove ed Giunone si trovarono divisi da una controversia: se in amore provasse più piacere l'uomo o la donna. Non riuscendo a giungere a una conclusione, poiché Giove sosteneva che fosse la donna mentre Giunone sosteneva che fosse l'uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo sia donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere si compone di dieci parti: l'uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea, infuriata perché Tiresia aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Giove, per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni: gli dei greci, infatti, non possono cancellare ciò che hanno fatto o deciso altri dei. Tutto questo viene illustrato da Eliot nella nota 17, la più estesa del poemetto, a indicare l’importanza che egli attribuiva alla figura di Tiresia, come centro unificatore dell’opera, nonché alter ego del poeta stesso. L'androgino Tiresia qui si ritrova ad assistere alla scenetta squallida della dattilografa e del giovane impiegato. La funzione di Tiresia si collega a quella della vecchia Sibilla, che non ha più niente da rivelare se non, a se stessa, un incontenibile desiderio di morte), e si pone in contrasto con Madame Sosostris. Il veggente mitico non ha più nulla da divinare, non vede altro che il tipico e il volgare. Lei, “stanca e annoiata”, è indifferente alle provocazioni di lui, l’incontro si consuma in breve, e al risveglio la donna non si preoccupa dell'assenza dell'amante, ma “mette al grammofono un'aria di danza”. La musica da ballo, con cui la donna anestetizza i suoi sentimenti, pervade la città ed è un freddo ricordo dell'insensibilità umana. Superato questo punto si passa ad una struttura espressiva alquanto diversa. Non si dà più controcanto ironico, il tono è secco. Questo improvviso stacco costituisce la svolta stilistica e ideologica dell’opera: lo spartiacque oltre il quale si ricorrono immagini affini alle precedenti ma sotto una differente entropia semantica. È qui che spuntano accostate le due citazioni ellittiche tratte dalle Confessioni di Sant'Agostino e dal Sermone di Budda, accostamento non accidentale. La prima riguarda l’esperienza fatta a Cartagine della prima gioventù, nel ribollire di amori impuri (desiderio umano = dannazione); la seconda riguarda anch'essa la dannazione del desiderio del fuoco passionale che brucia e illude. Solo il Signore salva, coglie, strappa l’uomo dalle passioni. QUARTA SEZIONE — DEATH BY WATER Una lettura cristiana indica che questa morte è la condizione necessaria per una rinascita; non si può del tutto escludere l'atteggiamento nei confronti del mito di Filomena. Non si può ricavare un significato unico di questa morte per acqua e la questione di un eventuale risurrezione rimane aperta. La sezione si chiude con l'apostrofe che esorta tutti gli uomini a meditare sulla morte di Fleba e sul messaggio che porta con sé. "the wheel" è il timone ma anche la ruota della vita buddista (inerente al ciclo vitale), è anche la ruota della fortuna nella iconografia medievale (equilibrio precario di ogni essere umano, chi è in basso andrà in alto e viceversa). Ambiguità di fondo nella quarta sezione. Nella chiusa della prima sezione l'appello al lettore è reso possibile attraverso la maschera di Baudelaire, chiamandolo in causa come qualcuno che appartiene alla stessa situazione del poeta. Quindi la figura del poeta e del lettore sono colte entrambe nella stessa situazione, nella stessa assenza di significati proiettivi, bloccati. Nella quarta sezione invece non è facile capire chi parla, la distanza però è ripristinata perché chi parla è in grado di impartire una lezione secondo una tradizione retorica, la più rigorosa, del chiamare in causa tutta l'umanità come viene fatto qui. La morte per acqua ritorna non solo nella poesia di Elliot ma ad esempio anche in Joyce nel terzo episodio dell’Ulisse, quello che contiene il lungo monologo interiore di Steven. Questo terzo episodio si svolge su una spiaggia di Dublino, troviamo Steven (parallelo mitico di Telemaco) che medita sul volto mutevole del mondo esteriore, sui cambiamenti costanti, sulla trasformazione sempre presente; fa riferimento al quarto episodio dell'Odissea in cui Telemaco è ospite della corte di Menelao e ascolta il racconto di Menelao avventuroso per ritornare in patria, e tra queste narra di Proteo (figura profetica del mare che rendeva vani tutti i tentativi di interrogarlo sul futuro perché Proteo si trasformava continuamente in forme diverse). Steven lotta in questo terzo episodio con un Proteo dell'intelletto e cerca di risolvere il problema di questa mutevolezza del volto esteriore del mondo e della realtà interna che sta dietro a questo volto esteriore. Il filo rosso all'interno di questo monologo è proprio la sua volontà di impadronirsi a livello di conoscenza dell'intera dimensione spaziale e temporale del mondo. Le ultime parti del monologo sono attraversate da queste morti per acqua. QUINTA SEZIONE — WHAT THE THUNDER SAID Il titolo fa riferimento alla legenda Indiana del tuono che compare nei libri sacri, che contengono gli insegnamenti filosofici indiani alla base dell’induismo. Upanishad: insegnamenti del maestro, atteggiamento di attesa silenziosa. La maggior parte di questo libro è scritto in prosa tranne alcune parti in nei confronti del rinascimento celtico (gli irlandesi cercano di recuperare le tradizioni celtiche dell'Irlanda). Ha sempre preso le distanze dall'interesse verso le radici celtiche precoci, vedeva segni di nazionalismo ed etnocentrismo stretto. Condanna il moralismo dell'Irianda. Comincia anche a gettare le basi per le sue teorizzazione estetiche attraverso la riflessione sulle opere di Aristotele, Dante, Giordano Bruno, Tommaso D'Aquino. Una volta diplomato si iscrive alla facoltà di medicina a Parigi dove si mantiene scrivendo per il giornale di Dublino. Nel 1903 la madre si ammala gravemente, lui rientra a Dublino e lei muore il 13 agosto. Nel 1904 il 7gennaio scrive di getto un lungo saggio di carattere autobiografico "The Portrait of the Artist" che viene rifiutato dalla rivista dublinese Dana, e per lui questo è il pretesto per riscriverlo in forma di romanzo autobiografico con il titolo di "Steven Hero", che poi diventerà "The Portrait of the Artist as a Young Man". Il titolo significa che è un ritratto dell'artista ormai adulto che rivede se stesso quando era giovane. Viene pubblicato a puntate tra il 1914 e il 1915. Il 10 giugno 1904 vede per la prima volta Nora Barnacle che è la cameriera dell'hotel, veniva dall'Irlanda occidentale, il 16 giugno 1904 le dà il primo appuntamento (stesso giorno in cui si svolge l'azione di Ulysses). La sposerà solo nel 1931. Proprio con Nora progetta la fuga dall'Irlanda che avverrà nell'ottobre del 1904. Tra le cose che Joyce porta con sé abbiamo l'undicesimo capitolo di Steven Hero e il dodicesimo lo continuerà a Zurigo. Da Zurigo si trasferiscono a Pola dove lui insegnerà inglese. Dal 1905 si trasferiscono a Trieste dove vivranno per 10 anni. Tra il 1904 e il 1905 compone anche varie poesie di quella che sarà la sua prima raccolta di poesie chiamata "The Holy Office" e qualche racconto che diventerà parte di Dubliners. A Trieste, che era una porta dell'impero Austro-Ungarico, vengono scritti anche altri racconti di Dubliners, finché la raccolta viene inviata all'editore Richard Ellmann che inizialmente sceglie di pubblicare la raccolta ma dopo breve lo rifiuta accampando dei motivi di immoralità e proponendo modifiche radicali. Tra i due inizia un fitto scambio di lettere assai interessante per la storia e il significato di Dubliners. Nel maggio 1906 Joyce scrive all'editore di non voler cambiare nulla, infatti lo pubblicherà solo dopo 7 anni nel 1914. In tutti questi anni c'è una richiesta agli editori da parte di Joyce. Nel 1914 l'editore dell'inizio che aveva rifiutato, decide di pubblicarlo. Nel 1906 Joyce e la famiglia si trasferiscono per 7 mesi a Roma, dove lui lavora per una banca tedesca. Soggiorna 7 mesi e 7 giorni. La città non gli piacque, qui progetta altri racconti ma non li scrive. Tra questi progetti abbiamo "The Ulysses" che sarà il primo germe del romanzo. Anche l'ultimo dei racconti di Dubliners fu concepito a Roma ma non scritto qua. Anche il suo unico dramma fu concepito a Roma: "Exiles" cioè esuli (indica una scelta cosciente da parte sua di abbandonare l'Irlanda definitivamente, a differenza di esiliato). Fu messo in scena in tedesco a Monaco nel ‘18 (stesso anno della pubblicazione). In questi mesi l'editore Elkin Mathews accetta di pubblicare una raccolta di liriche di Joyce "Chamber Music", che è il primo volume pubblicato da Joyce, nel maggio del 1907. Gli anni tra il 7 e il 10 sono anni difficili per lui, nascono i figli Giorgio e Lucia, tiene conferenze, conosce Svevo ecc. Nel 1909 si reca a Dublino per tentare una sorta di riappacificazione con il padre, prende nuovi accordi con un editore per stampare Dubliners ma il contratto verrà rotto (distacco definitivo di Joyce dall'Irlanda). Tornato a Trieste continua la sua attività di insegnante e pubblicista, invia a Ezra Pound Finnegans Wake, tenta nuovamente di pubblicare Dubliners. Scoppia la Prima Guerra Mondiale che segna una battuta di arresto nella diffusione di Dubliners. Nel 1915 un fratello di Joyce, Stanislao (lascerà molte memorie del fratello), come cittadino di un paese nemico (Irlanda sotto la corona inglese) viene internato in Austria e all'entrata in guerra dell'Italia, Joyce e la famiglia ottengono di arrivare fino al confine della Svizzera a condizione di non partecipare ad attività anti austriache. Così partono per Zurigo: conferenze, lezioni private, si avvicina al dadaismo con il Cabaret Voltaire e grazie all'interessamento di Pound il governo britannico gli assegna una sovvenzione (vivere e dedicarsi solo alla scrittura). Nel 1917 una donatrice anonima, che si rivelerà essere Harriet Shaw Weaver, gli offre una sorta di pensione annuale che gli consente di abbandonare l'insegnamento per dedicarsi solo al nuovo romanzo che è appunto Ulysses. Alla fine della guerra tornano a Trieste e su invito di Pound si recano a Parigi, dove rimarranno fino alla sua morte del gennaio del ‘41. A Parigi Joyce tramite Pound conosce la giovane americana Sylvia Beach che è la proprietaria della libreria Shakespeare&Co. Pound e Sylvia lo introduco a questo mondo degli scrittori che gravita a Parigi in quegli anni (Hemingway e altri), Joyce con Sylvia progetta la pubblicazione di Ulysses. Dopo che la Little Review di New York, che aveva iniziato la pubblicazione a puntate del romanzo, incappa in denuncia per oscenità, Sylvia pubblica il romanzo nel 2 febbraio del 1922 (compleanno 40 anni di Joyce). La dogana inglese e il ministero americano sequestrano tutte le copie inviate nei paesi e resterà proibito per molti anni. A questo punto Joyce inizia a lavorare a un altro romanzo "Work in progress", la cui stesura occuperà i successivi 16 anni. Il titolo definitivo è Finnegans Wake. L'innovazione di questo lavoro non risiede nell'impostazione formale o concettuale, ma nel fatto che è un'esplorazione e ricostruzione dell'individuo in forma epica e comica. L'innovazione più vistosa è nella parola, nella lingua. Esplorazione della lingua fino ai limiti estremi, si è anche parlato di disintegrazione del linguaggio. L'opera non è scritta in inglese ma in un idioma inventato da Joyce stesso che è una miscela caotica di quasi tutte le lingue conosciute. Gli anni tra il 23 e il 30 Joyce soffre di una malattia agli occhi che alla fine lo porta alla cecità. Subisce anche varie operazioni. Nel 1927 esce una seconda raccolta di poesie dal titolo "Pomes Penyeach", il titolo è un gioco di parole: Pomes è omofono di Poems quindi sarebbe "poemi da un soldo l'uno". Questi comprendono 13 componimenti scritti tra il 1903/4 legati a Trieste. Sono poesie caratterizzate da una forte qualità imitativa soprattutto per quanto riguarda il rapporto alla lirica elisabettiana e certi canti popolari irlandesi. L'ordine delle poesia della raccolta Chamber Music è stabilito in gran parte dal fratello Stanislao, tenute insieme da strutture ritmiche e tematiche ricorrenti. Mentre Chamber Music ha questo carattere legato alla lirica elisabettiana, quelle di Pomes Penyeach hanno un carattere più intimo. Queste liriche sono state scritte occasionalmente in momenti diversi in un lungo arco temporale dal 1904 al 1924 che corrisponde al periodo dell'evoluzione più profonda della scrittura di Joyce. Il tema principale, l'amore, assume un tono e una nota più riflessiva e evocativa rispetto a Chamber Music. Date e luoghi che Joyce appone a queste sue liriche suggeriscono luoghi e momenti particolari della sua stessa biografia. Il tema è la perdita (in Chamber Music è la perdita dell'amore giovanile, qui della vista, della vita, della fede, dell'illusione della bellezza). Ci sono anche collegamenti con altre opere. Bisogna ricordare che il rapporto che lui ha con la poesia sembra implicare tutta l'opera di Joyce, non bisogna mai separare l'attività di Joyce romanziere da quella di Joyce poeta. Una delle caratteristica della sua poesia è l'effetto di evocazione di un'atmosfera. Una delle primissime forme di scrittura di Joyce sono le epifanie: esperimento di scrittura frammentaria, discontinua, intermittente. Joyce sperimenta questa nuova forma di scrittura, cominciò a scriverle quando era ancora studente a Dublino ad appena 18 anni. Considerava questi scritti come composizioni autonome in cui la scrittura doveva compiersi attraverso la lingua della prosa. Ne restano circa 40 delle 70 scritte. Lui stesso riutilizzò questi frammenti di epifanie all'interno delle opere maggiori. La definizione di epifania per queste sorta di liriche in prosa pare che sia arrivata a Joyce tramite la lettura del romanzo "// fuoco" di D'Annunzio(1900), in particolare dal titolo della prima parte "L'epifania del fuoco". Per D'Annunzio l'epifania designava in linea di principio una sorta di illuminazione, un'autorivelazione del reale. Joyce quando andò a Parigi lasciò a casa in Irlanda un gruppo di manoscritti a un poeta irlandese e uno di questi si intitolava "epifanie". Dalle lettere al fratello sappiamo che Joyce intendeva comporre un'opera, una raccolta organica di epifanie, con arricchimenti, simile alla raccolta poetica di Chamber Music. Epifania è un termine che viene dal greco, nella mitologia greca fa riferimento alla manifestazione inaspettata del divino, usata nel teatro greco per descrivere l'improvvisa apparizione del dio. Con il cristianesimo il termine viene usato per scopi liturgici. Joyce dà la sua definizione di epifania dalla quale toglie qualsiasi riferimento al sacro o al religioso: la prima definizione la dà in Steven Hero in un passo scritto a Trieste nella primavera del 1905, che si riferisce ad una scena a cui Joyce ha assistito anni prima a Dublino (dispensa pag. 47). Le epifanie di Joyce che ci sono rimaste sono divise in due gruppi: quelle drammatiche con indicazioni scenografiche ben precise, e quelle cosiddette narrative in cui il linguaggio è poetico, evocativo, assimilabili a piccolo poemi in prosa (registra anche alcuni dei suoi sogni e incubi). Sudden spiritual manifestation: manifestazione improvvisa di una realtà occulta e sottesa. Questa esperienza è provocata dalla lista per esempio della cosa stessa (come avviene nel brano di Steven), è sempre qualcosa che ha a che vedere tra il soggetto che percepisce la cosa e la cosa stessa. L'epifania è un'esperienza che ha due tendenze parallele: perché l'oggetto si muove per incontrare il soggetto ma anche il soggetto reagisce e non resta passivo e percepisce l'oggetto stesso. Questa è la prima definizione che Joyce dà di epifania. La seconda definizione che emerge dalla sua discussione è che l'epifania indica non solo questa esperienza percepita dal soggetto ma anche la forma letteraria adottata per fornire un efficace riscontro formale della esperienza epifanica. Quindi Joyce chiama epifania sia l'esperienza spirituale stessa che la forma letteraria che lui stesso usa per mettere su carta, esprimere in scrittura, questa esperienza epifanica. Chiama questi frammenti di testo in cui riporta dialoghi o eventi epifanie. L'epifania vissuta dovrebbe garantire la possibilità della epifania estetica. L'autore si limita a riscrivere le condizioni in cui è avvenuta l'esperienza epifanica. Nel dialogo di Steven Hero può essere semplicemente riprodotto così come il soggetto lo ha percepito. Diverso è quando si vuole esprimere in parole l'esperienza per esempio dell'orologio Ballast Office (dispensa pag. 47): quando avviene una perfetta comunione tra oggetto e soggetto. È sempre un'esperienza altamente soggettiva nel senso che quello che un soggetto può percepire come manifestazione spirituale non è detto che un altro soggetto lo percepisca come tale. Sono frammenti come corrispettivo estetico di un'esperienza epifanica che è la manifestazione di una realtà essenziale in cui avviene la perfetta comunione tra soggetto e oggetto. La raccolta di epifanie nell'idea di Joyce dovrebbero essere 70, ma noi ne abbiamo solo 40. Lui stesse le ha numerate. La sua idea era quella di concepire un testo finito e organizzato di epifanie, seppur frammentato al suo interno. Essendo momenti di rivelazioni non ci può essere tra un'epifania e l'altra una sorta di legame narrativo, sono tutti frammenti separati gli uni dagli altri. La cura che lui mise nel mettere insieme queste epifanie ci dice della sua idea di scrittura in quel momento: mirava alla disgregazione della forma ma non ad una sua vanificazione. Le epifanie stesse hanno due forme diverse: drammatiche e narrative. Drammatiche: riproduzione mimetica fedele a come il soggetto l'ha vissuta. Narrative: brevi componimenti dal lessico più ricercato, c'è una diversa attenzione al linguaggio, possono anche essere considerate degli esercizi di concentrazione lirica, una sorta di piccoli poemi in prosa, ci sono anche delle riproduzioni sogni o incubi al fine forse di trovarne un significato. Il fatto che ci siano queste due forme di epifania significa che Joyce non aveva in mente una struttura unica e definitiva per riprodurre l'esperienza epifanica ma che si avvaleva di due modalità di tecniche antitetiche. Antitetiche perché la forma drammatica è oggettiva (non c'è un narratore che racconta ma viene presentato il dialogo così come è avvenuto, con didascalie sul luogo, data ecc.), la forma narrativa è soggettiva (percepiamo la presenza di un io che narra quello che leggiamo). Sono ovviamente forme sperimentali. Il fratello Stanislao scrive un testo "My brother's keeper" che è stato pubblicato nel ‘58 in cui racconta degli episodi che hanno a che fare con il fratello e la scrittura. A proposito delle epifanie dice che furono sempre brevi bozzetti ma annotati accuratamente. Il lettore può intuire solo vagamente il senso che l'autore dà all'esperienza perché appunto non viene mai detto esplicitamente. Sembra che Joyce volesse evidenziare che la capacità di accogliere visioni epifaniche sia riservata in quel caso al giovane artista Steven, e capire questa esperienza fa si che si scateni una insopprimibile creatività letteraria. Quindi epifanie ed ispirazione poetica sono rappresentate in un rapporto di causa e effetto. Epifania 5 drammatica (Dublin: In the Stags Head, Dame Lane): breve dialogo, didascalie, personaggi indicati, didascalia che indica il luogo (pub a Dame Lane). Questa conversazione secondo gli studiosi deve essere avvenuta negli anni in cui Joyce frequentava il college a Dublino visto che Fr Russell era proprio uno Joyce, conoscendo il suo stato economico precario, di scrivere racconti da pubblicare sulla rivista dell'associazione degli agricoltori irlandesi. Joyce aveva da poco perso la madre e il padre aveva subito un fallimento. Joyce accettò perché stava già progettando questa fuga dall'Irlanda con Nora e quindi aveva anche bisogno di soldi (è la prima volta che accetta di scrivere per soldi) , e infatti i suoi primi racconti hanno lo pseudonimo di Steven Dedalus, il nome del protagonista di Steven Hero (il romanzo mai pubblicato da lui ma che venne trasformato da Joyce stesso nel ritratto dell'artista, stessa figura che troviamo nell'Ulisse). Scrisse tre racconti, il quarto però fu rifiutato dalla rivista. Intanto aveva iniziato a concepire la raccolta di Dubliners e la sequenza della composizione ci è nota attraverso la corrispondenza con il fratello Stanislao, disse al fratello l'ordine che aveva pensato per i racconti (dispensa pag. 86). Il piano del 1905 è piuttosto dettagliato: 4 gruppi di tre racconti di cui i primi 3 gruppi hanno a che fare con le fasi della vita umana (infanzia, adolescenza, vita adulta). Un quarto gruppo è invece legato agli aspetti della vita sociale della città nei suoi aspetti: raccolta di racconti è Joyce stesso a enunciarla in una lettera del maggio 1906 all'editore Richards (pag. 83 dispensa) in cui dice qual è l'intenzione sua nello scrivere questi racconti e il modo in cui decide di scriverli. politico, religioso, artistico-culturale. L'intenzione di scrivere questa Il suo programma è l'intenzione capitolo della storia morale del paese: sceglie Dublino come centro della paralisi e fa cenno allo stile di scrupolosa mediocrità, ovvero i racconti hanno un'attenzione particolare al dettaglio realistico. In realtà dietro questi dettagli si rivela una preoccupazione simbolica infatti non è un caso che i racconti siano stati oggetto di una serie di importanti studi proprio interessati a ritrovare e comprendere l'aspetto simbolico che sta dietro questa "facciata sporca della realtà". Il programma di Joyce era anche quello di smascherare la paralisi (scopo principale) che riteneva appunto la causa, l'immobilità dell'Irlanda. Questa incapacità di uscire da situazioni Joyce la imputava a due fattori: il fatto che l'Irlanda fosse ancora sotto l'impero britannico al tempo, e la religione cattolica. Scrivere racconti con temi più o meno velati (oppressione religiosa, oppressione politica) spiega anche la paura degli editori e della censura (temi scottanti). Joyce ritiene che i racconti dovevano essere epicleti: il termine viene dal greco in cui l'epliclesi significa "invocazione" che nella liturgia cristiana è il momento che indica l'invocazione dello spirito santo affinché operasse la trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di cristo. Con questo termine Joyce voleva mettere in evidenza una realtà che sta al di sotto dell'apparenza, aldilà, che rimane nascosto. Quindi sono racconti che intendono deliberare il ritratto di una città e della sua condizione che poi doveva farsi metafora per la condizione umana. L'epifania non ha un nucleo narrativo su cui sviluppare il racconto perché registra un attimo, non può sostenere il peso della narrazione. Con l'epicleto invece Joyce voleva dare voce a questa natura segreta, non a una situazione momentanea. | racconti contengono delle epifanie ovvero momenti in cui i personaggi si rendono improvvisamente conto di qualcosa o ce lo fanno capire ma rimane sempre circoscritta, non ha uno sviluppo. Per questo sceglie un nome diverso per indicare i racconti. L' epicleto è un’espansione temporale e spaziale dell'Epifania. Questi racconti contengono la descrizione minuziosa e dettagliata di episodi apparentemente banali, quotidiani, privi di importanza: la loro importanza è all'interno della vita dei personaggi che sono protagonisti all'interno dei racconti e diventano emblemi della condizione esistenziale in un dato contesto storico (Dublino dei primi anni del ‘900 in una situazione politica e sociale di un certo tipo). La condizione dei personaggi è di paralisi, impotenza, incapacità di uscire da questa condizione, tentativi frustranti e quindi fallimento di tutte le aspirazioni. | personaggi non sono in grado di scegliere deliberatamente l'esilio lasciando l'Irlanda come aveva fatto proprio Joyce. La paralisi è il filo conduttore di questi racconti, non è una paralisi di tipo fisico come in un racconto ma è una paralisi psicologica, mentale, morale. Il carattere innovativo di Dubliners rispetto alla tradizione del racconto breve è che proprio attraverso una serie di nessi e connessioni tra i temi contenuti nelle storie, Joyce è riuscito a dare un quadro sociale organico e definito. | critici sostengono che sia la più irlandese delle sue opere. Aveva mandato i primi 12 tra il 1905 e il 1906, per poi completare la raccolta fino a come è oggi. Tra 1906 e febbraio 1907 decide di ampliare lo schema descritto nella lettera ma in quel momento dei racconti che aveva in mente scrisse solo "The Dead". Diventa l'ultimo racconto della raccolta e sembra starne fuori per il tema diverso, per la maggiore lunghezza, sembra riassumere tutti i temi già sviluppati precedentemente. Dubliners non è costruito con analogie complicate come le sue altre opere ma per questo i suoi riferimenti più sotterranei non possono essere colti se non da un lettore che sappia riconoscere i luoghi e la storia della città. Il proposito di rendere Dublino internazionale si rivelò un fallimento perché il lettore straniero ha difficoltà a muoversi nella città leggendo, ma dall'altra parte anche il rifiuto del lettore irlandese incapace di riconoscere la storia dei luoghi che gli veniva offerta. La geografia di Dublino è usata in maniera estesa ed anche con uno spostamento dei personaggi sorprendente da un luogo all'altro. Scrisse con la mappa della città affianco. In alcuni racconti, la localizzazione spaziale e i movimenti al suo interno riflettono gli stati d'animo dei personaggi stessi: paralisi, ricerca illusoria di una fuga. Le storia iniziali hanno tutte un movimento verso Est, che sarebbe il movimento dell'esilio (anche Joyce si sposta verso Est quando lascia l'Irlanda) ed è uno spostamento alla ricerca di un qualche principio che permetta la fuga dalla realtà. | racconti si possono anche leggere singolarmente ma solo insieme costituiscono l'immagine della città colta nei vari aspetti. Il movimento verso Est viene poi sostituito nel libro in una concentrazione negli spazi centrali della città di Dublino. Nell'ultimo racconto l'ago punta verso Ovest che è la morte. Tra i due modi epifanici in Dubliners è dalla modalità più realistica che Joyce attinge per i racconti, fa della banalità e della quotidianità l'elemento portante. | racconti dell'infanzia sono tutti narrati in prima persona, sono retrospettivi in cui il protagonista presenta i ricordi a fatti avvenuti, c'è una distanza temporale dagli eventi racconti al momento in cui vengono raccontati quindi sicuramente il personaggio è cresciuto e ha acquisito una diversa competenza linguistica. Quindi quando si legge si ascolta proprio la voce del protagonista. C'è una buona dose di ironia nei suoi racconti. Dai racconti dell'adolescenza fino alla fine sono invece tutti narrati in terza persona quindi qui è più evidente la presenza di un filtro, qualcuno che non li ha vissuti direttamente ma li riporta e media con la realtà. Tuttavia l'impressione che abbiamo quando leggiamo i racconti a partire da Eveline (adolescenza) ci accorgiamo che il narratore per quanto usi la terza persona in realtà la sensazione che percepiamo nel leggere è che siano i personaggi a parlare. È come se questa tecnica narrativa che viene sperimentata nel modernismo, sia una forma di discorso indiretto libero: tecnica narrativa in cui c'è un narratore (in terza persona), ma lui stesso è capace di entrare nella coscienza dei personaggi e nei loro pensieri e di riportare le loro emozioni e sensazioni in terza persona. È una tecnica che crea una sorta di difficoltà a capire fino a che punto i pensieri che noi leggiamo siano quelli del personaggio o quelli del narratore. Joyce a volte ci dà delle indicazioni che ci fanno capire di chi sono i pensieri e le parole, come ad esempio l'uso di una grammatica non standard che rivela il basso livello dei personaggi o certi loro vezzi linguistici. Anche la short story come genere durante il modernismo viene rinnovata, la scrittura del racconto breve subisce la sperimentazione che ha luogo anche in tutti gli altri generi letterari. Il problema teorico della short story si incrocia inevitabilmente con questa tendenza propria del modernismo a eliminare ad esempio l'intervento autoriale, la predilezione per la forma frammentata ma significativa dal punto di vista soggettivo. Uno dei problemi fondamentali per la teoria della short story è stata la difficoltà sia a livello di forma che di contenuti di isolare i tratti distintivi di questo genere. Il termine short story è relativamente recente, la prima accezione risale al 1889. Prima si usava il termine tale, adesso è connotato come un qualcosa legato all'oralità mentre la short story ha a che vedere con il racconto scritto. L'altra distinzione tra i due termini è simile a quella di romance e novel: mentre il tale ha a che vedere con il fantastico, non ancorato alla realtà quotidiana, il nove/ è più legato alla realtà quotidiana e ha a che fare con personaggi che il lettore può riconoscere. La short story si connota come un racconto che ha a che vedere con la realtà. Edgar Allan Poe recensisce una raccolta di racconti dell'autore della lettera scarlatta (la raccolta "Twice Told Tales") nel 1842; questa recensione è stata ripresa, rivista e pubblicata nuovamente nel novembre del 1847. Poe parte dall'idea che la corposità di un'opera debba in qualche modo influenzare il nostro giudizio, cioè più l'opera è lunga più ha valore. In questo saggio oltre a enunciare una sua propria poetica del racconto e le sue procedure artistiche, abbiamo quegli elementi che possono essere considerati come la prima teoria del racconto letterario inteso in senso moderno. Poe individua una serie di elementi e tematiche essenziali che ritornano nel dibattito critico successivo e che riguardano i tratti essenziali della short story. Il primo tratto fondamentale per una short story è l'idea della brevity, valutata non da un tipo di vista solo esteriore come il numero di parole o la lunghezza del racconto, ma sull'effetto che questa brevità produce sul lettore. L'estetica di Poe è tutto indirizzata verso il destinatario, tiene in considerazione in maniera importante l'aspetto della recensione del testo. Poe mostra una grande consapevolezza dell' attention spam cioè la capacità che un lettore ha di concentrarsi e proprio questa non può durare per ore, è proprio a questa durata limitata che lo scrittore deve porre particolare attenzione. A questo proposito Poe dice (dispensa) che il romanzo è sgradevole per la sua lunghezza per ragioni analoghe a quelle che rendono la lunghezza sgradevole nella poesia. Siccome il romanzo non può essere letto "in un'unica seduta", non può avvalersi dell'enorme immenso beneficio della totalità. Gli interessi mondani che intervengono durante le pause della lettura attenta, modificano e vanno contro fino ad annullare le impressioni che si è voluto comunicare. Ma la semplice pausa nella lettura è in essa stessa sufficiente a distruggere la vera unità. Nel racconto breve l'autore è in grado tuttavia di portare avanti l'intero disegno senza interruzione, durante quell'ora di lettura attenta l'anima del lettore è sotto il controllo dello scrittore. L'unica seduta va dalla mezz'ora alle due ore. Sopra le due ore si perde la concentrazione. Quindi hanno una durata di lettura. Lo scrittore parte con l'idea dell'effetto che vuole creare nel lettore e una volta stabilito questo ci costruisce intorno tutti gli accidenti da mettere intorno a questo effetto desiderato. Per Poe lo scrittore deve mirare all'unità. L'idea della durata è adeguata alle capacità medie che Poe individua e che sono alla base della sua estetica e afferma la superiorità della forma breve e di questa sua poetica di creazione liberata di un effetto particolare superiore a quella del romanzo. Il romanzo è deplorevole per la sua lunghezza proprio perché non può essere letto tutto in una volta e non può avvalersi di quella forza di impatto che deriva da quell'effetto di unità che la lettura senza interruzione può invece creare. Gli elementi che Poe individua come caratteristiche del romanzo sono elementi rimasti nel corso del tempo perché anche dopo nel corso del ‘900 quando si individuano ulteriori precisazioni. A partire dal 1920 il gruppo dei formalisti russi (scuola di teoria letteraria e metodo critico) si occuparono del racconto, anche della fiaba come forma di racconto breve. C'è molto non detto, noi leggiamo una parte ma dietro c'è di più di non detto: forte presupposizione. Ciò che c'è nel testo non è l'intera storia. L'arte della short story nasce come arte della riduzione. Hemingway dice che lo scrittore può omettere cose che lui conosce e il lettore avrà una percezione di quelle cose che lo scrittore ha omesso, perché conosce, così forte come se lo scrittore le avesse affermate: principio dell'iceberg. La brevity comporta un coinvolgimento oltre che un grado di attenzione al dettaglio diverso rispetto a quello richiesto per il romanzo. Un'attenzione che può essere avvicinata a quella che si presta nella lettura della poesia. La brevity si può ottenere dalla lunghezza del racconto, dal concentrarsi su un solo argomento ecc. | primi tre racconti sono quelli dedicati all'infanzia, i protagonisti sono dei bambini maschi e sono caratterizzati da una narrazione in prima persona modulata da espressioni linguistiche tipicamente infantili che sono anche contrapposte al linguaggio incompleto perché censurato degli adulti come vedremo in The Sisters (il livello di sospensioni sono tantissime, a significare un'ipocrisia da parte del mondo degli adulti nei confronti del bambino). Con questi bambini ci sono caratteristiche riscontrabili ed il fatto che il bambino protagonista non ha uno statuto famigliare preciso, cioè o vivono con gli zii oppure quando non vien detto nulla vuol dire che i genitori non sono nemmeno menzionati. Ognuno di questi tre bambini presentati nei racconti fa esperienza in modo semi latente di aspetti particolari della vita: morte, religione e sessualità. AN ENCOUNTER. Il secondo racconto An Encounter è incentrato su una scappatella di alcuni ragazzi che decidono di marinare la scuola e passare una giornata in giro ponendosi come meta The Pigeon House a cui non arriveranno mai. Il titolo ha vari significati in inglese, è un incontro faccia a faccia, in un conflitto è lo scontro, ma è anche l'incontro amoroso. Ha una serie di significati ampi. Viene subito introdotto il luogo esotico e romanzesco che è il Far West. Il senso dell'avventura viene subito avvertito dalle parole del protagonista che dice che sebbene le avventure del Far West fossero lontane dalla natura del protagonista, era comunque un modo per aprire un varco alla fuga. Il narratore ha voglia in realtà di vere avventure, anche questi giochi a un certo punto lo annoiano (pag. 12), questa sete di sensazioni forti legata di nuovo al tema della fuga. Il bambino ci dice anche che questa guerra finta a cui giocano la sera lo stanca tanto quanto la routine della scuola scolastica della mattina. Vuole delle vere avventure. Da questo desiderio di vera avventura prende avvio il mini percorso di questi ragazzi attraverso le città e le strade di Dublino. Così due ragazzi decidono di marinare la scuola, vanno a zonzo per la città perché vogliono arrivare alla Pigeon House che prima era un centro di ritrovo e poi diventa una centrale elettrica. Non arriveranno mai lì perché si fa tardi e sono stanchi, devono rientrare a casa per evitare che questa loro avventura venisse scoperta. Così si fermano in un campo che si trova tra due fiumi, il Dodder e il Liffey (fiume di Dublino), che era un luogo di sbarco. Simbolicamente è il luogo dell'incontro scontro (encounter) con lo straniero. Proprio in questo campo i bambini fanno un incontro con un vecchio che si rivelerà essere una sorta di profeta perverso che gli avvicina e comincia a parlare con loro. Lo vedono avvicinarsi. Si siede con loro. All'inizio parla del più e del meno, del tempo, del passato, di come vorrebbe ritornare ad essere giovane, di libri di avventure come quelli di Walter Scott, poesie di Thomas Moore (poeta sentimentale tra 18° e 19° secolo), letteratura, romanzi, ecc. | bambini all'inizio hanno l'impressione di trovarsi davanti ad un vecchio innamorato dei racconti d'avventura così come lo è il protagonista. Siccome il bambino protagonista finge di aver letto tutti i libri che l'anziano snocciola e quindi l'anziano poi sposta il discorso sull'amore. Chiede ai bambini se sono fidanzati, quante ragazze hanno ecc. Il bambino ha l'impressione di un atteggiamento liberale per un uomo della sua età. A questo punto cominciano a subentrare dei piccoli segnali, che il bambino percepisce, inquietanti, primi segni di una sottile perversione perché questo vecchio ha degli strani brividi e fremiti di cui il bambino si accorge. Il suo discorso comincia anche a diventare ripetitivo. Il bambino si accorge che il suo accento è buono, ciò fa pensare a un appartenenza a una classe sociale elevata, non popolare, che però è in contraddizione con la figura di questo strano vecchio che cammina con il bastone. Adesso c'è tutta la narrazione del bambino sulla ripetitività del discorso. Discorso ripetitivo, ci dice come a lui piace guardare le ragazzine con le loro belle mani bianche, i capelli morbidi, come se avesse imparato a memoria. Discorso quasi rituale. Lo sguardo diventa sempre più assorto, parla come se a volte dovesse comunicare un segreto o qualcosa di misterioso a questo bambini. Poi all'improvviso questo anziano dopo questo monologo si alza e si allontana, lascia i due bambini da soli e qui c'è qualcosa che i protagonisti vedono ma noi no, non ci viene detto, possiamo solo immaginarlo ma senza nessuna certezza che avviene. Mahony dice "guarda che cosa sta facendo, è un tipo strano!". Loro lo vedono, forse si allontana per masturbarsi? Possibile ipotesi, possiamo immaginarlo dalla reazione dei bambini che si iniziano a sentire parecchio turbati e decidono di usare nomi finti nel caso glieli chiedesse. Decidono che il protagonista si farà chiamare Smith e il compagno Murphy. Mahony si allontana per correre dietro a un gatto. Negli altri casi i bambini avranno sempre un nome, solo in questi tre sono senza nome per questo si pensa sia lo stesso. Uno scappa mentre l'altro è preda del vecchio perché non può più eludere il rischio e la necessità dell'ascolto dell'altro come anche mezzo di una propria maturazione. La parola di questo altro è una parola di amore perverso che turba molto il bambino ma mette anche a dura prova il lettore. Anche l'accento del vecchio cambia, il tono di voce e l'argomento. Tiene una sorta di predica sul castigo che spetta ai ragazzi indisciplinati e disubbidienti, quelli che pensano al sesso, devono essere frustati e al vecchio piace vederli così. Diventa una sorta di ritornello ossessivo. Il ragazzino non può far altro che rimanere impietrito ad ascoltare questa predica o monologo. Il vecchio gli dice che lui è indisciplinato infatti gli chiede se venisse frustato a scuola. Adesso il discorso è incentrato sulla punizione corporale nei confronti dei ragazzi ribelli. Il racconto termina con il bambino che cerca di alzarsi e andarsene per non esprimere la propria agitazione. Arrivato in cima al pendio chiama l'amico il quale dopo il secondo richiamo corre quasi per prestargli soccorso; il bambino allora esprime la gratitudine nei suoi confronti vergognandosi del fatto che a volte lo avesse disprezzato. Questo tentativo di fuggire dalle costruzioni della scuola e della vita quotidiana conducono questo bambino a fare un incontro che lo mette a disagio. La conclusione di questa esperienza ci dà anche l'impressione della finzione, della bugia. Il racconto finisce con una fuga che non porta a nessun cambiamento se non a una presa di coscienza o di sé. ARABY. Araby è l’ultimo racconto della serie dell'infanzia, narrazione in prima persona. Anche qui abbiamo un piccolo protagonista che non fornisce informazioni su se stesso e risulta possedere uno statuto famigliare preciso. Apparentemente non ha genitori come gli altri bambini, o se li hanno non sono menzionati o sono sostituiti dagli zii. Il tema è il primo amore. È un racconto breve, delicato, una sorta di arabesco appunto tessuto da fili minimi e dettagli realistici. Dal punto di vista narrativo viene presentato un passato caratterizzato dalla routine, abitudinario e costante nella vita del ragazzino. Vengono descritte situazioni particolari finché si arriva allo svolgimento specifico di un avvenimento coerente con il titolo: Araby connota immediatamente informazioni temporali e spaziali precise. È una sorta di mercato, di bazaar, tenuto a Dublino nel maggio del 1894 per raccogliere fondi per l'ospedale. Possiede anche connotazioni simboliche perché è anche il nome poetico dell'Arabia quindi ci conduce subito verso un mondo esotico. Il tema dell'Oriente diventa dominante ed è messo in primo piano proprio a partire dal titolo. Questo tema viene svolto con implicazioni di sogno, sensualità, torpore, la terra di favola che alla fine del racconto si rivela un mercato quasi vuoto, con le luci spente, all'interno del quale il bambino si trova. Le azioni principali si svolgono nei mesi precedenti al mercato e alla raccolta di fondi, fino ad arrivare al maggio in cui il mercato si svolge. Notiamo anche lo spostamento di questo bambino all'interno della città, verso sud-est. L'est dello spostamento è la direzione della possibilità di allontanarsi dall'Irlanda. Est come possibilità di fuga e libertà. Le stagioni retrocedono nei tre racconti: il primo è a luglio, il secondo a giugno e questo a maggio. C'è una collocazione che non è del tutto casuale e fa pensare ad un progressivo raffreddamento della stagione che va parallelamente alla crescente maturità del protagonista della vicenda: più si matura più la stagione si raffredda. Incipit: gioco di sguardi che ritorna in chiusa al racconto stesso. Contrasto tra il titolo con le sue connotazioni di mondo esotico, poetico e da favola, con l'elemento realistico che ci viene invece dato con la menzione in apertura della strada di Dublino in cui vive il bambino (periferia nord di Dublino, North Richmond Street, una delle strade dei quartieri più poveri della città). C'è subito questa sorta di contrappunto tra il nome sonoro ed evocativo del titolo e il realistico della strada. Due punti cardinali del racconto: oriente e nord. Abbiamo subito la connotazione della scuola cristiana (Christian Brother's School) che lascia liberi i bambini come se fosse qualcosa di costrittivo, è un vicolo cieco. Coordinate topografiche: nome della strada (senza uscita), alla fine di questo vicolo cieco si trova una casa disabitata che occupa l'uscita, distaccata, in una posizione diversa rispetto alle case vicine, una casa che non partecipa a quel gioco di sguardi delle altre case. Le case sono annotate antropomorficamente. Subito si profila questo gioco tra cecità e visione, tra luce e ombra, che verrà ripreso nell' epifania finale. Alla fine del racconto è il bambino il protagonista che alla fine percepisce la vanità del tutto. Alla fine del racconto c'è una sorta di interiorizzazione del paesaggio iniziale che diventa una sorta di paesaggio interiore. Passa davanti alla casa in cui abita, sposta lo sguardo dall'esterno all'interno: percezione del racconto in prima persona (possessivo our). L'inquilino precedente era un prete che era morto nel salotto. Colo : giallo, marrone, colori che perlomeno in questi racconti connotano decadenza e vecchiume. Non è un caso che il vecchio del racconto precedente abbia i denti gialli, cosi come il prete del primo racconto. La casa che ci viene descritta, contiene ancora oggetti di proprietà del prete che è morto. La prima frase del secondo paragrafo e l'ultima sono dedicate al prete morto, quindi abbiamo una sensazione quasi di blocco claustrofobico, l'aria all'interno della casa è pesante a causa del fatto che sia stata chiusa per molto tempo. | libri che il bambino trova hanno le pagine accartocciate e gialle. Tra questi libri trova le memorie di Vidocq pubblicate nel 1929, che aveva iniziato la sua carriera come criminale per poi diventare un detective. Le preferisce non perché promette avventure ma perché le pagine sono gialle. Il libro di avventure viene sostituito per ciò che è decadente, vecchio e non attraente. Questo potrebbe anche esprimere un senso di religiosità connotata in termini di chiusura e qualcosa di soffocante. Tutti questi dettagli realistici hanno ancora tracce del prete che hanno influenza sul bambino e si riflettono sulla sua esistenza. Dopo questa descrizione si ha di nuovo l'esterno con la narrazione di una sorta di routine quotidiana, giochi dei bambini dopo la scuola. L'entusiasmo di questi bambini di combattere contro il freddo e l'oscurità. Ci sono poi due figure di adulti, uno è lo zio e l'altro è la sorella di un amico del bambino. Entrambe provocano l'arresto e l'occultamento dei bambini infatti quando arriva lo zio i bambini scappano e il gioco viene interrotto. La sorella di Mangan catalizza lo sguardo di questo bambino che è colpito, gli provoca una serie di sensazioni che lui esprime in un linguaggio lirico esagerato, carico di cliché e termini religiosi. Lui la osserva dalla finestra ma non ha il coraggio di parlarle, il suo nome era come una chiamata nel suo sangue. Il bambino descrive con termini lirici esagerati ciò che prova verso questa ragazza, legati alla religiosità, il suo corpo era come un harp (simbolo dell'Irlanda), i suoi gesti come le dita che si muovono sull'arpa. È un linguaggio che non può provenire dal bambino ma che lui accoglie o ha imparato da una letteratura popolare legata a questo sentimentalismo. Il fatto che il bambino nel momento di massima veemenza amorosa, quando congiunge le mani finché non tremano, tutto questo avviene nel luogo più oscuro della casa ovvero dove è morto il prete. Alla fine lei gli parla, a partire da qui si entra nella situazione specifica che poi rappresenta la molla dell'azione e che si ricollega direttamente al titolo. La ragazza gli parla ma di fatto ha anche il monopolio di tutta la conversazione, lui non dice quasi nulla, ha una posizione passiva, non prende quasi mai iniziativa. Il suo silenzio appare ancora di più rilevante dopo la fioritura linguistica di prima. Lui è confuso. Il dialogo si riduce al minimo e tutta l'esperienza dell'amore rimane non detta a lei ma tutta immaginata e racchiusa in questo fremito del corpo (single sensation of life) che lui percepisce quando pensa a lei. Araby viene descritto come splendid bazaar. La ragazza vuole andare ma non può perché ha un retreat in her convent. Anche in questo caso l'impedimento sembra essere la religione, un ritiro nel convento. Non abbiamo grandi eventi in questi racconti ma piccoli avvenimenti. La ragazza fin ad ora era stata descritta come simbolo dell'avventura sentimentale ed è capace di suscitare un insieme di sensazioni fisiche e mentali nel protagonista, sensazioni molto forti. Così da questo punto in cui l'impedimento del convento diventa il retreat, la ragazza agli occhi del lettore perde molta della sua attrattiva se non tutta. Il lettore è portato a modificare anche il suo punto di vista che da questo momento non coincide più con quello del protagonista. L'incapacità del ragazzino di esprimere il suo amore, viene sostituita dalla promessa che lui fa alla ragazza di andare ad Araby e portarle un regalo, promessa che assume il valore di pegno d'amore che però non verrà mantenuta. Nella parte che segue il dialogo da una parte abbiamo l'attrazione sensuale ma dall'altra l'attrazione per l'esotico. Il bambino però non ha la facoltà di poter decidere, dipende dagli adulti, dagli zii, per mettere in atto questa sua avventura. Permesso che non è per niente certo. All'inizio del racconto lo zio era stato descritto come oppositore nei giochi dei bambini. Lo zio infatti quando gli viene richiesto il permesso dà una risposta evasiva e quindi l'impresa sin da subito è messa in dubbio. Tutto sembra congiurare contro questa iniziativa del bambino: il tempo atmosferico è sfavorevole, la sera quando lo zio ritarda e non arriva in tempo e il bambino quindi è concentrato sul tempo che passa. Quando lo zio arriva finalmente a casa si ha un dialogo in cui viene reso esplicito il tema della rinuncia che viene proprio delle storie e lei è affascinata da esse. Una di queste riguarda i suoi viaggi attraverso lo stretto di Magellano e dei terribili patagoni. | patagoni erano dei giganti leggendari mitici di cui si raccontava soprattutto nei diari di viaggio del 17° secolo che abitavano la terra del fuoco. In quegli anni era qualcosa che era già stato confutato. La porta anche a vedere un'opera teatrale cantata "The Bohemian Girl". Lei crede a tutto ciò che lui dice perché è innamorata di lui. Comunque i nostri dubbi sulla franchezza di Frank non li possiamo provare, perché appunto non ce lo dice. C'è un unico punto in cui sembra ci sia un movimento: lei continua a ripetere frasi ossessive, a quel punto lei ha un impulso improvviso in cui si alza in piedi e dice "Escape!". Future in the past: usato per pensieri proiettati nel futuro. I racconti della maturità sono quattro. Anche qui la narrazione procede in terza persona, c'è solo in un caso una protagonista femminile. | primi due sono uomini sposati con figli, negli altri due abbiamo Clay (donna) e un altro uomo solo ma single per scelta. Tutti adulti insoddisfatti della loro esistenza e tutti paralizzati in situazioni incontigenti. Arco temporale brevissimo. Nell'ultimo racconto è più esteso e non trova riscontro in altri racconti perché tra l'inizio del racconto e la fine passano quattro anni. La stagione cambia, dominanti sono l'autunno e inizio inverno. Il tema del matrimonio è presente in tutti i racconti ma ne vengono introdotti anche altri come ad esempio la vita lavorativa. CLAY. Maria si prepara a trascorrere la sera di Halloween presso una famiglia di conoscenti. Elemento importante che emerge fra le righe è il tema del matrimonio, desiderio che ha Maria ma che non viene mai realizzato (n.b. gioco divinatorio usando questi dolci nei quali viene nascosto un anello). Inizia il viaggio attraverso la città: il primo tram che prende la porta verso il centro della città dove cerca di comprare una fetta di plumcake da portare agli ospiti. Iniziamo già a incontrare una certa difficoltà: il paragrafo in cui scende dall’autobus e va a comprare il dolce è interessante per il rapporto che si manifesta tra Maria e il resto del mondo, un rapporto faticoso e connotato negativamente. Ci sono verbi che implicano una sorta di movimento faticoso nella folla. Come se lei scansasse la folla. Poi ancora fatica a camminare perché caricata con una borsa pesante, lei piccola di statura. Arrivata al negozio notiamo che la commessa è annoiata da lei, si irrita perché lei non riesce a decidere quale dolce prendere. | pensieri che ci vengono riportati, presumibilmente di Maria, sembra ci rivelino il fatto che lei si rende conto dell’insofferenza che lei provoca nelle altre persone. Conducono quindi a pensare che il rapporto tra Maria e il mondo esterno sia molto difficile, opposizioni, antagonismi (lei sul bus seduta di fronte a tutti gli altri). Durante il secondo tragitto in tram questa ipotesi sembra essere confermata: lei deve stare in piedi. Antagonismo nei confronti di giovani uomini che non la notano nemmeno, indifferenti. Qui avviene però un fatto importante: Maria viene notata da un anziano signore che le fa posto in tram e si intrattiene con lei in una conversazione su argomenti banali. Non abbiamo il dialogo, ma viene riportato mediante discorso indiretto, non ci sono battute dialogiche. Veniamo a sapere che Maria non parla mai ma si limita a rispondere con cenni, mormorii. Veniamo a sapere che quest'uomo è molto carino con lei “very nice with her”, espressione molto usata nel racconto. La prima impressione dunque è positiva, lo descrive come un gentiluomo, “colonnello”, educato. L'incontro termina e lui la saluta con un saluto molto plateale, facendo una sorta di inchino. A ben vedere però questo gentleman è in realtà ubriaco. Ci viene detto “red face”, rosso in volto. Alla luce di tutto questo l’intero brano viene reinterpretato, riletto sotto un’altra prospettiva. La gentilezza del signore è frutto dell’alcol. Maria arriva finalmente a casa di Joe. È accolta da saluti, ringraziamenti. Ma anche qui intanto la moglie di Joe viene chiamata sempre Miss Donnelly, ossia il cognome (implica distanza tra lei e questa donna). Anche i bambini non sono molto affettuosi, sono obbligati a ringraziarla per i dolci da lei portati. Qui avviene una svolta nel racconto: Maria dice di aver portato qualcosa di speciale per loro, il plumcake che le è costato una fortuna, più di quanto lei stessa possa permettersi. Comincia dunque a cercarlo ma non lo trova. Questo provoca fastidio nei confronti dei bambini che vengono accusati di aver nascosto il dolce. Questo suo statuto di nurse e di brava mammina, colei che ci sa fare con i bambini eccetera comincia a vacillare. La soluzione al problema arriva da un'opinione corale, ossia che probabilmente Maria ha dimenticato il dolce sul tram. Maria quindi collega lo smarrimento del dolce allo stesso smarrimento provocato in lei dall’anziano signore. Maria ricorda quanto confusa l’aveva fatta sentire il vecchio, e arrossisce dalla vergogna e dalla delusione, al pensiero di aver fatto fallire la piccola sorpresa e dei due scellini buttati via per niente, mettendosi quasi a piangere. Qua abbiamo tre motivi precisi: shame, vergogna, ricordando l'imbarazzo provato davanti al signore; disappointment, delusione, per la sorpresa sfumata; vexation, spreco dei soldi, senza neppure riuscire a fare la sorpresa. Queste sensazioni sono espresse solo mentalmente. Le uniche reazioni che lei ha sono espresse attraverso il colore del volto e l’espressione quasi di pianto. La mancanza di espressività linguistica probabilmente è dettata da una censura auto imposta, non vuole rivelare quali sono le motivazioni del suo stato d’animo. Quando ride per non aver trovato l'anello lo fa perché e imbarazzata, ma qui cela le sue emozioni. Inizia un nuovo paragrafo, con “but” che introduce un contro argomento e quindi distoglie l’attenzione del lettore dalla scoperta di questa dimenticanza di Maria. Si svolge una conversazione tra Joe e Maria, in cui di nuovo solo Joe parla e Maria non capisce quello che le viene detto. Non appena ristabilita la calma, viene un altro piccolo turbamento: le vengono offerte delle nuts (nocciole) ma non c’è lo schiaccianoci. Questo altera l'atmosfera della festa, Joe quasi si arrabbia. Nella tradizione celtica l'albero del nocciolo e le nocciole stesse sono simbolo di saggezza ma non solo, venivano anche usate nei matrimoni come un augurio di fertilità, legate dunque al matrimonio e alla famiglia. Di nuovo in maniera velata emerge il tema del matrimonio, lei non ha la possibilità neppure di toccare queste nocciole, toccare concretamente ciò che le sta a cuore, ossia il matrimonio. A questo punto Maria dice una cosa che è in contraddizione con ciò che abbiamo capito finora: quando sceglie il dolce dice che lo vuole full of nuts ma ora dice che a lei non piacciono le nocciole. Probabilmente un modo per togliersi dall’imbarazzo. Maria non sembra riesca a muoversi bene neppure in questo ambiente apparentemente familiare. Messo in luce nuovamente anche il ruolo subalterno rispetto ai presenti, e non solo quindi nei confronti dei superiori, come si è visto all’inizio del racconto. Questo si nota da espressioni come “Joe la fa sedere”; “Joe insiste che...” e altre. Non è chiaro dunque il rapporto che c'è tra Maria e questa famiglia. Nel paragrafo che segue c’è un’altra conferma sulla posizione di Maria: ella viene descritta all’inizio come una peace maker, (richiamo biblico “beati coloro che...”) ma quindi inizia una discussione tra Joe e Alfie (fratelli) in cui Maria cerca di mettere pace ma inutilmente. Invece di appianare la discordia il risultato è disastroso. La festa nuovamente si incupisce e le reazioni di Joe sono molto negative. Questa funzione di Maria come peace maker è smentita. Non solo non agisce come pacificatrice ma la sua presenza provoca addirittura fastidio e sembra portare un'ombra su questa festa. Per allentare la tensione si organizza un gioco, anch'esso divinatorio. Qui ci colleghiamo anche al titolo: la parola clay che vuol dire argilla, è stato tradotto anche con polvere, terra e altri. Non compare mai all’interno del racconto, è presente solo nel titolo. Questo gioco è fatto con dei piattini sui quali vengono messi degli oggetti simbolici di nuovo l’anello (matrimonio entro l’anno), un libro di preghiere (convento), acqua (viaggio per mare), e argilla (morte). | giocatori bendati raggiungono uno dei piattini a sorte e prendendo l’oggetto gli viene predetto quello che avverrà entro l’anno. Nella società vittoriana l'argilla veniva però tolta dal gioco, e veniva sostituita con qualche altro oggetto. Inoltre la pratica divinatoria nella religione cattolica è condannata come peccato. Al gioco partecipano i ragazzi, poi si insiste che anche Maria partecipi. Di nuovo reagisce in modo solito, ridendo, viene bendata e la sua scelta si posa sulla polvere. Tocca questa sostanza morbida, e quindi cala il silenzio. Non le viene tolta la benda, il mistero non viene chiarito ma possiamo chiaramente immaginare cosa tocca. Lei non vede quello che gli altri vedono, ma sente, anche con le orecchie. L’elemental non viene denominato, ma non sappiamo se Maria non sa o finge di non sapere di cosa si tratta. Non è un caso che Mrs Donnelly dice di buttare via tutto immediatamente. Notate la sostituzione tra clay e play. Rima sostitutiva con clay. Capisce che deve rifare il gioco e questa volta prende il libro di preghiere, convento entro l’anno, e quindi sterilità. Ancora una volta il matrimonio e la famiglia sono desideri frustrati. Maria non commenta il risultato, la troviamo ancora in questa posizione di passività, con Joe che (di nuovo) “le fa” prendere un bicchiere di vino. La conversazione poi viene riportata sul fatto che Maria entrerà in convento e nemmeno questa volta lei commenta la cosa. Dopo questo scherzo terribile, Maria dice che non aveva mai visto Joe così gentile con lei. Quindi questa gentilezza alla luce di quanto è accaduto risulta una gentilezza falsa. Lei dice sempre “very nice WITH her” ma qui viene detto “so nice TO her” (inglese standard, formula giusta). Questo enunciato corretto è in inglese standard suona falso che si considera che Maria è stata vittima di uno scherzo macabro. Ultimi due paragraphs: la festa si sta chiudendo, i bambini manifestano stanchezza. Viene chiesto a Maria di cantare una “little song”: piccolo nel senso vezzeggiativo o breve perché faccia in fretta? Maria sceglie un brano intitolato “Ho sognato che dimoravo”, motivo di un’opera la Bohemian Girl trovata già in Eveline (Frank aveva portato Eveline a vedere l’opera a teatro). Maria sceglie questo brano e l’eroina di questa operetta la canta quando ricorda in sogno la sua esistenza ricca e fastosa prima di essere stata rapita dagli zingari. La bohemian girl è un’operetta del 1843 irlandese: storia complicata in cui la figlia di un conte viene rapita all’età di sei anni e dopo 12 anni si fidanza con un conte polacco in esilio perché ribelle. Anche lui viveva sotto mentite spoglie tra gli zingari. Poi la ragazza torna dal padre e finisce con un matrimonio, tutti i problemi si sciolgono. Maria canta con una voce tremante e ripete la prima strofa dimenticandosi di proseguire con la seconda. Svista notevole perché Maria dimentica proprio quella strofa in cui si parla di spasimanti che chiedono la mano della fanciulla. Errore voluto? È difficile dirlo. “Ho sognato di pretendenti che volevano la mia mano, di cavalieri inginocchiati e di promesse a cui il cuore di una ragazza non può resistere; mi promettevano fedeltà. E ho sognato di uno di questa nobile schiera che si avvicinava al mio cuore per chiedermelo e ho anche sognato che tu mi amavi ancora nello stesso modo”. Questa è la strofa che Maria non canta. Nessuno le fa notare l'errore. Corkscrew = cavatappi. Opera un abbassamento sentimentale. È Joe che ancora una volta chiede alla moglie dov'è il cavatappi. Così finisce questo racconto. Nonostante questa descrizione del mondo circostante fatta da Maria, ella è di fatto un essere escluso, senza uno statuto preciso ne a lavoro ne fuori. Grande aspettativa per la serata che in realtà viene delusa. Unica nubile rispetto agli accoppiati di questa famiglia. Le sue doti descritte all’inizio vengono poi smentite alla fine del racconto. La festa di Ognissanti quindi non è altro che il preludio della festa dei morti. Parlando di Eveline, la fanciulla ha una possibilità, le viene data una chance, di partire o di restare. Poi che sia reale o meno è un altro discorso. A Maria invece non viene neanche data la possibilità di scelta, è condannata a una vita di solitudine, esclusa da tutto. THE DEAD. Costituisce una sorta di coda a Dubliners poiché è stato composto in un secondo momento quando il piano dell’opera era già stato definito. Esula dal resto dei racconti per la lunghezza. Molto più lungo e più complesso rispetto agli altri. Proprio per questo risulta quasi al limite della short story vera e propria. La raccolta di Dubliners si era aperta con una evocazione di morte, il bambino che va a vedere se il prete sia vivo o meno, e mette in evidenza questi sogni ossessionanti del bambino legati alla morte di questo prete (there was no hope). L'ultimo racconto si intitola esplicitamente “La Morte”. AI contrario degli altri racconti, che pongono l’attenzione sulla privazione morale, materiale, spirituale ed emozionale dei protagonisti, qui invece si pone l’attenzione su un protagonista, Gabriel, le cui circostanze materiali ed intellettuali sono più che soddisfacenti. Appartiene alla middle class, elemento suggerito dalla festa organizzata dalle zie di Gabriel dopo Natale. Uomo di mezza età, che ha un'educazione superiore rispetto a quella dei Dubliners precedenti. Uomo benestante. Il centro dell'attenzione non è sugli estremi ed eccessi dei personaggi, quando spinti dalle circostanze. L'uomo ha la possibilità di scegliere. Il setting sociale della storia, una festa, aiuta a collocare questo personaggio all’interno di una classe sociale borghese. La sicurezza di Gabriel viene contraddetta da insicurezza in altri aspetti: ciò in cui lui ha creduto fino a quel momento si sgretola. C'è questa sorta di presa di consapevolezza, è una sorta di epifania, in cui si rende temporale (nuovo anno) fa pensare al ciclo vita-morte (tempo ciclico). Nella chiusa, musicalmente molto forte, ricca di ripetizioni foniche, sono inseriti degli elementi che rimandano al cristianesimo (tre parole alla fine). Finestra: il bambino all’inizio guarda da dentro. Eveline in mezzo guarda da dentro la casa dove è “bloccata”. Qui abbiamo un uomo maturo nel pieno della vita che guarda fuori dalla finestra, dove questa neve cade indistintamente su vivi e morti. Simbolicamente questi elementi sono importanti perché sottolineano quanto Dubliners sia legato ad un’organizzazione precisa e puntuale, che lega tutti i racconti. Ulisse viene pubblicato nel 1922, a partire da esso Elliot definisce il metodo mitico che andrà a sostituire il metodo narrativo che era dominante fino a quel momento. Elliot dice che con Ulisse il romanzo muore. Joyce ha sempre definito le sue opere Novel quindi romanzo. Joyce parte dalla definizione che di romanzo viene data da uno dei primi scrittori di romanzi del ‘700 (Fielding): poema eroiconico in prosa, cioè un racconto inteso a realizzare una rappresentazione realistica della vita contemporanea ma sul modello dell'epica classica, in modo da evidenziare sia l'eroismo sia l'atteggiamento magniloquente dell'epoca. Joyce dà due definizioni di Ulisse: odissea romanza e epica del corpo umano. Sono i due pilastri su cui poggia l'intera struttura dell'opera. Si propone come una summa di tutta l'esperienza fisica del corpo umano e come negazione di quella fisica. Contrappone alla summa teologica quella antropologica, va letta la definizione sintetica che Joyce dà del romanzo in una lettera all'unico italiano Carlo Linati del settembre 1920: Joyce dice che alle schiere angeliche di San Tommaso sostituisce la gente di Dublino, che si riassume in unica persona che è la città stessa che è non solo città ma tutto l'universo. L'odissea eroiconica ridimensiona il tempo e lo spazio: gli incontri che Ulisse fa e che ci vengono narrati diventano dei movimenti di Bloom. 16 giugno 1904 giornata delle peregrinazioni a Dublino. Sia Leopold Bloom che Joyce hanno 38 anni in quel momento, sia Steven: sono due proiezioni di Joyce in due fasi diverse della vita. Steven è il giovane artista, Bloom è l'uomo maturo. Continuo e ricorrente biografismo che è comunque limitato da un certo punto di vista dai confini di rovesciamento comico-ironico che nell'Ulisse è sicuramente presente. Ulisse diventa la raffigurazione non solo di Joyce ma dell'essere umano nella sua fisicità. Ogni ora del giorno è legata a un organo del corpo umano così alla fine si ha la figura dell'essere umano intero. Joyce continua quell'opera di smascheramento della paralisi presente in Dubliners, qui però lo ripete in una chiave comica, ironica. Cerca di smascherare quella sovrastruttura ossessiva che è anche analizzata in Dubliners. | Dubliners si sono condensati in tre figure di Ulisse: Leopold Bloom (Ulisse), Steven (Telemaco), Molly (Penelope). L'ultima è costruita almeno in parte su Nora che è la moglie fedele di Joyce che appunto lo accompagna per tutta la vita. Nell' Odissea eroiconica Molly è infedele a Bloom. Bloom: uomo, 38 anni mezza età, di origine ebraica, è l'uomo medio, sensuale, positivo ma anche inefficiente, curioso di nuove esperienze ma al tempo stesso timido e cauto, alla ricerca di concretezze scientifiche e rapporti umani che non riesce ad avere e trovare. Steven: emerge già nel Portrait, a differenza di Bloom che è un personaggio nuovo. Emerge come l'opposto di Bloom, è l'idealista, il giovane artista alla ricerca di valori spirituali che si ribella alla quotidianità dell'esistenza nel tentativo di trovare una coerenza intellettuale. Nell'idea di Joyce questi tre personaggi sono anche la trinità: padre (Bloom), figlio (Steven) e spirito santo (Molly). Toglie qualsiasi elemento spirituale e lo riporta alla fisicità e sensualità con Molly. Bloom come ebreo, non praticante, nasce già in una condizione di esule. Steven invece fa della condizione di esule una scelta consapevole e volontaria, non come quella di Bloom. Anche se questa scelta deliberata che Steven fa nel Portrait la ritroviamo nell'Ulisse con Steven a Dublino: significa che in qualche modo è sconfitto, è rientrato a Dublino dopo la fuga annunciata nel libro precedente. Per cui i due hanno in comune questa stessa incapacità di realizzare le aspirazioni che loro percepiscono in maniera più forte. Entrambi rimangono in una condizione di costante ricerca, sono complementari da questo punto di vista. Bloom ha perso l'unico figlio naturale morto nell'infanzia. Steven invece ha rifiutato il padre naturale e la sua ricerca è proprio quella di trovare una figura paterna che prenda il posto di quella rifiutata. La presenza di Molly è particolarmente percepita nel lungo monologo finale che occupa una parte insistente (è l'unico capitolo tutto costruito sulla base del monologo interiore e del flusso di coscienza). Tutte le figure femminili che compaiono nel libro e le loro controparti mitiche, sono presenti in Molly che non è solo Penelope ma anche Calipso, Circe, Nausicaa, ad ognuna delle quali è dedicato un episodio. Molly è anche essenza della natura femminile, espressione della sensualità e fisicità, accettazione incondizionata della natura umana e della condizione umana. Il Sì finale è appunto accettazione. Il libro termina con questo YES che termina l'Ulisse. L'ultimo capitolo con questo monologo Molly lo pronuncia nel dormiveglia, Molly ripensa alla giornata e da lì si dipana per associazioni una serie di pensieri. Monologo popolato di persone e immagini sensuali, solo grazie all'elemento femminile si viene a completare la figura umana in questa struttura che Joyce vuole presentare nell'opera. Da un lato abbiamo la tradizione epica, l'odissea, ma dall'altro viene affiancato il mito cristiano sia con la sacra famiglia che con la trinità. Il messaggio di Joyce è proprio quello di aver sostituito lo spirito santo con Molly che è la carne, la fertilità naturale. Temi: ricerca del padre da parte di Steven, del figlio da parte di Bloom, l'esilio liberato e non, il viaggio di ritorno nella patria da cui l'eroe è rimasto esiliato per anni. Questi sono i temi che muovono i protagonisti nel loro viaggio attraverso la città. Se ne aggiungono altri che vengono comunicati attraverso una rete fittissima e completa di temi sussidiari e ricorrenti, anche a distanza di centinaia di pagine tra di loro. Joyce non volle mai che venissero pubblicati i titoli della parti in cui aveva organizzato il romanzo, neanche capitoli e sezioni. Nemmeno riferimenti agli episodi omerici su cui si basa il parallelo mitico. Però Joyce non rifiutò di fornire ad amici fidati una serie di sunti e punti chiave con parallelismi tra ore della giornata, parti del corpo, colori, arte connessa. Quindi Joyce aveva fatto questi schemi tra cui 2 principali: uno mandato a Carlo Linati nel 1920 (in italiano), l'altro fu mandato nel novembre del 1921 a Valérie Larbaud. Il primo biografo di Joyce mise insieme questi due schemi per farne uno unico, mettendo in evidenza l'organizzazione del libro. Il libro è diviso in 3 parti (numero ricorrente): telemachia (avventure di Telemaco, primi e episodi del libro), odissea propriamente detta (avventure a Dublino costruite sugli episodi dell'Odissea, dal 4 al 15, padre figura dominante), ritorno di Ulisse (ricongiungimento tra padre e figlio a cui presiede Penelope, moglie di Bloom e madre di Telemaco, episodi dal 16 al 18, l'ultimo è appunto tutto dedicato a Molly). L'opera è l'esplorazione attenta di ogni possibilità condotta con senso rigoroso del linguaggio. Lo stream of consciousness che Joyce utilizza già, non è solo la riproduzione meccanica di ciò che passa per la testa ai protagonisti, ma Joyce procede per lampi intuitivi che si dispongono come una serie di tasselli di un mosaico estremamente elaborato. Ci sono infatti collegamenti tra un monologo e l'altro a distanza di centinaia di pagine, anche solo con una parola. Importanza non solo dei contenuti, ma della sonorità del linguaggio con funzione evocativa in molti casi e acquisizione di ulteriori significati: polisemanticità. Il 14° episodio "Le mandrie del sole" è forse uno dei momenti più che Joyce fa perché rappresenta lo sviluppo embrionale della lingua inglese dal concepimento al parto, in termini di produzione linguistica e stilistica inglese, fino alla produzione del tardo ‘800. In ogni episodio abbiamo una sperimentazione che spesso giunge alla realizzazione di una nuova forma. Monologo interiore: tecnica narrativa che Joyce usa e perfeziona. Il lettore è introdotto direttamente nella vita interiore del personaggio, senza alcuna spiegazione da parte del narratore o intervento esterno. Tratti tecnici distintivi: 1) è sempre ed esclusivamente in prima persona perché i pensieri possono essere conosciuti solo da chi li formula 2) è sempre al presente perché si pensa nel presente, il passato lo si può solo rievocare ma sempre pensandolo nel presente 3) il tempo del discorso narrativo in atto coincide con il tempo della storia in atto, salvo eventuali anacronie 4) linguaggio idiolettico, cioè proprio del linguaggio del personaggio (idioletto: varietà della lingua usata solo da quella persona) 5) non prevede la presenza di un destinatario o pubblico quindi le esperienze che il personaggio racconta e di cui ci rende partecipi con questa tecnica è l'esperienza stessa, non è mai spiegata dal personaggio stesso se non dal flusso delle idee 6) ci si affida molto alle tecniche presuppositive e drammatiche del lettore, perché lui non ha informazioni che provengono dall'esterno, ciò che sa è ciò che legge, deve riempire i vuoti attraverso presupposizioni e inferenze. Ciò che distingue il monologo interiore dalle altre rappresentazioni della coscienza è che al narratore è vietato pronunciare enunciati sul fatto che il personaggio stia in realtà pensando e percependo. Noi leggiamo solo quello che il personaggio nella finzione ci dice. Mentre nei monologhi di Bloom e Steven abbiamo interventi del narratore, nel monologo di Molly questo non avviene, non ci sono interruzioni o interventi esterni del narratore. Sia il monologo interiore che il flusso di coscienza sono espedienti che servono per mettere in contatto il lettore con il personaggio da un punto di vista interno. Nel flusso di coscienza la voce narrante riproduce la casualità, l'irrazionalità con cui pensieri e emozioni si accavallano e susseguono nella mente o come si presentano via via nella coscienza dei personaggi. Caratteristiche: assenza di legami sintattici tra parole e frasi, assenza di punteggiatura, è costruito sulla libera associazione di pensieri senza un ordine logico. Il monologo di Steven mette in luce la sua cultura e dedizione, linguaggio ricercato. Il monologo di Bloom tende a vagare senza un focus ben preciso assommando le varie percezioni, infatti dal punto di vista sintattico è costituito da frasi molto brevi racchiuse tra punti, lento, rallenta il flusso della lettura. Anche i contenuti di quest'ultimo spesso emergono dall'ambiente circostante e si concentra sulle persone e oggetti. Steven più speculativo e astratto, Bloom immerso nella fisicità. Molly è ancora un'altra tipologia di monologo diverso: non c'è nessuna interruzione da parte della voce narrante, quindi sia voce che focalizzazione sono identiche, non ci sono stimoli esterni a parte il fischio di un treno. Molly è ferma, è a letto, Steven e Bloom invece vagano per la città che è accompagnato dal vagare mentale. Si nota una scarsità di punteggiatura, solo 8 frasi graficamente separate in 36 pagine. L'effetto sul lettore della mancanza di punteggiatura è di velocizzare il tempo di lettura perché non ci sono pause. Si dice che per il monologo di Molly Joyce si sia ispirato alle lettere di Nora. Racconti di Virginia Woolf: Virginia è scrittrice di racconti oltre che di romanzi. Soltanto di recente l’attenzione critica si è posta su questi racconti e sulle short fiction. Virginia inizia a scrivere racconti molto presto e per tutta la vita continuerà a scrivere queste storie. Nasce nel 1882 il 26 gennaio a Londra. | primi racconti sono del 1906, due anni dopo che aveva iniziato a scrivere brevi saggi e recensioni su riviste londinesi. Non smise mai di scrivere e impegnarsi nella narrativa breve, per lei una forma utilizzata per sperimentare. Sperimentava certe tecniche narrative che svilupperà nei romanzi più famosi. Lei stessa nei suoi diari teorizza la “forma utile”. Il suo cognome è Stephen, Woolf è quello del marito. Suo padre era una figura molto importante nel periodo tardo vittoriano: aveva una visione molto ampia e aperta dell'istruzione. Infatti volle che le figlie ricevessero un'educazione pari a quella del fratello, e che fosse regolare ovvero erano istruite in casa, la biblioteca del padre era aperta e potevano leggere di tutto. un po” autodidatta. Così sia Virginia, sia la sorella Vanessa (pittrice), crebbero in un ambiente molto colto. La madre morì quando Virginia era una ragazzina. A poco più di 20 anni Virginia era già un’apprezzata collaboratrice del Times. Quando il Fratello Thoby entrò a Cambridge, lei e la sorella vennero in contatto con figure come l'economista Keynes, Forster e altri intellettuali dell'università. Fu questo gruppo di intellettuali insieme alle sorelle a costituire un gruppo chiamato Bloomsbury Group. Il gruppo prende il nome dal quartiere di Londra dove avevano casa le sorelle, si differenziò dalle altre avanguardie europee del periodo in quanto non produssero mai un manifesto di intenti, né pubblicarono riviste per diffondere le proprie idee. Tutto questo era perfettamente in linea con il tipo di avanguardia che il gruppo voleva. L'attenzione del gruppo è allo spazio domestico, in opposizione allo spettacolo pubblico, con un'attenzione anche all’esplorazione della complessità del pensiero in opposizione a questo impeto di mettersi in mostra, fare esibizioni improvvisate pubbliche (futuristi). Il nome dice molto: quartiere in cui avevano le loro abitazioni e si incontravano. Gruppo molto vario (pittori, scrittori, economisti, ecc.), provenivano tutti dalla
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