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Letteratura inglese 1 - Pallotti, Sbobinature di Letteratura Inglese

Appunti delle lezioni con integrazioni dal manuale Bertinetti e analisi dei testi presenti nella dispensa della professoressa. Contiene anche un'analisi delle letture Dubliners (Joyce) e The Waste Land (Eliot).

Tipologia: Sbobinature

2019/2020

In vendita dal 07/12/2022

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Scarica Letteratura inglese 1 - Pallotti e più Sbobinature in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! LETTERATURA INGLESE 1 Il primo Novecento I. Il modernismo La necessità di rinnovamento Nel primo decennio del Novecento in tutta Europa emerge il fenomeno delle avanguardie artistiche e letterarie, il cui obiettivo è il rinnovamento dell'arte in tutte le sue forme (letteratura, pittura, musica, ecc.). L’esigenza di modernità, finora a carattere individuale, diventa un un vero e proprio movimento, il modernismo. “Modernismo” è in realtà un termine ombrello sotto il quale vengono inclusi a loro volta più movimenti d’avanguardia relativi alle diverse forme d’arte, tra i quali cubismo, dadaismo, surrealismo, espressionismo. Proprio perché si tratta di un movimento assai variegato e ricco di sfumature, alcuni preferiscono parlare di “modernismi”. Il termine "modernismo" in realtà non era mai nominato direttamente dagli esponenti stessi del movimento. Appare per la prima volta nel 1927 in uno studio di Robert Graves e Laura Riding, A survey of modernist poetry, dove veniva usato come sinonimo di avanguardia sperimentale, per descrivere una poesia "difficile, impervia, oscura e totalmente disancorata dai modelli formali della tradizione”. Tuttavia il termine non si diffonde tra gli autori ed i critici dell'epoca, che parlavano piuttosto di modern sensibility. Solo a partire dagli anni Sessanta si inizierà ad usare il termine modernist per riferirsi ad una corrente artistica e letteraria che fiorisce all'inizio del Novecento, quando la sensibilità moderna dei singoli intellettuali diventa un movimento collettivo. Sorgono in questo periodo numerosi manifesti, contenenti le dichiarazioni d’intenti degli artisti, e riviste, che raccolgono le proposte artistiche e le sperimentazioni degli autori. Si distinguono due tempi della stagione modernista inglese: ● il periodo prebellico (circa 1907-1915), che si apre nel 1907 con la fondazione della Image School di Hulme, precursore dell’imagismo che avrà Ezra Pound come maggior esponente, comprende gli anni euforici ed esaltanti in cui sono state elaborate le premesse per il rinnovamento ed è perciò caratterizzato da toni accesi e decisi, volti alla negazione delle convenzioni. Verso la fine del periodo emerge il vorticismo, movimento di grande energia e dinamismo, ma di breve durata, di cui Lewis sarà il maggiore esponente letterario. ● il periodo postbellico (circa 1919-1939) prevede invece il consolidamento dei risultati acquisiti, con toni più contenuti ed il così detto rappel à l’ordre, ovvero il recupero delle forme e delle strutture tradizionali. Il 1922 è considerato l’anno più importante del modernismo inglese in quanto sono state pubblicate alcune pietre miliari come The Waste Land di Eliot e Ulysses di Joyce, oltre al primo romanzo sperimentale di Virginia Woolf, Jacob’s Room. Il periodo termina alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, anno in cui viene pubblicato un altro capolavoro, Finnegans Wake di Joyce. Il rapporto con la tradizione A differenza delle altre avanguardie europee, il modernismo inglese, pur segnando una discontinuità col passato, non ha mai interrotto il dialogo con la tradizione, la quale viene selezionata e letta in maniera critica. Persino la rivista BLAST, organo del vorticismo, richiama spesso i classici di Shakespeare, Swift e Blake. Ciò si oppone, ad esempio, all’approccio del futurismo italiano, che invece prevedeva una rottura più drastica con tutto ciò che è tradizionale. Nel modernismo inglese coesistevano quindi sia l’interrogazione del passato che la tensione verso il futuro. Il critico Harold Bloom, nel saggio The Anxiety of Influence (1973) sostiene l’impossibilità di cancellare ogni legame con la tradizione, poiché ciò significherebbe rinnegare la propria cultura: è invece necessario considerare la tradizione come termine di paragone per valutare e capire il presente. Per questo nelle opere moderniste la tradizione viene esplicitamente esibita nel testo tramite citazioni e richiami ad opere letterarie del passato. A tal proposito la psicanalista Julia Kristeva conia il termine “intertestualità” per indicare che ogni testo letterario è costituito attraverso l’assorbimento dei testi del passato, e costituisce a sua volta una base per i testi successivi. Eliot, nel suo saggio Tradition and the individual talent (1919), espone l'idea che, contrariamente a quanto si è soliti pensare, un autore (o artista) è da considerarsi innovativo tanto più è tradizionale. L'artista deve possedere un historical sense sia del passato sia del presente e deve essere valutato anche in relazione agli artisti del passato. Il cosmopolitismo e l’esperienza urbana Gli esponenti del modernismo inglese sono in maggioranza outsiders (hanno origine o radici non inglesi): Eliot e Pound sono americani, Yeats e Joyce irlandesi, Ford ha padre tedesco, ecc. Il cosmopolitismo delle loro radici spiega la loro insofferenza verso l’attaccamento alla tradizione e la loro apertura verso una cultura internazionale. La scrittrice americana Gertrude Stein, che visse la maggior parte della sua vita a Parigi, affermava che “gli scrittori devono avere due paesi, uno è quello a cui appartengono, l’altro quello dove vivono veramente”, mostrando un forte senso di appartenenza ad un luogo che non è quello in cui si è nati. Il contesto nel quale si sviluppa il progetto modernista è sicuramente quello urbano, poiché la città era ormai diventata il centro della vita culturale e dello scambio intellettuale. Tra le città europee simbolo della modernità abbiamo Berlino, Vienna, Mosca, San Pietroburgo, Parigi, ma soprattutto Londra, all’epoca la più grande e ricca capitale al mondo. Londra si proponeva come una civiltà urbana sofisticata, ricca di potenzialità, dinamica e funzionale, spazio ideale per l’emancipazione. Tuttavia, dalle impetuose trasformazioni dello spazio urbano deriva una crisi della sua rappresentazione: Londra, divenuta immensa, poteva essere rappresentata solo per frammenti, rivelando così una mancanza di continuità. Tale frammentazione ha ispirato la realizzazione delle epiphanies di Joyce e dei moments of being di Woolf. La descrizione della città moderna è ben diversa da quella realista fine-ottocentesca: subentra invece una visione più surreale, un miscuglio di strane individualità in una dimensione spazio-temporale indefinita. Un esempio è nella prima sezione di The Waste Land di Eliot in cui le persone che affollano Londra vengono paragonate ai dannati dell’inferno dantesco. Un nuovo modo di percepire la realtà Il modernismo ha favorito l’interazione tra varie espressioni artistiche, specialmente tra pittura e letteratura. A inizio Novecento sono state organizzate numerose mostre che mettono agli occhi del pubblico le sconvolgenti innovazioni dei pittori avanguardisti, i quali mostravano un modo diverso e astratto di cogliere la realtà. Uno dei momenti più importanti per la storia dell’arte contemporanea avviene nel 1910 quando il critico d’arte Roger Fry organizza una mostra sul post-impressionismo francese alle Grafton Galleries di Londra, con la quale introduce un nuovo stile che si allontana dalle precedenti espressioni artistiche per l’uso vivace di forme e colori. La mostra fu fortemente criticata per l’eccessiva emancipazione di quella nuova forma artistica, addirittura considerata per malati psichici. Questa rottura col passato è dovuta al fatto che gli strumenti dell’arte tradizionale ormai non rispondevano più alle esigenze della società contemporanea, a causa di una serie di cambiamenti avvenuti a cavallo tra Otto e Novecento. I recenti progressi nel campo della psicologia (la psicanalisi di Freud), della biologia (la teoria dell’evoluzione di Darwin) e della fisica (la teoria relatività di Einstein) hanno modificato radicalmente il modo di percepire la realtà. A ciò si aggiunge la teoria quantistica di Planck (1900), secondo la quale non esiste una realtà obiettiva della materia, ma un’insieme di osservazioni date di volta in volta da un individuo: in assenza di un individuo che osserva, non esiste una realtà, e dal momento che l’osservatore influenza direttamente ciò che è osservato, l’osservazione della realtà non può essere oggettiva. Altri cambiamenti, come la diffusione delle auto o del telefono, vanno a stravolgere e complicare anche la percezione dello spazio e del tempo. La letteratura, traendo spunto dalla pittura avanguardista, si avvia lungo la strada della sperimentazione. Ciò si nota ad esempio nei titoli delle riviste letterarie, i quali hanno un impatto visivo sempre più grande (es. BLAST, la rivista di Lewis, con un titolo a caratteri cubitali su sfondo magenta, provocatorio ed “esplosivo”). Uno dei concetti fondamentali che caratterizzano l’arte modernista è quello della simultaneità: tutto avviene contemporaneamente. Nella produzione letteraria, un modo per riprodurre la simultaneità del reale è la sinestesia, l'associazione espressiva tra due parole pertinenti a due diverse sfere sensoriali (es. “colori caldi”, associazione di vista e tatto). Molto diffusa era poi la tecnica del collage, un processo di decostruzione e ricostruzione che svincola la rappresentazione artistica dallo sguardo rigido di un’unica prospettiva e ci presenta invece una realtà frammentata e frammentaria. Come nelle arti visive esiste il collage, nella poesia viene sfruttata la tecnica della giustapposizione: frammenti di testi diversi per genere ed epoca che vengono posti l’uno di fianco all’altro senza che il legame tra essi venga esplicitato (es. The Waste Land). La giustapposizione verrà usata anche nel cinema con la tecnica del montage, ossia immagini montate in sequenza con un brusco passaggio tra l’una e l’altra, senza mostrare ciò che avviene tra le due immagini, ma lasciandolo intuire allo spettatore. La riflessione critica In ambito modernista, viene data un’importanza sempre maggiore alla critica artistica e letteraria: spesso gli artisti ed autori modernisti arricchivano le loro opere con delle riflessioni critiche sul “fare arte”. Fin dall’inizio del Novecento, è Eliot ad inaugurare una stagione di profonda riflessione critica che eserciterà una grande influenza fino agli anni Cinquanta. In opposizione alle critiche tardo romantiche, egli fa valere i concetti di impersonalità ed oggettività, oltre che decretare la necessità dell’analisi, del raffronto e della comparazione. Sulle orme della critica di Eliot, Richards fonda la Scuola di Cambridge, la quale ebbe come protagonisti Empson e Leavis. Essa ricercava una certa oggettività e professionalità della funzione critica, accentuandone l’esigenza di scientificità. In particolare, il testo viene percepito come un oggetto linguistico complesso, da spiegare analiticamente mediante una lettura ravvicinata, il close reading. Empson approfondisce il tema della polisemia del linguaggio poetico Auden Wystan Hugh Auden (1907-1973) è stato uno dei maggiori esponenti della poesia inglese degli anni Trenta. Le sue poesie d’esordio, Poems (1928 e 1930), annunciano una ripresa dei modelli premodernisti pur non abbandonando la sperimentazione, evidente dall’ampia gamma di modalità espressive utilizzate, recuperate dall’inglese antico e dalle ballate tradizionali. The Orators (1932), mescola prosa e poesia, e rappresenta l’analisi di una società scissa e in sfacelo. Da qui nasce la novità della poesia trentista: l’interesse per l’intervento e l’impegno ideologico e sociale. I trentisti sperano di poter trasformare la società ed invocano una concreta rivoluzione politica, utilizzando una “poesia impura” capace di fronteggiare al meglio la realtà. Altra caratteristica di Auden è l’interesse per la psicologia e per la rivendicazione degli istinti vitalistici, repressi dalla società industriale. Ad accomunarlo con altri trentisti, tra cui Forster, è anche la sua emarginata omosessualità (all’epoca perseguibile penalmente), la cui libera espressione è stata possibile soltanto dopo essere evaso dalla repressiva società inglese per rifugiarsi a Berlino. Thomas Dylan Thomas (1914-1953) nasce nel Galles, ma a vent’anni si trasferisce a Londra per lavorare come giornalista. Lì pubblica le prime raccolte, Eighteen Poems (1934) e Twenty-Five Poems (1936). La sua poetica è un flusso di immagini e ritmi contrastanti ed in continuo mutamento, volti a rappresentare l’energia creativa e distruttiva di un universo multiforme e contraddittorio. Fondamentale è la presenza del corpo che, con un linguaggio metaforico e ricco di simboli religiosi, sfrutta tutti i sensi per esprimere le sue sensazioni fisiche ed emozioni. La poesia di Thomas, che richiama per certi aspetti la tradizione dei poeti metafisici e del surrealismo, deve il suo successo al fatto di trattare la forza istintiva delle emozioni, suscitate dal paesaggio e dalle memorie della cultura gallese. Scrisse anche delle opere in prosa, come Portrait of an Artist as a Young Dog (1940, allusione all’opera di Joyce). III. La narrativa Il modello del romanzo realista tardo vittoriano, ambientato in una realtà ormai arretrata, semplice e provinciale, non è adeguato a descrivere la civiltà contemporanea. La perdita di fiducia in un mondo oggettivo, che adesso appare evanescente ed enigmatico, spinge gli autori del primo Novecento alla ricerca di una nuova forma di narrazione. Anche l’introduzione del romanzo russo sulla scena inglese, tra fine Ottocento e inizio Novecento, contribuisce a scuotere l’ottuso realismo tardo vittoriano. Inoltre la realtà contemporanea, profondamente mutata e problematica, non può essere contenuta nell’intreccio convenzionale del romanzo e non può essere raccontata da un narratore onnisciente: per cogliere appieno la complessità del reale è necessario affidare la narrazione a una molteplicità di punti di vista. Non si tratta più di rappresentare una realtà oggettiva ed esterna al personaggio, ma di concentrarsi invece sulla soggettività individuale, sulle emozioni e su come tale realtà viene percepita. A tal proposito si sfrutta la capacità espressiva del monologo interiore, che permette al lettore di “entrare” nella mente del personaggio, le cui idee vengono riportate fedelmente. Lo scrittore e critico statunitense Henry James (fratello dello psicologo William James che ha coniato l’espressione stream of consciousness, il flusso del pensiero) nel suo saggio Art of fiction (1884) afferma che una realtà ormai così frammentaria e mutevole non può che essere rappresentata attraverso una narrativa a sua volta frammentaria. A dare un importante contributo è anche la pubblicazione, da parte della Hogarth Press (casa editrice fondata da Leonard e Virginia Woolf), de L’interpretazione dei sogni (1899) di Freud, uno studio dell’inconscio, ovvero dell’insieme degli impulsi non percepiti dalla razionalità umana che si manifestano tramite sogni, lapsus, dimenticanze, ecc. In particolare egli identifica il sogno come un fenomeno psichico che consiste nella realizzazione dissimulata (non trasparente) di un desiderio. Freud si avvale di una tecnica di associazioni libere, tecnica che poi i romanzieri tenteranno di riprodurre nelle loro opere. Importante è la distinzione fra i termini novel e romance, in quanto il primo indica un romanzo realista, mentre il secondo narra storie fantastiche ed eroiche, con un alone di mistero e situazioni irrealistiche. Caratteristiche del romanzo modernista sono le aperture “all’improvviso”, che fanno sì che il lettore si trovi immediatamente immerso nel flusso dell’esperienza dei personaggi, e dei finali aperti o ambigui che permettono al lettore di dare una propria interpretazione sul destino dei personaggi. Conrad Joseph Conrad (1857-1924), nato in Ucraina da genitori polacchi, cresce in Russia e in Polonia, per poi intraprendere la carriera da marinaio prima nella marina mercantile francese e poi in quella inglese. Dopo la pubblicazione del primo romanzo, Almayer’s Folly (1895), si stabilì in Inghilterra. Le sue opere ripropongono le atmosfere e gli insegnamenti della sua lunga esperienza marinara, collocandosi in un universo prettamente maschile. In Heart of Darkness (1899), afferma infatti che le donne vivono in un mondo ideale tutto loro, lontano dai problemi di quello reale, da cui gli uomini devono proteggerle. Molte delle sue storie si svolgono nei territori coloniali e nei mari che li congiungono, vedendo il colonialismo in un’ottica di riflessione critica. Il protagonista di Heart of Darkness è Kurtz, un europeo mandato come “portatore di civiltà” in Congo, dove però si perde e muore: il “cuore di tenebra” è infatti quello dell’uomo civilizzato che, lasciato solo in un mondo primitivo, si abbandona alla parte più istintiva e selvaggia di sé. Le storie narrate da Conrad sono lontane dall’animo dei modernisti, ma come loro, egli afferma la difficoltà del romanzo di dare immagine ad una realtà così disgregata e mutevole. Typhoon (1902) parla di un capitano che conduce alla salvezza la nave ed il suo equipaggio da una forte tempesta, ma poiché egli ha soltanto compiuto il suo dovere, non riceverà alcuna ricompensa. Ford Ford Madox Ford (1873-1939) è nato in Inghilterra, dove tra 1908 e 1909 dirige la rivista letteraria English Review, avendo già all’attivo i romanzi della trilogia The Fifth Queen (1906-1908) e numerosi saggi. Dalla sua particolare attenzione verso la pittura derivano da un lato la riflessione sulla crisi della rappresentazione e dall’altro la critica rivolta al romanzo inglese tradizionale, che secondo lui, oltre ad essere inadeguato alla società contemporanea, manca anche di forma. The Good Soldier (1915), ambientato alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, nasce come tentativo di “non narrare, ma rendere impressioni” e ciò è attuato con l’utilizzo di molteplici punti di vista, del time shift (sbalzi di tempo) e della progression d’effet (manipolazione della narrazione al fine di mantenere una certa intensità e drammaticità). Lewis Wyndham Lewis (1882-1957) scrittore e pittore nato in Canada da padre americano e madre britannica, fu educato in Inghilterra per poi avere un lungo periodo di istruzione a Parigi, con tappe anche a Madrid e a Monaco, esperienza che lo rende decisamente cosmopolita. I racconti di Wild Bodies (scritti tra 1909 e 1911, rielaborati nel 1927), pur essendo stilisticamente immaturi, sono ideologicamente importanti. Ambientati in una società primitiva della Bretagna, hanno come protagonisti dei personaggi emarginati: a Lewis infatti non interessava l’incorrotta civiltà industriale, era affascinato dallo spirito primitivo ed anarchico che anima questi imprevedibili disadattati. Nonostante nel periodo prebellico fosse il maggiore esponente del vorticismo (nonché fondatore della rivista BLAST), nella produzione postbellica aderisce al rappel à l’ordre e abbandona gli sperimentalismi più arditi, pur non eliminandoli del tutto. The Apes of God (1930) è un romanzo satirico in cui l’autore prende a bersaglio la cultura Bloomsbury, a cui si opponeva anche sul piano politico essendo un simpatizzante del nazismo. Lawrence David Herbert Lawrence (1885-1930), inglese, entra in contatto con l’ambiente letterario londinese grazie a Ford, che pubblica alcune sue poesie nel English Review. Pubblica i primi romanzi, The White Peacock (1911) e The Trespasser (1912), in cui emergono già quelli che saranno i temi ricorrenti della sua narrativa: l’antagonismo tra istinto e ragione, il conflitto tra natura e civiltà industriale, il rapporto problematico tra i due sessi e l’esaltazione delle passioni contro le soffocanti convenzioni borghesi. A partire dal 1913-14, rigetta il modello tradizionale di romanzo che prevede lo sviluppo e la risoluzione di un intreccio ed abolisce il narratore onnisciente. In The Rainbow (1915) e Women in Love (1920) Lawrence dà un’immagine della società inglese tra fine Ottocento e inizio Novecento, in particolare la perdita della comunità contadina col progredire della civiltà industriale e tecnologica. L’unica via per una possibile restaurazione sociale è secondo lui quella dell’eros, che appare nei suoi romanzi privo di oscenità e carico di valenze religiose e metafisiche. La Prima Guerra Mondiale lo costringe a soggiornare in Inghilterra in un drammatico isolamento. Dopo il conflitto avvierà una serie di pellegrinaggi che lo spingeranno sempre più lontano dall’Europa, finchè la salute cagionevole non lo obbligherà a rientrare e stabilirsi a Scandicci. Contro la decadenza della civiltà occidentale, inizia a vedere una speranza di rinascita nelle figure-leader ed invoca una distinzione dei ruoli in cui la donna è sottomessa all’uomo. Tali posizioni attirano verso di lui la critica femminista e accuse di fascismo (per cui inizialmente simpatizza, ma poi rigetta). Sketches of Etruscan Places (1932) documenta la riscoperta di una civiltà in contatto con l’arcano, armonicamente integrata con la natura e rispettosa delle diversità delle singole comunità. Lawrence crede infatti in una resurrezione dal basso, alla riscoperta del proprio essere primitivo, nel rispetto per l’autonomia dei luoghi e delle comunità che li abitano. Joyce James Joyce (1882-1941) nasce a Dublino da una famiglia medio-borghese cattolica, molto devota e con problemi finanziari. Si iscrive al prestigioso Clongowes Wood College, ma deve abbandonare gli studi per proseguire al più modesto Belvedere College, entrambe scuole erette dai gesuiti. Si laurea in lingue moderne allo University College, università cattolica di Dublino. Durante il periodo universitario Joyce inizia ad espandere i propri orizzonti leggendo opere di vari autori europei come D'Annunzio, Flaubert, Ibsen, ecc. Mentre in Irlanda si stava sviluppando, anche grazie all'influenza di Yeats, un interesse per le tradizioni, le leggende ed in generale la cultura celtica originaria del paese, Joyce, al contrario, mostrava insofferenza verso il provincialismo ed uno spiccato interesse per le altre lingue e culture. Nel 1902 si reca a Parigi per studiare medicina, ma l’anno seguente, a causa della malattia e della morte della madre, rientra a Dublino ed inizia a scrivere il romanzo autobiografico Stephen Hero che vedrà la luce col titolo A Portrait of the Artist as a Young Man (1914-1915), poi ripubblicato postumo in versione e con titolo originale (1944). Nel 1904 incontra la cameriera Nora, che diventerà la sua compagna di vita, e con lei pianifica una fuga dall’Irlanda, che terminerà lo stesso anno a Trieste. Nel 1905 nasce il figlio Giorgio, e successivamente, nel 1907 la figlia Lucia. Nel 1906 si trasferisce per 7 mesi e 7 giorni a Roma, città che non piacque a Joyce, ma nella quale scrisse diversi racconti. Durante il periodo a Roma, Joyce pubblica la sua prima raccolta di poesie Chamber Music (1907), 36 liriche che ricordano una sequenza musicale, per ritmo e ricorrenza di temi. In una lettera al fratello Stanislao, Joyce esprime il desiderio che qualcuno metta in musica le sue poesie, cosa poi effettivamente avvenuta nel 1909. Torna a Trieste e vi rimane fino al 1915, quando lo scoppio della guerra lo costringerà a trovare rifugio a Zurigo. A questi anni risalgono anche molte delle sue epifanie, delle quali ce ne restano solo 40 su 70 circa, ed alcuni racconti che confluiranno poi in Dubliners (1914). Nel 1915 il fratello Stanislao viene internato in Austria, ma Joyce riesce ad ottenere un lasciapassare per liberarlo in Svizzera. Il testo teatrale Exiles (1918) verrà messo in scena in tedesco a Monaco di Baviera, lo stesso anno della pubblicazione. Nel 1920 si trasferisce a Parigi, dove conosce, grazie a Pound, Sylvia Beach, proprietaria dell’importante libreria Shakespeare & Co., la quale si improvvisa editrice e pubblica Ulysses (1922). Per i successivi 16 anni si dedica alla stesura di Finnegans Wake (1939), un’esplorazione delle potenzialità della parola, scritto in una miscela caotica di quasi tutte le lingue a lui conosciute. Joyce inizia poi a soffrire di una grave malattia agli occhi che lo porterà alla cecità; in questo periodo detta ai suoi aiutanti (uno di loro è Beckett) le opere da scrivere. Pubblica Pomes Penyeach (1927), raccolta che comprende 13 componimenti legati a Trieste, il cui titolo è un gioco di parole tra gli omofoni pomes/poems (“pomi/poemi da un penny ciascuno”) e di cui il tema principale è la perdita (della vista, della vita, della fede, ecc.). I componimenti di Pomes Penyeach hanno un carattere più privato rispetto a quelli di Chamber Music e risalgono al periodo 1904-1924. Alcune date e luoghi citati nella raccolta sono significativi poiché rimandano a dei particolari avvenimenti nella vita di Joyce. Dubliners, è composto da 15 racconti, 14 brevi e uno lungo. I racconti, in sé autonomi, fanno parte di un’unica struttura che rappresenta vari aspetti di vita: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica. I singoli racconti sono legati insieme dall’ambientazione, dalla tecnica espressiva e da ricorrenze tematiche (fuga, paralisi, ecc.), ed evocano tutti un mondo di frustrazioni e fallimenti, di stagnazione ed impotenza da cui è impossibile fuggire. A Portrait of the Artist as a Young Man ha come tema quello della fuga, ed esplora la maturazione graduale del giovane artista Stephen seguendolo dall’infanzia, all’adolescenza, alla giovinezza. Mentre nella versione originale, Stephen Hero, era evidente l’identificazione di Joyce con Stephen, nel Portrait il rapporto col protagonista è più distanziato ed impersonale, pur mantenendo dettagli autobiografici. Ulysses è stato inizialmente concepito nel 1906 come un racconto da aggiungere a Dubliners, ma nel 1914 diviene progetto di un romanzo autonomo. Ciascuno dei 18 capitoli che lo compongono si ricollega ad un episodio dell’Odissea che viene dissacrato e parodizzato: l’erranza di Ulisse diventa quella dell’ebreo Leopold Bloom nelle strade, nei pub e negli ambienti di Dublino. L’innovazione maggiore è quella del flusso di coscienza (stream of consciousness), differente per ogni personaggio e capace di esprimere al meglio la discontinuità ed eterogeneità del modernismo. Finnegans Wake (il titolo riprende quello di una ballata tradizionale irlandese), che spinge all’estremo la sperimentazione di Joyce, vuole rappresentare, attraverso la storia di una famiglia irlandese, la storia dell’intera umanità. L’enigmaticità e la mutevolezza degli eventi sono resi attraverso una narrazione labirintica, contro la quale sono state espresse diverse critiche sia da Lewis che da Pound. Verrà poi pubblicato postumo Giacomo Joyce (1968), mantenuto fino alla pubblicazione in un manoscritto in bella copia, composto da otto fogli da disegno grandi, non rilegati, scritti fronte-retro e privi di numerazione (è stato mantenuto l’ordine in cui sono stati trovati), contenuti in una copertina di quaderno con sopra l’etichetta Giacomo Joyce (nome con cui era noto come docente a Trieste). Il testo è intervallato da ampi spazi bianchi e contiene parti narrative, autobiografiche e di saggio, per cui non è possibile identificarne il genere. Le vicende sono ambientate a Trieste e riguardano la storia di un giovane insegnante infatuato di una sua allieva (cosa probabilmente accaduta a Joyce stesso). Il critico letterario Melchiori, nel suo saggio Joyce: il mestiere dello scrittore (1994), approfondisce l'argomento delle epifanie di Joyce citando un passo di Stephen Hero in cui il protagonista, passando accanto a due persone, un ragazzo ed una ragazza, capta un frammento del loro dialogo da cui riceve "un'impressione così acuta da colpirlo" (in realtà la stessa cosa era accaduta anni prima a Joyce stesso). Come spiegato nello stesso passo, le epifanie rappresentano attimi brevissimi ed evanescenti di “un’improvvisa manifestazione spirituale". Questo tipo di Theatre, che inaugurò il revival del poetic drama. Tale genere teatrale si contraddistingue generalmente per l’uso di elementi poetici, come i dialoghi in versi ed un linguaggio elevato. Tra i drammi di Yeats spiccano quelli a intonazione politica come Where There is Nothing (1902) scritto con Lady Gregory e poi riveduto con un fitto uso di immagini bibliche in The Unicorn from the Stars (1908), e quelli con valenze patriottiche come The Countess Cathleen (1892). A partire dal 1915, si affascina al teatro arcaico giapponese del Nō, dal quale riprende le componenti anti-mimetiche, ritualistiche e astratte, espresse attraverso suoni, canti e danze. La sua opera più rappresentativa di questo stile è Four Plays for Dancers (1921). La rottura più netta con le convenzioni teatrali tradizionali è quella attuata da Lewis. Enemy of the Stars (1914), pubblicata lo stesso anno su BLAST, dimostra il tentativo di applicare alla scrittura la rivoluzione astratta introdotta dal modernismo pittorico. Tuttavia l’opera era irrappresentabile a causa della sua struttura frammentaria e dell’abolizione di azione e dialogo. Auden si fece promotore di un teatro politico, il quale, avvalendosi delle tecniche del teatro espressionista, vuole dare risalto all’analisi sociale. Tale messaggio, tuttavia, perde spesso efficacia e credibilità, scivolando nell’intrattenimento: delle sue opere rimangono infatti godibili solo i risvolti parodistici e le canzonette. Tra le sue opere principali abbiamo The Dog Beneath the Skin (1935). L’esperimento teatrale di Eliot inizia con uno stile che mescola tonalità o argomenti effimeri a temi profondamente seri, come in Sweeney Agonistes: Fragments of an Aristophanic Melodrama (1932), con una situazione banale da commedia leggera che muta poi in tragedia. Le opere seguenti, come Murder in the Cathedral (1935), si rifanno invece al modello delle sacre rappresentazioni. Si cimenta poi nella scrittura di moderne commedie drammatiche con elementi di ritualità e mito e con una forma metrica molto simile alla prosa, tra le quali The Family Reunion (1939). Tuttavia queste commedie, nelle quali spesso scarseggia l’azione, ottengono risultati deludenti, poiché più adatte ad un pubblico ristretto di fedeli piuttosto che all’audience laica del teatro. Coward Noel Coward (1899-1973) ebbe il suo primo successo con un dramma, The Vortex (1924), ma deve la fama alle sue commedie leggere, con trame eleganti e spregiudicate, che ebbero maggior successo tra gli anni Venti e Quaranta. Tra le più celebri spiccano Private Lives (1930) e Hay Fever (1925). Dopo un’assenza negli anni Cinquanta, in cui la scena teatrale inglese si allontanava dal suo universo frivolo e mondano, le sue commedie riprendono quota negli anni Sessanta. Importante fu anche la sua produzione di musical, tra i quali Bitter Sweet (1929) e Cavalcade (1931). Pur avendo come obiettivo l’upper-middle class, dimostra un atteggiamento critico ed ironico verso i valori convenzionali dell’establishment (la classe dirigente). Beckett Samuel Beckett (1906-1989), dopo aver completato gli studi al Trinity College di Dublino, si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con Joyce, dalle cui sperimentazioni trae ispirazione. Prima del teatro, Beckett si dedica alla poesia con opere come Whoroscope (1930), e alla narrativa, sia in inglese (es. Murphy, 1938) sia in francese (es. L’innomable, 1953). Inizialmente nei suoi romanzi prevalgono i toni della satira, come in Murphy in cui il protagonista, per sfuggire al mondo reale, si rifugia in un mondo immaginario, dal quale alcuni cercheranno invano di distoglierlo; dopo il suicidio, le sue ceneri finiranno per un disguido sul pavimento di un pub di Londra. L’esperimento successivo lo porta alla creazione di Mercier et Camier (1970), la prima di una lunga serie di pseudo coppie formate da due personaggi opposti e complementari, i quali intraprenderanno un viaggio ricco di situazioni assurde. Qui la caratterizzazione psicologica è assente e lo stile appare freddo e distaccato, ma l’abbondanza di dialoghi e il ritmo sostenuto si avvicinano quelli delle sue pièces teatrali. Il punto di svolta nei romanzi di Beckett è costituito da Watt (1953), in cui sono evidenti la dissacrazione della logica narrativa e la disgregazione del personaggio: la narrazione è affidata al monologo di un “io” che si dissolve gradualmente in un contesto di accadimenti che si manifestano come frammenti insensati. Per avere uno stacco dalla sua narrativa problematica, Beckett si rivolge al teatro: la forma teatrale gli offre la possibilità di mettere in scena i suoi personaggi riacquisendo così quella concretezza che nei suoi romanzi era andata perduta. Caratteristica della sua produzione teatrale è la comicità nonsense, messa in atto in scene di vita quotidiana dal tempo e luogo indefiniti, tramite gags, movenze da marionetta e comiche da cinema muto. Celebre è il dramma Waiting for Godot (1955), i cui personaggi tentano invano di fuggire da una condizione di perenne attesa, ma i loro dialoghi e le ricorrenti situazioni tragi-comiche non fanno altro che confermare l’inevitabilità del loro destino angoscioso. Beckett intraprende poi un percorso di voluto minimalismo che porterà i discorsi a farsi silenzio, i gesti a bloccarsi e la forma drammatica a trasporsi in immagini. In questo periodo compone dei brevi drammi, che lui chiama dramaticules, tra i quali Come and Go (1966), Not I (1972) e That Time (1976). Il secondo Novecento I. Il postmodernismo Il postmodernismo si sviluppa nella seconda metà del Novecento e coinvolge tutte le forme d'arte, non solo la letteratura. Il termine è entrato in circolazione verso gli anni Settanta, partendo dalle accademie degli Stati Uniti. Il critico americano Jameson ha definito il periodo postmoderno come uno spartiacque che divide il modernismo dal periodo contemporaneo, largamente influenzato dalla tecnologia, dal materialismo e dai mass media. Già a partire dal secondo dopoguerra, gli artisti e gli autori hanno iniziato a manifestare una certa insofferenza verso le forme del modernismo: gli autori postmoderni, infatti, non si riconoscono in un particolare movimento e rinunciano alla creazione di programmi e manifesti. Mentre gli autori modernisti cercavano, attraverso la frammentazione, di ricostruire con un ordine nuovo schemi e valori andati perduti, per gli autori post-modernisti gli antichi valori non possono essere recuperati e non si può dare un ordine nuovo alla realtà. Una conseguenza del disordine caratteristico del post-modernismo è la cancellazione delle gerarchie e dei confini tra un genere e l'altro: i vari generi letterari si influenzano tra loro ed il linguaggio letterario viene contaminato dal linguaggio della comunicazione di massa (pubblicità, cinema, musica, ecc.). Non vi è più una distinzione netta tra arte alta ed arte bassa e nella produzione letteraria vengono inseriti temi e soggetti prima non ritenuti abbastanza "artistici". II. Il romanzo Un nuovo realismo Nella seconda metà del Novecento la forma narrativa riprende impulso dalla tradizione, adottando un realismo con tratti tardo simbolisti e tardo modernisti. Si afferma così una forma di realismo eclettico, aperto a varie sollecitazioni, che spesso interagisce con la scrittura sperimentale. Gli autori che esordiscono negli anni Cinquanta hanno tutti in comune un legame con la tradizione del romanzo sociale e un’ottica ristretta che predilige ambienti e caratteri locali. Ciascuno di loro offre una propria versione della relazione tra reale e fittizio, sapendo conciliare il realismo con la favola, la fantascienza, l’allegoria, la satira ed il metaromanzo. La commedia sociale Nel secondo dopoguerra, si fa strada una nuova generazione di scrittori attenti ai mutamenti sociali, alla meritocrazia, all’affermarsi del materialismo e del consumismo. Angus Wilson (1913-1991), nelle sue prime due raccolte di racconti, The Wrong Set (1949) e Such Darling Dodos (1950), descrive in modo satirico il nuovo clima sociale del dopoguerra. Nelle ultime opere, come Setting the World on Fire (1981), il realismo tradizionale cede il passo all’allegoria e alla favola morale. Iris Murdoch (1919-1999) identifica la propria ascendenza letteraria nel filone ottocentesco del realismo inglese e russo e nell’indagine della coscienza individuale. Le trame dei suoi romanzi, tra i quali The Unicorn (1963), The Italian Girl (1964) e An Accidental Man (1971), sono ricche di rimandi culturali tratti dalla mitologia, dall’arte e dalla letteratura, oltre che da elementi melodrammatici (delitti, incesti, suicidi, ecc.). Kingsley Amis (1922-1995) esordisce col romanzo Lucky Jim (1954), una satira del sistema accademico, in cui il protagonista, proveniente dalla piccola borghesia, aspira a far parte del ceto accademico, ma non vi riesce poiché non perde occasione di ridicolizzare la vanità del suo professore. Amis dimostra una grande abilità nei giochi verbali e nel riprodurre le cadenze della lingua parlata. Scrittura come impegno sociale Doris Lessing (1919-2013), nata in Persia e cresciuta nello Zimbawe, si trasferisce all’età di trent’anni a Londra. A distinguerla nella scena letteraria inglese sono la mancanza di istruzione accademica, il background coloniale e l’impegno politico di sinistra. Nel saggio A Small Personal Voice (1950) dichiara la sua ascendenza letteraria nel realismo ottocentesco, la scelta del marxismo e l’interesse per le minoranze sociali oppresse ed emarginate. Il successivo allontanamento dal marxismo, l’entusiasmo per le religioni esoteriche e per la scrittura fantascientifica dimostrano una posizione ideologica in continua evoluzione e sperimentazione. Le sue opere spaziano da romanzi realistici come la serie Children of Violence (1952-1969), postmoderni e apocalittici come The Golden Notebook (1962) e fantascientifici come la serie Canopus in Argos: Archives (1979-1983). Ciò che resta costante nelle sue opere è il tentativo di collegare la coscienza individuale di un personaggio, solitamente femminile, con le problematiche del mondo attuale. In The Golden Notebook la protagonista, la scrittrice Anna, mette in discussione un modello di rappresentazione letteraria sentito come obsoleto, finché la sua esperienza non la conduce verso la disintegrazione della psiche e di conseguenza uno stato di follia. John Berger (1926-2017) ha dato espressione ad un realismo sociale non convenzionale, aperto alle sperimentazioni e con una forte passione civile e politica. G. a Novel (1972) è un romanzo storico ambientato tra fine Ottocento e inizio Novecento, caratterizzato dal largo uso di metafore, associazioni di idee e una tecnica di montaggio simile al collage, in cui l’autore spezza continuamente il flusso narrativo delle vicende dei personaggi per commentare il contenuto storico degli eventi. Con la trilogia Into their Labour (1979-1989) Berger torna ad una scrittura più realistica, pur senza rinunciare alla sperimentazione e all’alternanza di linguaggi, narrando le vite degli esclusi dalla società (emigrati, rifugiati politici, emarginati, ecc). Scrittori dalle province Alla fine degli anni Cinquanta, un gruppo di scrittori provenienti dalle province del nord rivelò l’esistenza di una cultura diversa da quella metropolitana e medio-alto borghese. Con i loro protagonisti, figli della piccola borghesia o del ceto proletario e animati da un senso di disagio e rabbia nei confronti dell’establishment, sfatarono alcuni luoghi comuni diffusi in quegli anni, come il benessere di tutti e la scomparsa delle stratificazioni sociali. Uno di loro è Alan Sillitoe (1928-2010), di Nottingham, con Saturday Night and Saturday Morning (1958), racconta la storia di Arthur, operaio ben retribuito, che cova una rabbia nascosta, sintomo delle frustrazioni e delle ingiustizie subite dalla sua classe per generazioni. Sillitoe utilizza il dialetto per rappresentare l’ambiente proletario, come in The Loneliness of the Long-Distance Runner (1959), in cui un ragazzo rinchiuso in un carcere minorile rifiuta di vincere una gara di corsa a cui è stato allenato per non fare il gioco del direttore del carcere. John Braine (1922-1986), dello Yorkshire, abile a descrivere gli impulsi ed i bisogni dei suoi giovani protagonisti, che col romanzo Room at the Top (1957) narra la storia di Joe, un giovane al primo impiego che odia la classe a cui appartiene e punta all’ascesa sociale. David Storey (1933-2017), dello Yorkshire, in This Sporting Life (1960) racconta di Arthur, un giovane operaio giocatore di rugby, cui un fortunato ingaggio procura improvvisa fama e ricchezza, ma lo allontana dalla famiglia e lo rende incapace di stabilire un rapporto con gli altri. Moralisti e visionari Graham Greene (1904-1990) si divide tra un forte senso religioso che lo avvicina alla tradizione ottocentesca e la capacità di trattare temi della storia contemporanea come un reporter, che lo rende modernista. Dai primi racconti cattolici, passa infatti ad un fase di ispirazione politica con romanzi che offrono una cronaca dei principali conflitti dell’epoca osservati da una salda posizione morale improntata a dire la verità e combattere l’ingiustizia. I suoi protagonisti sono angosciati da dubbi e ricordi, in fuga da se stessi e dal mondo. Greene ci presenta esseri umani segnati dalla fragilità e dall’incertezza, inizialmente governati da indifferenza ed egoismo, ma che riescono infine a battersi per ciò in cui credono. Mostra inoltre un certo antiamericanismo, opponendosi a chi sosteneva le dittature dei paesi latino americani, soprattutto nei romanzi del dopoguerra ambientati in Indocina, Cuba, Haiti. William Golding (1911-1993), premio Nobel nel 1983, deve la sua fama al romanzo d’esordio Lord of the Flies (1954) che parla di un gruppo di ragazzi naufragati su un’isola deserta del Pacifico. Rilevante è il suo interesse per l’archeologia, in particolare per l’Egitto e l’antica Grecia, due mondi che mette in opposizione: il razionalismo e la luce della cultura greca contro il mistero e l’oscurità di quella egizia. Golding considera l’uomo come un essere dominato da forze malvagie e condannato alla solitudine, una visione ben diversa da quella cristiana ortodossa. Muriel Spark (1918-2006), scozzese, comincia a scrivere negli anni Cinquanta, dopo la sua conversione al cattolicesimo. Nei suoi romanzi emergono l’eterna lotta tra il bene ed il male ed una tendenza ad accompagnare il tema morale alla vena surreale e fantastica. Costante nei suoi romanzi è l’analogia tra l’autore e Dio, entrambi creatori di un mondo popolato di individui che sono allo stesso tempo liberi e controllati, e talvolta i suoi personaggi si ribellano al potere autoriale. Il suo tono è distaccato ed emotivamente controllato, fino a sfociare nella crudeltà e nell’indifferenza che caratterizza le ultime opere: Symposium (1992) e Reality and Dreams (1996). Parodie e pastiches metanarrativi Parallelamente al filone realistico, si è sviluppato nel romanzo inglese anche quello incentrato sul linguaggio e sulla forma narrativa stessa. Dalla fine degli anni Cinquanta, ma soprattutto a partire dai Sessanta, aumentano gli scrittori che vedono il proprio lavoro come la ricerca incessante di nuove forme e linguaggio, al fine di trovare un’alternativa al realismo sociale che soffoca le potenzialità della narrazione. La parodia del romanzo e il pastiche metanarrativo diverranno pratiche sempre più diffuse, con la consapevolezza che la scrittura non è altro che un’incessante ripetizione e che è impossibile sottrarsi al peso della tradizione. Lawrence Durrell (1912-1990), con uno stile che si rifà alla tradizione barocca (controcorrente rispetto al linguaggio impoverito dei suoi contemporanei), presenta un universo dalle coordinate spazio-temporali mutevoli ed un narratore autoriflessivo che, presentando una molteplicità di punti di vista, rifiuta di dare un quadro oggettivo e completo del mondo. piccole dosi di romanticismo e ironia. Il distacco ideologico dalle generazioni precedenti fa emergere nelle loro opere un elemento di denuncia nei confronti degli atteggiamenti bizzarri del Bloomsbury Group e dei modernisti. Philip Larkin (1922-1985) dedica Born Yesterday (1954) alla figlia neonata dell'amico Amis, manifesto di una scelta di vita minima e antieroica, in cui indica alla piccola la strada verso semplicità e normalità. Perenne nella poetica di Larkin è la convinzione che non esista vita ultraterrena (generando forme di pessimismo venato d'ironia) e la ricerca di qualcosa di duraturo da sostituire alla religione e che egli pare identificare nei rituali della natura, in quelli sociali e familiari. Thom Gunn (1929-2004) dimostra caratteri di vitalismo e trasgressione ed un’attrazione per vite dominate da irrequietezza e protesta esistenziale, già dalla prima raccolta The Sense of Movement (1957). Temi centrali della sua poesia sono la violenza, l’omosessualità, il sadomasochismo, la droga e la musica pop e rock. Nelle raccolte successive il tema della violenza comincia ad attenuarsi per lasciare spazio alla ricerca di se stesso. Dolore e misticismo Parallelamente al Movement si sviluppa un altro filone poetico, quello di Hill e Hughes, i cui versi, banditi dall’ambientazione domestica e ricchi di lacrime e sangue, riacquistano orrore e vigore. Temi costanti nella poesia di Geoffrey Hill (1931-2016) sono la morte e il dolore, fin dalla prima raccolta For the Unfallen (1959), con un contenuto esplicitamente religioso ed una forma volutamente lontana da quella dei contemporanei. Ricorrenti nelle sue poesie sono figure mitiche misteriose, dall’aurea enigmatica, cui il poeta dà voce. Ted Hughes (1930-1999) inserisce nelle sue poesie figure di animali carichi di valenze simboliche, guidati da istinti e pulsioni primordiali, all’insegna di un individualismo sfrenato. Importante è anche il confronto con le forze della natura, la cui presenza è sia salvifica che minacciosa. In uno dei componimenti della raccolta The Hawk in the Rain (1957) il poeta descrive l’incontro e l’avvicinamento ideale tra un uomo e una donna come quello tra due lupi. Nelle raccolte successive, cariche di mistero ed irrazionalità, confluiscono tradizioni mistico-religiose esotiche ed esoteriche. L’ultima raccolta Birthday Letters (1998) contiene 88 poesie dedicate alla moglie, morta suicida, in un intenso colloquio postumo in cui rivive dolore, rancore, nostalgia, gelosia, intimità e distanza. Heaney Seamus Heaney (1939-2013), con la sua prima raccolta Death of a Naturalist (1966), dà inizio alla cosiddetta Northern Irish Renaissance. Nelle sue opere fa emergere il forte senso di appartenenza alla cultura contadina, solido nucleo di memorie e tradizioni. Il suo obiettivo è quello di riportare alla luce la civiltà irlandese, rimasta sotterrata dalla storia. Sono molte le influenze che si fondono nella sua poesia: da Dante, presente soprattutto in Field Work (1970) dove Heaney dà una sua interpretazione dell’episodio del conte Ugolino (denuncia nei confronti di una patria i cui abitanti si divorano a vicenda), ai poeti russi degli anni Venti e Trenta e quelli polacchi del secondo dopoguerra. Riceve il premio Nobel nel 1995. Harrison Tony Harrison (1937) nasce a Leeds, nello Yorkshire da una famiglia proletaria. La sua origine e gli studi universitari di lettere antiche contribuiscono a dare al suo linguaggio sia le inflessioni dialettali, sia forme linguistiche colte. La prima raccolta, The Loiners (1970), nome degli abitanti di Leeds, si caratterizza per la molteplicità di registri impiegati, che prediligono toni comici e grotteschi, oltre all’utilizzo del black humor. Le tematiche affrontate hanno carattere sociale e politico, come la liberazione sessuale, la bomba atomica e il colonialismo. Altri temi affrontati nelle sue opere sono lo sradicamento dalla famiglia e la sofferenza della classe operaia. La poesia narrativa Si sviluppa negli anni Ottanta e Novanta un nuovo genere di poesia narrativa che tratta degli scenari internazionali delle guerre contemporanee, non raccontandoli in maniera diretta, ma in contesti e prospettive particolari che spingono il lettore a fare ipotesi sulla base di indizi e tracce frammentarie: è un genere che finge di rivelare ma in realtà nasconde, finge di confessare ma inganna. Un esempio è la produzione di James Fenton (1949), soprattutto a seguito della sua esperienza come giornalista di guerra. La guerra è infatti tema centrale di The Memory of War and Children in Exile (1983), le cui voci narranti sono quelle di antropologi, giornalisti o bambini. Il successivo Out of Danger (1993) aggiunge una vena comica e dissacrante all’osservazione degli eventi accaduti in tempo di guerra nelle Filippine, alternando liriche d’amore, poesie di guerra e nonsense. Alla base delle composizioni di Andrew Motion (1952) ci sono episodi della storia inglese, della Seconda Guerra Mondiale e della fine dell’impero britannico, come nel lungo monologo Independance (1981) che parla di un uomo d’affari tornato in India dove la giovane moglie è morta di parto in sua assenza. Voci di donne Significativa negli ultimi decenni del Novecento è la presenza di poetesse con un background culturale misto, che si riflette nelle loro poesie con temi come l’alienazione, l’identità, la nostalgia della terra d’origine, ma anche con l’inserimento di termini dialettali o della lingua madre. Tra loro c’è Liz Lochhead (1947), scozzese,che esordisce con la raccolta Memo for Spring (1972) consapevole di introdurre una voce femminile nel mondo prevalentemente maschile della poesia scozzese. Nelle sue opere riprende antiche ballate e fiabe popolari, utilizzando un registro colloquiale e lo Scots English invece dell’inglese standard. Tra le opere più celebri: The Grimm Sisters (1981) e Dreaming Frankenstein and Collected Poems (1984). Qualche anno dopo, Jackie Kay (1961), nata in Scozia da madre scozzese e padre nigeriano, trova impulso per la sua scrittura nel senso di isolamento e il desiderio di crearsi un mondo di immagini in cui ritrovare un’identità. In The Adoption Papers (1990) racconta la storia di una bambina nera adottata da una coppia scozzese, alternando le voci narranti dei tre protagonisti in un linguaggio contemporaneo misto di scozzese e inglese. Off Colour (1998) tratta il motivo della malattia non solo fisica o psichica, ma come malessere della società che emerge dal razzismo e dai pregiudizi. Medbh McGuckian (1950), di Belfast. Interessata all’inconscio femminile, esprime nelle sue opere un forte senso di trasgressione femminista, che si manifesta sia nel tessuto grammaticale e sintattico, con periodi lunghi e una dizione poetica ricercata, sia nelle immagini riprese dall’ambiente domestico. Tra le raccolte principali si ricorda The Flower Master (1982). Sujata Bhatt (1956), nata in India ed emigrata negli Stati Uniti e poi in Germania, tratta i temi dell’esilio e della nostalgia nella sua poesia autobiografica. Brunizem (1988) contiene ad esempio un poemetto bilingue che utilizza l’inglese, lingua di adozione, per parlare del presente, ed il gujarati, lingua madre, per rievocare il passato. IV. Il teatro Il nuovo teatro Anche nel mondo del teatro subentra una nuova generazione di autori, spesso di origine proletaria, che per la prima volta portano in scena problematiche sociali e politiche in un linguaggio simile al parlato. Il primo è John Osborne (1929-1994) che con il suo Look Back in Anger (1956) racconta, con un dialogo colorito, di un giovane universitario pieno di rabbia ma privo di ideali, che sembra riflettere l’insoddisfazione di tutta una generazione e rappresenta il prototipo del ribelle senza causa di cui si riempie il teatro e la narrativa di quegli anni. Arnold Wesker (1932-2016) esordisce a fine anni Cinquanta con una trilogia di drammi naturalistici. Negli anni Ottanta con i One-woman Plays propone ritratti femminili con protagoniste di ogni età e condizione, utilizzando una tecnica definita “naturalismo stilizzato”: una mescolanza di poesia e dati reali, ironia e indagine psicologica. John Arden (1930-2012) intende restituire al teatro una funzione sociale e un contatto più diretto con il pubblico. Alcune sue opere, tra le quali Live Like Pigs (1958), ispirate a fatti di attualità ed eventi storici, mettono in scena problematiche scottanti con un linguaggio grottesco, dividendo il pubblico e la critica. Edward Bond (1934), lontano dalle tecniche naturalistiche, tratta nelle prime opere, come The Pope’s Wedding (1962), i temi dell’alienazione e della violenza nella realtà contemporanea. Con le opere successive, Early Morning (1968) e The Sea (1973), estende l’analisi della violenza del mondo contemporaneo alla mentalità da cui si genera. Harold Pinter (1930-2008) si distingue per l’uso del linguaggio quotidiano in conversazioni illogiche o assurde. I primi drammi, tra cui The Caretaker (1960), presentano personaggi ordinari immobilizzati nel loro isolamento, la cui vita monotona è spezzata da un evento inaspettato. I drammi successivi, tra i quali Old Times (1970), si concentrano invece su problemi legati al tempo e agli inganni della memoria. La commedia Nell’ambito della commedia, grande rilevanza ha Joe Orton (1933-1967), la cui comicità si basa sul contrasto tra situazioni estreme ed una conversazione del tutto ordinaria, espressa tramite il linguaggio urbano, come in Loot (1966). Il suo è un teatro aggressivo, che punta all’effetto shock e attacca la morale puritana del pubblico. Alan Ayckbourn (1939) propone un teatro di satira sociale ed il ritorno ai valori comici tradizionali. La sua tecnica è quella di mettere in scena contemporaneamente i vari ambienti in cui si muovono i personaggi all’insaputa degli altri, come in How the Other Half Loves (1969). La caratterizzazione accurata dei suoi personaggi è dovuta ad un’attenta osservazione, da parte dell’autore, dei comportamenti della media e piccola borghesia di provincia. Alan Bennett (1934), tra i più popolari drammaturghi contemporanei, offre un teatro formato a sua volta da un’insolita mescolanza di forme classiche e popolari. Le sue opere, come Forty Years On (1968) e Getting On (1971), narrano storie sia di celebri personaggi del passato che di gente comune, con un risultato tragicomico. Tom Stoppard (1937), virtuoso del linguaggio, basa le sue commedie intellettualmente sofisticate su complicati giochi verbali, come in Jumpers (1972). La riflessione sulla funzione sociale del teatro è ricorrente nelle sue commedie, in cui sono frequenti personaggi artisti, scrittori e pittori, come in Real Thing (1982), in cui utilizza il meccanismo del teatro nel teatro. Il teatro politico Nello stesso periodo si sviluppa anche un altro filone, fortemente politicizzato, in cui il teatro diventa uno strumento di analisi della società contemporanea. Molti drammi di David Hare (1947) si svolgono in ambienti borghesi e adottano un registro comico-grottesco, come Plenty (1978) sul declino della vita politica inglese dal dopoguerra al boom economico, e A Map of the World (1982) sul rapporto tra Europa e Terzo Mondo. I drammi più recenti invece affrontano una critica delle istituzioni e dell'establishment inglesi. I drammi di Howard Brenton (1942) mescolano toni farseschi e surreali, come in Magnificence (1973) sul terrorismo politico e Brassneck (1973) sulla corruzione della classe politica inglese. Caryl Churchill (1938), avversa alla tradizione naturalistica, offre un teatro spesso di ambientazione storica, che tratta temi politici e sociali in una forma parodica che utilizza canzoni, danza e travestimenti. Tra le tematiche affrontate c'è quella della paura della sessualità femminile da cui derivano pregiudizi, come in Cloud Nine (1979). Nei drammi di Brian Friel (1929-2015), il più importante drammaturgo irlandese contemporaneo, domina il tema del linguaggio: l'abbandono forzato del linguaggio tradizionale ha spezzato la continuità culturale col passato e annullato il senso delle emozioni più profonde. Tra i più celebri, Philadelphia, Here I Come! (1964) tratta della difficile comunicazione tra un giovane che sta per emigrare negli Stati Uniti e suo padre. focalizzato sul tema della ricerca di una dimensione della sessualità che sia allo stesso tempo erotica e spirituale; e Irving Layton (1912-2006) che utilizza il tabù dell’erotismo come forza liberatrice per combattere l’ipocrisia della società. Per quanto riguarda il teatro, i drammaturghi affermatisi negli ultimi trent’anni si dividono tra quelli che si muovono in ambito naturalistico e quelli che invece percorrono strade meno tradizionali. Il maggiore esponente è George F. Walker (1947) il quale intraprende a sua volta due diversi percorsi: uno più tradizionale nella forma (che poi sarà il suo percorso definitivo) ed un altro di prorompente spettacolarità attraverso la forma del melodrama. V. I Caraibi Una difficile definizione di identità La produzione letteraria caraibica è fortemente influenzata dalla storia di quelle terre, luogo di ingiustizia, di sradicamento e sfruttamento di intere popolazioni. Il senso di identità dei popoli caraibici ha aspetti contrastanti: da un lato c’è la tendenza a pensarsi come popoli distinti, dall’altro c’è un senso di appartenenza ad uno stesso mondo, dato da una somma di elementi comuni, quali la stessa storia coloniale e la stessa lingua (seppur con varianti locali). Nei Caraibi l’inglese è l’unica lingua comune ed è l’unica ad essere usata in ambito scolastico, giuridico e nella stampa. Altro elemento importante è dato dalla fusione avvenuta in epoca coloniale tra la cultura degli europei e quella degli schiavi africani, che portarono con sé miti, tradizioni, religioni e canti delle loro terre. La prima grande autrice caraibica è Jean Rhys (1894-1979), nata nell’isola di Dominica e cresciuta in Europa, che nei suoi romanzi racconta di donne vittime del pregiudizio e della prepotenza maschile, del peso culturale del colonialismo, dell’eredità del mondo africano e indiano, della questione razziale, dell’emigrazione e delle disparità di ricchezza. Altro esponente è V. S. Naipaul (1932-2018), indiano di Trinidad che ha studiato ed è vissuto in Inghilterra. Nelle sue opere parla della comunità indiana di Trinidad, composta dai lavoratori delle piantagioni, di cui ritrae le contraddizioni e le debolezze con tono ironico ed intento satirico. Il maggior poeta caraibico è Derek Walcott (1930-2017), premio Nobel per la letteratura nel 1992, nato a Saint Lucia, ex colonia britannica dove la maggioranza della popolazione aveva origine africana e parlava un dialetto francese. Lui sceglie invece di usare l’inglese nelle sue poesie in quanto lingua della sua infanzia. Molte delle sue liriche sono incentrate sul rapporto e sul contrasto tra neri e bianchi, sul suo essere parte di entrambi i mondi e sulla volontà di riconciliazione e superamento del conflitto mediante la poesia. VI. India La letteratura indiana in inglese Possiamo affermare che il genere letterario per eccellenza in cui si è espressa la letteratura indiana in inglese è quello del romanzo, mentre il teatro e la poesia non hanno trovato molte voci originali. La fioritura della letteratura indiana in inglese avviene verso gli anni Trenta con la pubblicazione, fra gli altri, dei romanzi di Mulk Raj Anand (1905-2004), promotore del pensiero di Gandhi, in particolare dell’ingiustizia della divisione in caste e della dignità degli intoccabili. Dopo l’indipendenza (1947), una nuova generazione di scrittori scelse l’inglese come lingua letteraria, e tra questi Khushwant Singh (1915-2014) che scrive sull’indipendenza dell’India e la separazione dal Pakistan (la Partition). Dagli anni Sessanta, gli autori indiani iniziarono a pensarsi come parte del variegato insieme della letteratura internazionale in inglese, che comprende autori da paesi diversi tra loro, ma accomunati dall’esperienza coloniale e dall’uso della lingua dei colonizzatori. Essendo l’inglese per gli indiani la loro seconda lingua, hanno potuto usarla con disinvoltura e padronanza. Una svolta avviene con la pubblicazione di Midnight’s Children (1981) di Salman Rushdie, che diede agli scrittori indiani la spinta per ripensare il romanzo in inglese a prescindere dalle forme linguistiche e narrative occidentali, e acquisendo così una maggiore autonomia. Tra gli autori delle ultime generazioni abbiamo Amitav Ghosh (1956), che nei suoi romanzi tratta del rapporto tra indù e musulmani e del fanatismo religioso. Negli ultimi decenni è emersa una forte presenza femminile. La diaspora indiana Gli autori della diaspora indiana sono quelli che provengono, o i cui genitori provengono, dal subcontinente indiano e che, con i flussi migratori dell’Ottocento, si sono spostati verso altre regioni dell’Impero. Temi condivisi sono la cultura indiana, la mancanza dell’India e l’immigrazione. Celebre è Salman Rushdie (1947), nato a Bombay e cresciuto in Inghilterra, dove ha frequentato le migliori scuole ed università. Egli sostiene che gli indiani siano molto abili nel raccontare oralmente storie che, con una vena fantastica, coinvolgono l’ascoltatore in una tensione continua: per questo, i suoi narratori riprendono le forme del raccontatore orale. Temi trattati sono anche il legame tra religione e potere, il rispetto e le trasgressioni delle regole religiose, il bigottismo e l’ipocrisia religiosa. Approfondimento sui testi Esempi di poesia imagista di Ezra Pound L’Art, 1910 Il titolo ci permette di capire il contesto, una mostra d’arte avanguardista, che altrimenti non potrebbe emergere dal testo. Il componimento è stato definito come colour verses a causa dell’ampio utilizzo dei colori o di elementi dai colori forti: green, egg-white, strawberries. L’arsenico verde era spesso usato dai pittori del XIX secolo, prima che fosse nota la sua tossicità, mentre il bianco della tela fa riferimento ad una tecnica pittorica molto sfruttata da Cézanne, ossia non dipingere alcune parti della tela lasciandola ben in vista. Quello che ci viene presentato è un quadro avanguardista di grande impatto visivo che suscita una forte reazione di stupore nell’osservatore, il quale coinvolge il lettore (uso dell’imperativo), considerando l'opera come una festa per gli occhi. Ts’ai Chi’h Il componimento, un esempio di haiku modificato, è un chiaro rimando alla poetica orientale. Il titolo sembra ricordare il nome di un poeta dell’antichità cinese. Anche qui è fondamentale l’utilizzo dei colori: orange e ochre sono infatti colori caldi che creano un contrasto con la freddezza e la durezza di altri elementi citati, quali la pietra e la fontana. L’ampio utilizzo di elementi naturali conferisce alla poesia un’espressione di delicatezza in un’immagine probabilmente autunnale (petali che cadono, colori caldi), stagione associata, nella tradizione orientale, al declino della vita e alla morte. Nonostante l’immagine evocata sembri quasi statica, si percepisce una sorta di passaggio temporale: i petali, cadendo nella fontana, perdono la loro forma originaria per diventare una sorta di materiale informe ed argilloso, l’ocra, che resta attaccato alla pietra fredda e umida. In a Station of the Metro La poesia è stata pubblicata nel 1913 sulla rivista Poetry, poi raccolta nel volume Lustra (1916) insieme anche agli altri componimenti qui analizzati. La punteggiatura e la forma grafica della poesia sono state modificate da Pound rispetto alla prima uscita. Ciò che colpisce è la presenza di grandi spazi bianchi che separano le parole di entrambi i versi: gli spazi indicano delle pause che conferiscono al componimento l’idea del silenzio e del contrasto tra scritto/non scritto, bianco/nero. Mentre nella prima versione i versi erano separati dai due punti, nella seconda Pound ha preferito sostituirli con il punto e virgola: questo perché i due punti implicano una relazione tra le i due elementi che dividono, come se il secondo spiegasse il primo; il punto e virgola invece contrappone i due elementi, dando l’idea di due immagini giustapposte e di uguale importanza. Anche qui il titolo ci permette di capire il contesto in cui siamo immersi: una buia stazione della metro. Una comune scena di vita quotidiana viene trasformata da Pound in un’immagine più sofisticata e poetica. Appare forte il contrasto tra il mondo artificiale e quello naturale, due mondi compresenti, di uguale importanza, ma ben separati tra loro. I petali citati sono presumibilmente caduti su di un ramo secco (black bough), e ciò conferisce alla poesia un sentore di morte e decadenza. La cromaticità, pur essendo fortemente presente, non viene mai espressa esplicitamente (eccetto il ramo nero): è l’immaginazione del lettore ad attribuire colori agli altri elementi presenti nei versi, soprattutto ai petali, che quasi sicuramente verranno immaginati con colori tenui. L’immagine evocata dalla poesia è quella di un forte contrasto tra il nero dello sfondo ed il bianco dei petali/volti delle persone. Pound stesso ha raccontato la nascita di questo componimento, affermando di aver tratto ispirazione dai volti da lui visti in una stazione della metro di Parigi, ma di non aver trovato subito le parole giuste per esprimere ciò che ha visto. Ha poi avuto un’illuminazione, ponendo quella visione a confronto (lui la definisce “equazione”) con delle piccole macchie di colore. Afferma poi di aver riconosciuto quel suo modo di ragionare nella teoria dei colori e delle forme di Kandinskij: in questo componimento particolare, rivediamo il significato che Kandinskij attribuisce al contrasto tra bianco, visto come il silenzio prima della nascita di qualcosa, e nero, il silenzio dovuto al decadimento di qualcosa. Alba [‘Dawn Song’] Il componimento, un altro esempio di haiku occidentalizzato, è ambientato all’alba, nel momento in cui due amanti, distesi l’uno di fianco all’altro, si risvegliano. “Alba” indica anche un sottogenere della poesia provenzale che esprime la sensazione di nostalgia che gli amanti clandestini hanno al loro risveglio quando, dopo aver passato la notte insieme, sono costretti a separarsi per non essere scoperti. L’immagine che emerge dalla poesia richiama la bellezza, la pace e la serenità. Si ha una generale sensazione di freschezza data dalla rugiada mattutina e dal fiore del mughetto. Nell’ultimo verso, “she lay” è al passato, quasi ad indicare un tentativo di rievocare una sensazione vissuta, quella del risveglio accanto all’amata. Inoltre, Pound usa “beside me” e ciò fa capire che la vicinanza dei due corpi non implica un contatto fisico diretto. War Poets La Prima Guerra Mondiale, con le sue enormi distruzioni, causò un grande trauma che mise in discussione importanti valori, quali la fiducia nel re e nel paese. Nel conflitto sono state introdotte nuove armi e tecniche belliche come sottomarini, cannoni sempre più potenti e l’uso del gas, che hanno stravolto il modo di combattere, considerando che prima la guerra era principalmente corpo a corpo. La distruzione della guerra è talmente vasta che diventa inutile celebrare l’amore per la patria o la fiducia verso il progresso (che si tradurrebbe nella produzione di armi sempre più devastanti). Emersero durante il conflitto le figure dei poeti di guerra che, con i loro componimenti, diedero testimonianza delle varie fasi del conflitto. Tra i più celebri spiccano Edward Thomas (1878-1917), Rupert Brooke (1887-1915), Wilfred Owen (1893-1918) e Siegfried Sassoon (1886-1967). The Soldier - Brooke Rupert Brooke si arruola nel 1914, non combatte mai al fronte, ma è in servizio su una nave della marina quando, nel 1915, muore per una setticemia. The Soldier, pubblicato nel 1915, è un sonetto all’inglese*, scritto e ambientato nella prima parte del conflitto, quando ancora si pensava che la guerra si sarebbe risolta in breve tempo e con poca fatica. Per questo dal sonetto emergono un grande slancio patriottico e la visione del soldato come un eroe e della morte come un sacrificio onorevole per la patria. * La prima forma di sonetto è quella italiana, formata da 14 versi, un’ottava e una sestina (due quartine e due terzine) separate da una “volta”: nell’ottava viene posta una domanda, un problema o un’argomentazione, mentre la sestina contiene la risposta, la soluzione o la controargomentazione. Il sonetto arriva in Inghilterra nella prima metà del Cinquecento (diffuso soprattutto da Shakespeare) con alcune differenze, ad esempio nelle rime. Dulce et Decorum Est - Owen Wilfred Owen ha combattuto al fronte fino alle fasi finali del conflitto, morendo sul campo di battaglia nel 1918. Assistere di persona alla carneficina della guerra fa scomparire ogni sentimento di eroico patriottismo, per lasciare il posto a versi più drammatici, che denunciano l’orrore della guerra e lo smarrimento dei soldati davanti ad una tragedia senza senso. Dulce et Decorum Est, scritta tra il 1917 e il 1918, presenta una forma metrica tradizionale che si scontra con un lessico colloquiale e molto espressivo. Il testo è diviso in tre parti. Nella prima, ambientata sul campo di battaglia, la voce narrante è quella del protagonista che esprime il senso di fatica, la stanchezza fisica e mentale, dei soldati che si stanno ritirando. La seconda parte, più drammatica, si apre con l’avvertimento di un imminente attacco nemico col gas ed il narratore descrive la morte di un soldato che, non riuscendo a mettersi in tempo la maschera, “affoga in un mare verde”. Nella terza parte l’immagine del compagno defunto riaffiora nei sogni del protagonista sopravvissuto, il quale con amara ironia dà un monito contro le autorità che incitano l’entrata in guerra, affermando che se loro potessero vedere la distruzione che il conflitto comporta, non direbbero mai ai loro figli la vecchia bugia: “è dolce e bello morire per la patria” (citazione in latino alle Odi di Orazio). La short story Review of Twice-Told Tales - Poe Edgar Allan Poe (1809-1849), nella sua recensione del 1842 di Twice-Told Tales, una raccolta di racconti di Hawthorne, è il primo a definire il genere della short story, o racconto breve. Tale genere era infatti in precedenza considerato un sottogenere del romanzo e veniva utilizzato, per indicare un racconto breve, indistintamente dal termine tale: adesso invece tale è legato a scenari fantastici e situazioni irreali, mentre short story è legato ad ambientazioni e personaggi realistici (tale : romance = short story : novel). Secondo Poe (che era ancora solito utilizzare il termine tales per definire i suoi racconti), il racconto breve ha delle caratteristiche specifiche che ne fanno un genere letterario a sé stante e con finalità proprie. Nell’opera lui enuncia quelli che sono i due tratti essenziali della short story: brevity e totality (o unity of ímpression). La brevità è intesa non solo da un punto di vista puramente esteriore (numero di parole usate), ma soprattutto dall’effetto di brevità che il testo deve dare al lettore. Poe considera che l’attention span del lettore (arco dell’attenzione) non duri per molto tempo: il racconto deve essere infatti letto in una sola seduta che può andare dalla mezz'ora alle due ore, dopodichè si manifesta una perdita della concentrazione dovuta a stanchezza o a distrazioni esterne. La totalità riguarda quell’effetto di unità che si ottiene leggendo dall’inizio alla fine un racconto, cosa che col romanzo non può avvenire poiché è troppo lungo per essere letto tutto in una sola volta. Le interruzioni infatti modificano o annullano le impressioni avute durante la precedente lettura. Anche il linguaggio utilizzato è importante, soprattutto nell'incipit, che deve attirare il lettore. L'autore deve inoltre riuscire a mantenere viva l'attenzione del lettore e far sì che si ricordi tutti i dettagli delle società antiche. Il mito, riscontrato con la contemporaneità, tende ad abbassarsi, a perdere l'importanza e la forte valenza che aveva in passato. Eliot lo propone come sostituto al tradizionale metodo narrativo (lineare e basato sul rapporto di causa-effetto), considerandolo superiore e più adeguato a rappresentare il mondo contemporaneo. Egli lo descrive infatti come un modo di controllare, ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea. Joyce riceve inizialmente delle critiche perché il continuo confronto presente-passato era considerato troppo caotico, ma presto Eliot lo difende identificandolo come un vero e proprio metodo narrativo, il metodo mitico. Sebbene Eliot stesso non lo abbia mai specificato, anche The Waste Land è stato composto sfruttando il metodo mitico. C'è però una sottile differenza nell'applicazione del metodo mitico tra Joyce ed Eliot: mentre Joyce tratta il decadimento del mito in modo parodico ed ironico, Eliot lo affronta in modo più serio, quasi tragico. The Waste Land - Eliot Il titolo dell’opera viene spiegato nella prima nota, in cui Eliot afferma di aver tratto ispirazione dal libro From Ritual to Romance (1919) di Jessie Weston, un saggio sulle origini della leggenda medievale del Sacro Graal ad alto contenuto simbolico, dai semi delle carte da gioco ai tarocchi. Weston era un’allieva di James Frazer, autore di The Golden Bough (1890-1915), importante opera antropologica pubblicata in dodici volumi divisi in sette parti, in cui egli traccia una storia del pensiero umano ricercandolo nei riti dei popoli pre-cristiani. Frazer parla anche dei nature cults, antichi riti che avevano lo scopo di calmare le divinità affinché garantissero la fertilità e non si verificassero carestie, alluvioni, ecc. Uno di questi riti riguarda la figura del Dio morente, ossia la morte simbolica della divinità e la sua successiva rinascita. Spesso in questi casi si seppelliva un effigie del dio in inverno, per poi disseppellirla in primavera, segno di rinascita. In alternativa si abbandonava l'effigie alle acque, simbolo di vita, per accompagnarlo nella rinascita, motivo per cui il tema della morte per acqua è ricorrente anche nel poemetto di Eliot. Questi elementi permangono nel corso dei secoli subendo delle modifiche in base alle necessità del periodo. In epoca medievale si ha la leggenda cristiana del Sacro Graal che parla di una terra desolata e sterile poiché il suo Re è ferito; l'unico modo per risanare la terra è trovare la sacra reliquia. La figura del Re ferito, o Re pescatore, ha origini precristiane e rientra anch'essa nella simbologia dei riti di fertilità poiché il pesce era da sempre simbolo di vita. Altri simboli importanti sono la coppa (il Graal, la coppa in cui Gesù versò il vino nell'ultima cena e in cui Giuseppe d'Arimatea raccolse il suo sangue quando venne crocifisso) e la lancia (con cui Gesù venne trafitto nel costato dal soldato romano Longino): entrambi sono considerati simboli di fertilità e vita. Epigrafe e dedica Il poemetto si apre con un'epigrafe (citazione da un testo ritenuto importante per l’autore, posta tra il titolo e l’inizio dell’opera) seguita dalla dedica. L’epigrafe è ripresa dal Satyricon di Petronio Arbitro (I sec. d.C.) e riguarda la Sibilla, profetessa di Apollo e custode degli inferi, alla quale Apollo stesso donò la vita eterna, ma non l’eterna giovinezza e che dunque è condannata ad invecchiare per sempre. La Sibilla è solo la prima delle numerose figure profetiche degradate citate nell’opera: essa è infatti rappresentata talmente piccola e rinsecchita da stare dentro ad un’ampolla. Dei bambini le chiedono in tono di scherno “Che cosa vuoi?” e lei risponde “Voglio morire”. La sua risposta rappresenta in realtà il desiderio di mettere fine all’eterno processo di decadimento a cui è condannata. L’epigrafe doveva inizialmente essere un brano di Heart of Darkness di Conrad, che descrive la morte dell’europeo Kurtz in Congo, ma Pound, il quale dubitava del peso letterario di Conrad, gli suggerì di cambiare citazione. A partire dall’edizione del 1925, l’epigrafe è seguita dalla dedica “For Ezra Pound, il miglior fabbro”. Si tratta di una citazione dal 26º canto del Purgatorio di Dante, quando il vate incontra tra i lussuriosi il poeta Guido Guinizzelli. È lui a pronunciare le parole "il miglior fabbro del parlar materno" riferendosi al trovatore provenzale Arnaut Daniel per l'attenzione che egli poneva alla forma della poesia (che sottoponeva ad un lavoro di "limatura") e al linguaggio (la parlata volgare nella lingua d'oc). Dante, che ammirava molto Daniel, tanto da lasciare che egli si presentasse in lingua provenzale, lo colloca tra i lussuriosi a causa dell'alto contenuto erotico delle sue poesie. Eliot definisce Pound "il miglior fabbro" per il ruolo decisivo che egli ha avuto nella stesura del poemetto. Egli ha quasi dimezzato la bozza iniziale eliminando tutte le parti troppo descrittive o discorsive, considerate superflue. Ha inoltre effettuato altri cambiamenti di carattere sintattico e lessicale. Pound ha definito tale intervento "operazione cesarea", un taglio metaforico che ha permesso la nascita del poemetto così come lo conosciamo. Prima sezione: The Burial of the Dead Il titolo fa riferimento ad una raccolta di testi recitati ai funerali secondo il rituale anglicano. Potrebbe però essere anche un riferimento all’antico rito del Dio morente che veniva seppellito in inverno per rinascere in primavera. Questa prima sezione è formata a sua volta dalla giustapposizione di quattro sottosezioni che appaiono prive di collegamento poiché non vi è alcun legame esplicito tra le loro tematiche. Nella prima sottosezione, gli abitanti della Terra Desolata temono l’arrivo della primavera, poiché essa, portando con sé la tensione della rinascita, segna la fine della tranquillità dell’inverno. L’apertura “April is the cruellest month” segna un ribaltamento della tradizione letteraria che vede il mese di aprile e la primavera in generale come simbolo di gioia e speranza per la rinascita. Qui aprile è il mese più crudele ed è temuto dagli abitanti della Terra Desolata perché mette in movimento la vita che fino a quel momento, in inverno, era rimasta nascosta in una situazione di statica sicurezza. I primi sette versi sono più brevi dei successivi e presentano una struttura sintattica insolita, con il verbo al gerundio posto a fine verso che si ricollega al sostantivo posto all’inizio del verso successivo. Si tratta del metodo dell’enjambement che permette a ciascun verso di fluire in quello successivo. Dal verso 8 cambiano il lessico e la sintassi, più bassi, come fosse lingua parlata. Si tratta del discorso di una certa Marie (probabilmente la contessa Marie Larisch, nipote di Elisabetta di Baviera) in cui ella rievoca ricordi del suo passato. Tra questi, uno di quando era bambina e, con suo cugino, scendeva dal pendio della montagna con lo slittino: simboleggia da un lato il declino dell'aristocrazia, dall'altro il timore di abbandonarsi alle gioie della vita. Le immagini di vita e di morte sono disposte nel testo in modo alternato (es. memoria, desiderio, passato, futuro). Il rapido passaggio tra il mese di aprile, l’inverno, l’estate, conferisce una sensazione di continuo cambiamento temporale, cambiamento evidenziato anche dal differente uso del pronome us, che nel verso 5 si riferisce ad una collettività (gli abitanti della Terra Desolata), mentre verso 8 si riferisce a due persone (Marie e qualcun altro). La seconda sezione è dominata dalla presenza di una voce profetica che parla attraverso diverse citazioni bibliche (es. “Son of man”), segnalate da Eliot nelle note. Prosegue e viene approfondito il tema dell'aridità, attraverso elementi come "stony rubbish", "dead tree", "dry stone". È un paesaggio che ferisce, in cui il Sole non brilla ma "batte" per sottolineare la violenza dell'aridità. La Chiesa viene indicata come una "roccia rossa" che con la sua ombra offre ristoro, ma non può comunque indicarci una via di salvezza. Il passo “I will show you fear in a handful of dust” richiama nuovamente la Sibilla in quanto, in una versione alternativa, lei non ottiene l'immortalità, ma guadagna tanti anni quanti sono i granelli di polvere contenuti in una mano. La paura a cui si fa riferimento è la paura metafisica della morte, una paura che non ha ragioni empiriche, ma viene da dentro. Dal verso 31 si apre la scena del giardino dei giacinti, che introduce il tema dell'amore romantico (in particolare quello giovanile) e dell'erotismo. Questa parte si apre e si chiude con dei versi tratti da Tristano e Isotta di Wagner, capolavoro del Romanticismo tedesco. I giacinti hanno un riferimento mitico: nella mitologia greca, Giacinto era un bellissimo giovane amato sia da Apollo sia da Zefiro. Non potendo accettare che Giacinto preferisse Apollo a lui, Zefiro colpì la tempia del giovane con un disco, uccidendolo, e dalla ferita sarebbero fioriti dei fiori di giacinto, simbolo della rinascita dopo la morte. Nella scena del giardino dei giacinti si hanno due protagonisti, una fanciulla con le braccia cariche di fiori ed un giovane accompagnatore. Al termine del loro "appuntamento", il giovane rimane davanti alla ragazza in silenzio, immobile, "né vivo né morto", incapace di cogliere il suo invito di fertilità e rinascita. Nella terza sottosezione appare la seconda figura profetica degradata dell’opera, Madame Sosostris, che nonostante il nome altisonante, è raffigurata come una semplice cartomante da baracchino col raffreddore. È probabile che i tarocchi abbiano origini antichissime e che fossero in qualche modo collegati con i riti della fertilità dei popoli precristiani. Madame Sosostris è la moderna cartomante imbrogliona che degrada il rito divinatorio ad una semplice superstizione, approfittando dei clienti paganti (presumibilmente lo scambio di denaro avviene al verso 57, quando la cartomante ringrazia). La cartomante spiega le carte man mano che le scopre. La prima è la figura del Marinaio Fenicio Annegato (Phlebas, figura che troviamo anche nella quarta sezione), seguito da una citazione dalla Tempesta di Shakespeare, “Those are pearls that were his eyes”: in quella parte il folletto Ariele parla al naufrago Ferdinando della morte per acqua di suo padre Alonso, re di Napoli (che in realtà non è morto, ma ciò si scopre alla fine). Tuttavia, la cartomante è incapace di vedere la carta più importante, l’Impiccato, che rimanda alla figura del Dio morente. Il Dio morente, affidato alle acque, sarebbe una garanzia di rinascita, ma poiché la cartomante non riesce a vederlo, tale garanzia scompare e l'acqua, simbolo di fertilità, diventa qualcosa da temere. La cartomante afferma di riuscire a vedere una folla di persone che si muovono in cerchio: si tratta tuttavia di qualcosa che tutti possono vedere quotidianamente, dunque tale visione diventa irrilevante. Nella quarta sottosezione abbiamo una descrizione surreale di Londra in stile dantesco per far ritorno ad un senso di oggettività epica. Qui Eliot paragona le persone che affollano il London Bridge in una tipica mattina invernale agli ignavi dell'Inferno di Dante. Gli ignavi, come spiega Virgilio nel Canto III, "non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa" caratteristica che li accomuna con la Sibilla. L'io narrante riconosce tra la folla una persona, un certo Stetson, nome che richiama un tipo di cappello utilizzato dai militari, anche nella Prima Guerra Mondiale. A lui rivolge le parole “You who were with me in the ships in Mylae!” facendo riferimento alla battaglia di Milazzo tra Romani e Cartaginesi (260 a.C.). Qui è evidente l'utilizzo del metodo mitico: si ha una sovrapposizione di piani temporali, poiché paradossalmente un personaggio che pare abbia partecipato alla battaglia di Milazzo adesso si trova nella Londra moderna. Segue poi un altro riferimento alla sepoltura del Dio morente e alla sua negata rinascita: "quel cadavere che piantasti l'anno scorso nel tuo giardino ha cominciato a germogliare?", ma anche qui non vi è risposta per cui si sottintende una negazione. I versi 74-75 sono un riferimento al dramma The White Devil di John Webster, in cui il temibile lupo viene però abbassato di livello e diventa un umile cane, amico dell'uomo. L'io narrante suggerisce di tenere il cane lontano dal cadavere perché potrebbe dissotterrarlo: ciò simboleggia la paura della rinascita, riferimento al Dio morente che viene dissotterrato in primavera. Nell’ultimo verso appare una citazione di Les Fleurs du Mal di Baudelaire. Il lettore è chiamato in causa in modo molto diretto ed è come se venisse proiettato anche lui nella Terra Desolata e ne facesse parte. Seconda sezione: A Game of Chess Questa sezione era originariamente intitolata He Do the Police with Different Voices (errore volontario) riferito ad un personaggio del romanzo di Dickens A Mutual Friend, che legge il giornale recitando con voci diverse. Doveva inoltre avere come sottotitolo In the Cage riferito alla Sibilla intrappolata nell’ampolla. Il titolo fa riferimento ad una commedia omonima di Thomas Middleton, ma anche ad un altro dramma dello stesso autore, Women Beware Women (1657), in cui la giovane Bianca, fino ad allora fedele al marito, cede alle avances del duca di Firenze, mentre la mezzana tiene impegnata la suocera con una partita a scacchi. Ad ogni mossa del gioco corrisponde una mossa di seduzione: le relazioni amorose vengono dissacrate, non appaiono come un comportamento naturale, ma come una serie di mosse rigide e definite. Il tema centrale di questa sezione è infatti quello della sterilità dei rapporti amorosi moderni. Questi vengono messi a confronto con i grandi amori della classicità, in particolare degli shakespeariani Antonio e Cleopatra (prima parte) e Ofelia ed Amleto (seconda parte), che vengono ora abbassati e privati della loro componente erotica naturale. Il movimento introduttivo è costruito intorno ad una serie di citazioni che ritraggono la protagonista, una signora, attraverso le figure di celebri eroine (Cleopatra, Filomela, Bianca, ecc.). La signora non viene descritta, ma viene descritta invece la stanza in cui vive, con l’arredamento e gli oggetti d’uso quotidiano, che divengono correlativo oggettivo della protagonista: gli oggetti concreti evocati danno espressione a sentimenti astratti. Il primo verso, “The chair she sat in like a burnished throne” riprende quasi letteralmente una frase dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, quando Antonio vede per la prima volta Cleopatra, seduta su di un'imbarcazione ("barge" che Eliot sostituisce con la più comune "chair") sul Nilo. In questa prima parte il testo ha una sintassi piuttosto complessa, con l’utilizzo di termini ricercati e dei versi a pentametro giambico, forma metrica legata alla classicità. Eliot cita anche il mito di Filomela, principessa che venne violentata da Tereo, Re di Tracia e marito della sorella, Procne. Per impedire che raccontasse il fatto, Tereo taglia la lingua a Filomela. Tuttavia, la giovane riesce a raccontare l’accaduto alla sorella tramite un ricamo, così ella si vendica uccidendo il figlio da lui avuto ed offrendolo come pasto al marito. Tereo se ne accorge e cerca di catturare le due sorelle, ma con un intervento divino esse vengono trasformate in uccelli per poter volare via. Filomela diventa un usignolo che non smette mai di cantare per ricordare il dolore della violenza subita. Al verso 9 si ha una degradazione del mito poiché il "jug jug to dirty ears" contiene un'onomatopea che indica sia il canto dell'usignolo sia il rumore volgare dell'atto sessuale. Ai versi 111-128 c’è il così detto Nerves Monologue e subentra un personaggio maschile, forse il marito della signora. La situazione è simile a quella del giardino dei giacinti ed evidenzia l’incomunicabilità tra l’uomo e la donna. Le parole pronunciate dalla donna appaiono tra virgolette, mentre quelle dell’uomo no, per cui non si sa se sono effettivamente pronunciate o solo pensate. Le domande che la donna pone suscitano un senso di urgenza, come se desiderasse disperatamente una risposta; tuttavia le parole “Are you alive or not? Is there nothing in your head?” ci fanno capire che l’uomo è sempre rimasto in silenzio, impassibile. Dal verso 139 in poi, la scena si sposta in un pub ed i versi sono spesso interrotti dal richiamo del barman “hurry up please it’s time!” che invita i clienti a sbrigarsi perché il pub sta per chiudere. Questa frase ricorrente interrompe di volta in volta il discorso anche visivamente, essendo scritta in maiuscoletto. Qui una donna parla di una certa Lil, il cui marito è stato congedato dal servizio militare e sta per tornare da lei. Lil appare come una donna trasandata ed invecchiata precocemente a causa dei numerosi aborti, e la donna che parla dice di averla avvertita di darsi una sistemata altrimenti saranno altre donne a far divertire suo marito. In quest’ultima parte la sintassi è non-standard ed il linguaggio è semplice e colloquiale. Eliot inizia dunque la seconda sezione con un forte richiamo alla tradizione rinascimentale nella forma e nel linguaggio ricercato, per poi gradualmente abbassarne lo stile fino al livello colloquiale, tipico della parlata del proletariato londinese. A chiudere questa sezione ci sono le parole “Good night, ladies, good night, sweet ladies, good night, good night” riprese dall’Amleto di Shakespeare e pronunciate da Ofelia, ormai impazzita, poco prima di morire annegata nel fiume (altro riferimento alla morte per acqua). La seconda sezione, dunque, si apre e si chiude con una citazione di ● “Poi s’ascose nel foco che gli affina” un verso del Purgatorio riferito al poeta francese Arnaut Daniel immerso nel fuoco purificatore (richiamo alla lussuria e al fuoco che purifica); ● “Quando fiam uti chelidon” una citazione di Filomela che verrà trasformata in usignolo (richiamo alla violenza e alla speranza di rinascita); ● “Le Prince d’Aquitaine à la tour abolie” un verso del sonetto El Desdichado di Gérard de Nerval che fa riferimento alla torre crollata (carta dei tarocchi) simbolo di un inevitabile conflitto e di un grande cambiamento che deve essere accettato (in questo caso, simbolo di un crollo storico-culturale); ● “These fragments I have shored against my ruins” i frammenti (rimandi, citazioni, temi) di cui Eliot si è servito nella composizione del poemetto; ● “Why then Ile fit you. Hieronymo’s mad againe” citazione da Spanish Tragedy di Kyd con cui Hieronymo, impazzito per l’assassinio del figlio, preannuncia la sua vendetta; ● “Datta. Dayadhvam. Damyata. Shantih shantih shantih” ossia i tre comandamenti della tradizione indiana ed un termine che indica uno stato di assoluta pace interiore. Non si sa perché Eliot abbia concluso così l’opera. The Waste Land Limericks - Cope Nel 1986, la poetessa Wendy Cope pubblica Making Cocoa for Kingsley Amis una raccolta di poesie che presentano una visione del mondo femminista. Al suo interno è presente The Waste Land Limericks, una divertente parodia di The Waste Land, in cui il poemetto viene condensato in cinque strofe da cinque versi ciascuna, una per ogni sezione, dal contenuto fedele all’opera originale. Un limerick è di fatto un breve componimento in cinque versi con rima AABBA e dal contenuto umoristico o nonsense. Condensando il testo, esso viene abbassato di valore, ma allo stesso tempo viene riconosciuta la grandezza dell’opera e del suo autore. Dubliners - Joyce Nel 1904 George Russell, consapevole della precaria situazione economica di Joyce, gli propone di scrivere dei racconti da pubblicare sul settimanale The Irish Homestead, organo della Società per l’Organizzazione Agricola Irlandese. Joyce accetta e inizia a scrivere i racconti con lo pseudonimo di Stephen Daedalus (protagonista di Stephen Hero). L’anno seguente, Joyce si ritrova già con 12 racconti completi e indipendenti, ma collegati tra loro da un tema (la paralisi) e in uno schema ben preciso (infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica): decide quindi di raccoglierli in un’unica opera. Propone la pubblicazione della raccolta Dubliners a diversi editori, i quali sono tutti inizialmente interessati, ma poi rifiutano per paura della censura. Nel 1905, l'editore inglese Grant Richards accetta di pubblicare l'opera, ma dopo poco si tira indietro contestando l'immoralità di alcuni passi e proponendo alcune modifiche. Inizia uno scambio di lettere tra Joyce e l'editore in cui l'autore spiega le motivazioni che l’hanno portato a scrivere la raccolta, perché ha scelto di ambientarla a Dublino e l’ordine delle varie fasi. Ai dodici racconti già pronti, Joyce ne aggiunge altri due per rafforzare la parte centrale della raccolta, uno nella fase dell’adolescenza ed uno in quella della maturità (ottenendo così 3 racconti per l’infanzia, 4 per l’adolescenza, 4 per la maturità e 3 per la vita pubblica). L’ultimo racconto è stato scritto nel 1907 a Trieste e si pone come un finale che racchiude tutti i temi trattati nella raccolta. Nel 1909, l’editore Maunsel di Dublino accetta di pubblicare l'opera, ma la tiratura fu bruciata dallo stampatore. Alla fine, nonostante la raccolta avesse raggiunto la forma definitiva di 15 racconti già nel 1907, Grant Richards decide finalmente di pubblicarla nel 1914. Joyce definisce lo stile utilizzato nell’opera come “scrupolosa mediocrità”: i racconti contengono infatti la descrizione minuziosa e dettagliata di episodi apparentemente banali e quotidiani, i quali però assumono una grande importanza nel contesto dei personaggi che li vivono. Lo scopo dell’opera è smascherare la paralisi che blocca l’Irlanda, ovvero l’incapacità di uscire da una difficile situazione di oppressione politica (era ancora parte dell’Impero Britannico) e religiosa (opposizione tra cattolici e protestanti). I racconti sono tutti ambientati a Dublino poiché Joyce considerava tale città il centro della paralisi. I personaggi stessi sono accomunati dall’impossibilità di uscire dalla loro frustrante condizione di vita, e dalla volontà di uscirne, che mettono in atto con vari tentativi, tutti inutili. Altro importante tema è infatti quello della fuga, o meglio dell’esilio volontario (come quello di Joyce stesso a Trieste), l’unica via per sottrarsi alla paralisi, che tuttavia i personaggi di Dubliners non riescono a mettere in atto. Nei racconti sono presenti riferimenti a luoghi di Dublino che non sono comprensibili a chi non conosce la storia e la geografia della città: mentre il lettore straniero ha difficoltà ad ambientarsi, il lettore irlandese è facilitato, ma si ritrova tuttavia con una versione deformata della città. I primi tre racconti sono in prima persona e retrospettivi, ovvero c’è una distanza temporale dal momento in cui gli eventi sono accaduti e quello in cui vengono raccontati. Gli altri sono tutti narrati in terza persona con la tecnica del discorso indiretto libero: un narratore che, pur prendendo le distanze, è capace di entrare nei pensieri dei personaggi, tanto che talvolta non è chiaro se il pensiero riportato sia del narratore o del personaggio. Lo stile utilizzato è realistico e dà un’illusione di trasparenza, anche se spesso non si sa verso che direzione andrà il finale. Prima parte: infanzia I protagonisti dei racconti dell’infanzia sono tre bambini, tutti maschi, senza genitori e senza un nome, pertanto è difficile stabilire se si tratti di tre bambini diversi o dello stesso bambino. I primi due racconti si svolgono in estate, mentre il terzo in primavera: più la stagione si raffredda, più il protagonista appare maturo e consapevole. Ciascun racconto affronta dei temi importanti (morte, religione, amore/sessualità) che però non vengono compresi a fondo dal protagonista, ancora troppo giovane. Le vicende dei tre racconti si svolgono in poche ore e presentano un graduale spostamento verso est (la direzione dell'esilio), mentre invece i racconti successivi si incentrano nel centro di Dublino e l'ultimo presenta una svolta verso ovest (la direzione della morte). ● The Sisters La versione originale, più breve di quella definitiva, era stata pubblicata per la prima volta su The Irish Homestead nel 1904. Joyce decide poi di riscriverlo e adattarlo al ruolo di racconto di apertura della raccolta. Il protagonista è un bambino che, dopo aver saputo la notizia della morte di Padre Flynn, un vecchio prete di sua conoscenza, decide di andare con la zia a far visita alle due sorelle del prete, Nannie ed Eliza, così da poter vedere la salma. Eliza racconta che il fratello non si è più sentito bene dopo aver accidentalmente rotto il calice della messa. Nel racconto domina però la reticenza, con omissioni, mancanze e sospensioni che evidenziano la presenza di un qualcosa che non può essere detto. Il bambino capisce così che questi silenzi nascondono una verità importante e spiacevole che gli adulti ritengono non comprensibile ad un bambino o comunque non pronunciabile in sua presenza. Temi come la morte, la sanità mentale e la sessualità non vengono mai trattati con chiarezza, ma solo in maniera velata: Joyce mette in evidenza l’ipocrisia di una società che, per paura di determinati argomenti, li menziona soltanto tramite allusioni. Il racconto si chiude con la scena del prete che, dopo aver rotto il calice, si reca da solo nel confessionale per l’assoluzione del peccato commesso, ma non potendosi auto-confessarsi, inizia a ridere tra sé e sé. Il motivo della mancata confessione è presente anche all’inizio del racconto, quando al bambino appare in sogno il “volto grigio” del prete che sembrava desideroso di confessargli qualcosa. Il prete è una figura fondamentale nel racconto, anche se non è fisicamente presente, essendo morto: gli altri personaggi parlano di lui dandone un personale resoconto, ma poiché nessuno di essi è completo, è compito del lettore mettere insieme i pezzi. Il ruolo del prete è importante anche perché è stato come un maestro per il bambino: è lui stesso a menzionare alcune delle cose che gli sono state insegnate dal prete (sulle catacombe, su Napoleone, sulle funzioni religiose, ecc.). La malattia fisica e mentale del prete rappresenta la fine della sua capacità di trasmettere insegnamenti e dunque del suo ruolo di guida spirituale. Il bambino inoltre ricorda il sorriso enigmatico del prete, un sorriso che, alla fine del racconto, si trasforma in una risata: tale rottura segna la fine del ruolo di guida e l’inizio della paralisi. All’inizio del testo sono presenti tre parole, scritte in corsivo, che il bambino ripete in modo ritualistico perché secondo lui “suonano strano”: paralisi, gnomone, simonia. La paralisi è ovviamente quella del prete e questo è l’unico racconto in cui abbiamo una vera e propria paralisi fisica (l’impossibilità di muoversi data dalla malattia) e non soltanto metafisica (l’impossibilità di uscire da una certa situazione). Uno gnomone, nella geometria di Euclide, è una figura che, se sottratta o aggiunta ad un’altra, produce una figura della stessa forma della prima; la sua etimologia è riconducibile al greco gnosis ossia “conoscenza”, in particolare quella spirituale. La simonia è la compravendita peccaminosa di beni spirituali e cariche religiose in cambio di denaro o altri beni di valore. ● An Encounter Il termine encounter può avere più significati: incontro faccia a faccia, scontro, incontro amoroso, incontro per caso, ecc. É un titolo significativo poiché le varie sfumature della parola hanno tutte a che vedere con degli avvenimenti del racconto. Il protagonista è un ragazzino, appassionato del wild west, annoiato dalla scuola e dai giochi che intraprende con i suoi amici. Desideroso di vivere delle vere avventure, pianifica di marinare la scuola insieme ai suoi amici Leo e Mahony, ma il giorno stabilito, il primo non si presenta. Il protagonista e Mahony iniziano così la loro avventura per le strade di Dublino. Iniziano a fare tutto quello che avevano pianificato (percorrono varie strade della cittá, attraversano il fiume Liffey col traghetto), ma alla fine sono talmente stanchi che devono fermarsi a riposare. I due si fermano sulla riva del fiume e lì vengono avvicinati da un signore sospetto che inizia a parlare con i ragazzini del meteo, della sua gioventù e dice di essere appassionato di letteratura. Nonostante appaia trasandato, il suo accento è buono, quindi il protagonista capisce che si tratta di un uomo di alto rango. I suoi discorsi cominciano però a toccare strani argomenti: chiede se i due bambini avessero delle fidanzate e afferma di provare un perverso piacere nel guardare le ragazzine. Poi si allontana per fare qualcosa che non viene precisato nel racconto (il lettore può immaginarlo). Mahony dice all’amico “Look what he’s doing!” e “He’s a quer old josser!”, i due appaiono sempre più preoccupati e decidono di inventarsi dei nomi, in caso l’uomo glieli chiedesse. Mahony però si allontana per inseguire un gatto ed il protagonista rimane solo. Al ritorno, l’uomo inizia a descrivere come ai suoi tempi i ragazzi cattivi venissero puniti a suon di frustate e afferma che vorrebbe tanto punire i ragazzi che parlano con le ragazze. Il discorso dell’uomo, oltre che perverso, è molto ripetitivo in quanto il verbo whip viene pronunciato assiduamente. Il ragazzino, in preda all’agitazione, chiama l’amico con la scusa che per loro è ora di andare e i due riescono ad allontanarsi dall'uomo. Il racconto si chiude con una sorta di epifania in cui il protagonista si rende conto di non aver mai gradito la compagnia dell’amico (“And I was penitent; for in my heart I had always despised him a little”). ● Araby Il termine Araby fa riferimento ad un mercato di beneficenza che si svolse a Dublino nel 1894, ma è anche il nome poetico dell’Arabia. In questo racconto è infatti fortemente presente il tema dell’incantamento orientale, ovvero l’attrazione per tutto ciò che è esotico. All’inizio del racconto viene indicato il nome di una strada di Dublino, North Richmond Street, dettaglio che si pone in contrapposizione col titolo: la realtà irlandese contro il sogno dell’oriente. Lo sguardo del giovane protagonista si posa su un vicolo cieco (tema del buio che verrà ripreso anche alla fine del racconto) in fondo a cui si trova una casa in cui era solito ritrovarsi con gli altri ragazzini. La casa apparteneva ad un prete, ora morto, e si trova adesso in uno stato di decadenza, con polvere, umidità, vecchi libri ingialliti, ecc. Nel passaggio successivo avviene l’incontro del protagonista con la ragazzina di cui si è innamorato, la sorella del suo amico Mangan. Il ragazzino, tra sé e sé, descrive i suoi sentimenti con una grandiosità esagerata (es. “my body was like a harp and her words and gestures were like fingers running upon the wires”), ma quando si ritrova a parlare con la ragazza non riesce ad esprimere ciò che prova ed assume un ruolo passivo nella conversazione. La ragazza gli parla di Araby, lo “splendid bazaar” dove vorrebbe tanto andare, ma non può farlo perché deve recarsi in convento per un ritiro. È ironico il fatto che il desiderio di avventura e di novità della ragazza venga ostacolato dalla religione. Il ragazzino allora le promette che si sarebbe recato lui stesso al bazar per comprare qualcosa da regalarle. Va a chiedere il permesso allo zio che risponde in maniera positiva, ma si dimentica di dargli i soldi per comprare il regalo, per poi ricordarsene solo al suo ritorno in tarda serata. Il giorno seguente, il ragazzino giunge a destinazione sull’orario di chiusura (il treno aveva tardato a partire), per fare in fretta, paga uno dei guardiani per farlo entrare da un’entrata secondaria, ma così facendo spende la metà dei soldi che ha non potendo quindi più comprare nulla. Il bambino sente di aver fallito ed è talmente deluso da dimenticare persino il motivo per cui è andato là. Il bazar è ormai vuoto e silenzioso. Recandosi ad uno dei pochi banchi ancora aperti, sente un dialogo tra due uomini ed una giovane donna, tutti con accento inglese. L’oriente, finora idealizzato, inizia così ad assumere una valenza negativa poiché viene identificato con l’Inghilterra, la causa della paralisi dell’Irlanda. Il racconto si chiude con un’epifania che riprende l’immagine del vicolo cieco, che stavolta però non è un paesaggio reale, ma interiore al protagonista: “Gazing up into the darkness I saw myself as a creature driven and derided by vanity; and my eyes burned with anguish and anger”. La “vanità” indica qualcosa di bello nelle apparenze, ma anche qualcosa di futile: il ragazzino prende coscienza della vanità del suo desiderio di avventura, del sogno orientale e forse anche dell’amore stesso. Seconda parte: adolescenza I protagonisti dei racconti dell’adolescenza sono ragazzi e ragazze che stanno affrontando una fase di passaggio della loro vita in cui devono abbandonare la giovinezza per entrare nella vita adulta. Alcuni dei protagonisti non sono più dei ragazzini, tuttavia non sono ancora riusciti a raggiungere la piena maturità e si trovano perciò bloccati in questa fase di passaggio. Tutti i protagonisti sono accomunati dal desiderio di fuga dalla loro squallida situazione (la paralisi). ● Eveline Nel primo racconto della fase dell’adolescenza, sono fortemente presenti i temi della paralisi e della mancata scelta. La protagonista di questo racconto è Eveline, una diciannovenne irlandese che vorrebbe fuggire da Dublino per andare a Buenos Aires con l’amato marinaio Frank (torna l’attrazione per l’esotico). La ragazza, mentre rimugina sulla sua scelta di partire, guarda fuori dalla finestra, elemento simbolico per Joyce in quanto si pone come una barriera tra il dentro (vita) e il fuori (morte), oppure come nel caso di Eveline, tra il chiuso (passato) e l’aperto (futuro). La giovane ripensa al passato, in particolare alla sua difficile infanzia, tra la miseria e le violenze del padre, ma anche l’amore per la defunta madre. Poi pensa al futuro, alla fuga d’amore ed al matrimonio, che rappresenterebbero per lei l’inizio di una nuova vita. Il marinaio le appare come un eroe romantico, arrivato per salvarla, che le racconta le sue avventure; in particolare resta affascinata da quelle con i Patagoni, i temibili giganti della festa a Maria viene chiesto di cantare una canzone per i bambini e lei opta per un celebre brano tratto da The Bohemian Girl di William Balfe (opera citata anche in Eveline, in cui la protagonista assiste allo spettacolo), cantando però due volte la prima strofa. Non si sa se l’errore sia voluto o meno e nessuno glielo fa notare, dal momento che la seconda strofa parlerebbe di spasimanti che chiedono la mano alla fanciulla che canta. ● A Painful Case James Duffy, uomo intellettuale di mezz’età che svolge una vita monotona e priva di contatti sociali, conosce ad un concerto di musica classica Emily Sinico, una donna intelligente, più grande di lui, sposata e con una figlia. I due cominciano ad incontrarsi per parlare dei loro interessi culturali. Il marito di lei era il capitano di una nave mercantile, sempre fuori per lavoro e, sapendo che la moglie incontrava spesso un uomo, ha pensato che potesse essere interessato a chiedere la mano della figlia, perciò incoraggia la moglie ad invitarlo nella loro casa. James, credendo che lei potesse riscattarlo dalla sua solitudine, decide di parlare con lei di argomenti personali ed i due cominciano a scambiarsi le loro più intime confessioni. Un giorno però la donna, credendo che l’amico ricambiasse la sua infatuazione, gli afferra la mano: questo gesto lascia l’uomo destabilizzato al punto che egli decide di troncare il loro rapporto. Quattro anni dopo, legge sul giornale che la donna si è suicidata gettandosi sotto un treno, dopo essersi rovinata con l’alcool. Lui è inizialmente disgustato di aver consegnato i suoi segreti a una donna di così basso profilo morale, ma poi si rende conto di averla abbandonata al suo tragico destino. Capisce di aver lasciato da sola l’unica persona che provasse qualcosa per lui e che ora sarà lui a restare da solo per il resto della sua monotona vita. Quarta parte: vita pubblica La parte della vita pubblica è formata da tre racconti che mettono in evidenza vari aspetti della vita pubblica e sociale dei cittadini di Dublino: la politica, il lavoro, gli affari, la religione. ● Ivy Day in the Committee Room Il protagonista del primo racconto della fase della vita sociale è il vecchio Jack, custode del comitato di un candidato alla carica di sindaco di Dublino, Mr Tierney. Mentre si occupa di tenere vivo il fuoco, assiste ai discorsi dei vari incaricati alla raccolta dei voti. Parlano di come procede la campagna elettorale, ma piuttosto che sostenere gli ideali del loro candidato, sembrano essere più interessati al fatto di non essere ancora stati pagati per il loro incarico. Durante la discussione, un ragazzino del pub Black Eagle entra nella stanza per portare agli uomini qualcosa da bere. Parlano anche della prossima visita del Re d'Inghilterra Edoardo VII a Dublino: alcuni la considerano una cosa positiva perché porterà molti soldi alla città, mentre altri pensano che accoglierlo nel paese sia contrario a ciò che il loro ex leader, il nazionalista Parnell defunto esattamente un anno prima, vorrebbe. Ma tali dicerie vengono lasciate da parte per non infangare la sua memoria proprio il giorno dell’anniversario (il 6 ottobre, detto Ivy Day). Alla fine uno di loro, Mr Hynes, recita una poesia che aveva scritto per commemorare il leader defunto e tutti sembrano apprezzare. ● A Mother Protagonista è la signora Kearney, una donna di buona famiglia e altezzosa che ha frequentato un collegio esclusivo dove ha studiato musica. La donna non è riuscita a seguire la sua passione per la musica ed ha sposato un uomo semplice e più anziano di lei. Tuttavia, lei rispetta molto il marito che è riuscito a dare alle due figlie la stessa istruzione esclusiva ricevuta dalla loro madre. La figlia maggiore, Kathleen, inizia a diventare popolare nell’ambiente musicale e viene notata dal celebre organizzatore di concerti Mr Holohan, che le propone di fare da accompagnamento ad una serie di quattro concerti in cambio di 8 ghinee (21 scellini). I primi due concerti, tra alti e bassi, vanno in scena, ma quando viene comunicato che il terzo concerto è stato annullato, la signora Kearney incontra gli organizzatori per assicurarsi che la paga della figlia sarebbe rimasta invariata. Mr Holohan e l’altro organizzatore, Mr Fitzpatrick, tuttavia non danno una risposta certa. La sera del concerto finale, la madre insiste sul sapere quando la figlia verrà pagata, dando vita ad una discussione che attrae l’attenzione di tutti i musicisti dietro le quinte. Per metterla a tacere, le vengono date 4 ghinee, con la promessa che avrebbe ricevuto l’altra metà qualche giorno dopo, in seguito alla riunione del comitato. La signora va su tutte le furie e, accompagnata dal marito, porta via la figlia impedendole di esibirsi nella seconda parte del concerto e compromettendo la sua futura carriera. ● Grace Il protagonista è l’uomo d’affari Tom Kernan, che un giorno, dopo aver bevuto troppo, cade dalle scale del bar e si morde la lingua staccandone un pezzettino. Recuperato da un amico, Mr Power, viene riportato a casa per essere assistito dalla moglie. Kernan era cresciuto in ambiente protestante, ma si è convertito al Cattolicesimo al momento del matrimonio, tuttavia non si avvicina più alla religione da molti anni. Gli amici che sono andati a visitarlo escogitano, insieme alla moglie, un piano per tentare di riavvicinarlo alla Chiesa: fingono di mettersi d’accordo per andare ad un ritiro gesuita e chiedono anche a Kernan se vuole unirsi a loro, affermando che il prete non terrà un sermone noioso, ma piuttosto una chiacchierata amichevole pensata per gli uomini d’affari come lui. Gli amici iniziano a parlare di religione coinvolgendo anche Kernan nel discorso, il quale alla fine, incuriosito, decide di unirsi a loro nel ritiro. C’è poi uno stacco temporale e ci troviamo in Chiesa durante il ritiro: Kernan e i suoi quattro amici assistono interessati al discorso del prete che, usando una metafora vicina agli uomini d’affari, si pone come il loro “contabile spirituale” e li invita a controllare i loro conti e comunicargli se c’è qualche conto che non torna come dovrebbe (ossia a guardarsi dentro e confessare al prete i loro peccati). Ultimo racconto ● The Dead L’ultimo racconto è più lungo e complicato rispetto ai precedenti ed è stato aggiunto in un secondo momento, quando il piano dell’opera era già ben definito. Il protagonista è Gabriel, uomo della middle-class, con un’educazione più prestigiosa ed una vita più agiata rispetto a quelle degli altri Dubliners. A differenza loro, lui ha la possibilità di scegliere cosa fare della propria vita grazie ad una posizione sociale ed economica sicura, tuttavia manifesta insicurezza sotto altri aspetti. Le sue zie Julia e Kate (assieme alla nipote Mary Jane), come ogni anno, organizzano una festa dopo il periodo natalizio, momento in cui tradizionalmente si raccontano storie di fantasmi (introduzione del tema della morte). Gabriel ha i compiti di affettare l’arrosto d’oca, tenere sotto controllo gli ospiti (soprattutto Freddy, un amico di famiglia sempre ubriaco) e soprattutto tenere il discorso. L’inizio è segnato da un’analessi in cui vengono raccontati fatti antecedenti per colmare eventuali successive lacune: si parla dell’importanza della festa, delle caratteristiche di alcuni personaggi e degli stati d’animo delle zie, ansiose per la festa, e di Gabriel, preoccupato per il discorso che deve fare (vorrebbe arricchirlo con citazioni letterarie, ma teme non vengano comprese dagli invitati). La festa ha inizio ed il racconto segue le vicende di Gabriel che dialoga con i vari invitati, talvolta con qualche difficoltà, ad es. con la signorina Ivors, estremamente nazionalista, che prende in giro Gabriel in quanto autore di un rubrica del The Daily Express (lo chiama West Briton, ossia sostenitore dell’influenza inglese sull’Irlanda) ed insiste nel sapere perché volesse trascorrere le vacanze all’estero piuttosto che nella sua terra. Segue poi il discorso di Gabriel, che parla della tradizionale ospitalità come un valore che non deve andare perduto e pone l’attenzione sui morti, che sono secondo lui sempre presenti, ma solo attraverso il ricordo, escludendo così qualsiasi interferenza del passato col presente. In realtà, il tema della morte aleggia in tutto il racconto, ad es. quando Gabriel ricorda la madre defunta o quando alcuni invitati discutono sulla strana pratica dei monaci di dormire in delle bare per ricordarsi che la morte arriverà. In altri casi vengono utilizzati termini legati semanticamente alla morte, come “my wife here takes three mortal hours to dress herself” o “close the door, somebody. Mrs Malins will get her death of cold”. La festa è giunta al termine ed i partecipanti si salutano. Gabriel nota la moglie Gretta in disparte, sulla scala, che ascolta la musica con aria turbata. La canzone è The Lass of Aughrim, un’antica ballata irlandese che parla di un amore tragico. Finita la festa i due tornano in albergo, ma durante il percorso in carrozza lei è silenziosa e distante dal marito che, preso da un impeto passionale, tenta invano di avvicinarsi a lei. In camera, lui è innervosito dall’atteggiamento distaccato della donna e le chiede cosa ci sia che non va. Lei, piangendo, risponde che la canzone le ha ricordato una persona che conosceva quando viveva in campagna con la nonna, a Galway. Il marito ingelosito comincia a fare domande ed insinuazioni, arrivando a chiedere se si trattasse di qualcuno di cui lei era innamorata, ma lei risponde che era solo un ragazzo di nome Michael morto giovane quando lei aveva 17 anni (forse morto di dolore nel vederla partire). Gabriel, imbarazzato, capisce l’infondatezza della sua gelosia ed inizia a vedersi come un pagliaccio dal comportamento patetico. Il suo stato d’animo contrasta con quello che aveva detto nel suo discorso alla festa: i morti, nonostante non siano più presenti fisicamente da anni, hanno ancora la capacità di influenzare le nostre vite (quindi c’è interferenza tra passato e presente). Nel finale, Gabriel guarda fuori dalla finestra, verso ovest (riferimento alla morte) e prende coscienza della sua esistenza e di quella di tutti gli esseri umani: la neve che cade e copre tutti, sia vivi che morti.
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