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Letteratura Inglese 3° anno. Robert Browning, Appunti di Letteratura Inglese

Appunti lezioni Letteratura Inglese 3. (1° semestre). Macroargomenti: Robert Browning - My Last Duchess; Porphyria's Lover; Johannes Agricola in Meditation; the Tomb at St. Prazed; the Englishman in Italy; the Italian in England; a Toccata of Galuppi's; Childe Roland to the Dark Tower Came; an Epistle containing the Strange Medical Experience of Karshish; Love Among the Ruins; Two in the Campagna; Andrea del Sarto.

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 16/09/2019

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Scarica Letteratura Inglese 3° anno. Robert Browning e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! ROBERT BROWNING Selene Gatti Robert Browning (1812, Camberwell - 1889) Robert Browning è stato un poeta religioso e filosofico dell’epoca vittoriana. Da bambino frequentò per un periodo la Reverend Thomas Ready’s School, quando la lasciò vene educato a casa per circa due anni, durante i quali scrisse un volume di poesie che intitolò Incondita e che poi distrusse; studiò latino, greco e tedesco alla London University. Nel 1830 diventò un membro del The Set/ The Colloquial, un’informale società di dibattito letterario. Lavorò come impiegato della banca d’Inghilterra, ma non fu né ricco né povero, per cui non ebbe mai bisogno di un vero lavoro. Due furono i viaggi più importanti della sua vita: uno a Pietroburgo, dove incontrò il console russo, e uno, nel 1838, tra Venezia e Asolo. Aveva una grande biblioteca di libri di cultura generale e amava scoprire cose recondite. Il padre lo avvicinò alla musica e lo accompagnò spesso in gallerie d’arte le cui opere popolarono poi spesso le sue poesie. La madre era molto religiosa, ma lui si allontanò dalla fede nel 1826, quando venne a contatto con la poesia di Shelley (la cui pubblicazione era stata vietata). Diventò vegetariano, ma quando rischiò di diventare cieco tornò a una dieta carnivora e si riavvicinò alla religione delle sue origini, a differenza dei poeti romantici che tendevano a crearne di proprie. Mise in questione il Cattolicesimo, ma non la religione cristiana in quanto tale. Abbandonò gli studi universitari per dedicarsi allo studio dell’italiano, della mistica e del canto; avrebbe voluto scrivere per il teatro, ma aveva un’inclinazione lirica; scrisse anche opere drammatiche, ma senza successo. Col tempo divenne sempre più famoso e quando mor̀ı la sua notorietà aveva ormai raggiunto anche l’America, dove circa in ogni cittadina si era ormai creata una Browning Society; lo scrittore americano Harry James lo conobbe in gioventù, scrisse molto su di lui: la sua opera principale è ispirata alla sua My Last Duchess e si intitola Ritratto di una donna. All’inizio del 1853 Browning si sentiva poco produttivo, per cui decise di scrivere una poesia al giorno: mantenne il proposito solo per una quindicina di giorni. Elizabeth Barret fu il suo grande amore; era una poetessa al tempo più ricca e più affermata di lui che, probabilmente per via di alcuni problemi alla spina dorsale, conduceva una vita reclusa. La sua famiglia possedeva diverse piantagioni in Jamaica, lavorate dagli schiavi, che determinarono sia la ricchezza che il fallimento dei Barret. Inizialmente il padre, forse nella paura di vedere il proprio retaggio mischiato a quello di persone ‘dal sangue nero’, aveva deciso che nessuno dei suoi figli si sarebbe sposato. I due cominciarono una corrispondenza che durò circa tre anni e iniziò con un vicendevole commento di poesie e che, senza che i due si conoscessero, si trasformò poi in corrispondenza amorosa. Decisero poi di scappare in Italia (supportarono il nazionalismo italiano) dove si sposarono il 12/9/1846 a Firenze, dove si stabilirono in ’Casa Guidi’, che diventò la loro residenza permanente. Nel 1849 ebbero un figlio. Furono sempre molto fedeli l’uno all’altra e cercarono di imitare il rapporto che c’era tra Mary Shelley e il marito; si davano forza a vicenda, avevano due personalità molto forti: Browning scrisse infatti molte opere con l’aiuto della moglie. Browning lasciò l’Italia nel 1861, dopo la morte della moglie (l’idea che gli amici si erano fatti di un suicidio romantico di lei è stata smentita). Dopo aver lasciato l’Italia tornò in Inghilterra dove mor̀ı nel 1889, il giorno in cui pubblicò il suo ultimo libro. Opere Pauline (1833) lungo poema confessionale pubblicato in maniera anonima e passato inosservato. 1 Paracelsus (1835) serie di monologhi pronunciata dal fisico svizzero Paracelso e dai suoi amici; portò la figura di Browning all’attenzone della società letteraria londinese. Sordello poema in pentametri rimati, genericamente basati sul poema medievale Sordello da Goito, che era un personaggio storico che comparve anche nella Divina Commedia. È un’opera di difficile comprensione: inizialmente venne infatti accolta da una quasi universale comprensione e derisione. The Ring and the Book (1868) è il suo capolavoro, venne pubblicato in quattro volumi mensili, ognuno dei quali conteneva tre libri di poesie che vennero largamente acclamati dalla clinica. Una seconda edizione venne pubblicata nel 1872. Soliloquy of the Spanish Cloister questo monologo gli è suggerito dalla lettura dell’opera di Tarryson St. Simeon Stylites, in cui il narratore, anche se è una persona cattiva, vorrebbe essere santo e si candida a questa santità attraverso la sofferenza (di cui però si compiace). Si dice pulito anche se si ha parlato a lungo della sporcizia del proprio corpo. Disprezza fortemente gli altri, che per lui sono un ‘niente’, è santo, ma vuole la corona come riconoscimento; si dice pulito, ma continua a parlare della sporcizia del suo corpo: è una sorta di studio psicologico del fanatismo: il monologo drammatico verrà poi ripreso da Freud che capisce che attraverso la parola si possono curare le malattie mentali. Gli stiliti erano monaci del primo Cristianesimo che si ritrovavano nel deserto come eremiti, vivevano su una colonna, venivano nutriti dai fedeli e non potevano muoversi; passavano una vita di penitenza estrema per mortificare la carne. È un monologo in versi di un frate che odia un altro frate perché, essendo molto osservante, trova l’altro, per quanto sempre molto contento, anche povero di spirito; qui ragione su come mandarlo all’inferno. Esprime un’acredine repressa. Browning vedeva in certe espressioni devozionali la quintessenza della repressione, soprattutto della carne; diceva che queste erano state rifiutate dal Protestantesimo e che non c’era nulla di Santo in tutto ciò, ma solo orgoglio. Erano prove della religione impazzita, esempi di sadomasochismo, di un gusto per la sofferenza in quanto tale. St. Simeon Stylites Although I be the basest of mankind, From scalp to sole one slough and crust of sin, Unfit for earth, unfit for heaven, scarce meet For troops of devils, mad with blasphemy, I will not cease to grasp the hope I hold Of saintdom, and to clamour, mourn and sob, Battering the gates of heaven with storms of prayer, Have mercy, Lord, and take away my sin. Let this avail, just, dreadful, mighty God, This not be all in vain, that thrice ten years, Thrice multiplied by superhuman pangs, In hungers and in thirsts, fevers and cold, In coughs, aches, stitches, ulcerous throes and cramps, A sign betwixt the meadow and the cloud, Patient on this tall pillar I have borne Rain, wind, frost, heat, hail, damp, and sleet, and snow; And I had hoped that ere this period closed Thou wouldst have caught me up into thy rest, Denying not these weather-beaten limbs The meed of saints, the white robe and the palm. che si pone prima del primo giorno di creazione e prepara una vita e schiera un ordine per lui. Lui è ben nutrito, benedetto in continuazione da questa virtù che non finisce mai, perché in qualsiasi momento si sente coccolato da Dio, come fosse una mamma e lui un ’bambino favorito’ (non si vede responsabile delle sue azioni, perché sono state volute da Dio, si definisce guiltless forever, non ha bisogno della legge). Dal suo posto in paradiso vede la gente all’inferno che aveva condotto una via votata solo a Dio e aveva fatto ogni genere di penitenza per salvarsi; ma tutti quelli che diventano bianchi e distrutti, condannati, lo erano già prima che Dio creasse la terra. Dio per definizione trascende l’uomo, e se fosse possibile capirlo e creare una vita di buone opere ed essere poi salvati da Dio, lui non sarebbe trascendente. La poesia si conclude con una domanda retorica dal punto di vista teologico ed emotivo, ma è anche espressione di dubbio perché si chiede se sia pazzo o no. The Tomb at St. Praxed (the Bishop Orders His Tomb at Saint Praxed’s Church) Venne pubblicata per la prima volta nel Hood’s Magazine nel 1845 e di nuovo nel 1849. L’idea del componimento è stata con lui per molti anni; ma la composizione in sé probabilmente è da riferirsi all’inverno del 1844-45, quando Browning vide la chiesa di Santa Prassede a Roma durante il suo secondo viaggio in Italia. Poco dopo il suo ritorno infatti, menzionò lo scritto all’amata in una lettera, e inviò il componimento a F.O. Ward, editore dell’ Hood. Nella pubblicazione in rivista e fino al ’49 il titolo era The Tomb at St Praxed’s: cercava di spostare l’enfasi sulle istruzioni, il che implica l’assunzione di un atteggiamento drammatico (illocutorio) rispetto alla mera descrizione, che viene evitata mediante un continuo spostamento degli orientamenti deittici del monologante - ricavabili dalle sue reazioni - all’indifferenza degli interlocutri e ai loro impliciti dinieghi. Il blank verse, misura tipica del dramma elisabettiano, è quanto mai scheggiato e franto, e ricorda da vicino quello delle grandi tragedie shakespeariane (Lear) e dei drammi romanzeschi, e si adegua agli scatti e ai sussulti emotivi della voce monologante; la lunghezza del monologo è controbilanciata dalla situazione-limite e carica di suspense di avvio (il Vescovo in punto di morte che dà le ultime dettagliate istruzioni per il suo monumento funerario); il numero degli interlocutori silenziosi del monologante è aumentato, ed è più forte e psicologicamente motivato il rapporto emittente-destinatari per il vincolo padre-figli che li unisce; tra loro si devono porre in evidenza anche i fantasmi del rivale del Vescovo Gandolfo, e dell’amante, madre dei suoi figli-nipoti; nel monologo del Vescovo tornano a galla frammenti della sua storia personale passata, non congrui per convenzione col genere drammatico. Ruskin scrive di questa poesia: I know of no other piece of modern English, prose or poetry, in which there is so much told, as in these lines, of the Renaissance spirit, - its worldliness, inconsistency, pride, hypocrisy, ignorance of itself, love of art, of luxury, and of good Latin. Un fraintendimento fece pensare che Browning avesse usato la guida di Murray, in cui avrebbe trovato il termine praxed, forma anglicizzata di Prassede , o prima del suo viaggio del 1844, o in seguito al suo ritorno per rinfrescarsi la memoria. In ogni caso, DeVane puntualizzò che Browning probabilmente aveva inviato la poesia al giornale prima del febbraio del 1845, e che l’avesse quindi scritta prima. A concorrere a questa visione sono alcune imperfezioni nella descrizione architettonica della chiesa: la chiesa di Santa Prassede in Roma non corrisponde infatti ai particolari dati dal Vescovo, il quale connota piuttosto una chiesa tardo-rinascimentale o barocca come quella di Gesù. La chiesa contiene due monumenti funerari di due diversi cardinali: il primo, risalente al 1287, appartiene a Cardinal Anchero Pantaleone of Troyes; è piccolo, modestamente decorato, con un’iscrizione che non menziona il nome del Cardinale; il secondo appartiere a Cardinal Cetti, vescovo di Sabina, risale al 1474 ed è più grande e più sfarzosa e decorata con ritratti di lui, San Pietro e San Paolo e statue di Santa Prassede e Santa Prudenzia. La congiunzione di questi due monumenti può aver suggerito l’idea di rivalità; la possibilità è rafforzata dal fatto che non ci sono altri monumenti simili nella chiesa. La competizione per la miglior locazione di una tomba era cosa comune nel periodo in cui il poema è ambientato: la miglior posizione si pensava fosse il coro, vicino all’altare. Prassede era una donna che si adoperò nell’aiuto dei Cristiani durante le persecuzioni. Un dipinto del XVIII secolo, conservato nella Chiesa, mostra Prassede mentre ha una visione del martirio dei suoi seguaci cristiani. I commentatori hanno percepito una certa ironia nel contrasto tra lei e il frate, un’ironia supportata dalla presenza nella chiesa di una lastra di granito su cui Prassede si dice abbia dormito. La conoscenza di Browning della storia della chiesa rende difficile pensare che egli abbia confuso il sesso del protagonista. L’ambientazione del poema è del sedicesimo secolo: si pone in un punto a metà tra il declino della Chiesa del Rinascimento nella corruzione e nel materialismo, con la conseguente devastazione della Riforma, e la rinascita nel XXVII secolo, del periodo della Counter-Reformation. Il punto a metà è rappresentato dalla tomba visionaria del vescovo, che riassume sensualità e paganesimo dell’alto Rinascimento e anticipa il militante splendore del Barocco. Il vescovo è in punto di morte e (da persona vanitosa quale è) parla della vanità legata alle cose della terra. Spesso le poesie di Browning si collocano in momenti cruciali della vita della persona, che si intuiscono dallo stretto legame tra il modo di esprimersi dei personaggi e la sintassi. Invidia l’amante del suo successore. Il mondo viene qui percepito dal lettore come un sogno, ma dal narratore come qualcosa di fortemente materiale. The Englishman in Italy Browning ha una grande forza descrittiva; usa molti dettagli descrittivi e spesso le poesie sembrano pura descrizione o digressione, ma si capisce che si sta parlando di qualcosa di più profondo. La poesia è quasi interamente descrittiva; ha molti dettagli e al lettore vengono riversate continuamente nuove informazioni; si presenta come una rapsodia di vivide impressioni che Elizabeth Barret loda come descrizione pura. È strutturata in quartine (rime: AbCb, come nella ballata popolare classica), con versi alternati di tre e due accenti principali; alla monotonia e alla prevedibilità del sistema delle rime si contrappone l’andamento ritmico molto mosso dei singoli versi, con inversioni ritmiche che assecondano le movenze del parlato e il dinamismo delle descrizioni. È ambientata a Piano di Sorrento, nasce da un dibattito degli anni 40 dell’Ottocento secondo cui gli stranieri sarebbero più bravi degli italiani a descrivere l’Italia perché gli italiani sono poesia in sé, ma non la sanno scri- vere. Convergono in questa poesia l’italomania dei romantici Shelley e Byron in particolare, nonché la fortunata tradizione delle memorie, guide, resoconti di viaggiatori inglesi innamorati del nostro paese, meta obbligata del Grand Tour. I luoghi visitati da Browning sono momenti di un pellegrinaggio tutto interiore, atto a riconoscere la cornice naturale delle opere italiane di Byron e Shelley e a passare sui luoghi sacri alla loro ispirazione. Questa è una poesia altamente virtuosa in cui Browning dispiega la propria capacità descrittiva; è fatta di concretissime e minute osservazioni aliene tanto alla Stimmung di Shelley come alle tentazioni divagatorie di Byron; un precedente lo si poteva trovare nel prose-poet Wordsworth per l’adesione del linguaggio all’oggetto descritto, e tuttavia depurato di residui sentimentali nei confronti della natura, che conserva a una sua irriducible alterità anche là dove più forte appare l’emozione del soggetto. Praz ha parlato del Browning pittoresco, emulodei figurinai dei presepi napoletani per il pieno delle sue descrizioni: i segni della tradizione pittoresca si possono vedere nelle scene della vendemmia e della pigiatura, della cesta del pesce, del fabbro-calderaio, della processione con la Madonna, ma sono bilanciati da un noteole dinamismo descrittivo e insieme da un minimo di distanziazione ironico-bonaria; contraddittoria al pittoresco è l’attenzione catalogica alla natura che si concentra sulla descrizione di arbusti, sempreverdi e rampicanti piuttosto che di alberi illustri. Le montagne sono sublimi, la pianura è succube e tutto ciò che c’è in lei è silenzioso e solenne e si fa piccolo. La natura può essere paragonata ad una donna impaurita dal suo dominatore. Nel prologo (vv.1-12) si ha l’apparizione di Fortù, una bimbetta che l’espositore tiene in braccio, destinataria delle descrizioni a cui dà un leggero rilievo drammatico e silenziosa interlocutrice; la seconda, lunghissima sezione (vv. 13-228) è occupata per buona parte dal viaggio al monte Calvano e si conclude con l’invito a Fortù a esplorare le isole delle Sirene; la terza (vv. 229-285) è tutta presa dalla descrizione della festa del Rosario; la quarta, con l’accenno a ciò che succede in Inghilterra e con la fine del sogno italiano chiude la lirica (285-292). Funge da leitmotiv il richiamo a più riprese allo scirocco col suo cielo nero e il suo mare burrascoso. L’idea è che ci sia un’inglese che abita in una casa colonica e sta parlando con una contadina, che recita il rosario in una giornata autunnale in cui lo scirocco soffia tanto forte da dover rimanere in casa. L’uomo vuole la donna vicina per parlarle. È una mattina in cui le cose stano cambiando: cultura, natura e casa si uniscono tra loro. Dalla finestra vede il fratello di Fortù ed un prete (c’era l’idea che in Italia i preti fossero molti) mentre lavorano ad una rete per uccelli; ci sono delle ragazze che stanno portando al coperto i fichi esposti per essere seccati, tutti lavorano per via della pioggia improvvisa che impedisce alle barche di uscire. Tra una settimana la vendemmia sarà finita e le foglie serviranno come foraggio per gli animali, allora sarà tutto molto nudo. Vengono poi descritte diverse attività contadine della casa di Fortù e anche una processione religiosa (finale tipico) cui partecipano un ambulante (stagnino) e un fabbro che porta in bocca uno scacciapensieri con cui i bambini vorrebbero giocare. Browning riprende anche la tradizione dell’Italia bella, ma non libera: tutto può essere visto come una nota politica che descrive i dominatori stranieri dell’epoca. Vengono descritti i Galli, tre isolotti che tradizionalmente dovevano essere gli scogli delle sirene - il nome di Sorrento deriva dal termine sirene, o pietrificatesi o trasformatesi in isole dopo che Ulisse resistette alle loro tentazioni - il cui canto si confondeva con quello degli uccelli (poesia terrestre). Si citano infine anche le leggi relative al dazio sull’importazione del grano erano state messe in vigore a partire dal 1815 ed erano state via via ritoccate o perfezionate, ma mantenute fino al 1846, anno della loro definitiva abolizione dovuta all’effetto combinato della Lega Abrogazionista, agli scarsi e spesso disastrosi raccolti dei primi anni Quaranta. Storicamente il dibattito verteva sulla adozione o meno del libero scambio, paventato dal vecchio Establishment terriero, e fervidamente prmosso dalle classi imprenditoriali emergenti. L’atteggiamento di Browning nella corrispondenza è abolizionista, in quanto mantenere dazi significava in anni di magra agricola letteralmente la fame per i contadini e alti prezzi per i consumatori: in questo finale, tuttavia a Browning sembra premere di più evidenziare la sua predilezione per un’Italia dalle azzurre solitudini e dalla natura splendente e sempre uguale (vv. 180 e 176), per cui il modo di presentare la problematica del dibattito sulla questione non può che essere leggermente svagato e ironico. The Italian in England È un monologo drammatico di Mazzini; appartiene agli anni 40; sua moglie scriverà molto sul Risorgimento italiano; sembra che Browning sia stato in Italia durante il problema dei fratelli Bandiera - c’era stata una rivolta in Calabria nel 1844, incoraggiata da Mazzini che, scappato a Londra, dirigeva operazioni dei patrioti italiani che volevano liberarsi dagli austriaci, spesso tramite azioni pericolose, come quella in cui morirono i fratelli Bandiera. Browning non ha in mente un patriota specifico, ma ha caratteristiche che ricordano Mazzini: vive all’estero e ricorda il modo in cui è riuscito a fuggire dagli austriaci dopo essersi nascosto e essere quasi morto di fame; si fa riconoscere da una contadina che decide di non tradirlo, nonostante avrebbe potuto morire. Lo aiuta e lo salva permettendogli di scappare; il patriota ricorda la sua vita, mentre è lontano dai fatti che egli stesso organizza. Browing e Mazzii si incontrarono e Mazzini stesso l’ha tradotta, ma ora la sua traduzione è andata persa. - Se avessi tre desideri, dice il patriota, strangolerei il commisario austriaco, vedere punito il suo amico Charles che l’aveva tradito e rivedere la contadina che l’aveva salvato e che rappresenta l’Italia. A Toccata of Galuppi’s Pubblicata nel 1855. Il monologo si compone di 15 strofi di 3 versi monorimici, e il tipo di verso scelto, il lunghis- simo ottametro trocaico, abbastanza infrequente in Browning, sembrerebbe inteso a tradurre col suo movimento isocronico il tempo musicale, la melodia, gli intervalli regolari tra le note, il sentimento che la musica suscita. E in prospettiva drammatizzante è da vedere l’assunzione dell’io e del tu del monologo prima da parte del monolo- gante e Galuppi, poi, dentro la scena veeziana, dagli amanti nel dialogo d’amore, e infine da Galuppi monologante. Venice and her people è l’oggetto del dialogo a distanza, nel tempo e nello spazio, tra il monologante (inglese, scienziato ottocentesc) e Galuppi (veneziano, artista settecentesco) per il tramite della toccata, la cui prima esecu- zione attiva il monologo e viene contrapposta a quella dell’autore dentro la scena evocata dal carnevale. Galuppi mette la sua verità misconosciuta, capace di un profondità ignorata dal suo pubblico per superficialità; il messaggio della sua musica resta inascoltato, salvo la parte virtuosistica, apprezzata soltanto perché solletica la vanità e il narcisismo di un pubblico dalla sensibilità raffinata, che tuttavia respinge e forse rimuove ed esorcizza le note dolenti e gravi. Semplificando, si può dividere il monologo a più voci in: inroduzione tematica (st.1); presen- tazione della scena d’esterni, con la festa del carnevale (st. 2-4); scena d’interni, con l’esecuzione della toccata e citazione del dialogo d’amore e d’addii (st. 5-9); fine della festa e dell’amore e vittoria della Morte su Eros (st.10); monologo-risposta-messaggio di Galuppi (st.11-14); conclusione elegiaca (st.15). L’immagine di Venezia è legata ignobile perché egli sta proeittando in essa qualcosa di malvagio presente in lui; è tutta calcificata dal fuoco: la zolla di terra ha bisogno del giudizio universale per spaccarsi e far uscire i semi che, però, non potranno fruttare. Nella XII strofa, Browning si rifà alla poesia di Shelley, che descrive un giardino rovinato dalle erbacce, quasi come se vi fosse passata sopra una bestia, solo per il gusto di rovinare le cose. L’erba cresce rara come i capelli sulla testa di un lebbroso; c’è un ronzino vecchio, immobile e cieco a cui si vedono tutte le ossa; è stato tolto dalla mandria e non serve più neanche al diavolo. All’inferno si soffre in base a quanto si stati cattivi e non ci si spiega perché il diavolo soffra. C’è un forte odio del narratore anche nei confronti del cavallo morto; il soggetto che odia pensa che l’oggetto meriti il suo odio; questo ci fa capire che la tradizione che vuole che si ami il sofferente è ipocrita. Tutto quello che poteva vedere era brutto e gli dava sentimenti negativi, quindi chiude gli occhi per darsi coraggio cos come si beve un sorso di vino prima di una battaglia. Cerca qualche immagine che avrebbe conservato nel suo cuore e che gli dia coraggio (si riprende la poetica di Wordsworth). Si ricorda un suo amico Cuthbert, nel pieno della sua giovinezza; l’amicizia vi teneva insieme, questa immagine però, non lo aiuta; ricorda Giles, sincero, uomo d’onore, era pronto a qualunque cosa, a patto che queta fosse onesta; è stato impiccato perché ha tradito nonostante fosse la quintessenza dell’onore. Vede un cadavere che pende al quale è stato attaccata una pergamena su cui c’è scritto che è un traditore. Evoca immagini per darsi forza, ma ad ogni immagine positiva ne porta una negativa, come se le cose inevitabilmente deteriorassero. Ritorna al presente, perché è meglio delle delusioni del passato e si augura che la notte gli mandi un gufo o un pipistrello - arriva qualcosa di inaspettato che attira la sua attenzione. Il fiume, nonostante si ain pianura, è spumeggiante e violento, è qualcosa di innaturale. Nella tradizione cavalleresca, vicino ai corsi d’acqua cresceva una bella vegetazione; qua invece ci sono solo dei sambuchi ricurvi, quasi inginocchiati, salici fradici (drenched willows) che sono come donne suicidatesi; il fiume ha fatto loro del male, ma scorre fregandosene di coloro che hanno perso la vita per causa sua - il fiume non ha pietà. Si immagina che questo fiume sia pieno di suicidi e mentre lo attraversa ha paura di mettere il piede sopra la guacia di un cadavere; infilza una lancia per vedere se ci sono punti dove l’acqua è più profonda ed ha paura di infilzare i capelli o la barba di un morto. Sente un verso e pensa di aver infilzato un topo d’acqua che squittisce emettendo un verso simile a quello di un bambino; arrivato dall’altra parte trova una palude dove non è chiaro quali animali ci siano, ma ne vede alcuni che creano un pantano schifoso; sono animali autoctoni che sono quasi impazziti a restare chiusi in questo posto. Questo era un posto prima florido, ma ora è solo terra dove non esiste più nulla, è stato creato e poi distrutto dalla stessa persona; la vegetazione è talmente debole che assomiglia ad un uomo morente; non sembra ci possa essere qualcosa che può cambiare le cose. Nel momento in cui sembra fermarsi, un uccellaccio con ali di pipistrello passa sopra di lui; l’uccello assomiglia a Apollyon, angelo dell’abisso dell’apocalisse di San Giovanni - è quindi un essere infernale. Alla 28esima strofa c’è un turning point: credeva fosse tutto piatto, invece si trova in mezzo a delle montagne che però sono molto brutte e deformi; riescono a soprenderlo e non sa più come uscirne. Pensa che questo sia una sorta di dejà-vu perché gli sembra di riconoscere il luogo, forse perché l’aveva già sognato. All’improvviso riconosce di essere arrivato dove voleva; si potrebbe dire che stava guardando solo dentro di sè, ma non ne siamo sicuri; capisce di essere stato sciocco ad essersi appisolato nel momento cruciale dopo una vita dedicata a riconoscerlo. Il narratore si era preparato per tutto ciò, ma viene sorpreso da ciò che capita all’improvviso. È come se lo spirito della tempesta mostrasse al marinaio lo scoglio affiorante, ma che è sott’acqua, contro cui la nave sta andando a sbattere solo nel momento in cui sente il legno spaccarsi (vuol dire che è sempre troppo tardi quando si capisce una cosa). Il tramonto del sole morente accende le colline come dei giganti a caccia di cui lui è la preda; si sente come un animale in trappola e i giganti vogliono finire la bestia che hanno catturato. Fino alla 33esima strofa non ci sono rumori, poi sente il nome di altri cavalieri, e si descrive il fallimento come scopo da perseguire: tutti questi eroi sono stati ingannati di un inganno simile a quello cui erano stati sottoposti i giovani veneziani della Toccata di Galuppi. Gli eroi si sono riuniti per vedere la sua morte, non si sa bene se per onorarlo o deriderlo; stavano schierati lungo il pendio, cornice viva per un quadro di cui sarà il protagonista; sono tutti fasciati di fuoco e lui li riconosce: nel Purgatorio di Dante si vedono persone vive nelle fiamme che devono purificarsi. Non si capisce se sono i cavalieri morti, oppure se anche lui sta andando a fuoco; questo riconoscere le cose è un segno di vittoria perché ciò che noi vogliamo è conoscere le cose. Lui sta morendo, e in quel momento è come se capisse tutto e prende una tromba per suonarlo, ma non si capisce chi possa sentirlo e se un altro cavaliere lo sente farà la stessa fine. Immagina che questo vecchio gli abbia detto molte bugie e lo guardi di traverso per vedere come agisce la sua bugia su di lui; sono due persone che si giudicano a vicenda. La storia comincia drammaticamente in medias res, alla fine di un dialogo (non dato) tra Orlando e lo sciancato canuto, senza che sappiamo la natura delle domande del cavaliere, e col dato di partenza della risposta ingannevo- le; forse c’è nello sciancato canuto una reminiscenza della natura perversa e fatale della Sfinge, e probabilmente il suo inganno e la suspense consistono nel modo di descrivere la torre scura non fornito da Browning. An Epistle Containing the Strange Medical Experience of Karshish È uno dei grandi monologhi drammatici della raccolta. La sua forma epistolare non ne cambia sostanzialmente la natura: muovendo dal racconto evangelico della resurrezione di Lazzaro, Browning drammatizza l’ipotetica ma probabile ricezione dell’evento miracoloso da parte di Karshish, contemporaneo, ma estraneo, armato delle sue cognizioni scientifiche e del dubbio che richiede le prove prima di credere. In termini drammatico-narrativi viene cos̀ı presentato uno dei nodi problematici dell’Ottocento vittoriano, il contrasto tra Fede e Scienza. Ma l’Epistola è soprattutto un tour de force per il blank verse duttile che Browning è ormai riuscito a mettere a punto e che si piega alle esigenze del racconto, della suspense creata per il primo buon terzo del monologo mediante una continua tendenza alla digressione da parte di Karshish. Si direbbe un verso che spesso rasenta la prosa o che sembra violentemente strappato alla prosa, e tuttavia mantiene l’identità della poesia ed è la prova generale dei grandi monologhi topici del Browning degli anni Sessanta e Settanta. Riflette il dibattito molto importante durante l’età vittoriana tra religione e scienza; era un dibattito culturale che per la prima volta venne messo a fuoco in questo periodo. Nell’Illuminismo si era iniziato a mettere in discussione alcuni dati della storia sacra, ma solo a metà dell’800 la scienza inizia a permeare la vita di ognuno. Essendo una lettera si tratta di un monologo e quindi si dà per scontato che il destinatario abbia le stesse nostre conoscenze e sia disposto ad ascoltarci. Lo scrittore è un uomo di scienza che parla di ciò che ha esperito, di ciò che conosce; questo è anche il periodo in cui vengono scritte molte opere sulla vita di Cristo, non necessariamente scritte da credenti, ma sentono il bisogno di raccontare una storia scientificamente e storicamente supportata. Cristo non viene negato, ma si è più circospetti: è come se ci fosse il bisogno di vedere Gesù da più prospettive. Lo scrittore è Karshish, il destinatario Abib; i primi venti versi sono delle perifrasi usate per definire il mittente e il destinatario; il primo è un medico arabo che scrive più o meno intorno al 68-69 d.C. (toponimi biblici); il tono è molto ossequioso e fantasioso nel redigere una descrizione di se stesso. L’idea è che sia un medico nomade; ed è viaggiando infatti che si conosce sempre di più. È una poesai con molte digressioni, ma che va a parare su un tema specifico: la morte di Gesù; si vede la tendenza a focalizzarsi su qualcosa di specifico: la morte di Gesù, e a dare attenzione al contrasto tra una scrittura dinamica e una digressiva. First Verse Paragraph Il componimento non è diviso in modo regolare, per cui non si può parlare di strofe. Fino al verso 61 si parla del viaggio di Karshish e dei problemi che ha incontrato (vv. 26-28, accenno all’insicurezza dl territorio: guerra imminente). Ci sono molti toponimi che rimandano alla Bibbia e riusciamo a datare l’azione tra il 68-69 d.C., Karshish è avventuroso e vuole mettersi in gioco ed è compiaciuto dalla sua voglia di rischiare; si accennano, anche in modi molto specifici, malattie e rispettive cure. Questi versi trasmettono esitazione e la non volontà di scrivere cose che poi possono ritrovarsi nelle mani sbagliate. Inizialmente Karshish e Abib si scambiano dei convenevoli; Karshish è piuttosto deferente, si vede che Abib non è itinerante, ma sono stati giovani insieme; è avventuroso e vuole mettersi in gioco ed è compiaciuto dalla sua voglia di rischiare. Si vede come la medicina vada ancora per tentativi e sia al confine tra la scienza e la magia. Karshish è quasi arrivato a Gerusalemme ed è sereno, è però sempre esitante e affiderà la lettera ad un ragazzo siriano che si era offerto di inviarla a ad Abib per ripagare il suo debito, Karshish infatti gli aveva curato gli occhi (miracolo di Gesù). Si vede come Karshish abbia voglia di concentrarsi ed è un momento che si vive come se si fosse in compagnia della persona a cui si sta scrivendo. Al verso 69 vediamo che l’uomo della cui malattia si parla, è scritto con la lettera maiuscola e ha qualcosa che si imprime in Karhish, ed è magnetico. L’uomo sa che la direzione che sta prendendo è diversa da quella scienza, ma poi ci ritorna sempre. Karshish deide che è meglio scrivere subito cos̀ı trasmette l’immediatezza dell’incontro con l’uomo; il fatto che l’uomo sia appena andato ci colloca temporalmente al momento in cui la poesia è stata scritta. I personaggi di Browning dicono più di quello che vorrebbero, perché c’è qualcosa di più forte di loro che blocca la riservatezza. Il verso 67 ci fa capire come sia impossibile contenere la volontà di scrivere che si presenta come un fastidioso prurito; dal verso 72 troviamo descrizioni molto tecniche e scientifiche. Second Verse Paragraph Dal verso 79 al 96 si ha la descrizione di un caso medico caratterizzato dalla riduzione della gravità della situazione; l’idea che si tratti solo di follia è un leitmotiv che spesso ritorna davanti a comportamenti che non si riescono a spiegare; dopo una lunga catalessi qualcuno ha fatto qualcosa a quest’uomo che si è risvegliato quasi troppo in fretta che la sua mente era vuota. Qualcosa era entrato nella sua mente e da l̀ı non si è spostata; questa idea balorda è entrata con tale forza ed è stato risanato in molto talmente veloce che non riesce a pensare a nient’altro. Dal verso 97 in poi troviamo la descrizione del comportamento strano di questa persona dopo la guarigione; questa persona si rifiuta di accettare il fatto che fosse ammalato, in catalessi; il medico afferma che sa che dopo uno stato di catalessi è normale che si dicano cose strane. Le idee strane però, invece di passare con il tempo e con la salute riguadagnata diventa sempre più una convinzione penetrando nella propria vita. Nel cercare di spiegare questo strano comportamento si giunge, al verso 126 e seguenti, alla descrizione di un mendicante che improvvisamente trova un tesoro grazie al quale ha a disposizione dei mezzi che non aveva prima e, quindi, non è capace di amministrarli perché la sua mente è abituata alla povertà; è povero e ricco allo stesso tempo e non è un bambino, ma senza avere la sua inesperienza. Al verso 139, Karshish diche che il tesoro è la sapienza; qualcosa che è stato rivelato a questo uomo, ma che lui stesso non può contenere; è una conoscenza che non gli sta tutta dentro. Un uomo in carne ed ossa può sapere fino ad un certo punto, ma questo sembra saperne di più. Si descrive il dolore di un cuore finito, limitato fisicamente che però prova una passione infinita. C’è bisogno di esprimere qualcosa che non si lascia esprimere. Troviamo versi anche di violenza (versi 141-142) - si descrive una situazione paradossale di estrema libertà e prigioni allo stesso tempo. Questi versi rimandano al verso 185. Fa anche degli esempi di come mai una prsona sembra abitare due luoghi allo stesso tempo che gli stanno troppo stretti e insieme troppo larghi. Si dà importanza al concetto di proporzione: al verso 146 si vede come un esercito spaventoso che non suscita nulla in lui. Nel verso 150 si vede invece come cose molto piccole, triviali, diventino importantissime per lui. Le proporzioni sono sfasate; lo stupore e il dubbio arrivano quando meno se lo si aspetta. Il maestro che Karshish cita è simile alla figura di Gesù; si ricorda quando stava ancora apprendendo la sua arte dicendo che l’uomo lo guarda come lo guardava il loro maestro quando recitavano formule proibite. Si usa poi l’immagine di un bambino che gioca con un fiammifero sopra una galleria di esplosivo; si descrive come lui vive e come possa vedere gli abissi di gloria (la vita invisibile) mentre sta vivendo. Per questo è ritornato a fare il suo mestiere; è una persona umile che lavora per guadagnare il pane quotidiano. Ogni tanto, però, sembra incendiato dal fuoco della conoscenza che non centra nulla con ciò che sta facendo, ma ritorna sempre al suo lavoro com molta umanità; è come se stesse aspettando che le cose succedano, non chiede che ciò avvenga, non è impaziente. Al verso 213 e seguenti, dice che questa persona non cerca di convertire gli altri al suo sapere, manca di proselitismo; a lui non interessa la politica, ciò che sta succedendo anche se il popolo di Israele è vicino alla sottomissione dei romani; lui è comunque sottomesso e Karshish dice che si può dedurre che sia un uomo apatico. Questo, però, viene smentito perché pieno di entusiasmo, e impaziente dell’ignoranza e della non curanza delle cose, si corregge dicendo che deve sopportarle. Fa un paragone: lui si comporta come i medici quando vogliono capire meglio le cose e fa finta di non saper ascoltare le assurdità che gli altri dicevano; Lazzaro sta zitto per non peggiorare la situazione. Third Verse Paragraph Dal verso 243 al verso 282 si parla di Gesù, che è stato ammazzato dalla sua stessa gente perché superstiziosa; lui si credeva Dio, ma non aveva fermato il terremoto, presagio della sua morte. Karshish dice che è capitato ancora che la morte di un personaggio importante fosse legata ad eventi fisici. Le cose più folli e piccoli hanno delle distorsioni; dobbiamo uscire dalla tirannia del nostro senso di percezione; da un lato Karshish non riesce a riferire le parole di Lazzaro, ma ne ha quasi vergogna. Andrea del Sarto introduzione : uomini, donne e luce bianca L’introduzione si apre con una citazione della lettera che Browning, molto meno noto all’epoca rispetto a EBB, scrisse alla futura moglie per dirle come lui nei monologhi desse voce agli altri per paura di parlare con la propria, cosa che lei invece era già in grado di fare. Voi parlate con la vostra vera voce, voi - io faccio solo parlare uomini e donne - vi do la verità rifratta in mille colori brillanti, e temo la pura luce bianca, anche se è in me. Quella descritta è un’immagine interessante, di refrazione della purezza della luce del sole; egli la riprende da Shelley che, in una delle poesie più importanti dell’800, scritta in morte di Keats (poeti della loro propria voce), aveva detto che in fin dei conti si vive la propria immagine come una vetrata colorata che crea effetti di luce e colore. Alla fine dell’elogia Shelley sostiene che l’uomo è ancora dentro a questa rifrazione, mentre secondo Keats è già arrivato al fulgore bianco. I grandi scrittori sono spesso in anticipo sul loro tempo, ragion per cui faticano a incontrare un consenso immediato, mentre quelli perfettamente consoni alla propria epoca col tempo in genere scadono; ecco perché EBB inizialmente riscosse grande successo, ma fiǹı cl sembrare molto meno interessante di tanti altri; e perché è dovuto passare più tempo affinché gli scritti di Browning venissero davvero apprezzati. C’è quindi una distinzione fra lo studiare e il leggere. Mentre molti degli “uomini” e delle “donne” di Robert Browning hanno una loro storia ancora fresca da raccontare, e per noi da leggere. La percezione della pluralità della persona è un tipo di discorso che ha cominciato a svilupparsi maggiormente nel Novecento e, per quanto si protragga ancora oggi, già con Borges aveva perso il carattere della novità - Vivrò obliandomi. [. . . ] Maschere, agonie, resurrezioni/ disferanno e tesseranno la mia sorte/ e un giorno o l’altro sarò Robert Browning. - Quando Browning comincia scrivere, è il momento in cui il Romanticismo ha il suo frutto più maturo, e l’idea del culto della personalità, dell’io, è fortissimo: il Novecento aveva portato infatti il culto dell’impersonalità ai fasti ai quali Byron e i romantici avevano portato l’opposto culto dell’ “io” (e il suo corollario metafisico: la pura luce bianca). Browning prende congedo dall’io romantico perché non è in grado di mantenerlo, non può fare altrimenti: La poesia non è un libero movimento dell’emozione, ma una fuga dall’emozione; non è l’espressione della personalità, ma una fuga dalla personalità. Naturalmente, però, sono coloro che posseggono personalità e emozione sanno cosa significa voler fuggire da queste cose. (T.S. Eliot) Fondamentalmente Browning viene sentito come molto moderno perché è un poeta che dimentica se stesso e si moltiplica in tante maschere diverse; egli non si compiace però in questo senso di pluralità. Nella scrittura, scelse come forma a lui più congeniale quella del monologo drammatico, perché non riesce a cimentarsi altrettanto bene nella lirica e ad essere un nuovo Shelley, o un nuovo Shakespeare; o a scrivere una grande poesia narrativa come Sordello: [. . . ] almeno nella pratica di Browning, il monologo drammatico è un genere necessariamente “plurale”. Un solo monologo non avrebbe alcun senso, cos̀ı fin dalla prima pubblicazione in rivista, le poesie tendono a presentarsi almeno a coppie (come Porphyria’s Lover e Johannes Agricola in Meditation, sotto la dicitura comune di Madhouse Cells, o My Last Duchess e Count Gismond, dapprima intitolate solo Italy and France) [. . . ] Cos̀ı, dalle Dramatic Lyrics del ’42 ai Men and Women del ’55 alle Dramatis Personae del ’64, attraverso le edizioni dei Poems del ’49 e dei Poetical Works del ’63 e del ’68, personae e peronaggi si moltiplicano s̀ı, nel gioco sapiente dei rispecchiamenti e delle giustapposizioni: fino alla magnifica costruzione di The Ring and the Book (1868-69), che sarà i tentativo, probabilmente riuscito, di ricomporre la Verità a partire dalle sue sfaccettature, e riattingere alla “pura luce bianca”, senza sacrificare la bella girandola dei colori. il poema dei pittori Pictor Ignotus in Dramatic Lyrics and Romances (1845), Fra Lippo Lippi e Andrea del Sarto sono entrambi in Men and Women (1855). Nei Poetical Works del ’63 i monologhi appaiono di seguito. Pictor Ignotus è il più breve ed ellittico dei tre monologhi, e senz’altro il più oscuro. Il ‘pittore ignoto’ avrebbe difeso la dignità della propria vocazione, cioè la purezza dell’arte, anche a scapito dell’arte stessa - come certe vergini cristiane si suicidavano piuttosto di subire violenza. Se la poesia intanto non avesse aperto squarci molto più conturbanti sui confini incerti, morbosi, fra visione e velleità, lasciando trapela un’aggressività tanto più repellente quanto più è repressa, e il dissonante balbettio d’onnipotenza dei deboli. Il sanguigno Filippo Lippi è una specie di ‘Wife of Bath’ al maschile, tutto preso a sostenere le robuste ragioni della sua ‘esperienza’ contro i frigidi comandamenti dell’autorità religiosa e austera, monolitica, nemica della bella varietà di questo mondo. Il frate s’è concesso una notte di follie, e ora sta tornando quatto quatto a casa - quando la ronda del bargello lo ferma in malo modo. Cos̀ı che Lippo, per evitare una denuncia (e anche perché, come tutti i personaggi di Browning - e di Chaucer - adora sentirsi parlare), racconta tutta la sua vita : perché s’è fatto frate (per non morire di fame); come s’è messo a dipingere e che cosa; chi è il suo mecenate (Cosimo de’ Medici); che meraviglie ha in serbo l’arte che verrà; perché anche santi e martiri a un pittore perdonerebbero una scappatella. Andrea del Sarto (1486-1530), il ‘pittore senza errori’ però anche senza ispirazione, e l’eterno marito della bella ma gelida Lucrezia: la Vergine perfetta di tutti i suoi quadri, e la donna infedele e mercenaria, che ‘vende’ al marito i suoi sorrisi mentre attende il richiamo convenuto dell’amante. Né il dilemma morale - se sia peggio tradire il coniuge, o accertarne passivamente i tradimenti - vien posto mai con vera convinzione : assorbito com’è, sfumato e indistinto nel flusso del monologo, che tutto riconduce alle tonalità smorzate dei dipinti di Andrea. Ogni poemetto è già perfettamente compiuto, e gratificante in sé. Anzi, è possibile che qualcosa vada perduto, quando le poesie sono considerate solo insieme. C’è una continuità tra Fra Filippo e Andrea del Sarto che Browning si ingegna a contrastare in tutti i modi possibili : uno giovane, forte e donnaiolo, l’altro vecchio, stanco e cornuto, uno estroverso, esuberante e generoso, l’altro timido, tutto introversione e roso dall’invidia, e via di seguito. Ma il gioco delle contrapposizioni non sarebbe, probabilmente, cos̀ı gustoso, e un po’ fine a se stesso, senza l’insinuazione di questa identità soggiacente : come d’un ciclo che si richiude su se stesso, mentre la dialettica delle personalità resa felicemente irrisolta, aperta e immanente in ogni epoca. È sempre alla luce della storiografia artistica della prima metà dell’Ottocento che appare plausibile l’identi- ficazione, recentemente proposta, del ‘pictor ignotus’ con Baccio della Porta, ‘piagnone’ del Savonarola, poi Fra Bartolomeo di San Marco. Dove Fra Bartolomeo (se di lui si tratta) rappresenterebbe la resistenza spirituale allo strapotere mondano dei Medici, della cui protezione il Lippi s’era fatto tanto forte, e che, circa ottant’anni dopo, Andrea dava assolutamente per scontato. La scelta del Pictor appare senz’altro sbagliata, perché cos̀ı disumaniz- zante, e aggressivamente contro il proprio tempo : e infatti il suo monologo è ostentatamente ‘antico’ anche dal punto di vista formale, sintatticamente involuto quanto gli altri due corrono via lisci - un tangibile anacronismo, se si considera che l’indicazione sotto il titolo, Firenze 15**, l’ambienta in un periodo in realtà molto più vicino, se non proprio contemporaneo, a quello di Andrea del Sarto, quasi un secolo dopo Filippo Lippi. Il quale Lippo, però, se è vero che in convento ci sta male, e il Savonarola l’avrebbe evitato come la peste, al momento in cui è sorpreso nella poesia, è in fuga anche dal palazzo dei Medici : ché Lippo è argento vivo, spirito del carnevale,e le autorità, religiose o secolari che siano - e che egli è sempre disposto, a turno, a ossequiare o sbeffeggiare - lo soffocano comunque. Per cui è del tutto appropriato che, nell’edizione del ’63, la bella ariosità della sua poesia sia letteralmente assediata dall’atmosfera claustrale delle altre due. L’animo monacale del Pictor e di Andrea cerca luoghi oscuri di raccoglimento (per nascondervisi, in realtà), ed entrambi temono la città e le strade quanto Lippo vi si muove come nel suo elemento. ritratti e autoritratto Più difficile dire se e quanto le tre poesie possano essere prese anche come ‘critica d’arte’. Indubbiamente il dramma psicologico, o la commedia umana tengono il campo più della descrizione delle opere pittoriche. Qui la pittura agisce come uno schermo ulteriore, che s’aggiunge a quelli presupposti dalla persona che parla, e dalla sua distanza temporale e culturale dall’autore. Browning aveva chiamato il poeta oggettivo : temperamentalmente incline a trattare l’attività umane, impegnato a riprodurre le cose esterne, la cui poesia sarà di necessità estroversa, autonoma e distinta da colui che l’ha prodotta; l’artista drammatico che fa parlare ‘uomini’ e ‘donne’ e tace o non ha nessuna voce sua. Andrea del Sarto di costui condivide almeno la tendenza all’introspezione. Nel monologo il paesaggio tende incessantemente a farsi stato d’animo, e viceversa; e ogni principio d’azione è subito assorbito nell’atmosfera - il clima mentale - della poesia. Ciò che gli manca è il sublime visionario, quella spinta a esprimere la propria percezione. Tale artista, nella poesia di Browning, è piuttosto Raffaello, il giovane impulsivo, che magari non rispetterà le proporzioni di un braccio, ma nei suoi dipinti profonde sempre tutta l’anima, e raggiunge un Cielo che ad Andrea è precluso. Le ‘donne’ di Andrea del Sarto sono tutte uguali : sempre la stessa, onnipresente Lucrezia. Non è più il ritratto dell’amata, insomma, quello che Andrea dipinge; ma l’ossessione di un’immagine interiore, che per lui avrebbe cancellato la variegata visibilità del reale, sottraendogli il piacere ‘oggettivo’ della molteplicità dell’essere, e al tempo stesso impedendo - nell’immanenza assoluta della sua ‘perfezione’ - che l’artista coltivi la facoltà ‘soggettiva’ dell’aspirazione al sublime. Lucrezia si lascia incorniciare nel vano della finestra, o nell’oro dei suoi capelli - ma è sempre come se tali cornici improvvisate racchiudessero il vuoto di un’immagine imprendibile nella sua stessa silenziosa immobilità. 0.0.1 Pictor Ignotus Con tutta probabilità concepito e composto a Firenze, verso la fine del 1844. Il pittore del monologo è restato anonimo per un secolo e passa, non è voluto uscire dal buio della chiesa : fino al 1972, quando J. B. Bullen ha proposto di riconoscervi la figura di Baccio della Porta, poi seguace di Savonarola e frate nel convento di San Marco (è consegnato alla storia dell’arte come Fra Bartolomeo), amico e collaboratore di Raffaello. A Browning piace dare voce ad artisti che hanno problemi con la propria creatività : le sue migliori poesie sono quelle che danno voce a pittori, musicisti, scrittori. Fra la Vita di Fra Bartolomeo di San Marco del Vasari e quella del Pictor browningiano le corrispondenze appaiono sia, latamente, nel carattere dei due artisti, per quella certa timidità d’animo, e quindi debolezza, che già rimanda alla passività fatale di Andrea del Sarto, sia in alcuni dettagli enigmatici del poemetto, che potrebbero alludere ad avvenimenti ben precisi della vita vasariana : come l’incontro folgorante col Savonarola e i suoi sermoni che trascinavano le masse, e l’assalto della fazione medicea al monastero di San Marco, il 18 aprile 1500, nell’intento di assicurare il Savonarola (a causa delle razzie di Savonarola, che bruciava per tutto ciò che era mondano, si sono persi i suoi nudi che erano un passaggio obbligato per i pittori) alla giustizia della signoria, in seguito al quale Baccio abbandonò la vita secolare - per femminile pavidità, si direbbe, piuttosto che per autentica vocazione. Il Pictor non è Baccio, ma la lettura della sua vita nel Vasari deve esserne stata quasi di certo l’ispirazione, cioè lo spunto principale. Questo non toglie però che Browning abbia poi occultato intenzionalmente e con successo, il suo modello, scartandone tutti gli aspetti che non gli servivano, distillando gli altri, astraendoli a tal punto e proiettandoli su uno scenario cos̀ı ellittico e come onirico, gelosamente interiore, che a tutti gli effetti la figura storica si eclissa dalla poesia. L’identificazione del Pictor con Fra Bartolomeo resta affatto accessoria : anzi, l’oscurità essenziale della poesia appare forse anche più selvatica, una volta integrate tutte le possibili corrispondenze vasariane. L’epoca e il luogo sono identificati nel sottotitolo : Firenze 15**; la netta impressione è che il Pictor sia in realtà privo di un interlocutore, la sua poesia è un soliloquio in distici a rima alternata. Disturbata razionalizzazione d’una carriera artistica fallita, il poemetto si svolge in tre parti, schematizzabile come segue : (se avessi voluto) avrei potuto dipingere come ‘quel giovane’ ora cos̀ı alla moda (vv. 1-40); ma per una serie di ragioni non ho voluto né potuto farlo (vv. 41-56); di conseguenza ho scelto altrimenti, la mia stessa oscurità (vv. 57-72). Il componimento inizia con l’idea della lode che è riservata però ad un’altra persona, non c’era nulla in lui che gli impedisse di usare i suoi talenti : questo pensiero intristisce. La prima divisione può essere, a sua volta, utilmente segmentata in tre blocchi di quasi pari lunghezza (vv. 1-12, 13-24, 25-40), dedicati rispettivamente : al dono dell’ispirazione al genere di soggetti che il Pictor avrebbe potuto dipingere; e alla fama - anzi, l’immortalità - che tali opere gli avrebbero procurato. In marcato contrasto con la lingua moderna e idiomatica di Fra Lippo Lippi, il Pictor usa un linguaggio solenne e formale, che con le sue inversioni, anacronismi e laboriose personificazioni esprime assai bene l’incapacità dell’ignoto pittore di entrare in sintonia con le mode artistiche del suo tempo. L’interpretazione del DeVane per cu la poesia sarebbe un’esplicita difesa dell’arte religiosa medioevale contro il naturalismo rampante nel primo rinascimento, è stata più o meno scartata da tutti gli interpreti successivi - i quali tutti pongono l’accento sul dramma psicologico del Pictor, classico esempio di un personaggio che finisce di rivelare di sé più di quanto egli intenda e sia consapevole di fare (e di essere). Sotto questo aspetto, al poesia è una sorta di prova generale per Andrea del Sarto : stessa la timidità dell’animo e la competitività repressa, anche se senza dubbio maggiore, nel secondo caso, il grado di consapevolezza del monologante. La pittura di cui si parla è di tema religioso : la religione trascende l’individuo e dovrebbe portare al di là della gelosia; i quadri possono migliorare l’anima. La pittura del 300 e del 400 è ancora una pittura che non si focalizza sull’uomo, sulla sua bellezza o sulla storia. Browning porta in scena un momento importante dello sviluppo della storia dell’arte quando si sta passando da un’arte religiosa, dove la fedeltà al modello è totalmente importante, a un’arte realistica, fatta da volti umani. Questo passaggio coincide con il cambiamento economico dell’Italia sua spossatezza alle soglie della nuova estetica manierista. Ma la caratteristica più notevole della moderna esegesi del poemetto è, probabilmente, la tendenza dei critici a schierarsi su due campi contrapposti, chi pro e chi contro la figura di Lippo. Non è in questione il valore estetico, e la centralità della poesia; quanto il diverso grado di ironia, cioè la minore o maggior distanza di Browning dal suo personaggio. 0.0.3 Andrea del Sarto All’origine del monologo, spesso considerato il vertice dell’arte browningiana (poesia del crepuscolo), sembra la richiesta, nei primi mesi del 1853, da parte dell’amico di Browning, John Kenyon, d’una copia di un dipinto di Palazzo Pitti, ai tempi ritenuto opera di Andrea del Sarto, e assai celebre raffigurante il doppio ritratto di Andrea e sua moglie Lucrezia. Lucrezia tiene in mano una lettera e Andrea sembra nell’atto di disquisire con lei. Sembra questo quadro alludere al passo doloroso della vita d’Andrea. Quando invitato per la lettera da Francesco I a ritornare in Francia, gli fu dalla moglie impedito. La cui composizione, quindi, si suole ascrivere alla primavera del ’53, un po’ prima di quella di Fra Lippo Lippi. Ben prima dei viaggi in Italia, e dalla consuetudine col Vasari, la vita e l’opera di Andrea del Sarto (1486-1530) saranno state note a un Browning giovinetto grazie alle pagine della prediletta Biographie Universelle, e alle due “Sacre Famiglie” attribuite ad Andrea, esposte alla Dulwich Gallery, lontana appena un paio di miglia da casa Browning a Camberwell, e assiduamente frequentata dal futuro poeta. Vita di Andrea del Sarto. Eccellentissimo pittore fiorentino, poi, una delle vite più lunghe e articolate del Vasari costituisce una lettura particolarmente appassionante - tragica o comica secondo la prospettiva. Una ‘perfezione’ che, per Vasari, evidentemente non costituisce un difetto come invece per Browning, il quale in questo è saldamente uomo del suo tempo - il tempo di Ruskin e i vari suoi anatemi contro la ‘perfezione’ rinascimentale - ben più che del Cinquecento fiorentino. Figlio di Agnolo di Francesco, chiamato ‘del Sarto’ dal mestiere del padre. In molti luoghi Browning si discosta decisamente dal racconto vasariano : come nella descrizione indiretta delle opere di Andrea, che vengono sistematicamente ‘ingrigite’, e come ‘invecchiate’, dove il Vasari insiste invece sulla vivacità dei colori : soprattutto sul giudizio complessivo sulla carriera del pittore, la quale per Vasari, pace l’influsso nefasto di Lucrezia, è in sicura ascesa fino all’ultimo. Mentre la poesia trasmette il senso inevitabile del declino - cioè di quella quasi-stasi in cui le gratificazioni morbose del declino sono meglio assaporate. Né il Vasari dice mai, neanche nella versione del ’50, che Lucrezia fosse infedele al marito - un dettaglio cruciale, per cui il poeta non sarebbero comunque mancate le fonti, storiche e letterarie. La situazione matrimoniale dell’Andrea di Browning trova un esatto parallelo in quella di William Page, il pittore americano amico e vicino di casa dei Browning a Roma, che veniva impunemente e quasi consenzientemente tradito dalla seconda moglie, la più giovane e bella Sarah. Nella primavera del ’54, mentre posava per il ritratto che Page, il ‘Tiziano americano’, gli stava facendo, Browning sarà stato ripetutamente testimone di scene simili a quella del suo monologo : il pittore di mezz’età al lavoro, compito, che finge di non accorgersi di nulla, mentre Sarah amoreggia col ‘cugino’ di turno, tal Don Alfonso Cirella, ventunenne nobile napoletano, con cui di l̀ı a qualche mese sarebbe fuggita, lasciandosi alle spalle debiti e nient’altro. E l’analogia diventa quasi ineludibile quando si considera che anche Sarah, come Lucrezia, era indifferente all’arte del marito, pur servendogli spesso da modella; e che alcune allusioni ‘tecniche’ nella poesia - all’impiego sistematico di colori smorzati e al metodo di misurazione delle proporzioni del corpo umano sono immediatamente riconducibili alle teorie elaborate dal Page, mentre contrastano con la pratica di Andrea del Sarto. Andrea del Sarto si svolge in un’unica lunga tirata di 243 versi, poi uno stacco, una lassa molto più breve, di 23 versi, un altro stacco, quindi il verso finale, isolato : un blank verse regolare, solenne. Mentre il tempo della poesia è ulteriormente ritardato, e uniformato, dalla frequenza di vocali lunghe e dittonghi, e come sfibrato dalla gran quantità di liquide e fricative, che privano il verso di energia - più o meno il contrario di quello che avviene invece in Fra Lippo Lippi. In Andrea del Sarto il vocabolario essendo fatto in gran parte di termini astratti e concettuali (non concreti e sensoriali come in Lippo) con marcata predominanza dei sostantivi sui verbi, cioè della stasi sull’azione e il movimento. Sono proprio anche le frasi ellittiche del verbo che talvolta danno al monologo quel suo carattere piuttosto interiore che drammatico, come se Andrea stesse parlando da solo, non a Lucrezia. Il luogo di Andrea del Sarto è una finestra nella casa del pittore, Fiesole sullo sondo e vicino la chiesa della Santissima Annunziata; il tempo, un crepuscolo autunnale : quando Andrea congeda Lucrezia, ormai è buio. La poesia è senz’altro saldamente organizzata attorno al nucleo centrale dell’episodio francese. Il fallimento artistico di Andrea è connesso alla sua impotenza o debolezza sessuale, almeno quanto, se non più, che alla sua sfibrante indifferenza morale. Perciò la moglie, perfettamente bella, ma corrotta, è a tutti gli effetti la personificazione della pittura di Andrea, la condizione della sua perfezione formale, come della sua povera tensione verso l’assoluto (vv. 50-117), cioè dell’assenza di spiritualità, di anima nei suoi quadri. Lucrezia serve da modella o comunque da stimolo, letteralmente imprestando il suo volto ai quadri del marito, e con quella moneta più dubbia e in definitiva più volgare che è la contemplazione della donna come se fosse un quadro, immobile nella cornice della finestra, o dei suoi stessi capelli d’oro. E almeno in questo, almeno per un’ora Lucrezia sembra compiacere Andrea. Nel lungo monologo drammatizzazione e narrazione si alternano, ma la disposizione degli enunciati è preva- lentemente conativa e illocutoria, com’è tipico del discorso drammatico. Andrea varia da un tono di conciliante accomodamento con la moglie infedele ad una stanca rassegnazione di fronte alla sua natura refrattaria, dall’au- tocommiserazione all’apologia della propria arte, dalla stizza per il rivale in amore, al rimpianto per le occasioni perdute, nella vita come nell’arte. Il rapporto tra Andrea e Lucrezia definisce il rapporto dell’artista colla sua ope- ra, nel bene e nel male, per cui il fallimento in amore porta con sé un’arte non ispirata e in sostanza un fallimento esistenziale. Si instaura un circolo vizioso sadomasochista, lui è disposto a pagare i debiti di gioco dell’amante della moglie, ma solo se lei posa : è un rapporto di forza in bilico tra malinconia e raffinatezza e tremenda volgarità. In questa poesia, l’arte è mercenaria e l’autunno è permanente, è una sera che durerà per sempre. Gioca sul concetto della mano : Lucrezia tiene la sua mano in quella di Andrea che ora diventa Dio; è anche la mano dove si mettono i soldi per poi portarli via. Questa situazione è ordinaria per un artista e non si può incolpare Lucrezia per non avere interesse per la cultura; per comunicare con la moglie, ha bisogno della terza persona, di quel pubblico che spaventava tanto Pictor Ignotus - la sua arte non può avere una finalità in se stessa; a differenza di Lippo Lippi a cui scrivere gli dà la gioia di vivere; Andrea, invece, ha bisogno di orgoglio, ma non c’è la schietta soddisfazione: vuole essere più bravo degli altri anche se sa che la perfezione è la sua condanna perché la cosa più importante in un’opera è la traccia dello sforzo stesso grazie al quale è venuta alla luce. Andrea non ha quella rivelazione che altri pittori, tecnicamente meno perfetti, hanno; questa scintilla è presente nelle opere dei pittori che hanno il coraggio di azzardare; l’anima è lo sforzo per raggiungere qualcosa ed è questo che è importante per Andrea. Per il poeta, se si sta troppo attenti all’esteriorità si perde l’anima : si è perso l’insight, una consapevolezza interiore che è in movimento, che si perde in un ritratto, anche se imperfetto. Le persone hanno una luce interiore che deve essere coltivata. A differenza delle interpretazioni di Fra Lippo Lippi quelle di Andrea del Sarto sono raramente in conflitto fra loro, spesso l’unico pretesto di dissenso riducendosi a quella pagina della biografia della Miller, dove viene suggerita un’identificazione un po’ meccanica fra Browning e il suo Andrea, entrambi sottomessi a una moglie troppo forte, che ne soffocherebbe la creatività : mentre studi più recenti e sofisticati mostrerebbero come Browning riesca a conciliare il delicato ruolo di poeta e, al tempo stesso, coniuge di poeta senza eccessivi sacrifici né per l’arte d’entrambi né per il matrimonio. A detta del Vasari, Andrea utilizzava quasi sempre Lucrezia come modella, e anche quando la moglie non posava per lui, veniva che quasi tutte le teste che faceva di femmine le somigliavano. Solo in Browning, però, l’accenno che questa sia procedura economicamente vantaggiosa, quindi allettante per Lucrezia. (Nella prima edizione del Vasari, dove il rapporto fra Andrea e Lucrezia è privo di ogni tenerezza, l’onnipresenza della donna nei quadri del marito è più ossessiva, lui spinto a dipingerla come dalla stessa impotente coalizione.
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