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Letteratura Inglese III Antonangeli, Dispense di Letteratura Inglese

Il documento include: - sbobine delle lezioni - riassunto delle dispense e documenti analizzati a lezione - riassunto delle opere in programma - analisi dei frammenti delle opere analizzati a lezione Voto: 30L

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 29/06/2024

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fabio-lamboglia 🇮🇹

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Scarica Letteratura Inglese III Antonangeli e più Dispense in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! LETTERATURA INGLESE III L’ETÀ VITTORIANA (1837-1901) PANORAMICA STORICA: L’IMPERO, LE RIFORME E LA MACCHINA Il nome prende chiaramente il nome dalla regina ed imperatrice Vittoria (1837-1901). Abbiamo un primo periodo che va dal 1837 al 1851 in cui si manifesta una fede sconfinata nel progresso, nella scienza e nella ragione umana in quanto fortemente influenzato dal Positivismo, che si traduce naturalmente in forme letterarie: questo si traduce nella nascita del genere della fantascienza, della figura del detective. Cruciale sarà la Grande Esposizione Universale (1851) che genera un ulteriore ondata di fede nel progresso e nella razionalità. Tuttavia, questo genera un’ondata di critica nei confronti del progresso stesso e presto si verifica un atteggiamento di disillusione nel secondo periodo (1851-1901), in cui si radicalizzarono le voci di riforma: sorsero i primi movimenti socialisti rappresentati da Karl Marx ed Engels, i quali propugnano un ideale di lotta di classe e il comunismo. Da un punto di vista storico, importante è la guerra di Crimea, periodo grazie al quale l’impero raggiunge il suo massimo splendore ed estensione in quanto conquistatori e padroni del mondo, avendo anche il dominio sui mari. Hanno grande diffidenza verso Europa, consolidando l’isolazionismo britannico. Il senso di identità britannico divenne uno stereotipo nazionale di condotta e carattere che al contempo rimarcava una presunta superiorità etnica e culturale del bianco che “civilizzava” il mondo esotico e spiegava le differenze tra i popoli. Importanti riforme coinvolsero anche la società e tra queste ricordiamo: • Il Reform Bill (1832), che garantì l’estensione del voto a suffragio universale anche nella classi sociali prima escluse, escludendo ugualmente le donne; • L’Educational Act (1871) che porta all’alfabetizzazione delle grandi masse e che avrà una grande influenza sulla letteratura, soprattutto sull’idea del mercato della letteratura in quanto più persone di leggere e questo aumenta la domanda di libri, anche grazie alla diffusione della stampa; • Il Married Women’s Property Act (1882) permette alle donne sposate di avere controllo delle proprie proprietà economiche e finanziare anche in seguito al matrimonio. Questioni legate a tale ambito costituiscono i veri ‘master-plots’ del ‘marriage novel’. Questo, in letteratura, si traduce in un interesse per l’emancipazione femminile tramite l’osservazione del topos di ‘angelo del focolare’ e di ‘fallen woman’; Si vedranno gli effetti e l’influenza di movimenti come il Positivismo, dell’Illuminismo così come la Rivoluzione Industriale hanno avuto sui generi letterari dell’Ottocento. Questo perché siamo nella ‘Machine Mechanical Age’. La macchina diventa il simbolo della superiorità dell’uomo sulla natura e questo si evince dal genere dell’Industrial novel. Essa descrive con angosciante realismo le trasformazioni provocate dall’industrializzazione alla quale poi si accompagnerà il rimpianto nostalgico di un periodo pre-urbano in contatto con la natura e con la semplicità spirituale. Nasce un nuovo modo di intendere il giornalismo tramite l’utilizzo di immagini, basate sulla sensazionalità della notizia, modello importato principalmente dagli americani. Importante sarà la nascita dei Tabloids, coordinata con la nascita della finanza e dell’espansione delle reti di comunicazione come la ferrovia. Questa porta alla nascita di una vera e propria metropoli moderna, che sarà cruciale per gli autori di questo periodo. Dopodiché, il legame tra scienza e Positivismo ci permette di soffermarci sul modello evoluzionistico che si basa sulla ‘legge del forte’: Spencer la definirà poi, in chiave sociologica, come la legge del più adatto (law the fittest). REPRESSIONE E ‘RESPECTABILITY’: LA MASCHERA VITTORIANA Visto l’isolazionismo britannico, la grande paura per i moti rivoluzionare provocò un’ulteriore dissenso nei confronti dell’Europa. Vi fu una grande attenzione alla disciplina delle masse, per paura che esse venissero fomentata dall’ondata rivoluzionaria dei moti del ’48 e del ’70, al moralismo, così come al senso del dovere e in generale al concetto della ‘respectability’: esso è divenuto simbolo di repressione sessuale e una grande preservazione morale per un’idea di purezza sia personale che collettiva, adattandosi alla convenzioni e alle tendenze di una società che si nasconde dietro una maschera. Questi sono gli effetti del cosiddetto moralismo ‘evangelico’, legato al senso dell’onore e della reputazione sociale. IL ROMANZO NELL’ETÀ VITTORIANA: TEMI E STILE Il genere principale sarà il realismo, prodotto del Positivismo e dell’Illuminismo, e la sua volontà e fiducia di poter conoscere la natura e poterla rappresentare in ogni sua minima sfaccettatura, grazie anche all’innovazione della fotografia. Notiamo un’attenzione quasi maniacale per il dettaglio, agli oggetti e all’ordinario, mostrando interesse nella vita quotidiana e nella ‘prosa della vita’. Importante è anche la sua funzione pedagogica e di educare tramite l’insegnamento di una morale in maniera drammatica, partendo da un’ispirazione realista e giungendo ad una realizzazione drammatica. Si parla quindi di opere che aspirano alla totalità, in quanto opere mondo (Moretti) che vuole rappresentare la totalità della realtà. Di pari passo, troviamo la curiosità per lo straordinario, per i casi di cronaca nera e per l’esotico (fr. nascono i Newgate Novels, i quali autori mostrano un interesse tanto repulsivo quanto morboso per la malavita) dando vita alla sensational novel. Noteremo che la razionalità influisce anche sul male, come notiamo dalla figura del ‘villain’, il quale passato viene spiegato razionalmente proprio perché il romanzo ‘vuole spiegare tutto’: non c’è niente che la razionalità, e dunque l’intelletto umano, non possa comprendere. Da qui emerge il topos dell’indagine, derivata dagli sperimenti scientifici, che sarà centrale nella detection novel. Dickens contrappongo alla visione capitalista della società vittoriana la vita istintiva dell’individuo, esaltando virtù positive come la gentilezza d’animo, la comprensione e la tolleranza: si tratte dunque di persone singole contro il sistema. PASSO INDIETRO: IL ROMANZO DI FORMAZIONE (MORETTI) Innanzitutto, il romanzo di formazione nasce nel 700’ con Wilhem Meister di Goethe e soprattutto con Stendhal (fr. ‘Le Rouge et le Noir’) e Balzac. Essenzialmente, è il genere che si propone di contenere in un tutto coerente la vita di un individuo, dalla nascita sino alla morte. Racchiude e razionalizza il carattere di un individuo, costruendone una biografia che assume i connotati di una trama nella quale avvengono episodi determinanti per il suo sviluppo (molto spesso basati sul meccanismo di causa>effetto) e che dunque si caricano di significato solo perché gli viene affidato un valore più o meno significativo a seconda della sua influenza sulla traiettoria teleologica del personaggio. Il ‘Bildungsroman’ è l’esempio palese di romanzo realista e per il romanzo europeo, il rapporto tra individuo e società diventa il punto di focalizzazione per eccellenza: la trama viene generata a partire dal desiderio di affermazione individuale del singolo e la sua necessaria ‘socializzazione’, dunque l’assimilazione del sistema di valori reggente. Il romanzo di formazione appare dunque sensibile ai grandi mutamenti storici. Non così in Inghilterra. Questo perché, da un punto di vista politico, la rivoluzione borghese si era compiuta tra 1640 e 1688 e l’Inghilterra, mai sfiorata dalle armate napoleoniche, fu forse la sola nazione europea in cui il 1789 non sia apparso come l’anno zero della modernità. La gioventù viene vissuta come l’unico momento in cui tali ideali di speranza possono essere realizzati ma, per ottenere una prospettiva quanto meno soddisfacente, essa fa si che tali ideali falliscono proprio per entrare in società: per avere ‘successo’ bisogna ottenere un matrimonio, un progetto di vita che non si percepisce come proprio e che rappresenta un compromesso necessario, in cui l’eroe realizza che tale ‘felicità’ non può essere del tutto acquisita se si vuole avere un posto in società. Questo, almeno per quanta riguarda il romanzo europeo, è una questione essenziale: affinché il successo sia conseguibile, esso comporta un freddo abbandono degli ideali passati e la ‘legge del cuore’ entrano in conflitto con il ‘corso del mondo’. È da qui che nascono gli ‘eroi sdoppiati’. Il romanzo inglese prevede una differenza. Il romanzo francese è molto più eccitante, vista la gioventù, poiché il Sé può negoziare la propria esistenza anche se esce sempre sconfitto. Nel romanzo inglese, invece, l’eroe non è minimante così eccitante: l’Inghilterra, non essendo pressoché toccata dallo spartiacque che è stata la Rivoluzione francese, presenta un sistema di valori ben saldo e stabile. Le esperienze più significative non sono quelle che alterano ma quelle che conformano le scelte compiute dall’innocenza infantile. Quindi, viene meno il cuore del romanzo continentale: abbiamo una società molto più rigida e cambia la figura dell’eroe, ora semplice (common). Si facilita l’identificazione e l’empatia che è ‘uno come tutti’ al contrario dell’eroe byroniano. C’è dunque l’elogio dell’ordinario, in quanto gli eroi devono muoversi in questo mondo stabile: sono però personaggi vuoti e vivono delle esperienze viste come pretesti narrativi attorno ai quali si sviluppa la trama. Sono i personaggi secondari, in Dickens, che attirano l’attenzione e che diventano delle macchiette: è un realismo pittoresco. Se la gioventù è l’età migliore della vita che viene esaltata, nel romanzo inglese essa viene screditata e deve essere dimenticata in quanto non si è ancora maturi. Viene dunque esaltata l’infanzia (lo stesso Dickens) poiché assume un valore positivo a cui bisognerà tornare dopo la parentesi di devianza della gioventù: il mondo è polarizzato, in bianco e nero, e questo meccanismo si rispecchia perfettamente nell’infanzia. Sbaglia più di tutti colui che più di tutte nutre delle ‘great expectations’ riguardo alla propria gioventù- proprio come Pip- che poi desidererà tornare alla sua condizione di partenza originaria. Quanto maggiore le grandi attese che fanno della gioventù un’epoca a sé, tanto minore la felicità e l’autorealizzazione che il protagonista potrà conseguire da adulto. La gioventù è dunque vista come un allontanamento dalla propria vera identità che li strappa dall’esistenza ‘common’ e che si augurano solo abbia fine al più presto. Due sono dunque le tipologie di struttura narrativa che convergono in questo nuovo romanzo: • Si pensa al romanzo fiaba (Dickens stesso venne accusato di scrivere tali romanzi) in cui il protagonista parte da una condizione di inferiorità imposta da altri ma che si finalizza con la retribuzione dei conti in virtù della sua bontà d’animo. Infantile, e fiabesco, è credere che un giudizio universale si possa dare sempre e dovunque e che sia, in fondo, l’unica forma rilevante di giudizio. • Si pensa anche al romanzo processo, in cui la narrazione assomiglia è portata avanti come un processo giudiziario, tant’è che la sentenza finale è assimilata alla retribuzioni dei conti dei personaggi, a seconda della propria condotta. I dialoghi sono più interrogatori è strutturato come un caso giudiziario in miniatura. Le categorie principali sono però ‘right’ or ‘wrong’, e quindi il mondo si divide tra innocenti e criminali: in mezzo abbiamo la ‘middle class’, che può subire l’influenza sia positiva che negativa dell’alto (Miss. Havisham) che dal basso (Madewitch) che molto spesso si traduce nella figura del villain. Se nel romanzo continentale l’intreccio ha origine da uno squilibrio tra la costituzione spirituale del protagonista e i valori impliciti nel funzionamento della società, nel romanzo inglese c’è bisogno di qualcos’altro, ossia delle figure che fungano da motore energetico della narrazione. Parliamo del villain: egli è dunque necessario, molto più presente a partire dal romanzo gotico, che mette in moto l’energia che da inizio alla trama solo per il fatto di ‘esistere’, che scuote la condizione di tranquillità originale in quanto sfugge alle categorizzazioni, dunque emblema di tutto ciò che il ‘common hero’ teme. È di nuovo il modo peculiarmente ‘innocente’ con cui la middle class inglese ha voluto vedersi e proporsi. Nei romanzi di formazione, la minaccia si concentra infallibilmente su un unico punto: la persona del protagonista. Tipicamente, se la vittima è il protagonista, il crimine di partenza è di norma un’accusa ingiusta avanzati nei suoi confronti. I valori fondamentali universalistici ristabiliti nel romanzo inglese sono proprio la sincerità, la sicurezza e il desiderio di fondo di eliminare le anomalie perverse del sistema e di ristabilire la normalità. Molto spesso il confine tra le due è difficile da individuare ed è questo che rappresenta l’ostacolo principale di queste storie moderne. È vero che la sequenza agnizione-eredità è invece la forma più tipica dello happy ending inglese, particolarmente apprezzata dalla borghesia emergente: logico, dunque, che a goderne sia un eroe dalle caratteristiche borghesi alquanto sbiadite ma che hanno la possibilità di emergere e maturare la loro identità in quanto ‘essere dotati di diritti’. LA DENUNCIA SOCIALE E LE CLASSI UMILI La denuncia dei mali sociali era da sempre l’argomento preferito di Dickens. Di questa società vittoriana Dickens mostra ormai soprattutto ai lati oscuri, senza improvvise risoluzioni comiche e liete. La consueta miscela di oscuro e grottesco volge verso una critica della Londra industriale, quasi rappresentata in maniera fotografica ed altamente realista, ma che diventa il pretesto ideale per esporre tematiche come la corruzione legale (Bleak House), lo sfruttamento del proletariato urbano aggravato dall’industrializzazione (Hard Times) e la piaga sociale delle ‘debt prisons’ e la disumanizzazione delle persone (Little Dorrit). GREAT EXPECTATIONS (1861) Pip è un orfano (tema dell’infanzia) al quale si lega anche al tema della povertà e la paternità sottoforma di spettri dei genitori. Egli racconta la storia da una prospettiva futura, divenendo il narratore omnisciente della propria storia e che sa tutto della storia, raccontando con grande introspezione la sua crescita sin dai primi anni della sua infanzia. Vive con sua sorella che l’ha ‘raised by hand’, i quali movimenti delle mani avranno una risonanza simbolica, e il fabbro Joe Gargery. La trama stessa è molto complessa: ci sono almeno tre trame. 1. La prima è anche l’ossatura apparente dell’opera stessa: è il racconto della carriera di Pip e di come diventa gentiluomo ed è quella più simile a quella del Bildungsroman (passaggio campagna alla città) 2. La seconda è di tipo sentimentale: riguarda il personaggio di Miss Havisham e il personaggio di Estella, di cui Pip si innamora (storia d’amore romantica); 3. La terza, infine, è di tipo melodrammatico: essa riguarda il forzato Magwitch (coincidenze e casualità). Possiamo descrivere le ultime due trame come ‘trame del sensationalism’ mentre la prima procede secondo schemi più realistici. Il romanzo viene interpretato come un ‘campo d’energie’ in cui convergono le tre trame presenti: la prima è la trama del progresso ma anche della repressione poiché, nel caso di Pip, è sempre sottoposto a regole e schemi a cui obbedire, nell’ottica di una trama teleologica verso una conclusione che darà senso all’esperienza. È continuamente sabotato dalle due trame del romance tramite il procedimento retorico della ‘ripetizione’ degli eventi, dunque della memoria che si accompagna anche ad un’esuberante deformazione della realtà, ma anche del desiderio che muove l’energia del romanzo: in questo caso, è il desiderio erotico-romantico di avere Estella ed essere un gentleman è l’unica maniera di raggiungere l’oggetto del desiderio. Allo stesso abbiamo una tendenza alla drammaticità e teatralità dei surroundings, quasi come Dickens fosse uno scenografo e gli ambienti sembrano un’emanazione del carattere e della personalità del personaggio. Tutto questo si lega al sensational novel. È anche una tendenza all’allucinante, dunque all’esagerazione. Quella di Dickens è l’arte dell’attimo, artista dello sketch e del singolo momento ma comunque in grado di evocare una grande rivelazione umana relativa alla realtà del personaggio. Un esempio è la caratteristica- nonché la preferenza- per i violenti chiaro/scuro che si alternano nei luoghi in cui si sviluppa la storia (buono e cattivo> melodramma> tutto relativo al manicheismo, fondata sulla dottrina del Bene e del Male). Il melodramma è un nuovo genere teatrale molto in voga che, con le sue emozioni potenti e limpide, permette di scorgere immediatamente l’incarnazione del bene e del male in un personaggio e che portano ad un alto livello di drammatizzazione della storia. Altra tendenza di Dickens è la presenza degli orologi (fr. Dutch clock: nella traduzione italiana si perde poiché tradotto ‘a pendola’, ma è proprio il fatto che sia olandese a distaccarlo dal resto perché la produzione di orologi passa nelle mani statunitensi e dunque, il fatto di possedere un Dutch clock è rappresentativo della classe sociale d’appartenenza che, nel caso della famiglia di Pip, non è particolarmente abbiente). L’orologio è rappresentativo dell’interiorizzazione del tempo nella vita del singolo (si pensi anche alla diffusione delle ferrovie o all’orologio da taschino). Nel capitolo 8, Pip viene richiesto da Miss Havisham. Qui, la descrizione sembra avere la funzione di introduzione di Pip alla società e dunque l’inizio del progresso e della carriera. Qui ritorna l’idea della metropoli come interconnessione che lega ‘tutti a tutti’ ma che comporta allo stesso tempo la perdita di individualità (e di una conseguente perdita tra dimensione privata e pubblica nella città moderna). Il personaggio di Pumblechock è un personaggio razionalizzante perché parla solo di aritmetica, che ritiene che Pip sia un suo prodotto (ragione come omnisciente). La casa stessa di Miss Havisham è estremamente minuziosa ed ogni elemento ha dei significati simbolici e nascosti (fr. finestre chiuse> isolamento e reclusione, diffidenza delle persone e particolarmente degli uomini poiché tradita dal marito, in un preciso momento del passato che dunque si riflette anche sulla casa stessa). Tornando al tema delle descrizioni pittoreschi, gli orologi fermi sono indicativi della condizione di Miss Havisham: ella è imprigionata nel tempo, nel ricordo di un trauma che fatica ad elaborare e che ha fermato il tempo a ‘twenty minutes to nine’. Tutto sembra altamente realistico ma allo stesso tempo deformato attraverso la patina grottesca di Pip, e dunque di Dickens. Ogni elemento è utile per colpire l’attenzione del lettore e descrivere il personaggio: Dickens è dunque un manipolatore di atmosfere ed ambienti che riflettono l’interiorità dei personaggi. Abbiamo due diversi punti di vista: uno introspettivo ed uno coevo alla descrizione degli eventi. L’incontro dei due personaggi rivela una differenza evidente tra vita e morte: lei stessa viene dipinta come uno scheletro in maniera grottesca che viene dalla fantasia che deforma la realtà con gli occhi del bambino, contrapposto a quello dell’adulto Pip che ha razionalizzato il tutto nel futuro. In questo incontro fa la conoscenza di Estella, dal quale rimane incantato, ma che inizia a deriderlo per il suo stato sociale e per la sua mancanza di buone maniere. Per esempio, nota immediatamente le sue scarpe ‘common’ in contrapposizione con l’ambiente in cui è adesso, altamente prestigioso ma al quale lui non appartiene, ma nota anche le sue mani ‘coarse’ (elemento macabro). Nel capitolo successivo, Pip torna a casa e inizialmente racconta di essersi trovato bene a Satis House ma, successivamente, confessa a Joe di avergli mentito in quanto ‘overtaken by penitence’. Joe lo perdona: si intuisce come egli sia il personaggio buono e caricaturale, un emblema della bontà e della modestia, ma anche un’ancora morale per Pip. Nonostante l’incontro traumatico a Satis House, il Pip narratore ricorda questo giorno come ‘a memorable day that made changes in me’ e che dunque si collega all’idea di un evento che genera la trama in quanto susseguirsi concatenato di vicende casuali ma altamente decisive. Si riferisce inoltre alla serializzazione dei romanzi, che rispondono alla richiesta di mercato ma anche a mantenere l’interesse dei lettori (riferimento meta-letterario). Nel capitolo 11, quando Pip torna a Satin House, si verifica il primo incontro con l’avvocato Jaggers. Pip sceglie di ‘observing him well’, mostrando un carattere di analisi descrittiva. E’ un personaggio sospettoso dagli occhi ‘sharp and suspicious’ , caratterizzato da parti del corpo piuttosto ‘large’ e dalla fisicità imponente. Tutti i personaggi verranno osservati in questa maniera sospettosa, venendo considerato come un baluardo e che gestisce i contatti tra i due poli, ossia bene e male. C’è però una sorta di vitalità in lui, completamente in opposizione a Havisham, e sarà una persona importante- anche se il Pip bambino non lo sa. Interessante è il particolare delle mani che sanno di ‘scented soap’: essendo Jaggers in contatto con i criminali, dunque con qualcosa di insulso e sporco, quest’immagine rimanda al giudizio di Ponzio Pilato e al momento in cui si lava le mani. Nei due capitoli successivi, notiamo che Pip inizia a vergognarsi del suo ambiente sociale e comprende che il suo destino non è quello che desiderava per sé, in quanto è entrato nella corruttiva macchina della società che lo porta a provare un senso di inadeguatezza (unworthiness) e lo porta a credere nelle illusioni e nelle aspettative di potersi elevare socialmente grazie al contributo di Miss Havisham. ‘I’ve never been more disgusted with my life’: il solo contatto con un ambiente aristocratico comporta un disgusto delle proprie radici e del proprio passato, e persino della sua considerazione riguardo Joe (fr. ‘Now it was all coarse and common’). Tanto che, quando realizza che Miss Havisham non ha mai voluto aiutarlo ma anzi velocizzare il suo passaggio come ‘Joe’s apprentice’, Pip è arrabbiato, profondamente deluso da questa svolta nella sua vita. Tenta addirittura di impartire le sue conoscenze acquisite a Joe per tentare di renderlo ‘less ignorante and common’ e renderlo un uomo degno della ‘sua società’, mostrando una conversione sempre più graduale di Pip verso la scalata sociale. Nei capitoli dal 14-16, ci viene introdotto il personaggio di Dolge Orlick, il quale rende la vita di Pip ancora meno gradevole. Questo personaggio sarà il principale sospettato, negli occhi di Pip, dell’aggressione verso la sorella, ma che risveglia in lui i sensi di colpevolezza angoscianti a causa dell’aiuto mostrato verso il convict (fr. ‘It was horrible to think that I had provided the instrument, however undesignedly’). I temi della colpevolezza e dell'innocenza sono piuttosto ricorrenti all’interno del romanzo, poiché la mente dell'adolescente Pip oscilla tra giusto e sbagliato, tra il suo desiderio di essere buono e il suo forte senso del male. Come l'apparizione del condannato e le figure della polizia, la lotta tra Joe e Orlick sottolineano, questa divisone è fatale: la cattiveria minacciosa di Orlick, ma anche l’indifferenza stessa di Miss Havisham, è un potente contrasto alla bontà interiore di Joe, e la loro lotta si manifesta come una proiezione fisica alla lotta interna di Pip. Nel capitolo 18, abbiamo la lettura di un episodio di cronaca nera da parte di Wopsle, che tuttavia diventa una pantomima quasi teatrale della cronaca nera che richiama l’atmosfera del sensational novel (fr. Dickens sfrutta il successo dei NewGate novel all’interno del suo romanzo per vendere di più). È dunque una disgrazia che diviene un intrattenimento, ma anche una critica alla società borghese, che si intrattiene con queste storie grottesche e malvagie che vanno teoricamente contro alla morale dell’evangelismo vigente in quell’epoca (fr. ipocrisia della respectability). L’apparizione di uno stranger è anche il pretesto perfetto per smascherare tale ipocrisia, mostrando come Wopsle- e dunque la società stessa- giudicasse l’imputato colpevole senza prima essersi assicurato della presenza di prove: è singolare che Pip ascolti questo intervento, perché è esattamente quello che accade con il convict. Lo stranger si rivela essere proprio Mr Jaggers: il suo è un tempismo perfetto perché avverte Pip di una misteriosa transazione per lui, grazie alla quale sarò in grado di continuare la sua educazione a Londra e diventare finalmente un gentleman. Nonostante la transizione rimanga un segreto, lui pensa che ci sia Miss Havisham dietro alla donazione (fr. ‘my fairy-godmother’). Intanto, il Pip narratore mostra un senso di colpa nei confronti di Joe quando lo abbandona in seguito alla scoperta della sua nuova eredità mentre il Pip del racconta si mostra ‘lost in the mazes of his future fortunes’. È interessante che tanto l’identità di Jaggers quanto la misteriosa transizione vengano rivelate simultaneamente, tra l’altro all’interno di un capitolo che rimanda ad una delle tematiche più ricorrenti del romanzo: l’apparenza del sistema giudiziario tra innocenza e colpevolezza. Essenzialmente, Jaggers invita i presenti- e dunque il lettore- a non compiere opinioni definitive sulla base delle circostanze non verificate da prove o da spiegazioni razionali: Pip, angosciato dal senso di colpa per aver aiutato Magwitch, pensa di essere lui stesso colpevole ma questa prospettiva verrà stravolta alla fine del romanzo, che mostrerà la realtà delle cose. Così il tema della giustizia e della corruzione diventano fondamentali, poiché le trappole esterne del sistema di giustizia penale diventano uno standard superficiale di moralità che Pip deve imparare a guardare oltre per fidarsi della sua coscienza interiore. Nel capitolo successivo, Pip si reca dal sarto per costruirsi un vestito ed iniziare il suo percorso verso la sua scalata sociale: la creazione sta ad indicare l’idea che ognuno di noi deve indossare un habitus, una sorta di maschera, che condiziona il nostro essere a seconda del contesto in cui lo adoperiamo. È in questo momento che Pip inizia ad assumere un’aria di presunzione nei confronti del costumer (snobbery) che, in qualche modo, perde di vitalità in quanto Mr. Trabb lo ‘misura e calcola’, proprio come fosse descritto attraverso dati matematici e logici. Nel capitolo 29, Pip arriva finalmente a casa di Miss Havisham. È un momento molto importante per il personaggio di Pip perché egli è alla ricerca della propria trama di sé, che lui vede realizzarsi nel coronamento del suo sogno di amore con Estella (fr. ‘I was the hero and Estella was the inspiration’). La giovane è cresciuta, è diventata più bella e questo lo fa sentire ancora come il ‘common boy’ che era nel primo volume, anche per via del comportamento immutato della ragazza, percepita per il suo senso di ‘distance and inacessability’. È dunque un amore fortemente idealizzato perchè Estella non si ricorda minimamente di lui. In questi momenti di riflessione, Pip nota una somiglianza che non riesce ad associare a Miss Havisham: vi è dunque una visione parziale della realtà ma la mente di Pip continua a lavorare parallelamente alla narrazione degli eventi, come una vera e propria epifania (fr. what was it?). Questo è un capitolo dedicato alla memoria poiché si intreccia il ritorno dei personaggi appartenenti al passato di Pip, venendo dunque proiettati all’interno della memoria di Pip personaggio, il quale sente una connessione insospettabile tra la donna della sua vita e un personaggio marginale: è un elemento della detective novel e ritorna anche il valore del personaggio minore perché la verità si nasconde in un personaggio umile, mostrando come la verità non vada cercata al centro ma ai margini sia del testo che dell’ambiente sociale. Nel capitolo 32, abbiamo la descrizione del carcere di Newgate e di Wennick come un giardiniere che si muove in questo ambiente degradato con molta tranquillità, quasi a simboleggiare come i criminali siano ridotti ad uno stato vegetale e che dunque subiscono un’influenza diretta dello stesso personaggio. Questo incontro con l’ambiente è vissuto come una corruzione incancellabile, quasi come una macchia: la soluzione del mistero comincia a chiarirsi grazie alle epifanie, che arricchisce il mondo e l’indagine di Pip. Difatti, Pip incontra uno spettro, con una somiglianza piuttosto evidente con Estella dalla finestra della carrozza, e questa sensazione è altamente evocativa: il passato proietta i ricordi sul presente. Questi capitoli coprono un momento oscuro e umiliante per Pip. Ironicamente, l'ascesa vertiginosa di Pip nello status sociale è accompagnata da un forte declino nella sua fiducia e felicità. La differenza tra Pip il personaggio e Pip il narratore diventa chiara qui. Quando visita Satis House, Pip personaggio si sente irritato e infelice al pensiero di visitare Joe, ma Pip il narratore si giudica duramente per le sue azioni. Come personaggio, Pip è in preda alle sue emozioni immediate, ma come narratore, ha la capacità di guardare la sua vita da una prospettiva più ampia e di giudicare se stesso. Dickens usa bene questo contrasto, dando a Pip la saggezza del senno di poi senza sacrificare l'immediatezza della sua storia. Per questo comincia a comprendere le conseguenze delle proprie aspettative su di lui e sulle persone che lo circondano. I sensi di colpa di Pip per il suo comportamento verso Joe e Biddy raggiungono un punto culminante al funerale di Mrs. Joe. Egli è sconvolto dalla notizia della morte di sua sorella: la sua morte segna un punto importante nella sua maturazione verso l'età adulta e lo sviluppo del suo personaggio. Cerca dunque di rettificare il suo comportamento verso i suoi cari di classe inferiore, i quali sono scettici delle sue promesse di migliorare, come promette loro nel capitolo 35. La conclusione è però significativa: quando se ne va, entra nella nebbia, che simboleggia ambiguità e confusione poiché anche lui sa che è improbabile che onori la sua promessa. Nel capitolo 36, Pip compie finalmente 21 anni ed è ora in grado di accedere alla sua fortuna anziché chiedere personalmente i soldi a Jaggers. Il rifiuto di Jaggers di soddisfare i desideri di Pip di conoscere la verità sul suo benefattore è decisamente di cattivo auspicio, uno confermato nella sezione successiva con l'arrivo del condannato e la caduta delle più grandi aspettative di Pip: egli rimane dunque accecato dall'amore e continua a equiparare il suo progresso sociale con l'avanzamento romantico. Negli ultimi due capitoli (38-39), ritorna la tematica della spettralità, legata maggiormente al ricordo e alla memoria di Miss Havisham, che qui appare per la prima volta come un fantasma. Aumentano i particolari grotteschi e macabri, manifestando una sorta di minaccia del passato con i suoi fantasmi che seguono Pip, che sta cercando di dimenticarlo. Pip e Estella vanno a trovare la vecchia dama- descritta come una strega sempre più impoverita dal tempo-e Pip osserva per la prima volta una relazione combattiva tra lei ed Estella: Miss Havisham spinge Estella a spezzare il cuore degli uomini, ma Estella tratta Miss Havisham con freddezza come lei tratta i suoi pretendenti. Dopo averci mostrato la discussione tra Pip e Estella, il Pip narratore ci presenta la narrazione di un episodio importante per il romanzo- anticipato da innumerevoli foreshadowings- mostrando il momento in cui crolla il tetto della casa di carta sulle quali Pip aveva fondato le sue speranze, le sue ‘Great Expectations’. Nel capitolo 39, Pip ha ormai 23 anni ed è perfettamente integrato nella società londinese (fr. ‘he read regularly so many hours a day’). Interessante notare come il tempo atmosferico è piuttosto burrascoso ed inquieto, quasi a simboleggiare l’inquietudine dell’incontro che sta per avvenire tra Pip e il misterioso benefattore, che si rileverà essere proprio Magwitch. Questo è anche simbolo di un passato che continua a contaminare il presente del protagonista, il quale non accenna ad elaborare il trauma infantile nonostante la sua nuova posizione da businessman e completo uomo borghese, mostrandosi dipendente dal tempo. Cerca dunque di seguire il suo tempo privato ma è tutto scoordinato: questo si collega all’idea di una trama che non segue più un percorso compatto. Magwitch racconta poi la sua storia, di come ha falsificato la sua identità e di come ogni suo tentativo di arricchirsi dipendesse dalla sua volontà di rendere Pip un vero gentleman, per ringraziarlo della sua gentilezza. Ora Pip comprende la verità, palesatasi con la stessa intensità repentina dei fulmini della tempesta, e comprende che Miss Havisham non aveva mai avuto intenzione di farlo sposare con Estella poiché egli non era altro che un semplice ‘burattino’ per la sua vendetta. Ora Pip apprende che la sua ricchezza e la sua condizione sociale provengono dal lavoro di un detenuto non istruito, rivoltando le sue percezioni sociali poiché la realizzazione della sua speranza di essere elevato a una classe sociale superiore risulta essere il lavoro di un uomo di una classe anche inferiore alla sua. Il senso del dovere che costringe Pip ad aiutare il condannato è però un segno della sua bontà interiore, proprio come era molti anni fa nella palude, ma non è comunque in grado di nascondere il suo disgusto e la sua delusione. Il riferimento del condannato a sé stesso come ‘secondo padre’ di Pip ci permette di tracciare lo sviluppo del personaggio attraverso una successione di figure paterne. L'orfano Pip si identifica più da vicino con Joe come un padre nella prima sezione del romanzo. Dopo l'apparizione magica della sua ricchezza, l'adolescente Pip sembra trattare Jaggers come una sorta di lontana figura paterna, riferendosi a lui ripetutamente come ‘il mio guardiano’ e permettendogli di impostare i parametri per la sua vita a Londra. Ora giovane adulto, Pip si confronta con Medwitch come un padre indesiderato, una relazione che si svilupperà e approfondirà nella sezione finale del romanzo. Con la scoperta di Pip della sua nuova figura paterna, questa sezione termina con una nota estremamente inquietante, mentre il cielo del mattino è oscurato da una violenta tempesta. CROSSREADING: VOLUME III (40-59) Nel capitolo 40, Pip inciampa su un uomo ombra accovacciato sulla sua scala. Pip rivolge la sua attenzione al condannato, ossia Abel Magwitch. Per impedire ai servi di scoprire la verità, Pip decide di chiamare Magwitch ‘Zio Provis’, uno pseudonimo che Magwitch ha personalmente inventato sulla nave dall'Australia all'Inghilterra. Pip organizza un travestimento e chiama Jaggers per confermare la storia di Magwitch. Magwitch vaga per l'appartamento, imbarazzando Pip, il suo gentiluomo, con le sue cattive maniere a tavola. Magwitch se ne va, e Herbert e Pip discutono la situazione, concordando che Pip non dovrebbe più usare i soldi di Magwitch. Pianificano che Pip porti Magwitch all'estero, dove sarà al sicuro dalla polizia, prima di separarsi da lui. Nel capitolo 42, Magwitch ci narra la sua storia. Era un bambino orfano e ha vissuto una vita di crimine per necessità. Da giovane, incontrò un criminale gentiluomo di nome Compeyson e cadde sotto il suo potere, finendo per indebitarsi con quest’ultimo e rimanendo costantemente nei guai per colpa sua. Compeyson aveva già spinto un altro complice, Arthur, nell'alcolismo e nella follia. Continua dicendo che quando lui e Compeyson furono catturati, Compeyson si rivoltò contro di lui, usando le maniere del suo gentiluomo per ottenere una sentenza diversa al processo: è per questo che, da quel giorno, Magwitch giurò di vendicarsi di Compeyson una volta per tutte. In questa narrazione, Dickens ci fa comprendere la volatilità del denaro, del profitto nell’era del capitale e di come le persone si affidino ad un valore futile pur di uscire da uno stato di miseria: sono questi rapporti retti da un cash nexus, poiché i rapporti tra le persone dipendono dalla circolazione del denaro. Alla fine, un oggetto in grado di contrattare alla natura di Magwitch è una piccola Bibbia per fare un giuramento poiché la religione ha qualcosa di magico e superstizioso, notando come gli oggetti siano ‘dotati di aura’ (rapporto materia- spirito come la Bibbia) e dunque diventa un’identità ibrida tra materia e spirito, poiché la psiche investe gli oggetti di un valore significativo ma effimero tramite la proiezione di desideri, di valori e di sentimenti: è questo il valore della merce, il valore imposto dall’uso che se ne fa a partire dalle decisioni degli uomini e dunque si connette al discorso dell’utilitarismo. Il finale del romanzo (cap.56-59) è più controverso di quanto possa sembrare all'inizio. Prima di scrivere la scena in cui Pip trova Estella nel giardino e vede ‘no shadow of another parting from her’, Dickens scrisse un altro finale meno romantico del libro. In questa versione, Pip scopre che, dopo la morte di Drummle, Estella ha sposato un medico di campagna nello Shropshire. Camminando per Londra un giorno con il figlio di Joe e Biddy, Pip incontra Estella e hanno un incontro molto breve e si stringono la mano. Dickens cambiò questo finale su suggerimento di un amico, il romanziere Edward Bulwer Lytton, nella speranza di donare al pubblico un senso di happy ending. Alcuni critici hanno ritenuto che il finale originale di Great Expectations sia più fedele al tono del romanzo, che il processo di redenzione di Pip come personaggio è esattamente il processo che renderebbe impossibile il suo amore per Estella. Altri hanno affermato che il finale originale è troppo duro, che il loro passato comune ha destinato Pip ed Estella l'uno per l'altro, e che la storia principale del romanzo è la storia del loro reciproco sviluppo verso le condizioni in cui il loro amore può essere realizzato. In ogni caso, lo sviluppo fondamentale di Pip di questa sezione finale rimane chiaro, ed è sottolineato nella sua riconciliazione con Joe e Biddy nei capitoli 57 e 58. Qui, le lezioni che Pip ha imparato riassumono efficacemente lo sviluppo tematico del romanzo nel suo complesso. Pip ha imparato che la classe sociale non è un criterio per la felicità e che le definizioni rigorose di bene e male, e anche di colpa e innocenza, sono quasi impossibili da mantenere in un mondo in continua evoluzione, simboleggiato dalla distruzione di Satis House, che ha tentato di congelare il tempo con i suoi orologi fermati. Inoltre, comprende che il trattamento dei suoi cari deve essere il principio guida nella sua vita. Anche se la sua auto- descrizione come narratore mostra che continua a giudicarsi duramente, ha perdonato i suoi nemici e si è riconciliato con i suoi amici. Sia che lasci il giardino con Estella o che la saluti solo nella sua carrozza, ha trovato un finale soddisfacente per sé stesso. ALTRI AUTORI E ‘THE CONDITION OF ENGLAND’ Altamente simbolici sono le esperienze letterarie di William Makepeace Thackeray e Anthony Trollope in quanto concepiscono il loro impegno letterario come una professione dall’impronta realistico-didascalica. Tra i due, tuttavia, Trollope sembra convinto che il romanzo sia per sua natura “effimero” e quindi evitano di farsi coinvolgere dalle problematiche poste dagli effetti della Rivoluzione Industriale e dall’esplosione dei grandi centri urbani, indagando ugualmente sugli effetti che essi ebbero sui paesaggi naturali e sulla società inglese. Essi calano il lettore nella mediocrità umana, in un mondo senza eroi, accompagnando il racconto delle vicende- nella loro linearità cronologica- dove il denaro è l’unico valore che permette il soddisfacimento del proprio ego. Abbiamo poi Thomas Hardy che scrive alla fine del secolo, considerato pessimista perché in lui c’è un fatalismo per via delle teorie darwiniane riguardo il determinismo esistenziale. La sua narrativa trova ispirazione nella lucida consapevolezza che il mondo rurale dell’Inghilterra sta per essere annientato dalla civiltà meccanica e la cui visione tragica coinvolgerà i personaggi e i paesaggi. Questo è indice di un rapporto con la natura minato dall’industrializzazione. Hardy approfondisce la sua vena tragica e fatalistica, inducendo i suoi personaggi a compiere errori decisivi che ne condizioneranno per sempre l’esistenza. Allontanandosi poi dal realismo didascalico, Hardy mette in crisi l’architettura rassicurante rappresentata dal narratore onnisciente per puntare ad un ritmo narrativo più disarmonico e irregolare. Una satira radicale della società vittoriana e della sua repressione soprattutto educativa comparve con Samuel Butler, che si sofferma nella maggior parte delle sue opere sul rapporto tra umanità e macchine tentando di creare delle realtà utopiche. LA DETECTION, IL DOPPIO E IL NONSENSE: TRA SOGNO E REALTÀ A livello letterario, sono molte le sperimentazioni che possiamo osservare e che danno vita ad una parte importante della letteratura inglese. Come abbiamo visto precedentemente, già nei romanzi di Dickens, si vanno accettando delle modalità narrative e delle tematiche concettuali ricorrenti tanto nell’ultima parte del secolo quanto nella grande maggioranza del Novecento modernista. Una di queste è la detection novel, legata ancora ad una sfera prettamente razionale ed oggettiva, come accade nei romanzi di Wilkie Collins o del più famoso Arthur Conan Doyle e i suoi romanzi del personaggio di Sherlock Holmes. Saldamente basato nella capitale londinese, anche Sherlock si confronta darwiniamente con un mondo oscuro e gotico che dalla periferia del mondo attenta all’Impero, arrivando alla soluzione del caso più sconcertante tramite l’inferenza e l’ipotesi. La fredda razionalità di Sherlock stride con il Doyle attento studioso e propagandista del paranormale, interessato allo spiritismo. Questo perché i limiti razionali e consequenziali della ragione umana cominciano a mostrare i primi segni di cedimento e di fallibilità, mostrando un intervento sulla realtà sempre più frammentato ed inspiegabile. Ne sono un esempio le opere di G.K Chesterton. Il suo gusto per l’assurdo e il paradosso, assieme all’argomentazione scolpita con frasi memorabili e coinvolgente ragionevolezza, mostra l’assurdità della vita vista medianti i minimi particolari, unendo il sensazionale e l’irrazionale al comico: il quotidiano e il familiare, diventano all’improvviso scena di una vicenda assieme grottesca e sublime. Abbiamo poi le storie dell’irlandese Sheridan Le Fanu, che riscoprì la potenza delle vicende di spiriti e mostri del folklore che anticipano il tema del del doppio: qui, il sensational e il gotico si incrociano, mostrando mediante l’apparizione spettrale e il soprannaturale l’oppressione della coscienza sotto il peso della colpevolezza, preponderante anche in Dr.Jekyll e Mr Hyde. Altro maestro dell’assurdo è proprio Lewis Carroll, la cui opera più famosa, ossia Alice’s Adventures in Wonderland, mostra una logica del nonsense piuttosto preponderante. Alice aumenta o diminuisce la sua statura come un telescopio e scopre il mondo del doppio, nascosto dietro l’ordinata realtà vittoriana, che costringe le persone stesse ad assumere diversi comportamenti a seconda delle circostanze (fr. ‘This curious child was very fond of pretending to be two people’), tematica che si svilupperà anche in Dorian Gray. L’EPOCA TARDOVITTORIANA: VERSO IL ‘FIN DE SIÉCLE’ (PATER) Sul finire dell’Ottocento, si manifesta una reazione di allontanamento anti-vittoriana al modello rappresentato del realismo e dalla sua concezione dell’arte. Nella prima fase dell’età vittoriana, vi era una rappresentazione oggettiva del mondo e dunque il suo scopo era quello di rendersi utile, tentando di raggiungere una perfetta rappresentazione del mondo. Si manifesta dunque una reazione all’utilitarismo e al Positivismo mentre ora entriamo nella fase dell’estetismo, e che dopo sfocerà nel Decadentismo (fin de siécle). Questo perché il mondo borghese è scosso da una forte crisi e recessione economica, percependo una vera e propria decadenza e fallimento dei valori di quel mondo industriale finora rappresentato e che si espanderà all’idea di una degenerazione morale dell’uomo- con lo studio della psiche e dell’inconscio- iniziando ad osservare ‘dietro l’apparenza’ e diventa quasi inutile rappresentare la realtà oggettiva in quanto ambigua. L’arte impressionista ebbe un grande successo poiché privilegia le sensazioni e che non si basa più sulla ragione e la percezione della realtà viene alterata: l’arte ora ritorna al soggetto e alle sue sensazioni immaginative (soggettivismo). In termini filosofici, si parla di individualismo rispetto al collettivismo della società: si esalta la figura del dandy, figura che fugge dal mondo e si rifugge in sé stesso vivendo una vita all’insegna dell’arte per il gusto dell’arte e si affida ad un ingegno più sottile relativo a quello dell’esteta. Il puro piacere estetico viene contemplato mediante il ritiro dal mondo in cui l’esteta si rifugia (fr. ‘Every one of those impressions is the impression of the individual in his solation’): torna l’immagine del prigioniero rinchiuso nella torre e che sogna il suo mondo immaginario è un’immagine romantica e che si diffonde nel Tardo Romanticismo. L’estetismo risente della filosofia di Epicuro e di una visione risalente allo stoicismo: lo notiamo nell’adesione di stampo edonista: questa nuova visione culturale si traduce in una serena accettazione degli eventi, intenti a rivelare la pienezza della vita tramite elementi fugaci e passeggeri (fr. carpe diem). Occorre, dunque, trovare momenti di piacere estremo in cui viene fissato per un momento fugace il piacere della vita. Importante diventa la preminenza della nostra immaginazione e mente nel filtrare l’esperienza e la riflessione: diventano significativi i cosiddetti inconstant modes della realtà che perdono la loro definizione scientifica e vengono sospesi quasi ‘per magia’, come un incantesimo in grado di mostrarci la vera essenza di questi elementi. È quello che in greco si definisce come kairós, ossia il momento propizio nello scorrere della vita quotidiana in cui si rivela per un attimo l’esistenza eterna in cui un giorno diventa fondamentale e che va fissato in un simbolo preciso: è quello che nel 900 viene definita come epifania. La realtà diviene un caos di combinazioni che la scienza tenta di spiegare in maniera regolare: la fine dell’Ottocento presenta un mondo in dissolvenza e che crolla sotto l’individuo, rivelando l’abisso che c’è dietro la stabilità delle cose, e che è in continua dissoluzione. L’interno dell’individuo è un flusso ancora più innarestabile (fr. a drift of momentary acts of sights and passion): si accenna qui al futuro stream of consciousness, dunque le successioni di impressioni che non seguono un ordine preciso ma che seguono un ordine relativo alla nostra esperienza e percezione. Come il poeta simbolista, si deve perforare il muro opaco delle apparenze e portare al limite dell’uso la verità delle cose: la verità delle cose non è più immanente ma trascende ed è appunto qualcosa da intuire e da vedere. Vi è un’idea del tempo visto come divisibile, piccoli ‘single moments, gone while we try we apprehend it’ e dunque fugge via perché il flusso è vita. Compito dell’arte è fissare proprio l’impressione che va oltre. Il personaggio diventa dunque un ‘puppet’ perché è semplicemente funzionale al meccanismo del racconto e più si perfeziona il romanzo e più si alza la possibilità di colpire il lettore. Non è il ‘character’ ma semplicemente il libro come oggetto capace di soddisfare i desideri del lettore: ecco perché i personaggi rappresentano le nostre stesse proiezioni su di loro. La funzione della storia è evidentemente artificiale eppure, tramite la ‘suspension of disbelief’, tutto sembra reale, senza perdere mai di vista il fatto che abbiamo a che fare con dei burattini: Stevenson inizia a ragionare proprio su questa idea di ‘fiction’. L’arte non produce illusioni totali ma la buona arte è quella che crea un legame tra personaggi e lettori, che devono ‘giocare in maniera cosciente nell’essere eroi’, e che diviene in grado di proiettarli in una nuova realtà autentica- almeno finché non termina il romanzo. Il sogno dell’opera perfetta è però quella di rimanere ‘forever young’, dunque donando al lettore la responsabilità del successo o del fallimento di un’opera. Tramite il riferimento a ‘The Arabian Nights’, Stevenson afferma il potere influente che un’opera può avere sul lettore e la cui qualità risiede nella sua capacità di essere ‘reperused at any age’. Fiction is called romance when it dwells upon its recollections with entire delight. FROM ‘A HUMBLE REMONSTRANCE’ L’arte deforma la realtà per colpire il lettore con le sensazioni richieste. Si intende ‘creare’ qualcosa di nuovo, senza imitare i fatti dell’human actor ma la lingua: non si ragiona più sulla realtà ma sulla lingua come filtro che riorganizza il reale, dunque il focus del discorso riguarda la maniera di come un determinato evento viene raccontato o meno. Si crea dunque una patina artificiale, creando una serie di impressioni atte proprio a questo, che hanno una sola fine: l’entertaiment. Ognuno dei personaggi, a partire dai protagonisti a quelli minori, ha un’importanza e dunque lo stesso fine perché sono funzionali alla storia, chi in un modo e chi un altro. La vita diventa un archivio di tipi: più la storia è tipica e più la storia può trovare un responso nell’immaginario collettivo. FROM ‘MY FIRST BOOK-TREASURE ISLAND’ ‘I knew I was bound to write a novel’ afferma Steveson. Egli infrange ogni nozione di decoro letterario perché, attraverso il genere dell’avventura, adotta meccanismi e stilemi propri di un prodotto di massa ma diffondendoli anche nel panorama borghese. Dunque, il suo punto è la continua tensione di trovare nuovi modi per ‘enjoy the world’ e creare una fiction in grado di evocare emozioni comuni per tutti: diventa il modello di ricerca delle dinamiche universali che possano essere potenzialmente fruibili a tutti, in aperte sfide alle dinamiche dei mercati editoriali. Narra quindi dei primi tentativi, falliti ed andati a vuoto per poi parlare del momento in cui realizzò una mappa fittizia che sancì la nascita dell’opera ‘Treasure Island’. La mappa è paradossalmente simbolo di progresso e di razionalizzazione del mondo: essa è suggestive soltanto grazie ai nomi dei monti, delle città e di mari e soprattutto grazie allo sconosciuto e all’indeterminato: si crea dunque la possibilità di ‘escape the real’ (in quanto letteratura escapista) e diventa dunque ‘chief part of my plot’. Sulla superficie della mappa, la fantasia del romanziere proietta su un luogo immaginario i personaggi della storia: è dunque una proiezione doppia e reciproca. Il punto di partenza sta nella visual, nelle pictures (in questo caso, la mappa) che poi sviluppa a seconda di quello che lui definisce delle ‘operazioni di chirurgia’ perché ‘taglia e cuce’ nuovi legami e scene che arricchiscono la ‘web of pictures’ (from ‘A Gossip On Romance’). La mappa simboleggia lo spazio intermedio in cui interviene il gioco della letteratura: c’è inoltre una collaborazione complessiva tra lettore ed autore per via delle associazioni, che poi vengono collegate tramite il piacere della mente. Il racconto ha le sue radici nella mappa (fr. it will do well, even for imaginary places, to provide a map). Questa mappa che lui stesso ha disegnato viene persa e dunque deve ricostruirla a partire dall’opera: perde dunque il valore originario che Stevenson diede al pensiero di Treasure Island. Dunque, arte e mondo sono separati dalla distanza e si perde la funzionalità di riferirsi al reale da parte dell’arte: l’idea originaria dell’isola stessa si è persa perché non ha più riferimento a livello concreto e fisico e viene copiata (fr. mondo delle idee). FROM ‘PIACERE DEL TESTO LETTERARIO (BART)’ Partendo dall’idea di Stevenson che si debba tener conto dell’empatia e della ricezione da parte del lettore, stabilendo un rapporto con lui in grado di evocare una più profonda immedesimazione nelle avventure del protagonista, lo strutturalista Bart ricercò la definizione del piacere nel testo letterario. Quando leggiamo, stabiliamo un ritmo disinvolto, poco rispettoso verso l’integrità del testo e l’avidità stessa della conoscenza c’induce a sorvolare o scavalcare certi passi (o presentiti noiosi), rispettando da un lato e precipitando dall’altro gli episodi del racconto: ogni lettore sceglie il codice con cui cogliere i frammenti che riteniamo più interessanti per appassionarci ad essi. Ritorna il topico del desiderio della fine che tuttavia non si manifesta in maniera immediata e ultima ma in un solo momento significativo. È tuttavia il ritmo di ciò che si legge e ciò che non si legge a ‘fare’ il piacere dei grandi racconti: è un processo equilibrato di accelerazione per giungere alla fine della storia ma decelerazione per rallentare il disvelamento della realtà. ‘Si contrappone ciò che è utile alla conoscenza del segreto a ciò che le è inutile’ Si fa dunque un collage di frammenti (o di incidents come afferma Stevenson) in grado di rievocare il piacere delle vecchie letture. Diventano dunque ‘testi di piacere’, che appagano e conferiscono euforia. FROM ‘TREASURE ISLAND’ Notiamo una prima differenza col romanzo realista: se gli oggetti (come nei romanzi di Dickens) avevano una correlazione esterna col mondo e con la descrizione dei personaggi e avevano un’alta funzionalità, in questo romanzo d’avventura non hanno altro scopo se non l’esaltazione della sensazionalità di questi tesori e che evocano lo stimolo del piacere del testo. È un ammasso di ‘oggetti obsoleti’, piccole cose di pessimo gusto, ma che donano piacere all’esteta che si ciba proprio di ciò che la società scarta. Questo si riflette anche nella menzione dei luoghi che stimolano la fantasia ed il viaggio, ed ecco che il desiderio del viaggio si manifesta tanto nel protagonista che nel lettore. Anche i momenti banali possono diventare uno spettacolo. Paura e curiosità diventano le emozioni fondamentali che bisogna suscitare, per poi fermarsi immediatamente per non far scendere la suspense. Per esempio, il protagonista Jim Hawkins che scompare nel buio, si eclissa sino a conciliarsi proprio col lettore (fr. te lo dirò io quando, più tardi possibile): è dunque nella narrazione la trama stessa. Nel corso dello sviluppo della trama, prima o poi si verificherà comunque lo scontro tanto atteso, dunque non si può tornare indietro, e l’unica cosa da fare è attendere il momento giusto ed opportuno in cui combattere (fr. carpe diem). Dunque, l’avventura si rende una ‘strana serie di circostanze’. Pur con le semplificazioni tipiche di un’opera di ragazzi, si basa sul meccanismo stevensoniano della concatenazione: la trama è sorretta dall’apparizione di personaggi ambivalenti, che fluttuano tra malvagità e bonomia, gli indizi vengono sparsi in maniera eterogenea ed incompleta e vengono accompagnati da cliffhangers a fine capitolo. THE STRANGE CASE OF DR JEKYLL AND MR HYDE (1886) Vista come la sua opera più famosa, The strange case of Dr Jekyll and Mr Hyde (1886) è diventato un cult nonché un mito popolare, perdendo tuttavia uno degli elementi fondamentali della letteratura di Stevenson, ossia la sorpresa, perché sappiamo esattamente chi sia Hyde: egli è Jekyll, o meglio, è anche Jekyll. Il rispettabile Dr.Jekyll è infatti un rinomato chimico che da qualche anno persegue una imprecisata ed eccentrica ricerca ma che diventa ‘strange’ per chi lo conosca. Notiamo delle caratteristiche appartenenti a due generi in particolare, che hanno contribuito a renderla un mito moderno: • Abbiamo il genere della detection-almeno in una parte della trama- come enunciato dal titolo: si tratta di un case criminale, simile a quelli del sensational novel; • Il genere gotico- che risente dell’influenza di autori come Radcliffe o Louis- vista anche l’ambientazione in una Londra quasi sempre notturna, accompagnata da improvvisi raptus melodrammatici di violenza; • Abbiamo anche l’influenza della psicoanalisi ed indagine della sessualità maschile e femminile, definita come isterica. ‘The Strange Case’ trova le sue radici in opere come ‘Camilla’ di Sheridan Le Fanu, che mostra spesso- mediante l’apparizione spettrale del sovrannaturale e l’irruzione del nonsense- l’oppressione della coscienza sotto il peso della colpevolezza. Egli esplorò la potenze delle vicende di spiriti e mostri del folkore celtico mediante la figura di Dr. Hesselius, il detective dell’occulto che usa la razionalità per comprendere storie inspiegabili (come Mr. Utterson). Tra l’altro, Le Fane anticipa il tema del doppio. Ciò che ci interessa è la risoluzione di un problema formale: il grande fascino dell’opera risulta dal fatto che sembra più un opera di poetica che di prosa, notando un uso del linguaggio proprio del primo genere. Hyde si comporta in maniera selvatica in quanto rappresentazione di un peccato originario sia scientifico che sociale- poiché la borghesia ha usato la violenza per sfruttare le altre per il proprio guadagno e la capitale. Va da sé che Jekyll è il senso di colpa e il buonismo, letteralmente l’altra faccia della medaglia. Importante è anche l’idea dell’ombra, di un negativo che mostra di più rispetto alla visione diretta della realtà: in generale, le realtà virtuali restituiscono una versione deformata della realtà ma forse più veritiera che dunque provocano una sensazione di stranamiento in quanto unico modo per affrontare determinati temi- specialmente in Inghilterra in cui le restrizioni vittoriane erano particolarmente acute (ecco perchè autori come Dickens e Stevenson vennero influenzati dagli scrittori francesi). Ciò che è opportuno notare che la trasformazione non riguardo un passaggio statico da una condizione A ad una condizione B, bensì ad una proiezione- da parte di Jekyll- di un concentrato di pura malvagità che diventa Hyde: questo rappresenta una compresenza di una concentrazione di malignità già presente nello scienziato. Interessante è notare però che le avventure di Hyde dovrebbe esagerazioni mostruose e pittoresche di Jekyll ma il mostro inumano non è esibito da Stevenson nelle sue bestiali lascivie ma nella sua totale indifferenza rispetto ai crimini che commette, evidenziando ulteriormente l’umanità che alberga in Hyde come corrispettivo di quella presente nella società vittoriana. ‘There must be something else’: nonostante le già menzionate caratteristiche spaventose di Hyde, Utterson non riesce ancora a capire la vera natura del mostro (il mistero del giallo) e notiamo un atteggiamento razionale da un lato, ma dall’altro si contrappone inevitabilmente con quello che non sa spiegare. Ma la soluzione è già li, è sempre stata li. Hyde è dunque la materializzazione del lato inesplorato della grande città moderna: un fantasma concepibile solo in un’era democratica di massa. È dunque ineffabile, ma anche straordinariamente attraente e seducente: è dunque un qualcosa di perturbante ma di familiare allo stesso tempo, come una conoscenza subliminale già posseduta ma respinta. È pericoloso perché funge da catalizzatore di istinti repressi e dimenticati, ma che vengono risvegliati nel momento in cui le persone si imbattono in lui. Nell’attrazione di Jekyll verso Hyde non c’entra il male bensì la vera e propria nostalgia per una libertà e felicità fisica, una nostalgia di movimento dai connotati erotici, di azione, di avventura e di lotta. Hyde è essenzialmente questo: è acting out allo stato puro, sfoggiando un gratuito impulso all’azione fisica immediata e violenta. Quel che Stevenson mette in scena è proprio la difficoltà della società vittoriana di integrare queste parti negative ed oscure e la cui soluzione consiste nella sua totale espulsione: va da sé che per l’eliminare l’Io-Hyde è necessario eliminare l’io-Jekyll. La rimozione di tutto ciò che era amorale comincia a risorgere, perdendo il proprio self-control e comincia a perdere unità, distaccandosi ulteriormente dal percorso di formazione e da quel blocco unitario che prevedeva una riformazione non solo con sè stessi ma anche con la società: ora tutto si frammenta e si lacera, dando luogo ad un io scisso e frammentato che poi costituirà i passi essenziali dal Modernismo. DR.JEKYLL WAS QUITE AT EASE Il capitolo si apre con un incontro tra un gruppo di ‘professional and respectable men’, maschi borghesi della borghesia vittoriana. Una cosa interessante è vedere come un dramma fantastico venga interpretato da un circolo di persone rispettose e ragionevoli, suscitando l’idea che la realtà sia profondamente misteriosa ed allusiva, casualmente la maniera in cui viene descritto il nostro Hyde. Anche nel modo in cui parlano, in cui fanno riferimento all’elusività del carattere di Hyde, essi usano spesso le tecniche dell’allusione e dell’ellissi: sono figure poetiche ed emerge, in qualche modo, l’artista che è in loro. Questo perché la loro descrizione è molto vaga, dovendo in qualche modo giustificare le loro ragioni, nonostante siano uomini di scienza. Si manifesta nuovamente l’idea della contrapposizione tra apparenza e realtà, tra maschera che mostriamo alla società per mantenere la reputazione del nostro nome e le nostre vere passioni. È importante ricordare che, da un lato, Hyde viene ritenuto malvagio ma anche protetto dalla società proprio perché questo atteggiamento rispecchia questa dualità, fungendo come uno specchio rivolto verso le virtù e i vizi della borghesia stessa, inserendosi automaticamente in quest’ultima. Ecco perché anche lo stesso Utterson, alla richiesta ‘strange’ di Jekyll di prendersi cura di Hyde nel caso in cui dovesse succedergli qualcosa, non pone altre domande poiché sceglie di tenersi alla larga dallo scandalo contro una società che è invece alla ricerca di continuo scandalo per via della prima influenza di quelli che potremmo definire come i ‘mass media’. Hyde può essere considerato come un figlio illegittimo di Jekyll- poiché più piccolo- e si pensa sia un fantasma venuto dal passato per tormentare e ricattare lo stesso Jekyll. Il secondo forma in Hyde una sorta di gentleman, dunque la storia si potrebbe addirittura leggere come una formazione di quel gentleman deviato ed esagerato di un prototipo di mascolinità borghese dalla dualità dirompente e che cela una personalità contradditoria. THE CAREW MURDER CASE Il delitto Carew è l’avvenimento che inizia a mettere a fuoco il racconto. La città viene infatti sconvolta dal crimine compiuto proprio da Hyde, il quale uccide un aristocratico per via dei suoi scatti d’ira, come ci viene raccontato da una cameriera. L’altro da cui la borghesia si deve difendere non è solo il proletariato ma anche sé stesso, dunque da membri all’interno della stessa classe e di figure come gli esteti: ecco che Hyde può essere considerato come un angelo vendicatore per il Dio borghese. L’arma del delitto-ossia il bastone- viene riconosciuto proprio da Utterson in quanto regalato personalmente al Dr.Jekyll: si offre, dunque, di condurre il funzionario nell’appartamento di Hyde a Soho, il quartiere più degradato e popolare di Londra. Tuttavia, la sua stanza ci sembra quello di un’esteta- dunque non sembra verosimile- ma è proprio qui che sta la chiave di lettura: Hyde è egli stesso un gentleman, qualcuno che sta avendo gusto nelle cose e che sta iniziando ad apprezzare il bello, e che si allinea sempre di più con gli uomini della rispettabile borghesia. Hyde rappresenta una critica non solo verso l’aristocrazia ma anche verso una parte di persone ricche che, non avendo nulla da fare, perdono temp dietro l’arte e verso la ricerca del piacere. Il problema viene dunque da dentro, manifestando un crollo interiore che ne corrompono l’immagine. Aspetto interessante è anche quello linguistico, in quanto una delle ipotesi non rivelate potrebbe essere quella di un rapporto omosessuale tra i due protagonisti per via della presenza del termine ‘queer’: nonostante questa ipotesi venga poi smentita, essa è comunque riflesso di una pratica piuttosto diffusa dietro il velo vittoriano della rispettabilità, che imponeva il rispetto dei canoni di una società etero-normativa. INCIDENT OF THE LETTER Utterson giunge a casa di Jekyll. Dopo aver ucciso, Hyde scompare e ricompare Jekyll, anche se è fisicamente decadente e descritto in maniera perturbante e pietosa. A colpire Utterson è l’obliquo, l’allusivo poiché non è strano che fosse invecchiato improvvisamente ma qualcosa di ‘strange’ che non riesce a spiegarsi. Dopo aver parlato riguardo l’aggressione di Carew, Jekyll afferma che è ‘done with Hyde’ e ‘does not care what becomes of Hyde’ per poi consegnare una lettera allo stesso Utterson, al quale suggerisce di leggere ed interpretare autonomamente perché lui ha ormai ‘lost confidence in myself’: questa perdita di sicurezza è chiaramente una conseguenza non solo del suo sdoppiamento ma del suo tentato fallito scientifico di separare bene e male, vizi e virtù, che adesso si stanno manifestando in maniera più dirompente ed incontrollabile. Tale affermazione suggerisce anche la perdita di unità ed ordine all’interno dell’organismo stesso. È chiaro che alla base del Dr.Jekyll c’è l’immagine tradizionale del Faust e del Dr. Frankestein riletta in chiave moderna: egli infatti manifesta il suo volere continuamente sfidare la scienza per via della sua ambizione che lo porta a considerarsi infallibile, mostrando una tensione sconfinata al superamento dei limiti. Successivamente, Utterson si incontra con il parroco per osservare la grafia della lettera di Hyde e alcuni vecchi testamenti di Jekyll. Sorprendentemente per loro, le due grafie presentano una ‘rather singular resemblance’: ogni volta che il focus viene indirizzato verso la scrittura, è un preteso per Stevenson per parlare di sé. Utterson si mostra dunque preoccupato dal pensiero che Jekyll potesse aver falsificato una lettera per un assassino. In tutto ciò, Utterson rimane il vero gentiluomo vittoriano, nonostante la natura inquietante degli eventi che indaga. Anche mentre interpreta la parte del detective, il suo desiderio principale rimane l'evitare lo scandalo piuttosto che la scoperta della verità. Così, anche quando sospetta che Jekyll stia coprendo un assassino, non lo denuncia nella speranza di preservare la reputazione del suo cliente. Questa società vittoriana premia il decoro e la ‘respectability’ se preferisce reprimere, o persino negare, la verità se quella verità minaccia di sconvolgere la visione del mondo convenzionalmente ordinata. THE INCIDENT OF MR. LEYNON AND AT THE WINDOW Il tempo passa e non si sentono più notizie di Hyde, come se fosse definitivamente sparito, proprio come un fantasma. Tuttavia, dopo poche settimane, Jekyll torna nuovamente a comportarsi in maniera strana e sospettosa, finendo per chiudersi nel suo stesso laboratorio ed iniziare una ‘life of reclusion’, rifiutando le visite dello stesso Utterson. Manda soltanto istruzioni a Poole per andare in farmacia e comprare gli elementi chimici per produrre la pozione, perché non controlla più i suoi stati di trasformazione. Lui stesso afferma la sua convinzione che ‘the man is not truly one, but truly two’ e che l’uomo stesso ‘will be ultimately known for a mere polity of incongrous dezinens’. All'inizio della trasformazione, Jekyll sperimentò un dolore e una nausea incredibili. Ma quando questi sintomi si placarono, si sentì vigoroso e pieno di avventatezza e sensualità. Era diventato un rimpicciolito, deforme Mr. Hyde. Jekyll stesso crede che la piccola statura di Hyde sia dovuta al fatto che questa persona rappresenti solo il suo lato malvagio, che fino a quel momento era stato represso, e dunque più minuto: trasformarsi in Hyde diventa da allora un gradito sfogo per le passioni di Jekyll, una ‘freedom of soul’, come se il dottore volesse effettivamente tornare giovane per vivere in maniera frivola e rendere la sua vita meno ‘unbearable’. Ma ogni volta che si ritrasformava in Jekyll, non si sentiva in colpa per gli oscuri comportamenti della sua controparte, anche se cercò di rimediare a qualsiasi torto fosse stato fatto. Fu solo due mesi prima dell'omicidio di Carew che Jekyll trovò motivo di preoccupazione. Mentre dormiva una notte, si trasformò involontariamente in Hyde, senza l'aiuto della pozione: questo incidente lo convinse temporaneamente a cessare con le sue trasformazioni. Ma dopo due mesi Jekyll prende nuovamente la pozione ed Hyde, così a lungo represso, emerge in maniera selvaggia e vendicativa, deliziandosi dell’assassinio di Carew. Hyde non mostrò alcun rimorso per l'omicidio, ma Jekyll si inginocchiò e pregò Dio per il perdono anche prima che la sua trasformazione fosse completa (fr. questa scena ricorda il finale di Dr. Faust quando, prima di essere trascinato via dai demoni infernali, egli implora il perdono divino). È in questo momento che Jekyll comprende di aver perso il controllo e di star incorporando in sé il suo ‘second and worse self’. Nelle sue ultime, disperate ore, Hyde divenne dunque più forte quando Jekyll divenne più debole. Usò quindi l'ultima pozione per guadagnare tempo per comporre questa lettera finale. Il duello finale fra i due, che ha luogo nello spazio angusto e claustrofobico del laboratorio può essere visto come l’estremo tentativo di Jekyll di affermarsi, di riprendere la propria identità e riprendersi ‘his energy of life’. Jekyll scrive che non sa se, di fronte alla scoperta, Hyde si ucciderà o sarà arrestato e impiccato, ma sa che quando Utterson leggerà questa lettera, Henry Jekyll sarà definitivamente morto. Così si conclude il romanzo. LEONARDO DA VINCI: L’OSSERVATORE DELLA NATURA Lo studioso Pater ci offre un ritratto del grande Leonardo Da Vinci, in quanto fonte diretta per l’idea dell’arte che influirà su Oscar Wilde tanto nella sua ideologia estetica quanto nella visione dell’arte che emerge da Dorian Gray: questo perché i membri della corrente dell’estetismo avevano un grande fascino per tutto ciò che era classico. Il primo passaggio si basa sullo studio della natura compiuto da Leonardo, manifestando il suo desiderio di conoscerla ed entrare nei più oscuri segreti per coglierne l’essenza in quanto ‘true mistress of higher intelligences’ che per altri uomini erano invece precluse, mentre Leonardo viene nuovamente considerato nella classica immagina del poeta veggente che riesce a cogliere il tono di fondo della natura e sviluppando ‘the art of going deep’, quindi a vedere oltre la superficie. L’artista è qualcosa che sente e a percepire qualcosa che gli altri non sentono e che ritroveremo anche in Dorian Gray col personaggio di Basil, che riesce a captare l’anima di Dorian e che per primo si rende conto della sua condizione, morendo per questo. All’inizio Leonardo si forma ad una riproduzione oggettiva della realtà nella bottega del Verrocchio, in cui l’immagine dell’artista non prevede la sua individualità e sembra non avere corpo perché la sua rappresentazione è quella diretta della natura con trasparenza: l’artista è solo tecnica. In questo studio, la bellezza inizia ad essere accompagnata dal terrore, generando il sublime ed inizia a manifestarsi l’idea e l’illusione di corporalità, iniziando a comprendere i dettagli della realtà. Inizia ad allinearsi all’idea del poeta come wonderer, che ‘seeks in an instant of vision to concentrate thousands of experiences’: ritorna qui il concetto di epifania, in quanto un punto fissato diventa la rappresentazione di un attimo fuggente ma universale che presto svanisce, tornando all’idea di qualcosa di impreciso. Qui è simile la ricorrenza con Sybile Vain che affascina Dorian proprio perché rappresenta una sintesi perfetta delle figure femminili dei personaggi che interpreta, mostrando a Gray la bellezza del momento, sintetizzando tanto passato che presente, raccogliendo la multitudine nell’uno. ‘Leonardo’s nature had a kind of spell in it. Fascination is always the word descriptive of him’: queste descrizioni ci rimandano all’effetto col quale Wilde descrive Dorian Gray, in grado di suscitare tali emozioni e sensazioni. Leonardo diventa poi il realizzatore di ‘portraits’, in cui il desiderio di bellezza si scontra con la curiosità: più si va nel profondo e più diventa difficile rendere quella profondità tramite la pittura. Il punto di incontro, e la difficoltà di raggiungerlo, tra ‘reason’ e ‘ideas’ è ciò che si verifica maggiormente nella age of capitol, dunque come coniugare soggetto ed oggetto, come rappresentare in un’immagine artistica ogni minima sfaccettatura della personalità del modello e come rappresentare l’ideale attraverso il materiale (fr. ‘His problem was the transumation of ideas into images’). Tutte le donne che Leonardo cercava di tradurre in corpo, trovano manifestazione nella raffigurazione ne ‘La Gioconda’, la sua ‘ideal lady’. Il suo volto diventa il catalizzatore delle sue idee, che le rappresenta tutte, portando a successo sia la costante curiosità di ricerca nel mondo che il desiderio della bellezza, penetrando nel segreto della bellezza ideale che tanto lo incuriosiva: è questo un elemento che tornerà anche in Dorian Gray, dove l’anima del giovane si trasferisce sulla tela ‘in all its maledies’. Il volto è sintesi dell’umanità che attraversa le varie epoche e che trova espressione proprio in quest’opera: è da lì che inizia, aggiungendo ‘something sinister in it’. L’OMBRA E IL RIFLESSO Abbiamo parlato del concetto dell’ombra e del riflesso, visti come causa dello sdoppiamento della personalità, presente tanto nell’opera di Stevenson che nell’opera di Wilde. L’origine risale alla letteratura greca e latina, poiché molti sostengono che sia nata per contenere l’ombra umana entro un limite tratteggiato, per cogliere un’immagine al limite tra corporeo ed incorporeo, manifestando ‘il ricordo di un corpo’: il mito originario narra della volontà di un’amante di circoscrivere l’ombra dell’amato in partenza. La pittura nasce grazie alla proiezione dell’ombra su una parete, che crea un simulato dotato di anima. Tracciando l’ombra sulla parete, si fissa e si rende immortale ed ha dunque ha un forte connotato di temporalità, divenendo la fotografia di un istante irripetibile ed unico. Altri due miti originari importanti da menzionare sono il mito della Caverna di Platone e la figura classica ovidiana di Narciso. In questi miti, il primo stadio della mimesi, ossia della rappresentazione del reale che è alla base della teoria della rappresentazione cognitiva e gnoseologica di tutto l’Occidente. Si presenta una rappresentazione di conoscere il mondo basata sul nostro occhio (dunque oculo- centrica) che aggiunge un fenomeno ulteriore della proiezione delle ombre e dell’eco (viste come false parvenze). Quest’ultimo ha la funzione di ritorno, venendo a rafforzare l’illusione originaria delle ombre e rafforzare la veridicità di questa scena, atta a rafforzare la confusione tra ombra e sole e si confondono i limiti dell’apparenza: è dunque evidente che l’ombra viene posta alle origini del processo dello sdoppiamento fenomenico. Dopodiché, il secondo stadio dell’ombra è lo specchio (che si manifesta in Narciso). Ombre e riflessi sono intrensicamente collegate. È in questo contesto, è il pittore- o l’esteta nel nostro caso- che cerca di colmare l’idea e la corporalità di quest’ultima, perché percepita come lontano. Il miracolo sta dunque nel conferire realtà a qualcosa che non la possiede: si ha dunque, con le opere presenti, una riscrittura dei problemi presenti nell’epoca classica e mitologica che in qualche modo si fanno spaventosamente corporee e preminenti. Se pensiamo al quadro di Dorian, esso rappresenta il suo sdoppiamento ‘non reale’ e per questo immortale, proprio perché percepito come la sua ombra. L’ombra si connette all’idea dell’altro (anche demoniaco) perché rappresenta lo stato più antico mentre il riflesso è collegato all’individualità dell’io, avendo spesso un riscontro psicologo. Un altro mito rintracciabile è appunto quello di Narciso (Metamorfosi di Ovidio), nel quale compare il tema dello specchio ma c’è anche lo stadio precedente dell’ombra, dunque dell’altro, perché il giovane pensa che il suo riflessi sia inizialmente qualcun altro, ammirandolo ugualmente per la sua bellezza e riconoscendolo come un altro da sé: è contemporaneamente soggetto ed oggetto, perché si innamora di sé stesso e della sua bellezza (fr. ‘quello che vedi non è altro che l’ombra della tua immagine’). C’è dunque un’esitazione, un dubbio, domandandosi se sia effettivamente un altro ed è qui rappresentato il dramma dell’identificazione e della personalità. L’oggetto dell’amore è il nulla stesso, proprio perché inafferrabile. Dopodiché, egli inizia a riconoscersi e ad identificare la sua immagine e viene nuovamente inscenato il rapporto semantico tra ombra ed immagine riflessa, rappresentando lo stadio dello stesso: il processo di identificazione è dunque un processo di innamoramento verso sé stessi. In Dorian Gray, è interessante notare che c’è letteralmente un ribaltamento tematico dell’idea dell’innamoramento di Narciso: si basa sull’alterità e sul modello della rivalità e gelosia con l’altro da sé nel quadro, tanto che il desiderio di immortalità nasce proprio da questo sentimento ambivalente. Il ritratto, pur essendo il doppio di Dorian, ha vita propria, quasi avendo una propria ombra. L’ombra è attributo essenziale del corpo che, seppur paradossale, essa testimonia la tangibilità e la temporalità dell’uomo. Il tipo di potere che viene dato all’ombra è quello di fecondare, visto come un potere magico di quest’ultima. L’ombra è annuncio della realtà di finzione. È in questo momento che Dorian sente che una ‘secret chord’ stesse adesso vibrando, quasi a significare il suo risveglio passionale. È il pensiero di Lord Henry che attrae Dorian perché è lui stesso che afferma che è proprio la resistenza alle passioni a portare all’avvelenamento dell’anima e alla sua perdizione: è dunque un chiaro riferimento al lato negativo della repressione. C’è dunque una forte presenza del moralismo cristianesimo, come ci suggerisce la differenza tra anima e corpo che si sviluppa tra i due Dorian, che sarà proprio la chiave di lettura che attraverserà il romanzo. Perciò, il racconto può essere letto come exemplum della corruzione dell’anima a seguito dell’assecondare delle proprie passioni che hanno una degenerazione sull’individuo. In questo capitolo è già presente l’elemento sovrannaturale: per via dell’influenza di Lord Henry, che viene percepita come un momento quasi rivelatorio, egli gli suggere di vivere la propria vita, vivere secondo il motto ‘carpe diem’ e vivere nella rivelazione eterna di un attimo perché ‘il tempo è geloso di lui’: è questo il New Edonism che tanto affascinava gli estetisti. La morte, e la prospettiva di invecchiare brutalmente, spaventano Dorian tanto da portarlo a considerare di scambiare la sua corporalità fisica con l’anima eterna del quadro: è qui il momento in cui abbandona ideologicamente Basil e lo sostituisce con Lord Henry. ‘The sense of his own beauty came on him like a revelation’: è una scena parallela di quando Basil vide per la prima volta lo sguardo di Dorian, che sarà proprio questo a tormentare il giovane poiché lo affascina ma lo terrorizza allo stesso tempo. Proprio come una vera rivelazione, al ragazzo viene rivelato il piacere del desiderio di sé stesso e dunque si rivela in maniera fulminea la sua omosessualità, un desiderio tuttavia proibito: nasce tutto da un riflesso, in questo caso un ritratto, e dunque si presenta il cosiddetto mirror-stage (Lacan) ed è qui che inizia il processo ermeneutico che porta l’uomo a riconoscersi in un’immagine e dunque ad interrogarsi sulla propria natura e su chi siamo effettivamente proprio grazie alla ‘possibilità di vederci come altro’. Si presenta anche la presenza dell’ombra, che comincia ad assumere un valore negativo, come un doppio sul quale noi perdiamo il controllo, diventando proiezione della nostra personalità ma in negativo: tutto è dunque finzione, mostrando una perdita dell’individualità in un labirinto di specchi ed ombre che non distingue più nulla. Tutto ciò riporta all’impossibilità di definire cosa sia un uomo. Vi è dunque lo scambio sovrannaturale tra quadro ed anima, per un desiderio di eterna giovinezza, quasi a testimoniare il ritorno di un moderno Faust e Mefistofele. È qui che Dorian è portato a desiderare di rimanere giovane per sempre al posto del quadro, che mai invecchierà e che non mostrerà il passare del tempo e non sarà mai ‘older than this day of June’. Grazie alle parole di Lord Henry, Dorian arriva alla conclusione che ‘youth is the only thing worst having’. Nei capitoli successivi (3-4), viene approfondito l’emergente rapporto di seduzione tra Dorian e Lord Henry, con il ricorrente richiamo anche ai sentimenti di Basil. Il quadro- che chiamiamo Adonis- è un’immagine perfetta ed unitaria in sé, dunque coerente di identità (fr. an ideal self), creata come collaborazione di tutte e tre le immagini degli omosessuali. Soprattutto Basil ed Henry fanno emergere questa visione, dopo che intervengono con la loro influence- soprattutto quella di Harry- che cambia le energie nel protagonista e che influenzano circolarmente Basil, Lord Henry ma anche Dorian stesso. Tuttavia, questa immagine non può coincidere con la realtà, creando uno scarto che il protagonista tenterà ripetutamente di corroborare, attraverso la soddisfazione del desiderio carnale. Il quadro restituisce dunque l’oggetto del desiderio. Dunque, conoscere la propria identità significa quasi portare alla propria distruzione: molti critici l’hanno per questo definito come ‘naufragio dell’identità’. Parlando di Dorian Gray tramite una valutazione scientifica, mostra uno studio della sua personalità e lo dipinge come una sua ‘own creation’. In un certo senso, arte e vita diventano coesistenti, proprio nell’immagine di Dorian Gray: tutto ciò prevede la condotta di vita in un’opera d’arte, coniugando staticità e dinamismo. Questo diventa però un problema di soglia tra anima e corpo, dunque una cornice che separa il quadro dalla parete, in cui realtà e finzione diventano sempre più ambigue. Dunque, l’arte diventa un qualcosa di unitario che tuttavia rende la vita un fallimento, perché rivela le illusioni dei tempi passati mostrando invece il degrado della vita reale. È in questa successione di capitoli che, tra l’altro, Dorian conosce Sybil Vane- attrice in una piccola playhouse amatoriale che inscena le grandi eroine della tradizione shakesperiana- del quale si innamora platonicamente sino a decidere di sposarla. Se il romanzo è omoerotico, è anche misogino. Victoria Wotton, come la maggior parte delle donne del romanzo, è raffigurata senza una reale profondità: è brevemente- e non gentilmente- introdotta, per poi essere completamente dimenticata. Il personaggio femminile più significativo nel romanzo è proprio Sybil, che sembra soddisfare l'osservazione di Lord Henry che ‘women are the decorative sex’: qui c’è in gioco un’identità omosessuale come un progresso anti-funzionale, dunque il matrimonio e le donne vengono immaginate come impedimento dell’esplorazione della propria identità. Nei capitoli 7-8, abbiamo quello che viene definito come il turning point del romanzo. Dorian abbandona brutalmente Sybil poiché ella, dopo essersi perdutamente innamorata di Dorian, non riesce più a recitare come prima e questo porta Dorian alla conclusione che ciò che realmente amava di lei era la sua recitazione, avendola dunque idealizzata. Tornato a casa, in un momento di penombra, dove i confini tra luce ed ombra sono vaghi e dove entrambe lottano, Dorian nota che il quadro ha assunto un ghigno malefico che tuttavia nasconde, preferendo controllarlo con la luce del giorno. La mattina seguente, però, vede il quadro come una ‘dreadful thing’, producendo un ribaltamento del mito di Narciso, in quanto si presenta non solo la lotta con il proprio doppio ma anche una vera e propria repulsione nei suoi confronti. La demonizzazione dell’ombra è in atto, divenendo l’anticamera dell’immortalizzazione dell’ombra, perché è qualcosa che l’uomo desidera ma che gli sfugge proprio perché perenne. Dorian si trova perso in un labirinto di specchi, tentando di riprodurre su sé stesso l’immagine a cui tanto ambisce, tentando di ritrovare quell’immagine idealizzata di Lord Henry e Basil. È lo stesso quadro che guarda attivamente Dorian, quasi mostrando una natura animata e un oscuro magnetismo (o aura), che rappresenta la coscienza travagliata di Dorian e la sua anima peccaminosa. Se in apparenza copre il quadro per non rivelare i segreti della sua coscienza depravata agli altri, lo fa anche per sé stesso e dunque per non farsi ‘riguardare’ (pag.124). C’è dunque un processo bi-direzionale: il soggetto guarda l’immagine ma anche l’immagine guarda il soggetto. Ma Dorian compie una scelta decisiva: proprio in virtù di questo scambio, che gli permette di mantenere in maniera stabile ‘the glamour of his boyhood’, lui continuerà a vivere la sua vita all’insegna dell’eccesso sfrenato e nella maniera più edonistica possibile, lasciando al guardo ‘the burden of aging’. Tuttavia, deve necessariamente nasconderlo per evitare che venga trovato da qualcuno, specialmente da Basil, che ora tanto insiste nel crearne un altro. Nel capitolo 11, troviamo una pausa narrativa di ben 18 anni in cui si accumulano le passioni di Dorian, che ritarda lo scioglimento dell’enigma. Ci viene detto che il giovane è sempre più ammirato dal cosiddetto ‘yellow book’ che è un libro dannato in quanto racconta un’esperienza simile a quella di Dorian, con la differenza che lui è riuscito a diventare superiore al passare del tempo. In queste pagine, si ricorre più volte al ‘mishape of the body’, mostrando come lo specchio restituisca sia un’immagine congrua ma anche deforme allo stesso tempo, in un passaggio dalle ombre della notte al ritorno della luce che rende i confini tra sanità e corruzione sempre meno evidenti (fr. riferimento al mito della caverna). Utilizza dunque lo specchio per assicurarsi della permanenza del suo riflesso e dunque della sua identità: tutto si esteriorizza in una forma esterna, da una parte abbiamo lo specchio e dall’altra parte il quadro. Da un parte abbiamo il riflesso e dall’altra l’ombra. Lo specchio è dunque legato al doppio filo della questione dell’immagine: questo perché è un oggetto ambiguo che apre un divario tra un’utopia (dunque una realizzazione virtuale lontana) ed un’eterotopia (dunque la controparte reale). La riflessione speculare è dunque in grado di produrre sì l’immagine del sé medesimo eppure al contempo di alterarlo, il che produce una sorta di straniamento o alienazione che si accentua in condizioni ambientali poco favorevoli come in caso di scarsa illuminazione (fr. Dorian osserva le prime deformazioni del quadro, e nello specchio, durante la notte con poca luce). Le ombre dunque sembrano divenire dei fantasmi animati, che tormentano l’anima del protagonista e che lo condurranno brutalmente alla morte: c’è dunque un ribaltamento reciproco tra il Sé e l’Altro, producendo uno strano caso di perturbante sensazione. Come ricorda Freud, l’ombra ha una volta avuto qualcosa di benevolo ma ora ha perso valore ed è divenuto un qualcosa di demoniaco (fr. ecco perché Dorian nasconde il quadro nella sua camera d’infanzia, luogo innocente e benevolo per eccellenza). To him, man was a being with myriad lives and myriad sensations… and whose very flesh was tainted with the monstrous maladies of the dead’: queste righe ci spiegano nuovamente come l’immagine artistica diventi qualcosa di effettivamente spaventoso e dannoso per la nostra psyche, poiché seguendo il suo desiderio di ‘essere un altro’ e sfaccettare la sua personalità, Wilde introduce l’elemento della molteplicità- contrapposto invece alla singolarità dello specchio- provando sempre più emozioni in cui tuttavia si perde e che provoca la scissione disastrosa dell’io (fr. Je suis un autre), provocando un alto senso di noia. Nei capitoli 12 e 13, la scena londinese si tinge finalmente di un’atmosfera gotica che inganna i sensi e in particolare la vista, dando spazio al teatro delle ombre (fr. The Mysteries of Udolpho). Qui, Dorian conduce il pittore Basil nella camera in cui il dipinto è segregato. Il dipinto è diventato orribile, una ‘foul parody’ della sua bellezza originaria. Basil comprende che questo non è altro che la conseguenza delle sue azioni e a causa della sua sensibilità nel rappresentare la bellezza del giovane, ora egli è soggetto ad un tremendo destino. Si inizia a ragionare sul valore effettivo dell’opera, preoccupandosi del numero di copie o del prezzo che un’opera possiede sul mercato, portando ad una trasposizione in termini pre- capitalistici del mondo letterario: essa viene resa una commonity, perché tutti possono giovarne. Si ha anche la fondazione della Society of Authors, in cui queste figure diventano professionisti- cosa non comune prima- portando ad un cambiamento dello status dello scrittore ed assume un ruolo più influente. Ne deriva anche una determinata maniera di scrivere e di sopravvivenza: chi è più adatto sopravvive di più ma ciò non vuol dire che sia effettivamente il più talentoso, dunque il valore del romanzo non è sempre dato dalle sue vendite effettive. Ecco dunque che la cultura si sostituisce come modello dell’educazione alla religione, sottraendole il proprio monopolio dell’educazione infantile e giovanile e portando ad una nuova cultura laica in gradi di guidare neutralmente le nuove generazioni (fr. ‘Culture being a pursuit of its total perfection by means of getting to know’), divenendo ‘a stream of fresh’ che ci scardina dai nostri processi abitudinari ormai automatizzate. Il linguaggio dell’arte deve essere differente da quello della everyday language, perché deve stimolare una dinamicizzazione della nostra coscienza per liberarla da categorizzazioni già presenti nella realtà, ma che riesca ad opporsi al cosiddetto ‘disease of the age’ rappresentato dall’ormai declassato estetismo. Queste due tendenze sono esemplificate dal realism e del romance: • Il primo è il genere che si propone di rappresentare la realtà ed insegnare al lettore a conoscere il mondo e la società ma che, mutandosi in Naturalismo, ossia il lato peggiore del Realismo, cela un negativismo di fondo; • Il secondo arricchisce esteticamente la storia ma non diventa educatrice se eccessivamente ‘expolited’ e non comporta alcuna influenza pedagogica od educativa. In questo senso il romanzo di Wells si pone al centro di queste due tendenze antitetiche, divenendo ‘cultura che insegna’. Se dunque il pubblico non viene intrattenuto, il romanzo perde anche la propria valenza educativa tramite l’esperienza della vita in quanto ‘great school of mankind’ (fr. ‘experientia docet’). Esso può diventare conoscenza per cambiare il mondo abitudinario e che diventa una scienza che, nello spirito dell’evoluzione, permette all’uomo di adattarsi al flusso continuo del cambiamento. Wells dimostra poi un approccio rivoluzionario anche contro la letteratura classica perché egli non contribuiscono all’avanzamento e al progresso in quanto essi rimangono sempre degli insormontabili modelli educativi ma statici, in questo senso: qui troviamo le prime crepe verso le considerazioni nei confronti dei classici, che si accentueranno nel Modernismo (fr. ‘the classic were still brought up by habit’). Le sue opere vengono definite come ‘scientific novels’ che promuovono un engagement- ‘to change something from within’- con la realtà empirica senza scadere nel naturalista, mostrando sempre un impegno a comprendere ed analizzare la realtà esterna, studiandone le potenzialità e i limiti delle nostre capacità percettive in quanto facilmente ingannevoli, ristabilendo il senso di umiltà che l’uomo sembrava aver perso: l’educazione moderna deve essere anche scientifica, poiché l’arte non può più essere autonoma rispetto alla società. Il protagonista è difatti il tipico esploratore che procede ed avanza ai confini più remoti della realtà per gettare uno sguardo alla condizione dell’Impero Britannico. Conrad lo definì come un ‘realist of the fantastic’ mentre per Bennett, Wells fu in grado di offrire una critica del reale tramite il romance ed esemplificandole nelle sue opere, venendo definite come ‘fantasies of possibilities’: abbiamo dunque l’immagine di una tendenza immaginifica che è sempre al servizio di una conoscenza scientifica della realtà. La ‘science of fiction’ è più saggia del mondo a cui si rivolge, partendo da un punto di vista esteriore ma paradossalmente più interno, nonché una rappresentazione in negativo di quest’ultimo (fr. ‘negative knowledge of the actual world’, Adorno). Le opere di Wells sono dunque riassumibili in termini di realismo, commento sociale ma anche romance: ne emerge la visione di una letteratura come un ‘powerful instrument of moral suggestion’, generando determinati conseguenze sul carattere del pubblico lettore. Ne deriva l’idea della dissolvenza di un sistema assolutista perché la realtà viene intesa come nient’altro che relatività. Ne emerge che neanche la letteratura è in grado di conferire eternità poiché ‘no language is permanent’ e dunque niente è intoccabile: Wells guarda alla proliferazione letteraria come un susseguirsi di ‘ideas that will change’, portando ad un’inadeguatezza della rappresentazione. La fantascienza attua dunque una defamiliarizzazione e ristrutturazione di un’esperienza del presente per renderla attiva e dunque rendendola capace di cognizione e cambiamento, dunque assicurando la sopravvivenza della specie. Essa decostruisce dunque l’insieme di idee percepite come assolute, presentando quasi uno spirito sovversivo del genere stesso e presentando una realtà straniata ed incomprensibile che si definisce come una distopia che si contrappone all’utopia che rappresenta un mondo ideale perfetto, avendo fiducia nel progresso e nel miglioramento. Persino le nostre capacità sensoriali non possono condurci ad una rappresentazione stabile ed attendibile, dal quale dobbiamo diffidare perché facilmente elusive ed ingannevole, e che Wells utilizza per invitare l’uomo a dubitare della propria sicurezza (fr. The world of fact is not what it appears to be). La nostra conoscenza iniziale del mondo è di per sé illusoria data dai nostri sensi, ingannandoci in partenza, per via dei due presupposti iniziali tramite i quali ci orientiamo all’interpretazione del mondo: il tempo e lo spazio. La riflessione fine-ottocentesca riguardo questi due complessi concetti può essere ricostruita a partire da opere come il ‘Sartos Resartus’ di Thomas Carlyle, in quanto opera che si prospetta di annichilire queste due dimensioni in favore dell’uomo. Come emerge dall’opera, è chiaro che bisogna liberare l’uomo da queste due illusioni relative in quanto una delle aporie classiche dell’essere umano (fr. Sant’Agostino, Libro X delle Confessioni). Il linguaggio stesso è un’illusione che ritroviamo anche ne ‘The Time Machine’ che bisogna leggere come drammatizzazione di una crisi cognitiva che attiva il processo di straniamento: il viaggiatore stesso leggerà la natura come un grande libro che non è in grado di interpretare correttamente, osservandola in maniera ermeneutica e limitata ai sensi. È chiaramente un’opera fallimentare- dunque straniata- perché Carlyle intende rappresentare i limiti dell’uomo e della sua esperienza. Carlyle veniva chiamato ‘The Great Censor of the Age’ dai suoi contemporanei, un gran censore del secolo che non si univa alle schiere di scrittori inneggianti al progresso universale, che invece l’autore considerava troppo materiale: egli era per un progresso umano. Per questo, definisce la sua era come ‘The Age of Machinery’, una meccanicizzazione estrema che ha invaso campi a lei estranei come la filosofia e la religione, portandoli alla perdita del loro originario valore. LA MACCHINA DEL TEMPO E LA NUOVA VISIONE DELLA FUTURITY Dal 1880 al 1920 si approfondisce una riflessione sul tempo che influenzerà profondamente la letteratura modernista. Questo ci porta alla formulazione di una domanda apparentemente semplice su quale sia la particolarità che ha reso così popolare la macchina del tempo e che la rende ancora profondamente attuale. Non certo per lo stile e la prosa, poiché linguisticamente è molto semplice così come la costruzione dei personaggi: essi sono tutte macchiette vuote. Anche la narrazione stessa è poco avvincente, dallo stile particolarmente giornalistico. La storia stessa è abbastanza deludente: quest’opera però avrà un successo clamoroso per molti secoli, perché Wells è in grado di celare la sua riflessione sull’esistenza di problemi esistenziali nel suo tempo ma in una prospettiva in un’epoca futura, materializzando una serie di tradizioni filosofiche sull’idea di tempo e che dunque si riflettono nella società vittoriana: concretamente, ‘The Time Machine’ ha dunque valore di fornire un ritratto della società. Questi stessi anni sono fondamentali perché inizia a formarsi l’idea di tempo como lo conosciamo noi oggi: quest’opera traccia i movimenti di come l’uomo si relaziona all’idea di tempo, in cui confluiscono anche i conflitti tra tecnologia- quindi progresso- e letteratura. Nasce il concetto di futurità e di ‘fascino per il domani’. Questo concetto viene visto come una spinta naturale in quanto nel fin del siècle, interrogandosi sul margine di progresso e miglioramento della società umana. È interessante ricordare la data del 1884, in quanto viene stabilito Greenwich come meridiano 0, rappresentando una svolta epocale in quanto risultato del conflitto del dominio politico- planetario del tempo tra la Francia e l’Inghilterra. Si va affermando l’importanza necessaria dello standard time che regolasse il tempo della società per dare un senso di ordine e controllo, come notiamo dal primo standard time ufficiale delle Railways Schedules. Con lo sviluppo delle reti ferroviarie e dell’industria orologiera, ogni persona può adesso sincronizzare il proprio tempo esterno, entrando nelle case di ciascuna persona e regolando la vita delle persone, stabilendo una regolarità uniforme tra tempo privato e pubblico (fr. interiorizzazione del tempo pubblico). Abbiamo anche l’invenzione del telegrafo, che specifica e aumenta la regolarizzazione e la sincronizzazione del tempo. Questo porta naturalmente ad una discrepanza tra il tempo esterno e quello interno- il tempo della coscienza- che non sembra voler obbedire al tempo scandito cronologicamente: questa connessione sembra imprigionare l’uomo nello Stato. È da questa che nasce l’idea dei viaggi temporali, per via della frattura tra tempo materiale ed interiore, dando vita a racconti tanto mentali che fisici- come nel nostro racconto. È importante ricordare che, nel 1884, William James stabilisce il concetto di ‘stream of consciousness’ il quale avrà un profondo legame con Bergson, che inizia ad indagare sul tempo della coscienza qualitativo contrapposto alla misurazione quantitativa del tempo materiale e pubblico. Il viaggiatore ci conferma che lui è riuscito a viaggiare nel tempo proprio perché è una dimensione, immergendosi in essa quasi come fosse un precipitare, modellando questo viaggio nel tempo secondo il modello della forza di gravità. Tuttavia, i men fanno difficoltà a credere al paradosso che il viaggiatore è impegnato a raccontare, rimanendone ugualmente affascinati: notiamo qui che le reazioni sono sempre colte prima di essere pronunciate, sono dunque indecise, e i men sono descritti sul punto di capire ma senza essere in grado di formulare un’opinione o riflessione compiuta o sensata. Il problema dell’incredulità è ciò che preoccupa il viaggiatore è quello di essere creduto dunque, mostrando fisicamente e materialmente il suo progetto: è dunque un problema di visione. Ecco perché il personaggio estrae- per poi descrivere- il modello della time machine, ammasso di oggetti, come se il creatore fosse un raccoglitore di oggetti di antiquariato in quanto gli oggetti possono creare miti a partire da se stessi. Essa si trasforma, agli occhi degli spettatori che devono essere convinti, mostrando l’esperimento che dovrebbe constatare le prove del viaggiatore: si trasforma però quasi in spettro, fermando il tempo mentre i personaggi sono ancora nella temporalità di questo momento sconvolgente. Interessante notare come il viaggiatore non abbia paura ma si ferma a fumare la sua pipa, che indica la sua abitudine a tale fenomeno paranormale. Dopodiché, mostra loro la macchina del tempo vera e proprie (fr. I remember the dance of the shadows’). Interessante è il riferimento agli spettri e al loro studio, in quanto l’Ottocento è un secolo ossessionato da quest’ultimi. Questo interesse nello spiritismo, esso diventa un sistema di scambio culturale ma anche di pratica sociale in una sorta di sfida all’inconoscibile, contraddetta al Positivismo, rivelando cosa ci sia dietro l’apparenza realista del mondo. Ciò che ci permette di vedere oltre l’inconoscibile è la scienza: dunque tale sfida è condotta proprio sul piano degli strumenti empirici ma tendendo verso la trascendenza. Dunque, essi non sono spettri dell’aldilà ma quelli dell’immaginazione, in quanto manifestazione di pulsioni interne- dunque una prosopopea dell’inconscio- dando luogo alla manifestazione esterna delle passioni individuali e collettive del genere umano. Lo spettro diventa quindi un doppio dell’uomo ma, al contrario del simulacro precedente, esso modifica la nostra percezione e ci rivela quanto l’immaginazione possa sostituire ciò che noi percepiamo come reale, modificando il nostro abituale paradigma della realtà, denunciandone i difetti. Il capitolo si apre con il fuoco nel camino, dunque dato per scontato, visto anche come una proprietà ormai addomesticata ma questa presenza ha un valore velatamente profetico perché- come vedremo nel futuro- l’uomo ha perso l’arte del fuoco e non riescono più a produrlo, ed è solo dai fiammiferi dipenderà proprio la salvaguardia del viaggiatore stesso. Cè qui, di sottofondo, un richiamo al mito di Prometeo, facendoci intendere come l’uomo possa regredire in maniera degenerante e perdere le proprie conquiste ottenute grazie al progresso scientifico- di cui il fuoco è ugualmente simbolo. Ci appare chiaro l’interesse di Wells di esporre la conoscenza umana ai propri limiti, contrapponendola alla loro convinzione di aver raggiunto il culmine. Nel capitolo due, il time traveller ritorna ad un nuovo incontro con i professional men, presentandosi in una maniera ‘dusty and dishevelled’ e dal volto spettrale, con una gran fame di carne. Egli non ha voglia di ascoltare le obiezioni scettiche dei suoi compagni e propone di raccontare ciò che è realmente successo senza mai venir interrotto da nessun partecipante. Interessante è notare come il viaggiatore venga visto dal narratore sempre mentre esce o entra nella stanza, dunque in momenti transitori, che ne evidenziano il carattere evasivo e ai limiti tra passato e futuro. Una volta concordati i termini, il viaggiatore inizia il suo racconto. Qui, il narratore ci informa del fatto che la sua penna non è in grado di cogliere ogni minima espressione facciale o intonazione della voce di quest’ultimo, essenziali nei risvolti narrativi del racconto, affidandosi all’attenzione del lettore (fr. ‘You will read attentively enough’): l’uomo ha dunque mezzi limitati di espressione letteraria, mostrando l’impossibilità di descrivere questo spazio ultra-temporale (fr. richiama il topos dantesco dell’impossibilità di descrivere pienamente un’esperienza). Nel capitolo 3, momento in cui inizia il racconto in prima persona, si denota la personalità del viaggiatore. Egli è uno spiritualista, da un carattere malinconico che per questo gli concede di abbandonarsi anche a commenti poetici. Entra in scena un personaggio minore, Mrs. Watchette, la sua cameriera: significativo è anche il suo nome, nome di un personaggio che osserva, poiché ella introduce la concezione del relativismo del tempo, in quanto ciò che per lei è sembrato un minuto, per lui è stato molto di meno (fr. ‘she seemed to have across the room like a rocket’). Il tempo cosmico comincia a sgretolarsi poiché ognuno ha il suo di orologio interno e la percezione del tempo cambia, venendo sostituito da una moltitudine di interpretazioni riguardo il dibattito tra tempo della vita e quello della coscienza. In questo riflessione, c’è da aggiungere che tutta la vicenda avviene nella twilight, la quale ha un valore simbolico perché profetizza il declino del genere umano, accentuando la mancanza di distinzione tra luce ed oscurità, tanto da creare una sorta di parallelismo tra la condizione artificiale nella stanza del viaggiatore e la condizione che invece vivrà alla fine del romanzo, all’ascesa dell’eclissi apocalittica. Nella scena finale del capitolo, il viaggiatore finalmente atterra nel futuro- precisamente nel 802.701 AD- incontrando il primo esemplare di Eloi: egli viene colpito dalla sua fragilità e per una mentalità quasi infantile, mostrando anche come vi sia un livellamento estetico tra i due generi binari- quello maschile e quello femminile- poiché tali creature sono androgine, mostrando una digressione nella teoria evoluzionistica darwiniana. Sono anche vegetariani e mancano di curiosità, dunque del desiderio di conoscenza che porta avanti il progresso: senza la curiosità non si cresce. Si arriva alla prima ipotesi sul destino dell’uomo: per lui, gli Eloi sono la prova che il comunismo ha vinto. FOCUS: LA FANTASMAGORIA E L’ILLUSIONE DELLA REALTA’ La scena all’interno del suo studio richiama la fantasmagoria. Essa venne elaborata per la prima volta dal padre del pre-horror moderno, Étienne-Gaspard Robert. Questo perché Robertson lavorò con obiettivi regolabili, un carrello mobile grazie a cui si poteva cambiare la dimensione delle figure proiettate. Permise inoltre di proiettare più immagini nello stesso momento e adottò uno schermo semitrasparente che in mezzo alla sala creava l’effetto di figure a mezz’aria. Si crea dunque la prima base del cinema, portando ad una prima modifica nella rappresentazione della realtà, rivelando delle lacune e portando alla manifestazione di un altro visibile, dando vita ad un mondo transumano tra la realtà e l’apparenza. Nel corso della storia, compaiono però dei precessori del cinema, che nascono da studi ottici rinascimentali: • Lanterna magica (Attanasio, 1644), che mostra un passaggio dall’arte alla realtà, dando vita a dei simulacri ottici; • La camera oscura (Johann Zahn, 1686), che presenta uno scopo mimetico della realtà come se fosse una copia; • Caleidoscopio (Sir David Brewster, 1816) creazione di una realtà virtuale e minare il nostro abituale paradigma di realtà, generando la sensazione di perturbante; Questi oggetti creano uno spazio immaginario nella mente dello spettatore che da vita a presenze oniriche, sovrapponendo il sogno alla realtà stessa. Le immagini si metamorfizzano e si succedono non con logiche casuale ma con l’illogicità del sogno e della capacità immaginativa dell’uomo. Dunque, il momento del viaggio si manifesta come una successione di immagini illusorie che ricrea lo spettacolo della fantasmagoria che delle sedute spiritiche, aprendo delle vie di accesso verso l’interiorità e producendo un intreccio del quotidiano con il mistico, operando una vera e propria rivoluzione. Nel capitolo quattro, troviamo il riferimento ad un ‘ruinous splendor’, qui intese come una prefigurazione quasi archeologica del futuro dipinto come una dimensione di rovine: interessante ricordare che sono quelli gli anni in cui si compiono molti scavi archeologici di antiche civiltà, portando ad una lettura della disciplina che informa della concezione del tempo visto come un processo che deteriora ulteriormente la natura dei prodotti umani, mostrando l’effetto dannoso e corrosivo del tempo. Questo si contrappone chiaramente alla concezione determinista e di spropositata fiducia nel progresso della scienza umana. Continuando con la sua osservazione degli Eloi, le loro condizioni abitudinarie nonché caratteristiche estetiche sono conseguenza dell’adattamento alle circostanze contingenti e naturali dell’ambiente (fr. ‘there was less necessity’) che annullano il valore di istituzioni come la famiglia. Dopodiché, il viaggiatore nota per la prima volta una sorta di tunnel (fr. rimando ad ambientazioni gotiche che disorientano l’occhio umano). Nel racconto diretto del time traveler, egli prova inizialmente una sensazione di scelta e libertà che lo porranno di fronte a circostanze di scelta. Notiamo che, durante le sue osservazioni, viene puntualizzato il tramonto del giorno- precisamente alle 8- ora per eccellenza del confine di incertezza e decadenza tra notte e giorno. È questa, secondo il viaggiatore, una communist classless society. Qui si lascia andare ad una riflessione riguardo il progresso umano e le sue vittorie sulla Natura, divenuta un giardino umanizzato, che fatica tuttavia a trovare un ‘balance’. Persino la medicina è riuscita a portare all’annientamento delle malattie, realizzando una serie di trionfi umani che hanno portato ad una sorta di paradiso terrestre ma che, paradossalmente, comportano una ‘adaptation to the change’. In effetti, il viaggiatore pensa di essere arrivato in un paradiso comunista, e che queste creature siano il risultato di un mondo senza difficoltà e paura, rientrando nel panorama del social darwinism. Crea dunque un parallelo tra il suo tempo, in cui l'intelligenza umana è costantemente utilizzata a rendere la vita umana più facile, vedendo dunque il risultato nelle fragili, ingenue creature. Il viaggiatore si trova un panorama piuttosto apocalittico a causa dell’immagine di un’eclissi, simbolo profetico della decadenza umana e del mondo. Si arriva al primo stadio dell’evoluzione- ossia la divisione tra organico e inorganico- che qui paradossalmente diventa l’ultimo portando alla non-esistenza stessa, mostrando una creatura indefinita ed immateriale, quasi fosse una medusa dalle fattezze vaghe e poco chiare, mostrando un vero e proprio processo inverso che produce un passaggio dalla molteplicità all’unicità della specie. L’esplorazione del viaggiatore termina in orrore. Le sue immagini sono strettamente correlate alla teoria dell'entropia, la teoria che l'universo alla fine decadrà in uno stato di uniformità inerte. Nel capitolo dodici, il time traveler ritorna finalmente al presente grazie agli orologi moderni. In questa parte, il viaggiatore termine il proprio racconto, mostrandosi consapevole della straordinarietà della sua esperienza. Dunque, il suo racconto ha un valore piuttosto profetico rispetto al tempo presente, mettendo la società in guardia ed invitandola ad agire (fr. ‘Take it as a lie, or a prophecy’), accentuando il legame piuttosto elusivo tra realtà e menzogna. Mostra il tentativo di dare un’idea ai propri pensieri, che vengono intuiti vagamente nella nostra coscienza per poi essere persi: c’è però la prova che tutto si è effettivamente verificato e non era un sogno. Dopodiché, il racconto passa nelle mani del nostro narratore moderno che, dopo aver toccato la macchina del tempo, ha una reminiscenza vaga della propria infanzia, rappresentando una sorta di fase preparatoria per la scomparsa del suo amico: dunque, la sua intelligenza sta iniziando ad atropofizzarsi. Dopodiché, il narratore ci informa del fatto che il time traveler non ha più fatto ritorno dopo il suo ultimo di viaggio, suggellando un racconto piuttosto apocalittico (fr. ‘One cannot chose but wonder, will he ever return?’). Ritroviamo in queste pagine una prima scissione tra tempo della vita e tempo del mondo, mostrando una società che va avanti (o regredisce) a prescindere dalla nostra esistenza e che produce uno scarto tra la nostra esistenza e il tempo cosmico, che noi tentiamo di far combaciare ma che non incontrano mai un punto di tangenza (asintoto). Il tutto viene suggellato dalla citazione di Ippocrate ‘Ars Longa Vita Brevis’, mostrando come ogni opera d’arte richiede un tempo di realizzazione illimitato ed inferiore rispetto al tempo della nostra esistenza. LETTERATURA INGLESE III FRAMMENTI: AVANGUARDIA, MODERNISMO E DISTOPIE (1914-1945) Nell’immane catastrofe della Prima Guerra Mondiale (1914-1918) sfociarono le tensioni fra i due schieramenti europei contrapposti, la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa. Il conflitto congelò temporaneamente le tensioni interne al Regno Unito e accentrò il potere statale. Il sorgere della metropoli moderna accompagna in una relazione spesso simbiotica quella del Modernismo, e ripropone il dilemma decadente dell’artista disperso nei confronti della società di massa, sempre più industrializzata e spersonalizzata. Sono questi gli anni in cui sorgono le prime avanguardie, che approfondiscono il concetto di velocità- come i Futuristi- ricercano nuove forme espressive per rappresentare la frammentazione dell’identità moderno (fr. Identità dal lat. Idem, ‘lo stesso’, immagine unitaria e statica della nostra personalità). Dunque, la storia è una valle di lacrime e non è più possibile riflettersi in un'immagine unitaria e completa di sé La Grande Guerra fu il discrimine fra gli ideali ottocenteschi di progresso e la traumatica dissociazione da quel passato, rappresentato da una generazione di giovani ormai traumatizzati, impedendo al ritorno della vita normale, consapevoli che una grande distruzione apocalittica e mondiale era possibile. Come già detto, il senso risultante è la frammentazione: dell’esperienza quotidiana, stravolta dall’eccezionalità del conflitto, ma anche della vita normale per i sopravvissuti, dilaniati dal ricordo dell’esperienza e del senso di colpa. Il trauma bellico stravolge anche la percezione della realtà che ora procede per frammenti, mediante dislocazioni temporali, associazioni di idee e sintomi, amnesie ed improvvisi ritorno della memoria, sintomi nevrotici ed isterici di cui lo shell-shock (scoppio di granate) divenne esempio diffuso. La coscienza stessa del ‘self’, ossia dell’identità modernista, si scopre frammentaria, il discorso volge alla paralisi e le percezioni sensoriali sono esaltate a fronte di una generale apatia e senso di inutilità: ad essa è impossibile affidare una narrazione tradizionale che cerchi di rendere senso del tempo perduto ed elabori il lutto. Sul piano artistico, questa frammentarietà è data dal Cubismo di Pablo Picasso, in cui si evince ancor di più la polverizzazione del soggetto in forme geometriche e sregolate da alcun senso logico. La prima conseguenza di questo fattore è dunque il decentramento del soggetto, in altre e molteplici voci e prospettive, nella ricerca di quell’ordine e assoluto che non è più raggiungibile per l’uomo. Si cerca dunque questa unità, depersonalizzandosi, cercando di ricomporre quel quadro coerente raccogliendo frammenti di varie soggettività ed identità: questo è un modo di ritrovare coerenza ed unità, che sembra essere dovuto ad una forza centrifuga che va fuori dal soggetto. Contemporanea e insita al modernismo è la tendenza opposta, ossia la forza centripeta che riporta dentro l'interiorità del soggetto, mostrando una spinta ad un’osservazione dettagliata delle percezioni del singolo, specialmente in letteratura. La poesia e l'arte intervengono come mezzi per uscire dal mondo meccanico che ha oramai svuotato l'esistenza dell’uomo dal senso razionale, tentando di ravvivare la percezione, per ritrovare il senso che l'uomo aveva perso nella sua homelessness, ora smarrito nella realtà disordinata e caotica del mondo. FRAMMENTI PREMODERNISTI: I ‘WAR POETS’ Un gruppo di poeti si trovarono storicamente contigui alle sperimentazioni delle avanguardie ma stilisticamente distanti, raggruppati dall’esperienza della Prima Guerra Mondiale. I War Poets condivisero la gioventù e l’esperienza tragica delle trincee in cui venne condotta la guerra durante lo stallo del 1916 e 1917, mentre alcuni addirittura l’esperienza diretta con la morte, come Owen. Il conflitto fra le speranze giovanili e la distruzione bellica intesse il loro intimista sul tema dello spreco di una generazione e sulla futilità della vita. Nelle opere del mentore del gruppo, Siegfried Sassoon, troviamo la descrizione della guerra e delle sue ipocrisie con brutale franchezza, in uno stile basato su rime regolari e tramite un linguaggio colloquiale e satirico. Distante dall’esaltazione futurista e dal patriottismo bellico che leggeva la guerra come esempio di forza morale, Sassoon descrive con intensa emotività la vita nelle trincee e canta la sorte amara di milioni di giovani avviati alla distruzione fisica e mentale- loro e delle loro speranze. Il trauma della guerra portò Wilfred Owen, arruolatosi volontario, a denunciarne la crudele insensatezza. Venendo rispedito al fronte, morì subito dopo poco prima dell’armistizio. Le sue poesie descrivono la guerra con vivida sincerità, lavorando su un’alternanza di assonanze ed allitterazione e forme nuove di rima, in cui l’idea tradizionale del sacrificio per la propria patria si converte inevitabilmente in una ‘old lie’. Frastornato dalla storia e dalla carneficina insensata, Owen osserva la strage dall’interno con stile confuso per lo shock e descrizioni quasi oniriche delle stragi. Per i giovani morti come bestie sacrificali, non servono più i rituali: l’unica musica sarà quella dei cannoni, come recita nel sonetto ‘Anthem for Domed Youth’. Non tutti i War Poets detestavano la guerra: grazie anche alla sua morte precoce, al patriottismo sentimentale dei suoi versi nonché dell’avvenenza fisica, Rupert Brooke divenne un idolo nazionale nel periodo fra le due guerre, consacrato dalla sequenza di sonetti 1914. La poesia bellica di Brooke adotta la semplicità dello stile e delle idee, e anche la considerazione della possibile morte viene redenta dal pensiero della patria dove riposerà (come notiamo in ‘The Soldier’). IMAGINISMO E VORTICISMO: PRECURSORI DEL MODERNISMO In Inghilterra, l’avanguardia che precedette il Modernismo gravitò attorno a due movimenti della vita breve: l’Imaginism e il Vorticism. Il primo nacque intorno al 1912 come rottura verso il revival della poesia romantica grazie allo statunitense Ezra Pound. Gli imaginisti concepivano la poesia come enunciazione scultorea di un’immagine mediante la semplicità di dizione e descrizione. Il tempo immediato ed istantaneo è fondamentale per la definizione dell’image secondo Pound, vista come una ‘interpretative metaphor’ la quale descrizione dipende dall’uso di parole assolutamente necessarie. Tramite i romantici tedeschi il mito diventa un patrimonio a cui si può ancora attingere, poiché esso è inteso come una sorta di schema o ordine in grado di ridare un senso che invece ha perso completamente senso, dunque al presente. Esso venne primariamente adombrato da Yeats, primo contemporaneo a rendersene conto. Il poeta non doveva più raccontare qualcosa né dare sfogo ad un lirismo implicante una sicura presa dell’oggetto della meditazione o della stimolazione emotiva ma poteva confrontare ogni abbozzo di sequenza su paradigmi mitici letterari ed antropologici appartenenti alla tradizione, riscritti ironicamente e giustapposti con la modernità. I testi si costruiscono assorbendo e distruggendo nel medesimo tempo gli altri testi dello spazio intertestuale, per cui ogni elemento allude e contesta i testi che lo precedono (fr. ‘it compels a man to write not merely with his own generation in its bones, but with a feeling of the whole literature of Europe’). Si parte dunque dall’assunto che la realtà del presente è un disordine assoluto, un caos universale di futili macerie a cui Eliot si offre di fornire una risoluzione. Questo è possibile grazie ad ausili mitici che dimostrano di essere eterni, che uniscono il mondo arcaico e la cristianità tramite il corretto uso di sensibilità ed intelligenza (fr. ‘His significance, his appreciation is the appreciation of his relation to the dead poets and artists’). Dunque, è possibile inserire il presente in uno schema che vale da secoli. Si può comprendere il presente a partire da altre epoche passate, riflettendo sul moderno sulla base di una ricostruzione dell’arcaico che viene esaltato per il suo valore mitico e che permette di riconoscere dei patterns universali, poiché non è solo un’esperienza contemporanea ma comune all’uomo nella sua esperienza storica e che l’uomo vive ciclicamente sin dall’inizio dei tempi (fr. ‘to live in the present moment of the past’). I miti sono il tentativo di fornire una risposta al mistero dell’origine, per interpretare il presente e riconoscere in esso esperienze già vissute, in seguito alla frammentazione degli assoluti e la ‘morte di Dio’. Si manifesta, dunque, l’idea di una poesia basata sul tempo della vita e della coscienza che non conosce passato e futuro ma solo un presente eternizzato in cui gli elementi in contrasto si illuminano a vicenda. Come notiamo nel saggio ‘Ulysses, Order And Myth’, il metodo mitico viene prevalentemente usato ‘The Waste Land’ ma anche in ‘Ulysses’ di James Joyce: quest’ultimo crea un parallelo con l’Odissea di Omero, prestando particolare attenzione all’uso di stili e simboli appropriati che creano un tour de force allegorico e che valgono a Joyce il titolo di ‘profeta del caos’. I riferimenti a tale opera tradizionale servono da cornice, entro cui si sviluppano le vicende dei personaggi dell’opera nel caos e nell’alienazione esistenziale e sociale di Leonard Bloom: dunque, l’ordine viene dato dallo schema dell’Odissea, e dalla sua meta teleologica simboleggiata dal ritorno a casa, che nell’Ulysses occupa un giorno intero, specificatamente il 16 giugno 1904. Nasce così il metodo mitico che è un modo di controllare e dare forma e significato all'immenso panorama di futilità ed anarchia che è la storia contemporanea. Avendo parlato di momenti epifanici che si rivelano ‘in between things’, è interessante prendere in analisi il saggio ‘Hamlet’, in cui viene nominato la prima formulazione del ‘correlativo oggettivo’, dunque l’idea che l’essenza di un oggetto o di un evento non è importante tanto nel suo aspetto materiale quanto nel ricordo che evoca. Presentando l’idea di un fantomatico fallimento di Hamlet: dopo aver diviso tra l’Hamlet personaggio e Hamlet opera, si afferma che il sentimento del protagonista non è stato raggiungibile perché non è riuscito a trovare il giusto outlet, il giusto correlativo oggettivo per il verificarsi dell’azione nel dare corpo e realizzare un’emozione. T.S ELLIOT: IL MODERNISMO IN POESIA Il poeta modernista più importante, e fra i massimi del secolo, fu lo statunitense, poi naturalizzato britannico, è T.S Elliot, mente brillante e straordinariamente attuale nel panorama letterario contemporaneo. Dopo gli studi ad Harvard, seguì le lezioni in Francia di Bergson, dal quale rimase profondamente sorpreso, soprattutto in merito alle sue nozioni innovativo riguardo il tempo e la memoria, legata alla funzione di racchiudere il passato nella mente dell’uomo e di renderlo accessibile tramite l’associazione di sensazioni o di immagini. Come l’amico Ezra Pound- definito da lui come ‘il miglior fabbro’- Elliot si interessò alla filosofia orientale e studiò il sanscrito, che ebbero una enorme influenza nella sua opera. Tuttavia, il suo matrimonio verrà segnato dagli esaurimenti nervosi, dal crollo mentale rappresentato in ‘The Waste Land’, così come dall’internamente e conseguente morte della moglie. Quando Eliot compose ‘The Waste Land’ nel 1921 aveva già alle spalle un decennio di esperimenti poetici che solo pochi scrittori e critici erano stati capaci di apprezzare pienamente. Prima di arrivare al poemetto Elliot passa per una fase assai interessante rappresentata dai Poems (1920) dove gioca incessantemente sull’opposizione tra passato e presente. Tuttavia, Gerontion (1917-1919) è il vero preludio a The Waste Land, in cui il personaggio viene dilatato al punto da diventare emblema della coscienza del mondo contemporaneo sotto una fitta rete di riferimenti storici e leggendari. Gerontion è il primo abbozzo di Tiresia nel poemetto del 1922, poiché si trova su uno sfondo di rovine puntellato solo da frammenti di memorie collettive (leggende, miti e testi). Elliot rientra dunque nella cerchia di artisti in grado di inventare un organizzazione testuale del caos, criticando dall'interno senza facili messaggi le vacuità di un mondo in crisi. Inoltre, il metodo di Elliot si è detto profondamente intertestuale: dunque, il significato poetico rinvia a significati discorsivi ‘altri’ in modo che l'enunciato poetico sia leggibile in molti altri discorsi creando così uno spazio testuale multiplo i cui elementi sono integrabili nel testo poetico concreto. Questo spazio è chiamato spazio intertestuale. THE WASTE LAND (1922) ‘The Waste Land (1922)’ è il componimento poetico più influente del Novecento. Venne pubblicato inizialmente nel 1922 su ‘The Criterion’, la rivista londinese avviata dall’autore stesso, poi a New York su ‘The Dial’ ed infine come libro con note dello stesso Elliot, che diventano un paratesto essenziale per venire incontro al lettore nell’operazione di dissezione delle varie citazioni presenti. Parliamo dunque di un poemetto organizzato sulla distruzione del principio di casualità- accostato retoricamente alla metonimia in quanto immagine di continuità- poiché mancano le connessioni logiche e consequenziali tra un’immagine ed un'altra. A causa di questo disquilibrio, emerge una commissione tra diversi toni e tonalità- uno fra tutti quello profetico ed elegiaco- causando la frattura del rapporto univoco tra personaggio e il paesaggio. Dunque, si moltiplicano le prospettive del lettore nonché della realtà stessa. L’attesa, che sembra rimandare alla chiarificazione del messaggio, rimane delusa, provocando una disillusone nell’animo del lettore anche a causa dell’atmosfera di manchevolezza ed indeterminatezza dell’opera stessa. L’operazione di Elliot è quella di relazionare un’epifania che si verifica tramite le cose, mettendo in relazione diversi piani e diverse esperienze, unendo passato e presente in una grande dimensione inter-testuale in grado di confrontare il caos che ci circonda, il quale non permette la stesura di percorsi narrativi coerenti o tradizionali. Questa intertestualità permette di raccontare il collasso della civiltà attraverso i frammenti- riprendendo la tradizione romantica e simbolista, in cui si manifestano gli echi di una tradizione letteraria plurisecolare (da Dante a Shakespeare). Detto questo, il suo debito più consistente e decisivo fu contratto con due grandi testi recenti di antropologia, come dichiarò nella note preliminari del poemetto. Esse sono un importante para-testo per comprendere i rimandi e le allusioni all’interno del testo, che accompagnano il lettore in questa immersione analitica dell’opera creata dal ‘craftman’ poetico tramite la riformulazione della tradizione. Non solo il titolo, ma anche il piano ed una buona parte del simbolismo insito nel poemetto furono suggeriti dal libro di Miss Jessie L. Weston ‘From Ritual to Romance’, concentrato sul ciclo arturiano e sulla leggenda del sacro Graal, da cui prende l’assenza di una cornice delle sue opere, in cui crollano gli assoluti. Quest’opera lega la leggenda medievale del Graal vista come la celebrazione di riti di morte e rinascita, di rigenerazione che veniva raggiunta attraverso la morte simbolica di un Dio che rappresenta la fertilità. Lo aiutò nella stesura dell’opera anche la lettura del Golden Bough di Frazer, servendosi in particolare dei due volumi Adonis, Attis ed Osiris, figure viste come iterazione della stessa divinità, di cui fa parte anche Cristo per quanto riguarda il rituale della vegetazione. Egli vide la veridicità di uno schema mitico ‘across the ages’: dunque, la leggenda del Graal rispecchia ciò che sta succedendo durante l’epoca di Elliot, venendo giustapposta alla situazione contemporanea ma in maniera dissonante e venendo ribaltata, inserendo la situazione del suo tempo e della sua terra desolata. Il vero centro della leggenda, a suo parere, era il re del Graal, o Re Pescatore, legato alla figura precristiana del Dio dei riti della vegetazione, simbolo di natura riproduttiva, che veniva sacrificato per essere poi fatto risorgere simbolicamente come pegno della rinascita della vita sulla terra. È dunque visto come uno di questi dei in grado di rigenerare la landa, restituendo fertilità ad una terra ormai devastata. Tutto ciò unisce gli antichi miti ad una leggenda cristiana. Questa terra corrisponde all’inverno- con simboli di morte e degenerazione- che paradossalmente viene riconosciuta come ‘più tranquilla’ rispetto alla primavera. Dunque, il titolo del poemetto è una molteplice metafora che apre su un mondo, e un tempo, collegati alla desolazione che scandiva la fase buia, sterile, negli antichi riti della fertilità: l’arresto della ‘waste land’, ossia della terra invernale, in cui sembra chiudersi definitivamente il ciclo della vita, deve essere esorcizzato ritualmente affinché ritorni la primavera a fecondare di nuovo la terra. Tuttavia, la desolazione che viene presentata nell’opera ingloba pertanto tutte le fasi buie di una universale vicenda ciclica di desolazione, che dunque riguarda le varie epoche. Il personaggio della Sibilla Cumana all’interno di questa epigrafe è piuttosto significativo, derivata dalle leggende mitologiche secondo quali essa invecchiava in maniera decrepita a causa di una maledizione impostale dal Dio Apollo. Essendo inoltre rinchiusa all’interno di un’ampolla e schernita da dei ragazzi, tale personaggio è altamente funzionale al poemetto. Esso pone il tema della degradazione, sbarrando il futuro poiché niente è più visibile, se non la desolazione volgare del presente. Non è un caso che la figura del veggente ritornerà prima in questa sezione tramite Madame Sosotris e poi, nella terza, con il criptico Teresia (1). Dopodiché, troviamo una breve dedicatoria ad Ezra Pound, il maestro per eccellenza di Eliot, onorando il loro sodalizio letterario e amichevole: è questo un richiamo ai versi danteschi che troviamo nel Purgatorio, quando Guinizzelli si riferisce direttamente a Dante tramite questa perifrasi. Il poemetto inizia con la celebra apertura che presenta sin da subito un ribaltamento evidente, poiché essa riprende l’incipit del Prologo del Canterbury Tales di Caucher, in cui si esalta la sua capacità di rigenerare la Natura grazie all’arrivo della primavera. Questo mese genera lillà dalla terra morta, fiori associati ai riti della fertilità, sottolineando il lungo risveglio degli ‘uomini vuoti’, accentuato anche dalla scelta stilistica di porre i verbi nella forma gerundio per esaltare tale ciclo iniziatico. Aprile poi mescola memoria e desiderio, cioè passato e futuro, rimettendo in moto il tempo e creando il dramma del presente con le sue ‘dull roots’, lasciando invece spazio al calore ossimorico dell’inverno, con la quale neve copriva il trauma del tempo presente mentre adesso gli uomini si vedono costretti a riassumere vitalità. Dopodiché, si ha il riferimento al Starnbergersee (2) lago presso Monaco di Baviera, nel quale si era affogato nel 1886 il re folle Ludwig II, maniaco omosessuale, mecenate di Wagner e fondatore del teatro wagneriano di Bayreuth. Il lago introduce il primo riferimento alla ‘morte per acqua’, alludendo alla figura del Re Pescatore delle leggende del Graal. Successivamente, si ha quello che sembra un ricordo di infanzia tramite una fantomatica Marie e di una sua gita in slitta: probabilmente è la contessa Marie Larisch, che ebbe un ruolo significativo nella tragedia di Mayerling, la cui biografia è piena di morti violente, e in particolare di morti per acqua. Il poeta voleva qui ritrarre un’aristocrazia- e il genere umano- in disfacimento, con segnali di angoscia e di paura che altera il ciclo naturale delle stagioni e delle parti del giorno (4). ‘Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: Σίβυλλα τί θέλεις; respondebat illa: άποθανεîν θέλω.’1 For Ezra Pound il miglior fabbro.2 April is the cruellest month1, breeding Lilacs out of the dead land, mixing Memory and desire, stirring Dull roots with spring rain. Winter kept us warm, covering Earth in forgetful snow, feeding A little life with dried tubers. Summer surprised us, coming over the Starnbergersee2 With a shower of rain; we stopped in the colonnade, And went on in sunlight, into the Hofgarten, And drank coffee, and talked for an hour. Bin gar keine Russin, stamm’ aus Litauen, echt deutsch. And when we were children, staying at the archduke’s, My cousin’s, he took me out on a sled, And I was frightened. He said, Marie3, Marie, hold on tight. And down we went. In the mountains, there you feel free. I read, much of the night, and go south in the winter4 Siamo in un passaggio in cui domina la funzione profetica poiché il passo ‘Son of a man’ (1) rimanda al passo del profeta filosofo Ezechiele, entrando in un rapporto linguistico conativo con l’intera umanità. Continuano i riferimenti a passi biblici di Ezechiele, tramite l’heap of broken images (2), dimostrando come la Waste Land si erga su un mucchio di immagini infrante legate ad una tradizione letteraria che non possiede più la stessa matrice ispiratrice e che non dona più gli stessi conforti, ispirandosi anche al popolo di Israele. Difatti, il mandorlo che fiorisce ad annunciare la primavera diventa un dead tree (3) e la locusta che non salta più si trasforma ne grillo che non da sollievo (4). L’invito a tornare sotto l’ombra della red rock, dunque immagine della Chiesa, va ricondotto al tono profetico del primo passo di Ezechiele. La paura e l’angoscia, l’ansia schizofrenica dell’aristocrazia, assumono una perentoria dimensione verticale: è la paura metafisica che ingloba l’intera esistenza umana, ora rappresentata qui in un pugno di polvere (fr. John Donne, Medidation). Entrambe le citazioni in tedesco (6 e 8) sono tratte dall’opera ‘Tristano e Isotta’, che introducono il tema dell’amore romantico, destinato ad essere immediatamente sconfessato e sconfinando nella morte, in un’immagine di eros degradato, in un mare vuoto (fr. morte per acqua). Come già noto, la scena della ‘ragazza dei giacinti’ si ricollegano a due versi giovanili delle poesie di Eliot, in cui il giardino dei giacinti è il luogo di un amore, con vaghe connotazioni erotiche e legati al mito della fertilità, simboleggiata tramite i fiori stessi. L’amore diventa qualcosa di squallido, di volgare, inconcludente che non porta fertilità. Infine, il ‘heart of light’- che richiama il conradiano ‘Heart Of Darkness’- che lascia spazio ugualmente al silenzio. Dopodiché, veniamo introdotti alla chiaroveggente Madame Sosotris, dipinta come una moderna imbrogliona che degrada il rito divinatorio a superstizione materialistica e squallida, che mostra un ‘wicked pack of cards’, mostrando vari immagini che sicuramente si ricollegano al rito della fertilità. What are the roots that clutch, what branches grow Out of this stony rubbish? Son of man1, You cannot say, or guess, for you know only A heap of broken images2, where the sun beats, And the dead tree3 gives no shelter, the cricket no relief4, And the dry stone no sound of water. Only There is shadow under this red rock, (Come in under the shadow of this red rock), And I will show you something different from either Your shadow at morning striding behind you Or your shadow at evening rising to meet you; I will show you fear in a handful of dust5. Frisch weht der Wind Der Heimat zu Mein Irisch Kind, Wo weilest du?6 ‘You gave me hyacinths first a year ago; ‘They called me the hyacinth girl.’ —Yet when we came back, late, from the Hyacinth garden, Your arms full, and your hair wet, I could not Speak, and my eyes failed, I was neither Living nor dead, and I knew nothing, Looking into the heart of light, the silence7. Oed’ und leer das Meer.8 Madame Sosostris1, famous clairvoyante, Had a bad cold, nevertheless Is known to be the wisest woman in Europe With a wicked pack of cards. Here, said she, Is your card, the drowned Phoenician Sailor2, (Those are pearls that were his eyes. Look!) Here is Belladonna3, the Lady of the Rocks, The lady of situations. Here is the man with three staves, and here the Wheel, And here is the one-eyed merchant4, and this card, Which is blank, is something he carries on his back, Which I am forbidden to see. I do not find The Hanged Man5. Fear death by water. I see crowds of people, walking round in a ring. Thank you. If you see dear Mrs. Equitone, Tell her I bring the horoscope myself: One must be so careful these days. La prima figura è quella del Marinaio Fenicio affogato (2) , che ricorda la figura di Ferdinando della Tempesta shakesperiana, naufrago sulla magica isola di Prospero, il meraviglioso cambiamento marino che avrebbe sperimentato il padre Alfonso, re di Napoli (morte per acqua). Passiamo poi alla Belladonna (3), forse un eco da Walter Pater nella sua descrizione della Gioconda, definita come la donna tra le rocce, che diventa l’epitome simbolica dei personaggi femminili del poemetto. Abbiamo poi la figura del mercante orbo da un occhio sulla carta bianca che le è impedito vedere: la carta bianca è il carico segreto che porta con sé il mercante di Shirme che, nei suoi viaggi commerciali nel Mediterraneo, era nell’antichità, anche un messaggero del culto misterico del dio frigio della fertilità Attis. È profetico che l’imbrogliona non trovi la carta dell’Impiccato, che nei riti della vegetazione rappresentava il dio sacrificale e redentore, dunque la mancanza di questa carta non porta ad alcuna rigenerazione, preparando il monito: Fear death by water. L’attacco viene ripreso da Baudelaire, combinando il senso angoscioso della città baudeleriana con quello fantasmatico del limbo dantesco, riprendo un passo dall’Inferno riguardo la ‘crowd flowed’ di persone assediate da un’aura funeraria e nefasta, divenendo dei veri e propri spettri che si dirigono verso la loro esistenza mediocre (1). Il London Bridge è ritratto nell’ora di punta, alle nove, quando i colletti bianchi andavano a lavorare: come qualcuna ha notato, l’ora nona ha anche una rilevanza simbolica in riferimento alla morte di Cristo. Nella folla che attraversa il London Bridge abbiamo una ripresa delle parole della veggente (fr. I see people walking round in a ring). L’elemento che dovremmo notare è quello temporale, con il suono del rintocco dell’orologio della campana, mostrando come gli abitanti della metropoli moderna siano rappresentati come degli schiavi di Kronos. Nei primi versi abbiamo l’idea del tempo che sembra derivare da Bergson, l’idea di flusso inarrestabile di passato, presente e futuro. Nella folla, l’Everyman della voce narrativa individua Stetson (2), uomo dotato di un nome relativo ad un cappello di origine militare, che esemplifica i sopravvissuti di ritorno dalla guerra, che era con lui nella battaglia di Milazzo (3): questa è un’affermazione anacronista e paradossale, richiamando la prima guerra punica, che si convergono in un’unica prospettiva di compresenza e di interazione. È la relativizzazione del tempo tipica del ‘metodo mitico’. Egli gli domanda che ne è stato del cadavere seppellito, richiamando i miti della fertilità e della rigenerazione, col riferimento al Dog che per molti si può riferire alla stella Sirio che annunciava l’arrivo della primavera e della pioggia rigeneratrice mentre per altri simboleggia semplicemente il rifiuto del risveglio primaverile che il cane, in quanto amico dell’uomo, potrebbe evocare, costringendolo al dramma della scelta. La sezione si conclude con la citazione più famosa di Baudelaire (5), mostrando una spietata rassegna del moderno inferno di alienazione e di peccato, al quale partecipano tutti. Unreal City1, Under the brown fog of a winter dawn, A crowd flowed over London Bridge, so many, I had not thought death had undone so many. Sighs, short and infrequent, were exhaled, And each man fixed his eyes before his feet. Flowed up the hill and down King William Street, To where Saint Mary Woolnoth kept the hours With a dead sound on the final stroke of nine. There I saw one I knew, and stopped him, crying 'Stetson!2 'You who were with me in the ships at Mylae3! 'That corpse you planted last year in your garden, 'Has it begun to sprout? Will it bloom this year? 'Or has the sudden frost disturbed its bed? 'Oh keep the Dog far hence4, that's friend to men, 'Or with his nails he'll dig it up again! 'You! hypocrite lecteur!—mon semblable,—mon frère!5' Lei è descritta come una giovane vecchia, nonostante l’età, dunque il tempo l’ha danneggiata e l’ha rovinata. Non è un dialogo propriamente dialogico ma un discorso riportato, visto come dialogo ostacolato e non conclusivo poiché non procede liscio. C’è qui l’asintoto tra tempo della vita e tempo del mondo, mostrando un ostacolo all’inwardeness. Questa donna ha avuto cinque aborti, mostrando il suo disinteresse o paura nel formare una famiglia, ricadendo nuovamente nel topos dell’eros degradato. La parte II aveva avuto inizio con un riferimento all’apparizione sull’acqua di Cleopatra e si conclude circolarmente con la fine di Ofelia nell’acqua: la donna fatale e la donna vittima si incontrano in un medesimo fallimento. THE FIRE SERMON: THIRD SECTION Il titolo si riferisce al Sermone di Fuoco predicato da Budda contro la lussuria e le altre passioni che agitano l’uomo. Il fuoco ha anche una valenza simbolica di purificazione, come indicano poi i versi di chiusura. L’inizio riprende poi la diffusa simbologia dell’acqua e si ricollega all’eco shakesperiana che aveva concluso la sezione precedente (1), suggerendo una continuità di morte e desolazione anche in questa sezione. Abbiamo poi un riferimento allo Sweet Thames (2) del poemetto di Spencer, abitato dalla Ninfe in un paesaggio bucolico, che adesso sono ‘departed’, in scomparse come prostitute moderne alla luce del giorno in testimonianze di ‘notti estive’ (ulteriore riferimento a Shakespeare). Questo fiume è inquinato, trascinando oggetti mediocri e moderni che rappresenta l’immagine di un presente ormai degradato e senza alcuna moralità, quasi sentendo lo scorrere dei rifiuti stessi. I can’t help it, she said, pulling a long face, It’s them pills I took, to bring it off, she said. (She’s had five already, and nearly died of young George.) The chemist said it would be all right, but I’ve never been the same. You are a proper fool, I said. Well, if Albert won’t leave you alone, there it is, I said, What you get married for if you don’t want children? HURRY UP PLEASE ITS TIME Well, that Sunday Albert was home, they had a hot gammon, And they asked me in to dinner, to get the beauty of it hot— HURRY UP PLEASE ITS TIME HURRY UP PLEASE ITS TIME Goonight Bill. Goonight Lou. Goonight May. Goonight. Ta ta. Goonight. Goonight. Good night, ladies, good night, sweet ladies, good night, good night. The river's tent is broken1: the last fingers of leaf Clutch and sink into the wet bank. The wind Crosses the brown land, unheard. The nymphs are departed. Sweet Thames, run softly, till I end my song2 The river bears no empty bottles, sandwich papers, Silk handkerchiefs, cardboard boxes, cigarette ends Or other testimony of summer nights3. The nymphs are departed. And their friends, the loitering heirs of city directors; Departed, have left no addresses. By the waters of Leman I sat down and wept... Sweet Thames, run softly till I end my song, Sweet Thames, run softly, for I speak not loud or long. But at my back in a cold blast I hear The rattle of the bones, and chuckle spread from ear to ear. 4 Abbiamo poi l’immagine del poeta in esilio a Leman, Babilonia, in cui Eliot conclusa la prima stesura del poemetto: l’immagine della solitudine poetica è ricorrente anche sin da Byron e la prima generazione romantica che narrano del Lago di Ginevra, luogo dal profondo valore letterario, ed esaltano il tema dell’esilio che è per sempre un estraniamento individuale di solitudine ontologica. Alle sue spalle, la voce criptica sente lo scrocchiare delle ossa e il ghigno teso ‘da orecchio ad orecchio’, quasi ad evocare la figura folklorica del Mietitore di anime, dunque della Morte (4). La scena è diventata invernale, così come l’acqua degradata, dunque il Re Pescatore non più pescare nel ‘dull canal’: la salvezza non può dunque avvenire poiché, secondo l’equazione cristiana, la pesca equivale proprio all’atto della salvazione. Vicino a lui un gasometro, qui divenuto la versione degradata della cappella del Graal, che mostra una discrepanza non solo stilistica ma anche mitica, poiché la società odierna non crede più nel valore della sacralità dei cicli di rigenerazione e rinascita, motivo per il quale la terra è divenuta desolata. È doppio il tema della decomposizione della carne e delle ossa perdute nella città, tra cui corrono i topi della metropoli. Ma alle sue spalle, sente il suono di ‘trombe e motori’, in una ribaltamento parodico e caricaturale di un’entrata reale gloriosa, che porteranno Sweeney da Mrs Porter. Queste due figure introducono un altro mito greco, quello del cacciatore Atteone che sorprese Diana mentre si bagnava nuda e, per punizione, fu trasformato in un cervo e sbranato dai suoi stessi cani. Ma, nel lavoro intertestuale, il mito è eliso: nella scena contemporanea, la tragedia è impossibile poiché restano solo la farsa e la grottesca desolazione. Pertanto, al posto delle figure mitiche, abbiamo Sweeney e la prostituta Mrs Porter che, insieme a suo figlia, si lava i piedi nell’acqua di soda: questo passaggio non riflette solo l’inquinamento delle acque londinesi, ma anche l’abbassamento del sentimento erotico simboleggiato dal lavaggio di piedi, da una parte, e dall’altra la perdita di qualsiasi sacralità legata alla ricorrenza biblica della lavanda dei piedi (3). Oltre al riferimento a Filomea e al refrain di Baudelaire, abbiamo un richiamo alla figura del mercante Mr. Eugenides, identificato col mercante da un occhio solo presentato da Madame Sosostris, che trasporta merce irrilevante (contrapposta a quella del marinaio fenicio) e il cui unico culto sembra essere quello dell’omosessualità. A rat crept softly through the vegetation Dragging its slimy belly on the bank While I was fishing in the dull canal On a winter evening round behind the gashouse Musing upon the king my brother's wreck and on the king my father's death before him. White bodies naked on the low damp ground 1And bones cast in a little low dry garret, Rattled by the rat's foot only, year to year. But at my back from time to time I hear The sound of horns and motors, which shall bring Sweeney to Mrs. Porter in the spring2 O the moon shone bright on Mrs. Porter And on her daughter They wash their feet3 in soda water Et, O ces voix d'enfants, chantant dans la coupole! Twit twit twit
Jug jug jug jug jug jug
So rudely forc'd. Tereu Unreal City
Under the brown fog of a winter noon
Mr. Eugenides1, the Smyrna merchant
 Unshaven, with a pocket full of currants C.i.f. London: documents at sight Asked me in demotic French
 To luncheon at the Cannon Street Hotel
 Followed by a weekend at the Metropole2. E’ in questa passaggio che viene introdotto il personaggio più importante di questa sezione, che tra l’altro rappresenta anche il fulcro stesso dell’opera: il veggente Tiresia. Uomo convertito in una donna per ben sette anni, egli venne reso cieco da Giunione a causa di una lite con Giove, il quale gli conferì il potere della chiaroveggenza e della lettura del futuro. Egli viene dunque rappresentato come una versione degradato di sé stesso, costretto a fungere da spettatore a questo squallido incontro tra la dattilografa e il principe foruncoloso, come simboli di un Eros ormai degradato. Tiresia è dunque il centro unificatore del poemetto, al contempo stesso uomo-donna, veggente- cieco, figura mitica e coscienza moderna che si traduce nel poeta stessa (fr. Rimbaud e la figura del poeta veggente ma maledetto). Qui, l’indovino è stato oramai destituito della sua funzione, arcana e sacra, perché l’unico futuro, che può prevedere, e che gli è negato dal suo destino mitico, è la morte. Tiresia non vede dunque l’eroico o il tragico, ma il tipico e il volgare. Questo incontro tra le due figure può richiamare il ritorno di Ulisse ad Itaca (fr. brings the sailor home from sea’), dalla sua amata Penolope, chiaramente ribaltato: qui, la dattilografa compie delle azioni assolutamente abitudinarie e prive di alcuna matrice epica. Il ritorno dell’uomo foruncoloso, impiegato in una piccola agenzia di locazione, sembrerebbe essere il momento propizio per la consumazione dell’atto d’amore: tuttavia, qui non vi è neanche l’impulso del desiderio, come notiamo dalle reazioni rigide e statiche della donna che non ricerca le carezze del compagno, anche se non mostra l’energia necessaria per respingerle. Dunque, l’uomo procede con le sue ‘exploring hands’ scambiando l’indifferenza della donna per consenso, per poi andandosene a tentoni: è questo un passaggio decisamente anti-climatico. Ovviamente, Tiresia ci informa del fatto che aveva previsto ogni cosa, e sofferto ogni cosa, proprio come aveva predetto la futura sciagura di Tebe a seguito del matrimonio incestuoso tra Edipo e sua madre Giocanta, ritrovandosi ora in un’atmosfera funeraria che ricorda lui il momento in cui camminò con Ulisse nell’Ade, proprio come avviene nell’Odissea (5). At the violet hour, when the eyes and back
 Turn upward from the desk, when the human engine waits Like a taxi throbbing waiting,
 I Tiresias1, though blind, throbbing between two lives,
 Old man with wrinkled female breasts, can see
 At the violet hour, the evening hour that strives Homeward, and brings the sailor home from sea2,
 The typist home at teatime, clears her breakfast, lights
 Her stove, and lays out food in tins.
 Out of the window perilously spread
 Her drying combinations touched by the sun's last rays, On the divan are piled (at night her bed)
 Stockings, slippers, camisoles, and stays.
 I Tiresias, old man with wrinkled dugs
 perceived the scene, and foretold the rest3 I too awaited the expected guest.
 He, the young man carbuncular, arrives,
 A small house agent's clerk, with one bold stare,
 One of the low on whom assurance sits
 As a silk hat on a Bradford millionaire.
 The time is now propitious, as he guesses,
 The meal is ended, she is bored and tired,
 Endeavours to engage her in caresses
 Which still are unreproved, if undesired4.
 Flushed and decided, he assaults at once;
 Exploring hands encounter no defence;
 His vanity requires no response,
 And makes a welcome of indifference.
 (And I Tiresias have foresuffered all
 Enacted on this same divan or bed; I who have sat by Thebes below the wall And walked among the lowest of the dead5) Bestows on final patronising kiss, And gropes his way, finding the stairs unlit... I successivi versi, fino al 394, raccontano con immagini sempre più apocalittiche il viaggio del cavaliere del Graal attraverso la Terra Desolata, per giungere alla Perilous Chapel, l’ultima prova prima di arrivare al castello del Fisher King. Il suo è un viaggio doloroso che sembra portare, dopo avere affrontato tutte le prove, alla purificazione che la pioggia porta con sé. Durante il viaggio l’acqua portatrice di vita però non c’è, il cavaliere incontra solo roccia e aridità (3), portandolo a disperazione e a visioni sempre più apocalittiche. Questa sezione spalanca l’angoscia di una soggettività sofferente, nel panorama di una civiltà al tramonto. Eliot annota che nella prima parte della parte V sono impiegati tre temi (fino al verso 394): il viaggio a Emmaus, il ravvicinamento alla Cappella del Graal e la presente decadenza dell’Europa orientale. Il tutto è assecondato da fiati sostenuti, spesso ossessivi, che investono il livello dell’individuo che avvia una (impossibile?) ricerca personale di purificazione che non lo spettacolo del mondo contemporaneo e dell’intera storia. Il protagonista, come i discepoli di Emmaus, viene seguito da una figura incappucciata ma non vede il dio risorto: percepisce una figura incappucciata, ma non ne comprende la sua natura spirituale, rimanendo nel dubbio (1). Dopo la (non) visione di Cristo, il protagonista sente, o crede di sentire, una maternal lamentation, che ‘rimanda a tema della morte di Cristo’, come anche a quello della morte rituale di Tammuz, Osiride e gli altri dèi della fertilità’. Tuttavia, per il protagonista, esse non sono che un accenno di parola, di parole indistinguibili, di cui non si può più cogliere il senso. La figura incappucciata incontrata poco prima, si ripresenta ora nella forma di hooded hordes, che introducono le immagini del tramonto della civiltà, in particolare dal colore ‘violet’ e dall’iterazione dell’Unreal. After the torchlight red on sweaty faces After the frosty silence in the gardens1 After the agony in stony places The shouting and the crying Prison and place and reverberation Of thunder of spring over distant mountains He who was living is now dead We who were living are now dying2 With a little patience Here is no water but only rock3
Rock and no water and the sandy road
The road winding above among the mountains
Which are mountains of rock without water If there were water we should stop and drink Amongst the rock one cannot stop or think Sweat is dry and feet are in the sand
 If there were only water amongst the rock
 Dead mountain mouth of carious teeth that cannot spit Here one can neither stand nor lie nor sit There is not even silence in the mountains But dry sterile thunder without rain
There is not even solitude in the mountains But red sullen faces sneer and snarl From doors of mudcracked houses If there were water And no rock If there were rock And also water And water A spring A pool among the rock If there were the sound of water only Not the cicada And dry grass singing But sound of water over a rock Where the hermit-thrush sings in the pine trees Drip drop drip drop drop drop drop But there is no water Who is the third who walks always beside you?1 When I count, there are only you and I together But when I look ahead up the white road There is always another one walking beside you Gliding wrapt in a brown mantle, hooded I do not know whether a man or a woman But who is that on the other side of you? What is that sound high in the air3 Murmur of maternal lamentation2 Who are those hooded hordes swarming Over endless plains, stumbling in cracked earth Ringed by the flat horizon only What is the city over the mountains
Cracks and reforms and bursts in the violet air
Falling towers
Jerusalem Athens Alexandria
Vienna London Unreal Eliot riprende qui Hermann Hesse, il quale collega la decadenza alla Rivoluzione Russa, condividendo con lo scrittore tedesco la visione pessimistica e angosciata (3): lo scenario si trasforma sempre di più in uno scenario apocalittico. Dopo le visioni della caduta della civiltà, si giunge a quelle che il cavaliere ha nella Cappella del Graal: sono visioni spaventose, e, come ci dice la Weston, di morte e rappresentavano ‘l’ultima prova da superare per mostrare la sua purezza’ e dimostrare di essere degno di recuperare il Santo Graal (vv. 378-384). Il cavaliere di ‘The Waste Land’ entra nella Cappella, supera le visioni, ma la trova vuota, poiché è diventata ‘only the wind’s home’: dunque, trova solo ossa abbandonate, quelle già incontrate nelle sezioni precedenti, che non danneggiano nessuno poiché non possono più vivere. L’unico essere vivente incontrato è un gallo che canta: oltre al richiamo evangelico, la tradizione popolare crede che il canto del gallo faccia fuggire le presenze maligne. Nel poemetto, il canto porta il tuono, che ‘parlerà’ subito dopo, e la pioggia tanto agognata durante il viaggio. Finalmente il tuono parla, portando il protagonista alla ‘higher initiation’ di cui si è detto prima. Eliot sulle tre parole in sanscrito, derivate dunque da DA, costruisce tre stanze, su cui il protagonista rifletta, ma non accoglie l’invito a fare ciò che il verbo comanda. ‘Datta’, cioè ‘da’, può essere inteso come dare amore sia in senso affettivo-erotico che spirituale, quindi il protagonista ‘admits that he has failed to love’. Il rifiuto dell’amore, del sesso, della procreazione e della purificazione spirituale si traduce in rifiuto della vita: l’aprile iniziale è ancora una volta rifiutato. In this decayed hole among the mountains In the faint moonlight, the grass is singing
 Over the tumbled graves, about the chapel
 There is the empty chapel, only the wind's home. It has no windows, and the door swings,
 Dry bones can harm no one. Only a cock stood on the rooftree
 Co co rico co co rico In a flash of lightning. Then a damp gust
Bringing rain Ganga was sunken, and the limp leaves Waited for rain, while the black clouds
 Gathered far distant, over Himavant.
 The jungle crouched, humped in silence. Then spoke the thunder Datta: what have we given?
 My friend, blood shaking my heart
 The awful daring of a moment's surrender Which an age of prudence can never retract
 By this, and this only, we have existed Which is not to be found in our obituaries
 Or in memories draped by the beneficent spider
 Or under seals broken by the lean solicitor
 In our empty rooms
 Dayadhvam: I have heard the key
 Turn in the door once and turn once only
 We think of the key, each in his prison
 Thinking of the key, each confirms a prison1
 Only at nightfall, aetherial rumours Revive for a moment a broken Coriolanus2
 Damyata: The boat responded
Gaily, to the hand expert with sail and oar
 The sea was calm, your heart would have responded Gaily, when invited, beating obedient
 To controlling hands I sat upon the shore Fishing, with the arid plain behind me Shall I at least set my lands in order?3 London Bridge is falling down falling down falling down Poi s'ascose nel foco che gli affina4 Quando fiam ceu chelidon5—O swallow swallow
 Le Prince d'Aquitaine6 à la tour abolie
 These fragments I have shored against my ruins Why then Ile fit you. Hieronymo's mad againe. Datta. Dayadhvam. Damyata. Shantih shantih shantih8 ‘Dayadhvam’, viene tradotto come ‘comprendi’: Eliot riprende il passo in cui Dante nella Divina Commedia parla del conte Ugolino per introdurre il tema dell’isolamento e della prigionia in cui l’uomo si estranea dal mondo moderno, che portano all’incomunicabilità tra persone, confermando ‘la propria prigione’ (1). Questo si ricollega alla Lady della seconda sezione che chiede al suo interlocutore di dirle cosa pensa e lo supplica di parlare, ma le risposte che riceve non sono quelle che si aspettano, portando la coppia ad una non- comunicazione che la distrugge. Infine, vi è un sublime riferimento al Coriolano di Shakespeare, emblema dell’orgoglio egoistico che non si piega ad alcun compromesso: perciò Coriolano finirà ucciso per la gioia del popolo che aveva tanto disprezzato, simboleggiando come il despotismo positivista ed industriale, nonché il desiderio di potere geopolitico delle nazioni, siano le causi principali di questa condizione di isolamento (2). ‘Damyata’, cioè ‘controlla’, si riferisce anch’esso alla sfera affettivo-sessuale, e anche qui il rapporto non c’è, fallisce com’era fallito quello nel giardino dei giacinti nella prima sezione. Anche se inizialmente sembra esserci una risposta positiva da parte della barca, che può essere intesa come l’oggetto sessuale che l’uomo deve controllare per procreare, il rapporto fallisce nell’uso del condizionale passato (would have responded) che indica una possibilità non realizzata. L’assenza di amore- fisico e spirituale- porta all’assenza di comunicazione tra uomini, che conduce al non controllo e al fallimento dell’atto di amore che dovrebbe portare alla fertilità e alla procreazione, sia per quanto riguarda il genere umano che per tutto ciò che concerne i riti di fertilità. Gli ultimi undici versi del poemetto sono molto frammentati e conducono il lettore a un finale non risolutivo. Troviamo infatti il Fisher King ancora intento a pescare, dando le spalle alla Waste Land, mentre si chiede se ci sarà salvezza per le sue terre (3): la rigenerazione non è ancora avvenuta, e l’attesa si prolunga fino a mettere in dubbio il suo finale positivo. I tre versi successivi riportano lo schema di purificazione dei riti, ma anche del Purgatorio dantesco. All’immagine di Arnaut Daniel, che si trova proprio in Purgatorio a causa del peccato di lussuria (4) segue una frase in latino in cui il soggetto afferma che sarà come la rondine (5): inaspettatamente, rinasce la speranza di una metamorfosi che porterà a una rinascita primaverile; ma, continuando col verso successivo, in attesa di questa nuova possibilità, il poeta resta diseredato come il Principe d’Aquitania del sonetto El Desdichado di Gérard de Nerval, prigioniero di una castello in rovina (6). L’unica cosa che può fare per ora è raccogliere i frammenti della tradizione (che ricorda le broken images della prima sezione) e cercare di assimilarli e donargli vitalità, seppur tra le rovine del London Brigde che sta ‘falling down’. Dopo la ripetizione dei tre imperativi del tuono, T.S. Eliot conclude il poemetto con le parole ‘Shantih Shantih Shantih’, che significa, come lo stesso poeta scrive nelle note al poemetto, ‘the peace which passeth understanding’: raggiungere lo Shantih è per gli induisti identificarsi con la divinità, e la ripetizione è una sorta di benedizione lanciata dallo scrittore. Il finale della Waste Land rimane dunque aperto, senza un punto di sospensione che segnali la fine totale del poemetto: la morte non è ancora arrivata o non arriverà? La parola Shantih nella cultura occidentale rimane oscura, rendendo decisamente criptico l’ultimo verso del poemetto: si spera che l’uomo si unisca con la divinità, raggiungendo la pace interiore, quindi la purificazione dell’animo cercata dal cavaliere del Graal, così da far ripartire il ciclo di rigenerazione primaverile. Eppure, come tutte le case, anche Monk's House cela veli d'oscurità. Perchè, proprio lì, Virginia Woolf decise di togliersi la vita, lasciando una lettera indirizzata al marito. Virginia Woolf si concentra sulla mente umana, entrando nella coscienza e mostrando il tentativo di registrare fedelmente i procedimenti e pensieri che si susseguono a velocità impressionante dentro la mente di ciascun individuo. Con le opere di Virginia Woolf ci proiettiamo dentro al tentativo della rappresentazione del tempo soggettivo all’interno della di mente e del flusso dinamico degli stati immediati della coscienza. In questo flusso inarrestabile del divenire appaiono i lampi, dei momenti in cui l’essere e le sue emozioni si condensano in un unico istante di pienezza di senso e di nuovo. Diventano dunque dei poli della sensibilità e dell’intelligenza umana, diventano i cosiddetti ‘moments of being’, vedendo la mente come luogo in cui piove incessantemente, in cui ogni momento diventa una goccia che arricchisce il flusso dinamico degli eventi della memoria dell’essere (fr. ‘pioggia incessante d’innumerevoli atomi’). Da questo momento, si manifesta l’abbandono della narratività lineare, con cui la letteratura tradizionale ha tradotto la vita in biografia, in cui i momenti acquistano significatività propria grazie alla casualità logica di tali momenti, in cui le cose non si manifestano come una progressione coerente dei fatti ma come un alone luminoso in cui ogni momento si confonde con quello che segue e quello che precede: il compito della letteratura è proprio quello di fissare tali rapporti nella maniera in cui essi si verificano all’interno della mente della scrittrice, che altrimenti passerebbero e perderebbero di significato. Tutto deve essere compreso nella più piccola unità del tempo, seguendo l’eternità del tempo e rendendo la trama stessa un modo che l’uomo ha trovato per dare senso al tempo: nasce dunque il romanzo modernista, mostrando una reciproca influenza tra Joyce e Virginia Woolf, fissando il momento in cui si interrompe la linearità del tempo come una goccia che scappa inevitabilmente dalle mani del singolo (Melchiori). Questi moments of being simboleggiano un eterno presente in cui la memoria gioca un fattore importante che suddivide i momenti (fr. gli ‘spots of time’ di Wordsworth) e che permette di riviverli in ‘tranquillity’. THE MARK ON THE WALL (1917) È uno dei primi esperimenti narrativi di Woolf, insieme a Cute Gardens. La prima frase iniziale simboleggia l’indeterminatezza della protagonista nel definire il contesto temporale, come una sorta di enigma, che non fanno altro che alimentare la confusione. La fine stessa non sembra presentare una prospettiva di orizzonte, non ancora finalizzata e la cui temporalità è ancora aperta, concentrandosi sui dettagli ancora aperti. Salvarsi da questo flusso significa ancorarsi all’esistenza stessa. La ricerca della Woolf è anche la ricerca di una stanza, dunque di un luogo, dove perseguire queste visioni e dunque arricchire le proprie conoscenze grazie a questa creazione della stanza. Dal punto di vista narrativo, una voce narrante in prima persona siede nel suo salotto fumando una sigaretta un giorno di gennaio dopo il tè e guarda nel fuoco. La vista del fuoco la attira in riflessioni sulla somiglianza tra i carboni e una cavalcata di cavalieri. In cerca di distrazione da questi pensieri, scorge un segno nero sul muro a diversi centimetri sopra il caminetto. Il narratore non può identificare immediatamente il marchio, il che provoca una sequenza di riflessioni sulla sua possibile identità. Si chiede se potrebbe essere un chiodo, un buco, una foglia, o qualcosa che sporge dal muro. Tra i suoi vari sospetti sul marchio, segue il flusso della sua coscienza sui temi della conoscenza, il passare del tempo, la soggettività e la natura. Riflette profondamente sulla natura fugace della vita nella civiltà moderna, nonché sulla sua identità di donna e sull'impatto dei ruoli di genere sulla società contemporanea. Nel corso della storia, i suoi pensieri ruotano attorno alla guerra in corso, generando pensieri diventano troppo sgradevoli. Alla fine, una voce interrompe le sue riflessioni, rivelando per la prima volta che non era sola nella stanza. La voce afferma il desiderio di acquistare un giornale, osserva con disgusto verso la guerra in corso e disprezza la presenza di una lumaca sul loro muro. La storia si chiude con il narratore ripetendo a se stessa la realizzazione che il marchio era stato una lumaca per tutto il tempo, mostrando come un’azione apparentemente insignificante possa diventare il correlativo oggetto di una rivelazione straordinaria e in grado di dar vita a digressioni a-temporali di portata immensa (fr. ‘I want to sink deeper and deeper, away from the surface, with its hard, separate facts’). Abbiamo la figura del self e la riflessione su come rappresentarla nella sua scissione, arrivando al culmine della scissione del doppio, nel suo incontro con l’alterità, che frantuma la prospettiva lineare e unitaria del sé, mettendolo in una nuova dimensione di prospettiva ed angoli in cui tutto cambia: non è più possibile concepire il Reale come un nucleo unico ed intero ma ogni cosa, che sia un oggetto o un evento, è osservato attraverso una visione frantumata, sfaccettata e disorganica in cui tutto è immerso nella relatività e dunque nell’incontro con l’altro, presentando la disillusione degli assoluti. È dunque un enigma, proprio come un enigma tradizionale, che non porta ad alcuna soddisfazione da parte del protagonista: c’è un completo ribaltamento della prospettiva, secondo un’opera di straniamento (fr. ‘Oh! dear me, the mystery of life; The inaccuracy of thought!’). THE BROWN STOCKING (AUERBACH) Per Eric Auerbach, il tratto stilistico più distintivo del romanzo è quello che egli chiama la rappresentazione multi-personale della coscienza, ossia il modo in cui il romanzo racconta la sua storia non attraverso la voce oggettiva di un narratore onnisciente, ma attraverso i numerosi soggettivi e fallibili punti di vista dei personaggi stessi. Anche se questo è in parte ciò che rende To the Lighthouse un romanzo così permanentemente affascinante, può anche renderlo difficile da capire. Poiché Woolf impiega così insistentemente il libero discorso indiretto narrativo per librarsi tra le coscienze di così tanti personaggi, noi come lettori siamo spesso lasciati incerti su chi sta parlando esattamente: è questo quello che avviene nell’analisi del capitolo 5, ossia ‘Il calzerotto marrone’ (The Brown Stocking). In questo passaggio, ritorna il discorso del tempo soggettivo ed oggettivo. Quella che ci viene presentata è una brevissima scena, in cui avviene un gesto che ritornerà continuamente nell’arco della narrazione del romanzo per via della sua importante funzione, anche per il suo concetto di cornice e teleologia. Possiamo dunque fare delle divisioni: abbiamo una cornice (un embedding narrative) che coincide con la misurazione del calzerotto, dunque fatti esterni alla coscienza soggettiva della protagonista, per poi continuare con una digressione della coscienza della sign. Ramsey, che ci permette di osservare l’azione di logorio del tempo che lascia la sua traccia sugli oggetti e sulle persone che la circondano. Interessante notare come la prima digressione ossia un’azione apparentemente insignificante, è costantemente interposta con altri elementi introspettivi che impiegano più tempo di quanto l’intera scena esteriore duri effettivamente: avviene un evidente contrasto tra un breve lasso di tempo esteriore e la sequenza onirica della coscienza che genera un intero universo soggettivo (fr. ‘nothing but an occasion’). Dunque, ciò che si sviluppa nella mente del protagonista viene annotato nella sua mente, in cui passano una miriade di momenti e di riflessioni in un singolo istante, venendo definiti come ‘movements within the consciousness of individual characters’. Questa prima digressione- avvenuta grazie allo stream of consciuosness- termina nel momento in cui la sua attenzione viene richiamata (fr. ‘Stand still, don’t be tiresome’). Si manifesta come una breve parentesi, che si contrappone alla lunghezza dello stream of consciousness, in cui il tempo oggettivo si manifesta come un’azione di misurazione e dunque di calcolo matematico, contrapposto alla elusività irrazionale del tempo della coscienza. La digressione non si ferma esclusivamente agli oggetti, ma va più in profondità: la coscienza- in questo caso, di Lily la pittrice- viene frammentata in vari punti di vista, ponendosi di fronte all’enigma della sua soggettività e della bellezza della Sign. Ramsey, la cui verità non si riesce a decifrare, questo perché l’interiorità del singolo è spesso indecifrabile. La seconda digressione parte proprio dalla riflessione ‘Never did anybody look so sad’. Il personaggio della sign. Ramsey rimane un enigma così come è nella realtà. È interessante perché questa riflessione non viene introdotta convenzionalmente, ossia tramite il discorso diretto, ma si affida- secondo le parole di Auerbach- ad un ‘realm beyond reality’, trasportandoci in una scena indefinibile in cui tutto diventa mera supposizione che non riescono a portare alla risoluzione dell’enigma principale. Dopodiché, cambia nuovamente la prospettiva con la terza digressione, poiché viene introdotto Mr.Banks, venendo trasportati nella sua coscienza mentre parla con lei al telefono, mentre la sua mente è occupata da una miriade di pensieri riguardo sua moglie. Riflette su come c’è qualcosa di Mrs Ramsey lo preoccupa, qualcosa che non sembra corrispondere con la sua bellezza, tentando di spiegare questa incongruenza tramite le sue riflessioni metodologiche. Queste digressioni parlano di due concetti importanti, sul tempo che passa e sul senso della vita, la nostalgia, il gusto del ricordare il passato. Sono dunque digressioni che approfondiscono il personaggio. Il tempo della misurazione del calzerotto e della lacrima viene dilatato all’inverosimile negli stati della coscienza, quasi agli estremi, nei personaggi (fr. hopeless sadness). È significativo, inoltre, che la prima sezione sia denominata ‘The Window’. L’altro tema importante sono i rapporti tra le persone, come amici o visitatori, il cui scopo è quello di esaltare l’energia della comunità che verrà spezzata a seguito della Prima Guerra Mondiale. Difatti, Mrs Ramsay cerca di intessere una rete di relazioni tentando di costruire una collettività oltre i legami ufficiali, proprio come ci dimostrano le sue pagine di diario (fr. 27 giugno, sabato). Le viene l’ispirazione per la composizione del romanzo, comprendendo come l’opera sia una biografia, approcciando un genere classico in maniera contemporanea e moderna (fr. There are two biography, Ginia). Jack riflette sulla possibilità stessa di scrivere di realtà riguardo determinate persone, aprendo numerose parentesi che saranno fondamentali per il romanzo stesso. Virginia pensa dunque di scrivere un’opera che soppianti il novel, elaborando una riflessione su cosa sia effettivamente la vita, una vita che passa in un mare di noia mentre nessuno se ne accorge e sprofonda nel ‘sink of the oblivion’. Nel momento di vivere le cose, non si è coscienti di riconoscere il momento bello che sarà ‘lo stelo in un mazzo di fiori’, dunque un momento che sarà propizio per la nostra esistenza, dimostrando come Virginia vivesse ogni sua esperienza- anche la più banale- con grande curiosità proprio perché è questo il ‘secret of happiness’. Il tempo è come se trasformasse gli uomini in fantasmi, ecco perché il romanzo stesso riguarda il lasciarsi visitare dai fantasmi del passato (fr. How I begin to love the past), mostrando come Virginia Woolf riesca a tornare a quel tempo che tanto amava ed apprezzava. Se il potere principale della vita è quello di dividere oggetto e soggetto, la scrittrice reagisce a ciò tramite la scrittura, in grado di sanare le divisioni della nostra esistenza (vita vista come progressiva divisione). Dopodiché, l’autrice si sofferma sul nucleo iniziale della riflessione su un romanzo, ossia la creazione del personaggio (fr. Catch me if you can). I personaggi diventano soggetti ed oggetti della visione, come se ci fosse sempre un terzo occhio che li stesse guardando, generando la frantumazione del personaggio che si fonde con l’altro senza soluzione di continuità (fr. it begins to express characters): lo schema iniziale si identifica con lo spiare attraverso finestre aperte le case degli sconosciuti, motivo del titolo ‘ The Window’, simboleggiando una cornice in cui transita la realtà di cui lei registra i dati, vedendo la finestra aperta su uno spazio mentale, entrando nella mente dei singoli ed annottando cosa passa nella testa dei personaggi non appena entrano nel campo visivo di un terzo occhio. Nel testo, siamo nel tempo del lutto, perché non solo siamo in un periodo in cui muore l’amica Maggie, ma anche del dolore non elaborato per via della morte della madre: è dunque una rielaborazione del lutto (fr. Trauerarbeit> lavoro del lutto), tramite la scrittura. Ecco perché c’è un grande uso dello stream of consciuosness e del tempo indiretto libero, grazie alla quale emerge la figura di un personaggio come un enigma la cui personalità non è mai completamente elaborata a partire dalle prime pagine poiché vissuto come mistero, vivendo con disperazione questo scarto insuperabile. Per Virginia, il suo intento è quello di far riemergere l’oblio immemore di sensazioni infantili, che si agganciano a ricordi olfattivi, uditivi, visivi di quel mondo perduto. Ora soffermiamoci sui personaggi. Da un lato abbiamo Mrs Ramsay. Una donna bella e amorevole, Mrs. Ramsay è una hostess meravigliosa che è orgogliosa di produrre esperienze memorabili per gli ospiti nella casa estiva della famiglia sull'isola di Skye. Affermando i ruoli di genere tradizionali, dedica particolare attenzione ai suoi ospiti maschi, che ritiene abbiano un ego delicato abbiano bisogno di costante sostegno e simpatia. È una moglie rispettosa e amorevole, ma spesso lotta con gli stati d'animo difficili e l'egoismo del marito. Il suo personaggio è dunque una spia che parla delle differenze tra men e women, venendo presentata come qualcuno che ha una propensione per l’uomo, vedendo il sesso opposto come sottoposto alla sua ‘protezione’, in particolare per il figlio James. Sono differenti anche nel modo in cui parlano, perché il maschile è simboleggiato dalla parole mentre il femminile nel silenzio, che ammira l’immagine stereotipata del mondo maschile. Si guarda allo specchio, riconoscendosi invecchiata, veniamo dunque a conoscenza dei pensieri che le passano per la testa, creando molti sottoinsiemi in cui si cerca di creare il personaggio, senza però riuscirsi definitivamente. Mrs. Ramsay assicura James che sarà in grado di visitare il vicino faro il giorno successivo, se il tempo lo permette, ma Mr. Ramsay risponde affermando che il tempo non lo permetterà, mostrandoci come le sue parole siano sempre sprezzanti e pessimiste, mostrando come il marito sia una figura negativa. James sente una rabbia omicida contro suo padre per aver ridicolizzato sua madre, che James considera ‘diecimila volte meglio in ogni modo’, tanto da essere definito dalla madre stessa come un ‘odious little man’. Mrs. Ramsay cerca di assicurare James che il tempo potrebbe essere bello, ma Charles Tansley, un intellettuale rigido che rispetta molto Mr. Ramsay, non è d'accordo. L'insensibilità di Tansley nei confronti di James irrita Mrs. Ramsay, che cerca comunque di agire calorosamente verso i suoi ospiti maschi, vietando alle sue figlie irriverenti di deridere Tansley. James è un’immagine abbastanza statica, rappresentato lì fermo, mentre il corrispettivo femminile, Cam, è quasi come impazzita, l’opposto di James, è un esempio di dinamismo, sfugge al potere della madre di decidere il destino dei figli. Dopo pranzo, Mrs. Ramsay invita Tansley ad accompagnarla in una commissione in città, e lui accetta. È questa una scena che ci permette di passare alla coscienza di Mr Tamsley: Mrs. Ramsay capisce che Tansley nutre una profonda insicurezza per quanto riguarda il suo background umile e causa gran parte del suo sgradevolezza. Ora si sente più gentile con lui, anche se il suo discorso egocentrico continua a annoiarla. Tansley, tuttavia, pensa che Mrs. Ramsay sia la donna più bella che abbia mai visto. Come la maggior parte dei suoi ospiti maschi, è un po' innamorato di lei: anche la possibilità di portare la sua borsa lo emoziona. Dunque, al tempo esteriore della passeggiata corrisponde il tempo interiore della coscienza dell’uomo, manifestandosi come durata dell’emozione nel tempo, contrapposto a quella dello spazio: si crea dunque un cronotopo. Mrs. Ramsay conforta James, dicendogli che il sole potrebbe splendere al mattino. Ascolta gli uomini parlare fuori, ma quando la loro conversazione si ferma, riceve un improvviso shock per via del suono delle onde che rotolano contro la riva. Normalmente, le onde sembrano stabilizzarla e sostenerla, ma occasionalmente le fanno pensare alla distruzione, alla morte e al passare del tempo. Dopo questa breve interruzione, nota Lily Briscoe che dipinge sul bordo del prato e ricorda che dovrebbe mantenere la testa ferma per Lily, che sta dipingendo il suo ritratto (fr. ‘and so remembering her promise, she bent her head’). Nel capitolo successivo, il vecchio amico di Lily, William Bankes, che affitta una stanza vicino alla sua nel villaggio, la raggiunge sull'erba. In questo riquadro, Lily fatica nel catturare la sua visione su tela, un progetto, riflette, che le impedisce di dichiarare apertamente il suo amore per Mrs. Ramsay, la casa, e l'intera scena, sentendosi profondamente inadeguata e insignificante, come ‘on the verge of tears’, e mostrando come ci fosse qualcosa dell’immagine di Mrs Ramsay che non riesce a comprendere. Nel capitolo 8, Lily ricorda le critiche che stava per fare a Mrs. Ramsay. Lily riflette sull'essenza di Mrs. Ramsay, che sta cercando di dipingere, e insiste sul fatto che lei stessa non è stata fatta per il matrimonio. Pensa, con una certa angoscia, che nessuno potrà mai sapere nulla di nessuno, perché le persone sono separate l'una dall'altra. Spera di contrastare questo fenomeno e raggiungere l'unità e la conoscenza degli altri attraverso la sua arte. Dipingendo, spera di raggiungere una sorta di intimità che la avvicini al mondo esterno e alla sua coscienza, aiutandola a comprendere Mrs Ramsey- della quale è ovviamente innamorata (fr. ‘It was love, she thought, was meant to spread over the world and become part of the human gain’). Mr. Ramsay si avvicina a sua moglie in maniera petulante e ha bisogno di rassicurazioni dopo il suo imbarazzo davanti a Lily e Banks (fr. ‘he shivered, he quivered’). Quando Mrs. Ramsay gli dice che sta preparando una calza per il ragazzo del guardiano del faro, Mr. Ramsay diventa infuriato da ciò che vede come la sua straordinaria irrazionalità: Mrs Ramsey comprende, come la comprensiva donna che è, che suo marito ha bisogno di contemplare la propria rabbia in solitudine e riacquistare il proprio equilibrio. Mentre Mr. Ramsay passeggia attraverso il prato, scorge Mrs. Ramsay e James alla finestra. La sua reazione si presente come sorprendente, date le sue parole descritte solo poche pagine prima. Egli, come quasi tutti i personaggi del romanzo, è profondamente consapevole dell'ineluttabilità della morte e della probabilità che essa trascini la sua esistenza nell'oblio assoluto. Mr. Ramsay sa che pochi uomini raggiungono l'immortalità intellettuale. Il passaggio di cui sopra testimonia alla sua conoscenza che tutte le cose, dalle stelle nel cielo ai frutti della sua carriera, sono destinati a soccombere al tempo (fr. ‘who will blame him if he does homage to the beauty of the world?’). Alle auto-valutazioni positive di Mr Ramsey, ci viene presentata la coscienza del figlio che invece lo odia profondamente- dimostrando l’interesse di Woolf per le letture di Freud visto il complesso di Edipo qui evidente- desiderando solo che suo padre lo lasci solo con sua madre. Mr. Ramsay si dichiara un fallimento e Mrs. Ramsay, riconoscendo il suo bisogno di essere rincuorato del suo genio, gli dice che Tansley lo considera il più grande filosofo vivente (fr. ‘He must have more than that. He must have sympathy’). Alla fine, lei ripristina la sua fiducia, e lui va a guardare i bambini giocare a cricket. In un momento di autoriflessione interna, Mrs Ramsey riflette sulla sua capacità di proteggere gli altri con cura, cura che tuttavia non pone in sé stessa, mostrandoci come fosse una donna ‘lavished and spent’ che provava un forte senso di sconforto nei confronti della vita. Nonostante tutte le tensioni e le imperfezioni evidenti nella famiglia Ramsay, come la vanità a volte ridicola di Mr. Ramsay e la determinazione di Mrs. Ramsay per contrastare i difetti del suo matrimonio organizzando matrimoni per i suoi amici, il tono di ‘The Window’ rimane principalmente brillante e ottimista. La piacevole spiaggia, i bambini vivaci e il matrimonio generalmente amorevole dei Ramsay permeano il mondo del romanzo con una sensazione di possibilità e potenzialità, e molti dei personaggi hanno prospettive felici. Mentre il capitolo si chiude, tuttavia, la realizzazione della sig. ra Ramsay che tale armonia è sempre effimero tempera questa speranza. Come la signora Ramsay lascia la stanza e riflette, con uno sguardo sopra la spalla, che l'esperienza della serata è già diventata parte del passato, il tono del libro si oscura e la fa riflettere sulla caducità del tempo (fr. The event gave her a sense of movement). Il capitolo conclusivo della prima sezione assume dei connotati tesi, piuttosto malinconici, come se servisse da premonizione per la seconda parte. Abbiamo quello che, narrativamente parlando, sarà l’ultimo scambio di sguardi tra i due coniugi. Mrs. Ramsay può dire dal sorriso controllato sul volto del marito che non vuole essere disturbato, così lei prende il suo lavoro a maglia e continua a lavorare sulle calze. Lei considera quanto insicuro suo marito è circa la sua fama e il valore (fr. He would always be worrying about his own books). Brevemente, i suoi occhi incontrano quelli del marito. I due non parlano, anche se tra loro passa qualche comprensione. Nel momento in cui legge, percepisce lo sguardo del marito che sembra dirle di continuare a leggere poiché non sembra triste in questo momento. Lei è consapevole, da un improvviso cambiamento dello sguardo sul suo volto, che egli vuole qualcosa di più, vuole che dalle sue labbra escano delle parole che la donna non è mai riuscita a pronunciare (fr. He found talking so much easier than she did): vuole che gli dica che lo ami (fr. Will you not tell me just once that you love me?). La donna, nel mentre, si sente molto bella e pensa che nulla sulla terra potrebbe eguagliare la felicità di questo momento. Sorride e, anche se non dice le parole che suo marito vuole sentire, è sicura che lui lo sa, mostrando nuovamente la sua capacità di rasserenare l’animo maschile grazie alla sua capacità unificatrice (fr. For she had triumphed again). CROSSREADING: TIME PASSES La seconda sezione del romanzo pone Virginia Woolf di fronte una sfida inaudita: creare una narrazione senza personaggio, dando l’idea del tempo che passa attraverso il senso dell’oscurità totale, creando dunque una casa vuota che diventa il luogo in cu avviene la narrazione (fr. ‘One by one the lamps were all extinguished’). come se la casa parlasse da sola grazie alla fornitura abbandonata. L’aria diventa tetra, si riempie di fantasmi, stabilendo una condizione di impossibilità visiva e dunque assertiva: rappresenta la frattura storica della guerra vista come azione distruttrice del tempo e dell’immersione del caos, separando e dividendo in maniera dolorosa, manifestando il trionfo del caos rispetto al volto del passato come ‘nostalgia del tempo che fu’, provocando un vero e proprio ribaltamento tematico (fr. The nights now are full of wind and destruction). È dunque un annegamento nel vortice e nel gorgo del tempo e della morte, accentuata dalla morte di Mrs Ramsey ma anche dei fratelli Prue ed Andrew (forse una riscrittura delle vicende autobiografiche della stessa Woolf). Qui, Virginia riprende l’idea di scarto del tempo che passa, producendo un senso di straniamento: il tempo che passa è rappresentato da un personaggio inesistente, dunque dalla casa stessa che viene vista come un’entità spettrale ma rivelatrice di verità curiose (fr. Listening- had there been anyone to listen). Non rimane più niente se non le ombre negli specchi, ritrovandoci nel Thanatos oscuro, provocado una notte lunga e che durerà per 10 anni (fr. The house was left; the house was deserted). Si manifesta la decadenza della vita umana, lasciando spazio alla wilderness, prendendo il posto dell’ordine e della cultura e delle presenze umane, che ormai non popolano più la casa. CROSSREADING: THE LIGHTHOUSE Andiamo all’ultima sezione, la più semplice, vista come un approfondimento dello stile e dell’esperimento effettuato durante l’intero romanzo. Protagonista e narrante è la pittrice Lily, in cui il tema centrale diventa la prospettiva per capire le cose e guardarle da un punto esterno e ovviamente tale discorso era già presente, sin da subito, nella prima sezione, poiché il ricorso alla finestra non è altro che l’inclusione di una nuova prospettiva. Si riflette inoltre sul suo tentativo- seppur inconsapevole della protagonista- di elaborare il lutto e venire finalmente a capo dell’enigma che si celava dietro la figura di Mrs Ramsey, che ancora non riesce ad esprimere (fr. ‘nothing that she could express at all’). Tuttavia, le prime pagine della sezione denotano un rapporto conflittuale con Mr Ramsey, visto ancora come una figura limitativa ed oppressiva (fr. ‘She could not paint; he made it impossible for her to do anything’). Tuttavia, la risoluzione della sua coscienza dipenderà anche da lui, dal momento che i due personaggi devono contemporaneamente elaborare il lutto, ognuno secondo metodi diversi: lei tramite la pittura mentre lui grazie alla gita al faro insieme ai suoi figli. La rielaborazione del lutto, e dunque la riconquista del passato, dipende da questa gita, nel tentativo di sanare il rapporto con i suoi figli, che si mostrano ancora esitanti nel concedersi alle volontà del padre (fr. They vowed to resist tyranny do the death). Si tratta, in entrambi casi, di un ‘embedding introspettiva’, che però ha funzioni diverse. Tale tema presenta il padre che va al faro insieme ai figli, la cui barca è vista dalla prospettiva di chi rimane a terra. Ora non è più la finestra a fare da cornice, ma la distanza tra terra e mare: ci ritroviamo proiettati nella coscienza della pittrice, che compie ‘un passo indietro’ per vedere le cose da un punto di vista distante ed esterno, tentando di rivelarne l’enigmatico mistero. Infatti, i pensieri di Lily verso Mr. Ramsay cominciano ad ammorbidirsi solo dopo che lui parte per il faro. Solo allora la vista di Cam, James e Mr. Ramsay si rivela come una potenziale immagine di armonia (fr. a little company bound together and strangely impressive to her). La memoria è un altro passo vitale verso questa armonia. Sebbene morta da tempo, Mrs. Ramsay vive nella coscienza di Lily nella sezione finale del romanzo, perché fu Mrs. Ramsay a insegnare a Lily una preziosa lezione sulla natura dell'arte. Come la sua padrona di casa una volta dimostrato su una gita in spiaggia, l'arte è la capacità di catturare un momento dalla vita e renderlo ‘permanente’. Con questo obiettivo in mente, Lily inizia a dipingere. Qui, l’arte è vista come ri-creazione della memoria tramite la pittrice che viene vista come una tessitrice, perché ricrea la realtà secondo una logica alternativa (fr. ‘Her mind kept throwing up from its dephts, scenes and names like a fountain spurting’). Anche Lily vuole raggiungere il segreto del passaggio dalla fluidità della vita all’ordine dell’arte e raggiungere quel cono d’ombra che non è illuminato dal faro: lei stessa riconosce in Mrs Ramsey qualcosa che cede alla sensazione del linguaggio, poiché si spezza quella rete di relazioni che lei rappresentava. Continua la riflessione sulla parola che non vuole comunicare, rendendo immediatamente l’immagine in simbolo, giocando d’anticipo, prima che si trasformi in parola e in momento che vola via e per questo perde il proprio significato (fr. ‘This eternal passing and flowing was struck into stability’). Questa sezione si definisce come un Kunstroman, mostrando la ripresa di tale tema. Qui appare il fantasma di Mrs Ramsey, apparendo nella mente di Lily. Il pensiero del quadro è rimasto come pensiero fisso, rimasto lì per 10 anni in maniera attiva, riaffiorando in questo momento. Dunque, il riaffiorare del ricordo si traduce sulla tela bianca (fr. where to begin?), dunque la pennellata è un gesto irrevocabile tanto quanto lo sono le parole. ‘The great revelation perhaps never did come’, afferma Lily, poiché la realtà non riesce ancora manifestarsi, nonostante sia maturata. Si compie una riflessione parallela, poiché di fronte alla tela arriva ad alcune delle sue conclusioni, mostrando il tentativo dell’arte di rendere permanente il momento di rivelazione dell’arte. Dunque, Lily ricrea Ramsey tramite il ricordo, dunque la casa diventa il correlativa oggettivo di Mr. Ramsay, mostrando l’emozione che Lily provò la prima volta. Il passato non è dunque qualcosa di chiuso, poichè il fantasma che viene dal passato è qualcosa che genera fascino in quanto emozione continua, che si concluderà solo al termine del quadro. Nella vita reale dell’autrice, Vanessa la ringrazia per ‘averle riportato in vita la madre’: dunque, la rielaborazione del lutto esemplifica la rievocazione gioiosa del passato. La verità si trova soltanto nell’ombra, tra il momento di pausa tra un’onda e l’altra ed è in quell’attimo di sospensione in cui si annida quella rivelazione della realtà. Lily traccia una linea finale sulla sua pittura e si rende conto che è veramente finito, sentendo un senso di sollievo. Si rende conto che non le importa se sarà appeso in soffitte o distrutto, perché lei ha avuto la sua visione. La riflessione di James sul faro sottolinea le contraddittorie strutture psicologiche e narrative del libro (fr. ‘For nothing was simply one thing’). Il faro offre a James la possibilità di considerare la natura soggettiva della sua coscienza: è, per lui, sia una reliquia della sua fantasia d'infanzia e la struttura cruda, brutalmente reale e un po' banale che ora vede davanti a lui, compiendo un parallelo con la figura del padre che fatica ad elaborare. Proprio come Lily, James si rende conto che nulla è mai solo una cosa poiché il mondo è troppo complesso per tale riduzione e semplificazione. Queste metafore spiegano la tecnica di Woolf: solo presentando la narrazione come un insieme di coscienze diverse e in competizione poteva sperare di catturare una vera somiglianza dei suoi personaggi e dei loro mondi, tentando di rianimare il passato. A questo punto, Eliot cita frammenti di opere letterarie passate, scritte in lingue diverse, per ‘puntellare con essi le sue rovine’. In tal modo egli cerca di rappresentare lo stato di sfacelo della nostra civiltà, dove il passato, il tempo stesso, sembra crollare in un cataclisma universale. Questo concetto è espresso in modo assai coinciso da Joyce in un’unica frase, ossia ‘I hear the ruin of all space’. Risulta dunque evidente che il nucleo centrale del poemetto deve essere cercato nello stesso Ulysses, soprattutto nell’episodio più lirico, ossia Proteo: esso è stato dunque un vero agente attivo nella stesura della Waste Land, non solo sul piano concettuale ma anche su quello verbale. LA TECNICA JOYCIANA: STILE E TEMI Nella sua molteplicità espressiva fra i vari capitoli, Ulysses conserva un ritmo alterno: la diatriba fra i personaggi, resa a volte come catechismo a domanda e risposta o come dialogo alternante con citazioni da innumerevoli linguaggi e registri, si alterna ad improvvise immersioni nella mente e nelle emozioni dei personaggi, rese in prima persona e con sintassi minima, spesso ellittica. Questo causa un’opera di frammentazione tramite la successione di immagini legate ciascuna ad un singolo personaggio come in una carrellata cinematografica di brevissime frasi che anticipano testi successivi, o di sezioni di testo inserite in un altro ad interrompere la narrazione. Un’altra frammentazione è data invece dalla varietà di tecniche utilizzate in ciascun capitolo: per esempio, abbiamo la preponderanza del catechismo in ‘Nestore’ (capitolo 2) ed ‘Ithaca’ (capitolo 17) o il formato della commedia, con didascalie e battute in ‘Circe’ (capitolo 15). Si instaura inoltre un nuovo rapporto tra i lettori e l’autore, tramite l’inclusione di ‘enigmas and puzzles’ che stimolano la mente del lettore, giocando con l’orizzonte d’attesa e le aspettative che egli nutre nel corso della lettura, qui distrutte e deluse in maniera da provocarne la sorpresa: è emblematico il parallelo con l’Odissea di Omero, poiché lo schema mitico viene chiamato a dare ordine al caos dell’esperienza presente, divenendo una impalcatura narrativa che raccoglie lo smarrimento dei personaggi, come in un grande labirinto rappresentato dalla Dublino del secolo. Già dal 1920, Joyce mette in chiaro tale parallelismo: è questa una prima interpretazione orizzontale, dunque che riguarda la trama e l’azione dell’opera. L’interpretazione mitica dell’Odissea è anche verticale, dunque che riguarda i personaggi e l’interpretazione della loro interiorità: essa è legata allo schema della Bibbia, legata a sua volta al passato. Difatti, mentre lo schema dell’Odissea omeriana si organizza intorno al rapporto di Bloom e Dedalus con lo smarrimento nel tempo presente nella città di Dublino, il secondo schema biblico organizza la tematica del rapporto con i padri, dunque con la religione e la politica, in un dialogo costante tra generazioni passate e presenti. In più, ogni capitolo presenta l’assegnazione di un simbolo legato ad una parte del corpo, che rimanda dunque ad un ciclo biologico e corporale, scritto inoltre in un’ottica di pluristilismo, per cui ogni capitolo viene scritto in uno stile differente (ex. Hades, incubismo; Nestore, stile catechista). Lo stesso concetto di paternità si lega alla ricerca della propria identità, in cui ogni figura paterna e tradizionale viene ridicolizzata e storpiata nel linguaggio, anche per quanto riguarda la letteratura stessa: è di Stephen la teoria secondo la quale Hamlet rappresenta il figlio morto di Hamnet, Gertrude la moglie infedele di Shakespeare, mentre Shakespeare sarebbe il padre morto. La paternità è, insieme all’esilio del popolo ebraico, uno dei temi fondamentali del libro. Interessante è anche la peregrinazione stessa di Joyce per Trieste, Zurigo e Parigi- tre delle città più importanti per lui- poiché esiliato volontariamente, che permetterà il paragone tra ebrei e irlandesi in quanto popolo costretti ad un esodo secondo l’idea della storia di oppressione perpetuata dall’Inghilterra nei confronti dell’Irlanda in un’ottica di antisemitismo. Ciò ha a che fare con la religione, poiché la maggior parte dell’Irlanda era a maggioranza cattolica in quanto ‘Isola dei Santi’. Stephen è l'artista che ha già rifiutato la Chiesa, la patria, la famiglia e si muove per Dublino alla ricerca di un padre spirituale; Bloom, uomo diverso dall'individualista Stephen e ossessionato dal pensiero del figlio Rudy, scomparso dopo solo undici giorni dalla nascita, cerca a suo volta un figlio spirituale, assumendo un atteggiamento paterno nei riguardi dell'amico. Bloom rivede dunque in Dedalus un figlio, si fa carico dei suoi problemi e della sua salute, si interessa della sua vita, tentando di trovare dei punti di comunione intellettuale. Ma si intravede una differenza sostanziale che separa ineluttabilmente i caratteri di due diverse figure di esuli. Entrambi si muovono da stranieri per Dublino: Bloom, nella veste di ebreo errante lontano dalle proprie origini, si sente estraneo ad un mondo come quello rappresentato emblematicamente dal Cittadino, antisemita e nazionalista, e proprio per via della sua condizione di straniero può elevarsi rispetto agli altri e teorizzare una semplicissima utopia socializzante, pur avendo coscienza della distanza che la separa da un'amara realtà. Stephen è l'artista che sceglie la strada dell'individualismo, che ha già urlato il suo ‘non serviam’ ideologico, rifiutando ogni compromesso con una società da cui vuole staccarsi volando via, come Dedalo dal labirinto del Minotauro. Entrambi superano- o tentano di superare- la mediocrità irlandese ma in direzioni diverse. Stephen non può dunque accettare Bloom come padre spirituale proprio per la lontananza esistente tra loro, per le diverse attitudine politiche, culturali e letterarie. La protesta di Bloom è infatti semplice, dimessa, e mira ad affermarsi nei confronti degli altri (in primis la moglie) mentre Dedalus ha invece il bisogno di imporsi energicamente, di urlare il suo rifiuto. Per quanto riguarda la tecnica dello stream of consciousness, il visibile fa scaturire il flusso interiore di immagini e l’accozzaglia di frammenti che i personaggi maggiori portano con sé. Anche la camminata stessa di Leopold Bloom per Dublino, nomadismo in comune con la figura quasi filiale di Stephen, giustappone mediante illuminazioni ciò che egli vede e le sue associazioni introspettive, senza più gerarchia logica fra i pensieri insignificanti e squarci profondi. Bloom predilige la domanda bizzarra, la capacità di immedesimarsi per un attimo in altre persone e perfino negli animali. A questi sprezzi in prima persona si alternano rapidi e sconnessi scambi di battute fra Bloom e i personaggi che incontra, inframmezzati ai suoi pensieri. Anche un funerale si alterna fra i gesti rituali, le frasi di ricordo dei presenti e i pensieri liberi di Bloom circa gli aspetti più bizzarri e irriverenti della sua esperienza: è dunque una vera e propria mente babelica. L’ultimo personaggio a parlare, senza interruzione o punteggiatura, in otto sterminate frasi successive, è Molly Bloom, radicale affermazione dell’emancipazione femminile: i suoi pensieri liberi sono espressi senza alcun freno, contro ogni principio della morale e della religione. Molly inizia la sua catena di pensieri da Bloom, che si ricorda com’era da giovane e ripensa al proprio amplesso pomeridiano con il vigoroso amante. Passa poi in rassegna i suoi spasimanti e cosa preferiscono di lei, e la differenza fra gli organi genitali femminili e maschili. Quindi ricorda anche la sua infanzia in Gibilterra, la prima lettera d’amore, i frequenti spostamenti a causa dei problemi finanziari di Bloom, così come il giorno della proposta di matrimonio da parte di Leopold: è la sua una mente libera. CROSSREADING: THE TELEMACHIAD (TELEMACO, NESTORE, PROTEO) 1. TELEMACHUS La prima sezione si svolge nella Martello Tower, torre costruita dall’esercito inglese nel 1804 sulla costa dublinese dove dormiva Stephen Dedalus, insegnante nella scuola di Dokey. Fu dismessa nel 1897 e il primo civile a prenderla in affitto fu un certo Oliver St John Gogarty, allora studente di medicina e poi noto poeta e letterato, nonché amico di James Joyce e modello per il personaggio di Buck Mulligan, che paga l’affitto di 12 sterline al ministero britannico della Guerra. Notiamo come i nomi delle costruzioni sono inglesi, anziché irlandesi, rappresentando l’oppressione dell’impero britannico. In questa scena, ci troviamo circa alle otto del mattino. Il primo capitolo presenta uno stile tradizionale, con narrazione in terza persona, intervallati da narrazioni non chiare, muovendoci verso un territorio sempre meno tradizionale, rappresentato dal monologo interiore e in particolare nel terzo capitolo, Proteo, che rappresenta invece la vera novità come un momento in cui i lettori si trovano spaesati. Dopodiché, lo stile rimane questo fino al grande paradigma del capitolo di Eolo, dove lo stile viene presentato come una collage di varie parodie di articoli di giornale. Joyce non si limita dunque a commentare la cultura inglese o irlandese. Nutre ambizioni ben più grandi e niente può davvero preparare il lettore per quello che affronterà nell’Ulisse. Joyce non intendeva raccontare una storia usando le tecniche comuni e consolidate bensì far palesare i limiti di tale tecniche ed inventare nuovi metodi, nuovi stili e nuove tecniche prendendo spunto dalla letteratura europea contemporanea ma anche quella classica. Incontriamo il personaggio Back Mulligan nella sua camera intento a farsi la barba, divenendo una scena parodica di una messa, dunque un elemento di grandissima novità, quasi come in un romanzo umoristico, che sembra recuperare degli elementi della tradizione precedente in maniera latente. La citazione iniziale ‘Introigo ad altare Dei’ (Salmo 42, Antico Testamento) si riferisce alla frase che introduce la messa, mostrandosi anche come una parodia dell’invocazione alle muse. Qui viene introdotto anche il personaggio di Stephen Dedalus: Stephen era il nome del protagonista del protoromanzo di ‘Stephen’s Hero’ e ‘The Portrait of the Artist As A Young Man’, la cui narrazione si presenta come una continuazione in questo romanzo, situando il capitolo stesso in una sorta di ‘medias res’ intertestuale’. Chiamato ad una vita di artista, Stephen cercava di sorvolare le ‘reti’ della sua famiglia, della sua religione e della sua nazione. Il suo esilio volontario fu interrotto quando fu chiamato a casa il 26 giugno 1903 per stare con la madre morente.
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