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Il romanzo sperimentale e la coscienza nella società moderna - Prof. Locatelli, Appunti di Letteratura Inglese

Cultura e società modernaStoria della Letteratura IngleseTeoria letteraria

Del ruolo del romanzo nella società moderna e della necessità per gli scrittori di trovare nuove modalità di introdurre conoscenze nuove nel romanzo, rendendolo un strumento di conoscenza e non solo intrattenimento. un background storico-culturale sulla rivoluzione industriale e il suo impatto sul nuovo romanzo, in particolare sul romanzo dello Stream of Consciousness e il modernista. Vengono discusse le implicazioni di questo cambiamento per la scrittura di romanzi e la visione di Woolf sui classici e il nuovo romanzo.

Cosa imparerai

  • Che cosa significa il romanzo dello Stream of Consciousness?
  • Come gli scrittori moderni hanno affrontato la coscienza nel romanzo?
  • Come il romanzo ha evoluto nella società moderna?
  • Come Woolf ha descritto la differenza tra i classici e il nuovo romanzo?
  • Come il nuovo romanzo ha influenzato la scrittura di romanzi?

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 18/05/2022

Giorgia-Manganaro
Giorgia-Manganaro 🇮🇹

4.7

(6)

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Scarica Il romanzo sperimentale e la coscienza nella società moderna - Prof. Locatelli e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! LETTERATURA INGLESE III MODULO A Lezione 1 (10/10/2018) Il romanzo del 900 interagisce con tutte le nuove conoscenze/ambiti; i due nuovi scrittori, già citati, scrivono anche dei saggi interrogandosi sul piano filosofico di cosa stia succedendo ( in ambito scientifico abbiamo invece Einstein). Gli autori dell’epoca si interrogano sul senso del romanzo: che cos’è un romanzo? Questa era la domanda che si sono posti e le risposte erano tante. Che funzione svolge in romanzo nella società moderna? Come si rapporta il romanzo alle nuove conoscenze? E perché gli scrittori non possono scrivere come scrivevano i romanzi tradizionali? Perché essi devono fare un salto qualitativo, in quanto il mondo intorno a loro è cambiato (dall’età vittoriana all’età georgiana, i primi 20 anni del 900 che hanno visto una grande rivoluzione culturale). Gli scrittori perciò devono trovare una modalità enunciativa che introduca nel romanzo le nuove conoscenze, ma che faccia del romanzo uno strumento di conoscenza, non solo semplicemente qualcosa di entertaining; esso deve diventare un mezzo di conoscenza in modo nuovo rispetto a quelli del passato. Background storico- culturale: dal punto di vista sociologico o meglio sociale e storico, l’evento che segna l’inizio della modernità è la rivoluzione industriale del 700 in Inghilterra, che rappresenta il passaggio dalla produzione di beni e materie prime e manufatti di tipo artigianale, incentrata a livello familiare e industriale. Questa economia di beni ha un sistema di produzione seriale e appunto industriale. La rivoluzione industriale si compie anche dal punto di vista sociale perché cambiano gli assetti della vita quotidiana: l’artigiano perde l’aspetto creativo e individuale ma anche l’aspetto autonomo del proprio lavoro. Con la rivoluzione industriale tutti i lavoratori si equivalgono (tutti sono messi sullo stesso piano): sono tutti uguali e lavorano tutti nello stesso modo. L’artigiano e il contadino si trasformano in lavoratori dell’industria. L’agricoltura è ora un’economia basata sul piccolo appezzamento di terra posseduto dal singolo contadino e dalla famiglia, invece nel Medioevo c’era la proprietà collettiva: si nota il passaggio dal fatto che il singolo agricoltore deve cedere i propri terreni perché diventa operaio e si creano a partire dal tardo Medioevo (soprattutto nel Rinascimento) il fenomeno di “the enclosure”: porta dei cambiamenti perché i proprietari terrieri, soprattutto aristocratici, tolgono i terreni agli abitanti del villaggio e li dedicano non all’agricoltura ma all’allevamento delle pecore. Grande fenomeno che abbraccia tutta l’Inghilterra perché allevare pecore significava produrre lana. Dunque la lana inizia ad essere lavorata a livello industriale. Il restringimento delle aree agricole cambia il paesaggio rurale e il territorio a partire dall’epoca Elisabettiana. Queste staccionate (enclosure significa staccionata), steccato, cominciano a suddividere il paesaggio in piccoli appezzamenti di pascolo per le pecore e la rivoluzione non fa altro che ingigantire questo fenomeno. La tessitura è il settore in cui in Inghilterra avvengono le maggiori innovazioni tecnologiche (adesso dal 700 si tesse con il telaio meccanico e questo automatizza e velocizza il lavoro di tessitura). Insieme al settore tessile, dove la tecnologia è dirompente, quello che succede a livello tecnologico è il miglioramento della tessitura, e vengono lanciate altre nuovi invenzioni quali la macchina a vapore, che viene inventata nel tema della rivoluzione industriale nella seconda metà del 700, rivoluziona ancora di più il paesaggio rurale (non si usano più le carrozze). La rete di trasporti velocizza il commercio e gli scambi. Alte invenzioni sono il treno, il battello a vapore sia fluviale che sui laghi, tutto ciò accorcia le distanze e dà il benvenuto alla velocità, elemento della modernità. Ci soni state diverse proteste contro la ferrovia e le macchine: come quella dei lobbisti contrari alle macchine in quanto il cambiamento era talmente spontaneo da essere ingestibile per chi doveva subirlo. Con queste premesse della rivoluzione industriale si creano accordi fondamentali che portano alla creazione delle città industriali: urbanizzazione, altro fenomeno della modernità. Spesso le fabbriche erano vicine alle città, quindi si vedeva un afflusso massiccio verso le città delle persone dove fioriscono città come Londra, che diventerà una capitale finanziare che industriale, ma non solo. Le città che esplodono della rivoluzione industriale sono Birmingham, Seattle, Leicester, Leeds. Queste città diventano sempre più importanti: anche Liverpool diventa importante per il porto, uno dei porti più importanti per il traffico internazionale e diventa importante per l’importazione del cotone dalle colonie, come India e Egitto, veniva portano a Liverpool e lavorato e tessuto lì. L’Inghilterra aveva i mezzi per lavorare il cotone, anche se veniva lavorato prima in India. La lana diventa un grande oggetto di commercio, e quindi il commercio dell’Inghilterra si diffonde in tutto il mondo e per gran parte dell’800 sarà la prima potenza mondiale, poi verrà schiacciata dalla Germania e Stati Uniti. Il ciclo produttivo: materie prime a basso costo, produzione su larga scala, esportazione a livello internazionale rendono l’Inghilterra una grandissima potenza economica e industriale in pochi decenni. L’industria estrattiva del carbone e del ferro, ovvero le miniere, sono essenziali per l’Inghilterra. Esse sono fonte di energia e occorrono per la lavorazione dell’acciaio e ghisa in modo da costruire le ferrovie. Gli agricoltori se non operai diventavano minatori, perciò dai villaggi rurali andavano nelle miniere dove c’era anche lavoro minorile a partire da 8 anni per lavorare 12 ore. Osservando l’Inghilterra noi possiamo capire cosa succederà negli altri stati che seguiranno a ruota politiche analoghe. Questa situazione di potenza industriale e commerciale si appoggia su una ideologia molto precisa che è l’ideologia del “free trade”, ovvero libero mercato: essa prevedeva di acquistare le materie prime in tutto il mondo, gestire il processo produttivo senza ostacoli di protezionismi e isolazionismi e l’Inghilterra diventa “the first commer to the industrialization”. Le prime importanti riforme sociali vengono fatte nel primo 800, come spostare il lavoro minorile a 12 anni anziché 8. Le politiche coloniali inglesi nascono nel XVI secolo, come l’attacco alle navi spagnole che erano arrivate in Asia prima degli inglesi. All’inizio non sono in grado di inserirsi in questa dinamica, ma poi man mano cominciano ad entrare in questo gioco e allora il famoso trattato di vasiglia?, che aveva spartito diviso Spagna e Portogallo e gli inglesi si inseriscono in questa dinamica fondando compagnie che hanno precisamente questo scopo: East India Company che ottiene un monopolio sui commerci nell’Oceano Indiano, dando avvio ad un commercio asiatico. Questo insediamento commerciale diventa poi una vera e propria dominazione: processo lento ma continuativo, nel 1784 l’Indian Act concede ai governatori delle compagnie poteri anche politici, che dà inizio alla colonializzazione. La compagnia diventa una sorta di governo autonomo che gestiva il commercio delle materie prime in quella zona. Alla fine del XVIII secolo l’Inghilterra perde le colonie in America che raggiunge l’indipendenza e resta solo il Canada: dominions, forma di governo semi indipendente, si tratta di una gestione locale degli affari interni mentre si tiene legato il dominion all’Inghilterra per quanto riguarda le politiche estere. Vale anche per l’Australia e l’Africa che sono territori in cui l’Inghilterra colonizza. Essa occupa l’india, la Birmania, Sudan, Nigeria, Serra Leone, e conquista il Kenya, Uganda, finché arriva a scontrarsi sulla questione sud africana con gli olandesi che avevano occupato quella zona prima degli inglesi. Fine metà dell’800 c’è stata la Guerra Boera (boeri erano gli olandesi) basata sulla contesa dell’Africa con gli olandesi: territorio ricco di materie prime e diamanti. Gli inglesi trasformano il Sudafrica in dominion. L’espansione continua fino all’800 quando l’Inghilterra occupa a vario titolo l’80% dell’Africa e il 60% dell’Asia. Nell’età vittoriana, la regina Vittoria viene proclamata imperatrice dell’india (Empress of India). Poi ci sono anche i francesi come nemici. Gli inglesi si scontrano con la Francia dopo le guerre napoleoniche perché vogliono l’Egitto, che diventa strategico prima per il cotone ma soprattutto con l’apertura del Canale del Suez, 1869, che consente ai commerci di evitare di fare tutto il giro e la scorciatoia era l’Oceano Indiano. Per mettere a posto alcune configurazioni di questi periodi storici- età georgiana 1877 Queen Victoria, empress of India 1901-100 Edward VII 1910-1936 George V Edward VIII-> George VI positivamente e come luogo di nuove opportunità e di emancipazione. Si crea un'immagine bivalente della città perché rimangono comunque i problemi di inquinamento e massificazione. Un luogo di riscatto ed emancipazione, ma anche un luogo nel quale permangono alcuni grossi problemi che le riforme cercano di correggere. LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LE SUE CONSEGUENZE IN INGHILTERRA Si tratta di un evento che ha enormi complicazioni ed enormi ripercussioni: storiche, politiche, economiche e sociali. Da un punto di vista critico e storico, le cause di questo conflitto sono i conflitti che si innestano tra i vari nazionalismi europei, in corsa per la conquista di territori vari nel mondo (Africa), ma anche la lotta per la conquista dei mercati mondiali, quindi a livello commerciale. Entrambe sono ragioni economiche, che stanno sempre alla base delle guerre. Non sempre si tratta di ragioni ideologiche, che talvolta diventano coperture, le vere cause vanno cercate in questa dinamica delle tensioni nazionalistiche. In tutta la prima metà del 900, l'Inghilterra teme la Germania come rivale per la sua capacità di diversificazione nel campo industriale e di competizione a questo livello. A questo si aggiunge la ricerca di nuovi mercati quando la Germania di inserisce in una lotta per il possesso delle colonie e questo terreno di scontro porterà ad un conflitto. C'erano due fronti contrapposti che erano l'Intesa (Inghilterra, Francia, Russia) e la Triplice Alleanza (Germania, Italia, Austria). Inizialmente l'Italia entra come alleata di Austria e Germania, per poi passare nell'Intesa. La guerra scoppia nel 1914 e nel 1917 entrano nel conflitto gli Stati Uniti e questo diventa determinante per la vittoria dell'Intesa. L'illusione iniziale era che la guerra sarebbe stata una guerra lampo, una cosa veloce, ma è un'illusione che si infrange ben presto sulla battaglia della Marna in Francia, dove si vede che questo conflitto è spaventoso ed è inedito nella sua crudeltà a causa anche delle nuove tecnologie che vengono applicate agli armamenti (bombe); è la prima guerra in cui vengono impiegate le bombe nelle trincee. Questo trova del tutto impreparati i soldati inglesi e francesi. Tutti i soldati della prima guerra mondiale vengono scioccati da questa nuova tecnologia. L'entrata in guerra dell'Inghilterra è partita dal presupposto che sarebbe stata una cosa veloce ed è preceduta da una sostenuta propaganda a favore; propaganda gestita dal partito conservatore, ma anche dal partito laborista seppur con qualche eccezione. Unica grande eccezione è il leader del partito laborista in Inghilterra, Mcdonald, che si dimette immediatamente perché in disaccordo con le linee del partito di appoggio alla prima guerra mondiale. Tuttavia l'esordio del conflitto in Inghilterra parte con entusiasmo, con l'idea che sarà una guerra breve, che l'Intesa è forte e quindi la prima generazione di soldati che vanno ad arruolarsi sono tutti volontari, non c'è la leva obbligatoria. La propaganda politica aveva entusiasmato i giovani e la prima generazione è fatta da volontari. Questa prima generazione muore decimata in guerra, la leva allora diventa obbligatoria nel 1916 perché devono sostituire fisicamente la generazione dei caduti sul fronte francese nella prima fase della guerra e col perdurare del conflitto pian piano anche in patria si comincia a manifestare un atteggiamento perplesso, critico e di opposizione alla guerra. Questa opposizione è soprattutto da parte degli intellettuali che avevano sperimentato la guerra o conosciuto gente direttamente coinvolta. Questi intellettuali cominciano a comporre poesie e a scrivere romanzi contro la guerra. Si delinea la figura del soldato reduce che ritorna col suo shell-shock (trauma della bomba), hanno visto i loro compagni dilaniati dalle bombe e questo trauma perdura dopo il ritorno con problemi psichici gravi. In tutta l'Inghilterra si cominciano a percepire una serie di problemi e la guerra diventa un trauma nazionale, collettivo, dovuto al costo altissimo di questo conflitto, in termini psicologici e sociali oltre che in termini economici, nonostante la vittoria riportata, non c'è famiglia in Inghilterra che non abbia subito gravi perdite o vissuto crisi psicologiche, morali tremende. Il trauma di questa guerra porterà l'Inghilterra nei decenni successivi, soprattutto negli anni 20-30 a optare per una politica di Appeasement (politica di grande riluttanza all'entrata in un'altra guerra). Questa politica dura per tutti gli anni 20-30 ed è una riluttanza che alla fine porterà a non allarmare troppo, almeno non subito, l'Inghilterra durante l'ascesa di Hitler. Ci vuole del tempo prima che l'Inghilterra registri la minaccia Hitler proprio perché questa politica era un rifiuto ad entrare in un'altra guerra dopo gli orrori visti. È importante sul piano psicologico proprio perché è stata così devastante a livello nazionale l'effetto della prima guerra mondiale. Questi sono effetti psicologici. Ci sono anche degli effetti economici-sociali molto chiari che derivano dal conflitto mondiale. Prima di tutto un intervento statale in ambito economico; lo stato entra nella politica perché durante la guerra deve gestire il controllo di tutte le materie prime e anche della forza lavoro. Durante la guerra si crea il cosiddetto Department of Resources (ministero delle risorse), che scavalca ogni ideologia del lassaiz faire (stato fuori dalla politica) e quello che non si era realizzato con un'ideologia socialista viene realizzato per necessità durante la guerra. Questo lascia un imprinting nelle politiche industriali anche dopo la guerra; cambia il rapporto tra lo stato e gli industriali, rappresentati dal partito conservatore, che si vedono costretti ad accettare l'intervento statale e a rinunciare all'idea del free trade perché niente sarà più come prima; anche a livello di economia nazionale le cose sono cambiate. L'intervento statale non si crea sulla base di un'ideologia socialista, ma sulla base di esigenza bellica. Un grande cambiamento nelle relazioni tra le associazioni operaie (trade unions) e le industrie. I lavoratori acquisiscono un potere contrattuale maggiore, diventano più coscienti dell'importanza del loro ruolo nel procedimento industriale e si delineano delle contrapposizioni; non è più semplicemente l'allineamento dei leader, ma questa diventa più una contrapposizione: da un parte si vedono gli interessi del capitale e dall'altra gli interessi del lavoro. I due schieramenti si configurano come una chiara opposizione, gli interessi dell'uno non coincidono con gli interessi dell'altro. Altro cambiamento enorme dopo la guerra è la posizione sociale delle donne che acquisiscono maggior considerazione per il semplice fatto che durante il conflitto avevano sostituito gli uomini al fronte in tutte le mansioni maschili (guidavano treni, andavano in miniera, andavano in fabbrica) e questo dimostrava che le donne potevano smettere di fare gli angeli del focolare e occuparsi di altre cose diverse da quello. Se prima le donne dovevano essere viste ma non sentite, poi hanno capito che riescono a fare molte cose. Da qua rivendicazioni sul piano del lavoro e sul piano politico. Si estendono i diritti delle donne alla sfera politica. Anche la posizione delle donne come quadro sociale è diversa. Altro aspetto importante della guerra è la questione irlandese. L'Irlanda era stata occupata già nel 1600 dagli inglesi e poi era diventata una delle prime colonie, così dall'Irlanda come dalle altre colonie si arruolavano soldati che andavano a combattere per l'Inghilterra. Solo che la questione è contraddittoria perché i soldati irlandesi, quelli delle colonie, i sudafricani, i soldati scozzesi alla fine del conflitto si rendono conto che hanno combattuto una guerra che non era la loro; si rendono conto che non potevano identificarsi con gli scopi di quella guerra e avendo subito gravi perdite umane per un conflitto provocato da altri, del tutto estraneo, che non portava loro nessun beneficio, comincia a nascere un'ulteriore consapevolezza dell'indipendenza. La popolazione irlandese comincia a rivendicare la propria indipendenza dall'impero britannico e nel 1919, un gruppo di 72 rappresentanti parlamentari irlandesi nel parlamento di Westminster a Londra, abbandonano per protesta il parlamento britannico e fondano a Dublino un parlamento indipendente proclamando la nascita della repubblica irlandese. La repressione del governo inglese è tremenda, è condotta con la creazione di un corpo di polizia (black and tend?) fortemente militarizzata che vuole soffocare gli indipendentisti irlandesi. Gli irlandesi rispondono creando a loro volta un esercito di liberazione l'IRA (Irish Republican Army). I conflitti durano fino al presente. Nel 1921 si arriva alla divisione ufficiale dell'Irlanda in due: Repubblica Irlandese con 26 contee cattoliche, capitale Dublino; e una parte che rimane sotto il Regno Unito con capitale Belfast. La completa indipendenza delle contee cattoliche, da dominio a indipendenza sarà nel 1949. Questi sono gli eventi politici-sociali del background. CONTESTO CULTURALE-FILOSOFICO L'inizio del XX secolo è caratterizzato da grandi innovazioni in ambiti molto diversi e da una sorta di vertigine conoscitiva, una grande crisi dei vecchi modelli, dei vecchi quadri della cultura occidentale, soprattutto in ambito filosofico e scientifico, in fisica, in filosofia, ma anche nella letteratura e nelle arti figurative. I primi anni del 900 sono una grande fase rivoluzionaria sul piano culturale. Si assiste alla fondazione di tutta una serie di nuovi saperi, nuove discipline e quasi tutto cambia rispetto alla vecchia prospettiva filosofica. Cambia la visione del soggetto e del mondo; la soggettività viene pensata in un altro modo perché ci sono queste nuove discipline. Il 900 è l'anno di pubblicazione dell'Interpretazione dei Sogni di Freud e quindi della nascita della psicanalisi, una nuova disciplina che avrà un impatto crescente nella cultura del tempo e avrà anche il potere di scatenare moltissimi dibattiti e controversie, ma provocherà dei cambiamenti radicali nella percezione dell'identità del soggetto. Dopo Freud il soggetto viene ripensato in modo completamente nuovo; la grande differenza che il padre della psicanalisi presenta è che il soggetto non è solo un animale razionale, come aveva detto Aristotele; per Freud non è vero che l'uomo è irrazionale, ma c'è molto di più nella psiche, molto più della ragione. La ragione è solo una minima parte del territorio molto più ampio, in questo universo che Freud chiama psiche. Chiama psiche qualcosa che è molto di più della sola ragione. Freud non studia solo i sogni, ma anche i lapsus, gli atti mancati, il morto di spirito, tutti fenomeni che non erano mai stati analizzati. Freud focalizzandosi su questi fenomeni arriva a delineare una visione del soggetto molto più complessa che non semplicemente di animale razionale. Questi fenomeni diventano una via maestra verso l'inconscio che è il concetto fondamentale su cui si fonda la psicanalisi. (psicanalisi = studio dell'inconscio). Il soggetto può essere immaginato con una sua complessità come l'iceberg. La parte emergente è la razionalità, la parte sommersa è l'inconscio. Questa dimensione della psiche affiora tramite il sogno in modo obliquo, cifrato, non in forma logica o razionale. Affiora con messaggi che bisogna interpretare perché fino a quel momento erano stati ignorati. I messaggi vanno interpretati e l'opera di Freud aiuta queste interpretazioni sia sul piano clinico (psicanalisi come terapia), sia sul piano epistemologico (psicanalisi come filosofia). La psicanalisi dal punto di vista epistemologico consente lo studio delle dinamiche dell'inconscio e quindi della psiche. Freud crea una nuova mappatura del soggetto, che si rivela molto più complesso di come era stato percepito nel passato. La mappatura che Freud propone comprende 3 livelli, che si influenzano e che costituiscono il soggetto. – Es: inconscio che è reso accessibile tramite i sogni, lapsus. – Ego: l'io diurno, il territorio della coscienza consapevole. Comprende anche la ragione che è una parte dell'ego, l'ego non è solo razionalità, è il territorio della coscienza lucida, pensante, palese. – Superego: identità morale e culturale del soggetto perché il superego comincia a formarsi fin dalla nascita tramite la cultura, il superego è ciò che viene plasmato del soggetto in base alla cultura di appartenenza, tutti nascono in una cultura. Con il superego continua la formazione, continua l'educazione. Il superego tende a identificare il soggetto con le figure parentali, con i genitori che fungono da modello, esempi di condotta pratica e morale perché trasmettono i principi della società. Nel superego esiste una capacità di sublimazione delle proprie pulsioni. Freud indaga il concetto di repressione come capacità di rinunciare alla proprie pulsioni personali in nome della convivenza col gruppo di appartenenza. Freud sostiene che le pulsioni vanno coniugate con i principi del vivere sociale, i principi della società altrimenti si torna nella barbarie. Gli scrittori del romanzo dello Stream of Consciousness si occupano di coscienza, parola affine all'inconscio, e sono interessati alle scoperte della psicanalisi. Gli scrittori dello Stream of Consciousness capiscono che il romanzo modernista non può aspirare solo a raccontare una storia per intrattenimento, per diletto o per insegnamenti morali, ma il romanzo deve diventare un mezzo che indaga nella psiche ed è qui la maggiore affinità con la psicanalisi. Freud paragona la psicanalisi all'archeologia, psicanalisi = archeologia dell'inconscio. Prendere gli eventi della prima infanzia era uno scavo. Anche il romanzo dello Stream of Consciousness vuole recuperare le dinamiche della coscienza, quindi sondare la coscienza nella sua complessità (parola chiave del 900). L'aspirazione fondamentale del nuovo romanzo è di chiedersi cosa succede nella coscienza. Gli scrittori modernisti vogliono fare un romanzo che sia più realista del romanzo realista, realista inteso come vicino alla complessità psichica del soggetto perché il soggetto viene indagano in presa diretta, sequenziale. Bergson crede di dover cambiare l'idea tempo e introduce un nuovo concetto che non è più il concetto di tempo in senso quantitativo, ma è la durata. La durata è un concetto fenomenologico ed è, secondo Bergson, un dato immediato della coscienza; la durata è il tempo soggettivo che si contrappone al tempo misurato dell'orologio. Non si può distinguere l'oggetto conosciuto dal soggetto che conosce e ancora una volta il tempo assume tante valenze. Il tempo è durata (5 min dal dentista = eternità. 3 ore con il ragazzo = 5 min)e la durata è la percezione, la sperimentazione soggettiva del tempo. Il mondo è cambiato così come il tempo e questi cambiamenti devono riflettersi nel romanzo. Il romanzo fa una sperimentazione sulle strutture temporali; la storia non viene più raccontata in ordine Ordo Naturalis, ma si introducono dei flashback, o si fanno iniziare certi romanzi in medias res. La sperimentazione che parte dalla nuova idea tempo, cioè dall'idea di durata abbandona, anzi mette in secondo piano l'Ordo Naturalis, ma esalta il tempo della coscienza (durata) e quello che è importante è rappresentare ciò che quel tempo, quel momento, è per il soggetto. Con la fenomenologia cade l'ambizione di pensare di rappresentare il mondo così com'è perché ognuno ha la sua visione del mondo. Ognuno parla della realtà e dice qualcosa di essa, ma in verità dicono qualcosa di come vivono la realtà; il mondo come è visto secondo la consapevolezza di un sociologo, scienziato, artista, romanziere, ecc. Ecco perché in questi romanzi ci sono delle trasposizioni cronologiche; analessi e prolessi. L'analessi nella teoria del romanzo, è un flashback; la prolessi è un'anticipazione di qualcosa che avverrà in futuro. Nei romanzi ci sono più analessi perché diventeranno romanzi della memoria. Di solito nel romanzo tradizionale si seguiva la vita dell'eroe dall'inizio alla fine in una progressione lineare che era il tempo cronologico. Nei nuovi romanzi non si segue la vita del personaggio in progressione lineare, ma la sua storia va messa insieme dopo aver esaminato tutte le analessi e prolessi con cui lo scrittore parla della vita del personaggio. (Mrs Dalloway romanzo che sovverte le categorie temporali tradizionali, è un romanzo in cui il ricordo gioca una ruolo fondamentale. Non c'è più lo schema classico della continuità, della concatenazione, ma è una vita intera tramite flashback, una vita completa della protagonista. Sta a noi ricavare il tempo della storia, la cronologia perché il romanzo non la dà in modo lineare e anche la descrizione cambia così come le coordinate tempo e spazio). Nel 900 nasce il concetto di cronotopo: fusione del tempo e dello spazio. Dalla fisica di Einstein in poi non si possono separare tempo e spazio. LA FENOMELOGIA NEL ROMANZO La fenomenologia vuole rappresentare il mondo senza le vecchie regole e senza mistificazioni, senza la vecchia mimesi tradizionale che dava una garanzia fasulla di oggettività, e pertanto gli scrittori si cimentano con questa sperimentazione. I temi della letteratura non cambiano, sono sempre gli stessi, da Omero a Beckett. I temi saranno sempre, finché esisterà la letteratura, l'amore e la morte; ma quante forme di amore ci sono? Almeno una decina in ogni romanzo. Che cos'è l'amore? L'amore dove? Per chi? In quale testo? Quello che è importante è la prospettiva che cambia perché cambiano i quadri storici, filosofici e i contesti. I temi sono gli stessi; ad esempio si può sempre avere una rappresentazione della città, ma nessuna di queste avrà la pretesa di spiegare come è la città davvero. Il bello di un romanzo è che fa conoscere la città tramite certe percezioni diverse, tramite chi la conosce e la vive. Lo spazio viene dato non più come mimesi oggettiva, ma come percepito dal personaggio e dunque sarà diverso per ognuno. Ecco cos'è la fenomenologia calata nel romanzo sperimentale: conoscere degli spazi vissuti dal personaggio, avere una visione poliedrica degli stessi luoghi, ma saranno diversi perché filtrati dalla coscienza di diversi personaggi. Queste discipline hanno scardinato il vecchio modo di rappresentare la realtà, l'hanno messo in questione, sotto un punto di domanda e gli scrittori vogliono rendere questa esperienza. Le loro descrizioni del mondo sono filtrate da quella fenomenologia della percezione che fa dei loro romanzi qualcosa di nuovo e di unico nella storia della letteratura. Questi romanzi sono stati anche definiti troppo estetici, in senso dispregiativo, ossia qualcosa che non si misura, sofisticato ed elaborato. Sono estetici perché più complessi e richiedono una maggior attenzione perché riflettono i problemi del 900, le nuove discipline, i nuovi saperi, le nuove prospettive e in più sono autoconsapevoli; sono quindi consapevolmente diversi da quelli tradizionali perché questi scrittori (Woolf, Joyce, Forster...) si chiedono che cosa vuol dire fare un romanzo oggi, in quel momento e dichiarano di non poter più adoperare le vecchie forme. Quando gli si chiede cosa vuol dire scrivere, fare un romanzo, rispondono che si tratta di rappresentare con più attenzione, intelligenza e onestà, senza formule collaudate, la rappresentazione della realtà. Questa è la nuova mimesi che è un nuovo realismo più realista del realismo tradizionale perché il realismo tradizionale era basato su certe formule, definite effetti di reale; prometteva e garantiva che quella era la rappresentazione oggettiva. Gli scrittori modernisti non vogliono dare una rappresentazione oggettiva, ma per questo vogliono dare una rappresentazione più vera perché ognuno che sperimenta una certa situazione la vive in modo diverso. Questo allarga molto la visione di cosa sono il mondo e la realtà; non si incapsula la realtà dentro formule e definizioni. La fisica dice che il mondo è governato da una indeterminatezza, ossia rappresentare con più verità, con meno mistificazione, la spontaneità del personaggio, le percezioni, le sensazioni, i ricordi. La sfida di definire una sensazione e una percezione; non ci si pensa perché si sente e si percepisce, ma uno scrittore che voglia rendere conto di che cosa significhi percepire o sentire, alla fine si crede che questi romanzi ci facciano sentire più vivi e ci diano anche un'idea più ampia della realtà. Il discorso del romanzo si allarga a cosa lo scrittore riesce a fare, quali strategie, scopi e mezzi mette in campo per raggiungere questa nuova mimesi che non sia un effetto di reale, ma un tentativo di dare l'esperienza vissuta. Non si parla più di realtà oggettiva, ma di verità del vissuto. STREAM OF CONSCIOUSNESS La fenomenologia, che è rendere il vissuto, ci porta alla definizione dello Stream of Consciousness. La definizione stessa esce da una frase usata per la prima volta da uno psicologo americano William James che scrive nel 1890 Principle of Psicology dove parla della psiche come di uno Stream of Thoughts (flusso di pensieri). James pensa alla libera associazione di idee racchiuse nella psiche. Egli parla della psiche come di uno Stream of Thoughts e la cosa importante è la parola Stream (flusso). La psiche non è una facoltà come la ragione, ma è qualcosa di dinamico. Focalizzare l'attenzione sulla dinamicità della coscienza vuol dire stare attenti a quello che succede quando uno vive. Suo fratello è Henry James scrittore di romanzi che si avvale delle tecniche moderniste. L'espressione Stream of Consciousness viene usata dalla filosofa inglese May Sinclair. Ella crea questa espressione partendo dalla lettura di una serie di romanzi di una scrittrice contemporanea Dorothy Richardson (Pilgrimage). Scrive un romanzo semi autobiografico in 12 volumi in cui May Sinclair trova le tracce di qualcosa di sperimentale, un nuovo modo di rappresentare la coscienza del personaggio e lo chiama Stream of Consciousness. La protagonista ha una continuità determinata dalla coscienza e quindi quella che diventa lo Stream of Consciousness Novel sarà un romanzo basato sulla continuità della coscienza, che non è necessariamente quella dell'Ordo Naturalis. Molte volte si dice erroneamente che i romanzi dello Stream of Consciousness sono intimisti. Sono romanzi che rappresentano il mondo perché nella coscienza c'è il mondo esterno, c'è il vissuto e non si può separare il soggetto dall'oggetto. Se si parla della coscienza del soggetto, si parla di una coscienza di un soggetto che si rapporta col mondo e con gli altri. Non si parla della coscienza di qualcuno che è in una campana di vetro e quindi questa idea intimista. Nella coscienza c'è il mondo, per questo non sono intimisti, non sono ripiegati sull'auto riflessione. Sono romanzi che obbligano a capire la convenzionalità dei romanzi tradizionali nel momento in cui provano a fare qualcosa di diverso. Nel contesto dell'età eduardiana ci sono due filoni narrativi: Novels of Ideas e Congenial Novels. Novels of Ideas: romanzi a tesi, vogliono portare avanti un messaggio, che discutono delle nuove teorie; il romanzo diventa uno strumento per i dibattiti sulle idee. Sono romanzi ancora in parte legati ai canoni tradizionali. Congenital Novels: i novelists sono Henry James, Joseph Conrad, Dorothy Richardson, Virginia Woolf, James Joyce, E. M. Forster. Sono caratterizzate da una coscienza dello strumento narrativo. Una consapevolezza di sondare la coscienza anche se questi scrittori differiscono molto tra loro, ma ognuno cerca di rappresentare i moti della coscienza e mette in discussione le abitudini affabulatorie tradizionali. Bisogna scrivere dei romanzi che non siano copie di altri romanzi, ossia romanzi che non vadano sul sicuro ricalcando quello che era già stato scritto e detto dai classici, ma che siano diversi. Il romanzo tradizionale aveva avuto successo, ma non basta più, si deve entrare in una ricerca espressiva e critica e bisogna abolire il dogmatismo tradizionale e riportare il romanzo a qualcosa di significativo culturalmente e non un semplice passatempo. Bisogna fare del romanzo una sonda conoscitiva dell'io, dell'individuo. Il realismo non è più pensato come incremento di effetti di verità, ma deve essere pensato con dei canoni diversi, che non sono quelli di un riconoscimento. Si deve rischiare questa scommessa conoscitiva e arrivare ad una nuova mimesi. Lezione 4 (17/10/2018) Oggi parliamo della novità rappresentata dai romanzi sperimentali, ma oggi lo facciamo già a partire da modern fiction, saggio di Woolf perché questi scrittori sono anche molto consapevoli della loro attività di romanzieri e si pongono tanti interrogativi su cosa significhi scrivere, perché scrivere oggi è diverso dal scrivere di un tempo. Seguiremo lo sviluppo del saggio. Modern fiction è apparso in un volume chiamato The common reader (il lettore comune), ma ancora prima di essere pubblicato era comparso sul Times literary supplement, rivista tuttora presente che nel 1919 venne pubblicata con il titolo di Modern novels anziché Modern fiction. All’inizio del saggio troviamo alcune riflessioni sul continuo dibattito letterario tra il classico e il contemporaneo. La cosa interessante in esordio di questo saggio è che Woolf dice subito cosa trova di diverso: l’elemento più diverso è che nei classici lei trova una semplicità (non stupidaggine) di scrittura che quando lei scrive sembra quasi irraggiungibili e impossibile perché il presente si è complicato, esso è più complesso. I contemporanei non possono più scrivere esattamente come scrivevano i classici, la loro semplicità sembra oggi strana e impossibile da raggiungere. Gli scrittori classici, anche quelli più noti, hanno una modalità narrativa diversa basata su strumenti semplici e materiali primitivi/rozzi (Based on simple tools and primitive materials). Questa è una caratteristica dei classici che è irraggiungibile ora in quanto l’arte contemporanea deve essere un miglioramento di quella del passato. Woolf sceglie due romanzieri inglesi Henri Fielding, inventore del romanzo del ‘700. Lui è l’inventore di questo genere letterario e poi una grande autrice classica è Jane Austen. Fielding è importante e Jane è degna di ostinazione per la bravura con cui ha saputo rendere certi aspetti del suo contesto sociale. Il grande romanzo della tradizione inglese è focalizzato su contesti reali, è sempre una romanzo realistico, anche se non volutamente realistico. Woolf li chiama geni ma noi contemporanei abbiamo più opportunità rispetto ai classici: non sta dicendo che i classici hanno scritto cose facili, ma hanno scritto tali opere quando il mondo era più semplice e definito nelle sue categorie sociali ed ideologiche, c’erano delle gerarchie e delle regole ai quali tutti sottostavano. Nella prima parte del saggio, Woolf fa un’analogia tra scrivere romanzi e produrre macchine/motori, ovvero oggetti meccanici. Mentre nella produzione di macchine abbiamo visto un enorme progresso (rivoluzione industriale), nella letteratura non c’è un processo analogo per cui noi possiamo dire che scriviamo meglio di Omero, ma c’è un movimento che è una sorta di spirale in cui la tradizione confluisce e viene portata avanti, viene dinamicizzata. Ci sono sempre delle influenze del passato perché gli scrittori comunque si appoggiano al passato, anche se il loro compito è quello di superare il passato. Non c’è una condanna dei classici, nonostante Woolf parli di semplicità irraggiungibile, ma oggi vediamo i risultati che hanno ottenuto allora e ci sembra che i classici non abbiamo fatto fatica a scrivere, hanno fatto poco sforzo, mentre oggi sembra che si debba combattere per ottenere un risultato analogo. Woolf non prende una posizione di condanna del vecchio contro il nuovo, ma le opere dei classici sono capolavori che i contemporanei non devono imitare, ma fare qualcosa di diverso. Il passato però non è da svalutare, non è una posizione bianco e nero, è una posizione su una complessità del rapporto tra classici e moderni. In futuro saranno i lettori che giudicheranno se oggi abbiamo fatto dei capolavori oppure se abbiamo scritto scrittori non hanno perché vanno avanti a utilizzare le convenzioni perché si fa meno fatica. Ci vuole coraggio a fare un buon romanzo secondo Virginia Woolf e cos'è un buon romanzo? È un romanzo fedele alla vita, cioè quanto più vicino alla vita possibile. Virginia Woolf ci invita a essere fedeli alla vita non dall'esterno secondo una posizione oggettivante, descrittiva come quella dei material writers, ma da una prospettiva della vita come viene vissuta, cioè dall'interno; dalla vita in quanto impatta sulla coscienza e viceversa. Quindi l'invito allo scrittore è di essere più libero e più coraggioso, non uno schiavo delle convenzioni, ma deve stare attento ai propri sentimenti, alle proprie emozioni; è quello che deve investigare e non ci interessano i dettagli. Significa che dobbiamo lasciar perdere il modo e le convenzioni tradizionali o non faremo mai un vero romanzo vicino alla vita; bisogna cambiare registro. Ai tempi di Virginia Woolf si era ancora in una fase di rischio nel senso che non si sapeva ancora il risultato, non si sapeva cosa sarebbe successo abbandonando le formule collaudate e provando a fare qualcosa di diverso. Virginia Woolf è consapevole del fatto che adesso è impossibile valutare cosa succede, ma adesso bisogna cambiare; la parola d'ordine è questa anche se non si può sapere il risultato, se sarà piacevole o no, se questo tipo di nuovo romanzo verrà apprezzato dal pubblico o no, se troverà un interesse da parte di quali lettori. Le cose sperimentali sono un po' spiazzanti e non sempre si è pronti a capire cosa ci sta dietro e il discorso di Virginia Woolf parte da questo presupposto che la vita è complessa e se noi non proviamo a rendere la complessità, cioè la vita com'è vissuta, non faremo dei bei romanzi perché la vita è complessa. Lettura 2: Quando Virginia Woolf parla di vita ci aiuta a capire questo termine denso. “La vita non è una serie di lampioni messi in fila simmetricamente; la vita è un alone luminoso. (mentre i lampioni disegnano una linea tratteggiata che dà simmetria, l'alone indica vaghezza, complessità, non si riesce mai a dire esattamente; l'alone coincide con la coscienza; la vita è la coscienza e viceversa) è una busta semi-trasparente che ci circonda, che ci avvolge dall'inizio della coscienza alla fine”. Ci sono molte metafore di questa indeterminatezza della vita. La vita non si può misurare col centimetro, non si può quantificare con delle categorie quantitative; la vita è qualcosa di molto più complesso, una busta semi-trasparente in cui leggo e non leggo, non tutto è chiaro; la vita è questa indeterminatezza, questa possibile vaghezza. Quindi cos'è il compito dello scrittore che ha per scopo catturare la vita? È quello di trasmettere questa dimensione dello spirito che non è circoscrivibile, non è incapsulato; la coscienza è dinamica e va in tutte le direzioni possibili, contiene pensieri, emozioni, sensazioni e cose contraddittorie. Quello che deve fare lo scrittore è catturare la complessità. La domanda che si pone Virginia Woolf è retorica. Lettura 3: questa è una domanda retorica perché in realtà la risposta è sì; quello che lo scrittore deve fare è di saper trasmettere (design) e cogliere (vision) la varietà (this varying, this unknown and uncircumscribed spirit), questo continuo mutare, questo spirito che non può essere incapsulato anche se questo spirito sembra manifestare cose aberranti o complesse. Questo non deve far paura allo scrittore che va a sondare la coscienza con poche interferenze di ciò che non è relativo a questo spirito. “Noi non stiamo chiedendo allo scrittore solamente il coraggio e la sincerità”; due virtù non comuni presso gli scrittori contemporanei. La sincerità di trasmettere quello che si vede anche se sembra assurdo, aberrante, troppo complicato, ma il vero contenuto del romanzo (proper stuff of fiction) è certamente diverso da quello che l'abitudine ci ha fatto credere. L'abitudine del lettore che diventa passivo, lazzarone perché accetta tutte le cose convenzionali; se non trova le convenzioni pensa che il romanzo sia illeggibile. Quindi il vero contenuto non è la convenzionalità; ecco la necessità del romanzo sperimentale. Qui fa un elogio di Joyce che aveva già definito come uno scrittore spirituale; lo elogia per essere stato coraggioso e sincero, come lei aveva prescritto. Joyce ha saputo dimenticarsi delle convenzioni, ma ciò non significa che in “Ulysses” non ci siano dei dettagli; Virginia Woolf sa bene che dentro a questo romanzo ci sono una sacco di dettagli sulla città di Dublino, in quanto romanzo urbano, però i dettagli non sono il fine dello scrittore perché quello che Virginia Woolf trova in “Ulysses” è che c'è l'anima oltre che la descrizione dettagliata, cioè non ci si ferma alle minuzie; dobbiamo riuscire a captare i movimenti della psiche davanti alle cose concrete. Non significa che dobbiamo escludere i dettagli, ma che i dettagli devono entrare in un discorso che ha un'anima, che riverbera i moti della coscienza. I classici hanno scritto con delle regole e spesso ci sembra che abbandonando le regole si possa andare a scrivere romanzi che non hanno né capo né cosa, andare a scrivere cose troppo strane e nuove. Ma perché a volte un romanzo che sembra non avere né capo né coda è più vero? Perché la coscienza non ha questi paletti che il romanziere tradizionale aveva tradotto in regole, un meccanismo oliato? Virginia Woolf dice che bisogna abbandonare questi paletti che per troppo tempo hanno sostenuto l'immaginazione e invece adesso la bloccano. I grandi scrittori non si piegano a queste regole e non sono nemmeno caotici. Vision and design, non è che qualsiasi cosa senza capo né coda vada bene, il caos non produce nulla di buono; ci vogliono delle modalità enunciative che poi diventano regole, ma che non vanno prese come regole assolute; sono solo delle indicazioni, possibilità che dobbiamo misurare sulla capacità di rendere la complessità della coscienza. Quindi non dobbiamo sfatare il mito del genio in conto, non si nasce imparati, ma si impara. Anche lo scrittore impara da altri scrittori a scrivere, ma va al di là di queste convenzioni, cioè si serve del linguaggio per dire cose diverse, ne fa un uso che va al di fuori del convenzionale e così non si piega alla tirannia. Lettura 4: Nel suo elogio di Joyce, Virginia Woolf scrive una grande metafora della coscienza come di una fiamma che lancia i suoi bagliori (flashes) al cervello e al fine di catturare i bagliori di questa fiamma, Joyce parla proprio di paletti (signposts) dai quali finora il lettore è stato guidato, ma che bisogna eliminare e con grande coraggio Joyce ha fatto questo; ha buttato quello che gli sembrava superfluo, che non gli sembrava interessante e si è concentrato su questi bagliori della coscienza. Nella coscienza Virginia Woolf parla sempre in termini metaforici perché nella metafora ci sta molto di più che nel termine ordinario e referenziale; nella metafora ci sono molti più significati. Lettura 5: Il compito per catturare questi bagliori della fiammella che è la coscienza bisogna fare quello che ha fatto Joyce e quello che vuol fare Virginia Woolf; è come se la nostra coscienza fosse bombardata da una pioggia di atomi perché ogni elemento della realtà raggiunge la coscienza. Ecco perché qui la coscienza è sempre in relazione col mondo; la coscienza non è qua da intendere in senso intimista (io mi guardo dentro), non è l'introspezione soltanto, ma l'impatto che la realtà ha sull'individuo. Questi atomi che cadono provengono da quello che ci arriva da sensi che sono una delle vie maestre per approcciarsi alla realtà, ma la coscienza deve registrare; in realtà non registra perché è bombardata da queste cose, ogni cosa che capita, ogni evento, ogni sensazione, ogni emozione, impressione, ragionamento (sigh or incident). Questo è ciò da cogliere e trasmettere; lo scopo è fare dei romanzi che parlino della vita. Dopo che Virginia Woolf dice che le regole non devono mai essere fine a se stesse si interroga: “ma allora c'è un metodo per scrivere? Possiamo parlare di metodo nel momento in cui lasciamo perdere le convenzioni tradizionali? Nel momento in cui togliamo quei signposts che ci fanno andare solo in un certo percorso e mai fuori dal seminato.” La metafora del viaggio è già stata usata per lo scrittore che deve andare solo su terreni battuti, non solo sui sentieri battuti. La domanda è: “c'è un metodo?” Ogni metodo è buono purché aiuti a trasmettere la vision; ogni metodo è cattivo se ingabbia l'immaginazione. Non importa tanto il metodo, che si verifica a posteriori, cioè quando vado a vedere se questo romanzo mi trasmette una vision o se mi blocca l'immaginazione secondo un dejavù che vado a riciclare. Ogni metodo è giusto, ma bisogna vedere se i paletti della tradizione hanno una funzione di supporto o di ostacolo. Quindi le regole non vanno assolutizzate anche se il caos non è buono. Lo scrittore ha sempre un grande controllo del design anche quando parla della pazzia, di qualcuno che è fuori controllo; per saper rendere un'emozione fortissima non basta l'emozione; se dico “vai al diavolo” c'è una forte emozione, ma non c'è niente di artistico. L'emozione pura è inservibile da un punto di vista estetico fino al momento in cui di quell'emozione ne faccio qualcosa di estetico e di trasmissibile e in cui io riesco a trasmettere la sensazione di irritazione o scontentezza. Se trasmetto le sensazioni che provo intanto che dico la frase allora ho raggiunto qualcosa di importante; ho trasmesso la complessità della mia emozione. Quindi il metodo è solo un argine al caos, ma non va assolutizzato; il metodo da solo non basta, bisogna andare oltre perché fermarsi lì è dannoso, nocivo, inutile, banale. Lo scrittore si deve porre, se vuole fare un buon lavoro, almeno 3 domande: 1. Cosa voglio esprimere? Quello che sento, che provo, che penso 2. Come lo voglio esprimere? Il come riguarda il design; come, qual è la strategia migliore per esprimere quello che sento; è scrivere una pagina per dire esattamente quello che si prova quando si dice qualcosa. Il come è come io organizzo per trasmetterla, la mia emozione, la mia sensazione. 3. Come questo che dico e il modo in cui lo dico raggiungono il lettore? L'opera deve essere ricca sul piano espressivo, c'è una ricchezza espressiva che raggiunge il lettore. Il lettore deve essere coinvolto. Se non è coinvolto il romanzo è noioso. Se il romanzo ha una dimensione, cioè cosa voglio dire, so dirlo bene, nel modo giusto, allora raggiungo il lettore. Lo scritto si chiede di che cosa deve parlare. La risposta in Virginia Woolf è che lo scrittore deve poter parlare di quello che vuole, deve poter scegliere con libertà e coraggio assoluto perché non esiste un argomento obbligatorio e vietato, nemmeno un tabù. Una volta in estetica c'era la dottrina del decoro, per cui certe cose si potevano dire altre no. Per cui per esempio i servi potevano fare dei discorsi scurrili, ma gli aristocratici dovevano parlare forbitamente. Il discorso è che si può e si deve dire tutto quello che si sceglie di dire. Lo scrittore deve essere consapevole, la domanda “cosa voglio dire” è una domanda molto seria; lo scrittore deve parlare di quello che vuole. Qui cade la limitazione tematica, cade la limitazione su certi argomenti dei quali si poteva parlare, ma che spesso si eclissava o di cui si parlava in un certo modo. Il tabù è parlarne in modo diverso e quindi il contenuto cambia. Se cambio il “come” cambio anche il “che cosa”. Non esiste la dicotomia forma-contenuto perché sono in una dialettica continua. Lo scrittore deve poter scegliere quello di cui parlare e deve anche trovare i mezzi appropriati per parlarne come vuole parlarne. Il sesso era un grande tabù nei romanzi vittoriani; la tematica sessuale esplode nel romanzo del primo 900 e continua fino al presente. Lettura 6: Virginia Woolf dice che ci dovranno essere nuove tematiche e quella più innovativa sarà di andare a vedere i lati oscuri della psicologia (the dark places of psycology). Questa sarà una delle tematiche nuove. Lo scrive chiaramente: ci sono nuovi interessi, nuove tematiche, nuovi orizzonti. Lo scrittore non può far finta di niente, ma deve soprattutto parlare del nuovo, della novità del suo tempo quindi dobbiamo andare ad investigare quello che non si è mai investigato, gli angoli bui della coscienza, che non erano visti dall'interno. L'emozioni come sono vissute, è questa la novità, le emozioni dentro la coscienza. L'enfasi cade su un aspetto diverso, sempre di rabbia si può parlare, sempre di frustrazione, sempre di felicità, di appagamento,ma in modo nuovo fino ad ora ignorato. Bisogna creare nuove forme per dire cose nuove. I nostri antenati sarebbero sorpresi di vedere il tipo di romanzo d'oggi. Lo scrittore deve trovare i mezzi appropriati per parlare bene di quello di cui vuole parlare, soprattutto per trasmettere le nuove tematiche; correre il rischio di parlare di cose nuove. Virginia Woolf intuisce che per i moderni la prima tematica nuova è l'inconscio e il romanzo deve andare a sondare l'inconscio proprio come fa la psicologia. I luoghi oscuri della mente che pure la psicologia contemporanea sta cominciando ad illuminare, che la psicanalisi sta cominciando a delineare. Il romanziere deve fare certi discorsi, la mente sana e la mente malata. Si deve saper trasmettere la psiche dall'interno di chi è sano e di chi è malato e devo metterle in parallelo, che è quello che fa Virginia Woolf in Mrs. Dalloway. Uno degli esempi che Virginia Woolf cita di successo in questa nuova sperimentazione è Tchehov. forte componente ritmica nel romanzo; in caso contrario significa che ci annoia e che non va avanti. Un romanzo trascinante ha un ritmo incalzante, vivace e non riusciamo a smettere di leggerlo. 6.Gli elementi di Fantasy e Prophecy = la componente immaginativa che lui chiama fantasia e profezia. Fantasty qui vuol dire immaginazione. Un romanzo alla base deve avere l'immaginazione che era quella che Virginia Woolf chiamava “vision”. Senza immaginazione non c'è lo scrittore e non c'è il romanzo. Questi sono gli elementi del romanzo, sono tutti importanti e dal loro rapporto, da come si collegano l'uno con l'altro si evince la natura del romanzo, se è storico, d'avventura, romantico ecc. la natura del romanzo è determinata dal variare di questi elementi. Questo è un po' tutto il saggio, quello di cui si occupa “Aspects of The Novel” che in realtà è un libro e Forster dedica un capitolo, due a People, a ognuno di questi elementi. Noi da vicino ci occupiamo del capitolo “Conclusion”. Questo capitolo si pone e sintetizza alcune osservazioni già elaborate nel testo, ma rilancia queste proposte aprendole a delle possibilità nuove di fare nuovi romanzi che è il chiodo fisso di Forster, di Virginia Woolf, di Joyce e di altri scrittori moderni. Lettura 1: Nelle conclusioni entra in modo diretto e dice: “facciamo delle ipotesi sul futuro del romanzo (speculations as to the future of the novel), cosa succederà al romanzo?” Questo già dice che Forster è sicuro che il romanzo deve cambiare e che cambierà. La prima domanda che si pone è: “diventerà più o meno realistico?” E qui pensa l'aggettivo “realista” in senso più tradizionale e quindi può diventare meno realista paradossalmente per essere più realista. E poi sappiamo a posteriori che il romanzo si è evoluto secondo forme nuove, ma una delle domande, uno dei rischi che vede Forster è: “il cinema ucciderà il romanzo?” Il cinema era la nuova arte, era appena esplosa, era la settima musa. Non è accaduto perché c'è spazio per entrambe queste due grandi arti. Il cinema non ha soppiantato il romanzo, si continua a scrivere romanzi, ma all'epoca sembrava che il cinema potesse costituire una minaccia alla letteratura. Anche Virginia Woolf aveva scritto un saggio sul cinema che era l'arte del momento, la provocazione più forte, ma Virginia Woolf non lo temeva, non pensava che avrebbe ucciso il romanzo. Forster propone questa ipotesi perché probabilmente pensa ai romanzi che uno legge per la trama; ma i romanzi che sono sopravvissuti sono quelli che non si leggono solo per la trama, non sono romanzi che hanno questo interesse sulla trama e dice: Lettura 2: (speculations) “ognuno può fare delle ipotesi e teorie positive o negative, ma alla fine queste sono speculazioni che possiamo lasciar perdere” (we have no right to entertain them). È piuttosto drastico Forster. Poi fa un'osservazione che ci porta al rapporto di Virginia Woolf coi romanzi classici del passato e anche Forster dice: Lettura 3: fa un'osservazione complessa introdotta da una dichiarazione:“noi ci siamo rifiutati di essere ostacolati dal passato” (we have refused to be hampered by the past). Il passato non può essere una zavorra anche se capiamo che quelli del passato erano grandi scrittori, ma non possono trasformarsi in una zavorra per noi. Bisogna cambiare, il passato va superato; c'è un'esigenza fortissima di cambiamento, ma “non dobbiamo nemmeno approfittarci del futuro”, non dobbiamo fare una fuga in avanti troppo spinta. “Fino ad ora abbiamo visto ed esaminato gli scrittori della tradizione al lavoro e li abbiamo immaginati tutti quanti soggetti alle stesse emozioni mentre mettevano i casi della loro epoca dentro il crogiolo dell'ispirazione”. I grandi autori hanno guardato e interpretato la loro epoca e l'hanno in qualche modo trasfigurata nell'immaginazione. Hanno messo nei romanzi le loro emozioni e gli eventi della loro epoca. Tutti i romanzi, anche quelli non direttamente storici, ci parlano della loro epoca in un certo linguaggio, un linguaggio di una certa epoca. Lettura 4: “La sfida adesso è di immaginare gli scrittori dei prossimi 200 anni nella stessa stanza con gli scrittori canonici, classici; dobbiamo immaginarli che si incontrino in questa stanza. Ci saranno dei cambiamenti enormi nella loro subject matter”, ma non cambierà il loro desiderio e la loro capacità di riflettere la loro epoca nel prisma dell'immaginazione. Quindi che cosa rimarrà lo stesso? Il lavoro dell'immaginazione sul contesto storico. Questo rimarrà perché è il compito di ogni scrittore di ogni epoca e in questo senso non cambieranno anche se gli argomenti degli scrittori nei prossimi 200 anni saranno completamente diversi; si occuperanno di cose di cui non ci era mai occupati. L'aveva detto anche Virginia Woolf in “Modern Fiction”. Lettura 5: Fa poi un'osservazione e dice: “noi abbiamo fatto cose assolutamente innovative, nuovissime, abbiamo fatto tanti progressi, abbiamo domato l'atomo, potremmo anche arrivare sulla luna (ambizioni della sua epoca), potremmo anche cambiare le strategie di guerra oppure tracciare i processi mentali degli animali” (nuove scienze biologiche). Tutti queste novità culturali sono però su un altro livello rispetto alla letteratura. Per la letteratura queste cose non sono importanti, lo sono per la cultura perché tutti questi progressi appartengono alla storia e non all'arte. Diversamente da Virginia Woolf, Forster mette una separazione tra la letteratura e la storia; Virginia Woolf invece le vede come procedimenti unificati. Lettura 6: Perché Forster vuole una separazione? Perché ci dice: (history develops, art stands still) “nella storia e nella storia della scienza c'è progresso, l'arte non ha un progresso”. Nel senso che la grande arte è sempre grande, in letteratura non c'è il progresso; c'è un'opera fatta bene o no, c'è un capolavoro o no, ma non ci sono le novità che si riscontrano nella scienza. Lettura 7: Ciò che farà grande l'arte sarà che i romanzieri devono guardare agli accadimenti della loro epoca filtrandoli attraverso la loro mente creativa, si parlava appunto prima di immaginazione. Come nel passato, anche gli autori del passato hanno filtrato la loro epoca attraverso la loro mente creativa e quindi ciò che fa grande l'arte è il modo in cui si parla della realtà, il modo in cui la mente creativa dello scrittore si rapporta alla realtà. Forster è molto chiaro su questo: il punto fondamentale non è la rappresentazione degli eventi, che può farlo benissimo un articolo di giornale che è una rappresentazione degli eventi, che ci parla di una certa epoca e di un certo contesto storico, ma non è arte. La letteratura sono le notizie che rimangono nuove ed è quello che sta dicendo Forster; il processo creativo è quello che mi fa rimanere nuove le cose che sono state scritte nel 1600 o addirittura a. C. Il processo creativo cambierà? Se il romanzo è lo specchio della storia e questo specchio è determinato dalla mente creativa dello scrittore, cambierà questo procedimento oppure no? Lettura 8: Le scienze cognitive vanno a esplorare i meccanismi della creatività sul piano scientifico, ma anche gli scrittori spiegano se stessi e i loro procedimenti creativi. (will the creative process itself alter?) Cambierà la creatività? Lettura 9: La metafora del nuovo realismo è uno specchio che riceve una nuova mano di argento in modo che possa riflettere meglio; uno specchio logoro non riflette bene, si opacizza. Questo specchio riuscirà a diventare più efficace, più luminoso. Questo specchio è quello che il procedimento creativo dello scrittore regala al lettore. Tutti i romanzi sono uno specchio della realtà e il modo in cui sono uno specchio della realtà è diverso da romanzo a romanzo, da genere a genere, da epoca a epoca. I classici, come i moderni, rappresentano il loro contesto e allora la domanda sulla creatività: “Will the mirror get a new coat of quicksilver?” Forster salta ad un'altra domanda filosofica sulla natura umana, sulla soggettività; la natura umana è immutabile o cambia? Perché la mente creativa è legata alla natura umana. Cambia o no? Ci sono due risposte, qualcuno dice sì e qualcuno no, qualcuno dice che cambia, qualcuno dice che è immutabile. È uguale in tutte le epoche e qualcuno dirà il contrario. La risposta dipenderà da ciò che cambia nel mondo, a livello di tutte le scienze, a livello delle nuove filosofie, a livello di tutte quelle discipline nuove. Per dire che se ci sono queste rivoluzioni culturali allora il processo creativo cambia, allora l'idea del soggetto cambia, l'idea che noi abbiamo del soggetto cambia e Forster è molto ironico per certe versi; la domanda che ha posto è: “can human nature change?” Lettura 10: Una risposta è la seguente: è curioso che sia un vecchio a dire una cosa del genere, che “la natura umana non cambia, che siamo ancora cavernicoli” (cave man). Forster dice che questa è la risposta di chi dice che la natura umana non cambia. Chi dice così è perché è contento di sé, della sua condizione e non vuole cambiare; chi dice così è uno che vuole sottoscrivere lo status quo. Uno che dice che la natura umana non cambia dice che non vuole rischiare nessun cambiamento. I giovani sono una provocazione al cambiamento, ecco perché mette il contrasto tra vecchi e giovani. I vecchi sono più a loro agio con una prospettiva di status quo, i giovani sono una continua provocazione. Questo vecchio forse è invidioso dei giovani che avranno successo nella vita mentre lui sa di aver fallito. In sostanza Forster dice che chi dice che la natura umana non cambia, che il soggetto non può cambiare, che non cambierà mai niente, è uno che è invidioso di chi sa cambiare, è impaurito davanti alla novità, ha paura dei giovani. Quando è contento e soddisfatto di sé dice che la natura umana non cambia, quando invece è un po' provocato dai cambiamenti che vede intorno a sé dice “human nature is not the same. I have seen fundamental changes in my own time”. Nell'epoca di Forster abbiamo visto quali radicali cambiamenti c'erano a ogni livello della società e della cultura. Questo andrà avanti oscillando tra queste due posizioni. Lettura 11: “Tutto quello che faccio io è fare un'ipotesi”. Forster non è un dogmatico su una versione, su una visione o su un'altra, ma è uno che ci dà i presupposti per scegliere una posizione piuttosto che un'altra, il che vuol dire che ci costringe a ragionare. Lui dice di non essere qui per dirci sì o no, ma ci fa pensare a una possibilità. Se noi pensiamo che la natura umana cambia, non è che cambia la natura umana, cambia il modo in cui i soggetti percepiscono se stessi; cambia il modo in cui l'individuo pensa se stesso. Dall'animale razionale di Aristotele si arriva all'inconscio di Freud e questo è un modo di vedere il soggetto che è un modo diverso, è un modo di interpretare la soggettività diversamente, quindi di non avere solo una definizione monolitica dell'individuo o della società. È come il soggetto si definisce e si percepisce che cambia, il soggetto nell'umanesimo era diverso dal soggetto nel medioevo. Il soggetto nell'epoca di Forster, dell'età eduardiana, è diverso dal soggetto dell'età vittoriana e Forster è consapevole di questi cambiamenti. Se gli individui cominciano a guardarsi in modo diverso cambierà la natura umana nel senso che la natura umana dipende da cosa pensiamo noi sull'identità e sul soggetto. La domanda è eterna: “chi sono io? Chi è l'uomo? Chi è la donna? Chi è l'individuo?” La domanda è sempre uguale, le risposte sono sempre diverse in tutte le epoche. Non esiste una definizione univoca di soggetto e allora è questo che vuol dire Forster: “io non dico se la natura umana cambia o no, dico che la visione che tu hai del soggetto cambia e quindi la definizione di soggettività è ciò che caratterizza i cambiamenti culturali. L'umanità cambia perché ci guardiamo con un'altra ottica”. Forster è consapevole che la sua epoca sta facendo questa cosa (individuals manage to look at themselves in a new way). Lettura 12: “Qua e là qualche persona, poche persone, e alcune romanzieri tra loro stanno cercando di fare proprio questo”; cioè guardarsi in un modo diverso, definirsi in una nuova prospettiva e questo apre molte possibilità. Noi non abbiamo più una definizione univoca, e Forster che è molto acuto continua spiegandoci perché sono few gli scrittori e i filosofi che cominciano a pensarsi in modo diverso. Loro sono few perché ogni istituzione che deve mantenere lo status quo ha degli interessi che vanno contro l'idea del cambiamento. In altre parole Forster dice che molte istituzioni non hanno interesse a sostenere il cambiamento, a sostenere una nuova prospettiva. Preferiscono raccontare che le cose non cambiano, cioè a riproporre una visione del soggetto obsoleta. Hanno degli interessi (vested interest) a dire che non deve cambiare nulla. È contro questa ricerca, la ricerca della nuova percezione del soggetto e indica quali sono queste istituzioni: religione, stato, famiglia. Alcuni istituzioni preferiscono dirci che le cose non cambiano. Le istituzioni che tendono a darci un'etichetta da incollare sulla realtà, un'etichetta che vada ad ingessare la definizione di soggetto e che dica che il soggetto non cambia mai. È un gioco di interesse ed è un tabù su questa ricerca di nuove prospettive; va a vedere come nella famiglia si colga la dimensione economica perché nella famiglia vittoriana l'ultimo detentore della ricchezza era il marito e quindi Forster dice che quelli che dicono che la famiglia è quella patriarcale dove il patrimonio deve andare al marito, quelli che dicono che la natura umana non cambia è perché vogliono mantenere in piedi questo tipo di struttura. Ecco perché è molto provocatorio Forster, perché sta dicendo che la letteratura va a scardinare queste etichette mettendole in crisi. Forster era polemico con l'ethos vittoriano, come Virginia Woolf; entrambi amavano il rinascimento e l'umanesimo, ma erano criticavano delle ideologie dell'età vittoriana. Quindi la storia cambia, questi ci danno delle definizioni, ma la letteratura non le accetta, anzi le mette in discussione e questa è la portata filosofica del romanzo, questa è la portata filosofica che va a scardinare le ideologie dello status quo. È una ricerca che diventa un'interrogazione sulle strutture sociali, sul · plot è l’intreccio stesso ovvero come il narratore organizza i fatti. Si può partire dalla fine e risalire a ritroso agli eventi in questo caso. Oppure seguire l’ordo naturalis (ordine naturale, dalla mattina alla sera, dall’infanzia alla vecchiaia), oppure si può partire dal mezzo. Ciò che cambia è L’ORGANIZZAZIONE/DISPOSIZIONE. I grandi scrittori giocano su questo. Esempio :Story: re e regina muoiono (comunicazione degli eventi); Plot: re muore di crepacuore perché la regina è morta (concatenazione degli eventi, c’è un prima e un dopo e c’è una causalità, il re muore a causa del crepacuore; è una decisione del narratore che ci dà tali informazioni nel plot). Ogni romanzo nel suo modo di raccontare offre una particolarità degli eventi: a partire dalla selezione degli argomenti perché non si può raccontare tutto e il narratore deve porsi delle domande su come collegherà tra di loro i fatti da raccontare. Cosa raccontare, con quali strategie, in che modo… queste sono le domande che uno scrittore deve porsi, come diceva Woolf: “ ogni scrittore deve porsi certain questions”. Una volta decise queste cose mi servono delle cose in più: certain skills. I corsi di scrittura insegnano questi skills. Gli skills vengono usati in modo diverso a seconda del caso. Davanti alla pagina bianca lo scrittore deve rispondere a certe domande con certe abilità. Gli eventi diventano un romanzo quando si ha relazione tra essi. Il narratore sceglie le modalità di scrittura e sa già che tipo di romanzo scrivere (d’avventura, storico…), e poi sceglie la modalità (in prima o in terza persona). Il narratore deve calibrare la scrittura in base allo scopo: deve calibrare le digressioni che possono essere più o meno importanti. Ponendosi lo scopo della narrazione, il narratore deve calibrare le digressioni in base alla loro funzionalità riguardo alla narrazione. Una descrizione troppo lunga, prolissa ci fa intuire che la digressione non è calibrata in base allo scopo della narrazione. C’è una continua dialettica tra i singoli eventi del racconto e la globalità di essi. Non sempre però la digressione può essere tolta (esempio: i romanzi russi nei quali non puoi saltare molte pagine). Il narratore deve anche saper gestire il mix tra i fatti e la fantasia. I fatti raccontati devono essere plausibili, soprattutto in un romanzo storico nel quale i fatti devono essere veri, in altri casi essi devono essere filtrati dalla fantasia del narratore, egli deve verificare i fatti. Il narratore deve creare dei personaggi sufficientemente vari (non studiati a tavolino e omogenei), che devono essere credibili e accattivanti (coinvolgere il lettore che deve provare empatia, non simpatia, l’empatia può essere anche negativa, quando un personaggio non piace al lettore, ma lo ha coinvolto ugualmente). Bisogna cogliere i personaggi nella loro complessità, e solo allora possiamo identificarci. Il personaggio deve essere sufficientemente complesso per essere identificato o disindetificato. I grandi scrittori fanno ancora di più perché fanno suscitare diverse emozioni anche contradditorie riguardo lo stesso personaggio. Nei grandi romanzi il lettore si identifica fino ad un certo punto e poi si distanzia a seconda del personaggio e dei fatti. Lo scrittore è bravo a creare un personaggio contradditorio, a tutto tondo. Dentro al romanzo possono esserci situazioni di parallelismo o contrasto, ma sono i lettori che devono cogliere l’intelligenza del narratore che ha creato tali condizioni nel romanzo. Il romanzo deve essere costruito bene con una impeccabile struttura eppure questa stessa struttura deve rimanere occulta, perché se ci accorgiamo troppo della costruzione del romanzo, esso diventa artificioso: questo è il confine tra arte e narrazione. Il narratore ci deve essere ma non essere visibile, altrimenti risulta ingombrante, però è lui che deve mostrare le cose e gestire la narrazione. Ciò non significa che il narratore non possa commentare la narrazione. Egli può attribuire valore alle azioni oppure no. Può intervenire indirettamente portando il lettore a prendere posizione nei confronti di tutti i personaggi senza fare commenti diretti. Questo è un effetto preciso della bravura del narratore, sembra tutto trasparente ma in realtà è la mano invisibile del narratore che ci porta a credere a quello che vuole lui. Il narratore scrive dal una determinata prospettiva: può scrivere da diverse prospettive: · visione alle spalle: il narratore è un osservatore e si focalizza su un personaggio e lo segue. Lo guarda alle spalle, non vede con gli occhi del personaggio ma osserva quello che il personaggio fa, lo tiene d’occhio. Dunque la prospettiva piò essere più o meno distaccata, anche estremamente distaccata che è l’ambizione del romanzo naturalista, che osservava la realtà scientificamente. Il narratore del romanzo naturalista osserva i personaggi come il biologo osserva le cellule, ovvero con grande distacco. · Visione con il personaggio: il narratore vede con gli occhi stessi del personaggio ed è il contrario della visione alle spalle, come nel romanzo dello stream of conciousness. · Visione panoramica: è una visione che descrive una situazione complessiva senza focalizzare su qualcosa in particolare ma per esempio sulle diverse persone in un salotto (romanzi vittoriani, russi, edwardiani e francesi fanno questo approccio, danno l’idea di un contesto che del singolo personaggio individualizzato). I personaggi possono avere una natura diversa, essi sono dei tipi, figure stereotipe. Questi personaggi si chiamano stock characters: personaggi stereotipici e non tipici che sono molto prevedibili. Non si chiamano tipici perché essi si riferiscono alla categoria particolare del romanzo storico definiti da Georg Lucacs, critico cieco: scrive il saggio, the historical novel, sul romanzo storico e parla di personaggi tipici perché personaggi legati ad una tipica classe sociale. Il personaggio tipico è legato alla sua classe sociale. Essi incarnano le caratteristiche di una classe sociale, mentre quello stereotipico è più meccanico. Personaggi stereotipici, tipici e con il romanzo moderno e sperimentale, i personaggi non saranno più tipici o stereotipici, ma tenderanno ad essere unici, ognuno è diverso dall’altro. Noi li conosciamo dal loro sguardo sul mondo e sulla coscienza. I nuovi personaggi sono anche personaggi individualizzati, non si possono confondere. La lettura di un romanzo comporta sempre che noi ci facciamo due domande fondamentali, almeno 2. 1) Chi parla? Ovvero chi racconta la storia? Di chi è la voce parlante? Chi è il narratore? Nella mimesi parla il personaggio direttamente. Ma in genere chi parla può anche non essere il personaggio nel caso della diegesi; 2) Chi vede quello che io vedo leggendo questo libro? Leggere significa vedere con gli occhi della nostra mente. Chi vede quello che sto vedendo io? Di chi sono gli occhi che mi fanno vedere una certa realtà? Narratore onnisciente sa tutto e può farci vedere quello che vuole lui. Invece se il narratore assume la prospettiva del personaggio, il lettore vede quello che il narratore dà da vedere (doner à voir in francese). Qualcuno ci fa vedere qualcosa. Il punto di vista è un concetto importante nello stream of consciousness o prospettiva si chiama focalizzazione dell’ambito della narratologia. E il focalizer è il detentore del punto di vista, è quello che vede, nella cui prospettiva il lettore intravede ciò che il detentore “gli passa”. Il mondo viene presentato al lettore attraverso gli occhi del personaggio. Il lettore vede ciò che legge. Libro e film sono diversi: there is a gap tra lettura (che ci fa vedere le cose con gli occhi della nostra mente) e cinema (dove la rappresentazione è diversa, è rappresentata in un modo diverso da quello che avevamo immaginato). Questa è la caratteristica della fiction. La focalizzazione può essere un po’ diversa: 1) Plurale, dove diversi personaggi vedono diversi eventi. Vedo l’evento con gli occhi di un personaggio, un altro evento con gli occhi di un altro personaggio. Tanti focalizer quanti gli eventi 2) Multipla: lo stesso evento visto da più personaggi (esempio concreto è l’incidente stradale) 3) Interna: è quella del personaggi, che a sua volta può essere: - fissa, uguale per tutto il romanzo-> un personaggio che è l’unico che vede - variabile, al contrario, cambia durante il romanzo-> cambia il personaggio e ognuno vede a modo suo Lezione 8 (29/10/2018) THE VOYAGE OUT Questo romanzo viene scritto in un contesto familiare, della famiglia di Virginia Woolf. Lei appartiene ad una famiglia molto intellettuale nella quale si respira un clima culturale molto vivace, dove avvengono frequenti incontri, scambi ecc. con il padre e altri intellettuali londinesi. Suo padre, Leslie Stephen, è un autore, un critico, un biografo, un importante storico del 700 inglese ed è anche il creatore del Oxford Dictionary of National Biograpy. Possiede una biblioteca sterminata in cui Virginia attinge e questo è l'ambiente in cui si forma pur senza una vera educazione formale poiché in quanto donna non ha accesso all'università di Cambridge, frequentata invece dai suoi fratelli, Thoby e Adrian, che lì creeranno un gruppo di amici che continuerà a trovarsi, anche dopo gli studi, a Londra, a casa di Virginia Woolf, costituendo quello che sarà il Bloomsbury Group. (Bloomsbury, quartiere di Londra). Si tratta di un gruppo di intellettuali alle cui discussioni e riunioni partecipavano anche Virginia e Vanessa, sua sorella pittrice, interessata di arti visive. Questo gruppo è fondamentale per la cultura del primo 900; è partito da un'idea di Thoby, e ne fanno parte figure di spicco. Ognuno di loro nel suo settore, nella sua disciplina, ha innovato, ha portato dei grossi cambiamenti. Infatti Bloomsbury vuol dire “rivoluzione culturale” in tantissime discipline. Esponenti di questo gruppo erano Virginia Woolf, E. M. Forster, James e Lytton Strachey, Bertrand Russell, Maynard Keynes, Roger Fry, Clive Bell e Duncan Grant. James Strachey è allievo di Freud a Vienna e diventa il traduttore delle sue opere in inglese portando la psicanalisi in Inghilterra. Il fratello Lytton è uno scrittore molto famoso nella sua epoca, un personaggio eccentrico che scrive diversi romanzi storici, uno su Elisabetta I e il conte di Essex; uno sulla vita della regina Vittoria; e un testo critico “Pietre miliari nella letteratura francese”che serve a far conoscere la letteratura francese in Inghilterra. Scrive poi un altro libro “Eminent Victorians” che parla di figure di spicco dell'età vittoriana. Un altro membro è Bertrand Russell, filosofo, matematico, autore della filosofia analitica e di un altro testo fondamentale “Problems of Phisolophy”. Con Whitehead creano innovazioni nella disciplina della matematica. Altro componente è Maynard Keynes, un economista che ha portato una grande rivoluzione nell'ambito delle dottrine economiche perché contro il liberismo suggerisce di fare un po' di public spending nelle epoche di crisi per creare lavoro e rimettere in moto l'economia. Queste proposte nel momento del liberismo sfrenato sono dirompenti, ma furono in parte applicate dopo la guerra e ancora oggi rimangono. Roger Fry è il fondatore di un gruppo di artisti sperimentali, Omega Workshop; è stato innovativo, critico d'arte e ha portato in Inghilterra gli impressionisti e i post-impressionisti, fino ad allora sconosciuti, organizzando due mostre a Londra, una di Matis e una di Cezanne, che hanno provocato uno shock nell'ambiente conservatore del Royal Collage of Art, ma si trattava di rompere i canoni tradizionali, cioè questi intellettuali volevano cambiare e proporre cose innovative. Portare Matis e Cezanne era una cosa rivoluzionaria rispetto ai parametri canonici del Royal Collage of Art. Clive Bell, marito di Vanessa, Duncan Grant pittore scozzese. Questo è un gruppo dirompente nella sua propositività, non è per niente convenzionale né dal punto di vista artistico né letterario. Questi personaggi sono al centro di una sperimentazione a tutto campo in tutte le discipline e conducono anche una vita privata fuori dai canoni vittoriani perché si rifiutano di vivere una doppia vita, privata e pubblica, come era costume nell'epoca vittoriana. Quindi hanno dei canoni diversi nella vita privata, dichiarano pubblicamene le loro idee di rottura con la tradizione, provocano scandalo e vivono la loro vita secondo i dettami che propongono. Questi scrittori dicono basta, “Noi viviamo come viviamo e pensiamo come pensiamo”. Vogliono rivendicare questo diritto e a questo è legata la loro sperimentazione in tutte le discipline: “Ci rifiutiamo di essere ostacolati dal passato”(E. M. Forster). C'è quindi questo senso di grande cambiamento. Questo è il contesto in cui nascono le prime prove di scrittura di Virginia Woolf, che non è mai andata a Cambridge, ed è il contesto in cui viene composto “The Voyage Out”. È il primo romanzo pubblicato nel 1915 con un titolo strano: “Melymbrosia”, ed è un romanzo che si focalizza sul contesto eduardiano e georgiano prima della prima guerra mondiale. È un periodo di importanti riforme, periodo in cui comincia a diminuire il primato commerciale britannico e nel romanzo, in parte, vengono registrate queste cose e i contesti post-coloniali che nell'impero britannico nell'epoca vittoriana erano stati cruciali. Il romanzo registra le nuove professionalità, le nuove progressioni di questa classe più colta (segretarie, istitutrici, assistenti legali ecc.), tutte le nuove professioni che, dimensione sessuale, sì, si sposavano, ma lo scrittore non entrava nella camera da letto per cui era sempre un argomento tabù, qui si parla molto chiaramente di desiderio e paura del sesso. Questo è rivoluzionario. Le eroine vittoriane erano all'oscuro di questa dimensione, si sposavano senza sapere nulla della sessualità, ma in questo romanzo la novità è che ci si interroga sulle dinamiche del desiderio e della paura del sesso. Si vede benissimo una sessualità in formazione, un approccio graduale, non meccanico. Qui è un'evoluzione dove vengono espressi tutti i sentimenti, le contraddizioni e in The Voyage Out emerge questa tematica nuova legata alla discussione di tutti i ruoli canonici, sessuali e comportamentali. A questo proposito, la polemica sui ruoli e gli stereotipi del maschile e del femminile non è una cosa fine a se stessa, ma ha una portata interessante perché il romanzo suggerisce che l'incrementazione di ruoli rigidi e ruoli predeterminati rende impossibile la comunicazione tra uomini e donne, cioè nella regola canonica, secondo l'educazione ricevuta, di certe cose non si può parlare con un uomo e un uomo di certe cose non può parlare con una donna. Questa era l'educazione vittoriana: le fanciulle devono compiacere l'uomo. Questi erano gli stereotipi. Il negativo della spiegazione degli stereotipi, è che il problema tra i sessi è di non essere totalmente sinceri gli uni con gli altri, cioè l'educazione impartita, che ha per scopo di trasmettere certi stereotipi, rende impossibile una comunicazione autentica. Ciò significa che il marito non può essere il tuo migliore amico. Finché l'educazione imporrà agli uomini ciò che potrà e non potrà essere detto alle donne e alle donne ciò che potrà essere detto o non detto agli uomini, non si potrà mai raggiungere quel livello di sincerità totale che è la base di rapporti autentici e non fasulli, di rapporti genuini. Questa è un'altra differenza sostanziale dal romanzo tradizionale dove contava la conclusione di questo matrimonio; in questo romanzo quello che conta è l'autoaffermazione e la crescita dei protagonisti anche e soprattutto attraverso un dialogo autentico fuori dallo stereotipo. Virginia Woolf dice che qui ci perdono entrambi perché la mancanza di sincerità produce una comunicazione fasulla e se ci perdono gli uomini ci perdono le donne. Ecco perché i protagonisti si pongono fuori dagli stereotipi e saranno ipercomunicativi; continueranno sempre a parlarsi, a dialogare di come si sentono; c'è un fortissimo dialogo aperto. Decidono di dirsi tutto quello che pensano, senza timore, senza preoccuparsi di deludere le aspettative, senza paura di rischiare di perdere l'uno o l'altra; i due creano un rapporto fondato sulla loro condivisione di idee, sentimenti, esperienze, ciò che conta è la verità psicologica del sentire e non mentire a se stessi ed è la rappresentazione di tale verità; nel romanzo si vede l'autenticità del personaggio. Si vedono dall'interno e nella loro relazione dialogica senza regole e tabù. A Virginia Woolf non interessava costruire una bella storia, ma mostrare un rapporto reale, autentico tra persone non costruite, non governate da stereotipi, persone libere. Questo andava contro tutta la visione vittoriana. Virginia Woolf conosce il problema della costrizione delle donne dentro certe regole e vincoli in cui si muovono, per cui non possono essere autentiche, non possono esprimere la loro opinione; lo stereotipo vittoriano classico era “women must be seen, but not heard”. Qui Virginia Woolf data la non convenzionalità, anche sulla base di questa esperienza riesce a far vedere una relazione non legata allo stereotipo perché era la relazione che lei aveva con i membri del gruppo. E quindi questo problema delle costrizioni e della mancanza di autenticità è legato ad una situazione vittoriana, ma c'è anche l'idea che le cose si possano fare diversamente (idea centrale del Bloomsbury Group). L'importante è l'autenticità del sentire e del vivere quello che si sente. I protagonisti si mettono fuori dagli stereotipi e un esempio è che Terence e un suo amico, St. John Hurst fanno una cosa insolita: danno da leggere a Rachel libri importanti, libri di storia. I vittoriani pensavano che le donne non potessero leggere certi libri; questi due ragazzi fanno questa trasgressione, danno ad una fanciulla, educata nei canoni vittoriani, dei libri da leggere. Basta pensare a tutti i libri che Virginia Woolf ha letto nella biblioteca del padre e frequentando il Bloomsbury Group; lei cresce in un ambiente stimolante, aperto e provocatorio e questo mostra la situazione di Londra che sta cambiando, anche le donne presto potranno leggere. I due protagonisti maschi vanno al di fuori, prendono una posizione precisa sulla condizione delle donne. Per Rachel questo sarà parte fondamentale del suo percorso di crescita e formazione. In parte si sovverte questa negazione dell'accesso alla cultura che era il ruolo delle donne e anche le donne possono leggere libri importanti. Virginia Woolf sente questo problema e scrive un saggio “A Room of One's Own”, dove parla degli svantaggi sociali delle donne. Scrive anche un saggio sulla sorella di Shakespeare, che non ha scritto nulla in confronto al fratello perché era analfabeta, perché suo fratello aveva studiato e lei no. Virginia Woolf è molto sensibile a questo argomento e dice che se le donne sono ammesse all'offerta culturale che finora era stata destinata esclusivamente agli uomini, possono produrre opere di pari valore e importanza. Quando si mette in discussione lo stereotipo si arriva ad una nuova valorizzazione e fondazione delle modalità di rapporto che diventa più produttivo, più dialogico, più aperto e costruttivo per entrambi. Le cose cominciano a cambiare e per questo è un romanzo rivoluzionario. A livello narratologico, formale, la novità principale è costituita dal fatto che per lo più, ma non esclusivamente, la narrazione in The Voyage Out assume la prospettiva dei personaggi, viene condotta dal personaggio e prevalentemente dall'eroina attraverso i loro percorsi. Diversamente dal romanzo tradizionale che era gestito dal narratore onnisciente che sapeva tutto, qui sono i personaggi che guardano il mondo; c'è una visione con il personaggio, ossia una posizione del narratore che vede con il personaggio. In realtà il narratore onnisciente non è completamente assente, ma ci sono delle modalità miste di narrazione. L'enunciazione è molto dinamica, è diversificata nel senso che si assumono diversi punti di vista. The Voyage Out è caratterizzato da questa focalizzazione che è l'alternarsi di punti di vista. Il narratore osserva il mondo, ma volte parla il personaggio; c'è una modalità mista: un po' il narratore che osserva il personaggio e un po' il personaggio che osserva la realtà. È già un progresso verso quello che diventerà il monologo interiore. Anche la rappresentazione del tempo comincia a far vedere qualche elemento di sperimentazione intanto perché la scrittura non è ordinata cronologicamente del tutto; c'è una progressione narrativa, ma i personaggi parlano spesso delle loro esperienze infantili (flash back) oppure parlano dei loro progetti futuri. Anche lo spazio ha qualche novità: iniziando a pensare al titolo “The Voyage Out”. Un titolo vorrà pur dire qualcosa: è un romanzo su un viaggio. È un romanzo in cui lo spazio, il viaggio, sono centrali. La novità è che qui il viaggio si lega alla psiche dei personaggi, il viaggio si lega ai loro sentimenti allora lo spazio diventa ambiti molto diversi per riuscire a parlare di sentimenti e stati d'animo diversi. La città di Londra avrà moltissime sfaccettature, non sarà monolitica; stessa cosa per il paese esotico, tropicale di Santa marina, nelle Amazzoni, dove arriva il viaggio. Lo spazio assume anche un valore legato ai sentimenti, ma anche un valore simbolico: lo spazio non è mai solo descrizione oggettiva. “The Voyage Out”. “Out” = uscire dal guscio sul piano psicologico, fare un'esperienza di uscire dalla famiglia, dalla campana di vetro. È un viaggio di formazione che approda a una costruzione dell'identità fuori dal contesto familiare d'origine. Questa preposizione è importante sul piano psicologico, ma anche se intesa in termini spaziali e coloniali = “out of London, of England”, un viaggio verso uno spazio che non è lo spazio di casa, non è lo spazio britannico, che è uno spazio altro. “Out” può essere inteso in senso personale, geografico e politico e quindi ecco il grado di simbolicità che può acquisire lo spazio, verso qualcosa di nuovo, di diverso. Lezione 9 (30/10/2018) THE VOYAGE OUT Capitolo1 Il testo è la base fondamentale. Si parte dall'inizio, che è l'incipit. L'incipit e l'expicit, l'inizio e la fine di qualsiasi opera letteraria sono momenti narratologicamente decisivi, importantissimi. L'incipit in particolare, l'esordio, è quello che ci scaraventa dentro il mondo fittizio e la cosa importante è che l'incipit già determina tutto un mondo, una configurazione, un mondo fittizio, essendo un romanzo, che però ha delle coordinate molto precise che vengono determinate dal narratore fin dalle prime righe. L'incipit è quindi qualcosa di molto denso e complesso. L'incipit di The Voyage Out non fa eccezione e l'apertura di questo romanzo, o meglio, il primo paragrafo, riguarda le strade di Londra pertanto l'incipit ci scaraventa in un contesto preciso. Questo è l'inizio di questo romanzo, le strade di Londra. La voce narrante com'è? All'inizio è onnisciente ed è impersonale, ma è molto autorevole perché fa delle considerazioni generali che fanno capire che il narratore onnisciente è un esperto di quella zona di Londra di cui sta parlando e può permettersi anche il lusso di dare dei consigli (it is better not to walk down them arm-in-arm). Abbiamo una localizzazione precisa (the streets from the Strand to the Embankment) vicino a Westminster e al Tamigi. Ci sono una localizzazione precisa, una voce impersonale, un luogo definito, sul Tamigi, e la voce del narratore che dà dei consigli in tono anonimo, generale, non si sta riferendo ad una persona specifica, ma adopera sempre “you” o “one”, è meglio fare così, parla in generale. Quindi il narratore, voce narrante onnisciente, impersonale, ma molto autorevole. La prima frase è una descrizione quasi diagnostica, una diagnosi (as the streets that lead from the Strand to the Embankment are very narrow, it is better not to walk down them arm-in-arm) è una dichiarazione oggettiva perché il narratore onnisciente non può far altro che proporre delle descrizioni di questo tipo, in contrapposizione a quelle che saranno le descrizioni dello Stream of Consciousness. La voce narrante onnisciente fa una diagnosi di questo luogo astratto; queste strade di Londra sono strette, sono quelle che portano al Tamigi, vicino le due rive del Tamigi. Sono strade che a quell'epoca non erano ancora asfaltate e lo sguardo del narratore si sposta da un luogo generico caratterizzato da strade strette, dai luoghi si sposta alle persone che sono in giro in questi luoghi perché quando dà il consiglio: “è meglio non andare a braccetto” è perché sono molto strette e perché si dà fastidio ad un certo tipo di persone. Se uno va avanti e si fissa, gli impiegati degli studi notarili devono fare dei salti tremendi per evitare le pozzanghere bisogna e le giovani segretarie e dattilografe cominceranno ad essere un po' impazienti. In questi luoghi chi passa solitamente? Passano dei soggetti che sono quelli delle nuove professioni; sono persone che vivono in questa zona, che è una zona di uffici, di studi legali e commerciali. E allora il narratore mette in rilievo queste figure, sono gli impiegati degli studi legali e le dattilografe. Quando fa questa diagnosi dal luogo alle persone, fa una considerazione di tipo morale in generale e dice che nelle strade di Londra la gente non fa attenzione alla bellezza perché sono tutti di fretta, ma l'eccentricità deve essere pagata. È come se la folla frettolosa è piuttosto omologata, sono tutti uguali; l'eccentricità deve pagare un prezzo. Questa è un tipo di considerazione che viene dall'estetismo, dalla filosofia dell'arte per l'arte (filosofia estetica di Oscar Wilde dove l'arte non deve avere uno scopo altro che la bellezza e dove l'idea è che il mondo borghese e commerciale hanno assassinato l'arte. Dove c'è una contrapposizione tra gli artisti e i commercianti). Questo è un dato di fatto che molti artisti del primo 900 si sentono alienati nella civiltà borghese, non si sentono proprio a loro agio perché la civiltà borghese comincia a incolparli di essere improduttivi, fannulloni, sognatori. Qua bisogna essere ben inquadrati ed efficienti e se uno non è performante allora è eccentrico e se è eccentrico deve pagare la multa. Dà in una frase un giudizio su intera società che sta diventando una società della fretta, che corre, che deve andare sempre più veloce; questa è la modernità. In questi luoghi dove la bellezza non viene notata e dove l'eccentricità deve pagare un prezzo, è meglio non essere troppo alti, perché si occupa troppo spazio, e non indossare un mantello troppo lungo, perché si sporca nelle pozzanghere; è meglio non fare gesti di questo tipo come dondolare le braccia. Il primo paragrafo sulle strade di Londra è un paragrafo dal tono generico, generale, impersonale, con dei giudizi precisi dove il narratore dà anche dei consigli. Vedremo che qualcuno sta facendo la trasgressione che il narratore aveva anticipato. Infatti nel secondo paragrafo vengono identificati due personaggi che avranno moltissima importanza in tutto il romanzo, saranno personaggi centrali, cioè Helen e Ridley Ambrose. Questa coppia è tra i protagonisti fondamentali del romanzo; sono gli zii di Rachel e vengono qui identificati, cioè la voce narrante si sposta da un discorso generico ad un discorso molto più specializzato e specifico; si focalizza su queste due persone. Nel secondo paragrafo è come se ci fosse una specie di zoom che va zoommare questi personaggi e ci dà delle notazioni precise sul momento, sul tempo. Vediamo poi che il narratore comincia, passa da una narrazione onnisciente ad una narrazione di spalle, si mette a osservare, marcandoli stretti, questi due personaggi. Da una generalizzazione sulle professioni di Londra passiamo a qualcosa di più mirato. Camminano a braccetto e si beccano delle occhiatacce perché stanno intralciando la marcia veloce degli altri. I professionisti degli uffici rimangono anonimi perché sono omologati e il narratore non è interessato C'è un'immagine ambivalente di Londra (beauty and skeleton). A Londra ci sono le cose belle, come Costantinopoli, e ci sono le cose brutte. Qui dà una spiegazione del perché Mrs. Ambrose ha una visione negativa di Londra, perché i luoghi che sta attraversando lei li vive come una separazione dai suoi bambini che ha lasciato a casa, dispiaciuta. Per cui ogni passo che fa per Londra che la porta sempre più lontana da loro per lei è una cosa negativa. Si immagina che anche i suoi bambini sentano la sua mancanza e quindi tutte queste cose diventano tutta la città, diventa ciò che la separa da loro. Visione soggettiva, personale, idiosincratica della città. Per lei tutto lo spazio è semplicemente lo spazio di una distanza, di un distanziarsi e lei osserva la gente che le passa vicina: ci sono i ricchi che a quest'ora si fanno visita l'uno con l'altro per il tè. Ci sono gli impiegati (bigoted workers), figure meccaniche, inquadrate. E poi ci sono anche i poveri che vanno a dormire sulle panchine, sono infelici e incattiviti. È una critica sociale molte forte con un solo avverbio, una sola parola. Questa è la letteratura, non occorre fare un sermone lungo per spiegare che non tutta la povertà è colpevole come pensavano i vittoriani. Qui non c'è nessuna osservazione, si sta esplicitando quello che sta dietro alla critica sociale racchiusa in una sola parola (unhappy and rightly malignant). Questa è la letteratura che fa un discorso fortissimo in tre parole. È vero che Mrs. Ambrose è una bravissima osservatrice, nel momento in cui decide di osservare vede tutte le diverse classi sociali che ci sono a Londra e quindi dice che quando uno smette di vedere la bellezza che rivestiva le cose, vede la nudità, lo scheletro, cioè gli aspetti negativi di questa città che è così bella, ma che ha ancora dei gravi problemi. Comincia a piovigginare nella tipica Londra di ottobre e la rende ancora più cupa (dismal). Questo aggettivo indica lo stato dominante di Mrs. Ambrose che se vede anche due innamorati avvolti nello stesso mantello li trova sconci perché appunto è cupa; non riesce a vedere il bello, a pensare positivo. Scambiarsi effusioni era vietato nell'età vittoriana, mentre in quella eduardiana si cominciano a vedere cose strane, audaci (bold). Le fioraie, molto chiacchierone, assomigliano ad orribili streghe e ancora una volta si vede la negatività; persino i fiori non brillano e le sembrano spenti. Quando uno è troppo triste e concentrato sulla sua tristezza non riesce a vedere la bellezza. Il marito respinto si è allontanato e allora lei cambia parere e gli chiede di prendere una carrozza. Ancora una volta lo sguardo su Londra perché questo è un incipit che è dedicato alla città, alla rappresentazione dello spazio urbano londinese. Sono arrivati nel centro di Londra che sembra loro una grande città manifatturiera (manufactoring place), e lo è, dove la gente è occupata a fabbricare cose (idea della produttività concreta). Questo è ciò che rende affascinante la descrizione della città di Londra, anche se ci sono dei riferimenti precisi, però non è la Londra della guida. Mrs. Ambrose nota anche che si sono degli electric lamps al posto dei lampioni a gas, e quindi qui la modernità. Con queste finestre illuminate, gialle, ed è questo giallo brillante che colpisce, un elemento chiaro della modernità, ma anche tutta questa luce sembra poca cosa a Mrs. Ambrose. Le sembra un piccolo fiocco d'oro su un vasto mantello nero; le cose belle per lei sono poca cosa rispetto al brutto. Di nuovo la critica sociale del narratore attraverso gli occhi e i pensieri di Mrs. Ambrose. Dal momento che attraversavano quartieri dove non si vedevano più gli aristocratici e nemmeno degli impiegati, ma le classi meno privilegiate, Mrs. Ambrose dice che in fondo i proletari sono una cosa normale perché ci sono più proletari che non aristocratici; questa è un'analisi sociologica. La normalità è essere proletari e Londra è una città in cui ci sono tantissimi poveri. È la prima volta che fa un pensiero di questo tipo e dice che i poveri sono più dei ricchi e questa scoperta la colpisce profondamente (startled). Qui trova un elemento positivo, che è un elemento dell'età eduardiana: in questo quartiere proletario trova una scuola serale. Nell'età eduardiana avevano aperto le scuole serali e le biblioteche circolanti per elevare il grado di istruzione della popolazione anche meno abbiente. Mrs. Ambrose è una bravissima osservatrice e passano in questo quartiere proletario e lei vede queste scuole. Suo marito non nota le scuole serali, trova che questo quartiere sia cupo, i quartieri proletari non erano belli e illuminati. Poco più avanti, c'è un'altra notazione sulla città di Londra, ciò che nell'Embankment un tempo era dedicato alla parata militare adesso è una strada lastricata dove si sente puzza di malto, di petrolio e vagoni; questa è Londra commerciale. La potenza britannica non era costruita in astratto, ma c'erano questi elementi concreti che Virginia Woolf vuole farci notare; nelle strade della Londra eduardiana ci sono queste realtà. Sono nella zona commerciale piena di vagoni, sacchi, merce, il tutto avvolto nella nebbia gialla (smog) e in questo contesto c'è un aspetto di Londra che è poco sensibile alle persone e quindi questa è la prospettiva su cui si focalizza Mrs. Ambrose che non riesce a farsi piacere questa Londra della quale osserva ed è in grado di rilevare moltissimi elementi che noi vediamo con i suoi occhi. Lezione 10 (31/10/2018) La prima parte del romanzo è focalizzata sulla città di Londra e vediamo che lo sguardo di Virginia Woolf indaga tutta la metropoli; non va ad investigare solo cose prestigiose, ma tutti i livelli delle classi sociali che offrono un'immagine ambivalente di Londra. Un'immagine fatta di indubbia bellezza e tracce del moderno riscontrate nelle macchine, nella velocità, nell'elettricità, ma c'è anche la convinzione che la maggioranza della gente è povera e quindi, col percorso che fa Mrs. Ambrose, dai quartieri altolocati a quelli proletari, il suo sguardo crea un'immagine negativa, ma in relazione con le altre è ambivalente per cui Londra rimane aperta. Tutta la prima parte del capitolo è descritta in modo straordinario sia dal narratore onnisciente sia dal personaggio di Mrs. Ambrose come focalizer principale. Quindi questa visione di Londra, che non finisce qui, ci apre a uno spazio che è il mondo fittizio, cioè urbano, che è quasi sempre al centro dei romanzi di Virginia Woolf. Abbiamo visto questi aspetti nella Londra mercantile e commerciale, aspetti demitizzanti di Londra che tolgono il fascino e quindi in questa prospettiva abbiamo anche l'osservazione di qualcuno che abita a Londra come quella del barcaiolo che fa da traghettatore ai signori Ambrose per portarli alla piccola barca che li porterà alla nave su cui faranno il viaggio. A Londra non c'è molto tempo di prestare attenzione alla gente perché vanno tutti di fretta. Questo barcaiolo ha una barchetta per traghettare la gente verso le navi in partenza, le navi da crociera. Sono sulla barca in mezzo al Tamigi e la città gli sembra una fila di palazzi, da entrambi i lati, quasi una specie di lego, una città fatta di cubetti. Il barcaiolo dice che il volto di Londra è in continuo mutamento. Loro sono in mezzo al fiume e gli passano le chiatte trascinate dai rimorchiatori (barges) dove c'è merce, sono navi mercantili. Questo ci dà l'idea che il fiume è usato come mezzo commerciale; passano anche le barche della polizia che vanno veloci e loro sono in mezzo con questa barchina a remi che oscilla da una parte all'altra. Il barcaiolo è un uomo anziano, e anche questo è un dettaglio interessante perché forse nessuno vuole più fare questo mestiere, fa notare che un tempo lui aveva tantissimo da fare e invece adesso non ha quasi più traffico perché oggi vogliono i ponti e dunque fa segno a quella che lui ritiene la “mostruosa” sagoma del Tower Bridge (mostruoso è un aggettivo che appartiene al barcaiolo); Questa professione andrà a perdersi. Con un atteggiamento luttuoso, negativo (mournfully). Ci sono notazioni urbane, ancorate nel mezzo del Tamigi ci sono le navi più grosse. La nave, Euphrosyne, è uno spazio a sé in questo viaggio, è uno spazio a sua volta, uno spazio particolare, uno spazio non spazio; è uno spazio che viene chiamato eterotopico. La nave è uno spazio importante perché sarà uno dei luoghi di questo viaggio. La descrizione ci dice che siamo davvero nella fase commerciale e nella fase in cui l'Inghilterra non solo ha la marina militare, ma anche quella mercantile più forte del mondo. Questa nave sembra un vascello di pirati agli occhi di Mrs. Ambrose che vede nera la bandiera, questa luce soffusa (tramonto) aggiunge cupezza e questo vascello fantasma per Mrs. Ambrose è presagio di qualcosa di negativo. Si avvicinano alla nave che è mercantile, non da crociera, e arrivano sul ponte. Adesso cambia la prospettiva e avviene il primo incontro con la protagonista, l'eroina Rachel. C'è una descrizione breve ma precisa. La prima parola (preposizione) è “DOWN” (in the saloon...) e indica una spazialità che si inabissa, che va in profondità, ma metaforicamente quando ci dice che è nella nave del padre capiamo che il padre fa l'armatore e che c'è un rapporto di sottomissione, come tutte le fanciulle vittoriane e quindi c'è anche una valenza simbolica in questa frase. Ci presenta l'eroina con nome e cognome, ha 24 anni, il che vuol dire che ha già superato l'età da marito rispetto a quella che era la consuetudine vittoriana, perché era rimasta isolata, chiusa in casa. Rachel sta aspettando i suoi zii ed è un po' nervosa; c'è disagio perché queste persone non le conosce bene, non li ricorda, in più erano anziani ai suoi occhi (prospettiva infantile) e infine, essendo brava figlia vittoriana, ha il compito di fare gli onori di casa, per questo è un po' nervosa, sarà in grado o no? Ci sono dunque queste incertezze, c'è inquietudine davanti a questo compito. Questa era l'aspettativa vittoriana parlando dei compiti e dei ruoli, senza dire che se mancava la madre, la figlia doveva accudire il padre, occuparsi della casa in modo quotidiano, quindi era il suo compito (she must). E qui si vedono i motivi del suo disagio. C'è il gesto per preparare bene la tavola, tutto allineato e decoroso; mentre fa questo sente la voce di qualcuno che si lamenta delle ripide scale (sono gli zii che hanno un'idea disagevole dello spazio della nave). Mrs. Ambrose compare sulla porta e qui abbiamo un nuovo focalizer: Rachel. Mrs. Ambrose è vista e descritta con gli occhi di Rachel che la vede apparire sulla porta e dà dettagli concreti sul suo aspetto fisico: alta, occhi grandi, avvolta da uno scialle porpora, romantica e bella. Questa è la sua prospettiva. Nota anche che non era particolarmente solidale perché aveva uno sguardo inquisitivo che faceva attenzione a tutto quello che vedeva (Mrs. Ambrose molto acuta). Immediatamente Rachel percepisce questa cosa: è bella, romantica, ma ha uno sguardo “straight” (di solito le donne vittoriane non dovevano avere uno sguardo diretto). Aveva un viso più caldo di quello di una statua greca, ma era un viso molto più audace (bolder). Gli aggettivi definiscono fisicamente e psicologicamente. Mrs. Ambrose non è catalogata come la classica gentildonna, ma catalogata per questo suo sguardo più penetrante che non doveva essere femminile, catalogata come diversa dalle classiche donne vittoriane inglesi. E qui abbiamo il primo incontro tra Rachel e gli zii e anche alcuni passeggeri della nave; in particolare incontriamo Mr. Pepper che, come Mr. Ambrose, è un professore, ma noioso, pieno di sé e conservatore. Questi sono attributi che lo definiscono non proprio come il massimo della simpatia. Ancora una volta il punto di vista di Rachel sullo zio. Le piace il suo fisico snello e un po' ossuto e anche il viso, un faccia che non si può non notare (big head with its sweeping features, and the acute, innocent eyes), che non passa inosservato (dati psicologici). Rachel dice ad una domestica di avvisare Mr. Pepper, già sulla nave, che aspettava di unirsi agli altri ospiti per la cena; si siedono e Rachel comincia una conversazione. Mr. Pepper fa la sua entrata; fa un cenno col capo a Mr. Ambrose perché sono colleghi e dà la mano alla signora Ambrose. Notiamo che lui è un po' sghembo come un albero col fusto dritto e la chioma inclinata a causa del vento (bent as some trees). Lui arriva, entra e comincia a lamentare lo spiffero di qualche porta o finestra aperta. Helen è gentile e si interessa della sua condizione di salute, ma ancora pensa alla città, a ciò che ha visto. Si ritorna al concetto che lei appare bella a Rachel, anche per via della sua voce (low and seductive). Più volte sarà espresso il concetto della bellezza di Helen. Mr. Pepper accentra la conversazione sul suo malanno, sulla sua condizione di artrosi o reumatismi, enfatizzando la sua malattia. Vediamo l'ironia di Virginia Woolf espressa tramite Mrs. Ambrose (nessuno muore di reumatismi). Ridley Ambrose è un po' cafone: primo perché solleva il piatto per prendere la minestra, secondo perché fa subito un commento negativo a mezza voce contro Rachel “non è proprio come sua madre”(non è bella ed è imbranata). Allora Helen cerca di fare rumore per non far sentire ciò a Rachel, ma invano; lui è riuscito ad imbarazzarla. Questo commento mette ancora più a disagio Rachel che ad un certo punto cerca di mandare avanti la conversazione cambiando discorso e parlando dei fiori che sempre nervosamente cerca di sistemare. Ancora una volta c'è un silenzio pesante. I due colleghi cominciano a parlare di qualcuno che conoscono solo loro due intraprendendo una conversazione con dei referenti noti solo a loro. Parlano di Jenkinson, un professore come loro e Mr. Pepper porta solo cose negative nella conversazione (reumatismi, morte del collega). Era un loro compagno a Peterhouse e si ricordano di un incidente sulla barca lungo il fiume nel quale questo era coinvolto; cominciano le reminiscenze di quando erano insieme all'università e poi dice che si era sposato con una donna giovane ed era andato ad abitare nelle Fens (zona acquitrinosa). Pepper insinua che sia morto perché drogato e alcolizzato (Pepper pettegolo) e quindi vanno avanti a parlare delle loro cose, dei loro fatti privati e parlando di queste cose salta fuori un elemento interessante; parlano di un altro personaggio. C'è un dato ironico, ma acuto. Si dice che le donne, secondo il costume del loro sesso, erano ben istruite (highly trained) a promuovere la conversazione degli uomini; loro non dovevano partecipare LETTERATURA INGLESE III MODULO A Lezione 1 (10/10/2018) Il romanzo del 900 interagisce con tutte le nuove conoscenze/ambiti; i due nuovi scrittori, già citati, scrivono anche dei saggi interrogandosi sul piano filosofico di cosa stia succedendo ( in ambito scientifico abbiamo invece Einstein). Gli autori dell’epoca si interrogano sul senso del romanzo: che cos’è un romanzo? Questa era la domanda che si sono posti e le risposte erano tante. Che funzione svolge in romanzo nella società moderna? Come si rapporta il romanzo alle nuove conoscenze? E perché gli scrittori non possono scrivere come scrivevano i romanzi tradizionali? Perché essi devono fare un salto qualitativo, in quanto il mondo intorno a loro è cambiato (dall’età vittoriana all’età georgiana, i primi 20 anni del 900 che hanno visto una grande rivoluzione culturale). Gli scrittori perciò devono trovare una modalità enunciativa che introduca nel romanzo le nuove conoscenze, ma che faccia del romanzo uno strumento di conoscenza, non solo semplicemente qualcosa di entertaining; esso deve diventare un mezzo di conoscenza in modo nuovo rispetto a quelli del passato. Background storico- culturale: dal punto di vista sociologico o meglio sociale e storico, l’evento che segna l’inizio della modernità è la rivoluzione industriale del 700 in Inghilterra, che rappresenta il passaggio dalla produzione di beni e materie prime e manufatti di tipo artigianale, incentrata a livello familiare e industriale. Questa economia di beni ha un sistema di produzione seriale e appunto industriale. La rivoluzione industriale si compie anche dal punto di vista sociale perché cambiano gli assetti della vita quotidiana: l’artigiano perde l’aspetto creativo e individuale ma anche l’aspetto autonomo del proprio lavoro. Con la rivoluzione industriale tutti i lavoratori si equivalgono (tutti sono messi sullo stesso piano): sono tutti uguali e lavorano tutti nello stesso modo. L’artigiano e il contadino si trasformano in lavoratori dell’industria. L’agricoltura è ora un’economia basata sul piccolo appezzamento di terra posseduto dal singolo contadino e dalla famiglia, invece nel Medioevo c’era la proprietà collettiva: si nota il passaggio dal fatto che il singolo agricoltore deve cedere i propri terreni perché diventa operaio e si creano a partire dal tardo Medioevo (soprattutto nel Rinascimento) il fenomeno di “the enclosure”: porta dei cambiamenti perché i proprietari terrieri, soprattutto aristocratici, tolgono i terreni agli abitanti del villaggio e li dedicano non all’agricoltura ma all’allevamento delle pecore. Grande fenomeno che abbraccia tutta l’Inghilterra perché allevare pecore significava produrre lana. Dunque la lana inizia ad essere lavorata a livello industriale. Il restringimento delle aree agricole cambia il paesaggio rurale e il territorio a partire dall’epoca Elisabettiana. Queste staccionate (enclosure significa staccionata), steccato, cominciano a suddividere il paesaggio in piccoli appezzamenti di pascolo per le pecore e la rivoluzione non fa altro che ingigantire questo fenomeno. La tessitura è il settore in cui in Inghilterra avvengono le maggiori innovazioni tecnologiche (adesso dal 700 si tesse con il telaio meccanico e questo automatizza e velocizza il lavoro di tessitura). Insieme al settore tessile, dove la tecnologia è dirompente, quello che succede a livello tecnologico è il miglioramento della tessitura, e vengono lanciate altre nuovi invenzioni quali la macchina a vapore, che viene inventata nel tema della rivoluzione industriale nella seconda metà del 700, rivoluziona ancora di più il paesaggio rurale (non si usano più le carrozze). La rete di trasporti velocizza il commercio e gli scambi. Alte invenzioni sono il treno, il battello a vapore sia fluviale che sui laghi, tutto ciò accorcia le distanze e dà il benvenuto alla velocità, elemento della modernità. Ci soni state diverse proteste contro la ferrovia e le macchine: come quella dei lobbisti contrari alle macchine in quanto il cambiamento era talmente spontaneo da essere ingestibile per chi doveva subirlo. Con queste premesse della rivoluzione industriale si creano accordi fondamentali che portano alla creazione delle città industriali: urbanizzazione, altro fenomeno della modernità. Spesso le fabbriche erano vicine alle città, quindi si vedeva un afflusso massiccio verso le città delle persone dove fioriscono città come Londra, che diventerà una capitale finanziare che industriale, ma non solo. Le città che esplodono della rivoluzione industriale sono Birmingham, Seattle, Leicester, Leeds. Queste città diventano sempre più importanti: anche Liverpool diventa importante per il porto, uno dei porti più importanti per il traffico internazionale e diventa importante per l’importazione del cotone dalle colonie, come India e Egitto, veniva portano a Liverpool e lavorato e tessuto lì. L’Inghilterra aveva i mezzi per lavorare il cotone, anche se veniva lavorato prima in India. La lana diventa un grande oggetto di commercio, e quindi il commercio dell’Inghilterra si diffonde in tutto il mondo e per gran parte dell’800 sarà la prima potenza mondiale, poi verrà schiacciata dalla Germania e Stati Uniti. Il ciclo produttivo: materie prime a basso costo, produzione su larga scala, esportazione a livello internazionale rendono l’Inghilterra una grandissima potenza economica e industriale in pochi decenni. L’industria estrattiva del carbone e del ferro, ovvero le miniere, sono essenziali per l’Inghilterra. Esse sono fonte di energia e occorrono per la lavorazione dell’acciaio e ghisa in modo da costruire le ferrovie. Gli agricoltori se non operai diventavano minatori, perciò dai villaggi rurali andavano nelle miniere dove c’era anche lavoro minorile a partire da 8 anni per lavorare 12 ore. Osservando l’Inghilterra noi possiamo capire cosa succederà negli altri stati che seguiranno a ruota politiche analoghe. Questa situazione di potenza industriale e commerciale si appoggia su una ideologia molto precisa che è l’ideologia del “free trade”, ovvero libero mercato: essa prevedeva di acquistare le materie prime in tutto il mondo, gestire il processo produttivo senza ostacoli di protezionismi e isolazionismi e l’Inghilterra diventa “the first commer to the industrialization”. Le prime importanti riforme sociali vengono fatte nel primo 800, come spostare il lavoro minorile a 12 anni anziché 8. Le politiche coloniali inglesi nascono nel XVI secolo, come l’attacco alle navi spagnole che erano arrivate in Asia prima degli inglesi. All’inizio non sono in grado di inserirsi in questa dinamica, ma poi man mano cominciano ad entrare in questo gioco e allora il famoso trattato di vasiglia?, che aveva spartito diviso Spagna e Portogallo e gli inglesi si inseriscono in questa dinamica fondando compagnie che hanno precisamente questo scopo: East India Company che ottiene un monopolio sui commerci nell’Oceano Indiano, dando avvio ad un commercio asiatico. Questo insediamento commerciale diventa poi una vera e propria dominazione: processo lento ma continuativo, nel 1784 l’Indian Act concede ai governatori delle compagnie poteri anche politici, che dà inizio alla colonializzazione. La compagnia diventa una sorta di governo autonomo che gestiva il commercio delle materie prime in quella zona. Alla fine del XVIII secolo l’Inghilterra perde le colonie in America che raggiunge l’indipendenza e resta solo il Canada: dominions, forma di governo semi indipendente, si tratta di una gestione locale degli affari interni mentre si tiene legato il dominion all’Inghilterra per quanto riguarda le politiche estere. Vale anche per l’Australia e l’Africa che sono territori in cui l’Inghilterra colonizza. Essa occupa l’india, la Birmania, Sudan, Nigeria, Serra Leone, e conquista il Kenya, Uganda, finché arriva a scontrarsi sulla questione sud africana con gli olandesi che avevano occupato quella zona prima degli inglesi. Fine metà dell’800 c’è stata la Guerra Boera (boeri erano gli olandesi) basata sulla contesa dell’Africa con gli olandesi: territorio ricco di materie prime e diamanti. Gli inglesi trasformano il Sudafrica in dominion. L’espansione continua fino all’800 quando l’Inghilterra occupa a vario titolo l’80% dell’Africa e il 60% dell’Asia. Nell’età vittoriana, la regina Vittoria viene proclamata imperatrice dell’india (Empress of India). Poi ci sono anche i francesi come nemici. Gli inglesi si scontrano con la Francia dopo le guerre napoleoniche perché vogliono l’Egitto, che diventa strategico prima per il cotone ma soprattutto con l’apertura del Canale del Suez, 1869, che consente ai commerci di evitare di fare tutto il giro e la scorciatoia era l’Oceano Indiano. Per mettere a posto alcune configurazioni di questi periodi storici- età georgiana 1877 Queen Victoria, empress of India 1901-100 Edward VII 1910-1936 George V Edward VIII-> George VI positivamente e come luogo di nuove opportunità e di emancipazione. Si crea un'immagine bivalente della città perché rimangono comunque i problemi di inquinamento e massificazione. Un luogo di riscatto ed emancipazione, ma anche un luogo nel quale permangono alcuni grossi problemi che le riforme cercano di correggere. LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LE SUE CONSEGUENZE IN INGHILTERRA Si tratta di un evento che ha enormi complicazioni ed enormi ripercussioni: storiche, politiche, economiche e sociali. Da un punto di vista critico e storico, le cause di questo conflitto sono i conflitti che si innestano tra i vari nazionalismi europei, in corsa per la conquista di territori vari nel mondo (Africa), ma anche la lotta per la conquista dei mercati mondiali, quindi a livello commerciale. Entrambe sono ragioni economiche, che stanno sempre alla base delle guerre. Non sempre si tratta di ragioni ideologiche, che talvolta diventano coperture, le vere cause vanno cercate in questa dinamica delle tensioni nazionalistiche. In tutta la prima metà del 900, l'Inghilterra teme la Germania come rivale per la sua capacità di diversificazione nel campo industriale e di competizione a questo livello. A questo si aggiunge la ricerca di nuovi mercati quando la Germania di inserisce in una lotta per il possesso delle colonie e questo terreno di scontro porterà ad un conflitto. C'erano due fronti contrapposti che erano l'Intesa (Inghilterra, Francia, Russia) e la Triplice Alleanza (Germania, Italia, Austria). Inizialmente l'Italia entra come alleata di Austria e Germania, per poi passare nell'Intesa. La guerra scoppia nel 1914 e nel 1917 entrano nel conflitto gli Stati Uniti e questo diventa determinante per la vittoria dell'Intesa. L'illusione iniziale era che la guerra sarebbe stata una guerra lampo, una cosa veloce, ma è un'illusione che si infrange ben presto sulla battaglia della Marna in Francia, dove si vede che questo conflitto è spaventoso ed è inedito nella sua crudeltà a causa anche delle nuove tecnologie che vengono applicate agli armamenti (bombe); è la prima guerra in cui vengono impiegate le bombe nelle trincee. Questo trova del tutto impreparati i soldati inglesi e francesi. Tutti i soldati della prima guerra mondiale vengono scioccati da questa nuova tecnologia. L'entrata in guerra dell'Inghilterra è partita dal presupposto che sarebbe stata una cosa veloce ed è preceduta da una sostenuta propaganda a favore; propaganda gestita dal partito conservatore, ma anche dal partito laborista seppur con qualche eccezione. Unica grande eccezione è il leader del partito laborista in Inghilterra, Mcdonald, che si dimette immediatamente perché in disaccordo con le linee del partito di appoggio alla prima guerra mondiale. Tuttavia l'esordio del conflitto in Inghilterra parte con entusiasmo, con l'idea che sarà una guerra breve, che l'Intesa è forte e quindi la prima generazione di soldati che vanno ad arruolarsi sono tutti volontari, non c'è la leva obbligatoria. La propaganda politica aveva entusiasmato i giovani e la prima generazione è fatta da volontari. Questa prima generazione muore decimata in guerra, la leva allora diventa obbligatoria nel 1916 perché devono sostituire fisicamente la generazione dei caduti sul fronte francese nella prima fase della guerra e col perdurare del conflitto pian piano anche in patria si comincia a manifestare un atteggiamento perplesso, critico e di opposizione alla guerra. Questa opposizione è soprattutto da parte degli intellettuali che avevano sperimentato la guerra o conosciuto gente direttamente coinvolta. Questi intellettuali cominciano a comporre poesie e a scrivere romanzi contro la guerra. Si delinea la figura del soldato reduce che ritorna col suo shell-shock (trauma della bomba), hanno visto i loro compagni dilaniati dalle bombe e questo trauma perdura dopo il ritorno con problemi psichici gravi. In tutta l'Inghilterra si cominciano a percepire una serie di problemi e la guerra diventa un trauma nazionale, collettivo, dovuto al costo altissimo di questo conflitto, in termini psicologici e sociali oltre che in termini economici, nonostante la vittoria riportata, non c'è famiglia in Inghilterra che non abbia subito gravi perdite o vissuto crisi psicologiche, morali tremende. Il trauma di questa guerra porterà l'Inghilterra nei decenni successivi, soprattutto negli anni 20-30 a optare per una politica di Appeasement (politica di grande riluttanza all'entrata in un'altra guerra). Questa politica dura per tutti gli anni 20-30 ed è una riluttanza che alla fine porterà a non allarmare troppo, almeno non subito, l'Inghilterra durante l'ascesa di Hitler. Ci vuole del tempo prima che l'Inghilterra registri la minaccia Hitler proprio perché questa politica era un rifiuto ad entrare in un'altra guerra dopo gli orrori visti. È importante sul piano psicologico proprio perché è stata così devastante a livello nazionale l'effetto della prima guerra mondiale. Questi sono effetti psicologici. Ci sono anche degli effetti economici-sociali molto chiari che derivano dal conflitto mondiale. Prima di tutto un intervento statale in ambito economico; lo stato entra nella politica perché durante la guerra deve gestire il controllo di tutte le materie prime e anche della forza lavoro. Durante la guerra si crea il cosiddetto Department of Resources (ministero delle risorse), che scavalca ogni ideologia del lassaiz faire (stato fuori dalla politica) e quello che non si era realizzato con un'ideologia socialista viene realizzato per necessità durante la guerra. Questo lascia un imprinting nelle politiche industriali anche dopo la guerra; cambia il rapporto tra lo stato e gli industriali, rappresentati dal partito conservatore, che si vedono costretti ad accettare l'intervento statale e a rinunciare all'idea del free trade perché niente sarà più come prima; anche a livello di economia nazionale le cose sono cambiate. L'intervento statale non si crea sulla base di un'ideologia socialista, ma sulla base di esigenza bellica. Un grande cambiamento nelle relazioni tra le associazioni operaie (trade unions) e le industrie. I lavoratori acquisiscono un potere contrattuale maggiore, diventano più coscienti dell'importanza del loro ruolo nel procedimento industriale e si delineano delle contrapposizioni; non è più semplicemente l'allineamento dei leader, ma questa diventa più una contrapposizione: da un parte si vedono gli interessi del capitale e dall'altra gli interessi del lavoro. I due schieramenti si configurano come una chiara opposizione, gli interessi dell'uno non coincidono con gli interessi dell'altro. Altro cambiamento enorme dopo la guerra è la posizione sociale delle donne che acquisiscono maggior considerazione per il semplice fatto che durante il conflitto avevano sostituito gli uomini al fronte in tutte le mansioni maschili (guidavano treni, andavano in miniera, andavano in fabbrica) e questo dimostrava che le donne potevano smettere di fare gli angeli del focolare e occuparsi di altre cose diverse da quello. Se prima le donne dovevano essere viste ma non sentite, poi hanno capito che riescono a fare molte cose. Da qua rivendicazioni sul piano del lavoro e sul piano politico. Si estendono i diritti delle donne alla sfera politica. Anche la posizione delle donne come quadro sociale è diversa. Altro aspetto importante della guerra è la questione irlandese. L'Irlanda era stata occupata già nel 1600 dagli inglesi e poi era diventata una delle prime colonie, così dall'Irlanda come dalle altre colonie si arruolavano soldati che andavano a combattere per l'Inghilterra. Solo che la questione è contraddittoria perché i soldati irlandesi, quelli delle colonie, i sudafricani, i soldati scozzesi alla fine del conflitto si rendono conto che hanno combattuto una guerra che non era la loro; si rendono conto che non potevano identificarsi con gli scopi di quella guerra e avendo subito gravi perdite umane per un conflitto provocato da altri, del tutto estraneo, che non portava loro nessun beneficio, comincia a nascere un'ulteriore consapevolezza dell'indipendenza. La popolazione irlandese comincia a rivendicare la propria indipendenza dall'impero britannico e nel 1919, un gruppo di 72 rappresentanti parlamentari irlandesi nel parlamento di Westminster a Londra, abbandonano per protesta il parlamento britannico e fondano a Dublino un parlamento indipendente proclamando la nascita della repubblica irlandese. La repressione del governo inglese è tremenda, è condotta con la creazione di un corpo di polizia (black and tend?) fortemente militarizzata che vuole soffocare gli indipendentisti irlandesi. Gli irlandesi rispondono creando a loro volta un esercito di liberazione l'IRA (Irish Republican Army). I conflitti durano fino al presente. Nel 1921 si arriva alla divisione ufficiale dell'Irlanda in due: Repubblica Irlandese con 26 contee cattoliche, capitale Dublino; e una parte che rimane sotto il Regno Unito con capitale Belfast. La completa indipendenza delle contee cattoliche, da dominio a indipendenza sarà nel 1949. Questi sono gli eventi politici-sociali del background. CONTESTO CULTURALE-FILOSOFICO L'inizio del XX secolo è caratterizzato da grandi innovazioni in ambiti molto diversi e da una sorta di vertigine conoscitiva, una grande crisi dei vecchi modelli, dei vecchi quadri della cultura occidentale, soprattutto in ambito filosofico e scientifico, in fisica, in filosofia, ma anche nella letteratura e nelle arti figurative. I primi anni del 900 sono una grande fase rivoluzionaria sul piano culturale. Si assiste alla fondazione di tutta una serie di nuovi saperi, nuove discipline e quasi tutto cambia rispetto alla vecchia prospettiva filosofica. Cambia la visione del soggetto e del mondo; la soggettività viene pensata in un altro modo perché ci sono queste nuove discipline. Il 900 è l'anno di pubblicazione dell'Interpretazione dei Sogni di Freud e quindi della nascita della psicanalisi, una nuova disciplina che avrà un impatto crescente nella cultura del tempo e avrà anche il potere di scatenare moltissimi dibattiti e controversie, ma provocherà dei cambiamenti radicali nella percezione dell'identità del soggetto. Dopo Freud il soggetto viene ripensato in modo completamente nuovo; la grande differenza che il padre della psicanalisi presenta è che il soggetto non è solo un animale razionale, come aveva detto Aristotele; per Freud non è vero che l'uomo è irrazionale, ma c'è molto di più nella psiche, molto più della ragione. La ragione è solo una minima parte del territorio molto più ampio, in questo universo che Freud chiama psiche. Chiama psiche qualcosa che è molto di più della sola ragione. Freud non studia solo i sogni, ma anche i lapsus, gli atti mancati, il morto di spirito, tutti fenomeni che non erano mai stati analizzati. Freud focalizzandosi su questi fenomeni arriva a delineare una visione del soggetto molto più complessa che non semplicemente di animale razionale. Questi fenomeni diventano una via maestra verso l'inconscio che è il concetto fondamentale su cui si fonda la psicanalisi. (psicanalisi = studio dell'inconscio). Il soggetto può essere immaginato con una sua complessità come l'iceberg. La parte emergente è la razionalità, la parte sommersa è l'inconscio. Questa dimensione della psiche affiora tramite il sogno in modo obliquo, cifrato, non in forma logica o razionale. Affiora con messaggi che bisogna interpretare perché fino a quel momento erano stati ignorati. I messaggi vanno interpretati e l'opera di Freud aiuta queste interpretazioni sia sul piano clinico (psicanalisi come terapia), sia sul piano epistemologico (psicanalisi come filosofia). La psicanalisi dal punto di vista epistemologico consente lo studio delle dinamiche dell'inconscio e quindi della psiche. Freud crea una nuova mappatura del soggetto, che si rivela molto più complesso di come era stato percepito nel passato. La mappatura che Freud propone comprende 3 livelli, che si influenzano e che costituiscono il soggetto. – Es: inconscio che è reso accessibile tramite i sogni, lapsus. – Ego: l'io diurno, il territorio della coscienza consapevole. Comprende anche la ragione che è una parte dell'ego, l'ego non è solo razionalità, è il territorio della coscienza lucida, pensante, palese. – Superego: identità morale e culturale del soggetto perché il superego comincia a formarsi fin dalla nascita tramite la cultura, il superego è ciò che viene plasmato del soggetto in base alla cultura di appartenenza, tutti nascono in una cultura. Con il superego continua la formazione, continua l'educazione. Il superego tende a identificare il soggetto con le figure parentali, con i genitori che fungono da modello, esempi di condotta pratica e morale perché trasmettono i principi della società. Nel superego esiste una capacità di sublimazione delle proprie pulsioni. Freud indaga il concetto di repressione come capacità di rinunciare alla proprie pulsioni personali in nome della convivenza col gruppo di appartenenza. Freud sostiene che le pulsioni vanno coniugate con i principi del vivere sociale, i principi della società altrimenti si torna nella barbarie. Gli scrittori del romanzo dello Stream of Consciousness si occupano di coscienza, parola affine all'inconscio, e sono interessati alle scoperte della psicanalisi. Gli scrittori dello Stream of Consciousness capiscono che il romanzo modernista non può aspirare solo a raccontare una storia per intrattenimento, per diletto o per insegnamenti morali, ma il romanzo deve diventare un mezzo che indaga nella psiche ed è qui la maggiore affinità con la psicanalisi. Freud paragona la psicanalisi all'archeologia, psicanalisi = archeologia dell'inconscio. Prendere gli eventi della prima infanzia era uno scavo. Anche il romanzo dello Stream of Consciousness vuole recuperare le dinamiche della coscienza, quindi sondare la coscienza nella sua complessità (parola chiave del 900). L'aspirazione fondamentale del nuovo romanzo è di chiedersi cosa succede nella coscienza. Gli scrittori modernisti vogliono fare un romanzo che sia più realista del romanzo realista, realista inteso come vicino alla complessità psichica del soggetto perché il soggetto viene indagano in presa diretta, sequenziale. Bergson crede di dover cambiare l'idea tempo e introduce un nuovo concetto che non è più il concetto di tempo in senso quantitativo, ma è la durata. La durata è un concetto fenomenologico ed è, secondo Bergson, un dato immediato della coscienza; la durata è il tempo soggettivo che si contrappone al tempo misurato dell'orologio. Non si può distinguere l'oggetto conosciuto dal soggetto che conosce e ancora una volta il tempo assume tante valenze. Il tempo è durata (5 min dal dentista = eternità. 3 ore con il ragazzo = 5 min)e la durata è la percezione, la sperimentazione soggettiva del tempo. Il mondo è cambiato così come il tempo e questi cambiamenti devono riflettersi nel romanzo. Il romanzo fa una sperimentazione sulle strutture temporali; la storia non viene più raccontata in ordine Ordo Naturalis, ma si introducono dei flashback, o si fanno iniziare certi romanzi in medias res. La sperimentazione che parte dalla nuova idea tempo, cioè dall'idea di durata abbandona, anzi mette in secondo piano l'Ordo Naturalis, ma esalta il tempo della coscienza (durata) e quello che è importante è rappresentare ciò che quel tempo, quel momento, è per il soggetto. Con la fenomenologia cade l'ambizione di pensare di rappresentare il mondo così com'è perché ognuno ha la sua visione del mondo. Ognuno parla della realtà e dice qualcosa di essa, ma in verità dicono qualcosa di come vivono la realtà; il mondo come è visto secondo la consapevolezza di un sociologo, scienziato, artista, romanziere, ecc. Ecco perché in questi romanzi ci sono delle trasposizioni cronologiche; analessi e prolessi. L'analessi nella teoria del romanzo, è un flashback; la prolessi è un'anticipazione di qualcosa che avverrà in futuro. Nei romanzi ci sono più analessi perché diventeranno romanzi della memoria. Di solito nel romanzo tradizionale si seguiva la vita dell'eroe dall'inizio alla fine in una progressione lineare che era il tempo cronologico. Nei nuovi romanzi non si segue la vita del personaggio in progressione lineare, ma la sua storia va messa insieme dopo aver esaminato tutte le analessi e prolessi con cui lo scrittore parla della vita del personaggio. (Mrs Dalloway romanzo che sovverte le categorie temporali tradizionali, è un romanzo in cui il ricordo gioca una ruolo fondamentale. Non c'è più lo schema classico della continuità, della concatenazione, ma è una vita intera tramite flashback, una vita completa della protagonista. Sta a noi ricavare il tempo della storia, la cronologia perché il romanzo non la dà in modo lineare e anche la descrizione cambia così come le coordinate tempo e spazio). Nel 900 nasce il concetto di cronotopo: fusione del tempo e dello spazio. Dalla fisica di Einstein in poi non si possono separare tempo e spazio. LA FENOMELOGIA NEL ROMANZO La fenomenologia vuole rappresentare il mondo senza le vecchie regole e senza mistificazioni, senza la vecchia mimesi tradizionale che dava una garanzia fasulla di oggettività, e pertanto gli scrittori si cimentano con questa sperimentazione. I temi della letteratura non cambiano, sono sempre gli stessi, da Omero a Beckett. I temi saranno sempre, finché esisterà la letteratura, l'amore e la morte; ma quante forme di amore ci sono? Almeno una decina in ogni romanzo. Che cos'è l'amore? L'amore dove? Per chi? In quale testo? Quello che è importante è la prospettiva che cambia perché cambiano i quadri storici, filosofici e i contesti. I temi sono gli stessi; ad esempio si può sempre avere una rappresentazione della città, ma nessuna di queste avrà la pretesa di spiegare come è la città davvero. Il bello di un romanzo è che fa conoscere la città tramite certe percezioni diverse, tramite chi la conosce e la vive. Lo spazio viene dato non più come mimesi oggettiva, ma come percepito dal personaggio e dunque sarà diverso per ognuno. Ecco cos'è la fenomenologia calata nel romanzo sperimentale: conoscere degli spazi vissuti dal personaggio, avere una visione poliedrica degli stessi luoghi, ma saranno diversi perché filtrati dalla coscienza di diversi personaggi. Queste discipline hanno scardinato il vecchio modo di rappresentare la realtà, l'hanno messo in questione, sotto un punto di domanda e gli scrittori vogliono rendere questa esperienza. Le loro descrizioni del mondo sono filtrate da quella fenomenologia della percezione che fa dei loro romanzi qualcosa di nuovo e di unico nella storia della letteratura. Questi romanzi sono stati anche definiti troppo estetici, in senso dispregiativo, ossia qualcosa che non si misura, sofisticato ed elaborato. Sono estetici perché più complessi e richiedono una maggior attenzione perché riflettono i problemi del 900, le nuove discipline, i nuovi saperi, le nuove prospettive e in più sono autoconsapevoli; sono quindi consapevolmente diversi da quelli tradizionali perché questi scrittori (Woolf, Joyce, Forster...) si chiedono che cosa vuol dire fare un romanzo oggi, in quel momento e dichiarano di non poter più adoperare le vecchie forme. Quando gli si chiede cosa vuol dire scrivere, fare un romanzo, rispondono che si tratta di rappresentare con più attenzione, intelligenza e onestà, senza formule collaudate, la rappresentazione della realtà. Questa è la nuova mimesi che è un nuovo realismo più realista del realismo tradizionale perché il realismo tradizionale era basato su certe formule, definite effetti di reale; prometteva e garantiva che quella era la rappresentazione oggettiva. Gli scrittori modernisti non vogliono dare una rappresentazione oggettiva, ma per questo vogliono dare una rappresentazione più vera perché ognuno che sperimenta una certa situazione la vive in modo diverso. Questo allarga molto la visione di cosa sono il mondo e la realtà; non si incapsula la realtà dentro formule e definizioni. La fisica dice che il mondo è governato da una indeterminatezza, ossia rappresentare con più verità, con meno mistificazione, la spontaneità del personaggio, le percezioni, le sensazioni, i ricordi. La sfida di definire una sensazione e una percezione; non ci si pensa perché si sente e si percepisce, ma uno scrittore che voglia rendere conto di che cosa significhi percepire o sentire, alla fine si crede che questi romanzi ci facciano sentire più vivi e ci diano anche un'idea più ampia della realtà. Il discorso del romanzo si allarga a cosa lo scrittore riesce a fare, quali strategie, scopi e mezzi mette in campo per raggiungere questa nuova mimesi che non sia un effetto di reale, ma un tentativo di dare l'esperienza vissuta. Non si parla più di realtà oggettiva, ma di verità del vissuto. STREAM OF CONSCIOUSNESS La fenomenologia, che è rendere il vissuto, ci porta alla definizione dello Stream of Consciousness. La definizione stessa esce da una frase usata per la prima volta da uno psicologo americano William James che scrive nel 1890 Principle of Psicology dove parla della psiche come di uno Stream of Thoughts (flusso di pensieri). James pensa alla libera associazione di idee racchiuse nella psiche. Egli parla della psiche come di uno Stream of Thoughts e la cosa importante è la parola Stream (flusso). La psiche non è una facoltà come la ragione, ma è qualcosa di dinamico. Focalizzare l'attenzione sulla dinamicità della coscienza vuol dire stare attenti a quello che succede quando uno vive. Suo fratello è Henry James scrittore di romanzi che si avvale delle tecniche moderniste. L'espressione Stream of Consciousness viene usata dalla filosofa inglese May Sinclair. Ella crea questa espressione partendo dalla lettura di una serie di romanzi di una scrittrice contemporanea Dorothy Richardson (Pilgrimage). Scrive un romanzo semi autobiografico in 12 volumi in cui May Sinclair trova le tracce di qualcosa di sperimentale, un nuovo modo di rappresentare la coscienza del personaggio e lo chiama Stream of Consciousness. La protagonista ha una continuità determinata dalla coscienza e quindi quella che diventa lo Stream of Consciousness Novel sarà un romanzo basato sulla continuità della coscienza, che non è necessariamente quella dell'Ordo Naturalis. Molte volte si dice erroneamente che i romanzi dello Stream of Consciousness sono intimisti. Sono romanzi che rappresentano il mondo perché nella coscienza c'è il mondo esterno, c'è il vissuto e non si può separare il soggetto dall'oggetto. Se si parla della coscienza del soggetto, si parla di una coscienza di un soggetto che si rapporta col mondo e con gli altri. Non si parla della coscienza di qualcuno che è in una campana di vetro e quindi questa idea intimista. Nella coscienza c'è il mondo, per questo non sono intimisti, non sono ripiegati sull'auto riflessione. Sono romanzi che obbligano a capire la convenzionalità dei romanzi tradizionali nel momento in cui provano a fare qualcosa di diverso. Nel contesto dell'età eduardiana ci sono due filoni narrativi: Novels of Ideas e Congenial Novels. Novels of Ideas: romanzi a tesi, vogliono portare avanti un messaggio, che discutono delle nuove teorie; il romanzo diventa uno strumento per i dibattiti sulle idee. Sono romanzi ancora in parte legati ai canoni tradizionali. Congenital Novels: i novelists sono Henry James, Joseph Conrad, Dorothy Richardson, Virginia Woolf, James Joyce, E. M. Forster. Sono caratterizzate da una coscienza dello strumento narrativo. Una consapevolezza di sondare la coscienza anche se questi scrittori differiscono molto tra loro, ma ognuno cerca di rappresentare i moti della coscienza e mette in discussione le abitudini affabulatorie tradizionali. Bisogna scrivere dei romanzi che non siano copie di altri romanzi, ossia romanzi che non vadano sul sicuro ricalcando quello che era già stato scritto e detto dai classici, ma che siano diversi. Il romanzo tradizionale aveva avuto successo, ma non basta più, si deve entrare in una ricerca espressiva e critica e bisogna abolire il dogmatismo tradizionale e riportare il romanzo a qualcosa di significativo culturalmente e non un semplice passatempo. Bisogna fare del romanzo una sonda conoscitiva dell'io, dell'individuo. Il realismo non è più pensato come incremento di effetti di verità, ma deve essere pensato con dei canoni diversi, che non sono quelli di un riconoscimento. Si deve rischiare questa scommessa conoscitiva e arrivare ad una nuova mimesi. Lezione 4 (17/10/2018) Oggi parliamo della novità rappresentata dai romanzi sperimentali, ma oggi lo facciamo già a partire da modern fiction, saggio di Woolf perché questi scrittori sono anche molto consapevoli della loro attività di romanzieri e si pongono tanti interrogativi su cosa significhi scrivere, perché scrivere oggi è diverso dal scrivere di un tempo. Seguiremo lo sviluppo del saggio. Modern fiction è apparso in un volume chiamato The common reader (il lettore comune), ma ancora prima di essere pubblicato era comparso sul Times literary supplement, rivista tuttora presente che nel 1919 venne pubblicata con il titolo di Modern novels anziché Modern fiction. All’inizio del saggio troviamo alcune riflessioni sul continuo dibattito letterario tra il classico e il contemporaneo. La cosa interessante in esordio di questo saggio è che Woolf dice subito cosa trova di diverso: l’elemento più diverso è che nei classici lei trova una semplicità (non stupidaggine) di scrittura che quando lei scrive sembra quasi irraggiungibili e impossibile perché il presente si è complicato, esso è più complesso. I contemporanei non possono più scrivere esattamente come scrivevano i classici, la loro semplicità sembra oggi strana e impossibile da raggiungere. Gli scrittori classici, anche quelli più noti, hanno una modalità narrativa diversa basata su strumenti semplici e materiali primitivi/rozzi (Based on simple tools and primitive materials). Questa è una caratteristica dei classici che è irraggiungibile ora in quanto l’arte contemporanea deve essere un miglioramento di quella del passato. Woolf sceglie due romanzieri inglesi Henri Fielding, inventore del romanzo del ‘700. Lui è l’inventore di questo genere letterario e poi una grande autrice classica è Jane Austen. Fielding è importante e Jane è degna di ostinazione per la bravura con cui ha saputo rendere certi aspetti del suo contesto sociale. Il grande romanzo della tradizione inglese è focalizzato su contesti reali, è sempre una romanzo realistico, anche se non volutamente realistico. Woolf li chiama geni ma noi contemporanei abbiamo più opportunità rispetto ai classici: non sta dicendo che i classici hanno scritto cose facili, ma hanno scritto tali opere quando il mondo era più semplice e definito nelle sue categorie sociali ed ideologiche, c’erano delle gerarchie e delle regole ai quali tutti sottostavano. Nella prima parte del saggio, Woolf fa un’analogia tra scrivere romanzi e produrre macchine/motori, ovvero oggetti meccanici. Mentre nella produzione di macchine abbiamo visto un enorme progresso (rivoluzione industriale), nella letteratura non c’è un processo analogo per cui noi possiamo dire che scriviamo meglio di Omero, ma c’è un movimento che è una sorta di spirale in cui la tradizione confluisce e viene portata avanti, viene dinamicizzata. Ci sono sempre delle influenze del passato perché gli scrittori comunque si appoggiano al passato, anche se il loro compito è quello di superare il passato. Non c’è una condanna dei classici, nonostante Woolf parli di semplicità irraggiungibile, ma oggi vediamo i risultati che hanno ottenuto allora e ci sembra che i classici non abbiamo fatto fatica a scrivere, hanno fatto poco sforzo, mentre oggi sembra che si debba combattere per ottenere un risultato analogo. Woolf non prende una posizione di condanna del vecchio contro il nuovo, ma le opere dei classici sono capolavori che i contemporanei non devono imitare, ma fare qualcosa di diverso. Il passato però non è da svalutare, non è una posizione bianco e nero, è una posizione su una complessità del rapporto tra classici e moderni. In futuro saranno i lettori che giudicheranno se oggi abbiamo fatto dei capolavori oppure se abbiamo scritto scrittori non hanno perché vanno avanti a utilizzare le convenzioni perché si fa meno fatica. Ci vuole coraggio a fare un buon romanzo secondo Virginia Woolf e cos'è un buon romanzo? È un romanzo fedele alla vita, cioè quanto più vicino alla vita possibile. Virginia Woolf ci invita a essere fedeli alla vita non dall'esterno secondo una posizione oggettivante, descrittiva come quella dei material writers, ma da una prospettiva della vita come viene vissuta, cioè dall'interno; dalla vita in quanto impatta sulla coscienza e viceversa. Quindi l'invito allo scrittore è di essere più libero e più coraggioso, non uno schiavo delle convenzioni, ma deve stare attento ai propri sentimenti, alle proprie emozioni; è quello che deve investigare e non ci interessano i dettagli. Significa che dobbiamo lasciar perdere il modo e le convenzioni tradizionali o non faremo mai un vero romanzo vicino alla vita; bisogna cambiare registro. Ai tempi di Virginia Woolf si era ancora in una fase di rischio nel senso che non si sapeva ancora il risultato, non si sapeva cosa sarebbe successo abbandonando le formule collaudate e provando a fare qualcosa di diverso. Virginia Woolf è consapevole del fatto che adesso è impossibile valutare cosa succede, ma adesso bisogna cambiare; la parola d'ordine è questa anche se non si può sapere il risultato, se sarà piacevole o no, se questo tipo di nuovo romanzo verrà apprezzato dal pubblico o no, se troverà un interesse da parte di quali lettori. Le cose sperimentali sono un po' spiazzanti e non sempre si è pronti a capire cosa ci sta dietro e il discorso di Virginia Woolf parte da questo presupposto che la vita è complessa e se noi non proviamo a rendere la complessità, cioè la vita com'è vissuta, non faremo dei bei romanzi perché la vita è complessa. Lettura 2: Quando Virginia Woolf parla di vita ci aiuta a capire questo termine denso. “La vita non è una serie di lampioni messi in fila simmetricamente; la vita è un alone luminoso. (mentre i lampioni disegnano una linea tratteggiata che dà simmetria, l'alone indica vaghezza, complessità, non si riesce mai a dire esattamente; l'alone coincide con la coscienza; la vita è la coscienza e viceversa) è una busta semi-trasparente che ci circonda, che ci avvolge dall'inizio della coscienza alla fine”. Ci sono molte metafore di questa indeterminatezza della vita. La vita non si può misurare col centimetro, non si può quantificare con delle categorie quantitative; la vita è qualcosa di molto più complesso, una busta semi-trasparente in cui leggo e non leggo, non tutto è chiaro; la vita è questa indeterminatezza, questa possibile vaghezza. Quindi cos'è il compito dello scrittore che ha per scopo catturare la vita? È quello di trasmettere questa dimensione dello spirito che non è circoscrivibile, non è incapsulato; la coscienza è dinamica e va in tutte le direzioni possibili, contiene pensieri, emozioni, sensazioni e cose contraddittorie. Quello che deve fare lo scrittore è catturare la complessità. La domanda che si pone Virginia Woolf è retorica. Lettura 3: questa è una domanda retorica perché in realtà la risposta è sì; quello che lo scrittore deve fare è di saper trasmettere (design) e cogliere (vision) la varietà (this varying, this unknown and uncircumscribed spirit), questo continuo mutare, questo spirito che non può essere incapsulato anche se questo spirito sembra manifestare cose aberranti o complesse. Questo non deve far paura allo scrittore che va a sondare la coscienza con poche interferenze di ciò che non è relativo a questo spirito. “Noi non stiamo chiedendo allo scrittore solamente il coraggio e la sincerità”; due virtù non comuni presso gli scrittori contemporanei. La sincerità di trasmettere quello che si vede anche se sembra assurdo, aberrante, troppo complicato, ma il vero contenuto del romanzo (proper stuff of fiction) è certamente diverso da quello che l'abitudine ci ha fatto credere. L'abitudine del lettore che diventa passivo, lazzarone perché accetta tutte le cose convenzionali; se non trova le convenzioni pensa che il romanzo sia illeggibile. Quindi il vero contenuto non è la convenzionalità; ecco la necessità del romanzo sperimentale. Qui fa un elogio di Joyce che aveva già definito come uno scrittore spirituale; lo elogia per essere stato coraggioso e sincero, come lei aveva prescritto. Joyce ha saputo dimenticarsi delle convenzioni, ma ciò non significa che in “Ulysses” non ci siano dei dettagli; Virginia Woolf sa bene che dentro a questo romanzo ci sono una sacco di dettagli sulla città di Dublino, in quanto romanzo urbano, però i dettagli non sono il fine dello scrittore perché quello che Virginia Woolf trova in “Ulysses” è che c'è l'anima oltre che la descrizione dettagliata, cioè non ci si ferma alle minuzie; dobbiamo riuscire a captare i movimenti della psiche davanti alle cose concrete. Non significa che dobbiamo escludere i dettagli, ma che i dettagli devono entrare in un discorso che ha un'anima, che riverbera i moti della coscienza. I classici hanno scritto con delle regole e spesso ci sembra che abbandonando le regole si possa andare a scrivere romanzi che non hanno né capo né cosa, andare a scrivere cose troppo strane e nuove. Ma perché a volte un romanzo che sembra non avere né capo né coda è più vero? Perché la coscienza non ha questi paletti che il romanziere tradizionale aveva tradotto in regole, un meccanismo oliato? Virginia Woolf dice che bisogna abbandonare questi paletti che per troppo tempo hanno sostenuto l'immaginazione e invece adesso la bloccano. I grandi scrittori non si piegano a queste regole e non sono nemmeno caotici. Vision and design, non è che qualsiasi cosa senza capo né coda vada bene, il caos non produce nulla di buono; ci vogliono delle modalità enunciative che poi diventano regole, ma che non vanno prese come regole assolute; sono solo delle indicazioni, possibilità che dobbiamo misurare sulla capacità di rendere la complessità della coscienza. Quindi non dobbiamo sfatare il mito del genio in conto, non si nasce imparati, ma si impara. Anche lo scrittore impara da altri scrittori a scrivere, ma va al di là di queste convenzioni, cioè si serve del linguaggio per dire cose diverse, ne fa un uso che va al di fuori del convenzionale e così non si piega alla tirannia. Lettura 4: Nel suo elogio di Joyce, Virginia Woolf scrive una grande metafora della coscienza come di una fiamma che lancia i suoi bagliori (flashes) al cervello e al fine di catturare i bagliori di questa fiamma, Joyce parla proprio di paletti (signposts) dai quali finora il lettore è stato guidato, ma che bisogna eliminare e con grande coraggio Joyce ha fatto questo; ha buttato quello che gli sembrava superfluo, che non gli sembrava interessante e si è concentrato su questi bagliori della coscienza. Nella coscienza Virginia Woolf parla sempre in termini metaforici perché nella metafora ci sta molto di più che nel termine ordinario e referenziale; nella metafora ci sono molti più significati. Lettura 5: Il compito per catturare questi bagliori della fiammella che è la coscienza bisogna fare quello che ha fatto Joyce e quello che vuol fare Virginia Woolf; è come se la nostra coscienza fosse bombardata da una pioggia di atomi perché ogni elemento della realtà raggiunge la coscienza. Ecco perché qui la coscienza è sempre in relazione col mondo; la coscienza non è qua da intendere in senso intimista (io mi guardo dentro), non è l'introspezione soltanto, ma l'impatto che la realtà ha sull'individuo. Questi atomi che cadono provengono da quello che ci arriva da sensi che sono una delle vie maestre per approcciarsi alla realtà, ma la coscienza deve registrare; in realtà non registra perché è bombardata da queste cose, ogni cosa che capita, ogni evento, ogni sensazione, ogni emozione, impressione, ragionamento (sigh or incident). Questo è ciò da cogliere e trasmettere; lo scopo è fare dei romanzi che parlino della vita. Dopo che Virginia Woolf dice che le regole non devono mai essere fine a se stesse si interroga: “ma allora c'è un metodo per scrivere? Possiamo parlare di metodo nel momento in cui lasciamo perdere le convenzioni tradizionali? Nel momento in cui togliamo quei signposts che ci fanno andare solo in un certo percorso e mai fuori dal seminato.” La metafora del viaggio è già stata usata per lo scrittore che deve andare solo su terreni battuti, non solo sui sentieri battuti. La domanda è: “c'è un metodo?” Ogni metodo è buono purché aiuti a trasmettere la vision; ogni metodo è cattivo se ingabbia l'immaginazione. Non importa tanto il metodo, che si verifica a posteriori, cioè quando vado a vedere se questo romanzo mi trasmette una vision o se mi blocca l'immaginazione secondo un dejavù che vado a riciclare. Ogni metodo è giusto, ma bisogna vedere se i paletti della tradizione hanno una funzione di supporto o di ostacolo. Quindi le regole non vanno assolutizzate anche se il caos non è buono. Lo scrittore ha sempre un grande controllo del design anche quando parla della pazzia, di qualcuno che è fuori controllo; per saper rendere un'emozione fortissima non basta l'emozione; se dico “vai al diavolo” c'è una forte emozione, ma non c'è niente di artistico. L'emozione pura è inservibile da un punto di vista estetico fino al momento in cui di quell'emozione ne faccio qualcosa di estetico e di trasmissibile e in cui io riesco a trasmettere la sensazione di irritazione o scontentezza. Se trasmetto le sensazioni che provo intanto che dico la frase allora ho raggiunto qualcosa di importante; ho trasmesso la complessità della mia emozione. Quindi il metodo è solo un argine al caos, ma non va assolutizzato; il metodo da solo non basta, bisogna andare oltre perché fermarsi lì è dannoso, nocivo, inutile, banale. Lo scrittore si deve porre, se vuole fare un buon lavoro, almeno 3 domande: 1. Cosa voglio esprimere? Quello che sento, che provo, che penso 2. Come lo voglio esprimere? Il come riguarda il design; come, qual è la strategia migliore per esprimere quello che sento; è scrivere una pagina per dire esattamente quello che si prova quando si dice qualcosa. Il come è come io organizzo per trasmetterla, la mia emozione, la mia sensazione. 3. Come questo che dico e il modo in cui lo dico raggiungono il lettore? L'opera deve essere ricca sul piano espressivo, c'è una ricchezza espressiva che raggiunge il lettore. Il lettore deve essere coinvolto. Se non è coinvolto il romanzo è noioso. Se il romanzo ha una dimensione, cioè cosa voglio dire, so dirlo bene, nel modo giusto, allora raggiungo il lettore. Lo scritto si chiede di che cosa deve parlare. La risposta in Virginia Woolf è che lo scrittore deve poter parlare di quello che vuole, deve poter scegliere con libertà e coraggio assoluto perché non esiste un argomento obbligatorio e vietato, nemmeno un tabù. Una volta in estetica c'era la dottrina del decoro, per cui certe cose si potevano dire altre no. Per cui per esempio i servi potevano fare dei discorsi scurrili, ma gli aristocratici dovevano parlare forbitamente. Il discorso è che si può e si deve dire tutto quello che si sceglie di dire. Lo scrittore deve essere consapevole, la domanda “cosa voglio dire” è una domanda molto seria; lo scrittore deve parlare di quello che vuole. Qui cade la limitazione tematica, cade la limitazione su certi argomenti dei quali si poteva parlare, ma che spesso si eclissava o di cui si parlava in un certo modo. Il tabù è parlarne in modo diverso e quindi il contenuto cambia. Se cambio il “come” cambio anche il “che cosa”. Non esiste la dicotomia forma-contenuto perché sono in una dialettica continua. Lo scrittore deve poter scegliere quello di cui parlare e deve anche trovare i mezzi appropriati per parlarne come vuole parlarne. Il sesso era un grande tabù nei romanzi vittoriani; la tematica sessuale esplode nel romanzo del primo 900 e continua fino al presente. Lettura 6: Virginia Woolf dice che ci dovranno essere nuove tematiche e quella più innovativa sarà di andare a vedere i lati oscuri della psicologia (the dark places of psycology). Questa sarà una delle tematiche nuove. Lo scrive chiaramente: ci sono nuovi interessi, nuove tematiche, nuovi orizzonti. Lo scrittore non può far finta di niente, ma deve soprattutto parlare del nuovo, della novità del suo tempo quindi dobbiamo andare ad investigare quello che non si è mai investigato, gli angoli bui della coscienza, che non erano visti dall'interno. L'emozioni come sono vissute, è questa la novità, le emozioni dentro la coscienza. L'enfasi cade su un aspetto diverso, sempre di rabbia si può parlare, sempre di frustrazione, sempre di felicità, di appagamento,ma in modo nuovo fino ad ora ignorato. Bisogna creare nuove forme per dire cose nuove. I nostri antenati sarebbero sorpresi di vedere il tipo di romanzo d'oggi. Lo scrittore deve trovare i mezzi appropriati per parlare bene di quello di cui vuole parlare, soprattutto per trasmettere le nuove tematiche; correre il rischio di parlare di cose nuove. Virginia Woolf intuisce che per i moderni la prima tematica nuova è l'inconscio e il romanzo deve andare a sondare l'inconscio proprio come fa la psicologia. I luoghi oscuri della mente che pure la psicologia contemporanea sta cominciando ad illuminare, che la psicanalisi sta cominciando a delineare. Il romanziere deve fare certi discorsi, la mente sana e la mente malata. Si deve saper trasmettere la psiche dall'interno di chi è sano e di chi è malato e devo metterle in parallelo, che è quello che fa Virginia Woolf in Mrs. Dalloway. Uno degli esempi che Virginia Woolf cita di successo in questa nuova sperimentazione è Tchehov. forte componente ritmica nel romanzo; in caso contrario significa che ci annoia e che non va avanti. Un romanzo trascinante ha un ritmo incalzante, vivace e non riusciamo a smettere di leggerlo. 6.Gli elementi di Fantasy e Prophecy = la componente immaginativa che lui chiama fantasia e profezia. Fantasty qui vuol dire immaginazione. Un romanzo alla base deve avere l'immaginazione che era quella che Virginia Woolf chiamava “vision”. Senza immaginazione non c'è lo scrittore e non c'è il romanzo. Questi sono gli elementi del romanzo, sono tutti importanti e dal loro rapporto, da come si collegano l'uno con l'altro si evince la natura del romanzo, se è storico, d'avventura, romantico ecc. la natura del romanzo è determinata dal variare di questi elementi. Questo è un po' tutto il saggio, quello di cui si occupa “Aspects of The Novel” che in realtà è un libro e Forster dedica un capitolo, due a People, a ognuno di questi elementi. Noi da vicino ci occupiamo del capitolo “Conclusion”. Questo capitolo si pone e sintetizza alcune osservazioni già elaborate nel testo, ma rilancia queste proposte aprendole a delle possibilità nuove di fare nuovi romanzi che è il chiodo fisso di Forster, di Virginia Woolf, di Joyce e di altri scrittori moderni. Lettura 1: Nelle conclusioni entra in modo diretto e dice: “facciamo delle ipotesi sul futuro del romanzo (speculations as to the future of the novel), cosa succederà al romanzo?” Questo già dice che Forster è sicuro che il romanzo deve cambiare e che cambierà. La prima domanda che si pone è: “diventerà più o meno realistico?” E qui pensa l'aggettivo “realista” in senso più tradizionale e quindi può diventare meno realista paradossalmente per essere più realista. E poi sappiamo a posteriori che il romanzo si è evoluto secondo forme nuove, ma una delle domande, uno dei rischi che vede Forster è: “il cinema ucciderà il romanzo?” Il cinema era la nuova arte, era appena esplosa, era la settima musa. Non è accaduto perché c'è spazio per entrambe queste due grandi arti. Il cinema non ha soppiantato il romanzo, si continua a scrivere romanzi, ma all'epoca sembrava che il cinema potesse costituire una minaccia alla letteratura. Anche Virginia Woolf aveva scritto un saggio sul cinema che era l'arte del momento, la provocazione più forte, ma Virginia Woolf non lo temeva, non pensava che avrebbe ucciso il romanzo. Forster propone questa ipotesi perché probabilmente pensa ai romanzi che uno legge per la trama; ma i romanzi che sono sopravvissuti sono quelli che non si leggono solo per la trama, non sono romanzi che hanno questo interesse sulla trama e dice: Lettura 2: (speculations) “ognuno può fare delle ipotesi e teorie positive o negative, ma alla fine queste sono speculazioni che possiamo lasciar perdere” (we have no right to entertain them). È piuttosto drastico Forster. Poi fa un'osservazione che ci porta al rapporto di Virginia Woolf coi romanzi classici del passato e anche Forster dice: Lettura 3: fa un'osservazione complessa introdotta da una dichiarazione:“noi ci siamo rifiutati di essere ostacolati dal passato” (we have refused to be hampered by the past). Il passato non può essere una zavorra anche se capiamo che quelli del passato erano grandi scrittori, ma non possono trasformarsi in una zavorra per noi. Bisogna cambiare, il passato va superato; c'è un'esigenza fortissima di cambiamento, ma “non dobbiamo nemmeno approfittarci del futuro”, non dobbiamo fare una fuga in avanti troppo spinta. “Fino ad ora abbiamo visto ed esaminato gli scrittori della tradizione al lavoro e li abbiamo immaginati tutti quanti soggetti alle stesse emozioni mentre mettevano i casi della loro epoca dentro il crogiolo dell'ispirazione”. I grandi autori hanno guardato e interpretato la loro epoca e l'hanno in qualche modo trasfigurata nell'immaginazione. Hanno messo nei romanzi le loro emozioni e gli eventi della loro epoca. Tutti i romanzi, anche quelli non direttamente storici, ci parlano della loro epoca in un certo linguaggio, un linguaggio di una certa epoca. Lettura 4: “La sfida adesso è di immaginare gli scrittori dei prossimi 200 anni nella stessa stanza con gli scrittori canonici, classici; dobbiamo immaginarli che si incontrino in questa stanza. Ci saranno dei cambiamenti enormi nella loro subject matter”, ma non cambierà il loro desiderio e la loro capacità di riflettere la loro epoca nel prisma dell'immaginazione. Quindi che cosa rimarrà lo stesso? Il lavoro dell'immaginazione sul contesto storico. Questo rimarrà perché è il compito di ogni scrittore di ogni epoca e in questo senso non cambieranno anche se gli argomenti degli scrittori nei prossimi 200 anni saranno completamente diversi; si occuperanno di cose di cui non ci era mai occupati. L'aveva detto anche Virginia Woolf in “Modern Fiction”. Lettura 5: Fa poi un'osservazione e dice: “noi abbiamo fatto cose assolutamente innovative, nuovissime, abbiamo fatto tanti progressi, abbiamo domato l'atomo, potremmo anche arrivare sulla luna (ambizioni della sua epoca), potremmo anche cambiare le strategie di guerra oppure tracciare i processi mentali degli animali” (nuove scienze biologiche). Tutti queste novità culturali sono però su un altro livello rispetto alla letteratura. Per la letteratura queste cose non sono importanti, lo sono per la cultura perché tutti questi progressi appartengono alla storia e non all'arte. Diversamente da Virginia Woolf, Forster mette una separazione tra la letteratura e la storia; Virginia Woolf invece le vede come procedimenti unificati. Lettura 6: Perché Forster vuole una separazione? Perché ci dice: (history develops, art stands still) “nella storia e nella storia della scienza c'è progresso, l'arte non ha un progresso”. Nel senso che la grande arte è sempre grande, in letteratura non c'è il progresso; c'è un'opera fatta bene o no, c'è un capolavoro o no, ma non ci sono le novità che si riscontrano nella scienza. Lettura 7: Ciò che farà grande l'arte sarà che i romanzieri devono guardare agli accadimenti della loro epoca filtrandoli attraverso la loro mente creativa, si parlava appunto prima di immaginazione. Come nel passato, anche gli autori del passato hanno filtrato la loro epoca attraverso la loro mente creativa e quindi ciò che fa grande l'arte è il modo in cui si parla della realtà, il modo in cui la mente creativa dello scrittore si rapporta alla realtà. Forster è molto chiaro su questo: il punto fondamentale non è la rappresentazione degli eventi, che può farlo benissimo un articolo di giornale che è una rappresentazione degli eventi, che ci parla di una certa epoca e di un certo contesto storico, ma non è arte. La letteratura sono le notizie che rimangono nuove ed è quello che sta dicendo Forster; il processo creativo è quello che mi fa rimanere nuove le cose che sono state scritte nel 1600 o addirittura a. C. Il processo creativo cambierà? Se il romanzo è lo specchio della storia e questo specchio è determinato dalla mente creativa dello scrittore, cambierà questo procedimento oppure no? Lettura 8: Le scienze cognitive vanno a esplorare i meccanismi della creatività sul piano scientifico, ma anche gli scrittori spiegano se stessi e i loro procedimenti creativi. (will the creative process itself alter?) Cambierà la creatività? Lettura 9: La metafora del nuovo realismo è uno specchio che riceve una nuova mano di argento in modo che possa riflettere meglio; uno specchio logoro non riflette bene, si opacizza. Questo specchio riuscirà a diventare più efficace, più luminoso. Questo specchio è quello che il procedimento creativo dello scrittore regala al lettore. Tutti i romanzi sono uno specchio della realtà e il modo in cui sono uno specchio della realtà è diverso da romanzo a romanzo, da genere a genere, da epoca a epoca. I classici, come i moderni, rappresentano il loro contesto e allora la domanda sulla creatività: “Will the mirror get a new coat of quicksilver?” Forster salta ad un'altra domanda filosofica sulla natura umana, sulla soggettività; la natura umana è immutabile o cambia? Perché la mente creativa è legata alla natura umana. Cambia o no? Ci sono due risposte, qualcuno dice sì e qualcuno no, qualcuno dice che cambia, qualcuno dice che è immutabile. È uguale in tutte le epoche e qualcuno dirà il contrario. La risposta dipenderà da ciò che cambia nel mondo, a livello di tutte le scienze, a livello delle nuove filosofie, a livello di tutte quelle discipline nuove. Per dire che se ci sono queste rivoluzioni culturali allora il processo creativo cambia, allora l'idea del soggetto cambia, l'idea che noi abbiamo del soggetto cambia e Forster è molto ironico per certe versi; la domanda che ha posto è: “can human nature change?” Lettura 10: Una risposta è la seguente: è curioso che sia un vecchio a dire una cosa del genere, che “la natura umana non cambia, che siamo ancora cavernicoli” (cave man). Forster dice che questa è la risposta di chi dice che la natura umana non cambia. Chi dice così è perché è contento di sé, della sua condizione e non vuole cambiare; chi dice così è uno che vuole sottoscrivere lo status quo. Uno che dice che la natura umana non cambia dice che non vuole rischiare nessun cambiamento. I giovani sono una provocazione al cambiamento, ecco perché mette il contrasto tra vecchi e giovani. I vecchi sono più a loro agio con una prospettiva di status quo, i giovani sono una continua provocazione. Questo vecchio forse è invidioso dei giovani che avranno successo nella vita mentre lui sa di aver fallito. In sostanza Forster dice che chi dice che la natura umana non cambia, che il soggetto non può cambiare, che non cambierà mai niente, è uno che è invidioso di chi sa cambiare, è impaurito davanti alla novità, ha paura dei giovani. Quando è contento e soddisfatto di sé dice che la natura umana non cambia, quando invece è un po' provocato dai cambiamenti che vede intorno a sé dice “human nature is not the same. I have seen fundamental changes in my own time”. Nell'epoca di Forster abbiamo visto quali radicali cambiamenti c'erano a ogni livello della società e della cultura. Questo andrà avanti oscillando tra queste due posizioni. Lettura 11: “Tutto quello che faccio io è fare un'ipotesi”. Forster non è un dogmatico su una versione, su una visione o su un'altra, ma è uno che ci dà i presupposti per scegliere una posizione piuttosto che un'altra, il che vuol dire che ci costringe a ragionare. Lui dice di non essere qui per dirci sì o no, ma ci fa pensare a una possibilità. Se noi pensiamo che la natura umana cambia, non è che cambia la natura umana, cambia il modo in cui i soggetti percepiscono se stessi; cambia il modo in cui l'individuo pensa se stesso. Dall'animale razionale di Aristotele si arriva all'inconscio di Freud e questo è un modo di vedere il soggetto che è un modo diverso, è un modo di interpretare la soggettività diversamente, quindi di non avere solo una definizione monolitica dell'individuo o della società. È come il soggetto si definisce e si percepisce che cambia, il soggetto nell'umanesimo era diverso dal soggetto nel medioevo. Il soggetto nell'epoca di Forster, dell'età eduardiana, è diverso dal soggetto dell'età vittoriana e Forster è consapevole di questi cambiamenti. Se gli individui cominciano a guardarsi in modo diverso cambierà la natura umana nel senso che la natura umana dipende da cosa pensiamo noi sull'identità e sul soggetto. La domanda è eterna: “chi sono io? Chi è l'uomo? Chi è la donna? Chi è l'individuo?” La domanda è sempre uguale, le risposte sono sempre diverse in tutte le epoche. Non esiste una definizione univoca di soggetto e allora è questo che vuol dire Forster: “io non dico se la natura umana cambia o no, dico che la visione che tu hai del soggetto cambia e quindi la definizione di soggettività è ciò che caratterizza i cambiamenti culturali. L'umanità cambia perché ci guardiamo con un'altra ottica”. Forster è consapevole che la sua epoca sta facendo questa cosa (individuals manage to look at themselves in a new way). Lettura 12: “Qua e là qualche persona, poche persone, e alcune romanzieri tra loro stanno cercando di fare proprio questo”; cioè guardarsi in un modo diverso, definirsi in una nuova prospettiva e questo apre molte possibilità. Noi non abbiamo più una definizione univoca, e Forster che è molto acuto continua spiegandoci perché sono few gli scrittori e i filosofi che cominciano a pensarsi in modo diverso. Loro sono few perché ogni istituzione che deve mantenere lo status quo ha degli interessi che vanno contro l'idea del cambiamento. In altre parole Forster dice che molte istituzioni non hanno interesse a sostenere il cambiamento, a sostenere una nuova prospettiva. Preferiscono raccontare che le cose non cambiano, cioè a riproporre una visione del soggetto obsoleta. Hanno degli interessi (vested interest) a dire che non deve cambiare nulla. È contro questa ricerca, la ricerca della nuova percezione del soggetto e indica quali sono queste istituzioni: religione, stato, famiglia. Alcuni istituzioni preferiscono dirci che le cose non cambiano. Le istituzioni che tendono a darci un'etichetta da incollare sulla realtà, un'etichetta che vada ad ingessare la definizione di soggetto e che dica che il soggetto non cambia mai. È un gioco di interesse ed è un tabù su questa ricerca di nuove prospettive; va a vedere come nella famiglia si colga la dimensione economica perché nella famiglia vittoriana l'ultimo detentore della ricchezza era il marito e quindi Forster dice che quelli che dicono che la famiglia è quella patriarcale dove il patrimonio deve andare al marito, quelli che dicono che la natura umana non cambia è perché vogliono mantenere in piedi questo tipo di struttura. Ecco perché è molto provocatorio Forster, perché sta dicendo che la letteratura va a scardinare queste etichette mettendole in crisi. Forster era polemico con l'ethos vittoriano, come Virginia Woolf; entrambi amavano il rinascimento e l'umanesimo, ma erano criticavano delle ideologie dell'età vittoriana. Quindi la storia cambia, questi ci danno delle definizioni, ma la letteratura non le accetta, anzi le mette in discussione e questa è la portata filosofica del romanzo, questa è la portata filosofica che va a scardinare le ideologie dello status quo. È una ricerca che diventa un'interrogazione sulle strutture sociali, sul · plot è l’intreccio stesso ovvero come il narratore organizza i fatti. Si può partire dalla fine e risalire a ritroso agli eventi in questo caso. Oppure seguire l’ordo naturalis (ordine naturale, dalla mattina alla sera, dall’infanzia alla vecchiaia), oppure si può partire dal mezzo. Ciò che cambia è L’ORGANIZZAZIONE/DISPOSIZIONE. I grandi scrittori giocano su questo. Esempio :Story: re e regina muoiono (comunicazione degli eventi); Plot: re muore di crepacuore perché la regina è morta (concatenazione degli eventi, c’è un prima e un dopo e c’è una causalità, il re muore a causa del crepacuore; è una decisione del narratore che ci dà tali informazioni nel plot). Ogni romanzo nel suo modo di raccontare offre una particolarità degli eventi: a partire dalla selezione degli argomenti perché non si può raccontare tutto e il narratore deve porsi delle domande su come collegherà tra di loro i fatti da raccontare. Cosa raccontare, con quali strategie, in che modo… queste sono le domande che uno scrittore deve porsi, come diceva Woolf: “ ogni scrittore deve porsi certain questions”. Una volta decise queste cose mi servono delle cose in più: certain skills. I corsi di scrittura insegnano questi skills. Gli skills vengono usati in modo diverso a seconda del caso. Davanti alla pagina bianca lo scrittore deve rispondere a certe domande con certe abilità. Gli eventi diventano un romanzo quando si ha relazione tra essi. Il narratore sceglie le modalità di scrittura e sa già che tipo di romanzo scrivere (d’avventura, storico…), e poi sceglie la modalità (in prima o in terza persona). Il narratore deve calibrare la scrittura in base allo scopo: deve calibrare le digressioni che possono essere più o meno importanti. Ponendosi lo scopo della narrazione, il narratore deve calibrare le digressioni in base alla loro funzionalità riguardo alla narrazione. Una descrizione troppo lunga, prolissa ci fa intuire che la digressione non è calibrata in base allo scopo della narrazione. C’è una continua dialettica tra i singoli eventi del racconto e la globalità di essi. Non sempre però la digressione può essere tolta (esempio: i romanzi russi nei quali non puoi saltare molte pagine). Il narratore deve anche saper gestire il mix tra i fatti e la fantasia. I fatti raccontati devono essere plausibili, soprattutto in un romanzo storico nel quale i fatti devono essere veri, in altri casi essi devono essere filtrati dalla fantasia del narratore, egli deve verificare i fatti. Il narratore deve creare dei personaggi sufficientemente vari (non studiati a tavolino e omogenei), che devono essere credibili e accattivanti (coinvolgere il lettore che deve provare empatia, non simpatia, l’empatia può essere anche negativa, quando un personaggio non piace al lettore, ma lo ha coinvolto ugualmente). Bisogna cogliere i personaggi nella loro complessità, e solo allora possiamo identificarci. Il personaggio deve essere sufficientemente complesso per essere identificato o disindetificato. I grandi scrittori fanno ancora di più perché fanno suscitare diverse emozioni anche contradditorie riguardo lo stesso personaggio. Nei grandi romanzi il lettore si identifica fino ad un certo punto e poi si distanzia a seconda del personaggio e dei fatti. Lo scrittore è bravo a creare un personaggio contradditorio, a tutto tondo. Dentro al romanzo possono esserci situazioni di parallelismo o contrasto, ma sono i lettori che devono cogliere l’intelligenza del narratore che ha creato tali condizioni nel romanzo. Il romanzo deve essere costruito bene con una impeccabile struttura eppure questa stessa struttura deve rimanere occulta, perché se ci accorgiamo troppo della costruzione del romanzo, esso diventa artificioso: questo è il confine tra arte e narrazione. Il narratore ci deve essere ma non essere visibile, altrimenti risulta ingombrante, però è lui che deve mostrare le cose e gestire la narrazione. Ciò non significa che il narratore non possa commentare la narrazione. Egli può attribuire valore alle azioni oppure no. Può intervenire indirettamente portando il lettore a prendere posizione nei confronti di tutti i personaggi senza fare commenti diretti. Questo è un effetto preciso della bravura del narratore, sembra tutto trasparente ma in realtà è la mano invisibile del narratore che ci porta a credere a quello che vuole lui. Il narratore scrive dal una determinata prospettiva: può scrivere da diverse prospettive: · visione alle spalle: il narratore è un osservatore e si focalizza su un personaggio e lo segue. Lo guarda alle spalle, non vede con gli occhi del personaggio ma osserva quello che il personaggio fa, lo tiene d’occhio. Dunque la prospettiva piò essere più o meno distaccata, anche estremamente distaccata che è l’ambizione del romanzo naturalista, che osservava la realtà scientificamente. Il narratore del romanzo naturalista osserva i personaggi come il biologo osserva le cellule, ovvero con grande distacco. · Visione con il personaggio: il narratore vede con gli occhi stessi del personaggio ed è il contrario della visione alle spalle, come nel romanzo dello stream of conciousness. · Visione panoramica: è una visione che descrive una situazione complessiva senza focalizzare su qualcosa in particolare ma per esempio sulle diverse persone in un salotto (romanzi vittoriani, russi, edwardiani e francesi fanno questo approccio, danno l’idea di un contesto che del singolo personaggio individualizzato). I personaggi possono avere una natura diversa, essi sono dei tipi, figure stereotipe. Questi personaggi si chiamano stock characters: personaggi stereotipici e non tipici che sono molto prevedibili. Non si chiamano tipici perché essi si riferiscono alla categoria particolare del romanzo storico definiti da Georg Lucacs, critico cieco: scrive il saggio, the historical novel, sul romanzo storico e parla di personaggi tipici perché personaggi legati ad una tipica classe sociale. Il personaggio tipico è legato alla sua classe sociale. Essi incarnano le caratteristiche di una classe sociale, mentre quello stereotipico è più meccanico. Personaggi stereotipici, tipici e con il romanzo moderno e sperimentale, i personaggi non saranno più tipici o stereotipici, ma tenderanno ad essere unici, ognuno è diverso dall’altro. Noi li conosciamo dal loro sguardo sul mondo e sulla coscienza. I nuovi personaggi sono anche personaggi individualizzati, non si possono confondere. La lettura di un romanzo comporta sempre che noi ci facciamo due domande fondamentali, almeno 2. 1) Chi parla? Ovvero chi racconta la storia? Di chi è la voce parlante? Chi è il narratore? Nella mimesi parla il personaggio direttamente. Ma in genere chi parla può anche non essere il personaggio nel caso della diegesi; 2) Chi vede quello che io vedo leggendo questo libro? Leggere significa vedere con gli occhi della nostra mente. Chi vede quello che sto vedendo io? Di chi sono gli occhi che mi fanno vedere una certa realtà? Narratore onnisciente sa tutto e può farci vedere quello che vuole lui. Invece se il narratore assume la prospettiva del personaggio, il lettore vede quello che il narratore dà da vedere (doner à voir in francese). Qualcuno ci fa vedere qualcosa. Il punto di vista è un concetto importante nello stream of consciousness o prospettiva si chiama focalizzazione dell’ambito della narratologia. E il focalizer è il detentore del punto di vista, è quello che vede, nella cui prospettiva il lettore intravede ciò che il detentore “gli passa”. Il mondo viene presentato al lettore attraverso gli occhi del personaggio. Il lettore vede ciò che legge. Libro e film sono diversi: there is a gap tra lettura (che ci fa vedere le cose con gli occhi della nostra mente) e cinema (dove la rappresentazione è diversa, è rappresentata in un modo diverso da quello che avevamo immaginato). Questa è la caratteristica della fiction. La focalizzazione può essere un po’ diversa: 1) Plurale, dove diversi personaggi vedono diversi eventi. Vedo l’evento con gli occhi di un personaggio, un altro evento con gli occhi di un altro personaggio. Tanti focalizer quanti gli eventi 2) Multipla: lo stesso evento visto da più personaggi (esempio concreto è l’incidente stradale) 3) Interna: è quella del personaggi, che a sua volta può essere: - fissa, uguale per tutto il romanzo-> un personaggio che è l’unico che vede - variabile, al contrario, cambia durante il romanzo-> cambia il personaggio e ognuno vede a modo suo Lezione 8 (29/10/2018) THE VOYAGE OUT Questo romanzo viene scritto in un contesto familiare, della famiglia di Virginia Woolf. Lei appartiene ad una famiglia molto intellettuale nella quale si respira un clima culturale molto vivace, dove avvengono frequenti incontri, scambi ecc. con il padre e altri intellettuali londinesi. Suo padre, Leslie Stephen, è un autore, un critico, un biografo, un importante storico del 700 inglese ed è anche il creatore del Oxford Dictionary of National Biograpy. Possiede una biblioteca sterminata in cui Virginia attinge e questo è l'ambiente in cui si forma pur senza una vera educazione formale poiché in quanto donna non ha accesso all'università di Cambridge, frequentata invece dai suoi fratelli, Thoby e Adrian, che lì creeranno un gruppo di amici che continuerà a trovarsi, anche dopo gli studi, a Londra, a casa di Virginia Woolf, costituendo quello che sarà il Bloomsbury Group. (Bloomsbury, quartiere di Londra). Si tratta di un gruppo di intellettuali alle cui discussioni e riunioni partecipavano anche Virginia e Vanessa, sua sorella pittrice, interessata di arti visive. Questo gruppo è fondamentale per la cultura del primo 900; è partito da un'idea di Thoby, e ne fanno parte figure di spicco. Ognuno di loro nel suo settore, nella sua disciplina, ha innovato, ha portato dei grossi cambiamenti. Infatti Bloomsbury vuol dire “rivoluzione culturale” in tantissime discipline. Esponenti di questo gruppo erano Virginia Woolf, E. M. Forster, James e Lytton Strachey, Bertrand Russell, Maynard Keynes, Roger Fry, Clive Bell e Duncan Grant. James Strachey è allievo di Freud a Vienna e diventa il traduttore delle sue opere in inglese portando la psicanalisi in Inghilterra. Il fratello Lytton è uno scrittore molto famoso nella sua epoca, un personaggio eccentrico che scrive diversi romanzi storici, uno su Elisabetta I e il conte di Essex; uno sulla vita della regina Vittoria; e un testo critico “Pietre miliari nella letteratura francese”che serve a far conoscere la letteratura francese in Inghilterra. Scrive poi un altro libro “Eminent Victorians” che parla di figure di spicco dell'età vittoriana. Un altro membro è Bertrand Russell, filosofo, matematico, autore della filosofia analitica e di un altro testo fondamentale “Problems of Phisolophy”. Con Whitehead creano innovazioni nella disciplina della matematica. Altro componente è Maynard Keynes, un economista che ha portato una grande rivoluzione nell'ambito delle dottrine economiche perché contro il liberismo suggerisce di fare un po' di public spending nelle epoche di crisi per creare lavoro e rimettere in moto l'economia. Queste proposte nel momento del liberismo sfrenato sono dirompenti, ma furono in parte applicate dopo la guerra e ancora oggi rimangono. Roger Fry è il fondatore di un gruppo di artisti sperimentali, Omega Workshop; è stato innovativo, critico d'arte e ha portato in Inghilterra gli impressionisti e i post-impressionisti, fino ad allora sconosciuti, organizzando due mostre a Londra, una di Matis e una di Cezanne, che hanno provocato uno shock nell'ambiente conservatore del Royal Collage of Art, ma si trattava di rompere i canoni tradizionali, cioè questi intellettuali volevano cambiare e proporre cose innovative. Portare Matis e Cezanne era una cosa rivoluzionaria rispetto ai parametri canonici del Royal Collage of Art. Clive Bell, marito di Vanessa, Duncan Grant pittore scozzese. Questo è un gruppo dirompente nella sua propositività, non è per niente convenzionale né dal punto di vista artistico né letterario. Questi personaggi sono al centro di una sperimentazione a tutto campo in tutte le discipline e conducono anche una vita privata fuori dai canoni vittoriani perché si rifiutano di vivere una doppia vita, privata e pubblica, come era costume nell'epoca vittoriana. Quindi hanno dei canoni diversi nella vita privata, dichiarano pubblicamene le loro idee di rottura con la tradizione, provocano scandalo e vivono la loro vita secondo i dettami che propongono. Questi scrittori dicono basta, “Noi viviamo come viviamo e pensiamo come pensiamo”. Vogliono rivendicare questo diritto e a questo è legata la loro sperimentazione in tutte le discipline: “Ci rifiutiamo di essere ostacolati dal passato”(E. M. Forster). C'è quindi questo senso di grande cambiamento. Questo è il contesto in cui nascono le prime prove di scrittura di Virginia Woolf, che non è mai andata a Cambridge, ed è il contesto in cui viene composto “The Voyage Out”. È il primo romanzo pubblicato nel 1915 con un titolo strano: “Melymbrosia”, ed è un romanzo che si focalizza sul contesto eduardiano e georgiano prima della prima guerra mondiale. È un periodo di importanti riforme, periodo in cui comincia a diminuire il primato commerciale britannico e nel romanzo, in parte, vengono registrate queste cose e i contesti post-coloniali che nell'impero britannico nell'epoca vittoriana erano stati cruciali. Il romanzo registra le nuove professionalità, le nuove progressioni di questa classe più colta (segretarie, istitutrici, assistenti legali ecc.), tutte le nuove professioni che, dimensione sessuale, sì, si sposavano, ma lo scrittore non entrava nella camera da letto per cui era sempre un argomento tabù, qui si parla molto chiaramente di desiderio e paura del sesso. Questo è rivoluzionario. Le eroine vittoriane erano all'oscuro di questa dimensione, si sposavano senza sapere nulla della sessualità, ma in questo romanzo la novità è che ci si interroga sulle dinamiche del desiderio e della paura del sesso. Si vede benissimo una sessualità in formazione, un approccio graduale, non meccanico. Qui è un'evoluzione dove vengono espressi tutti i sentimenti, le contraddizioni e in The Voyage Out emerge questa tematica nuova legata alla discussione di tutti i ruoli canonici, sessuali e comportamentali. A questo proposito, la polemica sui ruoli e gli stereotipi del maschile e del femminile non è una cosa fine a se stessa, ma ha una portata interessante perché il romanzo suggerisce che l'incrementazione di ruoli rigidi e ruoli predeterminati rende impossibile la comunicazione tra uomini e donne, cioè nella regola canonica, secondo l'educazione ricevuta, di certe cose non si può parlare con un uomo e un uomo di certe cose non può parlare con una donna. Questa era l'educazione vittoriana: le fanciulle devono compiacere l'uomo. Questi erano gli stereotipi. Il negativo della spiegazione degli stereotipi, è che il problema tra i sessi è di non essere totalmente sinceri gli uni con gli altri, cioè l'educazione impartita, che ha per scopo di trasmettere certi stereotipi, rende impossibile una comunicazione autentica. Ciò significa che il marito non può essere il tuo migliore amico. Finché l'educazione imporrà agli uomini ciò che potrà e non potrà essere detto alle donne e alle donne ciò che potrà essere detto o non detto agli uomini, non si potrà mai raggiungere quel livello di sincerità totale che è la base di rapporti autentici e non fasulli, di rapporti genuini. Questa è un'altra differenza sostanziale dal romanzo tradizionale dove contava la conclusione di questo matrimonio; in questo romanzo quello che conta è l'autoaffermazione e la crescita dei protagonisti anche e soprattutto attraverso un dialogo autentico fuori dallo stereotipo. Virginia Woolf dice che qui ci perdono entrambi perché la mancanza di sincerità produce una comunicazione fasulla e se ci perdono gli uomini ci perdono le donne. Ecco perché i protagonisti si pongono fuori dagli stereotipi e saranno ipercomunicativi; continueranno sempre a parlarsi, a dialogare di come si sentono; c'è un fortissimo dialogo aperto. Decidono di dirsi tutto quello che pensano, senza timore, senza preoccuparsi di deludere le aspettative, senza paura di rischiare di perdere l'uno o l'altra; i due creano un rapporto fondato sulla loro condivisione di idee, sentimenti, esperienze, ciò che conta è la verità psicologica del sentire e non mentire a se stessi ed è la rappresentazione di tale verità; nel romanzo si vede l'autenticità del personaggio. Si vedono dall'interno e nella loro relazione dialogica senza regole e tabù. A Virginia Woolf non interessava costruire una bella storia, ma mostrare un rapporto reale, autentico tra persone non costruite, non governate da stereotipi, persone libere. Questo andava contro tutta la visione vittoriana. Virginia Woolf conosce il problema della costrizione delle donne dentro certe regole e vincoli in cui si muovono, per cui non possono essere autentiche, non possono esprimere la loro opinione; lo stereotipo vittoriano classico era “women must be seen, but not heard”. Qui Virginia Woolf data la non convenzionalità, anche sulla base di questa esperienza riesce a far vedere una relazione non legata allo stereotipo perché era la relazione che lei aveva con i membri del gruppo. E quindi questo problema delle costrizioni e della mancanza di autenticità è legato ad una situazione vittoriana, ma c'è anche l'idea che le cose si possano fare diversamente (idea centrale del Bloomsbury Group). L'importante è l'autenticità del sentire e del vivere quello che si sente. I protagonisti si mettono fuori dagli stereotipi e un esempio è che Terence e un suo amico, St. John Hurst fanno una cosa insolita: danno da leggere a Rachel libri importanti, libri di storia. I vittoriani pensavano che le donne non potessero leggere certi libri; questi due ragazzi fanno questa trasgressione, danno ad una fanciulla, educata nei canoni vittoriani, dei libri da leggere. Basta pensare a tutti i libri che Virginia Woolf ha letto nella biblioteca del padre e frequentando il Bloomsbury Group; lei cresce in un ambiente stimolante, aperto e provocatorio e questo mostra la situazione di Londra che sta cambiando, anche le donne presto potranno leggere. I due protagonisti maschi vanno al di fuori, prendono una posizione precisa sulla condizione delle donne. Per Rachel questo sarà parte fondamentale del suo percorso di crescita e formazione. In parte si sovverte questa negazione dell'accesso alla cultura che era il ruolo delle donne e anche le donne possono leggere libri importanti. Virginia Woolf sente questo problema e scrive un saggio “A Room of One's Own”, dove parla degli svantaggi sociali delle donne. Scrive anche un saggio sulla sorella di Shakespeare, che non ha scritto nulla in confronto al fratello perché era analfabeta, perché suo fratello aveva studiato e lei no. Virginia Woolf è molto sensibile a questo argomento e dice che se le donne sono ammesse all'offerta culturale che finora era stata destinata esclusivamente agli uomini, possono produrre opere di pari valore e importanza. Quando si mette in discussione lo stereotipo si arriva ad una nuova valorizzazione e fondazione delle modalità di rapporto che diventa più produttivo, più dialogico, più aperto e costruttivo per entrambi. Le cose cominciano a cambiare e per questo è un romanzo rivoluzionario. A livello narratologico, formale, la novità principale è costituita dal fatto che per lo più, ma non esclusivamente, la narrazione in The Voyage Out assume la prospettiva dei personaggi, viene condotta dal personaggio e prevalentemente dall'eroina attraverso i loro percorsi. Diversamente dal romanzo tradizionale che era gestito dal narratore onnisciente che sapeva tutto, qui sono i personaggi che guardano il mondo; c'è una visione con il personaggio, ossia una posizione del narratore che vede con il personaggio. In realtà il narratore onnisciente non è completamente assente, ma ci sono delle modalità miste di narrazione. L'enunciazione è molto dinamica, è diversificata nel senso che si assumono diversi punti di vista. The Voyage Out è caratterizzato da questa focalizzazione che è l'alternarsi di punti di vista. Il narratore osserva il mondo, ma volte parla il personaggio; c'è una modalità mista: un po' il narratore che osserva il personaggio e un po' il personaggio che osserva la realtà. È già un progresso verso quello che diventerà il monologo interiore. Anche la rappresentazione del tempo comincia a far vedere qualche elemento di sperimentazione intanto perché la scrittura non è ordinata cronologicamente del tutto; c'è una progressione narrativa, ma i personaggi parlano spesso delle loro esperienze infantili (flash back) oppure parlano dei loro progetti futuri. Anche lo spazio ha qualche novità: iniziando a pensare al titolo “The Voyage Out”. Un titolo vorrà pur dire qualcosa: è un romanzo su un viaggio. È un romanzo in cui lo spazio, il viaggio, sono centrali. La novità è che qui il viaggio si lega alla psiche dei personaggi, il viaggio si lega ai loro sentimenti allora lo spazio diventa ambiti molto diversi per riuscire a parlare di sentimenti e stati d'animo diversi. La città di Londra avrà moltissime sfaccettature, non sarà monolitica; stessa cosa per il paese esotico, tropicale di Santa marina, nelle Amazzoni, dove arriva il viaggio. Lo spazio assume anche un valore legato ai sentimenti, ma anche un valore simbolico: lo spazio non è mai solo descrizione oggettiva. “The Voyage Out”. “Out” = uscire dal guscio sul piano psicologico, fare un'esperienza di uscire dalla famiglia, dalla campana di vetro. È un viaggio di formazione che approda a una costruzione dell'identità fuori dal contesto familiare d'origine. Questa preposizione è importante sul piano psicologico, ma anche se intesa in termini spaziali e coloniali = “out of London, of England”, un viaggio verso uno spazio che non è lo spazio di casa, non è lo spazio britannico, che è uno spazio altro. “Out” può essere inteso in senso personale, geografico e politico e quindi ecco il grado di simbolicità che può acquisire lo spazio, verso qualcosa di nuovo, di diverso. Lezione 9 (30/10/2018) THE VOYAGE OUT Capitolo1 Il testo è la base fondamentale. Si parte dall'inizio, che è l'incipit. L'incipit e l'expicit, l'inizio e la fine di qualsiasi opera letteraria sono momenti narratologicamente decisivi, importantissimi. L'incipit in particolare, l'esordio, è quello che ci scaraventa dentro il mondo fittizio e la cosa importante è che l'incipit già determina tutto un mondo, una configurazione, un mondo fittizio, essendo un romanzo, che però ha delle coordinate molto precise che vengono determinate dal narratore fin dalle prime righe. L'incipit è quindi qualcosa di molto denso e complesso. L'incipit di The Voyage Out non fa eccezione e l'apertura di questo romanzo, o meglio, il primo paragrafo, riguarda le strade di Londra pertanto l'incipit ci scaraventa in un contesto preciso. Questo è l'inizio di questo romanzo, le strade di Londra. La voce narrante com'è? All'inizio è onnisciente ed è impersonale, ma è molto autorevole perché fa delle considerazioni generali che fanno capire che il narratore onnisciente è un esperto di quella zona di Londra di cui sta parlando e può permettersi anche il lusso di dare dei consigli (it is better not to walk down them arm-in-arm). Abbiamo una localizzazione precisa (the streets from the Strand to the Embankment) vicino a Westminster e al Tamigi. Ci sono una localizzazione precisa, una voce impersonale, un luogo definito, sul Tamigi, e la voce del narratore che dà dei consigli in tono anonimo, generale, non si sta riferendo ad una persona specifica, ma adopera sempre “you” o “one”, è meglio fare così, parla in generale. Quindi il narratore, voce narrante onnisciente, impersonale, ma molto autorevole. La prima frase è una descrizione quasi diagnostica, una diagnosi (as the streets that lead from the Strand to the Embankment are very narrow, it is better not to walk down them arm-in-arm) è una dichiarazione oggettiva perché il narratore onnisciente non può far altro che proporre delle descrizioni di questo tipo, in contrapposizione a quelle che saranno le descrizioni dello Stream of Consciousness. La voce narrante onnisciente fa una diagnosi di questo luogo astratto; queste strade di Londra sono strette, sono quelle che portano al Tamigi, vicino le due rive del Tamigi. Sono strade che a quell'epoca non erano ancora asfaltate e lo sguardo del narratore si sposta da un luogo generico caratterizzato da strade strette, dai luoghi si sposta alle persone che sono in giro in questi luoghi perché quando dà il consiglio: “è meglio non andare a braccetto” è perché sono molto strette e perché si dà fastidio ad un certo tipo di persone. Se uno va avanti e si fissa, gli impiegati degli studi notarili devono fare dei salti tremendi per evitare le pozzanghere bisogna e le giovani segretarie e dattilografe cominceranno ad essere un po' impazienti. In questi luoghi chi passa solitamente? Passano dei soggetti che sono quelli delle nuove professioni; sono persone che vivono in questa zona, che è una zona di uffici, di studi legali e commerciali. E allora il narratore mette in rilievo queste figure, sono gli impiegati degli studi legali e le dattilografe. Quando fa questa diagnosi dal luogo alle persone, fa una considerazione di tipo morale in generale e dice che nelle strade di Londra la gente non fa attenzione alla bellezza perché sono tutti di fretta, ma l'eccentricità deve essere pagata. È come se la folla frettolosa è piuttosto omologata, sono tutti uguali; l'eccentricità deve pagare un prezzo. Questa è un tipo di considerazione che viene dall'estetismo, dalla filosofia dell'arte per l'arte (filosofia estetica di Oscar Wilde dove l'arte non deve avere uno scopo altro che la bellezza e dove l'idea è che il mondo borghese e commerciale hanno assassinato l'arte. Dove c'è una contrapposizione tra gli artisti e i commercianti). Questo è un dato di fatto che molti artisti del primo 900 si sentono alienati nella civiltà borghese, non si sentono proprio a loro agio perché la civiltà borghese comincia a incolparli di essere improduttivi, fannulloni, sognatori. Qua bisogna essere ben inquadrati ed efficienti e se uno non è performante allora è eccentrico e se è eccentrico deve pagare la multa. Dà in una frase un giudizio su intera società che sta diventando una società della fretta, che corre, che deve andare sempre più veloce; questa è la modernità. In questi luoghi dove la bellezza non viene notata e dove l'eccentricità deve pagare un prezzo, è meglio non essere troppo alti, perché si occupa troppo spazio, e non indossare un mantello troppo lungo, perché si sporca nelle pozzanghere; è meglio non fare gesti di questo tipo come dondolare le braccia. Il primo paragrafo sulle strade di Londra è un paragrafo dal tono generico, generale, impersonale, con dei giudizi precisi dove il narratore dà anche dei consigli. Vedremo che qualcuno sta facendo la trasgressione che il narratore aveva anticipato. Infatti nel secondo paragrafo vengono identificati due personaggi che avranno moltissima importanza in tutto il romanzo, saranno personaggi centrali, cioè Helen e Ridley Ambrose. Questa coppia è tra i protagonisti fondamentali del romanzo; sono gli zii di Rachel e vengono qui identificati, cioè la voce narrante si sposta da un discorso generico ad un discorso molto più specializzato e specifico; si focalizza su queste due persone. Nel secondo paragrafo è come se ci fosse una specie di zoom che va zoommare questi personaggi e ci dà delle notazioni precise sul momento, sul tempo. Vediamo poi che il narratore comincia, passa da una narrazione onnisciente ad una narrazione di spalle, si mette a osservare, marcandoli stretti, questi due personaggi. Da una generalizzazione sulle professioni di Londra passiamo a qualcosa di più mirato. Camminano a braccetto e si beccano delle occhiatacce perché stanno intralciando la marcia veloce degli altri. I professionisti degli uffici rimangono anonimi perché sono omologati e il narratore non è interessato C'è un'immagine ambivalente di Londra (beauty and skeleton). A Londra ci sono le cose belle, come Costantinopoli, e ci sono le cose brutte. Qui dà una spiegazione del perché Mrs. Ambrose ha una visione negativa di Londra, perché i luoghi che sta attraversando lei li vive come una separazione dai suoi bambini che ha lasciato a casa, dispiaciuta. Per cui ogni passo che fa per Londra che la porta sempre più lontana da loro per lei è una cosa negativa. Si immagina che anche i suoi bambini sentano la sua mancanza e quindi tutte queste cose diventano tutta la città, diventa ciò che la separa da loro. Visione soggettiva, personale, idiosincratica della città. Per lei tutto lo spazio è semplicemente lo spazio di una distanza, di un distanziarsi e lei osserva la gente che le passa vicina: ci sono i ricchi che a quest'ora si fanno visita l'uno con l'altro per il tè. Ci sono gli impiegati (bigoted workers), figure meccaniche, inquadrate. E poi ci sono anche i poveri che vanno a dormire sulle panchine, sono infelici e incattiviti. È una critica sociale molte forte con un solo avverbio, una sola parola. Questa è la letteratura, non occorre fare un sermone lungo per spiegare che non tutta la povertà è colpevole come pensavano i vittoriani. Qui non c'è nessuna osservazione, si sta esplicitando quello che sta dietro alla critica sociale racchiusa in una sola parola (unhappy and rightly malignant). Questa è la letteratura che fa un discorso fortissimo in tre parole. È vero che Mrs. Ambrose è una bravissima osservatrice, nel momento in cui decide di osservare vede tutte le diverse classi sociali che ci sono a Londra e quindi dice che quando uno smette di vedere la bellezza che rivestiva le cose, vede la nudità, lo scheletro, cioè gli aspetti negativi di questa città che è così bella, ma che ha ancora dei gravi problemi. Comincia a piovigginare nella tipica Londra di ottobre e la rende ancora più cupa (dismal). Questo aggettivo indica lo stato dominante di Mrs. Ambrose che se vede anche due innamorati avvolti nello stesso mantello li trova sconci perché appunto è cupa; non riesce a vedere il bello, a pensare positivo. Scambiarsi effusioni era vietato nell'età vittoriana, mentre in quella eduardiana si cominciano a vedere cose strane, audaci (bold). Le fioraie, molto chiacchierone, assomigliano ad orribili streghe e ancora una volta si vede la negatività; persino i fiori non brillano e le sembrano spenti. Quando uno è troppo triste e concentrato sulla sua tristezza non riesce a vedere la bellezza. Il marito respinto si è allontanato e allora lei cambia parere e gli chiede di prendere una carrozza. Ancora una volta lo sguardo su Londra perché questo è un incipit che è dedicato alla città, alla rappresentazione dello spazio urbano londinese. Sono arrivati nel centro di Londra che sembra loro una grande città manifatturiera (manufactoring place), e lo è, dove la gente è occupata a fabbricare cose (idea della produttività concreta). Questo è ciò che rende affascinante la descrizione della città di Londra, anche se ci sono dei riferimenti precisi, però non è la Londra della guida. Mrs. Ambrose nota anche che si sono degli electric lamps al posto dei lampioni a gas, e quindi qui la modernità. Con queste finestre illuminate, gialle, ed è questo giallo brillante che colpisce, un elemento chiaro della modernità, ma anche tutta questa luce sembra poca cosa a Mrs. Ambrose. Le sembra un piccolo fiocco d'oro su un vasto mantello nero; le cose belle per lei sono poca cosa rispetto al brutto. Di nuovo la critica sociale del narratore attraverso gli occhi e i pensieri di Mrs. Ambrose. Dal momento che attraversavano quartieri dove non si vedevano più gli aristocratici e nemmeno degli impiegati, ma le classi meno privilegiate, Mrs. Ambrose dice che in fondo i proletari sono una cosa normale perché ci sono più proletari che non aristocratici; questa è un'analisi sociologica. La normalità è essere proletari e Londra è una città in cui ci sono tantissimi poveri. È la prima volta che fa un pensiero di questo tipo e dice che i poveri sono più dei ricchi e questa scoperta la colpisce profondamente (startled). Qui trova un elemento positivo, che è un elemento dell'età eduardiana: in questo quartiere proletario trova una scuola serale. Nell'età eduardiana avevano aperto le scuole serali e le biblioteche circolanti per elevare il grado di istruzione della popolazione anche meno abbiente. Mrs. Ambrose è una bravissima osservatrice e passano in questo quartiere proletario e lei vede queste scuole. Suo marito non nota le scuole serali, trova che questo quartiere sia cupo, i quartieri proletari non erano belli e illuminati. Poco più avanti, c'è un'altra notazione sulla città di Londra, ciò che nell'Embankment un tempo era dedicato alla parata militare adesso è una strada lastricata dove si sente puzza di malto, di petrolio e vagoni; questa è Londra commerciale. La potenza britannica non era costruita in astratto, ma c'erano questi elementi concreti che Virginia Woolf vuole farci notare; nelle strade della Londra eduardiana ci sono queste realtà. Sono nella zona commerciale piena di vagoni, sacchi, merce, il tutto avvolto nella nebbia gialla (smog) e in questo contesto c'è un aspetto di Londra che è poco sensibile alle persone e quindi questa è la prospettiva su cui si focalizza Mrs. Ambrose che non riesce a farsi piacere questa Londra della quale osserva ed è in grado di rilevare moltissimi elementi che noi vediamo con i suoi occhi. Lezione 10 (31/10/2018) La prima parte del romanzo è focalizzata sulla città di Londra e vediamo che lo sguardo di Virginia Woolf indaga tutta la metropoli; non va ad investigare solo cose prestigiose, ma tutti i livelli delle classi sociali che offrono un'immagine ambivalente di Londra. Un'immagine fatta di indubbia bellezza e tracce del moderno riscontrate nelle macchine, nella velocità, nell'elettricità, ma c'è anche la convinzione che la maggioranza della gente è povera e quindi, col percorso che fa Mrs. Ambrose, dai quartieri altolocati a quelli proletari, il suo sguardo crea un'immagine negativa, ma in relazione con le altre è ambivalente per cui Londra rimane aperta. Tutta la prima parte del capitolo è descritta in modo straordinario sia dal narratore onnisciente sia dal personaggio di Mrs. Ambrose come focalizer principale. Quindi questa visione di Londra, che non finisce qui, ci apre a uno spazio che è il mondo fittizio, cioè urbano, che è quasi sempre al centro dei romanzi di Virginia Woolf. Abbiamo visto questi aspetti nella Londra mercantile e commerciale, aspetti demitizzanti di Londra che tolgono il fascino e quindi in questa prospettiva abbiamo anche l'osservazione di qualcuno che abita a Londra come quella del barcaiolo che fa da traghettatore ai signori Ambrose per portarli alla piccola barca che li porterà alla nave su cui faranno il viaggio. A Londra non c'è molto tempo di prestare attenzione alla gente perché vanno tutti di fretta. Questo barcaiolo ha una barchetta per traghettare la gente verso le navi in partenza, le navi da crociera. Sono sulla barca in mezzo al Tamigi e la città gli sembra una fila di palazzi, da entrambi i lati, quasi una specie di lego, una città fatta di cubetti. Il barcaiolo dice che il volto di Londra è in continuo mutamento. Loro sono in mezzo al fiume e gli passano le chiatte trascinate dai rimorchiatori (barges) dove c'è merce, sono navi mercantili. Questo ci dà l'idea che il fiume è usato come mezzo commerciale; passano anche le barche della polizia che vanno veloci e loro sono in mezzo con questa barchina a remi che oscilla da una parte all'altra. Il barcaiolo è un uomo anziano, e anche questo è un dettaglio interessante perché forse nessuno vuole più fare questo mestiere, fa notare che un tempo lui aveva tantissimo da fare e invece adesso non ha quasi più traffico perché oggi vogliono i ponti e dunque fa segno a quella che lui ritiene la “mostruosa” sagoma del Tower Bridge (mostruoso è un aggettivo che appartiene al barcaiolo); Questa professione andrà a perdersi. Con un atteggiamento luttuoso, negativo (mournfully). Ci sono notazioni urbane, ancorate nel mezzo del Tamigi ci sono le navi più grosse. La nave, Euphrosyne, è uno spazio a sé in questo viaggio, è uno spazio a sua volta, uno spazio particolare, uno spazio non spazio; è uno spazio che viene chiamato eterotopico. La nave è uno spazio importante perché sarà uno dei luoghi di questo viaggio. La descrizione ci dice che siamo davvero nella fase commerciale e nella fase in cui l'Inghilterra non solo ha la marina militare, ma anche quella mercantile più forte del mondo. Questa nave sembra un vascello di pirati agli occhi di Mrs. Ambrose che vede nera la bandiera, questa luce soffusa (tramonto) aggiunge cupezza e questo vascello fantasma per Mrs. Ambrose è presagio di qualcosa di negativo. Si avvicinano alla nave che è mercantile, non da crociera, e arrivano sul ponte. Adesso cambia la prospettiva e avviene il primo incontro con la protagonista, l'eroina Rachel. C'è una descrizione breve ma precisa. La prima parola (preposizione) è “DOWN” (in the saloon...) e indica una spazialità che si inabissa, che va in profondità, ma metaforicamente quando ci dice che è nella nave del padre capiamo che il padre fa l'armatore e che c'è un rapporto di sottomissione, come tutte le fanciulle vittoriane e quindi c'è anche una valenza simbolica in questa frase. Ci presenta l'eroina con nome e cognome, ha 24 anni, il che vuol dire che ha già superato l'età da marito rispetto a quella che era la consuetudine vittoriana, perché era rimasta isolata, chiusa in casa. Rachel sta aspettando i suoi zii ed è un po' nervosa; c'è disagio perché queste persone non le conosce bene, non li ricorda, in più erano anziani ai suoi occhi (prospettiva infantile) e infine, essendo brava figlia vittoriana, ha il compito di fare gli onori di casa, per questo è un po' nervosa, sarà in grado o no? Ci sono dunque queste incertezze, c'è inquietudine davanti a questo compito. Questa era l'aspettativa vittoriana parlando dei compiti e dei ruoli, senza dire che se mancava la madre, la figlia doveva accudire il padre, occuparsi della casa in modo quotidiano, quindi era il suo compito (she must). E qui si vedono i motivi del suo disagio. C'è il gesto per preparare bene la tavola, tutto allineato e decoroso; mentre fa questo sente la voce di qualcuno che si lamenta delle ripide scale (sono gli zii che hanno un'idea disagevole dello spazio della nave). Mrs. Ambrose compare sulla porta e qui abbiamo un nuovo focalizer: Rachel. Mrs. Ambrose è vista e descritta con gli occhi di Rachel che la vede apparire sulla porta e dà dettagli concreti sul suo aspetto fisico: alta, occhi grandi, avvolta da uno scialle porpora, romantica e bella. Questa è la sua prospettiva. Nota anche che non era particolarmente solidale perché aveva uno sguardo inquisitivo che faceva attenzione a tutto quello che vedeva (Mrs. Ambrose molto acuta). Immediatamente Rachel percepisce questa cosa: è bella, romantica, ma ha uno sguardo “straight” (di solito le donne vittoriane non dovevano avere uno sguardo diretto). Aveva un viso più caldo di quello di una statua greca, ma era un viso molto più audace (bolder). Gli aggettivi definiscono fisicamente e psicologicamente. Mrs. Ambrose non è catalogata come la classica gentildonna, ma catalogata per questo suo sguardo più penetrante che non doveva essere femminile, catalogata come diversa dalle classiche donne vittoriane inglesi. E qui abbiamo il primo incontro tra Rachel e gli zii e anche alcuni passeggeri della nave; in particolare incontriamo Mr. Pepper che, come Mr. Ambrose, è un professore, ma noioso, pieno di sé e conservatore. Questi sono attributi che lo definiscono non proprio come il massimo della simpatia. Ancora una volta il punto di vista di Rachel sullo zio. Le piace il suo fisico snello e un po' ossuto e anche il viso, un faccia che non si può non notare (big head with its sweeping features, and the acute, innocent eyes), che non passa inosservato (dati psicologici). Rachel dice ad una domestica di avvisare Mr. Pepper, già sulla nave, che aspettava di unirsi agli altri ospiti per la cena; si siedono e Rachel comincia una conversazione. Mr. Pepper fa la sua entrata; fa un cenno col capo a Mr. Ambrose perché sono colleghi e dà la mano alla signora Ambrose. Notiamo che lui è un po' sghembo come un albero col fusto dritto e la chioma inclinata a causa del vento (bent as some trees). Lui arriva, entra e comincia a lamentare lo spiffero di qualche porta o finestra aperta. Helen è gentile e si interessa della sua condizione di salute, ma ancora pensa alla città, a ciò che ha visto. Si ritorna al concetto che lei appare bella a Rachel, anche per via della sua voce (low and seductive). Più volte sarà espresso il concetto della bellezza di Helen. Mr. Pepper accentra la conversazione sul suo malanno, sulla sua condizione di artrosi o reumatismi, enfatizzando la sua malattia. Vediamo l'ironia di Virginia Woolf espressa tramite Mrs. Ambrose (nessuno muore di reumatismi). Ridley Ambrose è un po' cafone: primo perché solleva il piatto per prendere la minestra, secondo perché fa subito un commento negativo a mezza voce contro Rachel “non è proprio come sua madre”(non è bella ed è imbranata). Allora Helen cerca di fare rumore per non far sentire ciò a Rachel, ma invano; lui è riuscito ad imbarazzarla. Questo commento mette ancora più a disagio Rachel che ad un certo punto cerca di mandare avanti la conversazione cambiando discorso e parlando dei fiori che sempre nervosamente cerca di sistemare. Ancora una volta c'è un silenzio pesante. I due colleghi cominciano a parlare di qualcuno che conoscono solo loro due intraprendendo una conversazione con dei referenti noti solo a loro. Parlano di Jenkinson, un professore come loro e Mr. Pepper porta solo cose negative nella conversazione (reumatismi, morte del collega). Era un loro compagno a Peterhouse e si ricordano di un incidente sulla barca lungo il fiume nel quale questo era coinvolto; cominciano le reminiscenze di quando erano insieme all'università e poi dice che si era sposato con una donna giovane ed era andato ad abitare nelle Fens (zona acquitrinosa). Pepper insinua che sia morto perché drogato e alcolizzato (Pepper pettegolo) e quindi vanno avanti a parlare delle loro cose, dei loro fatti privati e parlando di queste cose salta fuori un elemento interessante; parlano di un altro personaggio. C'è un dato ironico, ma acuto. Si dice che le donne, secondo il costume del loro sesso, erano ben istruite (highly trained) a promuovere la conversazione degli uomini; loro non dovevano partecipare giorni. Il viaggio ha un inizio molto sereno con i migliori auspici dopo le intemperie della sera del primo giorno di viaggio, inizia con un'atmosfera rassicurante e questa è anche una connotazione psicologica, emotiva da parte dei personaggi. Il viaggio inizia quando i commensali che sono sulla nave si trovano per la prima colazione. L'inizio è una scena serena e tranquilla come il clima esterno; ci sono delle cose molto interessanti nel senso che, avverbi e aggettivi servono a creare questa atmosfera serena e indicano un senso di cordialità del gruppo che si era già visto a cena e si incontra di nuovo con piacere; diventerà un gruppo affiatato. Mentre Helen passa il burro a Willoughby pensa tra sé che la sorella ha deciso di sposarlo e sembrava contenta. Qui ci sono ancora due livelli: un gesto esterno, concreto e quello mentale del personaggio che non sono esattamente sovrapposti. Seguendo questo filo di pensieri Helen va a fare una valutazione personale di Willoughby, ci dice cosa ne pensa e questo è importante per il lettore perché è il modo in cui il lettore lo conosce meglio. Ancora una volta non abbiamo il narratore onnisciente che descrive il personaggio, ma abbiamo un personaggio che descrive un altro personaggio o ci dice cosa ne pensa; siamo in un'innovazione narrativa. Willoughby è descritto attraverso le sensazioni di Helen, la quale è una fine psicologa, capisce le emozioni, è capace di cogliere le sfumature dei caratteri delle persone che le stanno intorno e la cosa interessante è che fa un paragone tra lei e la sorella con cui aveva un rapporto di profonda e autentica amicizia, per cui fa anche un paragone tra i due mariti e immagina che la sorella abbia sposato Willoughby perché è il classico uomo vittoriano, solido, rassicurante e di successo, cioè Willoughby è forte, volitivo, determinato. Questo lo dice Helen che lo conosce e dice che queste sono le qualità per cui sua sorella l'ha sposato. Ma lei ha delle riserve su Willoughby che permangono e la maggiore è quella di ritenerlo sentimentale. Sentimentale qui è un attributo che non vuol dire emotivo, ma è l'opposto. È un attributo che Virginia Woolf considera quasi un insulto; lei definisce sentimentale il contrario della genuinità, dell'onestà e della sincerità sui proprio sentimenti, cioè indica il fare dei gesti senza però essere coinvolti nel profondo delle emozioni. Sentimentale anche per Helen, che in questo caso è la portavoce di Virginia Woolf, è una critica, una cosa negativa. “Perché l'ha sposato?” Questa è la domanda che si pone e la risposta è: “lui è forte, volitivo e determinato, dà un senso di sicurezza come marito, è una figura forte in tutti i sensi, ma è sentimentale”. È chiaro che, come dice Helen, sta andando proprio sotto l'apparenza; è un marito ritenuto da tutti affidabile, lodevole, ma dopo aver scavato si trova che he was never simple and honest about his feelings (complicarsi il proprio sentire, sa mentire a se stesso). Ad esempio non parlava mai della moglie defunta, ma teneva gli anniversari con grande sfarzo (è il marito che si ricorda della moglie solo il giorno del suo compleanno). Cominciano i lati negativi sospetti di Helen su Willoughby; pensava che fosse un prepotente in famiglia con la moglie, ma questi sono solo sospetti. Il bullismo dentro casa era una caratteristica delle famiglie vittoriane. Aveva un ottimo rapporto con la sorella, un rapporto sincero; si confidavano e spesso parlavano dei loro mariti, ma forse Theresa non aveva mai avuto il coraggio di parlare delle prepotenze di Willoughby, quindi sono solo supposizioni. Ti ha sposato perché sull'esterno sei l'uomo giusto, ma dentro casa chissà e questa è una dicotomia classica delle famiglie vittoriane e in genere della mentalità vittoriana: di fuori la facciata tutto bene, dentro casa bullismo e prevaricazione. Spesso con la sorella parlavano dei loro mariti e il contrasto era evidente: (Ridley was a scholar, and Willoughby was a man of business ) Ridley era professore di greco e Willoughby un uomo d'affari; sono due uomini di successo con carriere diverse. I successi di Ridley sono che ha fatto un edizione critica di Pindaro e un commento ad Aristotele; i successi di Willoughby sono che ha messo in mare la sua prima nave e ha costruito una fabbrica; due personalità diverse, ma di successo. Facendo questo paragone più avanti Helen pensa a Rachel in quel contesto familiare. Sappiamo che Helen è una figura attenta e affezionata alla nipote; la studia sempre e decide che è una ragazzina infantile e acerba, non come i suoi figli. La trova una bambina acerba di sei anni a giudicare da come versa il latte in modo infantile. È un gesto che sembra banale, ma siccome versa il latte dall'altro sembra una bambina. Guarda questo gesto e la ritiene infantile. Osserva anche il suo viso che è paffutello da bambina ed è un pallido riflesso della madre; c'è qualcosa di lei, ma Rachel è molto meno bella. È come il riflesso nell'acqua di un viso che si rispecchi dentro alla fontana e quindi ancora una volta i giudizi di Helen ci aiutano a definire questo carattere. Possiamo dire che questi personaggi sono oggetto dello sguardo di Helen; non c'è la pretesa che siano oggettive né le sue speculazioni né le sue considerazioni, ma sapendo che Helen è una fine psicologa, diciamo che coglie nel segno, che ha un'ottima percezione del carattere (her victims). Dopo osserva Mr. Pepper, in realtà è Mr. Pepper che osserva lei. Lì è chiaro che tutti si incontrano per la prima volta e allora fanno congetture. Lei giudica Willoughby e Rachel e Pepper giudica lei. Giudicare = valutare. Quello di Helen è uno sguardo impietoso. Pepper sta osservando Helen, ma sempre in modo autoreferenziale, ossia in rapporto a se stesso, tutto deve ricondursi a se stesso (through a considerable stretch of autobiography ). Da notare il gesto di Pepper che taglia il toast a striscioline molto metodico, ossessivo, che ci dà un'idea di pignoleria e ossessività. La sua impressione della notte precedente che Helen fosse bella viene confermata. Viene fuori un'altra caratteristica di Pepper, che è misogino. Non si ritiene in dovere di dover rispondere alle signore, non ha rispetto per le donne, le ritiene inferiori, degli esseri meno intelligenti e forse anche a voce alta spiega perché non si è mai sposato: perché non ha mai trovato una donna di cui avere abbastanza rispetto. Questa idea che le donne sono tutte inferiori riprende la mentalità maschilista secondo cui gli uomini sono superiori; non ci sono donne a cui dare le credenziali e il rispetto che si dà ad un uomo (women are inferior). Ha un tale ideale impossibile di femminilità che non può trovare la donna giusta; vuole una donna che sappia leggere il greco e il persiano e che sia bianca (fair). Lui è cresciuto a Bombay, figlio di funzionari coloniali in India, e quindi aveva questo ideale di musa. Questa era una condizione impossibile per le donne dell'epoca, non esistevano donne in grado di leggere il persiano e quelle che c'erano erano viste come pecore nere, come eccezioni. Pepper vuole un'ideale di donna che non è accessibile. Questo romanzo è molto fine sulle relazioni tra i sessi, non solo tra i due innamorati, ma nei contesti sociali del tempo. Con il gesto del toast veniamo a sapere che è un pignolo terrificante, che ha un'ossessione per le date e le cose. Gli erano venute delle strane abitudini di cui non si vergognava: dedicava una parte della giornata ad imparare cose a memoria (poesie, brani...); prendeva un biglietto e si segnava il numero nell'agenda; ha diviso il suo anno, la sua vita, la sua giornata come un orologio svizzero; è un uomo iper organizzato, metodico e abitudinario. Non è in grado di pensare fuori dagli schemi, fuori dal parametro fisso; Pepper stesso è un parametro fisso, è l'incarnazione della metodicità. Lui è al centro del mondo, della realtà e tutto ha significato solo in relazione a se stesso. Questo narcisismo così spiccato è una caratteristica di Pepper. Vediamo la psicologia di Pepper, un ritratto al completo: nato e cresciuto in India, si rammarica di aver passato gli anni della gioventù in mezzo a donne di colore, è quindi anche razzista. È narcisista, egoista, misogino e razzista. È un personaggio contro cui si scagliano Forster, Virginia Woolf e suo marito, che ha vissuto in India come funzionario e ha scritto un romanzo anticolonialista. Cominciamo, nel capitolo 2, a entrare nella caratterizzazione dei personaggi; facciamo conoscenza di Willoughby, patriarca vittoriano di successo; di Pepper intelletuale narcisista, misogino e razzista; dove abbiamo queste connotazioni dei personaggi. Passiamo sempre tramite il punto di vista di Helen, a vedere il viaggio, la prospettiva del viaggio. E c'è un momento che diventa significativo: è un momento in cui, è la prima scena che per Rachel diventa di iniziazione sessuale e cioè quando vede gli zii che si baciano. In epoca vittoriana non si facevano effusioni per strada, quindi quando Rachel vede gli zii baciarsi diventa un momento scioccante. Escono sul ponte, che ci dà uno spazio aperto, libero dalle costrizioni, contro la claustrofobia della nave con i suoi spazi stretti. Il mare è simbolo di infinito, di apertura mentale ed emotiva. Tutti escono sul ponte e c'è una frase significativa: “avevano lasciato Londra seduta sul suo fango” (They had left London sitting on its mud). Il mare non ha fango, può far paura. La prima connotazione del mare è la libertà e lo ripete 3 volte (They were free of roads, free of mankind, and the same exhilaration at their freedom ran through them all ). Questo spazio aperto è la libertà, tutti hanno questa sensazione sul mare aperto anche se non sappiamo di preciso chi osserva, forse tutti i passeggeri. C'è questo paesaggio aperto, libero e si sente l'aria di mare. Mrs. Ambrose prende a braccetto il marito e in questo gesto di intimità, come se lei dovesse dirgli qualcosa, si baciano. Questo è quello che vede Rachel (Rachel saw them kiss). Ancora una volta è il punto di vista del personaggio che valuta la situazione. Questa è la reazione di Rachel che ha appena visto gli zii baciarsi ed è una scena che non dobbiamo prendere come totalmente realistica. Questa è una scena dove Rachel non vede con gli occhi, ma vede con l'immaginazione il paesaggio. E questo paesaggio che lei vede è un paesaggio fantasmatico, immaginario dove tutti i piccoli dettagli non possono corrispondere ad una visione realistica. È un paesaggio che non è una scena descrittiva. Normalmente non si può vedere il fondo del mare, invece Rachel ne parla (pale blur at the bottom), ma questa è la sua proiezione fantasmatica, è il correlativo oggettivo della sua coscienza; è ciò che corrisponde alla sua coscienza turbata. Il paesaggio non è descritto perché è così o perché lei lo vede così con gli occhi; è un paesaggio che definisce le connotazioni emotive della sua esperienza. Quando vede gli zii baciarsi è scioccata e turbata, è qualcosa che non si aspetta in quanto fanciulla vittoriana con un certo tipo di educazione. L'eroina stravolge la scena stessa; c'è una descrizione delle profondità marine dove il mare ancora una volta è l'equivalente della coscienza, il mare è una grande metafora, un grande simbolo della coscienza e la visione diventa sempre meno realistica; nessuno sguardo fisico può arrivare in fondo al mare e quindi si tratta di un passaggio dallo stato fisico di qualche dettaglio fino ad un piano psicologico del profondo. È una descrizione non del paesaggio, ma dell'immaginazione alterata di Rachel, è una descrizione di una spazialità che appartiene ad una dimensione psichica e non fisica; Rachel vuole allontanarsi e distoglie lo sguardo (she looked down into the depth of the sea), ma la sua mente parte per una tangente molto più profonda e dinamica. È una dimensione fantastica perché non si può vedere il fondo del mare e i relitti dei naufragi precedenti (the black ribs of wrecked ships), metafora che sembra un presagio di sventura. In più ci sono le anguille (great eels), questi serpenti marini (smooth green-sided monsters) che ci fanno capire di essere nell'immaginario, nel fantasmatico (come la ballata di Coleridge). Non è un discorso fisico, concreto. È chiaro che non esistono questi mostri marini; sono simboli fallici che si legano ad un'esperienza di iniziazione sessuale. In Coleridge c'è uno sconvolgimento cosmico, qui c'è uno sconvolgimento emotivo del personaggio; infatti per Rachel il bacio è una cosa scioccante che le fa venire in mente cose inaudite, rese con queste metafore, con queste cose che crede di vedere; sono tutti aspetti che rimandano alla sessualità, a qualcosa di profondo, di nascosto, ad una pulsione. La complessità della coscienza di Rachel reagisce a certi stimoli in modo esponenziale. Tutto questo è una novità per la narrativa dell'epoca; nessuno in un romanzo con un'eroina vittoriana era andato a scavare nelle implicazioni psicologiche dell'inconscio. Questo è momento che prelude ad un altro momento scioccante per Rachel che avviene nel capitolo 5, dove viene baciata per la prima volta. THE VOYAGE OUT Capitolo 5 In questo capitolo l'atmosfera è cambiata e il mare è agitato, c'è la tempesta, fisica e psicologica, fisica e metaforica. I passeggeri si sentono sballottati dalla tempesta (the storm was on them). Siamo in questo contesto dove viene introdotta la coppia dei signori Dalloway, Richard e Clarissa. Salgono a bordo della nave a Lisbona e in questo incontro c'è la prima esperienza di essere baciata di Rachel da parte di Richard Dalloway, il quale è un uomo molto affascinante, esperto, un uomo di mondo, un seduttore che fa la corte a Rachel nel modo più classico ed elegante. La prima cosa che fa da esperto seduttore è fare delle avances interessandosi a che cosa stia leggendo Rachel. Va a cogliere quella dimensione che non è tipica delle donne vittoriane, nota i libri che Rachel ha con sé e avvia una conversazione dalla quale emerge che Rachel legge romanzi. Comincia col dire che siamo tutti in un mondo di incomunicabilità, siamo isolati, come degli iceberg siamo freddi, poco espansivi, non sappiamo comunicare benché ci sarebbero molte cose da della sessualità e anche la paura del pericolo; e questo è esattamente il motivo per cui qui c'è questo sogno e prima c'era “something wonderful had happened”, ma le due cose non sono in contraddizione bensì coesistono perché noi siamo complessi. Questo episodio è un evento molto importante sul piano estetico e narrativo perché Virginia Woolf è ossessionata da quanto è definito irrappresentabile; bisogna rappresentare quello che non si è rappresentato perché ritenuto irrappresentabile. Ma che cosa è irrappresentabile? La nascita, la morte, la sessualità, tutti passi cruciali della vita; momenti irrappresentabili perché non sappiamo cosa voglia dire morire e nascere, sono esperienze che implicano una irrapprensentabilità e la sfida è questa, rappresentare la sessualità esteticamente e poeticamente; non ci sono temi preclusi allo scrittore purché trattati con onestà e intelligenza. Questo momento onirico è importante e un altro si ripresenta alla fine del romanzo quando viene affrontato il tema della morte, altro momento liminale, di confine da cui nessuno è ritornato. Ritorna il sogno che è il delirio dell'eroina moribonda; ci sarà ricorso ad un sogno per parlare di stati di coscienza di cui non si era mai parlato o di cui non si riteneva che si potesse parlare. Virginia Woolf coglie la sfida nel suo primo romanzo di parlare dell'irrappresentabile, dei temi che non si possono dare per scontati. Tutta la letteratura parla di amore e di morte, ma le modalità sono la cosa importante. THE VOYAGE OUT Capitolo 6 In questo capitolo c'è il momento in cui Rachel parla con Helen; le dice che è stata baciata da Richard Dalloway e Helen la aiuta ad elaborare l'esperienza e a completare la sua educazione vittoriana sulle tematiche che nell'educazione ricevuta non erano state trattate. Quindi qui c'è un discorso che ancora riguarda la formazione. THE VOYAGE OUT Capitolo 7 Questo capitolo ci porta un'altra spazialità: prima Londra, poi il mare e adesso lo spazio esotico, cioè l'altro spazio rispetto a Londra. È un capitolo molto rilevante perché riguarda sia la geografia sia la storia del colonialismo. Si affronta il tema dello spazio con l'arrivo della nave a Santa Marina. Abbiamo già visto che The Voyage Out fa riferimento a questo nuovo contesto culturale: dallo spazio inglese verso un altro contesto che è lo spazio coloniale in un momento in cui l'apogeo della potenza britannica in epoca vittoriana comincia a erodersi, a inclinarsi. Virginia Woolf condanna aspramente l'imperialismo britannico e fa una riflessione molto approfondita. La Euphrosyne attracca a Santa Marina, spazio di un luogo immaginario, ma che ha le caratteristiche del luogo tropicale, e questo attracco segna l'inizio della riflessione sul colonialismo. Questo sbarco è immediatamente definito come un'invasione (The lonely little island was invaded ); l'invasione vuol dire che lo sbarco coloniale è uno sbarco invasivo, né turistico né semplicemente coloniale, ma invasione. Si crea il trambusto dell'arrivo e si comincia a fare i preparativi per attraccare. Qui c'è lo sbarco dove Mrs. Ambrose quasi non se ne accorge perché le interessa solo di vedere la posta che è appena arrivata e quindi non si sofferma a guardare i dettagli e se ne esce con la sua esclamazione: “i bambini stanno bene!” che è la sua preoccupazione costante. Rachel chiede di quali bambini si tratti, non fa nemmeno il collegamento. Abbiamo una prima descrizione del paesaggio: una spiaggia bianca, montagne e colline sulle quali sono appollaiate come nidi le case (white houses with brown roofs ). C'è una bella integrazione tra il paesaggio e le abitazioni, perché la metafora “like nesting sea-birds” indica parlare di nido, il che a sua volta vuol dire che queste case si integrano nel paesaggio. Le montagne erano anche piene di fiori rossi fino ad un certo punto perché la cima era pelata (montagne alte e i venti del mare non consentono alla vegetazione di arrivare fino in cima). Man mano che si avvicinano, e qui abbiamo un effetto di zoom dentro il paesaggio, si crea un contrasto molto forte tra i piccoli oggetti della quotidianità, le cose concrete del villaggio, e le distese immense, il silenzio e il mare; quindi coloro che sbarcano sono particolarmente sileziosi e stupiti. C'è una narrazione dell'impresa coloniale, narrazione fatta da un colonialista convinto come Mr. Pepper che incarna però il punto di vista prevalente dei sostenitori del British Empire e quindi dei sostenitori di quel tipo di impresa coloniale. Tutti gli aggetti usati ci parlano dell'ideologia colonialista di Mr. Pepper. Va ricordato che uno dei fondamenti della colonizzazione era l'idea che si portasse ad un avanzamento una civiltà e c'era questa dottrina “the white man borden”, cioè questo compito che i bianchi dovessero andare a civilizzare l'India; questa era la mentalità del British Empire. Viene raccontato come un aneddoto, ma dentro questo aneddoto, che si sarebbe svolto sull'isola, anzi che Pepper immagina essersi svolta sull'isola, è in effetti una parabola molto attenta e storicamente valida di quella che fu l'impresa coloniale britannica. Lo sbarco è definito come un'invasione e Mr. Pepper comincia a fare questa digressione prima di tutto dicendo che l'occupazione di quest'isola è vecchia di 300 anni, ma nessuno gli dà corda. Pepper si prende poi una pillola (deve ricordare a tutti che è malato) e non riesce a elaborare il racconto che avrebbe voluto; quindi qui dobbiamo pensare che non dà voce a questo racconto, ma è come lui vede e percepisce l'avventura coloniale britannica. Questa ampia digressione ci spiega che Pepper incarna l'ideologia coloniale del tempo. La lunga digressione ha la forma di un racconto, ma ha un significato storico molto preciso ed esatto; prima di tutto si parla di queste navi inglesi, Elizabethan barques (all'epoca della regina Elisabetta I), che attraccano lì dove ora c'è la Euphrosyne; quando arrivano gli inglesi c'erano già i galeoni spagnoli perché la storia ha chiarito che la colonizzazione, soprattutto del sud e centro America, comincia da parte degli spagnoli almeno 80-100 anni prima dello sbarco degli inglesi sul continente americano. I galeoni spagnoli erano senza i marinai a bordo in quanto già scesi, sono già installati. Da notare che questa è una virgin land e questa è un'immagine molto interessante perché indica una terra vergine, non esplorata; è questo il senso primo della parola, ma la metafora è che la colonizzazione è come una violenza su una vergine. Quindi questa virgin land che viene violentata dai conquistatori è un elemento che Virginia Woolf non a caso ha scritto: “was still a virgin land behind a veil”, era ancora al riparo, non era ancora stata del tutto violata. Gli inglesi arrivano e portano via il bottino degli spagnoli; anche questa è una verità storica. Il colonialismo inglese, soprattutto in America, comincia rapinando i galeoni spagnoli che tornavano carichi d'argento, oro e pietre preziose dal nuovo mondo e questo è un dato storico molto preciso; l'inizio del colonialismo inglese è legato alla pirateria, cioè sono i pirati che rubano il bottino e le ricchezze che gli spagnoli a loro volta hanno rubato agli indigeni. (Si vede come nella forma di un aneddoto ci sono dei riferimenti storici molto esatti). Portano via lingotti d'argento, balle di lino, legno del cedro (serviva per le navi) e crocifissi d'oro tempestati di smeraldi; questo era il bottino che avevano accumulato gli spagnoli e che gli inglesi vengono a rubare. Nella testa di Pepper, razzista di ferro, quando gli spagnoli si ripresero dalla loro sbronza ci fu una battaglia dove le due parti si scontrarono fisicamente trascinandosi nella sabbia (metafora fisica della guerra tra gli spagnoli e gli inglesi). Gli spagnoli, che erano ubriachi ed erano diventati grassi perché vivevano bene su quest'isola con i frutti paradisiaci (miraculous land), cadevano a dozzine (sempre secondo la visione di Pepper). Gli inglesi che sono tosti (hardy englishmen), abbronzati a causa del viaggio in mare, con i capelli e le barbe lunghe, con muscoli d'acciaio, con gli artigli che cercavano la carne (spagnoli, metafora di forte violenza fisica) e con le dita che prudevano per l'oro, fanno fuori i feriti, buttano i morenti nel mare. Ancora una volta si vede che Virginia Woolf non fa tanti complimenti; quello che Pepper riferisce come un'esaltazione, come una prodezza degli inglesi, Virginia Woolf lo descrive come un gesto non poi così glorioso. Gli inglesi riduco i nativi ad uno stato di meraviglia superstiziosa; questa idea che le credenze dei nativi fossero superstizioni e che i nativi fossero totalmente meravigliati da questa grandezza, bravura e bellezza dei coloni era uno dei canonici pregiudizi coloniali più diffusi. E qui si vede benissimo. Si stabiliva allora un avamposto coloniale; importavano le donne dall'Inghilterra e nascevano dei bambini; tutto sembrava favorire l'espansione dell'impero britannico. Pepper aggiunge che se ci fossero stati uomini come all'epoca di Carlo I (600) la mappa sarebbe senz'altro rossa dove adesso è di un odioso verde (odious green). Dobbiamo pensare che Pepper aveva in mente una mappa dell'impero britannico dove le terre possedute dall'Inghilterra erano rosse e quelle altre erano verdi. A Pepper dispiace il fatto che quell'epoca di Carlo I doveva avere poca immaginazione perché non era andata avanti a finanziare nonostante mancassero poche migliaia di sterline e di uomini per espandere ulteriormente la colonizzazione. Di nuovo quello che sciocca gli inglesi è vedere i nativi che hanno dei veleni mortali sulle frecce, che vanno in giro nudi e che venerano degli idoli dipinti; c'è il punto di vista coloniale sulla realtà. Prosegue Pepper dicendo che gli spagnoli sono vendicativi e i portoghesi rapaci (arrivati in Asia molto più lontano degli inglesi). Gradualmente la colonizzazione in quel luogo, in sud America gli inglesi non attecchirono e tolsero le radici portando uomini, donne e alcuni bambini con la pelle scura. C'è una straordinaria frase di Virginia Woolf che è molto sottile e dice che questo posto non è registrato nella storia inglese ( English history then denies all knowledge of the place ). È una frase sottile appunto perché dei posti da cui sono stati cacciati non se ne fa parola, non esistono sulla mappa né nella storia, non sono registrati come luoghi reali. Questa è un'osservazione molto acuta, una semplice frase che però ci dice che la storia ufficiale inglese nega ogni nozione dei luoghi in cui gli inglesi non sono riusciti a colonizzare; è un altro lato della medaglia sulla storiografia ufficiale, la storia la scrivono i vinti e in questo caso la storia non la scrivono gli inglesi che da quei territori vengono buttati fuori. L'impero britannico ha perso i suoi possedimenti sull'America e quindi cancella il luogo. Virginia Woolf anticipa un po' la storiografia contemporanea e sottolinea che la storiografia ufficiale non è mai neutra, ma ha sempre uno scopo di tipo ideologico. Più avanti ci dà delle indicazioni su come si realizza questa colonizzazione, in modo molto sottile; prima mandano dei maestri (school masters) e degli scrittori per scrivere i resoconti e per far apparire il luogo esotico come un luogo mitico e fantastico mantenendo sempre un punto di vista colonialista. Il parametro di giudizio è sempre inglese, è sempre la prospettiva britannica. Questa idea che c'è un miscuglio, un'ibridazione di queste popolazioni con quelle locali. Anche oggi l'isola va avanti con quelle attività manifatturiere che erano state impiantate dagli inglesi in epoca elisabettiana. L'impresa coloniale continua, non è finita con Carlo I o con Elisabetta I, ma fino a pochi anni fa l'impresa coloniale era in pieno sviluppo; ancora il luogo coloniale porta avanti certe attività e offre ai turisti questo. I primi colonizzatori erano pochi ed era anche gente abbastanza benestante; questi maestri si pagavano il viaggio verso il sud America sulle navi cargo. Si parla di tutta quella massi di letteratura di viaggio che dipingeva le terre esotiche per gli inglesi che erano rimasti in patri; molto spesso in questi resoconti di viaggi si diceva che la terra era talmente bella da sorpassare ogni possibilità di descrizione (tono iperbolico). Si vede poi una collezione di stereotipi sugli indigeni, sui locali; erano molto alti, con i capelli scuri, appassionati e pronti ad usare il coltello. Portano a casa anche alcuni artefatti per parlare delle civiltà che hanno trovato; diventa di moda possedere oggetti esotici. Si passa dal colonialismo vero e proprio a questa trasformazione tutto in funzione del turismo. C'è un altro aspetto interessante: tanti venivano mandati nelle colonie o perché erano delinquenti o per fuggire dai creditori perché pieni di debiti. Così è successo al fratello di Mrs. Ambrose; ecco perché loro si trovano ad andare a Santa Marina dove c'era la casa del fratello. Bisogna notare che, forzatamente i primi colonizzatori dell'Australia, che erano avanzi di galera, venivano mandati a colonizzare queste terre nuove. È interessante come Virginia Woolf faccia un paragone tra la storia del colonialismo e la presenza di questi nuovi arrivati, cioè il gruppo degli Ambrose, Pepper ecc; fa uno stretto collegamento come per dire che la colonizzazione non è ancora finita, ma continua in forme diverse. Un altro dei motivi per cui gli inglesi andavano in questi posti esotici era per fuggire dall'inverno britannico; è un'altra
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