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Letteratura Italiana, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti riguardanti il programma dell'anno accademico 20/21, Dante e autori dal 1500 al '900.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 09/12/2021

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Scarica Letteratura Italiana e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 15/02 luca.beltrami@unige.it Il programma è simile in lett italiana A-B-C cambiano i contenuti mod 2. Approfondimento sulla letteratura satirico morale. Il modulo 1 è uguale ed è la parte antologica di studio individuale e autonomo. A lezione si svolge il modulo 2. In autonomia studio di una minima antologia. 16 testi selezionati, che non verranno discussi a lezione. I brani si trovano su aulaweb e sono brani estrapolati da antologie. Saper contestualizzare i testi e sapere collocare la poetica. In che opera si trova ecc ecc. Va bene qualsiasi antologia delle scuole superiori. È richiesta la parafrasi, ma l'esame molto probabilmente sarà orale. Un paio di domande sul modulo 2 e una domanda sul modulo 1. Sul modulo 1 più aspetti contenutistici con collocazione nel tempo e nello spazio. Non faremo lezione su metrica e figure retoriche. È uno degli aspetti da aver presente per l’interpretazione del testo. Modulo 2: divina commedia qualsiasi edizione (meglio chiavacci leonardi mondadori versione economica) satire di Ariosto edizione precisa non lettura integrale ma passi indicati a lezione, testo disponibile su internet. Operette morali edizione precisa economica Satire edizione satura recente. Vanno bene anche altre. 17/2 SATIRA: non solo comicità ma anche attacco all'ordine sociale costituito. Un riso che ha finalità morale e perfino civile, additare i vizi della società per fare in modo che la società possa cambiare in meglio. Da questo punto di vista la divina commedia può essere considerata satirica, è un poema che ha al suo interno moltissimi spunti. Storia di un viaggio ultramondano di Dante che tenta di espiare le colpe dell'umanità. La satira è uno dei generi della divina commedia. Partiamo dal IV canto, la poesia satirica è qui fonte di ispirazione della divina commedia con Orazio. È Dante stesso ad autorizzarci ad una lettura satirica del suo testo. Più avanti Dante attacca la sua amata e odiata Firenze, perché è anche la città che lo esilia. Firenze è la città partita, cioè divisa, divisa tra guelfi e ghibellini, coloro che sostengono il Papa e coloro che sostengono l’imperatore. E le divisioni tre i guelfi stessi, guelfi bianchi e guelfi neri. Ci sono attacchi ad personam ad alcuni personaggi fiorentini del tempo. Un diverso modo di fare satira. E la damnatio memoriae cioè il fatto di non nominare proprio alcuni personaggi, per schernire gli avversari, come l’amico Guido Cavalcanti, con il quale ha degli screzi ad un certo punto della sua vita. Altre forme della satira in Dante sono l’apostrofe e la rampogna morale. L’apostrofe, rivolgersi direttamente alla città con atteggiamento di rampogna morale, reprimenda morale, il prendersela contro le magagne di Firenze, questo sarà il tema dell’"ahi serva Italia” del VI del Purgatorio, quando Dante si lamenterà dei vizi che porteranno l’Italia ad essere da domina provinciarum, signora delle province ai tempi di Roma, colei che dominava in tutto il mondo conosciuto, ad essere una schiava vituperata e ferita dalle invasioni straniere. Satira religiosa, denuncia della corruzione morale della Chiesa. elemento anticlericale in Dante molto forte. Da una parte un Dante profondamente religioso, tutto il viaggio è permeato da forte senso religioso, e quindi la speranza di trovare in Dio la salvezza, ma anche la consapevolezza forte che il modo di agire della Chiesa nel mondo può essere corrotto. E spesso persino i Papi possono sbagliare perché sono umani e possono cedere ai vizi quali la cupidigia, il desiderio di ricchezza. La Chiesa è rappresentata in termini anche apocalittici, come una sorta di meretrice che si vende a prezzo. Quindi i Papi simoniaci. Siamo con Dante all’inizio della letteratura italiana, Dante stesso è colui che per primo nobilita il volgare italiana nel “de vulgari eloquentia”, un’opera scritta in latino per convincere i dotti che è bene non utilizzare più il latino nella scrittura ma il volgare. E nel secolo in cui nasce Dante il 200 nasce la letteratura italiana. Dante nasce nel 1265, segno dei Gemelli, noi lo sappiamo perché è Dante stesso a dircelo nella Divina Commedia. Le notizie su di lui a volte sono semplicemente delle congetture ancora oggi la sua cronologia è oggetto di dibattito. Le fonti ufficiali, notarili, del tempo sono poche e spesso ci dobbiamo affidare a fonti letterarie non del tutto attendibili nella loro forma, per esempio parti autobiografiche raccontate da Dante stesso. avrà un'idea assolutamente diversa l’amore, l'amore che indebolisce gli spiriti e sbigottisce, porta a uno sconvolgimento interiore, a sofferenza fisica, perfino alla morte fisica o dell'intelletto. Quando ci innamoriamo rimaniamo come corpi svuotati e a governare i nostri pensieri e movimenti c'è un unico Dio Amore che ci toglie la possibilità di essere autonomi, non facciamo altro che pensare all'oggetto del nostro amore. Ideologicamente si crea una frizione tra il pensiero di Cavalcanti e il pensiero dantesco. Dante sposa la rappresentante di una delle famiglie + in vista di Firenze, Gemma Donati, è imparentata di Forese Donati. Forese che è un carissimo amico di Dante. Troveremo questo personaggio nei canti XXIII e XIV del Purgatorio, dedicati ai golosi, Forese viene accusato di essere un goloso. È colui con cui Dante in gioventù aveva scambiato una tenzone poetica, scambio di sonetti, soprattutto, in cui due amici possono bonariamente insultarsi uno con l’altro, era una pratica in uso all’epoca, da cui Dante si distanzierà in seguito, ai tempi della Divina Commedia quando scriverà un’opera + elevata rispetto a questi scherzi giovanili, ma è interessanti perché alcuni elementi biografici di Dante noi li conosciamo appunto da questi scambi, per esempio l'accusa di usura ai danni del padre. Forese e Gemma sono parenti di Corso Donati che negli anni ‘90 diventerà il capo indiscusso della fazione dei guelfi neri, fieramente opposti ai guelfi bianchi di cui faceva parte anche Dante. Questa spaccatura nei guelfi avviene proprio verso gli anni 90. Da una parte i guelfi bianchi, seguaci e capitanati dalla famiglia dei Cerchi, e dall’altra parte i guelfi neri capitanati dalla famiglia dei Donati. La ramificazione è anche all’interno dei guelfi, e Firenze diventa la città divisa, in clan in fazioni politiche, la città rissosa. 1293 vengono promulgati gli ordinamenti di giustizia di Giano della Bella, Firenze si organizza a livello di struttura, di vita sociale e si decide attraverso questi ordinamenti di giustizia che per entrare nella vita attiva della politica della città è necessario iscriversi ad una corporazione, entrare in un gruppo ristretto. Le corporazioni a Firenze si chiamano arti, cioè bisogna essere artigiani, bisogna appartenere ad una sezione particolare di artigianato riconosciuta. Dante si iscrive all'arte dei medici e degli speziali per aver accesso alla vita pubblica. Dante è interessato alla politica attiva e si iscrive per poter essere eletto. Questo perché la situazione tra gli anni 60 del 200 e gli anni 20 del 300 è questa: nei territori non urbani, del contado abbiamo ancora una situazione feudale, c’è il nobile che gestisce il castello con tutto il borgo intorno che è gestito dal castello; nelle città invece abbiamo i Comuni, cioè città stato che si autogovernano. E questi governi sono oligarchici, a governare è un gruppo di potere, un governo elettivo. E l’elezione può essere o per sorteggio o per scelta, ma quello che caratterizza i Comuni è che sono cariche che durano pochissimo circa 2 mesi o poco +, quindi il ricambio è continuo. Questo per fare in modo che chi amministra la cosa pubblica, almeno a livello ideale, non faccia i propri interessi privati. In realtà non è del tutto così, Dante condannerà la corruzione di chi governa Firenze. Dante entra nella vita politica, in qualche modo ci entra già nell’89 partecipando alla battaglia di Campaldino, una delle tante battaglie tra guelfi e ghibellini di Arezzo di quel tempo. In quell'occasione i guelfi avevano sconfitto i ghibellini di Arezzo e Dante aveva deciso di partecipare a questa impresa. Negli anni 90 la sua carriera politica è folgorante, Dante fa parte del consiglio dei Capitani del popolo, il Consiglio dei Savi, il Consiglio dei Cento, tutti organismi istituzionali di un certo peso nel governo di Firenze. Nel 1300 viene indetto il primo giubileo della Chiesa cattolica, da Bonifacio VIII che sarà il nemico giurato di Dante. Ed è la data in cui è anche ambientata la divina commedia, che è scritta dopo l'esilio, quindi a partire dal 1302/3/4 in avanti ma l'ambientazione è durante la Settimana Santa del 1300. Ed è un anno fondamentale per Dante perché tra il 15 giugno e il 15 agosto Dante fa parte del priorato, il massimo organo di governo della città. La situazione non è semplice perché Firenze è dilaniata dagli scontri tra guelfi e ghibellini e tra guelfi bianchi e guelfi neri, già nel 1297 Bonifacio VIII preoccupato dalla situazione di Firenze, aveva mandato un pacere, un cardinale, Matteo D’Acquasparta che viene mandato a “commissariare” Firenze. Ma la sua azione non aveva portato giovamento. Nel 1300 la goccia che fa traboccare il vaso è uno scontro che avviene sul sagrato di una Chiesa, Santa Trinita, 1 maggio del 1300, un sostenitore dei Donati taglia il naso ad un sostenitore dei Cerchi. Si capisce che il passo successivo sarebbe la guerra civile. Perciò il priorato di quel periodo deve prendere decisioni difficili, cioè mandare in esilio i capi + facinorosi di una parte e dell'altra. Solo che il priorato è a maggioranza bianca. E gli esuli bianchi sono esuli che non avevano una grande importanza politica. Viene mandato in esilio l’amico di Dante, Cavalcanti. Ma soprattutto viene mandato in esilio Corso Donati, il suo acerrimo nemico. La cosa negativa per Dante è il fatto che i neri abbiano l'appoggio del Papa. | neri rappresentano l’antica nobiltà, la nobiltà terriera di origine + alta, mentre i bianchi sono gli arricchiti, che sono arrivati dalla campagna e hanno fatto i soldi. Quindi Bonifacio VIII nel 1301 manda a Firenze un altro commissario, ma non un cardinale che non ha le armi, ma Carlo di Valois, un francese, perché Bonifacio è alleato con i francesi, ed è un personaggio militare, con un esercito. È un pacere di facciata che in realtà favorisce il rientro di Corso Donati in città. Corso prende il potere e si vendica di coloro che lo avevano mandato in esilio e manda a sua volta in esilio coloro che avevano firmato la sua cacciata nel 1300. L'esilio di Dante si colloca all’inizio del 1302. Alla fine dell'1 Dante era andato a Roma da Bonifacio VIII e mentre fuori Firenze viene condannato in contumacia, cioè in assenza, all'esilio. Il governo cerca in tutti i modi di incastrare Dante e lo accusa di baratteria, una accusa pretestuosa, cioè la concussione, i lucri illeciti. Viene recuperata l'antica accusa di gestire in modo non chiaro il denaro da parte della famiglia Alighieri, in particolar modo dal padre di Dante. Attraverso l’accusa di baratteria Dante viene incriminato e gli viene intimato di presentarsi davanti al podestà, Dante però è ancora in viaggio verso Roma e non si può presentare. Il 27 gennaio 1302 questa accusa diventa condanna a 2 anni di esilio, alla confisca dei beni e ad una salata multa. Dal momento che Dante però non è tornato in patria a prendere atto della condanna, il 10 marzo questa viene inasprita e trasformata in condanna a morte. Da questo punto inizia l'esilio di Dante per le corti d’Italia, del centro e del nord Italia, un lungo peregrinaggio e questi sono anche gli anni in cui Dante inizia a scrivere gran parte delle sue opere. In questi anni viene ospitato a Verona presso Bartolomeo Della Scala, poi passa ad Arezzo ecc. sono gli anni in cui inizia a scrivere il “de vulgari eloquentia”, 1305 per alcuni 4/5. Un testo importante per la sistemazione delle lingue volgari. Dante è uno dei padri della letteratura italiana, non solamente perché inizia a scrivere rime in volgare fiorentino e quindi italiano ma perché inizia a difendere anche teoricamente la scrittura in volgare rispetto la scrittura latina. Scrive questo trattato in latino per convincere i dotti ad utilizzare il volgare. E scrive questo testo sull’origine delle lingue volgari spiegando come queste siano illustri perché derivano dal latino. Dal latino deriva la lingua d’Oc provenzale, il francese del sud, da cui si era sviluppata la letteratura amorosa, la lirica cortese, già un secolo prima, tra fine 1100 e inizio 200. E dal latino si era sviluppata verso il nord della Francia la lingua d’Oil che avrebbe dato origine al francese moderno, a cui era legata una letteratura non tanto amorosa, ma alle imprese militari di Carlo Magno, la chanson de Roland. E pari a questa tradizione Dante inserisce la tradizione del volgare italiano, la lingua del sì. E anche l'italiano aveva sviluppato una sua letteratura, a partire dai poeti della scuola siciliana, quando Federico Il nella metà del 1200 è sovrano del sud Italia e aveva stabilito la sua corte a Palermo, Gli ultimi anni sono caratterizzati dal trasferimento a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta, per lui compie alcune ambasciate di carattere diplomatico, e nel 1321 durante una ambasciata a Venezia si ammala, forse di malaria, forse di una sindrome che colpisce i polmoni, e muore la notte tra 13 e 14 settembre del 1321 a Ravenna. 19/2 In Italia c'è situazione di conflitto tra un imperatore indebolito e la Chiesa che si arroga dei diritti di governo sulle terre che non sarebbero suoi. Questa confusione dei poteri aveva generato fratture anche all’interno delle stesse città stato. Un altro tipo di cronologia che si sovrappone un po’ a quella dantesca è utile per collocare correttamente nel tempo e nello spazio i fatti. Il tema è quello della divisione di Firenze, la città partita, la definizione che ritroveremo nel canto sesto dell'inferno, il canto di Ciacco. Il primo dei canti politici, i sesti canti sono canti dedicati a contenuti politici, il sesto dell'inferno è dedicato alle divisioni della città il sesto del purgatorio alla debolezza dell’Italia e gli scontri tra papato e impero, e il sesto del paradiso il canto di Giustiniano un imperatore dei tempi del disfacimento dell’Impero Romano, importante per Dante perché era colui che avevo posto le leggi, aveva scritto il corpus iuris civilis, il canto sarà dedicato all'impero. La figura di Buondermonte Buondermonti viene evocato proprio nel paradiso, nei canti centrali, nel canto 16 in particolare che è uno di quei 3 canti di Cacciaguida, questo personaggio che è il trisavolo di Dante, il nobile cavaliere che aveva partecipato alle crociate e aveva vissuto circa un secolo prima in una Firenze pacificata. Cacciaguida denigra la Firenze di Dante come città corrotta e dei sulti guadagni. E Dante gli chiede quale fosse l'origine di tanta discordia. Lui indica una lite tra famiglie nel 1215/16. La data è simbolica, ma le prime distinzioni che porteranno alla divisione tra guelfi e ghibellini Dante le individua già un cinquantennio prima della sua nascita. Quando Buondelmonte Buondelmonti aveva sposato una Donati invece di una Amidei, qui Dante si rifà anche all'uso dell’epoca dei matrimoni combinati. Attorno alle famiglie + importanti si riunivano famiglie amiche. Quella degli Amidei era una famiglia di grande importanza di nobiltà vecchia e avevano deciso di far sposare una loro discendenti con un Buondemonti per allargare il proprio gruppo di amicizie. Ma Buondelmonti fa prevalere le ragioni del cuore e invece di sposarsi per denaro sposa una Donati. La rissa viene risolta da un malconsiglio di un tale Mosca dei Lamberti, una famiglia di antichissima nobiltà consorziati con gli Amidei, consiglia di uccidere Buondelmonte per dare un segnale forte e dimostrare che i matrimoni combinati vanno rispettati. Così succede e da lì Dante considera questo l’inizio simbolico delle lotte tra famiglie e quindi l'opposizione guelfi e ghibellini. Buondelmonte non si trova in paradiso, Cacciaguida lo cita soltanto, invece Mosca dei Lamberti lo troveremo tra le anime + nere nelle malebolge tra i seminatori di discordie. Soprattutto ai tempi di Federico Il di Svevia, un imperatore importante attorno al quale si era riunita anche quella scuola siciliana che scriveva in volgare i temi dell’amor cortese, questa distinzione si fa molto + concreta. Intorno agli anni 40 del 200 e nel 1248 abbiamo la prima cacciati dei guelfi da Firenze. Questo proprio per la forza di Federico Il che rende quindi forti anche coloro che lo sostengono, i ghibellini. Quindi le famiglie ghibelline per eccellenza che sono i Lamberti e gli Uberti, che appartengono ad un antico rango equestre, si rafforzano molto. Il 1250 segna la morte di Federico Il e un momento di smarrimento per i ghibellini che si indeboliscono e nel 51 i guelfi rientrano a Firenze. A Firenze si istituisce a questo punto il regime di primo popolo, cioè dal momento che ci sono tutte queste divisioni che rendono ingovernabile la città gli organi di governo di Firenze organizzano un nuovo regolamento di governo in cui vengono riconosciuti anche nuovi gruppi sociali. La società sta cambiando rapidamente. | ghibellini sono anche coloro che avevano ottenuto terre fuori città dall'imperatore, ma si stanno affermando nella società anche altri gruppi che stanno diventando potenti economicamente. E questi gruppi sociali sono soprattutto i mercanti, si sta sviluppando la società borghese, e i prestatori di denaro, i banchieri e questa nuova classe sociale si sta arricchendo molto e pretende di entrare a far parte del governo. Il regime di primo popolo fa sì che questi nuovi ricchi possano accedere al governo. Si crea questa sorta di nuova nobiltà in contrasto con la vecchia nobiltà. Non ne fanno parte solo guelfi, la distinzione è abbastanza frastagliata. Il grosso della disputa è tra queste due forme di nobiltà, quella vecchia legata all'antico lignaggio e la nuova legata all’arricchimento. Nel 1258 si arriva all'espulsione delle famiglie ghibelline da Firenze, con l'instaurazione del regime di primo popolo le famiglie + riottose che creano + preoccupazioni vengono allontanate. Però anche in questo caso l'allontanamento dura poco, nel 60 abbiamo la battaglia di Montaperti, il primo grande scontro tra guelfi e ghibellini per il dominio di Firenze. Uberti e Lamberti sono fuori Firenze e si organizzano con i ghibellini di Siena e l’imperatore che offre truppe. Soprattutto Farinata degli Uberti che guida i fuoriusciti ghibellini insieme alle truppe senesi e le truppe imperiali e abbiamo la seconda cacciata dei guelfi. Il regime di primo popolo viene a finire. Ma nel 66 abbiamo la battaglia epocale di Benevento, in Campania, dove governa l'imperatore, dopo Federico Il instaura la propria corte a Napoli. L'erede nel 66 è Manfredi ed entra in guerra contro il papa alleato agli Angioini francesi. Il papa non Elementi strutturali dell’opera Il titolo non è dantesco e viene attribuito solamente dopo, l’aggettivo divina viene usato per primo da Boccaccio. Boccaccio è il primo grande interprete di Dante, primo umanista, colui che studia non solo gli antichi ma anche la letteratura a lui contemporanea. È lui che attribuisce al titolo l'aggettivo divina. Questo per innalzare la definizione di Commedia. Commedia è un termine che riguarda lo stile mezzano, non è un termine neutro e non ha il significato che gli diamo oggi. All'epoca aveva un senso aristotelico, Dante aveva intitolato l’opera commedia o comedìa su base aristotelica. Aristotele aveva diviso lo stile in due categorie: la comedìa che è lo stile di mezzo, non particolarmente alto e la tragedìa lo stile alto, non solo storie che finiscono male ma storie raccontate con magniloquenza, con linguaggio alto e nobile, come anche le opera di Omero. Comedìa sono le opere scritte con uno stile + quotidiano. Boccaccio innalza la caratterizzazione di commedia con divina. Dante ha scelto di chiamarla comedìa per motivazione stilistica, perché all’interno troviamo una grande varietà di argomenti e di stili, da registro basso, anche comico fino a quello alto, altissimo quando descrive Dio. Commedia può comprendere tutti gli stili, Dante adatta la lingua a seconda della situazione, la lingua si può raffinare parlando di Dio e si può anche sporcare parlando di demoni, si parla di plurilinguismo dantesco. La cronologia è complessa, c'è ancora un dibattito molto vivace. È un problema perché non abbiamo fonti certe, i riferimenti a eventi e personaggi ci fanno fare ragionamenti sulla datazione, ragionamenti che partono dal testo. Oppure da menzioni alla divina commedia da parte di autori a lui contemporanei. La circolazione della divina commedia è manoscritta (la stampa arriverà nel 1400) e irregolare, è possibile che circolassero canti singoli e gruppi di canti che Dante faceva manoscrivere e circolare in una cerchia ristretta, una élite di poeti selezionati. La datazione + antica è quella dell'Inferno, probabilmente iniziato dopo la battaglia della Lastra, altri ritengono dopo l'interruzione del Convivio, e forse concluso prima della discesa di Arrigo VII tra 9/10 ma è possibile che Dante sia intervenuto anche dopo. Quindi nell'inferno possono esserci state aggiunte successive. Il purgatorio grossomodo appartiene agli anni 10, 10-13 per alcuni, che sono gli anni della Monarchia e della discesa di Arrigo VII, o 14-16, nel secondo lustro degli anni 10 inizio anni 20 il Paradiso. La conclusione del paradiso avviene nel periodo ravennate, quando Dante si trasferisce a Ravenna. L’inferno quindi in una fase + caotica di spostamenti, il purgatorio in una fase di avvicinamento a posizioni imperiali che non significa però avvicinamento a posizioni ghibelline e il paradiso invece nell’ultima fase di vita, quella + tranquilla, presso Cangrante della Scala a Verona e poi presso Ravenna. Un conto è la cronologia un conto è l'ambientazione temporale. Su questo Dante è molto preciso. | numeri per lui sono fondamentali, il poema è prima di tutto allegorico, un’opera che allude per allegoria a Dio e alla perfezione divina che deve rispecchiarsi anche nell’uso dei numeri. L’opera è ambientata nell’anno del primo giubileo della Chiesa cattolica nel 1300 e nella Settimana Santa, il viaggio avviene in un'unica settimana come in una settimana Dio aveva creato il mondo. È un viaggio allegorico e per molti aspetti anche onirico. È un poema anche odeporico, letteratura di viaggio, ma viaggio simbolico nell'aldilà, viaggio che implica l'elemento del sogno e della visione. L'elemento medioevale è molto forte in Dante, c'è il tema della conoscenza per intuizione. Dio verrà conosciuto da Dante nel 33esimo del paradiso attraverso una sorta di intuizione, Dante dice la parola manca, se io cerco di esprimere attraverso la parola Dio, fallirò. Devo dare delle immagini, descrivo Dio come un globo di luce, perché di + non posso dire. Questo ha a che fare con il fatto che Dante si esprima con la lingua del sogno, una lingua intuitiva, perché è un viaggio immaginario nel mondo dell’aldilà. Questo tema lo troviamo nell’Odissea e nell’Eneide di Virgilio, che è il grande modello epico a cui Dante si ispira. Tanto che Virgilio è la guida razionale che lo accompagna fino al purgatorio. Virgilio e l’Eneide sono un modello importante. Nel sesto libro dell’Eneide c’era stato il viaggio nell’aldilà di Enea, che vede i futuri imperatori romani e capisce di essere colui che dovrà fondare Alba Longa quella città dalla quale si arriverà nel tempo alla fondazione di Roma. Nel secondo canto dell'inferno quando Dante ha superato la selva oscura e Virgilio gli dice che deve compiere questo viaggio ultramondano Dante si spaventa e chiede perché proprio lui. Cita Enea, che aveva fatto questo stesso viaggio per una missione che Dio gli aveva dato, cioè fondare l'impero. | viaggi nell'aldilà si fanno quando Dio vuole che vengano fatti, Dante quale obiettivo ha? Enea era stato mandato perché bisognava convincerlo che il suo arrivo nel Lazio aveva uno scopo. Enea era scampato alla guerra di Troia, era troiano, Troia era stata conquistata, ce lo racconta Omero nell’Iliade. E Virgilio nell’Eneide ci racconta che Enea partendo da Troia arriva a Cartagine, dove incontra Didone che verrà abbandonata, e approda nel Lazio, combatte con le tribù locali e fonda una prima comunità che poi darà origine alla città di Roma e Roma diventerà la sede dell’Impero. C'era stato poi anche il viaggio di San Paolo, c’è tutto una tradizione apocrifa (libri esclusi dalle Sacre Scritture) che dice che Paolo avesse compiuto un viaggio ultramondano, e questo perché Paolo era stato scelto da Dio insieme a Pietro come fondatore della Chiesa. Dante si chiede perché lui? Prima il viaggio era stato compiuto da colui che ha fondato l'impero poi da colui che ha fondato la chiesa, le due grandi istituzioni che sono il faro che dovrebbe governare il mondo. Virgilio gli spiega che è Beatrice che lo manda e Dante deve redimere un'umanità perduta. Dante dovrà portare testimonianza agli uomini della decadenza storica e del fatto che l'umanità si sta perdendo e quindi deve redimersi. Anche la lettura satirica ha una finalità morale religiosa fortissima. Dante è simbolo dell’intera umanità che si è persa nella selva, che è impedita da tre fiere, la lupa la lonza il leone, la lonza simboleggia l’invidia o per altri la lussuria, il leone simbolo di superbia, soprattutto la lupa impedisce il cammino, la cupidigia sete di potere e ricchezza, questi 3 vizi si sono impadroniti del mondo e hanno fatto sì che l’uomo tornasse nella selva oscura. E che abbia perso la voce di Dio e si stia volgendo verso il demonio. Il papa Bonifacio VIII si fa traviare, decide di intervenire nelle questioni fiorentine e si schiera contro l’imperatore per sete di ricchezza. Dante è chiamato a questo viaggio per redimere gli uomini, esperienza simile ad Enea che doveva fondare l'impero, e a San Paolo che doveva fondare la chiesa. Tutto viene fatto allegoricamente nella Settimana Santa del giubileo e sempre allegoricamente il 1300 è data importante anche per Dante perché ha 35 anni. Questa età è considerata aristotelicamente il mezzo della vita, il prototipo dell'homo viator, l'uomo in viaggio, l'uomo che si è perso alla metà del suo cammino, nei vizi dell'umanità. L'unico modo per redimersi è scendere attraverso il peccato, scendere in basso, conoscere il peccato + profondo e poi risalire attraverso il purgatorio. Dante si fa carico di tutti i peccati dell'umanità. Le anime del purgatorio invece sono diverse sono coloro che hanno vissuto parte nel vizio ma ad un certo punto si sono pentiti, si sono convertiti e redenti e queste anime dovranno scontare per un determinato periodo in base alla gravità del vizio e agli anni vissuti nel vizio dovranno scontare un periodo di pena in cui purgare le loro colpe, ma un giorno verranno assunti in cielo. Qui la logica è opposta, partiamo dal vizio peggiore, quello che + ha legato alla terra le anime del purgatorio. Troviamo i lussuriosi nella settima cornice mentre nella cornice + bassa troviamo i superbi, il superbo estremo era Lucifero nell'inferno qui i superbi li troviamo nella prima cornice. Le cornici procedono secondo i 7 vizi capitali. Superbi, invidiosi, iracondi, accidiosi, avari e prodighi, golosi e lussuriosi. In cima c'è il paradiso terrestre che è l’anello di congiunzione tra cielo e terra. L’approdo alla spiaggia del purgatorio è custodito da Catone che è la figura che fa da contraltare al Minosse. E sulla spiaggia, nell’antipurgatorio troviamo i morti scomunicati. La chiesa può decidere di far morire una persona al di fuori dei sacramenti religiosi e quindi condannarlo alla dannazione eterna, ma a volte può capitare che uno scomunicato nel momento di morte si penta, questa il papa e la chiesa non lo possono sapere e quindi Dio li salva. Ci sono anche gli spiriti tardi a pentirsi e coloro che sono morti di morte violenta e che quindi non hanno avuto tempo di pentirsi. Le anime si spostano, devono stare un determinato numeri di anni nella cornice ma poi devono salire alle altre cornici. La logica è quella del muoversi velocemente, queste anime non vedono l’ora di ascendere il monte, molto spesso non hanno neanche tempo di parlare con Dante perché vogliono ascendere velocemente. Contrariamente da quanto avviene nell’inferno dove il peccato è statico. Le anime avanzano espiando la loro colpa e possono avere sconti di pena nel caso i vivi preghino per loro. Il tema delle preghiere in suffragio, che crea una permanenza minore nelle cornici del purgatorio, spesso le anime chiedono a Dante di ricordare ai loro cari di pregare per loro. In cima si trova il paradiso terrestre, luogo in cui avevano vissuto i primigenitori Adamo ed Eva e segna la congiunzione tra cielo e terra. Qui scomparirà l’ombra di Virgilio, la catabasi dell’inferno virgiliano è simile alla discesa agli inferi di Dante, ma Virgilio non può essere una guida religiosa perché è un pagano, e svanisce e lascia lo spazio a Beatrice. C'è una ragione buona e una ragione cattiva, la ragione cattiva è quella che vuole in qualche modo sostituirsi a Dio è la ragione di Ulisse, nel canto XXVI dell'inferno Ulisse viene raccontato come un personaggio che con l’astuzia fa degli inganni, è posto tra i fraudolenti, ed è colui che ha una sete di conoscenza molto forte ma non crede in Dio e dunque decide senza l'autorizzazione di Dio di passare le colonne d'Ercole e quando intravede il monte del purgatorio naufraga. Per Dante l’uomo può andare oltre i propri limiti solo se Dio lo vuole, la ragione da sola ad un certo punto naufraga, la ragione deve affidarsi a Dio. Alla ragione cattiva di Ulisse si contrappone la ragione buona di Virgilio, che guida Dante fin dove può, fino a che il mondo è ancora un mondo terrestre, nel paradiso terrestre c'è ancora la parola terra ma lì Virgilio capisce che oltre non può arrivare, la sola ragione oltre non arriva. A quel punto serve quel linguaggio induttivo, il linguaggio della visione che è tipico della mistica religiosa. Paradiso E dunque Dante abbandona la ragione e deve affidarsi alle braccia della teologia. Ed ecco che appare come un'epifania Beatrice che Dante aveva abbandonato con la scrittura della Vita Nuova, e torna una nuova Beatrice che non è + quella terrestre ma è la Beatrice celeste che è simbolo di teologia, cioè di quella grazia che porterà Dante al cospetto di Dio, e dunque comincia il moto ascensionale verso il paradiso organizzato secondo il canone aristotelico tolemaico con la terra al centro dell'universo. E il cielo è una serie di sfere concentriche fatte di etere, di una sostanza che appende nel cielo i pianeti, la terra si trova al centro ed è circondata da nove sfere concentriche. A ogni cerchio corrisponde un pianeta e una schiera di spiriti beati collegati a quel pianeta. Si va dalla Luna, considerata non satellite ma pianeta, con gli spiriti che hanno mancato i voti ma sono comunque beati, poi il cielo di Mercurio e poi il cielo di Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Stelle fisse e primo mobile. A ogni cielo corrisponde una diversa categorie di spiriti e a loro si affiancano le virtù e le gerarchie angeliche. Questo universo è retto dall'amore di Dio. Oltre il nono cielo, il primo mobile, il cielo cristallino e il limite estremo dell’universo si trova l'infinito. Qui troviamo le anime + vicine a Dio, la candida rosa dei beati dove ha sede Beatrice. E questo anfiteatro dei beati guarda verso un punto e questo punto è Dio. Dio è secondo quanto racconta Dante nel canto 33 del paradiso, questo cerchio in un cui troviamo 3 cerchi concentrici, e lì Dante esprime il mistero della trinità. Dio che è semplicemente potenza ma è anche atto. Cioè l’idea aristotelica di un Dio potenzialmente creatore, ma che oltre ad essere essenza è anche esistenza, è l’idea del Dio che si fa carne, è ciò da cui tutto parte ma è anche il tutto che si è dipartito. La metrica L'ossessione numerologica di Dante che ha fondamento religioso e allegorico si ripercuote nella struttura ma anche nella distinzione metrica, cioè nell'uso della terzina. Il poema assumerà forme metriche diverse + avanti nella storia. Dante crea una forma narrativa, la divina commedia è una poesia narrativa, cioè che racconta una storia. Una narrativa non in prosa ma in poesia, quindi serve un metro che possa concatenare molti versi insieme in una struttura fissa. Ogni canto ha un numero variabile di versi, ma devono essere organizzati di 3 in 3. Sono tutti endecasillabi legati da rime. In ogni terzina il primo verso rima con il terzo mentre il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva. Lo schema è detto rima incatenata. Ogni terzina è incatenata alla terzina precedente secondo uno schema ABA, BCB, CDC ecc. La rima introdotta in una terzina diventa dominante in quella successiva. Ogni rima compare 3 volte. Endecasillabo: non è propriamente un verso di undici sillabe ma un verso in cui l'accento tonico, metrico, cade sulla decima sillaba. Questo è l’endecasillabo canonico. Potrebbe avere dieci sillabe se l’ultima parola è tronca o 12 se le ultime due sillabe sono atone. La maggior parte delle parole italiane sono piane, l'accento cade sulla penultima sillaba, per cui è più frequente che l’endecasillabo abbia 11 sillabe. Gli endecasillabi devono poi avere anche un secondo accento tonico che cade o in quarta posizione o in sesta. Se cade in sesta ci troviamo di fronte ad un endecasillabo maggiore, o a maiore, che è il + illustre secondo la tradizione. Se invece questo accento viene anticipato alla quarta allora ci troviamo di fronte ad un endecasillabo minore, o a minore. + umile rispetto a quello illustre. Molto spesso troviamo il maggiore, però quando si inizia un'opera, nel proemio, i primi due versi sono un endecasillabo maggiore e un minore, infatti Dante segue questa regola. Molto spesso le opere iniziano in questo modo, lo stesso è l’esordio della Gerusalemme liberata di Tasso. Nella divisione in sillabe due vocali insieme possono fare dittongo o iato, nella stessa parola ma anche tra due parole contigue. (v. appunti negli strumenti di aulaweb). Se per ragioni metriche un dittongo deve essere diviso in due sillabe distinti il poeta aggiunge il segno di dieresi sulla vocale finale. divina. Nonostante Virgilio di per sé viva anche lui in questo limbo perché è vissuto tra I secolo a.C. e d.C. nel periodo in cui il cristianesimo non si era ancora affermato. Onranza: forma sincopata per onoranza, onere. L'onere è la massima virtù umana e qui il riferimento è in modo preciso a Aristotele e in particolare all'etica di Aristotele, l'etica nicomachea, in cui l'onore era stato definitivo il massimo dei beni esteriori, e la virtù che qualifica l’anima magnanima, dei grandi. Virgilio risponde che la loro onorata fama che risuona nel mondo dei vivi ha fatto sì che si siano acquistati una certa grazia nel regno dei cieli, che questi sono superiori rispetto ad agli (sì li avanza). Mentre Dante chiede notizie sente una voce, l’altissimo poeta è Virgilio, che dopo essere morto è finito nel limbo, e solo grazie all'intervento di Beatrice è arrivato nella selva per prendere Dante e iniziare questo percorso. Né trista né lieta, sono coloro che son sospesi, non si trovano a dover soffrire pene dell’inferno ma neanche a godere della beatitudine. In questa immagine risuona l’idea del filosofo stoico. Lo stoicismo è una filosofia che si fondava sulla imperturbabilità dell'animo, cioè sul fatto che le passioni non dovessero sconvolgere l’animo. Questi saggi sono stoici, hanno l'animo imperturbabile, non sconvolto né in senso positivo né in senso negativo. Affrontano con grande dignità questo luogo di sospensione. Buon maestro: Virgilio. Virgilio fa un po’ da cerimoniere e introduce queste anime. È descrittivo, spiega chi sono questi 4 poeti che si avvicinano a lui. Virgilio e questi 4 poeti sono quelli che Dante considera i migliori dell’antichità, quelli da imitare. Virgilio dice a Dante di guardare quello che viene con la spada in mano. Ce ne è quindi uno + importante, è una sorta di gerarchia quella proposta da Virgilio. Questo è il poeta sovrano, quello che sta sopra a tutti ed è Omero. Perché è cronologicamente il primo grande poeta. La data in cui è vissuto non si conosce con esattezza ma siamo nell'età greca in data molto antica. È anche il primo perché è l’iniziatore del genere epico che nel de vulgari eloquentia Dante definisce come il genere + alto. Epica e tragedia sono i generi che vogliono uno stile elevato, tragico. Omero è sovrano perché è il massimo e + antico rappresentante del genere + elevato, dell’epica. Autore di Iliade e Odissea, poemi epici che diventeranno archetipo del genere. Lo stesso Virgilio è imitatore di Omero, vive invece in epoca augustea, ci racconta nel primo canto che nacque, nell'epoca di Giulio Cesare e muore sotto Augusto e siamo nel 1 secolo a.C. nasce nel 70 a.C. e muore nel 19 a.C. quindi con Virgilio siamo all’inizio dell’Impero Romano, nel passaggio con Cesare dalla repubblica all'impero. Siamo in età classica romana. L’Eneide recupera il modello sovrano dell'Iliade e dell’Odissea. Omero è il grande maestro di tutta quanta la poesia, con lui vengono altri 3 poeti che stanno indietro. Uno è Orazio, satiro, l’altro è Ovidio e l’ultimo è Lucano. Sotto tutti inseriti secondo l'ordine cronologico. Orazio è un poeta vissuto anch'egli nell'epoca di Cesare ed Augusto, vive un po’ dopo Virgilio, sempre nel 1 secolo a.C. Ovidio invece tra il 1 secolo a.C. e 1 secolo d.C. proprio nel periodo in cui Cristo era in terra. Orazio è l’unico che viene indicato con un aggettivo “satiro”, viene quindi indicato per una particolare opera che ha scritto, e per un particolare genere, le Satire. È l’autore dei Sermones, che possiamo tradurre con Sermoni che ci dà già un’idea morale, ma Sermones viene spesso tradotto con Satire, le Satire di Orazio. In realtà la satira ha una storia molto + antica a Roma, qui Dante è molto preciso, individua come suo modello di satira quella di Orazio e tra le opere di Orazio individua proprio le Satire. Significa che per Dante la satira è sempre e comunque satira morale, che spesso diventa rampogna civile. Cioè sermoni in cui additare vizi comuni ad una determinata cerchia sociale e cercare quindi rimedi a quei vizi. Una satira di alto livello che punta alla virtù morale. Orazio autore di satire, epistole ma anche di Ars poetica, di un poeta che riflette sul modo di far poesia. Nel de vulgari eloquentia Orazio viene definito magister noster, cioè mio maestro, proprio perché aveva scritto questo trattato in forma di epistola sul come si fa poesia. Orazio era molto famoso nel Medioevo, è uno di quegli autori che proprio per i suoi insegnamenti morali, si prestava ad una lettura in senso cristiano. Era stato reinterpretato da monaci amanuensi in senso cristiano ed era stato veicolato dalla classicità al Medioevo, era uno di quegli autori che Dante poteva conoscere. Ovidio è un altro poeta molto famoso nel Medioevo, è il poeta dell’amore e il simbolo della poesia amorosa. Amorosa e mitologica perché l’Ovidio di cui Dante ha notizia è l’Ovidio delle Metamorfosi, un poema dell'antichità che è una sorta di racconto mitologico, costruito con il ricorso ad una serie di miti, è un grande repertorio di miti antichi, un testo che va sulla mitologia dove il tema amoroso è molto forte ma soprattutto è forte l'elemento mitologico. Ovidio in realtà ha scritto testi che vanno sul tema dell'amore + fisico che non spirituale e allegorico, aveva scritto anche l’Ars Amatoria ad esempio o i Remedia Amoris, tutti trattati sull'amore fisico e aveva scritto delle poesie di argomento amoroso Amores. Tutta una poesia eroticamente spinta. Ma Dante non conosceva o comunque non recupera questi elementi che puntano + verso l'eros ma ha un'idea dell'amore + alta e nobile che punta + verso la mitologia, un amore + metaforico che è quello dell’Ovidio delle Metamorfosi. - Omero Iliade e Odissea epica - Orazio i Sermones, quindi le Satire satira, rettitudine della poesia morale - Ovidio, le Metamorfosi poesia amorosa Questi sono i 3 modelli che rappresentano ognuno un genere: l’epica, la satira (o rettitudine della poesia morale) e la poesia amorosa. Poi c'è un ultimo che è Lucano, un continuatore dalla tradizione epica, quindi l’epica è molto + rappresentata rispetto agli altri generi, è + importante, con questa linea che da Omero passa a Virgilio, e da Virgilio a Lucano. Una discendenza epica e poi due ali che la affiancano che sono la satira e la poesia amorosa. Lucano è un poeta del | secolo d.C. autore della Farsaglia o Bellum Civile, cioè un poema epico che per la prima volta parla di materia romana. Mentre Virgilio con l’Eneide è l’anello di congiunzione tra l'epopea greca, dopo l'assedio di Ilio (Troia) Enea fugge e fonda le prime comunità dell’Italia e quindi è un po’ la congiunzione tra l'epica greca e l’epica romana, invece Lucano è il primo che scrive un’opera totalmente romana, cioè la guerra civile tra Cesare e Pompeo intorno alla battaglia di Farsalo del 48 a.C. Farsaglia perché si parla della battaglia di Farsalo, con la vittoria di Cesare su Pompeo, e il passaggio dalla fase della Roma repubblicana alla Roma degli imperatori, con la svolta autoritaria di Cesare. C'è in realtà anche un sesto che non viene nominato che è Stazio, che contraddice quello detto finora, che è un poeta anche lui classico quindi pagano, ma non si trova nel limbo, lo troviamo nel Purgatorio, nei canti XXI e XXII, perché lì Dante recupera una leggenda secondo cui Stazio si sarebbe convertito al cristianesimo, e lo avrebbe fatto proprio leggendo Virgilio che avrebbe profetizzato in una egloga delle sue bucoliche l'avvento di Cristo, un puer (bambino) che avrebbe salvato l'umanità. In realtà Virgilio sta semplicemente celebrando la nascita del figlio di un cortigiano di Augusto, quindi siamo all’interno della scrittura cortigiana dell’epoca. Ma secondo la leggenda Stazio si sarebbe convertito interpretando in senso cristiano quei versi virgiliani. Stazio può essere idealmente considerato a fianco a Lucano come continuatore dell’epica, infatti Stazio scrive un’opera la Tebaide, un poema epico di argomento greco e racconta lo scontro tra due fratelli, Eteocle e Polinice, per il possesso di Tebe. Ovvero siamo in un tema tragico, lo scontro fratricida, in continuità con la tragedia di Eschilo “i sette contro Tebe”. Stazio viene recuperato per questo nesso forte tra epica e tragedia antica. Il tema di Eschilo viene sviluppato in epoca romano Omero arriva vestito da uomo epico, con la spada in mano, autore e simbolo dell’epica. Da lui discende l’epica latina di Virgilio con l’Eneide a cui Dante si ispira, soprattutto al sesto libro dell’Eneide, la discesa agli inferi di Enea. E poi i due continuatori della tradizione epica Lucano e Stazio, che non viene citato ma si trova in purgatorio. Oltre all’epica venivano rappresentati altri due generi: la poesia amorosa, ma mitologica, con Ovidio e poi Orazio autore dei Sermones, autore della poesia satira, morale che punta alla virtù, alla rettitudine. Salute amore e virtù sono gli argomenti virtuosi che meritano lo stile tragico. La divina commedia è il completamento di un discorso che Dante aveva già avviato nel De vulgari eloquentia. Il De vulgari eloquentia è un trattato scritto in due libri, non terminato, intorno al 1302 - 1305, a ridosso dell'esilio. Scritto in latino per convincere i dotti che si esprimevano in latino che il volgare potesse essere una lingua letteraria. Si spiega che il volgare fiorentino deriva dal latino come lingua d’Oc e d’Oil e si spiega anche quali siano gli stili alti e bassi e quali gli argomenti da affrontare con stili alto e basso. Nel capitolo secondo del secondo libro, paragrafi 5 e 6 Dante individua quali siano gli argomenti alti quelli che devono essere trattati con lo stile tragico. Salute amore e virtù si rilevano quei 3 alti argomenti che si devono trattano nei modi + alti, Dante parte non dai generi ma dal contenuto della poesia. Instaura un collegamento tra gli argomenti alti e i generi della poesia, la salute verrà trattata quando si parla di prodezza nelle armi quindi l’epica. L'amore quando si tratterà dell'amore ardente, la poesia amorosa e la virtù quando si tratterà della retta volontà cioè la morale, la satira. Viene istituito un nesso tra gli argomenti e i generi nel de vulgari eloquentia. Dante qui non fa riferimento alla poesia classica, quanto alla poesia d’Oc, provenzale, della generazione a lui precedente, tra la fine del 1100 e il 1200. In realtà questo schema degli autori provenzali di riferimento nella divina commedia verrà rivisto, Bertrand de Born lo troveremo poi nell'inferno tra i seminatori di discordia. Qui viene premiato come poeta migliore delle armi, ma poi nella divina commedia viene rivalutato come una sorta di poeta fazioso, che invece che portare alla salute, alla salvezza, ha portato i popoli a dividersi tra di loro. Il giudizio di Dante non è mai definitivo ma va contestualizzato nel periodo e nell’opera in cui li scrive. Come modello di poesia d'amore non cita il suo amico Cavalcanti, ma Cino da Pistoia, un altro della cerchia dello stilnovo, considerato come il migliore poeta del tema amoroso. poco oltre dirà che nessuno ancora ha scritto in italiano sulla prodezza delle armi, quindi manca l’epica. E poi fa questo oscuro riferimento all’’amico suo” riguardo alla rettitudine. L'amico di Cino da Pistoia, poeta della rettitudine è Dante stesso. Dante cita se stesso non tanto come autore della poesia d'amore o dell’epica quanto della poesia della rettitudine. Dante si considera in questo preciso passo come un poeta esemplare nell’ambito della poesia morale. Non dobbiamo però forzare troppo le cose, questo passo non ci autorizza a leggere la divina commedia come opera prima di tutto satirica, Il De Vulgari è scritto prima rispetto allo sviluppo della divina commedia. Dante cita la poesia in cui si autodefinisce modello della poesia della rettitudine, e cita un testo che si trova nella sua raccolta di rime. La raccolta di rime, che non è Vita Nova che raccoglie solo le rime e le prose della poesia stilnovista. Nella rima 106 “Doglia mi reca nello coro ardire”, cita se stesso come poeta della rettitudine e Dante si riferisce a questa canzone precisa. La vena morale che troviamo nella divina commedia ha un riflesso anche nel resto della produzione dantesca. De Vulgari Eloquen (1302 - 1305) Le cose si complicano quando si entra nel capitolo quarto del libro secondo del de vulgari. Qui si inizia a discutere sul tema dello stile. Con tragedia vogliamo significare lo stile + alto, volgare illustre, la commedia è lo stile inferiore, l’elegia è lo stile che riguarda soprattutto il pianto, il pianto amoroso. Se siamo a livello comico bisognerà utilizzare una lingua mediocre, il volgare mediocre, lo stile comico, mentre lo stile + basso è l’elegiaco e in quel caso utilizzerò il volgare umile. Nel capitolo sesto del secondo libro ritornano tra i modelli alcuni dei poeti visti nell’inferno. Sostiene che per scrivere in volgare alto bisogna imitare i poeti antichi (regolati), e viene citato Virgilio come primo modello, l’Ovidio delle metamorfosi e Stazio e Lucano. A questi vengono aggiunti autori di prosa, degli storici, che hanno utilizzato versi alti, tragici, anche nella prosa. (Tito Livio, Plinio, Frontino vissuto nel primo secolo d.C., Paolo Orosio autore delle Storie contro i pagani, IV-V sec. d.C.) Quando si parla dell'argomento massimo della salvezza, l’epica e si parla di armi, come modelli antichi l’epica ha Omero, Virgilio, Lucano e se vogliamo Stazio. Quando l'argomento è amoroso e si parla di amore alto, di amore spirituale il genere è quello della poesia o lirica amorosa, e quindi l’Ovidio delle Metamorfosi sarà il modello supremo. Quando invece l'oggetto della poesia sarà la virtù allora il genere proprio sarà quello della poesia della rettitudine, la satira, la poesia morale e il nostro modello saranno i Sermones di Orazio. La divina commedia, con Dante che si fa sesto tra cotanto senno, unisce in un'unica opera questi tre generi, epica, genere amoroso (con Beatrice che sar. icarnazione dell'amore virtuoso che porta Dante al cospetto di Dio) e il tema della satira che sarà evidente soprattutto nei canti infernali e purgatoriali dove Dante additerà i vizi dei cittadini di Firenze e poi addirittura i vizi di papi che si sono comportati in maniera negativa e che non hanno fatto fino in fondo il loro ufficio. Canto IV inferno - il nobile castello Dante promuove se stesso come una sorta di summa moderna di questo pensiero antico, della letteratura antica. La terzina successiva conclude con una formula di reticenza, il discorso. Dante si unisce al gruppo di poeti e vanno fino ad una luce + forte, che si trova lì vicino, un castello abitato da spiriti magni del limbo. Dante non ci vuole raccontare i discorsi poetici fatti con gli antichi, questa è la formula di reticenza. Dante sfuma il discorso ma subito ne apre un altro. Parlando cose... dov'era: parlando di cose di cui è bello (opportuno) tacere, così come era bello parlarne in quel luogo. Un nobile castello, illuminato dalla grandezza d'animo di coloro che lo abitano, che viene configurato subito come luogo allegorico, allegoria della sapienza umana, al di fuori del tema religioso, una sapienza laica. Dante Virgilio e la scuola dei poeti arrivano ai piedi di questo nobile castello. Nobiltà virtù ed onore sono le parole chiave di questa sapienza laica. E ritorna l'elemento numerologico, che ci fa capire che siamo all’interno di un discorso allegorico. Il fiumicello è un ostacolo da superare e simboleggia gli ostacoli per raggiungere la sapienza, la fatica degli studi e la disposizione d'animo dello studioso che deve essere propensa a superare i desideri mondani che non sono duraturi, e quindi il tema dello scorrere del fiume indica questi desideri mondani che non portano una salvezza duratura. Le sette mura che cingono il castello possono alludere a diverse cose, la critica nel corso dei secoli ha fatto diverse proposte. Le 7 mura potrebbero alludere alle 7 arti Il sesto del Purgatorio sarà dedicato alla situazione italiana, della penisola, e lì troveremo l'elemento degli scontri tra le forze del Papa e quelle dell’imperatore, le due grandi superpotenze dell’epoca. Nel sesto del Paradiso troveremo la figura di Giustiniano che parla dell'Impero. In questo canto dell'inferno troviamo subito all’inizio un altro dei mostri infernali, Cerbero, un mostro con 3 teste posto a guardia del cerchio e che infierisce sugli spiriti e si avventa subito contro Dante ma Virgilio riesce a placarlo lanciandogli in bocca della terra. I due entrano in questa atmosfera ormai già infernale, è un cerchio con clima ostile, con pioggia mista a grandine, molto pesante, che crea una fanghiglia per terra e i dannati sono costretti a stare con la faccia a terra per la legge del contrappasso. Così come in vita si sono deliziati in palato ora si trovano a scontare la pena con la faccia nel fango. Cerbero graffia, scuoia e squatra con questo climax ascendente le anime che tentano di sottrarsi alla pena. Tra questi dannati c'è la figura di Ciacco. Di Ciacco sappiamo molto poco, fu un personaggio che visse ai tempi di Dante, noto per essere uno scroccone, una persona che frequentava i banchetti a sbafo perché era dedito al vizio della gola. Ma è anche un personaggio con una sua dimensione politica, proprio per il fatto di frequentare i banchetti, questi ambienti sociali, ne sapeva di politica, era in contatto con tanta gente. Una persona autorevole per parlare della questione fiorentina, infatti non sfugge neanche all'occhio di Boccaccio, che lo rende personaggio in una novella del Decameron, nella giornata 9 novella 8. Lo descrive come un uomo di corte, dedito ai piaceri della buona tavola, ma anche saggio, acuto e capace nell'uso della parola. Vede passare Dante e si rende conto che è lì non solo in spirito ma anche in corpo, cosa che spesso notano le anime, e per questo fermano Dante e gli parlano. Dante e Ciacco si conoscono, ce lo dice lo stesso Dante per bocca di Ciacco, tu sei nato prima che io morissi. Ciacco è + grande rispetto a Dante ma hanno vissuto a Firenze nello stesso periodo. Questo è un canto di stile basso, eppure ci sono impuntature stilistiche che vanno verso uno stile sostenuto, per esempio la costruzione grammaticale “tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto”, questa figura retorica si chiama iperbato, staccare due parti del discorso grammaticalmente contigue formando un’inarcatura all’interno del verso. Dante non lo riconosce perché Ciacco è tutto imbrattato di fango. È maggio: è maggiore, se altre sono maggiori nessuna però sarà così spiacevole. Ciacco si presenta e subito parla di Firenze, è un personaggio che sa ben parlare, e sa come si parla a corte. Utilizza lo stesso schema che nel canto precedente aveva utilizzato Francesca: le persone illustri prima di dire il proprio nome dicono da dove vengono. Subito viene connotata Firenze in termini negativi e si percepisce subito che l'elemento politico sarà fondamentale in questo canto. Ciacco forse è soprannome perché è il nome che si dava al maiale. Però gli studi + recenti hanno dimostrato che Ciacco fosse un nome proprio, forse contratto da Giacomo toscano o Jacques francese. In questo botta e risposta Dante si interessa a quello che Ciacco ha detto della città di Firenze, Dante si commuove per la pena di Ciacco, e si era già commosso per il racconto di Paolo e Francesca, ed era una commozione + profonda. Dante vuole sapere a quale esito verranno i cittadini della città divisa, Dante allude alla divisione guelfi bianchi e guelfi neri che aveva portato al suo esilio. Fa delle domande. La giustizia per Dante è il rispetto del bene comune, il discrimine è la distinzione tra bene comune e bene privato, è giusto chi utilizza il governo per finalità comuni è ingiusto chi utilizza il governo per il bene privato. Dante fa 3 domande a Ciaccio e gli chiede notizie sul futuro. Le anime conoscono il futuro, hanno una conoscenza di quello che capiterà, è una conoscenza + nitida sul futuro lontano, mentre verso il presente sono meno chiari. Ciacco parla di eventi che stanno per accadere ma dà prova di conoscerli piuttosto bene. Siamo nell’ambito della profezia, ci troviamo in uno dei grandi appuntamenti danteschi, cioè le profezie dell’esilio. Quando Dante scrive questo canto siamo dopo la battaglia della lastra, dopo il 1304 e quindi Dante è già andato in esilio. Ma dobbiamo immaginare che la divina commedia è ambientata nella Settimana Santa del 1300 e quindi nella finzione narrativa i fatti non sono ancora avvenuti, l'esilio non è ancora successo. La divina commedia è piena di finte profezie di questo tipo. La risposta di Ciacco alle 3 domande è precisa quanto oscura, parla con la lingua del profeta, una lingua oscura, piena di simboli di allegorie e quindi che va un po’ decifrata. Tenzone è termine medioevale e significa battaglia, scontro. Il riferimento è allo scontro del 1° maggio del 1300 davanti alla chiesa di Santa Trinita quando un Donati aveva ferito Ricoverino dei Cerchi e da lì si era scatenata una zuffa. Dante in quei mesi è nel priorato. La parte selvaggia caccia l’altra, Dante quindi definisce selvaggia la parte dei bianchi, perché è inteso in senso etimologico, che viene dalle selve, dal contado. È la parte degli arricchiti che originariamente erano contadini ma che attraverso i commerci e i prestiti di denaro erano diventati potenti. Offensione: danno. Qui Dante anche un po’ perfidamente individua nella sua stessa parte dei contadini arricchiti. Poco dopo convien = capita che la parte selvaggia cada entro 3 anni. 3 soli perché il sole per 3 volte fa il suo moto di rivoluzione intorno alla terra. E che l’altra parte, i neri, prenderà il potere con l’aiuto di un tale che fino a quel momento ha cercato di fare da ago della bilancia, colui che si è mostrato come un pacere, ma che è un finto pacere, cioè il papa. La parte dei neri terrà la fronte alta per lungo tempo, cioè governerà. Di nuovo un innalzamento dello stile sottolineato dall’iperbato “alte terrà lungo tempo le fronti”. Tenendo i bianchi sotto i pesi delle tasse, tenuti a bada perché le loro tasche vengono svuotate, sebbene questi piangano e se ne lamentino. Ciacco ha fin qui risposto alla prima domanda. Alla seconda domanda risponde che ci sono due giusti. Alcuni, soprattutto i commentatori antichi, hanno sostenuto che qui Dante si riferisse a se stesso, i giusti sono 2, uno è Dante e probabilmente l’altro è un omaggio al povero Cavalcanti che Dante aveva cacciato nel 1300 e che poi in quell’agosto era morto. Era stato a Sarzana, lì si era ammalato e aveva trascorso i suoi ultimi giorni a Firenze. Non c'è però nessun appiglio testuale che possa giustificare questa lettura un po' romantica. Più probabile secondo i commentatori contemporanei che questo son 2 significhi che i giusti sono pochi. Questo anche perché il tema della giustizia a Firenze si legherà a dei canti successivi, in particolare il XV dell’inferno dove ritornerà il tema del benfare. Coloro che agiscono secondo giustizia a Firenze sono pochi. A Firenze non ci sono + coloro che operano per il bene della città, ci sono persone che utilizzano la città per fini personali o di parte. | neri utilizzano il potere per arricchire la loro parte e per punire i bianchi. Ma allo stesso modo i bianchi quel poco tempo che erano stati al potere lo avevano utilizzato male, per cacciare i neri. Non ci sono quindi giusti. Agire secondo logiche di parte significa essere ingiusti. Dante prende le distanze non solo dai neri, ma anche dai bianchi stessi, i selvaggi sono da intendersi quindi anche in senso morale. Ormai Dante da uomo in esilio e senza possibilità di ritorno ha preso le distanze dalla logica della città partita. Quindi Per il contrappasso questi dannati appaiano smembrati, divisi in 2, così come nella vita hanno diviso la società. È uno dei canti dalla caratterizzazione + orrorifica. Lo stile si abbassa verso il comico umile, elegiaco con descrizioni quasi “pulp” di persone squartate e spettrali. Bertrand de Born è qui. Nel de vulgari eloquentia è esaltato come il migliore poeta di armi ma qui viene condannato per il contenuto fazioso della sua poetica, pure alta, ma che non puntava alla salus, ad unire i popoli, bensì a dividerli. Questo personaggio compare con la testa mozza in mano a guisa di lanterna. Mosca dei Lamberti ci compare con le mani mozze, anche lui lacerato, per analogia alle lacerazioni sociali che aveva creato. La vicenda: nel 1215/1216 al buon tempo antico di Firenze, quando ancora Firenze viveva lieta, Buondelmonte Buondelmonti, giovane ragazzo di buona famiglia, deve sposare una Amidei ma decide di seguire le ragioni del cuore e non lo fa. Questo provoca sdegno da parte degli Amidei che decidono di vendicarsi. Riuniscono tutti i capi famiglia delle famiglie a loro vicine. Tra queste c'è Mosca, che era stato podestà di alcune città limitrofe del centro Italia, una personalità di spicco dell’epoca, un uomo di cui non sappiamo molto, sappiamo che morì nel 1242, una generazione prima di Dante quindi. è colui che disse di vendicare l’onta subita con l'omicidio e questo sarà simbolicamente l’inizio delle fazioni tra guelfi e ghibellini e poi le varie fazioni a Firenze. Per la prima volta si risolve una questione famigliare nel sangue. La presenza di Mosca dei Lamberti è un flash, una breve apparizione, che Dante concede a questo personaggio di cui non ha nessuna stima. Ha però una posizione minore rispetto agli altri protagonisti del canto. Il grande protagonista sarà Maometto, la divisione religiosa. Di fronte a questi giganti Mosca ha meno importanza, una dimensione municipalistica, ma ha il suo ruolo fondamentale all’interno delle divisioni di Firenze. L'essere privato delle mani ha a che fare con il mancato “benfare”, si fa con le mani. L'immagine è orrorifica, il sangue che scorre a fiotti e imbratta la faccia del dannato. Mosca grida, è tutto agitato, muove le braccia. È un facinoroso anche nel suo porsi non è un magnanimo calmo e placido, è un frenetico che vive sui nervi e sulle passioni. Prega Dante di ricordarsi anche di lui. I Lamberti sono una delle famiglie + antiche di Firenze, Lamberti e Uberti sono i capi riconosciuti del ghibellinismo fiorentino. Sono famiglie di rango equestre legate ai cavalieri e all’aristocrazia + antica e + alta. Mosca passa alla storia proprio perché gli viene attribuita una battuta fulminea “capo ha cosa fatta”, una cosa che viene fatta viene compiuta, gli Amidei erano indecisi sul da farsi e Mosca interviene con questa frase che sta a significare che una cosa fatta non può essere disfatta, inutile cercare una soluzione diversa, a un gesto che non può avere + rimedio bisogna opporre un gesto altrettanto definitivo. Lasso! = ahimè! Mosca si rende conto di aver detto una frase che ha portato solo male a Firenze. Con questa frase ha convinto gli Amidei a vendicare con la morte il rifiuto di Buondelmonte, in modo tale che nessuno in futuro si permetterà + di agire come lui. In realtà quella decisione mal suggerita porterà a palesare le discordie. Non solo seme di discordia per i fiorentini ma per tutta la gente tosca, le distinzioni tra guelfi e ghibellini esistono nelle varie città toscane. Dante perfidamente ricorda il brutto destino che attende i ghibellini + facinorosi, gli Uberti e i Lamberti in particolare. Dante quando incontra dei ghibellini importanti ricorda sempre loro il fatto che le famiglie ghibelline + facinorose sono state bandite da Firenze perpetuamente, Dante esiliato ricorda che anche loro si trovano in esilio perpetuo. Questo pronunciare la frase da parte di Mosca avrà conseguenze gravissime non solo per la concordia di Firenze ma anche per la sua schiatta, i Lamberti, che, come tutti i ghibellini facinorosi, saranno banditi perpetuamente da Firenze, una prima volta nel 1258 e una seconda nel 1268, definitivamente. Essere banditi significa morte sociale ed economica, le famiglie sono estromesse dalla vita politica della città e vengono loro confiscati anche i beni. Nel 58 l’esilio dei ghibellini era stato controproducente per i guelfi perché da lì nascono le cause della battaglia di Montaperti nel 1260 che vedrà sconfitti i guelfi. | ghibellini rientrano in città ma nel 68 vengono cacciati di nuovo dopo che nel 66 i ghibellini che combattevano a fianco dell’imperatore vengono sconfitti a Benevento dalle truppe degli angioini alleati del Papa. L’agire secondo logiche personali e private porta del male non solo per gli avversari ma anche per se stessi e per la propria parte. Per ch’elli: tanto che egli. Al dolore di essere all’inferno con le mani mozze si unisce il dolore del sapere della sorte della sua famiglia, sen gio se ne andò, trista nel senso di meschino infelice. Un personaggio agitato e facinoroso, molto diverso dagli spiriti magni intorno a Omero. In questo gioco di rimandi e di richiami Dante ci porta all'opposto nel paradiso. Il risvolto speculare opposto è il sedicesimo del paradiso dedicato alla figura Cacciaguida. Canti XV, XVI e XVII paradiso - Cacciaguida, Buondelmonte Ci racconta la vicenda di Buondelmonte Buondelmonti, nel cielo di Marte, al centro del percorso paradisiaco, il quinto cielo, dove si trovano gli spiriti che hanno dato la vita combattendo per la fede cristiana, Marte Dio della guerra. Cacciaguida lo incontriamo in 3 canti, 15 16 e 17 del paradiso, è il trisavolo di Dante e colui al quale Dante attribuisce grande importanza per dare importanza alla sua famiglia. Dante appartiene ad una famiglia nobile, ma non di grande nobiltà e anche decaduta dal punto di vista economico. Ma lui individua una sorta di avo che gli garantisce una tradizione illustre alle spalle. Cacciaguida fu un crociato, e noi non sappiamo se sia vero ma Dante ci racconta questo. Combatté nella seconda crociata, tra il 1147 e il 1148. Organizzata da Corrado III di Svevia, che si concluderà con un insuccesso. Importante questo riferimento perché ci colloca in un periodo storico preciso dell’esistenza di Cacciaguida. Muore nel campo di battaglia durante la crociata. Nasce intorno al 1091. Lo collochiamo in un'epoca molto precedente a Dante. È l’epoca del buon tempo antico di Firenze che avrà la sua data di scadenza nel 1216 quando si svolge quell'episodio di Buondelmonte. Cacciaguida è questo personaggio delle origini di Firenze, che fu crociato e che già dal quindicesimo canto comincia un lungo confronto tra la Firenze antica e quella di oggi. Questo sguardo di Cacciaguida va dal passato alla Firenze decaduta e poi uno sguardo che nel diciassettesimo canto del paradiso guarderà verso il futuro e darà una seconda profezia dell'esilio, e la permanenza di Dante a Verona presso Cangrande della Scala. La citazione della storia di Buondelmonte si trova al centro del XVI del paradiso, è il momento di grande svolta, l’inizio delle discordie con Buondelmonte. Mostrato qui non dal punto di Mosca ma di Buondelmonte stesso. Su Buondelmonte Dante lascia sospeso il giudizio, non lo troviamo nelle 3 cantiche, è solo evocato, è un’apostrofe. La sua colpa di aver rifiutato il matrimonio è meno sui loro corpi durante la vita così vengono colpiti da una pioggia infuocata nell’inferno, è un contrappasso per analogia. Tra questi c'è un'anima che è una figura importantissima per Dante ed è Brunetto Latini. Grande protagonista del XV canto e colui che introdurrà le figure di Jacopo Rusticucci e il Tegghiaio che ritroveremo nel canto XVI. Entrambi i canti sono dedicati ai sodomiti e possiamo leggerli come una sorta di dittico, in continuità uno con l’altro. Brunetto Latini ritorna sul tema delle divisioni di Firenze e ci spiega meglio il concetto dell’origine contadina di Firenze. Brunetto Latini vive nella Firenze di Dante, nasce del 1220 e muore nel 94 è + anziano di Dante ed è il suo maestro, è un guelfo, scrittore filosofo e retore (insegnante di retorica) un notaio, perché gli uomini di cultura del tempo erano anche amministratori della città. Anche nella scuola siciliana capitava questo, il notaio per eccellenza è Giacomo da Lentini che sarà anche un grande poeta. Brunetto Latini fu a lungo esule in Francia perché visse in quel periodo in cui i ghibellini erano al potere. In Francia scrive la sua opera maggiore che è il Tresor scritto in lingua d’Oil, anche lui fa la scelta di Dante di non scrivere le sue opere in latino ma diversamente da lui non sceglie il volgare fiorentino ma la lingua d’Oil cioè il francese illustre. Il Tresor è una sorta di compendio, enciclopedia, del sapere medioevale, tra cui troviamo un riferimento alla fondazione di Firenze da cui prende il la il discorso di Brunetto nell'inferno. È autore anche di un trattato sull'amicizia che si chiama il favolello, che riprende il modello ciceroniano del Laelius de amicitia, dedicato al suo amico Lelio. Una volta rientrato a Firenze scrive una versione minor del Tresor, questa volta in volgare fiorentino e questa versione è il Tesoretto. Il Tesoretto insiste soprattutto sulle allegorie dei vizi e delle virtù e discute del tema dell’etica, quindi Brunetto Latini si configura come una sorta di maestro di etica, e di etica applicato alla politica, è il personaggio che + di altri può parlare del tema del ben fare. Aveva tradotto per esempio l’etica nicomachea di Aristotele, la retorica di Cicerone, si era quindi formato attraverso il sapere antico, ed è colui che usa la retorica e l’etica a fine politico. Utilizza le concioni, i discorsi, il sapere ma con una finalità politica. Questo non gli basta però per guadagnarsi il paradiso, perché per Dante non bastano le virtù umane per ottenere la salvezza bisogna anche seguire i precetti di Dio, non solo la morale umana ma anche quella religiosa. Quindi Brunetto ci può presentare coloro che imposero l’ingegno al ben far ma che si trovano però all'inferno perché non riconobbero fino in fondo la fede e si persero nel vizio, come Brunetto stesso. Ci sono riferimenti che ci richiamano il canto di Ciacco, gente avara invidiosa e superba, ritornano i 3 vizi, ritorna anche il tema del tuo ben far nemico. Tutto inizia con quel riferimento al popolo maligno che discese da Fiesole, intanto il latinismo ab antico, e Brunetto Latini si configura come un maestro che recupera la lezione degli antichi, quindi l’etica e la retorica come elementi di formazione dell’uomo che dovrà agire nella politica e poi il riferimento alla fondazione di Firenze. In realtà si tratta di una leggenda, che si trova in Brunetto stesso nel Tresor e viene recuperata in molte cronache dell’epoca di Dante, ad esempio la cronaca del Villani. Nel 62 a.C. nell'epoca della Roma repubblicana, Catilina si ritira a Fiesole dopo l'accusa di congiura da parte di Cicerone. Catilina fugge da Roma e si ritira a Fiesole e verrà ucciso di lì a poco nei pressi di Pistoia. I romani fanno una spedizione militare a Fiesole e la mettono a ferro e fuoco. Viene distrutta nel 62, i Fiesolani riparano verso valle e fondano una nuova città, Firenze. Firenze viene fondata quindi dai Fiesolani insieme ad alcuni coloni romani che fondano una colonia romana a Firenze. | Fiesolani vengono da un colle sopra Firenze considerato un luogo abbastanza rozzo, di contadini. Ab antico fa riferimento alle origini, alla fondazione. Il popolo di Firenze è ingrato e malvagio, il DNA di Firenze tiene del monte e del macigno, cioè è legato a questa origine contadine e già divisa perché si fonda dall’accozzaglia dei coloni romani che portano la civiltà e dei fiesolani che invece portano questo elemento rustico. Popolo malvagio perché porta dall'origine queste divisioni interne. Ha ancora nel suo carattere un elemento rustico e selvatico, discende da una comunità non civile, non urbana. La discordia è elemento intrinseco di Firenze. Ritorna l’iperbato, ti si farà nemico è separato da quel tuo ben far nel mezzo. Come aveva fatto Ciacco allude al fatto che Dante avrà a Firenze dei nemici. Brunetto Latini in qualche modo allude all’esilio di Dante, il popolo di Firenze gli si farà nemico perché lui ha agito secondo il ben far. Questo ben far illumina anche riferimento ai giusti son due che faceva Ciacco. Tra quei due giusti c'è anche Dante, e viene allontanato da Firenze perché ha agito secondo le logiche del ben comune. Agisce bene chi agisce per il bene della comunità, ma nel momento la giustizia non è intesa colui che agisce per il bene viene allontanato, cacciato. Questo è il tema dell’ingratitudine del popolo maligno, i fiorentini sono ingrati perché non riconoscono chi agisce secondo giustizia, e dal mondo che i loro cuori sono accesi dalle faville dei vizi cacciano da Firenze i giusti. Una società alla rovescia, in cui vige il vizio e la virtù viene allontanata. È ragion: è normale che sia così. Sorbi: pianta delle rosacee. Non può fruttare il fico dolce. Una metafora dove il dolce fico sarebbe Dante, il frutto + dolce di Firenze, non possono fruttare, maturare, vivere là dove troviamo soltanto piante impervie, i lazzi sorbi, aspre piante piene di spine. Tra questi rovi spinosi non può fruttare un fico dolce. Il soggetto sono sempre i fiorentini, invettiva fortissima contro Firenze, qui siamo nell'elemento + morale della satira, una satira alta, civile, impuntata in senso etico. Se la prende contro i vizi di Firenze. Un vecchio proverbio nel mondo chiama i fiorentini orbi. Secondo Villani i fiorentini erano detti orbi per antico volgare proverbio, per i difetti e le discordie. La cecità politica e intellettuale della nobiltà fiorentina che invece di unirsi e diventare invincibile si divide in fazioni e si indebolisce. Questo perché i fiorentini sono dediti al vizio, è gente avara invidiosa e superba. Dai loro modi fai in modo che tu possa forbarti = preservarti. Il fatto che Dante sia posto in esilio secondo Brunetto Latini sarà quasi un vantaggio per lui perché farà sì che non si mischi con questi vizi, rimarrà un cittadino urbano, si manterrà civile. la sorte negativa di Dante diventa quasi una buona sorte. La fortuna è la sorte. Sia la parte dei bianchi che quella dei neri vorranno sbranarti, qui emerge l'elemento delle bestie fiesolane, cioè i cittadini di Firenze hanno nascosto la loro parte civile e ora agiscono secondo la loro parte + feroce e selvatica. Tanto che sono regrediti in una condizione pre-civile e si comportano come bestie che si sbranano le une con le altre. La guerra civile è rappresentata come una decadenza etica del vivere civile, dove non viene + riconosciuto il diritto di esistere dell'altro, così come avviene nella cruda legge di natura tra gli animali. | fiorentini paragonati alle 3 fiere che si sbranano le une con le altre. Quando scrive questo canto Dante è ormai al di fuori da qualsiasi etica di parte, non si considera + un guelfo bianco, si considera un esule che guarda con equidistanza e che condanna egualmente le due parti. Ma Dante che è simboleggiato dall’erba, sarà lontano in esilio. Il becco è il caprone che vuole mangiare l'erba. Che facciano guerra fratricida fra loro le bestie fiesolane. Facciano strame, cioè facciano foraggio di se stesse queste bestie e non tocchino invece la pianta in cui riviva la sementa santa, se ancora in quel letame sorge qualcuno che è erede della tradizione di civili romani, di quei coloni romani che fondano Firenze insieme ai fiesolani. La pianta sono gli eredi di questi romani. parte guelfa, personaggio onorato che pur credendo di agire per il bene della politica aveva agito solo per la sua parte. Farinata è il fiero avversario di Dante, un ghibellino che sconfigge i guelfi a Montaperti. Guido Guerra è un guelfo assennato che fomentò anch'egli le divisioni. L'altro vizio che pone questi personaggi qui all'inferno, è il fatto di non aver unito alla politica la fede. La loro azione politica si risolve in un'azione anche etica ma di etica umana. Per Dante questo non è sufficiente per raggiungere la salvezza, bisogna essere illuminati anche dalla fede divina. Quella fede che questi personaggi troppo laici non hanno avuto fino in fondo, tanto che si sono persi nel vizio, in questo caso della sodomia. L’altro che si trova accanto a me, lacopo Rusticucci, è Tegghiaio Aldobrandi. Le sue voci avrebbero dovuto essere ben ascoltate, questo perché Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari è un altro dei capitani fiorentini di parte guelfa che combattè a Montaperti dove i guelfi ebbero una sonora sconfitta da parte dei ghibellini di Farinata. E Tegghiaio è un altro saggio perché aveva sconsigliato ai fiorentini di uscire a combattere. Si era reso conto che i ghibellini erano molto + forti militarmente perché uniti ai senesi e alle truppe dell’imperatore. Tegghiaio consigliò ai fiorentini di cercare le armi della diplomazia per risolvere la crisi e non combattere, ma non venne ascoltato. Tegghiaio Aldobrandi appartiene alla generazione degli altri 2, che combattono negli anni 60, quando Dante nasce, e fu colui che si insediò ad Arezzo nel 1256 come podestà, dopo che nel 55 Guido Guerra aveva sconfitto i ghibellini. Un altro personaggio di grande levatura di parte guelfa, che però Dante condanna all'inferno. Ormai Dante è al di sopra delle parti e condanna tanto i grandi capi ghibellini come Farinata, ma anche i grandi capi di parte guelfa. Tutta la generazione di chi ha combattuto a Montaperti viene eticamente condannata da Dante perché ha agito pur non volendo, per la discordia e non per la concordia. Hanno contribuito alla decadenza e alla corruzione di Firenze, che ora è in mano ai 3 vizi, superbia cupidigia e invidia. Rusticucci dice che + che la pioggia infernale lo addolora il ricordo della moglie feroce. Questi versi sono molto oscuri perché non sappiamo niente di questo personaggio, se non che fu un cavaliere fiorentino che ebbe incarichi politici intorno agli anni 50 del 200. lacopo Rusticucci è l’unico ad alludere alla sodomia che sembra sia dovuta al rapporto infelice con la moglie. Della moglie non sappiamo nulla ma possiamo intendere che il peccato di sodomia abbia a che fare con questo rapporto infelice. La condizione di questi dannati non suscita in Dante sdegno ma piuttosto dolore, li riconosce come uomini che hanno cercato di far del bene pur non riuscendoci. Prova affetto per queste anime. Le 3 anime chiedono a Dante se a Firenze siano tornati a dimorare valore e cortesia, le grandi doti sociali su cui si reggeva la Firenze dei tempi di Cacciaguida, oppure se sia totalmente perduta nel vizio. Chiedono queste notizie a Dante perché da poco tempo è arrivata una nuova anima, Guglielmo Borsiere, un personaggio di cui non abbiamo nessuna notizia, e ha raccontato come dai tempi di Montaperti e Benevento le cose siano ancora peggiorate. Dante risponde individuando la causa delle decadenze e delle discordie. È ancora lacopo che parla, vv. 64-66. Il se è ottativo, come desiderio, augurio per Dante, se tu vivrai a lungo, e spero che la tua fama dopo di te risplenda. Nel Convivio Dante definisce la cortesia, l'onestà e il valore l'insieme delle virtù tipiche dell’uomo pubblico. Dì se dimora: dimmi se cortesia e valore fanno dimora di sé nella nostra città come dovrebbe essere o se del tutto se ne sono fuggite. Cortesia e valore sono un unico soggetto, il verbo è quindi concordato al singolare dimora e non dimorano e se n'è gita invece che se ne sono gite. Chè: perché si duole con noi per poco: è appena arrivato, è morto da poco. Cruccia: si lamenta della situazione fiorentina. Le anime chiedono a Dante perché sono in grado di vedere bene il futuro + lontano ma man mano che il futuro si avvicina al presente la visione delle anime diventa + sfumata. Dante dà una risposta fulminea e individua i colpevoli nella gente nuova e nei subiti guadagni. Elemento sociale che deriva dal fatto che le discordie di Firenze sono dovute alle differenze di classe e di ceto delle famiglie che si contendono il potere. Mentre un tempo la classe sociale fiorentina veniva dalla nobiltà inurbata, che si trovava in città da molto tempo e che magari gestiva dei feudi nelle campagne e aveva un lignaggio di tradizione equestre o comunque nobiliare, ora invece a Firenze con l’inurbamento del contado si è creata questa situazione di confusione, in cui i nuovi arrivati e i guadagni veloci, fatti attraverso la mercatura o il prestito di denaro, questa classe emergente che vuole diventare dirigente, soprattutto i guelfi bianchi, la parte selvaggia che è quella capitanata dai Cerchi. Questa nuova classe dirigente ha generato orgoglio e dismisura, una sorta di competizione sociale con la vecchia nobiltà. Per stare al passo con i nuovi anche la vecchia classe dirigente ha cercato di far mostra delle proprie ricchezze, nelle cronache di Villani e altri autori che raccontano la Firenze del tempo si dice che si facesse una sorta di gara a costruire la casa + bella, la torre + alta, per dimostrare + magnificenza. Questa competizione tra le fazioni fa sì che vengano acuiti gli elementi di invidia, della sete di potere e della superbia, quindi le tre faville di cui parlava Ciacco. Questi nuovi hanno degenerato la situazione tanto che Firenze ormai tu non puoi far altro che piangere. Qui abbiamo una apostrofe a Firenze. Dante si rivolge con spirito di rampogna, di attacco alla propria città che si trova ad essere una sorta di covo di vipere. Dante grida con faccia levata, gesto di mimica teatrale, come se avesse pronunciata un'alta concione (discorso solenne). Questo anticipa un altro dei linguaggi dell’ira che ritroveremo nella descrizione del tema morale e satirico che è il tema della rampogna civile, la vedremo nel sesto canto del purgatorio. La rampogna, l’alto rimprovero. Dante grida e in modo accorato pronuncia 3 versi con lo sdegno di colui che rimprovera. In questo senso è davvero un poeta vate (che mostrerà la verità all'umanità) Dante, colui che addita i vizi di Firenze e con sdegno li mostra agli altri. Le 3 anime che ascoltarono la risposta si guardarono in faccia l’un con l’altro come si guarda il vero, con sguardo sgomento e doloroso con cui cercano conforto l’un l’altro. Si conclude il discorso iniziato nel canto VI con Ciacco. Canto X inferno - Farinata degli Uberti Farinata degli Uberti è l’ultimo dei nomi citati da Ciacco. Ci permette di chiarire la questione della battaglia di Montaperti, che è tema spartiacque su cui Dante insiste spesso. Finora si sono visti gli scontri della Firenze città partita riguardo alla spaccatura creata a partire dagli anni 90, tra guelfi bianchi e guelfi neri, sia Brunetto sia Ciacco alludendo all’esilio di Dante alludevano anche alle divisioni tra Cerchi e Donati. Con il decimo canto dell’Inferno dobbiamo tornare indietro alla situazione degli anni 60. Quando la distinzione era tra guelfi e ghibellini. Risaliamo di un cerchio rispetto ai violenti, nel cerchio sesto dove troviamo gli epicurei, i materialisti, coloro che si Molti ghibellini di Firenze non credevano nell’aldilà. La dottrina dei Catari è una dottrina eretica diffusa tra X e XIV secolo soprattutto in Francia e poi anche in vaste zone dell’Italia. Una dottrina che proponeva una sorta di forte dualismo, quasi manicheo, inconciliabile tra il regno di Dio e il regno del mondo. Mentre nel cristianesimo è fondamentale credere nella venuta di Cristo che ha portato redenzione nel mondo. L’eresia Catara crede che il regno di Dio sia una sorta di bene spirituale che sta al di là del mondo, mentre il mondo sia luogo di corruzione, dove regnano i vizi e il male e sia una sorta di regno di Satana dove non è possibile la redenzione. Questa eresia aveva attecchito in molti ambienti intellettuali fiorentini soprattutto di parte ghibellina e pare che Farinata vi abbia aderito, tanto che subì un processo postumo. Una sorta di damnatio memoriae di questo personaggio post mortem. Damnatio memoriae e attacco ad personam sono le due espressioni della satira che Dante utilizza in questo canto, soprattutto nei confronti della famiglia degli Uberti che vengono allontanati da Firenze e non potranno rientrare mai + in città. Farinata lancia una sorta di guanto di sfida e Dante accetta la sfida, io avevo ficcato il mio sguardo nel suo, lui mi guarda con aria di sfida e io lo guardo in faccia. Lui si ergeva con sguardo alto e fiero, atteggiamento impettito, come se avesse a gran disprezzo l'interno inferno. Ha atteggiamento di superbia, superiorità e coraggio nei confronti dell'inferno, non teme nulla. Dante ne ha rispetto e forse anche un po’ timore da quello che si capisce dal v. 30. Dante ancora un po’ titubante e Virgilio lo spinge, le sue mani sono animose (fanno coraggio) e pronte (sicure e rapide). Le parole tue sien conte: siano contate, misurate, accorte degne alla situazione. Altra spia del fatto che qui lo stile si sta impuntando verso l’alto, l’alta poesia di elemento morale. Siamo al culmine del canto, canto molto importante. Farinata ha atteggiamento sempre molto sprezzante. Gli chiede chi siano i suoi antenati, qui la grandezza ma anche il limite di Farinata, vuole sapere da che parte sta Dante, ragiona sempre secondo logiche di parte. Abbiamo visto come Dante prende le distanze da questa logica delle distinzioni. Farinata è un ghibellino e lo resta, fiero di esserlo, ammette di essere stato dannoso per Firenze, ma non esce dalla sua logica. Non gliel celai: litote, formulazione ottenuta mediante negazione del contrario, non glielo celai, quindi glielo dissi. Dante è molto attento alla mimica facciale del personaggio. In suso: susum latinismo, in su. Guarda in alto in segno di disapprovazione. La famiglia Alighieri, dei guelfi, i quali furono avversi caparbiamente e con ferocia, nessuna possibilità di dialogo. Ai miei primi: alla mia famiglia, ai miei avi. Fiate: volte. Dispersi: in gergo militare disperdere = sconfiggere. Farinata oscuramente si sta riferendo alle prime due cacciate dei guelfi da Firenze. Nel 1248 si colloca la prima perché le famiglie ghibelline si erano rafforzate grazie alla potenza dell’imperatore che regnava incontrastato a Palermo, Federico Il di Svevia. Questa era la prima fiata. La seconda è quella del 1260 a Montaperti che ora Farinata racconterà. È lui in prima persona a portare questo risultato per i ghibellini. Sia la prima che la seconda volta però i guelfi sono tornati presto e hanno ripreso il potere, gli risponde Dante. Ritornano nel 1251 dopo la morte di Federico di Svevia, la prima cacciata dura 3 anni. La seconda nel 66/68 con la battaglia di Benevento che segna la morte di Manfredi di Svevia, erede di Federico, e con la seconda sconfitta a Tagliacozzo (68) degli imperiali, vengono definitivamente sbaragliate in Italia le truppe degli Svevi e quindi anche a Firenze i ghibellini vengono cacciati via. Dante risponde quindi per le rime. E aggiunge con fierezza, ma i vostri, i ghibellini e in senso + ristretto gli Uberti non appresero l’arte di ritornare. Dante allude all'esilio perpetuo comminato ai ghibellini, in particolare agli Uberti, le case furono rase al suolo e date alle fiamme e non riuscirono + a rientrare a Firenze. Dante viene bruscamente interrotto, ed è l’unica volta che succede nella divina commedia, un'azione narrativa di questo tipo. Dante di solito quando passa da una scena all'altra interviene con una terzina di raccordo che inserisce un nuovo personaggio ecc. In questo caso invece sembra che cambi completamente il discorso. Il discorso di Farinata viene abortito nel momento di massimo climax e Dante inserisce altre 7 terzine che parlano di tutt'altro, dopo il discorso di Farinata riprende come nulla fosse e continua a parlare sul tema dell'essere cacciato. Inserto dedicato ad un’altra anima che si trova vicino alla scena di Farinata, ed è l’anima di Cavalcante Cavalcanti, il padre di Guido Cavalcanti. Qui entriamo sul tema della damnatio memoriae. Cioè il fatto che nella divina commedia Cavalcanti sia il grande assente, colui che fa problema. Una giustificazione è data dal fatto che Cavalcanti muore nell'agosto del 1300 mentre la finzione narrativa colloca la divina commedia nella Settimana Santa, cioè nella primavera, quindi Cavalcanti è ancora vivo. Però Dante molto spesso trova escamotage per parlare dei viventi, omaggiarli o condannarli nell'opera. Cavalcanti invece viene nominato solo due volte, una qui nel X dell’inferno e una volta in purgatorio canto XI da Oderisi da Gubbio che presenterà i superbi e dirà come la fama nel mondo corre veloce e come un Guido abbia tolto ad un altro Guido il nome di miglior poeta, riferendosi a Guido Guinizzelli padre dello stilnovo. Riconosce quindi una certa altezza di ingegno a Cavalcanti, riconoscendogli di essere in quel momento uno dei migliori poeti di Firenze. Però in quella circostanza Dante dice anche che forse è nato colui che li supererà entrambi, perfidamente riconosce a Cavalcanti questa fama solo per un periodo limitato. Il fatto che Dante non rende a Cavalcanti l'onore che meriterebbe forse ha a che fare con le vicende dell'esilio di cui Dante è in parte responsabile. Ma c’è anche una differenza ideologica forte tra i due che porta a questa damnatio memoriae, il fatto che Cavalcanti interpretasse lo stilnovo in una maniera fortemente differente da Dante. Nel Dante della vita nuova è fondamentale il concetto dell'amore spirituale, per una creatura totalmente angelica. Non solo per un fatto di bellezza e alta moralità la rendevano simile ad un angelo, Beatrice è ontologicamente una creatura divina, che appartiene al cielo. Ed è stata inviata da Dio per mostrare una via di redenzione attraverso l’amore, in modo che chi si innamora di lei con cuore puro possa nobilitare se stesso. L'innamorato che la osserva o viene mortificato da tanta purezza e onestà, si rende conto di avere un animo non nobile, oppure se ha animo nobile, si nobilita talmente tanto da riuscire ad arrivare al suo livello. Attraverso l'amore per Beatrice arriva a crescere spiritualmente fino ad arrivare all'amore di Dio. Beatrice è una sorta di mezzo attraverso cui la grazia divina salva l'umanità. Dante inizia questo percorso di salvezza in Vita Nuova e non riesce a compierlo fino in fondo, lo compirà poi nel percorso paradisiaco. Nello stilnovo di Dante l'amore ha questo significato salvifico, l’anima individuale di Dante diventa simbolo dell'anima di tutti noi. Cavalcanti utilizza la stessa lingua di Dante, il parlare onesto, la lingua raffinata dello stilnovo fondata principalmente sulla dulcedo, uno stile dolce, dove dolce significa prima di tutto piano, regolare, comprensibile quindi non una poesia lambiccata e troppo sporcata da termini non nobili, ma una poesia alta, nobile, soave e comprensibile. Però Cavalcanti non accetta questa ideologia positiva dell'incontro con la donna amata, per lui l’amore porta a perdizione, è una forza naturale, porta a sconvolgimento dell’animo. Ci può sbigottire gli spiriti, cioè quegli spiriti vitali che ci Farinata finalmente definito come magnanimo, come se niente fosse riprende il suo discorso e risponde per le rime a quello che Dante diceva, il discorso si era concluso con appresero mal quell’arte. Farinata profetizza l'esilio di Dante in risposta. Arbia è un piccolo torrente che scorre nella valle di Montaperti. 05/03 Troviamo in questo canto due modi del linguaggio satirico, o meglio dell’ira, dell’attacco verso persone specifiche. Dante in questo percorso attraverso le parole inizialmente di Ciacco, imputa la decadenza di Firenze a determinate persone che pensando di agire per il ben fare hanno invece agito in modo sbagliato, per interessi di parte. Arriviamo all’attacco ad personam nei confronti di Farinata degli Uberti e tutta la sua stirpe. Il suo peccato di materialismo, di eresia era relativo al fatto che fosse un capo ghibellino e combattesse contro la parte sostenuta dal Papa, e perché biograficamente Farinata aveva subito un processo postumo perché aveva aderito a correnti eretiche, e non aveva riconosciuto l'immortalità dell'anima. Su questo tema dell’immortalità dell'anima compare la figura di Cavalcante, di tono un po’ minore e orienta il discorso su un’altra damnatio memoriae, quella di suo figlio Guido. Dopo questo inserto che Dante aggiunge restituendo mimeticamente l’intervento di questa anima che interrompe Farinata, Farinata ritorna a parlare. Farinata è una persona a suo modo onesta, un’anima grande, un magnanimo, un uomo che ha una etica. A cui posta restato m’era: era rimasto in attesa di una risposta. Né mosso il collo né piegò sua costa (busto): non si girò verso l’altra anima che aveva parlato. Imperturbabilità stoica di Farinata, come le anime grandi. Farinata non sa nel presente in cui Dante vive la sorte degli Uberti, sempre per la facoltà dell’antivedere. È una tenzone tra i due, un botta e risposta, e Farinata che ha conoscenza di quello che accadrà + in là nel remoto, rilancia questa capacità male appresa su Dante stesso, rivelando una profezia. Le terzine sono volutamente oscure, perché il linguaggio della profezia spesso non dice chiaramente, ma allude, usa spesso perifrasi, giri di parole, per esprimere concetti metaforici e allusivi, nascosti. La faccia de la donna che qui regge: Proserpina, divinità degli inferni, immagine pagana un sincretismo (convergenza di elementi ideologici inconciliabile) che non crea conflitto nella sua cristianità. Dante usa le divinità pagane in termini allegorici e metaforici, quando utilizza il repertorio pagano lo fa in termini poetici non realistici, per questo motivo non contrasta con la sua cristianità, non hanno significato ontologico è un bagaglio linguistico e retorico. Proserpina moglie di Ade ha come simbolo la luna, la faccia di Proserpina è la faccia della luna. Bisogna pensare al mese lunare, 28 giorni. Non sarà (fia) riaccesa per 50 volte la faccia della luna. La luna non compirà il suo giro intorno al cielo per 50 volte. Si riferisce alla battaglia della Lastra e al fatto che da quel momento in poi l'esilio di Dante sarà perpetuo. 50 mesi lunari sono 4 anni e due mesi solari. Dalla Settimana Santa del 1300, quindi marzo, si arriva al giugno /luglio del 1304, alla data della battaglia della Lastra (20 luglio 1304). Quell’arte pesa: l’arte di non tornare in patria pesa. Alla battaglia della Lastra Dante decide di non partecipare perché trova che la compagnia malvagia e scempia non segua nessuna logica, non è una alleanza ragionevole. Alleanza tra ghibellini e i guelfi bianchi contro i guelfi neri di Firenze che reggono il potere. E Dante non riesce ad allearsi con i nemici ghibellini. Nella battaglia vinceranno i guelfi neri e ci sarà un massacro di questi fuoriusciti che cercano di rientrare. Dante ormai si considera un esule a tutti gli effetti. Questi 3 versi sembrano alludere agli eventi del 1304. Dante aveva risposto dicendo che i ghibellini, soprattutto gli Uberti non rientreranno + e non apprenderanno l’arte di tornare e Farinata incalza dicendo che anche Dante stesso non ha appreso quell’arte perché non tornerà. e se tu mai nel dolce mondo regge: se ottativo, augurandoti di tornare al dolce mondo. La prima allusione a Montaperti la troviamo solo ora. È la battaglia che simboleggia il massimo grado degli scontri tra guelfi e ghibellini a Firenze. Nel 1260 i ghibellini sotto la guida di Farinata si uniscono ai ghibellini di Siena e alle truppe dell’imperatore e riusciranno a sconfiggere i guelfi di Firenze. Perché quel popolo è sì empio: perché i fiorentini non provano pietà per la mia fazione? Empio = mancanza di pietà perché Firenze si è tanto accanita da aver fatto leggi contro la mia famiglia. A Dante sembra palese la risposta, Firenze guelfa non perdona la grande strage a Montaperti. L'evocazione della battaglia avviene con indicazione topografica del fiume Arbia, siamo in territorio senese. Il fiume si fa rosso del sangue versato. È questo un tema che torna spesso nella storiografia classica, quello dell’acqua colorata in rosso, o il campo di battaglia che si colora di rosso, è un topos letterario che ritroviamo nella storiografia classica soprattutto latina. La lingua è di nuovo declamata, con tono perentorio e sdegnoso, sono frasi solenni. Tal orazion fa far nel nostro tempio: il ricordo di questa strage fa prendere alla comunità di Firenze queste decisioni politiche. A questo punto Farinata sospira e scuote il capo in segno di disappunto, gesto grave nella statura tragica del personaggio. La difesa di Farinata che si riscatta e mostra di essere un magnanimo. Allude all'alleanza con i senesi e le truppe imperiali, non sono stato l’unico, non sono l’unico colpevole. Il tema della responsabilità, non mi sarei mosso con gli altri senza una ragione. Farinata aveva una ragione e la colpa della strage è persino un po’ anche dei guelfi, se nel 58 si fosse trovato un accordo non si sarebbe arrivati a questa situazione. La sua parte era stata totalmente estromessa da Firenze, risponde con violenza a una violenza che aveva subito. La responsabilità va divisa con i guelfi. Dante sembra essere all’interno delle logiche di parte, ma in realtà quando scrive cerca di guardare le cose con uno sguardo + equidistante e riconosce anche i guelfi le proprie responsabilità. “Ma” avversativo in v.91 che rovescia, non fui solo in battaglia, ma fui l’unico, nel momento in cui fu deciso (sofferto con valore positivo) da ciascuno dei capi degli alleati che avevano combattuto a Montaperti di torre, di radere al suolo Firenze, ad oppormi. E qui il riscatto di Farinata, quello che lo rende magnanimo. Questo avviene al concilio di Empoli dove i vincitori si riuniscono dopo la battaglia e la decisione dei senesi e degli imperiali di radere al suolo Firenze. Farinata si oppone, e qui l'omaggio di Dante che ne riconosce il patriottismo, la magnanimità. Farinata ha agito credendo di ben fare ma sbagliando. Più avanti in questo canto Virgilio spiegherà a Dante la teoria dell’antivedere, il fatto che le anime non vedano il futuro vicino al presente ma conoscono bene il futuro remoto. Il canto inizia in continuità con il precedente, con la parola fine. Vanni Fucci fa questo gesto sacrilego, che oggi potrebbe essere inteso un po’ come se si levasse il dito medio. Un gesto maleducato, tanto + bestemmiatore se rivolto verso Dio. Dice: prendi Dio le mostro contro di te. Un canto che si apre con gesto di bestemmia estremamente volgare, Vanni Fucci viene mostrato in tutta la sua violenza e empietà, ma il gesto è anche politico oltre che sacrilego. Nelle cronache del Villani si racconta che in un castello del pistoiese ci fosse una statua posta su una torre che aveva le mani facevano le fiche a Firenze. In realtà a fare quel gesto non è soltanto Vanni Fucci, ma lui in quanto pistoiese, Dante qui ricorda quella statua. Perfidamente si rivolta contro Pistoia mettendo in scena questo personaggio che rivolge il gesto addirittura a Dio. C'è anche questo odio campanilistico, c'è una ragione storica e politica per questa rappresentazione. Si arriva ad una sorta di adynatòn, cioè succede una cosa che sembrerebbe impossibile. Dante si fa amiche le serpi malvagie, perché queste bestie infernali per eccellenza, sembrano addirittura vergognarsi loro stesse del gesto fatto da Vanni Fucci ed iniziano ad avvolgerlo in modo tale che non possa + parlare, e questo gesto piace a Dante tanto che quasi le sente amiche. Rilegollo: per legarlo in modo tale che non potesse fare altri gesti. Gli si avvolse così stretta che non poteva + fare un minimo movimento, crollo. L’apostrofe a Pistoia, ad essere condannato è Vanni Fucci ma lui è l'immagine di Pistoia, l’invettiva è rivolta alla città intera, degradata e corrotta secondo Dante. Pistoia mi fu degna tana, una tana di empio, lui non è l’unico. Stanzi: decidi di incenerirti in modo che tu possa uscire dalla faccia del mondo, allusione ad una punizione biblica, le città incenerite da Dio come spesso si trova soprattutto nel vecchio testamento ma l’allusione + forte è la similitudine con la punizione dei dannati, che quindi Pistoia faccia come Vanni Fucci perché è città di ladri. Torna il tema del ben fare e del mal fare. Poiché superi il tuo seme nel mal fare. Pistoia è nata nel mal fare ma le nuove generazioni hanno superato i fondatori nel mal fare. Quindi non come Firenze nata nel ben fare e che poi si è persa, Pistoia invece nasce nel malaffare, una condanna completa per la città. Nei campi vicino Pistoia viene ucciso Catilina dopo che si era rifugiato a Fiesole e questa era stata distrutta. Pistoia è fondata secondo la leggenda dai superstiti dell’esercito di Catilina, gente di guerra e malaffare. Questi congiuranti riescono a fondare la città. Vanni Fucci è il + superbo di tutti perché questo è l’unico gesto di bestemmia che troveremo in tutto l'inferno. È uno dei personaggi + neri. Non quel che ...: il riferimento è a Capaneo, un re che partecipò all'assedio di Tebe. La fonte è la Tebaide di Stazio. Tutto parte sempre dal canto IV, Stazio è il grande assente di quel canto. Uno dei grandi autori epici che Dante recupera e imita. Nella Tebaide si racconta dei 7 re che assediano Tebe, tema già di Eschilo ne “i 7 contro Tebe” quindi una tragedia, un tema alto che dalla tragedia si trasmette all’epica. Capaneo è un re che aveva partecipato all'assedio. Talmente superbo ed empio che se la prese contro Zeus, anche lui fece una sorta di gesto di bestemmia, e Zeus lo fulmina dopo che il re aveva scalato le mura di Tebe. E quindi cade dalle mura. Capaneo lo troveremo nel XIV canto dell’inferno nello stesso cerchio dove avevamo trovato anche Brunetto e tutta la sua compagnia, dove sono puniti violenti contro Dio, la natura cioè sodomiti, usurai e appunto bestemmiatori. Dante fa una doppia citazione, cita se stesso e la Tebaide di Stazio, con riferimenti intratestuali e intertestuali. Dante e Virgilio incontrano altri personaggi, tra cui Caco, altro personaggio che proviene dalla mitologia classica. Un mostro ucciso da Ercole durante le sue fatiche qui viene trasformato in mostro infernale e assume tratti demoniaci e insegue Vanni Fucci per punirlo per la bestemmia. Anche Caco fu un ladro, rubò 4 buoi e 4 giovenche dalla mandria che Ercole aveva sottratto a Gerione in una delle sue fatiche, anche Caco simboleggio mitologicamente e allegoricamente la figura del ladro e anche lui è un essere metamorfico, l'unione tra uomo drago e diversi serpenti. Poi compaiono alcuni ladri fiorentini e questo darà il la per un ulteriore attacco a Firenze. In tutto saranno 5, ne compaiono prima 3 poi gli altri. E questo canto XXV è proprio il canto detto delle metamorfosi. Qui non abbiamo tanta introspezione storica o psicologica come capitava nei canti politici, qui Dante si diverte di + nella descrizione demoniaca delle metamorfosi tra uomo e serpente. Ci sono 3 ladri che cercano un certo Cianfa, forse un Donati, capitano del popolo a Firenze ma anche ladro di bestiame e scassinatore secondo le cronache. Dante chiama per nomi questi ladri ma senza indugiare troppo sulla loro identità e gli storici sono andati a recuperare questi personaggi individuando possibili figure storiche a cui Dante allude. Però Dante è + interessato a descrivere il peccato punito. Uno è Agnolo Brunelleschi, morso da un ramarro e si trasforma nell’animale. Arriva poi un lucertolone che si avventa su uno dei due ladri rimasti e la trasformazione in questo caso è doppia, l’uomo in lucertola e la lucertola nell'anima. Nel resto del canto vengono nominati altri due ladri fiorentini. Un certo Buoso, e un tale Puccio Sciancato un nobile ghibellino. Un altro ladro che potrebbe essere identificato con Francesco Cavalcanti, un altro appartenente alla famiglia di Guido, che morì per assassinio. Questi sono personaggi minori, quello che è interessante è che per gran parte del canto ci si sposta da Pistoia a Firenze. Firenze non è da meno della tana di ladri da quando si è perso il benfare. Canto XXVI inferno - apostrofe a Firenze Il XXVI canto è in continuità con questo e poi si sposterà su altri temi, è il grande canto di Ulisse e Diomede, Dante lascerà la bolgia dei ladri per spostarsi in quella dei consiglieri fraudolenti. Questo canto però si apre con un'apostrofe a Firenze legata alla presenza di molti ladri nella città. Dante ne approfitta per segnare ancora alcuni versi di sdegno nei confronti della città e indicare una punizione imminente che Dio sta preparando contro Firenze. Un attacco ironicamente rovesciato al contrario. Il nome di Firenze si spande ovunque, ma non è una fama positiva. Quando Dante dice del nome di Firenze che si spande per terra e per mare riprende ironicamente l’iscrizione che compariva nel palazzo del Bargello, una sorta di funzionario incaricato del servizio di polizia, un palazzo di governo dunque. L’iscrizione era lì dal 1255 e recitava “Firenze che possiede tutto il mondo, per mare e per terra”. Dante ironizza dicendo che la fama arriva anche oltre il mare e la terra, perfino all'inferno. Batti l’ali: spicchi il volo. Tra i ladroni: ladri ma anche malfattori in generale. Orranza: non ne esci con grande onore. E l’immagine di Dante che questa volta si fa profeta lui stesso delle sventure di Firenze, e presagisce una punizione divina per Firenze. Si allude alle visioni mattutine, secondo tradizione a volte i sogni sono rivelatori del futuro, soprattutto quelli fatti al mattino poco prima di svegliarsi, sono suggeriti da Dio che manda immagini e visioni di ciò che succederà. E Dante sembra aver avuto uno di questi sogni premonitori. Tu proverai di qui a poco, quello che Prato e non solo lui desidera per te. Ritorna il tema del municipalismo, Firenze città-stato e Il tema è quello dell'odio civile, l'odio tra gli uomini. Questo gesto del mangiare e del mordere prefigura anche il gesto luciferino per eccellenza, cioè l’atto di Lucifero che tiene tra le fauci soprattutto Giuda. L'attacco è subito all'insegna dell’orrore e la disperazione e ritorna un tema che Dante recupera + volte ed è quello del parlare e lacrimare insieme. Ugolino inizia il suo lungo discorso, che è anche solenne, la sua parlata recupera i toni del lamento. È un discorso pieno di pathos, di passione. È un tema quello del parlare e piangere insieme che Dante aveva affrontato diverse volte durante l'inferno, ad esempio, all’inizio con Paolo e Francesca. È un elemento elegiaco, cioè di lamento, lamento amoroso, in questo caso l’amore è filiale. Ugolino poi si presenta. La vicenda storica di Ugolino viene raccontata attraverso un sogno incubo, appartiene alla famiglia della Gherardesca, ghibellina di Pisa e fu signore di Pisa dal 1284 al 1288. Una generazione prima rispetto a Dante. Fu condannato per tradimento dall’arcivescovo Ruggeri degli Ubaldini, una famiglia che insieme ad altre pisane, i Gualandi, i Sismondi e i Lanfranchi, si opponeva allo strapotere della famiglia della Gherardesca. Di nuovo fazioni, in questo caso tra famiglie pisane. Ugolino aveva governato Pisa anche con l’aiuto di suo genero, Giovanni, detto anche Nino Visconti. Era su posizioni + moderate rispetto a Ugolino. Anche a Pisa c'era una dinamica di scontri tra famiglie guelfe e ghibelline e soprattutto Pisa era assediata dalla città vicine, alcune delle quali erano guelfe, ad esempio Firenze e Lucca. Ugolino consigliato anche da suo genero tentò una sorta di politica dell’equilibrio tra ghibellini e guelfi per cercare di stabilizzare il potere e prevenire gli attacchi che potevano venire da città molto forti vicine. Aveva cercato di venire incontro anche alle istanze dei guelfi. Questo aveva creato malumori tra le famiglie ghibelline che non cercavano mediazioni come quella degli Ubaldini. Ruggeri quindi attacca Ugolino, riesce a rovesciare il potere e lo accusa di tradimento. Questo perché durante questi 4 anni Ugolino aveva ceduto ai guelfi di Lucca e di Firenze alcuni castelli del contado. Questo per non venire allo scontro militare. Questa politica non piace alle famiglie ghibelline di Pisa e Ugolino viene accusato di tradimento, Ruggeri accusa per primo Nino Visconti e tenta quindi una mediazione con Ugolino dicendogli che se avesse preso le distanze sarebbe stato salvato. Ugolino tradisce il genero ma poi Ruggeri non mantiene la parola e lo fa incarcerare. Una situazione quindi piena di tradimenti e parole non mantenute. Questa è la vicenda storica per questo traditore della patria. Quello che succede dopo è ancor + interessante. Ugolino viene chiuso nella torre della Muda, cioè la torre dei Gualandi, che ancora adesso si trova a Pisa vicino all’università Normale di Pisa. Tutto viene raccontato attraverso il velame del sogno. Ugolino sogna una caccia infernale, tema che ritorna spesso nel Medioevo, ad esempio in alcune novelle del Boccaccio. Sogna di essere un lupo che scappa con i lupacchiotti, sceglie non a caso un animale feroce, simbolo di cupidigia e volontà di potere, però in questo caso il lupo è una preda, cacciato da un gruppo di cacciatore a cui capo c’è Ruggieri. Si era messo a capo di queste cagne magre e ossute, cani da caccia che volevano sbranare viva la famiglia di Ugolino. La caccia infernale secondo il velame dell’allegoria simboleggia lo scontro militare. Si arriva al risveglio e inizia il vero e proprio racconto di cosa succede nella torre. Ugolino è rinchiuso per diversi mesi e per un periodo viene privato del cibo. Quando si sveglia sente piangere i suoi figli e nipoti che domandavano del pane. Erano due figli e due nipoti, Gaddo e Uguccione i figli. | nipoti Anselmuccio e Nino detto il Brigata per distinguerlo da Nino Visconti. | figli erano grandi i nipoti bambini. Dopo alcuni giorni i figli offrono se stessi in pasto al padre, il tema che era partito con immagini di orrore prende la direzione del patetico, del lamento dolente e del tragico. Ritornano memorie e calchi di storie che provengono dalla tragedia, quindi un linguaggio che si innalza. Un altro verso famoso il 46, Dante utilizza neologismi, chiavare = chiudere a chiave. Ugolino capisce che sono condannati a morte quando sente chiudere la porta di ingresso alla torre e guarda i figli senza far motto, con sguardo pietrificato. Mentre i figli piangevano la statura tragica del personaggio di Ugolino invece non piange. E troviamo un altro neologismo, impetrai = diventai di pietra. Dopo alcuni giorni si arriva all'offerta da parte dei figli, per loro sarebbe stato un dolore minore se lui si fosse nutrito delle loro carni. Il padre almeno per ora non cede all’offerta. C'è quindi il tema della guerra fratricida, del non riconoscersi fratelli all’interno della città, ma anche dell'amore famigliare vero e proprio. Il linguaggio diventa quello della tragedia, v 66 è tragico ahi dura terra perché non t’apristi: avrei preferito l'inferno piuttosto che vedere i figli offrirsi a me e morire di fame. Questa è una citazione dal Tieste di Seneca, tragedia classica, non a caso Dante recupera la tragedia romana, Seneca spiccava per l'utilizzo del linguaggio orrorifico, funesto, in cui la morte veniva rappresentata in scena con elementi molto cruenti. Tieste è un mito recuperato dal mito greco che raccontava la storia di un padre a cui per vendetta sono imbandite le carni dei figli. Lui le mangia senza sapere e lo scopre appena finito il banchetto. Alcuni critici hanno visto anche un possibile riferimento virgiliano ad un passo dell’Eneide ma in realtà qui il riferimento è piuttosto chiaro a Seneca anche per l'argomento specifico. Il racconto straziante prosegue e si arriva al quarto giorno senza mangiare e muore il primo figlio Gaddo. Abbiamo qui uno stillicidio raccontato con grande pena delle morti dei figli e dei nipoti tra il quarto e il sesto giorno. Ci sono battute strazianti, i figli che chiedono aiuto al padre che nulla può. L'immagine è di questo padre diventato cieco per la fame, i sensi iniziano a deperire, ma cieco anche dal dolore, vorrebbe accecarsi per non vedere il dolore che ha di fronte agli occhi. Ha perso totalmente la fede, è una cecità anche dell'animo. Più del dolor potè il digiuno, questa chiusura è fortemente ambigua e lascia il dubbio se Ugolino si sia cibato dei figli una volta morti e quindi abbia potuto sopravvivere per qualche giorno. Cosa che potrebbe essere allusa dal fatto che lo troviamo lì che rode il cranio di Ruggeri, quindi un cannibale. Nella terzina seguente ritorna l'immagine del rodere il teschio, con gli occhi torti, quindi animaleschi, ormai Ugolino è diventato una bestia, quindi quel lupo che era inseguito nel sogno. Ritorna la degradazione ferina in un modo molto diverso dal mulo Vanni Fucci, lì era in chiave di denigrazione del personaggio, in questo caso la degradazione ferina è in senso tragico, un personaggio che forse si è macchiato di cannibalismo e comunque si è macchiato di alto tradimento nei confronti della patria, anche lui ha agito secondo logiche di parte e si è imbestialito. Invettiva contro Pisa invettiva forte e piena d'odio. Come era capitato con Pistoia Dante si augura che la città venga a scomparire. Mentre Pistoia veniva incenerita in analogia con le anime che venivano morse dal serpente, per Pisa Dante si augura che venga sommersa dalle acque. È breve, solo 12 versi, 4 terzine, ma pregna di linguaggio dell'odio e dell’ira. C'è la violenza dell’improperium, cioè dell'intervento di ira contro la città. Che ha mancato di pietà che si deve verso il fratello, il parente. Le famiglie sono così disunite che oltre ad essere punito il conte Ugolino, colpevole secondo Dante, vengono colpiti anche i figli innocenti. Dante qui forza le regole cristiane e non concede loro neanche la possibilità di pentirsi. Branca Doria è un nobile genovese che nella sua vita è attivo soprattutto in Sardegna. Suo suocero è Michele Zanche, è nel canto precedente a questo, un barattiere nel canto XXXII dell'inferno. Branca Doria è ancora peggio perché mirava ad impossessarsi di una regione in Sardegna chiamata Logudoro, il signore di questa terra era proprio suo suocero. Nel 1294 Branca Doria invita il suocero ad un banchetto e lo fa uccidere. Immediatamente l’anima di Branca Doria precipita all'inferno e un demone abita il suo corpo. Invettiva contro Genova non così forte e potente come le altre, recupera l'elemento dell’anima distinta dal corpo. Si estende a tutti i genovesi, considerati uomini diversi d’ogne costume (enjambement), lontani da ogni buona usanza, sono considerati incivili, lontani dalla cortesia e usi alla villania e pieni di ogni vizio. Questa apostrofe si risolve in soli 3 versi. Perché con il peggiore spirito di Romagna (frate di Faenza), Alberigo dei Manfredi trovai un genovese che attraverso il suo malaffare, la sua anima è già precipitata in anticipo rispetto al corpo nel Cocito e il corpo è ancora tra i vivi. In corpo par vivo ancor di sopra: sembra essere ancora vivo ma in realtà l’anima è nel Cocito. Canto XXIII purgatorio - Forese Donati Forese Donati, tema della rampogna, rimprovero morale. Geografia infernale: siamo sul monte del purgatorio, anime che hanno avuto possibilità di redimersi durante la loro vita. Entriamo anche nel tema del suffragio, i vivi possono alleviare la pena da scontare nel purgatorio con le loro preghiera. Forese Donati è punito per il peccato della gola, come Ciacco ma lui si è pentito. Il Purgatorio è fatto di 7 gironi, dal + grave al - grave, siamo al sesto girone, in una zona alta. Anche qui sono punito con la pena del contrappasso, questi golosi dimagriscono sempre di + in modo cruenti, perdono pezzi di carne. Un po’ come se avessero la scabbia o la lebbra. Una giustizia che li pilucca poco alla volta. Forese Donati è amico di Dante, nato intorno al 1250 e morto 1296, quindi non da molto tempo rispetto alla data di finzione della divina commedia. Accompagnerà Dante per un paio di canti, è un personaggio importante. Anche per le sue parentele, è un Donati quindi imparentato con Gemma ed è il fratello di Corso, il capo dei neri. Uno dei + grandi nemici di Dante è il fratello di uno dei suoi + cari amici. Forese tornerà sul tema politico e sulla morte del fratello che avverrà nel 1308. Corso verrà scacciato da Firenze e il fratello racconta con la sua facoltà di antivedere come Corso verrà ghermito da una bestia infernale che lo trascinerà all'inferno. Morirà in battaglia. È fratello anche di Piccarda Donati, che Dante incontrerà nel III del Paradiso, tra quelle anime che hanno preso i voti ma non hanno potuto mantenere le loro promesse per colpa di altri. Suo fratello Corso l’aveva tolta dal convento per obbligarla a sposarsi con un nobile di parte nera, per motivi politici. La sorella non è colpevole e dunque lei verrà graziati e otterrà un posto tra i Beati del giro della Luna. Forese è anche uno dei poeti che Dante incontra e quindi l'incontro torna a definire delle tematiche di poetica. | due avevano avuto una tenzone durante gli anni giovanili, una tenzone che a questo punto Dante rinnega poeticamente. Erano sonetti per le rime che contenevano insulti reciproci, erano scherzosi e contenevano anche insulti pesanti. Dante ormai è poeta vate e deve distaccarsi da questa poesia giovanile e reinterpreta il rapporto con Forese, passa con lui ad una poesia di alto tema morale. Riabilita poi la persona della moglie di Forese, che non usciva molto bene dalla tenzone giovanile, ora invece Nella viene rappresentata come donna devota e dedita alla preghiera. La tenzone risale agli anni 90 del 200. Dante veniva accusato di essere un uomo venale sempre dedito a contare denaro e continuatore di quell’usanza che era stata del padre di essere un usuraio. Le accuse verso Forese erano 3, la prima di essere un goloso, elemento in continuità con la divina commedia, di essere un po' scroccone, di cercare di farsi dare soldi e poi non renderli, e di essere poco prestante in amore, e soprattutto di non riscaldare a sufficienza la moglie. Addirittura, le viene la tosse per il freddo che sente nel letto secondo le parole di Dante. Nel canto XXIII del purgatorio le cose si rovesciano, Dante si meraviglia di trovare così in alto Forese, come è possibile che morto da 4 anni abbia già percorso così tanta strada nel suo cammino nel purgatorio. Prima di essere assegnate ai gironi le anime devono scontare alcuni anni nell’antipurgatorio, nella spiaggia alle pendici del monte del purgatorio, per una quantità di anni proporzionale al tempo che si è vissuti nel peccato. Forese è morto da poco ma è già in Purgatorio per la regola del suffragio, + i vivi pregano + le anime hanno uno sconto di pena nell’antipurgatorio. In questo caso il merito è tutto di Nella e qui abbiamo una palinodîa, una ritrattazione. Dante riabilita la figura di Nella, che ora viene presa a modello di moglie ideale. Per contrasto, così come Nella è simbolo delle donne dai costumi esemplari, le donne come lei a Firenze cominciano a scarseggiare. Nella viene quindi trasformata da donna vogliosa a donna sobria e casta, come le donne antiche di Firenze. Forese risponde alla domanda di Dante che vuole sapere come sia arrivato così velocemente nel purgatorio, vv 85-96. Qui troviamo il tema della rampogna negli ultimi versi. Sì tosto: così velocemente. Ossimoro, il dolce assenzio, l’assenzio è amaro. | dolori (martiri) sono dolci perché rispetto all’inferno le punizioni del purgatorio porteranno l'animo a purificarsi a salvarsi. La descrizione di Nella è affettuosa “la mia Nella, vedovella mia”. Liberato m’ha de li altri giri: ha fatto sì che i potessi salire direttamente al girone dei golosi senza dover purgare tutti gli altri peccati. Inizia il rimprovero sociale e morale verso le donne fiorentine, da parte di Forese. In bene operare è + soletta, è rimasta l’unica a bene operare. Il ben far in questo caso lo troviamo declinato in senso morale e non politico. La Barbagia di Sardegna: zona considerata particolarmente rozza, una zona impervia dove la civiltà non era ancora arrivata. Le donne di questa società che vive al di fuori delle regole civili sono + pudiche rispetto alle fiorentine. Paraetimologia, Dante accomuna Barbagia a barbaro, i termini sono assolutamente distinti ma Dante gioca sull’assonanza delle parole. In questo caso la decadenza di Firenze non è tanto politica quanto morale. È una città decaduta nella vita pubblica e anche in quella privata. Ritorna un elemento già visto nell’apostrofe contro Firenze del canto XXV, una punizione imminente che si sarebbe abbattuta sulla città. Qui è Forese che attraverso l’antivedere immagina un futuro vicino in cui Firenze sarà punita, in particolare le sue donne che vivono in un lusso troppo sfrenato e non si curano nemmeno di essere decenti nel loro aspetto. Dante entra in elementi fortemente misogini. Questo non deve stupirci, Dante è pur sempre un uomo del medioevo. Dolce frate: sono due amici e due poeti, per questo dolce (lo scrivere versi soavi e dolci). in pergamo: dal pulpito quindi nelle chiese. Dante denigra la moda licenziosa delle donne fiorentine a cui sarà proibito presentarsi in chiesa in abiti discinti. Questo tema si lega a quello politico, per quella lotta sfrenata per il potere che si era Ci sono all’interno della divina commedia giochi di bilanciamento tra un canto e l’altro, richiami anche molto distanti. Monte Mario a Roma viene paragonato a Monte Uccellattoio, guardando Firenze da questo monte vedremmo una città sfarzosissima di lusso eccessivo addirittura superiore a quello della Roma imperiale. La Firenze dei tempi di Cacciaguida era una Firenze non ancora sfarzosa ma questo è un elemento positivo perché nessuno badava + all'apparenza che alla sostanza. Il tema è quello del montar su, del voler dimostrare di essere meglio dell'altro. C'è poi il riferimento a dei personaggi probi del tempo, come per esempio Bellincione Berti, parente della buona Gualdrada comparsa nel XVI canto dell’inferno quando si parla di Guido Guerra, il capo guelfo che aveva combattuto a Montaperti. Guido Guerra discendeva da Gualdrada, considerata una donna di particolare virtù. Era la figlia di Bellincione Berti e apparteneva a questo mondo del passato buono di Firenze. Questo personaggio andava in giro vestito di cuoio ed osso, ad emblema della sobrietà della città. E le donne non si truccavano molto, e stavano a casa al fuso e al pennecchio, cioè a fare lavori femminili, il pennecchio è la piccola matassa di lana che gira intorno al fuso. Essere contenti alla pelle scoperta: accontentarsi di vesti di pelle semplice Il riferimento alla Francia è ai mercati che si tenevano anche all’estero, a quali partecipavano gli uomini e le donne rimanevano soli, fortunate invece le donne dei tempi di Cacciaguida che se ne stavano a casa a filare la lana ma avevano i mariti a casa. 12/03 Canto VI purgatorio - Ahi serva Italia Siamo nell’ambito di scrittura che è sempre la poesia di rampogna. Dal rimprovero morale passiamo al rimprovero civile. | sesti canti sono dedicati al tema politico, nel sesto dell'inferno il tema riguardava le divisioni di Firenze, nel sesto del paradiso troveremo la storia dell'impero, nel sesto del purgatorio una sorta di lamento sulle condizioni della penisola italiana. Dante ha già una concezione unitaria quantomeno dal punto di vista geografico che era divisa politicamente invece in città stato, e le città all’interno divise in fazioni laceranti. In questo canto vedremo il passaggio da Firenze all'Italia e troveremo l’apostrofe, l’apostrofe lamento, il tema del compianto. Non apre all’invettiva ma al tema del lamento e del dolore per un'Italia ridotta a terra di conquista. L’Italia viene personificata, fatta schiava e vituperata. Troveremo attacchi ad personam e a classi sociali, ci sarà un attacco molto violento contro la gente di Chiesa, il papa e il clero in generale, che dovrebbero occuparsi del lato spirituale e invece cerca di conquistare territori come se fosse uno Stato, quindi si arroga un diritto politico che in realtà non avrebbe. Attacchi ad personam, e le persone individuate nomi e cognomi sono gli imperatori, ci troveremo di fronte all’Alberto Tedesco che sarà colui che porterà il potere imperiale fuori dall’Italia. Tutto si chiuderà con una invettiva vera e propria, un attacco diretto, contro Firenze, in cui si rispecchiano le divisioni dell’Italia intera. Questi temi vengono introdotti da una figura di autore letterario, politico, che è Sordello. Tutto nasce da questo incontro tra Virgilio e Sordello che scopriranno di essere conterranei. Questi due autori grandi del passato, uno classico uno medioevale, non si sono conosciuti ma sentendo di essere della stessa patria si abbracciano. Abbiamo quindi il tema del sentirsi concittadini, e quindi l'armonia che per converso dà il la all'apostrofe contro l’Italia che si trova divisa tra il potere della Chiesa e quello dell’imperatore. Siamo ancora in una zona liminare del purgatorio, l’antipurgatorio, la spiaggia dove arrivano le anime penitenti e dove devono rimanere un tot di anni contati in relazione al tempo in cui sono rimasti nel peccato in vita. Nell’antipurgatorio c'è una spiaggia e poi una valletta con una salita dove troviamo gli spiriti tardi a pentirsi, negligenti. Tanti uomini politici, principi soprattutto, che hanno agito seguendo anche il valore della cortesia e della cavalleria militare ma hanno vacillato nella fede e si sono pentiti troppo tardi. Alcuni di questi poi hanno mancato anche al loro dovere civile descritti soprattutto nel canto VII. Siamo sotto il primo girone del purgatorio, nella zona anti-purgatoriale. All’inizio del canto c'è una similitudine con il gioco della zara, un gioco di dadi, Dante evoca l'immagine del vincitore che se ne va con la scorta di astanti mentre il perdente rimane solo. Analogamente in questa zona anti-purgatoriale le anime si assembrano per chiedere suffragi e dunque sono tutte in gruppo per cercare di ottenere uno sconto della pena. Questo per introdurre la figura di Sordello che invece sdegnando questa massa di persone se ne sta solo con pensieri gravi. Questo personaggio ha una statura morale molto alta. Siamo di fronte ad un canto politico, quando qualcuno ha atteggiamento sdegnoso e solenne. Mentre Farinata era superbo Sordello è un animo magnanimo e ha semplicemente un atteggiamento meditabondo, un’anima dolente. C'è un solenne abbraccio tra Virgilio e Sordello che si riconoscono compatrioti. Virgilio e Dante cercano la via per iniziare a salire il monte del purgatorio, Virgilio parla a Dante e gli indica un'anima sola soletta, post: rimasta. Le altre sono tutte accalcate a chiedere suffragi, questa invece aspetta il suo turno. Sola soletta potrebbe sembrare un appellativo con valore affettivo, in realtà è solo un duplicativo, intensivo, è proprio da sola e vuole starsene in pace. Sordello (1200-1269), preso a simbolo del poeta civile, che scrive riguardo alla patria, è di Goito, mantovano, vive nel 13esimo secolo, nato intorno al 1200 e morto intorno al 1269, vive quindi una generazione prima di Dante. Visse tra varie corti nel nord Italia, viene da una nobiltà impoverita, e vive da cortigiano, vassallo di vari signori, vive nelle corti da Verona e Treviso. Ha una vita inquieta e soprattutto sono inquieti i suoi amori. A Verona rapisce Cunizza da Romano la moglie del signore di quella terra, e sembra che abbia avuto con lei una storia segreta. Viene allontanato da Verona e si trasferisce a Treviso, anche lì crea un altro scandalo. Sposa in segreto un'altra donna, Otta di Strasso e sarà costretto ad abbandonare la corte. Si fa quindi una brutta nomea e viene allontanato dall'Italia, fugge in Provenza ed entra nella corte di Raimondo Berengario IV, conte di Provenza che morirà nel 1245. Questo conte ha una corte molto importante e Sordello viene protetto da un tale ser Blacatz che è il suo mecenate. Quando Berengario muore Sordello passerà al servizio di Carlo | d'Angiò personaggio che tra il 1265/1266 viene chiamato dal Papa e scende in Italia in funzione antimperiale. Scende a Napoli per andare a combattere contro Manfredi, da qui la battaglia di Benevento del 1266, con la morte sul campo di Manfredi e nel 1268 la sconfitta ultima di quello che rimane delle truppe imperiali a Tagliacozzo, si compie la dinastia degli Svevi in Italia, e di lì abbiamo un periodo di vacanza imperiale in Italia. La chiesa prenderà il potere temporale in Italia e questo porterà uno squilibrio. Sordello scende con Carlo d’Angiò e passa gli ultimi anni a Napoli. È fatta serva è il luogo di sofferenza, e poi una seconda metafora, l’Italia è come una nave senza timoniere durante una grande tempesta. La tempesta politica è il fatto che Papa e imperatore si facciano guerra l’un l’altro. Donna di provincie è un calco latino, donna è contrazione di domina, domina provinciarum, dominatrice delle provincie. L'Italia con Roma era stata domina provinciarum durante tutto l’Impero Romano e ritorna l’antica visione dantesca di Enea e di Paolo cioè l’Italia e Roma segnatamente, dovrebbe essere costitutivamente, perché è Dio che lo vuole, la sede dei due poteri, spirituale e temporale. Ma ora chiesa e impero sono indeboliti, l’imperatore è addirittura fuggito e la chiesa va dietro al vil denaro invece di salvare anime. Prostituita dalle varie famiglie che si contendono il potere, ma anche prostituita dal fatto che scendano stranieri a conquistarla, le grandi discese saranno in realtà nei secoli successivi, soprattutto nel 500 ma c'è già stata la discesa di Carlo | d'Angiò per esempio. Dante ci spiega dove nasce il suo lamento, dal fatto di aver visto questa concordia tra Sordello e Virgilio solo perché concittadini. A quell’altezza corrisponde la meschinità delle guerre fratricide in Italia. Il riferimento è agli scontri degli anni 60 del 200, Montaperti la battaglia di Benevento, dovuti alla mancata concordia tra papato e impero. L’un l’altro si rode... ci si rode uno con l’altro addirittura all’interno di uno stesso muro, una stessa fossa. Già non sarebbero giustificabili guerra tra papa e imperatore o tra città limitrofe ma addirittura la divisione coinvolge i clan famigliari di una stessa città. Emerge il tema dell’assurdità delle guerre fratricide che portano ad indebolire le città stato e di riflesso l’Italia intera. Questo tema tornerà forte nel Risorgimento, per esempio, con Manzoni e gli scritti della battaglia di Maclodio. Sono tutta una serie di topoi che verranno recuperati dalla tradizione letteraria fino all’800. Ritorna l’immagine personificata dell’Italia, tu Italia misera cerca tra le tue rive (prode) e intorno ai tuoi mari e poi guarda al tuo interno se ci sia una qualche parte di te che goda di pace. Tutta l’Italia è a ferro e fuoco. Domanda retorica: il tema è retorico e uno degli espedienti è usare delle domande che abbiano risposte scontate. Giustiniano è un personaggio che avrà un suo canto specifico, ci sono una serie di richiami e simmetrie tra le varie cantiche, qui viene anticipato un tema che verrà trattato nel sesto del paradiso, quello dell'impero e della giustizia. Giustiniano è un imperatore vissuto nel VI secolo d.C., non uno degli imperatori + famosi, ma noto perché intorno al 534 ha fissato le leggi, il codice del corpus iuris civilis, cioè le fondamenta del diritto occidentale moderno. Dante individua proprio lui perché il ruolo principale dell'imperatore non deve essere quello di esercitare il potere a suo piacimento quanto di fare le leggi e farle rispettare, il suo potere è legislativo prima di tutto. Colui che in accordo con le leggi cristiane, con il Papa applica quelle leggi al popolo. Esiste una giustizia divina ed interiore che viene da Dio e il Papa conosce, e lui deve suggerire all'imperatore queste leggi, ma a quel punto deve fermarsi, il Papa non deve agire sulla politica che è pertinenza dell’imperatore. Per questo viene chiamato in causa Giustiniano, che già nel nome ha la radice ius, diritto. Il potere temporale e quello spirituale sono assolutamente autonomi ma devono essere concordi, devono dialogare perché l'umanità non si allontani dalla virtù e cada nella corruzione. Dante svilupperà da qui e ce lo spiegherà nel 16esimo del purgatorio con Marco Lombardo, la teoria dei due soli, che recupera tutta una tradizione medioevale per dire che ci sono due fuochi che governano la vita umana, uno spirituale l’altro sociale e politico. Il primo ha come sole il Papa che interpreta le leggi le Dio e le rende comprensibili agli uomini, e dall’altra parte l’altro sole, autonomo rispetto al primo è l’imperatore, che ponendo le leggi indica concretamente agli uomini come comportarsi in società. Questa teoria è il frutto di un ragionamento che Dante sviluppa all’interno di un testo politico che è il Monarchia che è quel testo che Dante scrive negli anni 10-13 o 10-16 del 300 e che riflette su questo tema nel momento in cui Arrigo VII scende in Italia per provare a restaurare l'impero. In questo testo non parla ancora dei due soli ma confuta la teoria del sole e della luna che era la teoria + in voga all'epoca e veniva utilizzata per affermare un principio teocratico, secondo molti teologi medioevali il potere imperiale è derivativo rispetto a quello del Papa. C'è una gerarchia Dio, Papa, imperatore che è come la luna che vive di luce riflessa dal Papa e questo giustifica il fatto che in momenti di emergenza il Papa possa prendere potere temporale. È una linea teologica che cerca di giustificare il fatto che i Papi si occupino di conquiste territoriali, che abbiano eserciti, che facciano guerre ecc. Dante rifiuta tutto questo e con la teoria dei due soli punta sul principio dell'autonomia dei due poteri, entrambi dipendenti direttamente da Dio senza la mediazione del Papa sul potere temporale. Che val: a cosa serve che Giustiniano tempo prima ti desse le leggi, ti preparasse il freno, a questo punto l’Italia viene rappresentata come un cavallo imbizzarrito, terza metafora. Un cavallo che si trova a non essere governato. Il freno sono le briglie delle leggi. La sella è vuota, non c'è il fantino, l’imperatore. Se non avessimo le leggi la vergogna paradossalmente sarebbe minore. Il Papa ha preso così tanto potere in Italia dopo Benevento che ha spazzato via la dinastia degli Svevi e dunque in Italia non c'è + un imperatore, non c'è nessuno che faccia rispettare la legge, quella figura è stata usurpata dal Papa e questa confusione di poteri ha fatto sì che in Italia regni il caos. Gli attacchi personali qui riguardano l’imperatore Alberto tedesco, mentre per quanto riguarda la Chiesa si riferisce alla gente di Chiesa in generale, gli attacchi ad personam sono invece nel canto XIX dell’inferno. Due apostrofi in questo canto, all'Italia e a Alberto tedesco. Attacco agli uomini di Chiesa: l’immagine è ancora quella del cavallo imbizzarrito, la gente di chiesa, il clero, e il Papa quindi, dovrebbero lasciare sedere l'imperatore sulla sella. Cesare diventa antonomasia dell’imperatore. Ti nota: ti detta. Un attacco pesante alla chiesa che non segue la parola di Dio, il potere ecclesiastico è il primo ad essere corrotto. Le tre fiere prendono campo nel mondo per colpa degli uomini di chiesa che non vogliono seguire le leggi di Dio. La corruzione dell'umanità nasce da questi desideri distorti. Fiera è fatta fella: allitterazione della f che da idea di concitazione, di cavallo ingovernabile, fella è feroce. Poi che: dopo che. Poi vengono attaccati gli imperatori e nello specifico Alberto tedesco, questo un vero e proprio attacco ad personam. Siamo nella poesia dell’ira, dello sdegno. Alberto è successore dell'imperatore e ha lasciato deserto il giardino dell'impero, cioè l’Italia. Alberto tedesco perché proviene da una dinastia tedesca, Sveva la dinastia dei Barbarossa che era scesa in Italia. Dopo il 1266 abbiamo una fortissima crisi dinastica degli Svevi che sbaragliati con la morte di Manfredi vengono cacciati dal Italia a curare gli interessati dei ghibellini, come aveva fatto in precedenza. La questione è anche + complessa chiarita dal verso successivo. Santa Fiora era una contea non troppo distante da Firenze, vicina al monte Amiata che era retta da feudatari imperiali. La società medioevale era composta da città stato in cui le varie fazioni si contendono il potere, e poi tutta una zona del contado organizzata su feudi, cioè castelli intorno ai quali si organizzava un borgo che viveva sostentato dal castello. Il castello era abitato da feudatari che in gran parte avevano il loro diritto di feudo perché assegnato dall'imperatore, erano famiglie ghibelline. L'imperatore assente non può + presidiare questi territori e non fornisce + mezzi di sostentamento, ad esempio il feudo di Santa Fiore era diventato particolarmente decadente, era stato dato alla famiglia degli Aldobrandeschi che si erano impoveriti. Questo causava anche un problema sociale che Dante ci racconta nei complessi canti di Cacciaguida, cioè l’inurbamento, definito da Dante come uno dei motivi scatenanti delle discordie a Firenze. Molti di questi feudi erano decaduti perché l’imperatore non li curava + e dunque le famiglie ghibelline che detenevano il potere, ma anche alcuni abitanti del borgo che lavoravano per il castello iniziano ad inurbarsi, a trasferirsi in città. Questo crea lo scontro, la confusione delle genti che è per Dante elemento che porta alla competizione sociale, ai subiti guadagni, alla mercatura. È saltato il sistema feudale e questo porta molti a reinventarsi nei prestiti di denaro, nella mercatura, in tutte queste attività che Dante considera molto rischiose a livello sociale, perché portano alla ricerca sfrenata di denaro e alla brama di potere. All’origine di tutti questi eventi c'è sempre lo scontro tra papato e imperatore. Dante non si è avvicinato a posizioni ghibelline ma invoca l'intervento dell’imperatore per restaurare l'equilibrio, anche fosse per curare le magagne dei ghibellini. Roma secondo Dante è stata scelta da Dio come sede dell'impero e della chiesa. Roma piange perché l'impero deve aver sede lì e non in Germania. Anche Roma rientra nella metafora muliebre della donna abbandonata, vedova e sola. C'è anche una ascendenza biblica. Gerusalemme in un passo biblico viene descritta come colei che sedet solam, nel libro di Geremia. Lo stile si impunta, si innalza verso il tragico. Cesare in quanto primo imperatore diventa antonomasia dell’imperatore stesso. v.115. rovesciamento ironico, sarcastico. Vieni a vedere quanto la gente si odia. E se non ti smuove la pietà verso noi italiani, perché alla fine sei uno straniero e di noi non ti importa, torna il tema di quel crudele. Vieni a vergognarti di te stesso, della tua fama. Sia la vergogna a muoverti in Italia per sistemare la situazione. Qui siamo al culmine del rimprovero, questa rampogna che era partita come un lamento, ora è diventata un attacco di sdegno nei confronti di un imperatore che non fa l’imperatore. Si chiude la parte legata all’invettiva, all'attacco personale. L'ultima parte è dedicata alla preghiera. Giove non stupisce anche se rimanda alla religiosità pagana, ma è una licenza poetica, Dante utilizza spesso l’onomastica antica per indicare il Dio cristiano. L'idea di Cristo pietoso e misericordioso che si contrappone ad Alberto tedesco che è crudele e privo di pietà. A questa domanda Dante cercherà di rispondere nel 16esimo del purgatorio in cui si pone il problema del libero arbitrio. La fede vacilla di fronte al disfacimento dell’Italia. Oppure il Dio onnisciente, che conosce ogni cosa, è possibile che nell’abisso del suo pensiero stia preparando un qualche bene (alcun bene) che noi non possiamo conoscere perché il suo pensiero è imperscrutabile. Noi siamo persi nell'oscurità e non ci accorgiamo di una possibile salvezza. Perché le città d’Italia sono piene di coloro che prendono il potere senza averne il diritto, sono tutti usurpatori del potere, guelfi, ghibellini, guelfi bianchi, guelfi neri e il papa. Torna l'attacco contro i villani, coloro che non sono civili, che vivono in città senza rispettare le leggi del vivere civile. Ogni villano anche nel senso di non urbano, che prende una parte diventa Marcello. Marcello ha due diverse interpretazioni secondo la critica, ma con lo stesso significato finale, il salvatore della patria, ma in senso ironico. Ogni personaggio prepotente che agisce senza rispetto delle leggi e che prende parte, viene considerato il salvatore della patria, cioè la sconfitta della politica, la sconfitta delle leggi. Alcuni intendono un tale Claudio Marcello del quale parlano tanti storici, ma anche l’epica e Virgilio, che aveva espugnato Siracusa durante la Il guerra punica e quindi era stato considerato un salvatore della patria. Altri si rifanno alla Farsaglia di Lucano, e questo è + probabile perché è uno degli autori che Dante considera tra i suoi maestri, che racconta invece di un Claudio Marcello che era stato avversario di Giulio Cesare e quindi colui che voleva sostituirsi all'impero. Segue un’invettiva contro Firenze. Si suggella il tema della Firenze città partita che è iniziato simmetricamente nel sesto dell’inferno con Ciacco. Il tema è quello del rovesciamento sarcastico. L'apostrofe, ennesima, contro la propria città. Mercè: grazie al popolo che si dà da fare in politica. Siamo nel campo dell’ironia, Firenze è luogo dove anzi le divisioni sono + forti, e la digressione la tocca eccome. Molte anafore v 130, 133 possiamo vederlo in chiave di antifrasi rispetto a quei giusti sono due di cui parlava Ciacco, anche a livello linguistico ritorniamo su elementi come giustizia in cuore che ci riportano a quel canto. La giustizia, chi è giusto prima di parlare riflette, quindi spesso vengono sopraffatti da coloro che parlano secondo la legge di chi urla + forte. La giustizia scocca tardi dall’arco per non parlare senza aver riflettuto. Invece le bestie fiesolane hanno la giustizia in sommo della bocca, subito pronuncia sentenza senza aver cognizione di causa. Quelli che agiscono secondo giustizia rifiutano l’incarico comune perché la situazione è talmente corrotta e compromessa che non riuscirebbero a salvare le cose. E spesso vengono esiliati, Dante è uno di questi, uno dei pochi giusti. Una classe politica quindi totalmente impreparata e di persone che non sanno riconoscere ciò che è bene per la comunità. Ora puoi essere ben felice, sempre in senso ironico e poi di nuovo il rovesciamento rispetto al sesto dell’inferno dove c'erano i tre vizi individuati da Ciacco, la cupidigia, la lussuria e l'invidia. Ricca pace e senno ci ricordano invece le virtù della Firenze antica viste nel 15esimo del paradiso con Cacciaguida. lo dico il vero e lo dimostrano i fatti, che in realtà dimostrano tutto l’inverso, litote, formulazione ottenuta mediante negazione del contrario. Il riferimento ad Atene e Sparta che sono due città ideali che paradossalmente Firenze ha superato con il suo bene, naturalmente in senso ironico. Il confronto è in realtà impietoso. 17/03 Il terzo papa sarà Clemente V, Bertrand de Got, un papa francese che è papa dal 1305 al 1314. Sono 3 papi non in successione cronologica immediata ma tutti caratterizzati dal vizio della simonia e per questo si trovano in successione nel canto. Nella terzina precedente Dante dice di rendersi conto di un’anima che voleva parlare con lui e dunque Dante si piega per sentire cosa stia dicendo, come un confessore che si avvicina a un penitente in punto di morte. È Niccolò Ill ma Dante ancora non lo sa. Gli dice- tu sei già così davanti a me. E lo ripete due volte. La simmetria della ripetizione della domanda si trova nella ripetizione della risposta di Dante al v. 62. Se è così la capacità delle anime di antivedere deve aver sbagliato. Lo scritto è il libro del futuro. Nella finzione siamo nel 1300 ma Bonifacio VIII morirà nel 1303. Viene quindi condannato un Papa che nella finzione narrativa era ancora vivo. Bonifacio VIII si chiamava Benedetto Caetani, proveniente quindi da una famiglia romana importante, di grande potere fu papa dal 94 al 1303 ed è il papa dell'esilio di Dante. un Papa considerato negativamente anche per ragioni personali perché il mandante della sua condanna all'esilio. In realtà fece molte malefatte. Nel 1301 chiamò il finto paciere di Valois per ridare il potere ai guelfi neri. Succede a Celestino V, il papa che rifiuta il soglio pontificio dopo poco tempo, e secondo molti e secondo Dante questo rifiuto è stato indotto dalle pressioni di Bonifacio che vuole diventare papa. Bonifacio sarà colui che firmerà la bolla unam sanctam nel 1302. | papi hanno la possibilità di scrivere delle bolle, dei regolamenti e di farle girare nei vari luoghi ecclesiastici. In quella bolla sancisce un principio teocratico cioè sostiene che nella persona del papa possano trovarsi insieme i due poteri, spirituale e temporale. Questa distinzione dei poteri abbiamo visto veniva spiegata in chiave metaforica con la teoria dei due soli o del sole e della luna. Andando oltre Bonifacio VIII sostiene che i due poteri sono entrambi pertinenza del Papa e lo spiega attraverso un passo del vangelo di Luca in cui a Gesù nell'orto dei Getsemani vennero offerte due spade in difesa. Secondo l’interpretazione di molti teologi queste due spade sarebbero il potere temporale e spirituale che sarebbero stati offerti a Cristo. Bonifacio come erede di Cristo aveva ereditato entrambi. Tutto questo per risolvere sostanzialmente un problema economico. Il papa si trovato a dover redimere un problema su alcuni territori ecclesiastici in Francia. Uno scontro di potere tra Papa e Filippo il Bello re di Francia. A chi spettava riscuotere le decime dei territori ecclesiastici in terra francese? Con la bolla, subordinando il potere temporale a quello spirituale sostiene che quelle decime spettassero a lui. Il problema era quindi l’esazione delle tasse di territori ecclesiastici fuori da Roma. Si arriva perciò allo scontro, Filippo il Bello si allea con la famiglia Colonna, acerrima nemica della famiglia Caetani. Colonna Caetani e Orsini sono famiglie da cui spesso emergono i papi, sono famiglie molto importanti di Roma. In particolare, c'è un personaggio, Sciarra Colonna, che è colui che assedierà il papa nel suo feudo di Anagni. La famiglia Caetani aveva una residenza nei dintorni di Roma, nella città di Anagni appunto e il papa spesso si ritirava nel suo palazzo privato. Qui viene assediato dai colonnesi, che hanno un esercito personale ma possono contare anche su uomini dell’esercito di Filippo il Bello, il papa secondo la tradizione viene addirittura schiaffeggiato da Sciarra Colonna. Il papa morirà poco dopo questo episodio. Questo è il peccato di simonia di Bonifacio, che cerca di accrescere le sue ricchezze, un po’ manovrando la politica fiorentina cacciando i bianchi e poi soprattutto con la bolla unam sanctam. Bonificio VIII non è però ancora arrivato all'inferno. Niccolò III pensando di parlare con lui gli rivolge una domanda: sei già così presto sazio di quell’avidità per la quale non hai temuto di prendere con l’inganno la chiesa (la bella donna). Qui l’allusione è alla nomina di Benedetto VIII a papa a scapito di Celestino V che viene costretto a rifiutare la dignità di papa. E poi di farne strazio, ritorna l'elemento di corruzione della chiesa, gli uomini di chiesa che dovrebbero essere devoti portano invece alla corruzione la chiesa. La bella donna nel 32esimo canto del purgatorio viene rappresentata come la meretrix magna della tradizione dell’apocalisse di Giovanni, l’ultimo libro della Bibbia, una prostituta quindi, perché i papi l’hanno corrotta seguendo il dio denaro. Dante rimane spiazzato, si fa tale e quale a coloro che rimangono stupiti perché non capisce di cosa si stia parlando. Scornati: stupiti. Virgilio suggerisce a Dante la risposta. A questo punto l’anima di Niccolò, in segno di rabbia, storce i piedi, e poi con la voce dell’elegia, del sospiro e del lamento, dunque cosa vuoi che ti dica? Se tu Dante vuoi sapere che io sia, tanto da aver corso la riva dell’inferno fino a qui, devi sapere che io fui papa. E nella vita terrena fui un figliolo dell’orsa, simbolo della famiglia degli Orsini e qui Niccolò IIl rivela il suo nome. Cupido, quindi avaro, desideroso, che ha bisogno di accumulare denaro. Orsatti: orsacchiotti, discendenti della famiglia. Che su nel mondo misi in borsa l'avere, e qui ho messo in borsa me stesso, con allusione ironica al fatto che è conficcato nella terra. Giovanni Gaetano Orsini era un papa che aveva dedicato questi 3 anni del suo pontificato a favorire i suoi discendenti, da qui il termine di nepotismo, coloro che utilizzano la propria influenza politica per piazzare i parenti. Utilizzo la simonia il nipotismo per cementare il potere della Chiesa e lo fece soprattutto a scapito di Carlo d'Angiò, colui che era stato chiamato in Italia a combattere nel 1266 a Benevento contro Manfredi e che dopo la battaglia assume molto potere, e si insedia nel regno delle due Sicilia e da amico del papa diventa una possibile minaccia. Quindi la politica di Gaetano Orsini, che viene un decennio dopo rispetto alla battaglia di Benevento è quella di cercare di limitare il potere degli Angioini nel sud Italia, e quindi tutti i mezzi sono leciti, anche favorire i famigliari. La responsabilità della decadenza della Chiesa e sempre individuale e colpisce uomini precisi, Dante non condanna la Chiesa né tantomeno il Cristianesimo, ma il vizio di uomini diventati papi. Niccolò III quindi profetizza l’arrivo di Bonifacio VIII e dopo di lui un papa ancora peggiore, Clemente V. Niccolò spiega come funziona il meccanismo dell’arrivo delle anime in questa balza delle malebolge. Sotto la mia testa ci sono gli altri che mi hanno preceduto nel peccato della simonia. Per le fessure de la pietra piatti: appiattiti tra le fessure della pietra. Subito: repentino. Non c'è quindi dubbio che Bonifacio arriverà tra i simoniaci. Non passerà molto tempo dall’arrivo di Bonifacio VIII che arriverà un altro papa, che ne arriverà un altro a prendere il suo posto. Niccolò sta aspettando da 20 anni, e 3 ne devono ancora passare, 1280-1303. Bonifacio rimarrà in questa posizione solo per 11 anni, Clemente V arriverà nel 1314. È + il tempo in cui già mi sono cotto i piedi che sono stato capovolto con la testa nel terreno, che Bonifacio non rimarrà Bonifacio con i piedi infiammati. Laida opra: per un’opera ancora + sporca, un papa perfino peggiore. Ver ponente: di verso ponente, verrà da ponente, conviene: è necessario.
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