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Letteratura Italiana Contemporanea - 2022/2023 - Prof. Riccardo Gasperina Geroni, Appunti di Letteratura

Appunti completi ed esaustivi delle lezioni tenute dal professore, durante l'anno accademico 2022/2023: Introduzione al Neorealismo - Vittorini - Carlo Levi - Calvino - Pavese - Primo Levi - Viganò - Rigoni Stern - Fenoglio

Tipologia: Appunti

2021/2022

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Scarica Letteratura Italiana Contemporanea - 2022/2023 - Prof. Riccardo Gasperina Geroni e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA: QUALE REALISMO? 19/09/2022 Non esiste la problematica del realismo ben definita in due date, sono due ipotesi: e allora 1939 inizio della Seconda guerra mondiale e 1963 non è data simbolo, ma coincide con le ultime opere del neorealismo. La prima settimana facciamo il realismo: panoramica e brainstorming sul suo problema. Poi, ogni settimana, un autore specifico e i suoi testi. Dal 9 novembre: lunedì, martedì e mercoledì alle 17-19 (CAMBIANO GLI ORARI!) (Giovedì registra, in caso) Esame scritto facoltativo: 9 gennaio ore 9.30, questioni trattate durante il corso – bonus + riduzione dell’esame orale. Sviluppo di un concetto o di un temo, questione più ampia e con riferimento a più autori. Esame orale: 13 gennaio, ore 9.30. [TIP ESAME: Lukasc non fa chissà che grande conversazione all’esame, perché riguarda soprattutto un contesto 800esco che il corso non tratta; TUTTAVIA, guarda bene le prime pagine dove l’autore spiega differenza tra narrazione e descrizione] [Seminario serale (mercoledì alle 20.30) di letteratura italiana contemporanea, con diversi autori: romanzo della resistenza, il 68, la rivolta del 77 bolognese…: problematica della cultura giovanile a Bologna.] Non esiste una scuola neorealista: si può parlare di neorealismo all’interno del cinema, ma non in lettere. Esistono tanti neorealismi quanti sono gli autori. Non esiste parità di genere nei testi perché sono difficilmente reperibili: sono testi che difficilmente entrano nel canone del neorealismo. Vittorini: capostipite della famiglia del neorealismo. E da lì si va in ordine cronologico fino al 1963 con “Una questione privata”. La nozione di realismo è molto utilizzata dalla critica letteraria, ma è difficile da riuscire a racchiudere all’interno di una definizione specifica: è multiplo, evanescente e condizionato dal sistema di rappresentazione corrente di una data cultura/persona e in un determinato tempo. In filosofia tocca alcune lezioni legate alla Scolastica che crede nelle categorie universali all’interno della realtà; il realismo nella filosofia moderna si oppone all’idealismo (legato al mentale): il realismo è legato all’empirismo (esiste una realtà esterna che si scontra con la coscienza dell’individuo) -> già dall’epoca medievale a quella moderna cambia quello che è il concetto di realismo. Nell’800 è corrente letteraria filosofica: in Italia si declina nel Verismo; ma è anche approccio alla realtà, al modo di intendere la realtà o anche una forma espressiva coerente con la realtà, il realismo è anche lo stile di un’opera, se è più o meno simile alla realtà e come atteggiamento pragmatico nei confronti del reale. Il grande movimento letterario del realismo nel 900 passa in secondo piano, perde di sicurezza e rimane un problema squisitamente formale, e il realismo spesso se non è associato a un aggettivo (realismo ingenuo, realismo borghese, realismo socialista, realismo proletario, realismo magico…) significa poco soprattutto se senza prefissi (surrealismo - legato alla scoperta dell’inconscio che produce sommovimenti imprevedibili all’interno della realtà negli anni 20, neorealismo, iperrealismo -quest’ultimo molto usato recentemente). Platone citazione Cratilo: problematica del realismo nasce con Platone, e si accompagnerà poi ad aristotele con la Poetica. Il giudizio di Platone è negativo rispetto a colui che mediante sillabe e lettere cerca di imitare la sostanza delle cose, falsificandole (falsificazione da condannare per Platone). Si avvicina al naturalismo, al verismo, realismo può essere accompagnato dalle parole “imitazione”, “rappresentazione”, “verità” ... e si oppone ai movimenti che dalla realtà si discostano (idealismo, simbolismo - da una parte c’è propensione di chiusura dell’artista rifugiato in una realtà di simboli, romanticismo). Definizioni di realismo: George Eliot: realismo coincide con lo studio della natura, idea vecchia del realismo letterario. Umile e fedele: riproduzione della natura – per esempio: corrente pittorica legata alla riproduzione di elementi pittorici en plein air. Realtà che è verità e bellezza, non menzognero come dal 900 con la grande svolta: è ancora un realismo non contaminato dalla fantasia, dalle forme vaghe. Guy de Maupassant: realtà che non coincide con la natura, lo studio della natura è attivo ed è compito dell’artista completare la natura rendendo la cosa da lui rappresentata più realista della natura stessa. Roland Barthes: realismo compreso e interpretato male, e consiste non nel copiare il reale, ma nel copiare una copia dipinta del reale (è la copia di ciò che noi pensiamo del reale). Conclusione: l’interpretazione del realismo sono molteplici. Realismo è problema che attraversa ogni scrittore, artista e in qualche modo si avvera l’idea secondo cui l’ista muore, ma resta l’arte. Due possibili distinzioni che si devono tenere in considerazione in reazione al problema del realismo: Realismo in senso stretto: il realismo aveva una sua natura precisa. 800, Francia rurale: giovane donna si sposa presto con farmacista, inizia a leggere i grandi classici del romanticismo. Inizia una realtà spostata sul piano della fantasia capendo che la sua vita è insoddisfacente: non ha percorsi stabili coi due amanti e lei si suicida perchè la realtà non ha corrispondenza con quella vita vagheggiata e letta nei libri romantici. Autori: Balzac, Zola, Verga, Eliot, Flaubert, Stendhal sono gli autori degli anni 90 dell’Ottocento. Obiettivi: Portare nella letteratura questioni di urgenza politico-sociale (pescatori di Acitrezza per Verga, questione operaia…), caratterizzazione del lessico molto più sociale (ampio scorcio panoramico sulla società tutta: d’altronde il romanzo nasce nel 700 secolo dello sviluppo della borghesia – e comunque, caratteristica più verista che realista in generale), grande quantità di dettagli descrittivi (descrizione di usi sociali, delle abitazioni, del paesaggio…) e tendenza all’obiettività. Tutto ciò è legato anche all’economia di mercato e le trasformazioni politico-sociali cruciali anche per la contemporaneità e avvento dell’epistemologia più razionalista e materialista (problematica del marxismo – proletariato che avrebbe dovuto redimere la storia). Contesto storico culturale nei quali sono calati, ma anche della stagione precedente. Realismo in senso lato: realismo= rappresentazione della realtà ovvero realismo come mimèsi (imitare, deriva dal greco mimesis - rimanda al mimetismo). L’imitazione ci riporta quindi a Platone, “La Repubblica” 375 ca a.C.: la mimesis per Platone è capacità di chi racconta/riproduce (poeta, artigiano, pittore…) la realtà. La possibilità per il rapsodo di prendere le parti di un personaggio e parlare con la voce di quel personaggio determinato. Tseia Diunamis: potenza divina pericolosa per l’ordine politico-sociale perché è una forza irrazionale che stimola le passioni e produce frattura nell’ordine costituito. Il personaggio due testi: nell’Odissea prevale l’aristocrazia; quindi, si ha una rappresentazione del mondo proprio delle classi agiate, a un determinato stile etico corrisponde la descrizione di un determinato mondo (in questo caso, quello dell’aristocrazia greca). Con ciò diventa chiaro che la conseguenza della struttura verticistica, ovvero, essendo tutti figli uguali di uno stesso Dio, è che non c’è separazione degli stili ma c’è uno stile che coinvolge tutto il mondo sociale -> ricadute sul modo di intendere la realtà, mobilità sociale. Distinzione che costituisce per Auerbach la storia del realismo europeo. Per ciascun testo, utilizzerà solo questo metodo, prende estratti testuali molto definiti all’inizio del capitolo e poi costruisce una teoria molto complessa e avvincente. Due i tratti essenziali: chiarezza e oscurità, cioè stile orizzontale e verticale (testo che allude a cose esterne al testo); e la contaminazione degli stili. Si può leggere l’epoca in cui è nato proprio quel testo letterario dallo stile. Auerbach cerca di mostrare cos’è il realismo, il modo in cui la realtà rappresentata entra nel testo. NEO-REALISMO 1951 “Inchiesta sul neo-realismo” di Carlo Bo, intellettuale appartenente al gruppo di un movimento intellettuale degli anni 30 con sede a Firenze, ovvero dell’ermetismo. I suoi membri avevano rapporto con la realtà molto particolare: ermetismo è un termine che deriva da Ermet ?? (ha a che fare con l’orfismo che rimanda all’oscuro, oscuro anche perché si tratta del periodo fascista). Esistono tante forme di neorealismo quanti sono gli autori. Per quanto riguarda il cinema si può parlare in ambito cinematografico dato che ha caratteristiche ben definite, in ambito letterario no: in Italia il modello di riferimento è il verismo nella seconda metà dell’800. Il vero è la sventura in cui la famiglia incappa durante il periodo dell’avvento del Regno d’Italia, il vero è anche il linguaggio con elementi tipici del luogo in cui avviene la vicenda. Descrizione molto particolare del paesaggio, paesaggio diventa perfetta per calare le storie in particolare quelle della resistenza, ambientazione molto realistica, è tutto calato nel mondo di Acitrezza coi suoi usi e costumi. Linguaggio anche vicino al parlato. Il verismo si riconnette alla corrente francese del naturalismo (assunto del naturalismo è legato all’ereditarietà dei caratteri, inevitabilmente i personaggi agiscono in un modo date le caratteristiche esterne, è un determinismo, soprattutto sociale): la famiglia di Acitrezza soccombe economicamente (affonda il peschereccio con il carico di lupini). Tentativo degli scrittori di riprendere gli elementi presenti all’interno dei testi (ciclo dei Vinti di Verga) ma viene tradotto all’interno di ?? (mette film di Luchino Vsiocnti). Luchino Visconti, 1948. Scelta degli attori: persone estrapolate dalla loro routine e buttati dentro un film. Film parlato in dialetto. Presa diretta: intento dell’artista è di cogliere la realtà bella sua spontaneità, i filtri introdotti sono ridotti al massimo, per non contaminare l’ambiente caratteristico. Inevitabilmente c’è una focalizzazione su quelle che sono le problematiche sociali legate alla miseria, soprattutto per queste classi sociali rappresentate (il Ciclo dei Vinti doveva chiamarsi Ciclo della Miseria), dopo la distruzione fisica (dai bombardamenti), morale ed economica dopo la guerra e dagli orrori del fascismo e della Repubblica di Salò: miseria è il dato centrale, elemento caratteristico. Tensione per quella che vien definita la Questione Meridionale che entra prepotentemente nel dibattito: si vedrà sia in Vittorini che in Carlo lìLevi che nel 35- 36 viene mandato al confino dal fascismo e scopre un mondo che resta incontaminato rispetto alla Torino da cui veniva. 22/09/2022 Ricapitolando brevemente: Le forme letterarie possono comunicare ed essere frutto (allo stesso tempo) di un determinato mondo: le fonti ci parlano, è il lettore/critico che deve cogliere le esigenze testuali. In Auerbach si nota come i due toni siano differenti: mondo greco con prevalenza focus sul mondo degli eroi e quello della poesia etica, del linguaggio sostenuto e rivolto a un pubblico ben selezionato, quello aristocratico -modello orizzontale, cosi chiamato x la chiarezza del testo omerico, non ci sono sottintesi, sfondi, oscuri-; il modello biblico è il secondo grande modello della cultura occidentale, verticistico perché è dio che da senso e luce a quello che c’è sotto, ma sotto vi è un popolo paritario, ragione per la quale l’egualitarismo viene rappresentato (storicismo prospettivistico, si alternano i due modelli: si parla di storicismo perché Auerbach, con formazione romantica, idealista, vede un telos, fine alla storia e vede l’egualitarismo come passaggio in avanti rispetto al mondo greco. Scrive Auerbach “il particolare… con la dedizione e lo studio approfondito: per studiare i testi, la tecnica è importante. Per realizzare una grande opera di tipo sintetico (come quella di mimesis, che cerca di rappresentare più testi, più parti, di testi che vengono poi tradotti e analizzati) è necessario trovare uno spunto (prendere un punto del testo e da lì estrapolare una concezione, un’idea (es. cicatrice di Ulisse) e da lì si ricostruisce il mondo greco, il mondo dei poemi. In lingua letteraria e pubblica. Età moderna (800) si caratterizzerà, secondo Auerbach, dalla borghesia che permette di rappresentare in modo serio (il popolo era rappresentato attraverso il comico/la commedia nelle rappresentazioni greche), vince il modello della mescolanza biblico. Rappresentazione seria della realtà quotidiana, della realtà minuta: grande rivoluzione del realismo europeo è che entrano nel mondo letterario quindi anche i ceti inferiori, oggetto di rappresentazione problematico-esistenziale (?). Auerbach parla della storia del realismo dagli inizi a Woolf: l’interesse per il realismo e per lo storicismo è figlio del periodo storico (attenzione generale europea verso tutto ciò che riguardasse il peso della storia: la storia aveva bussato alla porta, questa era la sensazione di coloro che avevano vissuto la Seconda Guerra Mondiale). Per Auerbach nasce un terzo modello: il modernismo europeo, quando viene meno la trascendenza divina, non c’era più la pretesa di voler rappresentare la Verità, non c’era più la coesione che la fede può garantire: Joyce, Kafka, Mann, Proust… In Italia la questione è più articolata. Letteratura italiana dei primi anni che porta poi al romanzo (perché è proprio dal romanzo che parte il neorealismo). Cultura italiana: la prima problematica è che in Italia il romanzo non è un genere che funziona nei primi 30 anni dell’Ottocento, nonostante la produzione dei romanzi, che però circolavano solo in ristrettissimi circoli letterari. (per es. Pirandello era considerato per le sue opere teatri, non per i romanzi). La cultura del romanzo fa fatica ad inserirsi in Italia, non c’era consumo Liala era vendutissima negli anni 10-20 in letteratura popolare (romanzo rosa): stile elementare, semplice, adatto per un pubblico basso. Altri non venivano letti, es. La coscienza di Zeno, nessuno aveva capito la grandezza di Svevo, fino a che non viene parlato di Svevo a Montale e lui lo lancia attraverso il giornale). In Italia c’era attenzione verso altri generi: c’era una cultura alta che passava attraverso alcune voci che rappresentano le punte maggioritarie di quegli anni: ad inizio secolo, in Europa. Nasce la prima avanguardia, l’”avanguardia storica” nel 1909 pubblicazione del Manifesto del Futurismo sul Figarò: ‘avanguardia’ è un termine con connotazione militare, è colui che sta davanti, perciò innova e perlustra -> bisognava annullare, distruggere la tradizione che veniva definita passatista (va anche per questo di pari passo con l’innovazione delle città europee, la velocità del progresso di inizio secolo: ben visibile in L’uomo senza qualità testo, tra l’altro, essenziale per il modernismo europeo). Il romanzo più famoso di Filippo Tommaso Marinetti è Zam Tum Tum (?): forte corrispondenza tra realtà come era considerata dai futuristi e la pagina stessa, scardinata da ogni logica, da ogni status quo; l’obiettivo di Marinetti, in generale, col futurismo era una rottura verticale con la letteratura introspettiva del secolo precedente (il simbolismo, l’idealismo, il romanticismo… “sostituire la psicologia dell’uomo con la materia” dice nel manifesto): movimento che rompe col passato e che porta con sé sentimenti che cadono nell’irridentismo e nell’interventismo. Anche in Francia, Russia, Germania, Inghilterra…; anche sottoforma dell’arte con il dadaismo e surrealismo; viene scoperto l’es di Freud, l’inconscio, strato irrazionale di pulsioni: grande rivoluzione dell’800 che ad inizio del 900 prende spazio. Altri movimenti che portano verso il neorealismo sono La Voce, la Ronda: due giornali periodici all’interno dei quali compaiono i principali testi che vengono prodotti in Italia tra la fine del 1 decennio del 900 e il terzo decennio (1907-1922), prima c’è la Voce e poi la Ronda cronologicamente. In un libro, “Il romanzo del 900”, viene scritto negli anni 60 da Giacomo Bendetti, docente che non riesce a entrare all’università ma che insegna a Roma all’università come contrattista, libro fatto dilezioni ed appunti che raccoglie la storia della rinascita del romanzo proprio dai fenomeni della Voce e della Ronda (gruppi di intellettuali che affronta la modernità attorno ad un giornale) Benedetti afferma che sono stati i fenomeni più importanti, la Voce più di sinistra, quindi portava delle influenze di sinistra per un cambiamento politico-sociale diverso; mentre la Ronda assume più una connotazione conservatrice di tradizione, rimanda all’idea della squadra d’azione, che ha a che fare con l’ordine e rientra in quel movimento italiano degli anni 20 “Ritorno all’ordine” per contenere il fenomeno di rottura invocato dagli avanguardisti. -> lirica, frammento, breve testo in prosa che ha potenti elementi lirici: non si ha la struttura del romanzo, ma si hanno testi brevi con elementi che riguardavano prevalentemente l’io e la soggettività di chi scrive, in un contesto letterario-filosofico in cui domina Benedetto Croce, come modello a cui tutti guardano, che nel 25 firmerà contro il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti, scrive Estetica e Breviario di “Estetica”, “Poesia e non poesia” (il romanzo non va perché la poesia è atto di qualcosa legato a qualcosa di intuitivo, è “prima conoscenza del reale”, che si esprime sottoforma di sentimento intorno al quale individuale e universale si uniscono. Il frammento -es. poesia- era il più vivido possibile in uno spazio molto conciso): testi a cui, secondo Benedetti, la Voce e la Ronda si ispiravano. La rivista era anche un gruppo, in cui si arrivava ad una idea di arte collettiva che risentiva degli aspetti propri dell’estetica crociana. L’ermetismo, insieme alla Voce e alla Ronda, è un altro esempio di quella cultura alta italiana di quel periodo. Il testo più rappresentativo è la poesia: “L’Isola” del 1925, titolo che già rappresenta lo spazio. Il tempo è sospeso, come in una rappresentazione pittorica, è bucolico. Testo che nasconde una propensione dell’Io lirico che si addentra e si nasconde. Ungaretti si chiedeva perché l’isola e rispondeva “perché l’isola è dove mi isolo”, esiste questo luogo, vicino alle campagne laziali, luogo che diventa luogo dell’anima, precaria felicità e precaria sospensione rispetto a quei momenti storici. La centralità dell’io lirico solitario in conflitto con il mondo, un io chiuso, desideroso di acquistare spazio nella società, ma comunque rotto dal resto del mondo è una centralità che si riprende nel romanzo. Si assolutizza la lirica in questa poesia e nell’ermetismo. Valorizzazione di forme metriche aperte; riferimento all’analogia. Letteratura luogo di rifugio esistenziale, permetteva di nascondersi in una specie di Eden. Rispetto al fascismo, poteva dire che il modo si fare arte era antifascista e per cui si nascondevano in una poesia chiusa, ellittica, dai contenuti antifascisti in modo velato oppure perché c’era una sorta di convivenza con il fascismo, una sorta di passività nei confronti di ciò che accadeva in società (e quindi l’allontanamento dalla società stessa, in entrambi i casi). 1930: cambiamento: torna in auge il modello verghiano (tant’è che si fa un film, quello di Luchino Visconti): si parla anche in critica, di Neoverismo, proprio per questo motivo. Si riscopre anche Svevo, grazie al giovane Joyce che studiava a Trieste. Si iniziava a discutere del modernismo, stavano arrivando lentamente in Italia i modelli europei, testi del mondo europeo, grazie alle riviste letterarie. G. Falaschi parla degli anni 30 chiamandoli “Verso il Realismo”. Nel 1929, “Gli indifferenti”, che parla della borghesia in decadenza fascista romana, famiglia costretta a vendere la villa, a causa del nuovo contesto sociale e politico e alle nuove incombenze. Arriva lo speculatore Leo, che intrattiene una relazione sentimentale con la madre, motivata dalla volontà di farsi regalare la villa, e poi con la figlia: triangolo scoperto dal fratello che in un gesto di volontà di ribellione prende una pistola e cerca di sparare a Leo, rendendosi impotente, incapace di incidere sulla realtà -> esprime molto bene la ribellione e l’impossibilità da parte della gente contemporanea di incidere sul reale. “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro: momento in cui la questione meridionale è centrale: povertà e miseria generano interesse tanto che diventa centrale nella narrativa realista: gente che talvolta cerca di ribellarsi, il tentativo del figlio della famiglia protagonista è un tentativo di ribellione contro i ricchi sfruttatori, ma fallisce. Un altro romanzo è “Fontamara” di Ignazio Silone, ribellione del popolo di Cita poi il cibo, anch’esso, con i piaceri legati ad esso e al piacere carnale sono legati ovviamente alla corporeità: il corpo permette di ritrovare o riscoprire degli elementi. Stasi è la situazione iniziale, che viene rimandata alla condizione della guerra civile spagnola, momento nel quale nel 36 una parte degli Italiani prende atto della deriva del regime fascista (appoggiando la dittatura di Francisco Franco). Anche il padre si è trasferito nel nord Italia, a Venezia con un’altra donna. La lettera è stratagemma letterario: ribalta il punto di vista: capiamo da qui che il protagonista è un po’ fuori: chiama la moglie con cui ha anche dei figli “ragazza” e si capisce anche che ha lasciato casa all’età di 15 anni. La lettera è anche snodo narrativo: richiamo all’infanzia, al ricordo, alla memoria sulla quale si innesta il viaggio: il fatto che già da qua si capisce dell’idea del viaggio. Titolo si va a stratificare, da quello superficiale letterale. La lettera rimanda il protagonista a una descrizione del padre, estetica e caratteriale (Macbeth). Passo che induce al bisogno di ricordare. Nella sua passione di teatrante c’è tratto caratteristico del padre che desidera mettersi in mostra attraverso recite di Shakespeare: figura genitoriale assente o debole -> assenza biografica, ma si ripercuote nel complesso di edipo (Freud riprende il mito e lo reinterpreta andando a spiegare che è di tutti i bambini l’impulso alla madre; e di tutti i padri il tentativo di taglio dell’impulso). L’assenza genitoriale è di un’intera generazione, non solo della sua, assenza derivata dal fascismo. Anche i tratti istrionici del padre sono ripresi dai tratti fascisti. Scena legata al ricordo della propria infanzia: bisogno di ritornare si instaura, nonostante la brevità del flash. Parallelismo tra piano individuale e collettivo costante e in duplice modalità. Dipinta una vita priva di colori, resa ancor di più attraverso il polisindeto fino poi al genere umano perduto (perduto davanti alla Seconda guerra mondiale). Sommovimento creato dalla lettera del padre crea a sua volta in Silvestro l’idea del piffero che suona: topi sono i giorni della memoria che torna. “Nuovi massacri” era sempre la guerra civile spagnola. Gli elementi che Vittorini mette in gioco all’interno del testo sono allusivi. 29/09/2022 Pasolini decidere di rappresentare negli anni 60 (quando smette di scrivere) tragedie, tra cui l’Edipo re nel 1967. “Non voglio vederti” dice Edipo, ma la sfinge è lì. “L’abisso in cui mi spingi è un abisso che tu hai dentro te stesso” risponde la sfinge: l’uomo è predeterminato dall’infanzia ad istituire un duplice rapporto con la madre e con il padre che inibisce i sentimenti del bambino. Dinamica, quella del complesso di Edipo, sottolineata non solo da Freud, ma da tanti intellettuali anche ricalcando l’elemento paterno come lo stato che regola gli istinti degli individui. Principale chiave di lettura anche in Vittorini. Per capire il contesto di Conversazione in Sicilia: 1932 il fascismo attua una ripresa di Roma: fasti dell’epoca romana dal suo apogeo (Impero di Augusto) per mettere in mostra la romanità nella sua attualità: Via dei Fori Imperiali fatta dal fascismo. Tanti sono gli elementi in comune tra fascismo e Roma: politica imperiale, intellettuali legati ai potenti (bimillenario della nascita di Virgilio, emblema dello scrittore intellettuale che ha cantato la grandezza di Roma, mobilitazione della cultura (intellettuali di epoca repubblicana poi diventati cantori dell’epoca imperiale) spinge a sviluppare accademie… per portare gli intellettuali a cantare nel suo giro, volontà di conquista dell’Africa: uomo romano è uomo forte, che combatte per la patria e per la propria identità razionale… In realtà poi il tutto viene ribaltato, anche il mito dei conquistatori viene ribaltato: Vittorini rielabora questo mito. Vittorini in questo suo viaggio incontra dei personaggi legati al clima storico contemporaneo. La puzza è dei fascisti! (Cap. VI) Il personaggio riprende il padre, e il padre viene ripreso allo stesso modo, come un guerriero (scheletro di corazza di guerriero) all’interno vuoto: prima era ambivalente e assente, ora assume un’altra caratteristica: Vittorini costruisce generalmente il racconto su più piani. Siciliano, lombardo e normanno: opposizione dettata dall’utilizzo che Vittorini fa dei longobardi (popolo dei germani che penetra dopo un lungo periodo di nomadismo, portando alla morte l’Impero romano): Vittorini punta tanta energia su quest’uomo perché serve per la costruzione dell’uomo nuovo. Nicosia e Aidone: c’era sopravvivenza ancora a quegli anni dei longobardi in Sicilia. Breve descrizione, che sta bene nello spazio in cui è inserita, non dà colorazione (con aggettivi che qualificano la scena, si è ancora legati al bianco e al nero: continuo gioco sulla colorazione. Tendenzialmente la scena è in bianco e nero ma ci sono degli schizzi di colore qua e là. La sua tecnica di costruzione del testo è molto legata alla fotografia dell’epoca: ragion per cui è in bianco e nero. Proprio attorno alla figura del Gran Lombardo, Vittorini mette 3 immagini, nell’edizione del 5?. Uno degli uomini è Napoleone a Colajanni (personaggio siciliano legato a Garibaldi, legato quindi all’unità di Italia e l’idea della repubblica democratica = figura di opposizione alla puzza del fascismo). Il Gran Lombardo deriva da una citazione della Commedia di Paradiso, 17: Gran Lombardo è colui che nel 1304 dà ospitalità a Verona a Dante dopo l’esilio. Il Gran Lombardo acquisisce quindi ogni tot sempre più caratteristiche allegoriche. Vittorini introduce quindi altre figure all’interno del suo scompartimento. Uomo “antico” rimanda a qualcosa di originario, arcaico, lontano nel tempo: indice di presa di coscienza del presente. Ha una statura morale che i due che fanno puzza non hanno. Idea nuova di uomo che si costruisce con l’andare avanti del libro, passa per tutte le figure attraverso dimensioni particolari: puzza è dimensione sensoriale, poi i corpi (il corpo ha caratteristiche che lo rendono in una dicotomia tradizionale e filosofica molto più legata al qui e ora rispetto alla mente). Rivitalizzare il presente partendo dal corpo arrivando poi alla sensualità quando arriva in Sicilia e poi agli elementi originari, più antichi che percepisce la realtà nella sua sensorialità: pone modello di uomo che va in una direzione diversa: romanità viene accantonata: modello di Roma coi fasti e con gli uomini che aiutano il regime a propugnare i propri ideali (sceglie modelli che, dal punto di vista già visivo, sono opposti al modello romano), contro gli astratti furori dell’inizio. [Alla fine del libro scrive che era uguale Sicilia o persia o boh: poteva cadere nella censura se avesse messo solo Sicilia perché andava un po’ contro il nazionalismo italiano: temeva che anche questo (oltre ad un altro già in precedenza censurato) facesse questa fine. Addirittura, la censura dice che era pornografico e quindi immorale per censurare o togliere un testo scomodo dal mercato. “Americana” di Vittorini viene immediatamente tolto dal mercato.] Gran Lombardo presentato come un uomo regale, a cavallo con tre figlie, che pensa a Nuovi Doveri (che verrà a costituirsi come un'altra espressione ricorrente): MATURO è un’altra parola chiave. LA ripetizione con cui Vittorini parla sembra un balletto. “Ih”: sintomo di rassegnazione, riporta alla dimensione fortemente sensoriale, raffigurazione di una frustrazione, ma è una parola vuota, senza corpo di voce, che non significa nulla. Animale che rappresenta i doveri: bove: doveri completamente diversi da quelli del Gran Lombardo Predomina il periodo paratattico si regge sulla congiunzione “e”: costruzione parallela per indicare l’azione di coloro che scendevano dal treno. Gioco col pesceduovo: è ancora dimensione sensoriale: elementi attraverso i quali il suo corpo si rigenera. “Dissi e risposi” sono i due verbi più utilizzati, permettono struttura dialogica di botta e risposta, oltre che rirendere il titolo “Conversazione in Sicilia”. Arriva in Sicilia e sceglie di prendere un altro treno per andare dalla madre dopo aver conosciuto questi personaggi legati al mondo sensoriale. Americana censurato nel 1941.si apre con l’immagine legata alla natura e al modo di costruire dell’uomo una baracca in una campagna: insieme di testi estrapolati dalla letteratura anglosassone (Melville, Hemingway…) e tradotti da Montale, Pavese, antologizzati. Censurato perché problema di contrapposizione al mondo americano, perché molto giovane rispetto a quella europea: c’è purezza e ritorno alle origini che è molto diverso da quel tentativo di riesumare fasti di un’epoca passata; perché giustapposizione di immagini, voce selvaggia data dalla letteratura originaria che punta molto su valori definitivi (terra, sangue… mondo estraneo alla letteratura italiana. C’era estrofilia che non poteva essere accettata dal fascismo. Superamento dell’internazionale che da una parte riconosceva il disordine del mondo e dall’altra ritrovava dei paradigmi di purezza e gioventù da cui ripartire per pensare il presente. Va pensato in funzione di quella purezza, tutto ciò che attiene alla sfera del corpo. La madre cucina un’aringa: ha tratti proustiani: rimanda a periodo dell’infanzia in cui i rapporti familiari erano complicati. Lettera di Pavese (conosceva perchè aveva tradotto alcuni brani) a Vittorini su Americana. LA censura fa lavoro di epurazione sulle introduzioni fatte da Vittorini (da cui emergevano valori nuovi) e lascia i testi tradotti. “Caro Vittorini, ti sono debitore di questa lettera perché penso ti faccia sapere che siamo tutti solidali con te [...] e tutto il pregio e il senso dell'Americana dipende dalle tue note. In dieci anni dacché sfoglio quella letteratura non ne avevo ancora trovato una sintesi così giusta e illuminante. Voglio dirti questo, perché certamente quando le tue note correranno il mondo in Piccola storia della cultura poetica americana, salterà su chi rileverà che esse sono estrose sì ma fantastiche. Ora, va gridato che appunto perché fanno racconto, romanzo se vuoi, invenzione, per questo sono illuminanti. Lascio stare la giustezza dei singoli giudizi, risultato di altrettante intime monografie informatissime, e voglio parlare del gioco tematico della tua esposizione, del dramma di corruzione purezza ferocia e innocenza che hai instaurato in quella storia. Non è un caso né un arbitrio che tu la cominci con gli astratti furori, giacché la sua conclusione è, non detta, la Conversazione in Sicilia. In questo senso è una gran cosa: che tu vi hai portato la tensione e gli strilli di scoperta della tua propria storia poetica, e siccome questa tua storia non è stata una caccia alle nuvole ma un attrito con la letterat.[ura] mondiale (quella letterat.[ura] mondiale che è implicita, in universalità, in quella americana - ho capito bene?), risulta che tutto il secolo e mezzo americ.[ano] vi è ridotto all'evidenza essenziale di un mito da noi tutti vissuto e che tu ci racconti. C'è naturalmente qualche minuzia su cui dissento (la Lettera Scarlatta più forte dei Karamazov; la Nuova Leggenda che troppo fa pendant alla prima; Discesa alle Madri: termine junghiano, discesa nell’oltretomba, in un mondo sotterraneo. C’è in questi testi un’attenzione al mondo ctonio, sotterraneo. Evocazione dei morti, catabasi significa guardare dentro se stessi attraverso la memoria che riporta all’infanzia dell’individuo e all’infanzia del mondo. Ritorno che, in questi anni, assume la forma del rito sia nello stile barbaro (elementare ma pensato). La parola finale è “ehm” parola sugellata, che ha valore e potenza evocativa, nonostante non voglia dire assolutamente nulla. Due volte reale: presente e memoria Fiaba iniziatica: spinge l’eroe a fare un cammino. Struttura normale della fiaba: eroe che incontra un ostacolo, una prova da superare e dei personaggi che lo aiutano a superare la prova dell’antagonista. Tra elemento più poetico, fortemente presente nella stessa struttura dello stile vittoriniano, trasportare il mito e la storia su due piani: piano del mito in cui la storia individuale/personale diventa universale, come un mito; quindi, riporta ai cosiddetti altri doveri del presente. Madre e padre che avevano significati diversi e contrapposti che si bilanciavano (complesso di edipo): madre ha elementi della generazione, il padre ha necessità di trovare un piano morale nuovo. Parola sacrale che lambisce qualcosa di nascosto e misterioso Debenedetti: “Ogni vero romanzo, ogni romanzo risolto a fondo, ha contenuto una sua Nekuia” Sanguineti: “fiaba iniziatica” tra lirismo e narratività mito e storia. 6/10/2022 Proprio perché viaggio, sembra un po’ il viaggio che compiono gli antropologi o etnologo che arriva in un mondo diverso e cerca di comprenderlo. Silvestro cerca di ritrovarsi: ci sono due spie: gioco che Vittorini fa coi nomi: Silvestro e Concezione (componente della maternità: rimanda alla possibilità generativa della donna); Silvestro -> riferimento a Dante: selve -> indicazione di una strada ostruita, per cui si deve fare un giro lungo, andando giù nell’inferno: idea di discesa verso il basso, per poi risalire verso l’alto: però appunto Silvestro lo fa per ritrovarsi: aspirazione alla libertà. Concetto, questo ultimo che si può vedere nella parte IV ed in particolare nelle tre figure che Silvestro incontra: Calogero legato al mondo dei coltelli e rimanda all’ideologia marxista per la quale ritorna il problema della guerra civile spagnola e dall’altra Politecnico (rivista aperta da Vittorini nel 1945, rivista super attuale ancora: intellettuale che fa sentire la propria voce e cerca di ricostruire l’Italia del secondo dopoguerra, nel 1947 però Vittorini si discosta dai paletti entro cui il Partito Comunista Italiano vorrebbe inserire la rivista. Vittorini spiega di non essere intellettuale che “suona il piffero delle rivoluzione”: anzi, si occupa di problemi più pratici lui, non astratti come quelli di cui si voleva occupare il PCI: dissidio su idea dell’intellettuale e chiusura della rivista); poi la cultura idealistica, artista che consola ma che non agisce è Ezechiele; e poi Porfirio simboleggia la cultura cattolica che si specchia nella concezione biblica dell’acquaviva, che viene dispensata dall’oste colombo, vino che annebbia e dà dimenticanza. La parte V cambia registro, Cap. 41: si entra in una atmosfera fortemente allegorica, criptica. Cambio di passo è reso dalla presenza del vino che nella prospettiva di Silvestro è delirante, lui si ricorda di belle signore fantasime, ovvero di spiriti: capiamo perché Vittorini fa sempre riferimento a Shakespeare (che era un uomo non immerso nel vino VS suo padre che era folle nel suo vino: “Noè da coprire con pietoso panno” – passo della Bibbia: Noè è colui che sopravvive al diluvio e colui che pianta la prima vigna, viene trovato nudo e ubriaco nella caverna dal figlio che lo copre per non mostrare la nudità del padre). Fango e Sogni: l’arte diventa colei che porta in scena i simboli dell’umana liberazione. Entrambi, sia il padre che Shakespeare mettevano in scena personaggi, arte: Shakespeare personaggi, padre personaggi di Shakespeare. Fa il proprio ingresso la voce che non proviene “dalla memoria, ma dalla terra” (terra elemento vitale e primordiale): Ehm però proviene anche dalla memoria, in quanto proveniente dal fratello. “Voce parla e dice chi va là”: “chi va là” è rimando a Shakespeare a all’Amleto: tragedia di colui che non sa come agire, tragedia dell’in-azione -> è la tragedia quindi anche del nostro Silvestro che non sa cosa fare. Personaggi estrapolati da Amleto che qui costituiscono il mondo simbolico del padre, sempre annebbiato dal vino, e permettono di far entrare in scena il fratello Liborio. È un cimitero, ma sembra quasi un set di uno spettacolo. Inizia un dialogo fortemente illusivo e complesso, rimanda alla guerra che si stava combattendo in quegli anni: è un soldato morto, già morto “le tombe sono comode, penso ai miei vivi”. La citazione shakespeariana qui introduce il legame che questo soldato ha col padre di Silvestro. Passaggio immediato, con le parole di Liborio tra la terza persona singolare e passaggio alla terza plurale “gli uomini”: continuità tra individuo e collettivo. Ritorna la questione dei nomi, il testo si chiamava “Nome e lacrime”, cancellato da Vittorini, poi, ma rimandava alla questione dei nomi. Gioco di totale trasformazione del presente, in un momento in cui i due fratelli avevano 7 e 11 anni: bambino di 7 anni che è soldato: “Immagino che abbia sofferto tanto per giungere a questo”: frase ambigua riferita all’IO-TU-EGLI: utilizza l’esplicita per rendere ambiguo CHI abbia sofferto abbastanza (ancora, sdoppiamento, tra individuo e collettività). “Ad aver sette anni”. Tentativo di Vittorini di rimarcare questa esistenza ulteriore che rappresenta un insieme di piani. Distanza tra i due personaggi: “parlar figurato”: discorso fatto per immagini (immagini sempre presenti all’interno del testo-fotogramma) VS Silvestro che non sta capendo niente. Nel capitolo 42, il soldato chiede a Silvestro se fosse venuto per la rappresentazione: “io non so nulla di rappresentazioni” dice Silvestro, nonostante fosse lui a rappresentare l’intellettuale all’interno del romanzo. “Re e oppositori, vincitori e vinti” che appartengono alla “storia” del genere umano: succo della storia -> anime di morti incarnati in re e oppositori non troveranno pace fintanto che non ci sarà un altro scrittore, come Shakespeare che metterà in romanzo “il tutto di loro”, ovvero l’essenza di questi uomini espressione che dice che gli uomini hanno un senso se qualcuno “vendica i vinti e perdona i vincitori”. È necessario che qualcuno di assuma il calco, assuma la responsabilità di coloro che stanno morendo in Spagna e coloro che sono già morti. Qual è la rappresentazione di Liborio? -> “E’ questo che rappresentate?” “Per l’appunto. A questa gloria pertengo”: Liborio rappresentava tutti, la collettività dei soldati, soprattutto giovani (dato l’indicatore dell’età). Polemica nei confronti della retorica: soffre per le parole stampate e pronunciate a favore della guerra. Gioco con la seconda persona plurale che viene usata perché di uso tipico nel meridione, ma “ci” fa piangere -> diventa una situazione collettiva. Si arriva alle intimissime battute del testo che pongono una serie di questioni molto complesse: Silvestro si ritrova dentro la casa di sua madre: si è sbronzato, sbornia che ha aperto la situazione allegorica e allucinatoria che ha permesso di vedere il fratello. Situazione un po’ confusa: madre “fortunata”, corvi… -> nel cap. 45 emerge questa verità, della morte del fratello. Era volontario il fatto di andare in guerra, quindi “lo chiamarono” è una sollecitazione che il regime aveva fatto e a cui Liborio aveva risposto, dando l’adesione. Consapevole delle dinamiche del regime, Silvestro dice una bugia alla madre, per non farla soffrire: rappresentazione delle donne invidiate perché hanno perduto il figlio in guerra. Problema della storiografia romana che si intreccia con la storia contemporanea, “vera donna romana”. Cornelia partorisce dodici figli e li perde tutti tranne i due Gracchi e una figlia femmina. “I miei gioielli sono i miei figli” cit. da “Ornamenta mea”. Quando Tiberio e Caio moriranno, moriranno poi (prima bugia), in difesa della plebe contro i patrizi. Un’altra bugia -> moriranno “in guerra”: non è vero. Sanguinetti spinge verso il finale: evocazione col fratello morto porta alla convinzione della madre ad esser fortunata, in più la presenza dei corvi (messaggeri di sfortuna, rappresentano il male nel mondo, citazione esplicita al Macbeth). SI chiude, il libro, con un’ultima recita finale, Silvestro raccoglie tutti i personaggi e si trovano intorno a questa donna nuda di bronzo che è l’esemplificazione della morale fascista: “bella donna, giovane, nelle sue dimensioni…” Epilogo durante il quale Silvestro torna a casa, esplicita che si è trattato di una conversazione durata 3 giorni e 3 notti: tempo della morte e della resurrezione di Cristo: riferimento alla Bibbia. Trova la madre in ginocchio, lava i piedi del padre e piange. -> la critica ha dibattuto tanto: numerosissime recensioni positive dalla critica quando era uscito, soprattutto dal regime (che non aveva capito il sottotesto). Concezione che lava i piedi al padre sembra il perdono (quindi anche il perdono più generale). Statua di bronzo ignuda, centrale, attorno al quale si chiude la conversazione: figura madre-primordiale. La statua sorride (di solito sono gli dèi che sorridono, nell’iconografia), braccio in alto verso il cielo (sembra il saluto fascista), l’altro piegato sotto l’ascella dx. è un monumento dedicato ai morti. Riferimento a se stesso, Silvestro figlio di Concezione. La statua ha degli aspetti propri del parlar figurato, ambiguo, di difficile decifrazione. La statua sembra essere speculare all’ “Ehm”: pronunciata da tutti, ma pronunciata da Silvestro (in italiano può voler dire reticenza, leggermente canzonatorio, …): retorica di regime conversazione si riduce alla scoperta di questa parola che proviene dal mondo dei morti e trapassa in quello dei vivi, attraverso u linguaggio che potremmo dire biblico (molti sono i riferimenti alla bibbia): parola suggellata che è vicina ad una dimensione opposta a quella della legge, sfugge alla legge delle parole squadrate (è parola che non squadra – riferimento a Montale-), è suono balbettante che richiama anche la dimensione dell’infanzia, suono inarticolato. Sanguinetti afferma “la risposta è segno”, chiuso in eco e in enigma: si arriva alla definizione dell’ehm come forza morale opposta al regime. Pathos intatto clandestino, cifrato, gergale” riferibile a quella dimensione della pittura metafisica di De Chirico. Intensità allegorica aumenta via via che si va verso l’uscita: è un imbuto come imbuto è l’inferno: Lucifero sarebbe “Ehm”: parola ultima, originaria (perché sbuca dalla terra), che permette attraverso la sua densità simbolica di rigenerare il personaggio. Trapasso. CRISTO SI È FERMATO A EBOLI: Cristo si è fermato a Eboli: viaggio coercitivo; imbuto ancora. Manda al confino Levi, il regime fascista. Scoperto insieme agli altri torinesi. Attraverso questo mondo come se fosse un inferno dantesco. 10/10/2022 Molto meno criptico, più semplice e lineare di Vittorini. Bisogna avere il coraggio di non avere paura della libertà: “Non fu tanto la loro azione diretta, le bastonature, gli incendi, le uccisioni a dare loro la vittoria, poiché essi trovarono sempre chi alla violenza resisteva con coraggio: ma fu invece il senso vago della paura diffusa anche presso coloro che non avevano mai avuto diretto contatto con essi o che non li avevano neanche mai visti, quel senso di terrore che impedisce ogni movimento e consegna impotenti e legati in mano al nemico. La paura è dunque la vera arma segreta del totalitarismo, la quinta colonna che prende le città dal di dentro, in segreto, senza bisogno di sparare un colpo. Questa arma segreta era stata perfezionata all’estremo valendosi sia di una intuizione primitiva, sia dei dati più moderni della scienza psicologica e della psicoanalisi, dai fascisti e più ancora dai tedeschi.” Se si va a vedere il testo dell’agenda di paura della libertà è tutto estremamente allegorico perchè aveva paura di qualcuno che gli sequestrasse l’agenda. Levi non scrive immediatamente Cristo ma tra il 43 e il 44, in questa piazza ribattezzata Carlo Levi, a Firenze: in questa casa si nasconde grazie ad una signora Anna Maria Ichino alla quale è stata dedicata l’altra piazzetta di piazza Pitti. Era una casa particolare perché frequentata da una serie di antifascisti, tra i quali Montale, Gatta, Saba e la figlia (che diventerà la compagna di vita di Levi). L’altra foto è una foto d’epoca della Fondazione Carlo Levi e rappresenta uno die punti centrali del paese di Gagliano, arroccato, con tutto in torno dei dirupi e fosse con propria specificità storica (perché lì è successo qualcosa, incidente, magia…) Struttura di Cristo si è fermato a Eboli: 24 capitoletti e proemio. Proemio: Levi pone una sorta di frattura temporale tra il sé e il passato vissuto, che sembra lontano, ma credeva il fatto di non aver potuto tornare (tra l’altro appunto era stato esiliato in Francia e in Italia si sarebbe dovuto nascondere). Aspetto interessante che permette di indagare sullo statuto letterario di questo testo che non esce per la collana Einaudi “Gli Struzzi”, ma per quella dei Saggi: scelta di inserire un romanzo all’interno della collana dei saggi ha connotazione di un certo tipo. Un po’ perché la questione meridionale era fresca e quindi per strategia editoriale: gli è grato andare con la memoria a quell’altro mondo: la scrittura di quest’esperienza non è immediata ma ex post (a distanza di 8-9 anni) è stata inevitabilmente filtrata dagli elementi memoriali. Per molti anni è stato considerato un memoriale, oggi lo si considera un romanzo con forte ausilio della memoria, aiutata da notizie che aveva appuntato sui diari, sia dai quadri che lui dipinge durante il suo soggiorno. A Firenze aveva attorno a sé alcune tele che aveva dipinto al confino: da cui si evince l’impressione di Levi di quel mondo lucano. Forte contrapposizione tra questo mondo (della Repubblica di Salò) a quell’altro mondo, quello Lucano, pur povero e malato in cui ritroverà degli elementi salvifici o comunque positivi, rispetto a quello in cui si trova a vivere comunque confinato in una stanza. Mondo “Chiuso ed eternamente paziente”, paziente perché patients, che porta in modo paziente le pene e le sofferenze del suo dolore. Mondo “Impermeabile e immobile”. Morte è aspetto costante del Cristo. Cristo si è fermato a Eboli è rielaborazione del “Noi non siamo cristiani”: fermata la ferrovia bisogna procedere a piedi fino alla Lucania, così cristo. Cristiani però è uomini, che loro non sono, essendo bestie e ancora meno, essendo fruschi, frusculicchi (spiriti, spiritelli). Mondo nel quale il cristianesimo non è giunto, è un problema di civiltà: frase con senso molto più profondo, quello letterale. Conclusione mirabile, quella del proemio, dal punto di vista stilistico. Il fatto che non sia arrivato Cristo, e quindi gli elementi costitutivi della società occidentale (1 TEMPO: che è perso, non dinamico, scandito dall’orologio – Secondo romanzo di Levi “L’orologio”: tempo è un concetto molto caro a Levi: è un tempo circolare, che segue il ritmo delle stagioni; 2 ANIMA INDIVIDUALE: è comunitaria, collettiva, contadina che non possiede; 3 SPERANZA; 4 LEGAME TRA CAUSE E EFFETTI: legge diversa da quella deterministica che apre il problema della magia; 5 RAGIONE; 6 STORIA) non sono arrivati perché i Romani e i Greci, portatori di un determinato tipo di società, non avevano raggiunto questi territori. Teocrazia statale: stato fondato su elementi religiosi da ricollegare alla sacralità e alla religione di “Paura della Libertà”. Ci dà l’idea di una realtà immobile ed estranea, incomprensibile anche nel linguaggio. Grandi viaggiatori che anche sono venuti qui non hanno cambiato la prospettiva, non sono andati al di là della prospettiva del mondo della provenienza. Riferimento alla storia e ai rapporti che si sono creati all’origine tra cristianesimo e ebraismo (che non riconosce la figura di Cristo come Messia e che quindi sono in attesa dell’arrivo di Dio): Cristo sceso nel mondo del moralismo ebraico, ne ha rotto le porte nel tempo e ne ha sigillate nell’eternità: creato l’idea di redenzione finale, paradiso a cui tutti più o meno arriveremo: tempo che guarda sempre in avanti è l’idea del tempo cristiano, che è la negazione dell’idea del Qui e Ora di matrice greca: sofferenza di oggi permette di poter aspirare a un futuro felice insomma. Terra oscura senza peccato e senza redenzione, quindi senza religione, dove il male non è morale: il male arriva ad essere morale quando gli si attribuisce una moralità, male è dolore terrestre incatenato alle cose. Il proemio sposta il piano simbolico proprio della civiltà occidentale ad un piano di grado zero, terrestre, dove non c’è neanche moralità. Nella versione manoscritta, si trovava la prima fase del 1 capitolo alla fine del proemio: dando l’impressione che l’arrivo di Levi fosse paragonabile all’arrivo del Cristo, quindi come se lui fosse superiore. Il testo del Cristo diventa ben presto un bestseller, un milione di copie, tradotto in più di 30 lingue: nel 1964 Levi scrive una sorta di prefazione all’edizione del Cristo molto importante, perché ci dà indicazioni in “l’autore all’editore”. Questa lettera offre una serie di indicazioni per la lettura del Cristo. Realtà fortemente drammatica, aveva paura di essere deportato o ucciso, quindi ogni momento poteva essere l’ultimo, ma la scrittura diventa qualcosa di catartico, una difesa attiva che lo manteneva vivo. Il mondo che stava descrivendo era profuso di amore: amore è il legame che Levi identifica all’interno della comunità dei contadini: solidarietà e aiuto che i contadini si davano. Il secondo elemento della lettera, oltre all’amore, è un’immagine di aliano, con la casa dove visse Levi, con il cimitero sopra e il paese-verme che si snoda in basso verso est. Dal punto di vista tecnico, il testo è scritto in prima persona, autore autodiegetico perchè il protagonista coincide con colui che racconta la storia -> “che forse ero io” stratagemma per togliersi la responsabilità anche. Leggendo la lettera, il lettore ha delle idee un po’ più chiare riguardo al testo. Elementi nella lettera: persiste la primordialità, regime fascista letto sulla scia della psicanalisi di Freud che va a coincidere con il padre-padrone, la magia che permette ai contadini di sopravvivere (da questa esperienza nasce l’esperienza di un antropologo molto noto in Italia “Sud e Magia” di De Martino: analisi che va a riscoprire in Lucania. Una potenza contro il potere, qualcosa di disciolto, non legato, contro qualcosa legato, istituzionalizzato, reso religioso. Insieme di tempi diversi. Esistenza come coesistenza, come esistenza di individui in coesistenza. Farfalla che sta per uscire dal bozzolo. Lucania divento elemento vitale, forza pronta a prorompere a diventare forma vita e istituzione. Ci stiamo avvicinando al 68, le parole di Levi per cui, che si era dato alla politica, hanno un peso. Nondimeno dobbiamo considerare questo modo di considerare la Lucania come scritto nel testo. Che porterà alla viva lotta contro tutto ciò che è gerarchico, legato. Diventa evidente che Levi propone un modello di società legato ai comuni e alla loro autonomia: ritorna nel testo, dopo 20 anni, proprio nel finale. È necessario trovare un modello fluido, diretto tra la collettività piccola e lo stato sovra regionale che perde capacità nella comprensione delle dinamiche interne. 11/10/2022 Lettera l’autore all’editore. Pittura, levi ritrae personaggi e paesaggi dell’ambiente, scrive anche poesie. Idea della Lucania distillata e decantata nel tempo: scrittura con recupero memoriale, pittura e poesia, agendine. Teoria e gioia della verità, comprensione dei meccanismi alla base dei totalitarismi. Cristallizzazione è idealizzazione, deriva da Stendhal. L’opera di levi non si comprenderebbe, né il cristo né i successivi senza l’esperienza in Lucania, sopravvie e ritorna l’idea del mondo contadino, segno che l’esperienza ha lasciato. Il processo alla base dell’operazione di Levi in Lucania non è l’identificazione con un dato, nei confronti della realtà; inizialmente c’è scontro con essa che presto diventa comprensione e amore per l’altro. Scutellaro, sindaco di paesino in Lucania, amico di Levi, venne accusato ingiustamente e messo in carcere, dove legge Cristo come esempio di libertà e di soprusi. Il nucleo dell’opera è la somiglianza tra io che irrompe nell’ambiente chiuso e poi la comprensione, si giunge alla somiglianza e all’amore della propria somiglianza: nel paesino trova qualcosa di profondamente umano e profondamente radicato in ognuno di noi: ciò che trova è il sacro. L’esperienza del confine è traumatica, ma non viene raccontata in modo drammatico per la lenta decantazione e il racconto orale che fa agli amici. Una delle forme del neorealismo italiano è la forma orale, vicinanza per le forme e strutture, diversa da Vittorini. Implica sperimentalismi verso le forme dialettali. “Non siamo cristiani”, espressione presa dai lucani. Ultimo testo, contrapposizione tra contadini e luigini. Definizione che Levi dà della propria poetica: contemporaneità, coesistenza, unità di tutto il reale. Rapporto fra la paura della libertà, dunque necessità di una poetica che sia verso la libertà che Levi ha imparato da Gobetti. Proemio: slide. Capitolo I: sembra avere un taglio memorialistico, ma non lo è: Gagliano è pronuncia dialettale, non è italiano; non è arrivato un pomeriggio in agosto. Arriva a Grassano il 3 agosto, a Gagliano il 18 settembre: sfasatura temporale ricercata, stratagemma letterario. Incontro con Gagliano è negativo, perché Levi è abitudinario, Grassano è molto diversa, vicino alla stazione. Descrizione della Lucania: monotona, arida, “mare di terra biancastra”: calanchi, occhio pittorico, qualcosa che si muove, onde che si accavallano, “morti suonatori si ritrovano a mezzanotte”: opposto alla Torino positivistica, “reverenziale terrore”: elementi magici. Deserto bianco, stendardi neri: lutto. Descrizione di un altrove dove vige una legge diversa data giù dalla struttura “a verme” dei paesi. Il colore nero è accompagnato da insetti, mosche e zanzare. Cane Barone: lo trova quando arriva in Lucania e lo tiene con sé. Mosche che anneriscono. Noia secolare: terra che non cambia mai, arretrata dunque antimoderna. I questo territorio le cose faticano a cambiare, a modificarsi. Noia e ingiustizia di chi vive in questa terra. Strega contadina: magia, sopravvivono esperienze della pre-modernità come elementi magici. Mitologia contadinesca, la donna ha delle capacità che riguardano l’ammaliare gli uomini con filtri. Donne vestite di nero, abito tipico. Si sparge la voce che Levi è medico, ricorrono a lui perché non si fidano degli altri medici, problematica della malaria. Medici di Gagliano “medicaciucci”, lui ritenuto un “medico buono”. Problema della morte e della soglia, evento luttuoso che ci permette di capire attraverso i colori. Capitolo II: distinzione tra i signori del paese, esercitano il potere anche se sono miserabili, fumano sigarette scarse e parlano, e i contadini che non parlano e non cantano. È colui che non ha la voce di esprimere il proprio dissenso, non può parlare per sé. Signori del paese sono i “luigini”, qua abbozzata. La capra in realtà è emblema di qualcos’altro, esplicitato nel paragrafo successivo: nel mondo lucano la capra è diavolo. Anche i fruschi sono diabolici ma la capra lo è più di tutti. Non è cattiva perché siamo in un ambiente amorale, quindi non ha nulla a che fare coi diavoli cristiani (la cristianità è morale). Mondo del duplice emerge: anche la capra è altro anche, è potenza. Nella capra sta celato l’elemento del sacro, elemento di potere. Anche la stessa rappresentazione della capra rimanda alla descrizione del sacro. Alcuni elementi che sono propri della capra:  Umberto Saba: capra = modello del dolore universale Levi conosce Saba a Firenze e la capra è nel mondo animale nel Canzoniere di Saba, modello del dolore universale che si esplicita nella capra come elemento del sacrificio, che viene ucciso. Saba pensa che il valore della capra sia legato alla Shoah (anche per motivi cronologici, quindi, in Levi non è presente)  In Levi: simbolo del mistero e dell’ambiguità  Essere polimorfo: mondo prelogico e animistico Essere polimorfo: cambia forma perché Levi aveva studiato in quegli anni l’antropologia di inizio 900: aveva letto “L’anima primitiva” di Levy-Bruhl e ha idea particolare del mondo primitivo (inventa il mondo prelogico: esisteva alle origini nella vita dell’uomo sulla Terra, un gruppo di ominidi che non aveva ancora pensiero logico -principio, motore della creazione dell’individualità, astrae e quindi fa distinzione tra il sé e il mondo. Sé è distinto, non cambia forma, non muta, resta sempre uguale. Levy-Bruhl dice che esiste un mondo in cui la forma di individualizzazione non ancora messa in atto: confine tra Io e il Mondo non ancora esistente o istituito.  “Agli occhi del primitivo - scrive infatti l’antropologo Lévy-Bruhl – l’uomo e l’animale (preso nel senso più largo) sono dunque, secondo la felice espressione del Roth “intimamente permutabili”. Se io non sono uomo, posso trasformarsi in qualsiasi cosa, come un animale. Parallelismo con pensiero magico che non sente il vincolo istituito dalla razionalità tra il sé e il mondo.  “Ogni persona, ogni albero, ogni animale, ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità […]. Nel mondo dei contadini non c’è posto per la ragione, per la religione e la storia. Non c’è posto per la religione appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra” Religione, storia e ragione che sono tre istituzioni che producono la rottura del mondo prelogico, teoria sconfessata in ambito scientifico ma che Levi adotta o pensa per il Cristo. Anche la figura Cristo viene inglobata in quel mondo magico: elementi cristiani inglobati all’interno del mondo precristiano: capra ne diventa l’emblema, in quanto unico animale principale che compare costantemente. De Martino ritrova i riti funebri in Puglia, capire come l’uomo (uomo che non ha solidità struttura dell’uomo moderno dal punto di vista psichico) riesca a rapportarsi con gli eventi negativi del mondo: attraverso la ritualità. La crisi del cordoglio: capita anche nella seconda parte del cristo: si capita davanti a un uomo morto davanti a cui non si può fare nulla, elemento luttuoso produce scollamento rispetto al reale e le donne cominciano a urlare e dire riti e parole magiche vicino al morto. Ritualità che è tradizionale nei paesi del sud fino a 40 anni fa come modo per superare o affrontare il lutto. Attraverso le formule istituite dalla tradizione si riusciva a stare ancorati al reale, eludendo il rischio della caduta nella follia (elemento negativo che sovrasta la fragilità dell’io) -> ritualità che rimanda alle tradizioni arcaiche. “Crisi della presenza” crisi della presenza del sé nel tempo presente, rischio di cadere nella follia: scrive De Martino “rischio scongiurato facendo una sorta di passaggio dal mondo storico al mondo metastorico” (metastorico è superiore, dei riti e delle formule alle quali ci si aggrappa per non soccombere). Una delle modalità in cui si curava la malattia passando attraverso un determinato arco, fisicamente. Facendo gesto che richiamava la tradizione e aveva effetti benefici, effetti placebo ovviamente. Elementi che Levi riscontra nel mondo lucano e De Martino usa per l’impianto teorico e metodologico. Questi elementi ano un rimando nella direzione reale, non simbolica, perché è un mondo non definito come astratto, astrazione è creato dal mondo occidentale: è mondo impermeabile. Altro elemento dopo satiro: Levi cammina verso il cimitero. Aliano è definito un paese pieno di ossa, di morti, dove al morte regna sovrana. Trova un vecchio, a pag. 59 (Einaudi). Motivo dell’ondeggiante: (più di 60/70). Assenza della differenziazione, della caratterizzazione, è senza sesso, senza età. Levi si è messo nella fossa dove sarebbe andata una tomba: elemento simbolico per noi, rimanda all’inferno. Svegliato da questo vecchio. Caratterizzazione del viso è androgena. Scopriamo che questo personaggio ha funzione all’interno del paese, è becchino, e banditore comunale (faceva annunci di novità, quanto accadeva o stava per accadere nel comune). “Dietro ad esse”: semantica dell’occulto. Seconda natura dell’uomo. Si conclude questo incontro e possiamo identificare il tipo (personaggi privi di caratterizzazione psicologico ma contenitore vuoto che rappresentano gli elementi che a Levi interessavano: doppia natura, becchino, incantatore di lupi e di fisionomia androgina che le stesse donne del paese gli riconoscono). Donne che sono cape del paese: moglie dei contadini sempre presenti, poche figure di rappresentanza appartenenti al mondo dei Luigini… Tra le donne si istituiscono legami di sentimenti condivisi, di amicizie e solidarietà reciproca che a Levi interessano: il mondo occidentale ha perduto questi elementi. Le donne hanno una funzione: Levi aveva bisogno dia assumere una donna che lo aiutasse con la casa (nuova, collocata ai bordi del paese) Cap.15: dopo una serie di vicissitudini (lunga digressione del rapporto tra paese e America: paradiso in cui emigrare e c’era lunga generazione di emigrati che erano tornati magari arricchiti): Giulia santarcangelese: è una strega, un personaggio operatore lirico, figure che aiutano il protagonista ad entrare nel mondo magico, figure che appartengono al mondo in cui il protagonista vuole entrare che riceva da loro gli strumenti per accedere a quel mondo. Slide con immagine di Giulia, La Santarcangelese: continuità tra mondo materico e mondo della persona: pennellata materica alla Van Gogh (opinione mia). Giulia è strega, capace di usare le pozioni, i riti (le formule magiche) che ha già avuto dei figli (unico sistema per il quale un uomo solo può restare con la donna nello stesso luogo, da soli: per il fatto stesso di essere soli = aver consumato un rapporto sessuale). Essendo strega e avendo figli, poteva stare in casa sua, e gli insegna una serie di elementi riportati nella seconda parte del testo con tanto di formule magiche. Anche De Martino si ispira alla Giulia (realmente esistita). Atmosfera luminosa: c’è qualcosa di luminoso. I signori cercano di portare Levi all’interno delle questioni politiche sociali, considerato pari a loro per la statura intellettuale, laurea in medicina... Nature morte: quadri a partire dai quali costruirà l’architettura del “Cristo”. Interessante riflessione sul ruolo che in questo mondo viene attribuito all’arte: ovviamente è una riflessione che Levi fa propria e poi che utilizza in fasi successive. Giulia è essere docile che si ribella: siamo all’interno di uno stereotipo di genere: passività della donna accentuata: potenza animalesca passiva e generazione di vita al mondo stesso. Credenza vecchia: il fatto che quando viene introdotta la filosofia si credeva che il potere della fotografia fosse quello di portare via qualcosa alla persona che era ritratta (anima, stessa vita). Giulia si rifiuta perché ha paura di dare un potere magico a Levi: come se la forza del ritratto avesse la capacità di racchiudere nell’immagine appartenente all’essere che viene ritratto. Immagine i noi stessi che appartiene a qualcun altro, molto sentita in quel mondo. Discussione della forza della rappresentazione artistica nel mondo lucano: nel momento in cui Levi dipinge, i ragazzi sono stupiti della capacità della tela di dare il volto a ciò che si percepisce in maniera indistinta: rappresenta ciò che non si vede, ed è questo che spaventa, il potere. Il dipinto estrapola da lei un’immagine. Evoluzione finale: la capacità di fermare questo mondo Cristo è in qualche modo la trasposizione nel mondo della storia del mondo che sta fuori dalla storia. Aiuta l’ingresso della popolazione lucana dentro al mondo della storia. Resistenza, timore poteva essere vinto solo attraverso la magia più forte: Levi fa capire che per vincere le resistenze della magia lucana, deve piegarsi alle regole che vigono in quel mondo magico: punto di passaggio importante perchè spinge Levi verso la dimensione della magia. Verso la fine del romanzo sarà Giulia a dire “ora sei diventato uno stregone” Impulso improvviso di violenza. Utilizzo della potenza svela la natura della donna, natura passiva, quindi l’utilizzo della forza da parte di lei, permette di scoprire il suo ruolo di passività. “Fisico, terrestre, amara ma rassegnata” Identificazione di Levi di questo mondo è oscillante, momenti in cui è più vicino, momenti in cui è più lontano: prospettiva di un viaggio visto ad imbuto che procede man mano verso il nocciolo (come la Conversazione in Sicilia); nocciolo che sarà la scena rappresentativa dell’intero mondo lucano (tra pochi capitoli). Scetticismo dell’uomo del nord che si fa sentire quando è scettico davanti alla formula magica che Giulia gli insegna e che lui prova a recitare. Tra un viaggio e l’altro (Levi si sposta talvolta per dipingere) si arriva all’episodio particolarmente violento: a un certo punto viene proibito di praticare l’arte medica perché sta sollevando dei problemi attraverso lettere che manda alla procura di Matera: c’è rischio di sollevazione popolare dopo che lui mostra ai contadini l’inutilità dei medici della zona (totalmente incapaci e addirittura pericolosi). La malaria era risolvibile secondo Levi -> si vede questa cosa già dall’arrivo della sorella Luisa (la medichessa, dottoressa -psichiatra- di Torino che nel viaggio di saluto al fratello visita i sassi di Matera e vede questa totale povertà che si ripercuote sulla salute e sulle condizioni igienico-sanitarie del luogo). La problematica dei sassi di Matera si ripercuote: situazione tragica a tal punto che servì un’interpellanza parlamentare (fatta dallo stesso senatore Levi) che porta a misure cautelari per preservare le vite degli uomini. Don Trajella, momento in cui va visitare (prete sospetto pedofilo) culle legate in alto coi bambini dentro, letto unico matrimoniale coi genitori e figli e sotto animali che giravano. Dettagli legati al mondo del cosiddetto Neorealismo: tutto ciò ci porta all’ultima scena nella quale Levi deve disobbedire all’orine della procura di Matera. Era diventato pericoloso. Succede che arriva un giovane molto preoccupato perché il fratello sta morendo: rimpallo di responsabilità perché bisogna capire se Levi può partire per questo luogo chiamato Il Pantano, si passa attraverso i diversi medici, che non vogliono andare lì perché descritto come IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO Prefazione: testo che Calvino fa alla fine del cosiddetto neorealismo, siamo nel 1964, Calvino scrive con l’altra edizione, questa lunga prefazione dedicatala alla tradizione del romanzo neorealista. Calvino è generazione successiva a quella di Levi (negli anni 20, rispetto agli altri a cui lui guarda). Nasce a Cuba, da genitori che erano a Cuba per motivi di lavoro, e vive la maggior parte della sua adolescenza a Sanremo, partecipa alla Resistenza e da questa esperienza nascono i due testi: Il Sentiero e Ultimo viene il corvo”. Da una parte aderisce al PCI, dall’altra pubblica in Einaudi. Il sentiero deve il proprio nome bizzarro a questa idea che Calvino ha, di affidare a Pin una storia partigiana un po’ bizzarra, totalmente fondata sull’antiretorica, descritti dalla prospettiva di Pin dei personaggi che non definiremmo tradizionali rappresentanti dell’eroismo, della gloria e così via: sono un po’ degli scappati di casa. Pin finisce a causa di una pistola che ruba a un militare tedesco che andava a letto con sua sorella, pistola che nasconde in un luogo magico, sottoterra dove i ragni fanno il nido. Pin incarcerato per detenzione di arma da fuoco. Cristo intriso di elementi che anche Calvino nota: calvino smentisce il fatto che il neorealismo sia una scuola; in incipit di prefazione (continuo-inizio: siamo in un Calvino sperimentale, siamo verso quel libro (titolo???) con un po’ di incipit che fanno riiniziare tutte le volte il libro): guardando questo libro, allo stesso tempo, non lo trova più suo, libro nato anonimamente, come anonimo è il narratore, Narratore epico che tenta di ridurre la rappresentazione del sé: una delle caratteristiche del testo è ridurre al minimo il narratore, che non si riesce fino in fondo a capire o a identificare. Abbiamo qualcuno che descrive una scena da cui parte il racconto di Pin. Racconto retorico, libro corale, nato dalla voce di coloro che hanno vissuto l’esperienza, nato dalla tensione morale, problematica che collegava il mondo dell’epoca. Problematica essenziale (come diceva Pavone, è “il mondo della scelta”: momento delicatissimo, con 3-4 vicende storiche in Italia. 25 luglio viene arrestato Mussolini e si crede che l’Italia non sia più in guerra o che abbia sottoscritto un patto; ma Badoglio dirà che i patti presi con i tedeschi cono ancora validi, mentre il popolo pensava di aver terminato la guerra, Badoglio continuava a tenere l’esercito contro gi americani. Generale stravolgimento degli assetti. Pavone in “Una guerra civile”, parla di scelta: frutto anche di scelte casuali che portava questi uomini a stare da una parte piuttosto che da un’altra. Immediatamente restaurato un fronte contro l’avanzata americana: scelta individuale faticosissima, lo riportano anche i diari dell’epoca, per comprendere da che parte stare (ci si poteva ritirare in collina, come Pavese; si poteva andare a combattere, come Fenoglio, dopo lo sbandamento dell’esercito regio con l’armistizio dell’8/9 settembre, finisce a combattere in una brigata comunista e poi in una partigiana). In questo quadro, Calvino spiega cos’è l’Odissea (era costante il doversi trasferire a seconda anche degli spostamenti dei fronti): insiste sul dato dell’anonimato e sulla coralità: è proprio la coralità che produce necessità di dover trasmettere e raccontare ciò che era capitato a tutti. Momento storico in cui si era provato (si legge dai diari) un grande senso di libertà dettato da assenza e caduta delle istituzioni (Pietro Chiodi dirà “tutto in quel momento si poteva fare e scegliere” tutto nella tragedia, non era una libertà bella, ma comunque libertà di scegliere cosa fare se partecipare alla resistenza o tornare sotto il giogo fascista). C’era un bisogno morale, una tensione morale, dettata da questo improvviso perdersi delle istituzioni che produce surplus di libertà. Esplosione di letteratura: ritorno dal fronte produceva bisogno di raccontare, parlare, condividere le esperienze che si erano vissute. Si può identificare il neorealismo attraverso la scissone che viene a crearsi nel 1943. Momento in cui neorealismo italiano si afferma come abbastanza omogeneo si pensa al 43-48: anni in cui si verifica rottura con il passato e bisogno di ricostruire o ritrovare radici del proprio popolo. Parole che si annoverano in questo periodo sono: uomo (centralità dell’uomo che ritrova se stesso), popolo (si identificava contro un nemico comune), vita quotidiana (uno degli elementi che torna in auge nella letteratura e nella filmografia di quegli anni è proprio la Vita Quotidiana; si veda ad es. Ossessione di Luchino Visconti), concretezza, documento (in quel prolasso di tempo si producono moltissimi documenti legati alla testimonianza dell’accaduto: aumento esponenziale del documento storico, ovvero racconto di determinati fatti/realtà, lettere, diari), realtà (frutto di un’esperienza tragica e che produce una tensione per i dettagli della vita quotidiana) coscienza (presa di una decisione) responsabilità (presa di responsabilità è bisogno morale), cronaca. Si parla più di una cultura del neorealismo, piuttosto che di una scuola. Senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero”: idea di qualcosa che si può rifondare il presente. Piglio di chi vive la parte finale della guerra con la gioia di poter vivere, ricostruendosi. La condivisione dell’esperienza della guerra produce rapporto immediato tra pubblico e scrittore, perché il pubblico sapeva, aveva vissuto la stessa vita. Nucleo: surplus di esperienza che si associa a surplus di libertà produce un aumento die racconti che è una voglia di raccontare che si sostanzia già in racconti che hanno già una struttura (angosciosi, divertenti…) hanno già trama e capacità di diventare letteratura. Alcuni di questi racconti sono all’origine del testo come se ci fosse un narratore anonimo davanti a un fuoco pronto a raccontare (ancora idea della coralità attorno a un falò). 18/10/2022 Momento della scelta: Pavone parla della scelta della resistenza e della caduta dei valori istituzionali, apertura al nuovo e corsa al rifugio (ritorno a casa) e vita nei diversi schieramenti che erano in gioco. I sentimenti dal luglio 43 al settembre 43: stupore, gioia, preoccupazione, smarrimento… Paradigma culturale legato al neorealismo, con alcuni valori tipici della cultura. Due tipologie maggioritarie di scrittura in quegli anni: scritture documentarie dove l’autore è esterno all’istituzione letteraria e vengono narrati fatti veri, avvenuti; con struttura libera (es. giornali, stampe, lettere partigiane…). C’era una fitta scrittura documentale in quegli anni, con diari privati, all’interno del quale esprimere le proprie avventure e il proprio rapporto con la libertà e il nazifascismo. Un’altra scrittura (quella che interessa a noi): letteratura documentaria e d’invenzione: autore-letterato, fatti veri, narrazioni a struttura libera… Autore all’editore: (tentativo di riassunto/schema generale della cultura del neorealismo) Esercito regio sbanda: non c’era stretta gerarchia con sottoposti, e mancanza di sintonia nel paese tra strutture dell’esercito e il popolo (coloro che si nascondevano e coloro che vivono in quelle zone -> dà origine a sinergia: legame che anche Calvino nota) Materia grezza: episodi vivi, vicende di cui erano protagonisti Esprimersi secondo predecessori: I Malavoglia, Conversazione in Sicilia, Paesi Tuoi (di Cesare Pavese del 1941 per Einaudi – due protagonisti tornano in campagna dopo essere stati imprigionati e mostrano la cultura del luogo contadino, fatta di occulto, arcano, sacrifici): tutti in contrapposizione al fascismo. C’è fortemente un elemento personale trasfigurato all’interno di una maniera. Era maniera in cui lui so era approcciato al mondo della resistenza, attraverso peripezie (dopo l’arresto della madre dopo un periodo che fa in carcere, dopo essere stato al fronte ed essere scappato) Problema della prosa, strettamente legato alle forme della narrativa neorealista e riguarda due modelli che si possono riscontrare: rifiuto per l’italiano nazionale, borghese, strumentale di matrice burocratica(lingua ufficiale del fascismo): si fa massiccio ricorso al dialetto (non è più sovraregionale, ma strettamente radicata in un luogo regionale: si vede tanto in Paesi Tuoi, con forzature forti dell’uso del dialetto che stona con l’utilizzo dell’italiano), sintassi lineare, semplicità di ascendenza colta importanza del dialogato, allargamento del patrimonio lessicale. Modo di figurare la persona umana: tratti esasperati e grotteschi (si torna sugli elementi del grottesco) neorealismo e neoespressionismo (lo stesso Pin è così caricato in questo senso e i personaggi sono sbandati/sghembi, non sono eroi e caricati in senso espressionista). Ritmo che vuole rappresentare la mobilità del mondo partigiano, suscitare il susseguirsi di eventi legati al caos. Togliatti fa chiudere il Politecnico (rivista di Vittorini) perché il letterato non si stava adeguando alle direttive del PCI (Vittorini rappresenta la resistenza senza eroi, nessuno ha coscienza di classe: cosa che il Pci non voleva proprio: Vittorini doveva dare una prospettiva eroica) Focalizzazione con cui il racconto è raccontato: sguardo di Pin evita tutte le discussioni ideologiche collegate a quel mondo e che riduce effettivamente lo sguardo di un altro potenziale narratore. È uno sguardo che non tende a dare una visione ampia, ma che è sempre legato al presente della narrazione (spesso il narratore aggiunge elementi della vicenda che sarebbero impossibili da capirsi, qui invece il narratore, pur essendo esterno, segue l’occhio di Pin). L’altro tono della storia, immediatamente notato da Pavese è un tono favolistico, tensione verso la favola, elementi imaginari a partire dal titolo: luogo magico in cui il protagonista Pin nasconde la pistola rubata al tedesco, luogo protettivo della fantasia che il narratore assume a sua volta. Questo tono fiabesco si legge in “Trilogia degli antenati” tutta costruita in tono fiabesco, e la raccolta di fiabe italiane curate per Einaudi, dove spiega anche l’importanza del folclore italiano. Ammette di aver avuto difficoltà a mettere se stresso, ma si rende conto che dalla prima persona passa alla terza: prende le distanze dalla materia narrativa. E si rende conto che comincia a funzionare in terza persona. Elementi morali presenti nel testo e tutti lasciati impliciti: elementi triviali, legati al qui e ora. La letteratura è trasfigurazione di esperienza personali, biografiche…: è di sguincio: non è tentativo diretto di mimesis ma pensa che effetto principale per ottenere un effetto di realtà sia passare attraverso una trasfigurazione, quindi una rappresentazione indiretta dei personaggi. Alibi: essere altrove, in senso etimologico -> era diventato un “essere qui”. Artificio della regressione che si unisce al senso di libertà di scelta e al bisogno di costruire il futuro. La gioventù: tema essere proprio anche di Conversazione in Sicilia anche come apertura verso il possibile, indigenza dei reietti e degli esclusi. Chiude la prefazione, facendo slittamento di significato: “Una questione privata”, racconto sulla resistenza pubblicato a distanza di molti anni. È il VERO racconto, è il capolavoro della narrativa sulla resistenza italiana che Calvino avrebbe voluto saper scrivere. 1 Capitolo: Anche il nome, Pin, fa pensare a un personaggio fantastico, inesistente. Ha una sorella che fa la prostituta a Sanremo ed è frequentata da un marinaio tedesco che porta una pistola. Non è Pin che desidera arrivare alla pistola, ma è la coralità di personaggi che chiede a Pin di fare un gesto eroico per dimostrare di non essere complice dei tedeschi. Pin vuole entrare nel mondo degli adulti, per cui gli chiedono di rubare la pistola. Elementi linguistici importanti, regionalismi: smicciare = guardare di sbieco, ritorna spessissimo. all’opposizione tra fascisti e antifascisti: operaio è professione dove marxismo ha attecchito in maniera considerevole). Kim è molto più riflessivo, è studente, è una mente positivistica, ma una mente che ha molti dubbi sulla situazione: sarà proprio la mente di Kim a partorire l’idea centrale del romanzo. C’è interesse del genere umano in lui: si sente inevitabilmente l’eco vittoriniano (lo dice anche nella prefazione che il modello è Vittorini). Descrizione controversa quella di Kim: sarà una figura che metterà insieme i due elementi: corpo e psiche (lo psichiatra diventerà amico di calvino). Meccanismo di prolessi, perchè il narratore vede il futuro di Kim (vede che farà lo psichiatra: narratore che sta su gradi diversi, ci eleviamo rispetto alla prospettiva ristretta del personaggio Pin. La riflessione si sposta sul rapporto tar individuo e mondo della storia, mondo soggettivo e oggettivo. Calvino dice che okay, Kim vuole arrivare a una comprensione dell’animo degli uomini, ma dietro a gli uomini c’è macchina delle classi di avanzano (matrice marxista), macchina della storia, e irriducibilità dell’individualità: esiste una zona (critica che fa al marxismo: con questa critica o da Emilio Sereni che gli chiede quali sono i rapporti che gli autori e la letteratura hanno con al società) d’ombra nella quale non è possibile entrare: zona buia dove il collettivo passa all’individuale. Questo continuo scarto tra individuale e collettivo è uno degli elementi che interessano trasversalmente il Sentiero perché è libro fondato sull’individualità distorta/distorcente e relazione col collettivo (mondo dei grandi visto dagli occhi di Pin). Pin e Kim: c’è un nesso. “Mostruose deviazioni” è chiaro rimando alla situazione presente nel tempo della narrazione alla questione della scelta: si ritorna sul perché si decide di diventare partigiani anziché fascisti. Chiarezza che non riesce ad essere ottenuta dallo stesso Kim. Segue un breve dialogo con il Dritto, che è responsabile dell’incendio. Il Dritto continua dire di essere malato e Kim gli risponde che si tratta di cercare di guarire per bene per il giorno successivo: battaglia molto importante per lui. Altro elemento: Pelle è un traditore. Doppia componente: Dritto che non è in grado e Pelle che tradisce: necessità di uccidere Pelle. È chiaro che la malattia è un gioco che Calvino reitera con Vittorini (Calvino prende il tono vittoriniano), non si capisce perché il Dritto è malato: “si tratta di cercare di guarire” -> perché deve guarire? E da cosa deve guarire? Kim e Ferriera lasciano la brigata e fanno una riflessione sulla brigata: la creazione della brigata un po’ particolare era idea di Kim. La posizione di Ferriera è per far prendere agli uomini coscienza della propria classe sociale: Kim ha il desiderio di giungere ad un altro risultato. “C’è lo stesso furore in loro”. Prospettiva non ortodossa: prospettiva che intenda ad arrivare al cuore della questione umana (riferimento al furore è di nuovo elemento vittoriniano). Furore a cui dare un’indicazione su come esprimersi -> rimando, nuovamente, alla questione della scelta. Accomunati dallo stesso destino di morte, Pelle e Dritto. Differenza rispetto ai capitoli precedenti è questa costruzione dialettica che nei capitoli precedenti manca, ma poi tornerà, nei capitoli successivi, un po’ temperata. Non si può metterla sul piano degli ideali, perché anche i fascisti hanno ideali. È la guerra umana, la loro, dei contadini che hanno degli ideali (riferimento a Carlo Levi). Mostra il risvolto della medaglia: per altri contadini la patria è una cosa egoistica. Poi gli operai, che hanno coscienza di classe: la patria da conquistare è la liberazione dal proletariato. Poi qualche intellettuale o studente (Calvino mette qui se stesso): al di là di quelle categorie di classe nelle quali crede, c’è qualcosa che accomuna tutte le classi, non è il marxismo ma il furore. Ecco perché di questi passi si parla di marxismo esistenzialistico. Nella brigata del Dritto, un’idea di rivoluzionaria non c’è, perché è gente offesa dalla vita, se c’è, è storta. È chiaro che si deve riflettere sulla retorica partigiana: dopo il secondo dopo guerra erano moltissime le prose che riportavano le gesta (impronta eroica) partigiane. Non esistono indole buone o cattive di per sé: ci sono scelte. E ferriera capisce dove vuole andare a pare Kim: la stessa cosa, ma tutto il contrario, perché qui si risolve qualcosa, lì si deve reiterare la catena del fascismo. Tutti uccidono per lo stesso motivo, ma c’è la storia: entra il piano storico che definisce il giusto e lo sbagliato e che definisce la parte del riscatto (ha una finalità: la liberazione) e la parte di chi non cambia nulla. Inutili furori= Astratti furori: discorso di Vittorini ribaltato: gli astratti furori erano di Silvestro, qui invece sono quelli dei fascisti, che non servono a nulla se non a perpetuare l’odio. Lotta che trascende gli elementi contingenti, lotta tra coloro che vogliono reiterare l’odio e la miseria e coloro che vogliono liberarsene. Calvino fa un po’ cadere la retorica: ecco l’accusa. Calvino non prende posizione netta, cioè prende la parte dei partigiani, ma in un discorso che rende in causa sia i vincitori che i vinti. Ferriera si è perso, che non capisce più nulla della riflessione di Kim. In Kim nasce un dialogo interiore, camminando da solo per i sentieri. Per quanto sia logico (doppia caratteristica del personaggio), Kim pensa ai simboli, agli elementi misteriosi. Pavese nella riflessione parla di Kipling (storia di questo giovane che ha avuto una vicenda travagliata dal punto di vista familiare, un po’ come è travagliata la vicenda familiare di Pin e compie peripezie nel contesto dell’imperialismo inglese ed entrano in gioco intrighi tra Russi adell’800 e impero britannico): riferimento al personaggio picaresco. Ribadisce quello che stava dicendo prima: personaggi non legati a un ideale politico, che combattono individualmente e collettivamente per liberarsi da qualcosa. Kim va al prossimo accampamento e prima di arrivare dalla sentinella dice “Pensa la colonna dei fascisti e dei nazisti che stanno avanzando per la vallata, ci sarà un soldato che pensa Ti amo Kate…” La narrazione ha subito un prolasso: discorso libero diretto, perdita praticamente della terza persona e l’introduzione della prima… Siamo passati da una dimensione picaresca a una dimensione che ha un gusto diverso anche. Due termini importanti per la comprensione strutturale del testo: il romanzo non è nato come noi oggi lo intendiamo, deriva da una tradizione culturale molto lunga allo stesso termine ha, nelle lingue romanze, una forma diversa (non in tutte le lingue romanze, la radice etimologica di romanzo è la stessa). Tedesco: Romaan; Francese: roman, Inglese: novel. Due origini diverse del termine: quella italiana è romanice loqui, luoghi in cui parlava il romano, componente legata al mondo romano. Novel ha accezione differente e significa novus: nuovo: che racconta un fatto nuovo ambientato in un ambiente che è quello della vita quotidiana. Le tradizioni del romance e del novel che nel romanzo contemporaneo sono fuse, appartengono a tradizioni letterarie perse: col termine romance rimanda a racconto di stati di eccezione (narrativa cortese medievale e rinascimentale – narrazione legata la poema eroico che compie gesta legata alle gesta di Carlo Magno tra cui rientra “L’orlando furioso”-, il romanzo greco -peripezie eccezionali-, la narrativa pastorale -Arcadia, romanzi legati a romanzi classici, bucolici, vita di un certo tipo, eccezionale- e la narrativa picaresca). Abbiamo ricorso a una determinata tradizione culturale, ma nel capitolo 9 si entra nell’atmosfera della vita individuale interiore dei pensieri di Kim. Il novel invece che ha tradizione 700esca di matrice inglese descrive storie ambientate nella dimensione della vita quotidiana (biografia sacra, novella, scrittura autobiografica in prima persona). Queste sono le due direttrici lungo le quali si muoveva il romanzo: struttura spostata verso l’esterno (mondo in cui si muove il personaggio), qui siamo in una dimensione soggettiva. Queste due strade sono abbracciate nel romanzo contemporaneo, e sono presenti nel Sentiero in una maniera emblematica, nel senso che nel nono capitolo si tende al novel. Vedi Slide The Progress of Romance (1785) di Clara Reeve. Ricaduta nel Sentiero, perché capita che con il capitolo decimo siamo all’interno della brigata di Pin e c’è necessità di partire per la cima e per arrivare nel momento in cui ci sarà assalto ai nazisti: assalto che non vediamo perché Pin che desiderava andare in battaglia, non andrà in battaglia, e resterà con il Dritto (che non vuole andare, motivo per cui verrà fucilato anche se il testo non lo dice). Rimaniamo con Pin, il Dritto e Giglia, Pin che riprende la vena umoristica canzonatoria che si intromette tra la volontà di Giglia e il Dritto di consumare (cosa che avverrà e che Pin scopre). Elemento di destrutturazione finale del romanzo, proprio perchè sarà pin a svelare a tutti, con una canzone, questo rapporto sessuale. Il capitolo 11 si apre su questo ritorno, avendo la meglio sui nazisti e ritornano verso il basso, e scopre che la brigata di questi partigiani verrà sciolta e loro verranno distaccati in altre ripartizioni: il Dritto viene arrestato e Pin se ne va. Pin resta solo (riprende la tradizione picaresca negli ultimissimi capitoli) e torna nel famoso luogo del sentiero dei nidi di ragno: non si trova più la pistola perché Pelle è riuscito a rubargliela e il sentiero non è più esistente perché è stato in qualche modo violato. Torna dalla sorella, e incontra Cugino, pensando di riuscire a non rimanere solo. Cugino chiede informazioni a Pin sulla sorella e poi arriva in città e si sentono questi spari, legati all’uccisione da parte di Cugino della sorella. Cugino combatteva per una ferita di amore, quella era la spia che indicava la risoluzione tra Cugino e la sorella di Pin che lui uccide in maniera brutale, non per una questione politica, ma perché c’era stata una delusione di tipo amoroso che lega sia l’appartenenza da parte di Cugino alla brigata partigiana, sia il finale nel quale la donna viene uccisa e così appunto si chiude il testo. La chiusura del testo è molto interessante, sulla distanza. Riferimento a Vittorini, per la questione della madre. C’è una questione di dove ci mettiamo per osservare la storia: più siamo vicini all’individuo o agli individui e più riusciamo a comprendere le nefandezze e la bassezza dell’individuo umano, e Calvino ci sta dicendo che la sua prospettiva è una prospettiva che Caves Cesare definirà il “pathos della distanza”. Calvino ha la tendenza di guardare al mondo degli uomini con una certa distanza, distanza data dal dimigliamento della componente soggettiva attribuita a Pin, sitzna proprio perchè il rischio principale era quello di rappresentare anche in modo banale un’esperienza così complessa come quella della lotta partigiana. Il tentativo di Calvino è proprio quello di costruire attorno a questa vicenda un racconto che abbia dei tratti epici, che derivino da storie differenti: il romanzo è fatto da segmenti narrativi che sono storie che possono essere anche presi singolarmente. Nasce in parallelo con “Ultimo viene il corvo”, all’interno del quale alcune delle ultime vicende del Sentiero sono presenti. Insieme di segmenti narrativi inevitabilmente tenuti insieme dal personaggio che peregrina attraverso lo spazio (altra componente ariostesca) e tutto questo assomiglia molto a quello che Omero ha fatto nei poemi omerici, prendendo storie che venivano raccontante dalle sentinelle anonime che durante i turni di guardia raccontavano storie, eventi, vicende, di cui Omero si è fatto collettore. Calvino come Omero, è poeta popolare, si attesta su una posizione antintellettualistica, che accusa Pavese essere scrittore intellettualistico. Tentativo di costruire un’immagine di sé che va contro il modello virgiliano, che resta modello da ricostruire, destrutturare e che ritrova nell’Iliade e gli Aedi anonimi, il collettore di questa storia che Omero metteva insieme. Calvino non si sentiva Omero, ma vuole dare impronta epica di quel mondo eterogeneo, disadattato, unito solo in virtù del furore. con la rivoluzione liberale e poi i gruppi di giustizia e libertà (movimenti antifascisti). Augusto Monti era stato il professore mentore di questa generazione di intellettuali che ha insegnato loro Pavese diventa presto editore presso Einaudi, arriva a lavorarci uno/due anni dopo la nascita della casa editrice stessa. Va al confino, perché fece da tramite per delle lettere, ma frequentava antifascisti (nonostante la sua più o meno attiva partecipazione al -dove Levi teneva le fila con la resistenza torinese da Parigi e si occupava di questo). Negli anni 90 Lorenzo Mondo, dopo la morte di Calvino pubblica “Il Taccuino Segreto” (20 fogli, che portano la data 42-43, manoscritti all’interno die quali pavese parla bene del regime: crea scandalo letterario. Erano conosciuti, fu Calvino a nasconderli, così che dopo la sua morte vengono pubblicati. Negli anni 60 quelle pagine sarebbero state ancora più scottanti. Dice che forse Mussolini aveva ragione, che probabilmente fa solo cose giuste: difficili da interpretare all’interno del pensiero pavesiano, essendo stato sempre antifascisti (o almeno così trapela dalla produzione): era uomo che giocava coi testi, che aveva voglia di provocare, che diceva cose ma pensava il contrario… Lui le ha tenute nascoste in un cassetto. Afferiscono comunque a una cultura di destra. Bloot e bold (?) sangue e terra: cultura nazista, tedesca. In Pavese è presente ma connotata in un modo diverso. Tanto che l’occulto, il sacro, la terra sono visti come legati alla tradizione/conservazione di destra. Nel 36 viene liberato: confino è qualcosa di molto più pesante piuttosto che il confino di Levi, nel modo in cui lui ha reagito: si è subito discostato da quella realtà, tanto che costruisce la sua poetica su una geografia molto distante: geografia delle Langhe. È il luogo in cui Pavese ha vissuto nell’infanzia, e in cui ha trovato temi e consuetudini che lo hanno portato a costruire la sua geografia letteraria. Diventa per Levi uno dei luoghi che si costruisce al confino. Anche all’interno della Casa in collina, si comincia a costruire la geografia letteraria. Invasione delle truppe naziste in Torino. Rimandano alla natura di un personaggio pavesiano, che, come dice Calvino, “non si sfugge alla storia né all’anagrafe”: siamo all’indomani del reflusso degli ideali della resistenza. IC si rende conto che è necessario riappacificare la nazione, riunificazione del paese ad opera della DC, che però annienta il socialismo ideale da cui aveva tratto spunto proprio la lotta antifascista. “Prima che il gallo canti” è titolo generale di due romanzi che vengono pubblicati insieme: “il carcere” e “la casa in collina”. Calvino mette accento sull’ermetismo (anni 30, nasce a Firenze), dicendo che è il poeta più intelligente della generazione ermetica: parola allusiva legata al mondo interiore, alla soggettività e all’io- lirico. In anni di pieno realismo, dire che Pavese è ermetico non è un complimento: era dire che aveva evaso i temi della resistenza e le sue partecipazioni alla resistenza. Sempre Calvino, in un altro saggio successivo, raccolto in “Una pietra sopra”. Nel 1955: “Il midollo del leone” (titolo che fa riferimento al coraggio del leone, che è la usa essenza): ha una copertina che fatta da Giaime Pintor, giornalista giovane, avendo superato le linee naziste ed essendo quindi salvo, decide di ritornare e continuare a combattere al nord: Pintor scrive una lettera al fratello per manifestare questo volere (la scelta gli costerà la vita). Silvestro è un personaggio che si muove ai margini della storia, che è una storia personale. Riferimento all’ N2 di Uomini e No che è romanzo di Vittorini. Si parla di polemica antiermetica ma non ci fa mai dimenticare che il protagonista è l’operaio: la prospettiva non è mai coincidente con il suo personaggio. Il protagonista è colui che sta a margine, e che entra nella prospettiva del personaggio, che vorrebbe essere come loro, ma non sa. Stefano è il confinato del Carcere, autobiografico che racconta il periodo di Pavese Brancaleone(?) e Corrado: l’uomo intellettuale che sta a lato della storia e che non ci entra nella storia (lo sta accusando per non aver fatto la resistenza). Nel 47, si accende sulle pagine del “Politecnico”: dibattito sul rapporto tra cultura e politica e quindi il rapporto tra intellettuali e partito comunista (qual è il nesso che li lega?): da una parte è esistenza degli intellettuali di mantenere autonomia della cultura (mantenere un canale aperto di comunicazione con la letteratura americana ed europea) e la volontà di indirizzare verso il movimento operaio gli sfori di questi intellettuali: la cultura doveva essere mezzo per trasmettere la volontà del partito comunista. Palmiro Togliatti (segretario del PCI) prende la parola sul settimanale della Rinascita (all’interno del quale Togliatti dice che l’intellettuale deve essere esclusivamente piegato alle esigenze del partito: stessa risposta che da Vittorini sul Politecnico “rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre nella sua opera…” (slide). Problema della cultura che lavora per la civiltà e non alle dipendenze della politica: erano i primi anni in cui il PCI diventa egemone in Italia nei fatti culturali di sinistra. Poi Vittorini uscirà un po’ di scena, anche con la chiusura del Politecnico da parte di Togliatti. “Prima che il gallo canti” esce nel 48: siamo più o meno nello stesso clima storico. “Il carcere”: scritto tra il 38-39 dopo l’esperienza di confino: dimensione memorialistica: Stefano è colui in cui si proiettano tratti autobiografici. Il carcere perchè titolo fa riferimento alla condizione esistenziale dell’individuo (come Muro di Sartre) - forma solitaria dell’individuo, chiuso, solo, lontano dagli affetti – ma c’è una filosofia quasi stoica dell’esistenza (uomo solitario, chiuso in sé, che ciononostante cerca di praticare elementi necessari al vivere (passeggiatine per il paese, poche conoscenze di cui si stufa). “La casa in collina” è testo in cui c’è storia di un professore di scuola che è costretto a spostarsi tutte le notti in collina a casa di due zitelle e he proprio lì vicino incontra Cate, una donna che ha frequentato quando erano giovani e che forse è la madre di suo figlio (8-9 anni, periodo che coincide con quello di frequentazione dei due). Romanzo con un protagonista codardo, colpevole, incapace di lasciare tutto e combattere, cosa che invece farà Cate insieme ai suoi amici (che verranno prelevati da una retata fascista): si salvano Corrado e Dino, il figlio presunto del protagonista. Un romanzo del 38-39 viene pubblicato all’interno di una raccolta così chiamata “Prima che il gallo canti”. Titolo che rimanda alla sentenza del rinnegamento da parte degli apostoli di Cristo: avvenimento in tutti i vangeli. “In verità ti dico, prima che il gallo canti tu mi rinnegherai 3 volte”: viene chiesto a Pietro se conosceva Cristo, lui nega 3 volte, per non far scoprire dove Cristo fosse, ma così lo ha rinnegato 3 volte. L’appiattimento con Prima che il gallo canti sovverte questa identità e la porta sul piano opposto: sono entrambi due solitari, isolati e l’esito ultimo è tradimento di qualche cosa: legato al contesto storico. L’antifascismo di Pavese del 35, cristallino, lo faceva legato agli ambienti antifascisti torinesi: poteva rivendicare la sua appartenenza (il tentativo degli autori, intellettuali dovevano rinnegare la loro partecipazione al fascismo): invece è lui che crea questa visione di sé, dice che lui non ha partecipato. Giaime Pintor e Leone Ginzburg ??? Alcuni commenti dei critici all’uscita del romanzo: Lorenzo Mondo “impietoso bilancio della vita di Pavese” e altri (slide o testo). Capitolo 1: Nelle prime tre righe ci sono già elementi essenziali. La collina non era luogo come altri perché era luogo dell’infanzia e aspetto delle cose, modo di vivere. Scontro tra campagna e città che c’è ovunque in Pavese. C’è un modo diverso da quello razionale, urbano di Torino, razionale, positivistica. La campagna si fa portatrice del Sacro, dell’Occulto. [Collana Viola (Einaudi dal 48 al 53 portata avanti da Pavese e De Martino sugli studi antropologici e religiosi) anni di pieno comunismo, testi che appartenevano alla cultura antropologica del nazismo tedesco (viene anche accusato di portare testi che hanno scaturito il fascismo in Italia).] Tre stratificazioni diverse di tempo “Non vedevo”, “Vivo” ...: appare come memoriale in cui il protagonista si trova su colline che assomigliano a quelle di cui parla, quelle dell’infanzia. Tempo primo è il tempo dell’azione. Descrizioni realiste degli sfollamenti. Il personaggio si connota subito nella sua solitudine. “Colpa di quel che mi accadde”: di chi è la colpa? “Quando venne la guerra”: sta scrivendo a non molta distanza dal momento in cui racconta la storia. La vicenda ci racconta il modo in cui lui racconta il passaggio dalle Colline di Si rapporta al testo precedente con il “chiudersi in sé”. C’è da analizzare il rapporto tra Corrado e Pavese: autobiografico? Cane ha la capacità di rendere visibili cose occulte: la vita della foresta, del bosco. Le donne cercano di trascinarlo verso la loro opinione (favorevole al regime di Mussolini). Riferimento alla figura della madre (donna anziana, madre) che ha elementi che riportano alla terra. La collina assume tratti antropomorfi. Nel primo capitolo si vedono intrecciarsi il rapporto tra il presente il tempo dell’infanzia che emerge attraverso oscuri richiami (che afferiscono alla semantica del sacro, che rimandano a qualcosa di strano se si pensa alla solitudine del protagonista). Sulle coline trova un gruppo di persone, tra cui avvisa una voce di donna, voce di Cate, Belbo arriva al gruppo nel casolare e incontra Cate: incontro che spezza la solitudine, ma vanamente, perchè si ritroverà comunque solo tra le colline. 25/10/2022 Capitolo 2: Ci sono alcune parole chiave (lessico) che Pavese utilizza e che permettono di fondare uno sfondo teoretico importante che ci permette di ricollegarci alle tematiche presenti anche negli altri testi. Ricostruzione allusiva fatta dal narratore, che costruisce senza metter date esatte, la struttura cronologica della guerra. Siamo probabilmente a giugno del 43, perché ancora Mussolini non era stato spodestato dal re e sostituito con Badoglio. Città e canto della valle: contrapposizione. La città raggelarsi al momento dell’allarme, il trapestio, le porte sbattersi: antropomorfizzazione della città. Collina è un po’ come fosse il luogo della vigliaccheria. Casa in collina è molteplice: casolare con il gruppo di giovani (10 anni meno di Pavese circa), casa di Elvira e sua madre, e un’altra casa finale. Forzatura del lessico, tipica forma del romanzo neorealista. (chiedi a Gianluca: 1 frase) Il concepire mitico dell’infanzia è un sollevare alla sfera di eventi unici e assoluti le successive cose, che vivranno come schemi normativi, per cui tutti possiedono una mitologia personale. Siamo predestinati da una mitologia personale. Nell’infanzia il bambino crea produce le tracce di quello che sarà il suo avvenire. [Sta parlando degli archetipi di Jung, ovvero coloro che produrranno le scelte del futuro: se esistono gli archetipi individuali esistono gli archetipi collettivi che ci coinvolgono anche nei Noi-passati e nei Noi-delle- origini.] In un appunto del ‘49 (SLIDE) Pavese divide i suoi romanzi e ne classifica alcuni (gli ultimi 4) come romanzi che hanno attinenza con la realtà simbolica, realtà portatrice di elementi non naturali (il simbolico è la violazione del naturalismo), realtà anzi, aumentata. Il destino che cos’è dunque? (’43): appunto sulle rotaie che si scavano nell’infanzia, angoscia che si erge dalla prospettiva di un destino prestabilito. Nel 43 stava leggendo Nietzsche con la problematica del destino. Che rimanda alla problematica della scelta. Costante riferimento ad un contesto più ampio è anche segnato dalla ripresa di sostantivi che rimandano a un ambito ben preciso, quello della colpa. Nel testo si parla di vendetta, vergogna, colpa, punizione...: terminologia che rimanda anche all’ambito destinale e della colpa (in contrasto, ma legati l’uno all’altro -> sfera semantica religiosa, ambito propriamente mitico della poetica di Pavese). Il “Non essere di loro” è tematica centrale del testo. Nel capitolo 4 a pagina 23 c’è un ultimissimo sviluppo della trama: il ragazzetto che compare si chiama Dino, diminutivo di Corradino, si chiama Corrado proprio come il protagonista (non è un caso, proprio perché Pavese ha il dubbio che Dino sia suo figlio). Anche nella problematica del figlio c’è qualcosa legato alla colpa, al destino, alla non-scelta. Rovello interiore furioso circa la comprensione del bambino, verso il quale comincia ad assumere fin da subito un atteggiamento paterno. All’inizio di pagina 26, Pavese mescola elementi del privato con elementi della storia collettiva: il dubbio che viene a Cate è che Corrado sia fascista (uno dei dubbi attorno al quale ruota il romanzo). La problematica della scelta, nel personaggio di Corrado assume aspetti ambivalenti: cosa pensa effettivamente Corrado del fascismo? Non è molto chiaro capire da che parte della storia sia. La frase verrà ripresa e smentita costantemente. La posizione che il personaggio ha è ambivalente: ci sono elementi che vanno in una direzione, altri che vanno in un’altra. Proprio per questo calvino dice che è testimonianza impietosa, perché può accreditare la credenza secondo cui Pavese sia fascista davvero oltre a quella per cui Pavese non ha preso una scelta. 27/10/2022 Personaggio che si muove su diversi piani temporali (piano del presente: racconto primo della storia di Corrado; e diversi piani che riguardano il momento in cui l’autore scrive il memoriale). Da una parte nella prima metà del libro, si raccontano, al di là degli elementi temporali che si riconnettono al momento della guerra, due storie d’amore: da una parte c’è Cate che viene ritrovate al casolare, e Anna Maria (figlia del professor universitario del quale Corrado ambiva diventare assistente. Sono due mondi diversi: Cate dal proletariato e Anna Maria ricca donna torinese: in entrambi i casi Corrado arriva a rompere la relazione, un po’ perché possiede quel gusto per l’isolamento, per chiudersi in una solitudine che è la cifra caratteristica di “Prima che il gallo canti”, e si rifugia in collina nella casa di una signora e di sua figlia zitella. L’altro rapporto da tenere in considerazione è quello che si instaura tra Corrado e Corradino, cioè il presunto figlio di Corrado, entrambi con caratteristiche comuni: si specchiano un po’ (gioco che pavese fa coi suoi personaggi: molto simili due personaggi, entrambi con un gusto determinato: non sopportano presenza femminile, piace loro andare per i boschi, ritrovando contatto con la forza sorgiva della natura: specchio tra i due Corrado che a un certo punto si infrangerà, perché dopo la cattura della famiglia di Cate e del gruppo di resistenti al casolare in collina, Dino si ritirerà in convento insieme a Corrado, e lì incontrerà un frate: che nella realtà storica era esistito Baravalle che accoglie pavese nel suo ritiro a casale Monferrato (si ferma nel convento e intrattiene una sorte di relazioni con lui, che saranno poi raccontate dallo stesso frate): il mestiere di vivere registra una serie di riflessioni che pavese fa sulla chiesa cattolica: riflessioni che si ritrovano anche nella casa in collina nelle parole di Corrado. Corrado scappa e vuole tornare a casa dai suoi (momento in cui decide di scrivere questo memoriale) e Corradino si unirà a Fonso nella lotta partigiana, cerca di ritirarsi in montagna e si rifugerà lì. C’è divaricazione delle due storie che rende il personaggio di Corrado sempre più solo, perché anche il ragazzino in cui aveva visto un figlio, lo abbandonerà e lo preferirà a Fonso, personaggio molto dinamico e attivo nella lotta partigiana. Che tipo di personaggio è Corrado e perché pavese decide di costruire questo personaggio in questo modo? Questa riflessione apre una serie di riflessioni ulteriori sul problema dell’avidità e sul problema della scelta (che va di pari passo con il problema della colpa). Destino in relazione alla concezione che pavese ha dell’infanzia legata a un élite culturale di un determinato tipo (di marca freudiana, psicanalisi anche di Jung però) che spiega l’idea di destino, di questi stampi che determinano la storia dell’individuo. Anche Corrado è predeterminato perchè qualsiasi sia la sua scelta o non-scelta, il suo destino sembra essere la solitudine. Nel mestiere di vivere, pavese nel 1943 dice qualcosa riguardo al rapporto che intercorre tra arte e rito: (messo da arte nel secondo gruppo di autori che andremo ad analizzare: cambiano i contesti: ritualità nella quale si rifanno e si ridescrivono determinati gesti e azioni verrà intesa in modo differente.) La caccia, un combattimento o tutto ciò che riguarda l’azione non p religioso di per sé: ciò che è religioso è tutto ciò che imita un’azione, che riguarda il desiderio di rivivere, di rappresentare ciò che riguarda la realtà. Il rito quindi (la trasformazione in immaginario di un’azione) è ciò che riguarda l’arte (tentativo di fare le cose per la seconda volta: uno dei grandi temi in Pavese. Il rimettere in scena qualcosa che riguarda il rapporto con la realtà. Nella mimesi c’è il segreto della poesia. Costante è il rapporto tra religione, rito e arte, tanto che Pavese lo dice chiaramente, la poesia è estrarre il nucleo mitico dell’esistenza (nucleo personale dell’individuo o della collettività) e rappresentarlo, metterlo in scena, presentandolo con qualcosa di rituale. Questo si ripercuote sulle scelte che Pavese fa nella “Casa in Collina”. Atteggiamento di Corrado nei confronti di chi prende una scelta: relativizza la prospettiva del personaggio di chi ha di fronte e la ribalta, che muta a seconda di chi ha di fronte: ambivalenza o narcisismo di Pavese. Debolezza, rancore, incapacità di assumersi responsabilità e tradimento Anche il problema della viltà è tema centrale in Pavese: Capitolo X Inizia lo sfacelo: si arriva al momento in cui i tedeschi stanno occupando il Nord Italia. Aspetto interessante è la costruzione temporale: ha due aspetti essenziali: ciascun capitolo (22 su 25) iniziano con un’indicazione temporale ben precisa (sbarco in Calabria degli Americani, caduta di Mussolini…) e poi ci sono una serie di eventi differenti che non hanno alcuna correlazione temporale: gli spostamenti tra Torino e la Collina sono sessi lasciati un nebbia temporale che non ci permette di collocarli all’interno di una cronologia. Pulsione contraddittoria che è anche propria del memoriale (che all’altezza del memoriale sta ricordando alcuni degli eventi passati, memoriale che come si capisce subito, viene scritto quando la guerra non è ancora finita: tutta la Casa è dentro al mondo della guerra): procedimento tecnico e contenutisticamente che produce effetto di derealizzazione e distacco del flusso narrativo da quegli che sono elementi contingenti che lo inserirebbero all’interno della cronologia narrativa, produce una più generale riferimento a quello che i critici hanno definito la “Patologia del giudizio estetico”: viltà rafforzata dalla costruzione del memoriale. La guerra sta producendo un sovvertimento generale aggravato dall’invasione die tedeschi e dallo sbarco degli Americani nel Sud Italia. Ci fosse una sorte di partizione degli individui, come se questo passaggio (arrivo dei Tedeschi in Italia)) fosse qualcosa destinato a compiersi a cui tutti erano in attesa. Un momento di predestinazione generale che si concretizza anche nel capitolo 11 quando l’estate volge al termine (si apre con questo incipit temporale preciso: sbarco in Calabria 3 settembre 43). E immediatamente dopo l’apertura di questa temporalità che svanisce. Era un po’ la speranza che si era riproposta proprio quando mussolini, arrestato, era stato sostituito da Badoglio: il 25 luglio Badoglio però disse che la guerra continuava contro gli americani. Per due mesi l’Italia pensava di essere in pace, perché il fascismo era finito, ma l’esercito era mantenuto in allerta per difendere i confini italiani. Poi si arriva all’8sttemre quando il re chiede la pace. Le truppe dal 25 luglio non fanno sistema contro l’invasore tedesco, ma si sfaldano: “Tocca a loro adesso!” tocca alle truppe ufficiali, ma in realtà si sfaldano, alcuni si ritirano e creano le brigate partigiane, altri si ritirano -> tutto questo viene colto in maniera molto lucida e interessante (i libro è anche testimonianza storica di quei momenti drammatici): avanzata verso Torino die tedeschi che non viene descritta fattualmente, ma sempre attraverso le voci che la gente riporta sulla discesa dei tedeschi in veneto e poi arrivo verso città limitrofe, fino a che i tedeschi fanno poi irruzione drammatica nella scena (drammatica perché riguarda direttamente i sovversivi in collina). Capitolo 11: “La salvezza non venne”: si pensava che le truppe fossero già a Genova, ma in realtà sappiamo che la linea del fronte era molto più bassa e rimase tra Roma e Napoli per molto tempo. Neofascisti perché si rifà alla Repubblica di Salò. Subito il gruppo si mette a intercettare armi, svaligiando magazzini e ripostigli. Dice cose che in realtà non pensa e ci dice subito che lo sta dicendo non perché lo pensa veramente. Ritorno del fascismo è sanguinario, non solo perché è stato coadiuvato dalle truppe tedesche, ma perché erano ultimi tentativi di una speranza di resistenza. Disordine che si crea dal 8-9 settembre. “Quel nostro destino”: destino rientra nel discorso ed è interessante che sia uno che è nascosto in una casa nelle Langhe: questo ci porta a parlare di un tema che per Pavese era molto caro dagli anni 40: la genealogia dell’ignavia. Il personaggio di Corrado rientra in una schiera di un insieme di personaggi ignavi: da una parte Dante e dall’altra la Genealogia della Morale (insieme ad altri testi di Nietzsche, come la Volontà di Potenza e Così parlò Zarathustra che Pavese a quegli anni cercava di tradurre: ci sono delle parti di traduzione nella arte di pavese che riguardano la volontà di potenza e che mais sono state pubblicate; che testimonia il tentativo di Pavese di inserirsi all’interno di un argomento spinoso che era quello della filosofia nietzschiana che qui trova un correlativo nel tema dell’ignavia.) Corrado dice “In sostanza mi godevo già quel piacere di rancore saziato, di occasione felicemente perduta ch’è poi divenuto per me un’abitudine”: aspetto che si vede già dall’analisi di Corrado: c’è questa duplice forma, questo piacere per la sofferenza, piacere che va nella direzione di godersi il rancore (presente nella filosofia di Nietzsche perché rancore è strumento attraverso il quale l’uomo si tiene ancorato alla vita, ma ha anche in sé una dinamica legata la mondo del potere. Rancore produce rapporto tra schiavi e padroni: tra chi è sottoposto alla volontà di potenza e chi ha il potere). Siamo alla fine del libro, nel momento in cui il protagonista si ritrova nella casa dei genitori, e il protagonista ha iniziato a scrivere il memoriale e ci sono alcuni punti interessanti: A un certo punto, Pavese scrive “questa guerra ci brucia le case…”: problema iniziale è presenza di morti disseminati nelle piazze, strade e nei luoghi in cui Corrado passeggia. “ci caccia come lepri di rifugio in rifugio”: spesso si paragona ad una lepre che scappa di rifugio in rifugio. Fa considerazione “finirà per costringerci a combattere anche noi per strapparci: discorso della colpa: è interessante perché a questa altezza (noi sappiamo che Pavese scrive il testo dopo la guerra) ma è come se la considerazione che fa (noi sappiamo non essere così perchè il consenso attivo non è mai avvenuto): considerazione volutamente scelta per staccare da sé il personaggio di Corrado e per farci comprendere il personaggio: sarà il mondo esterno a strapparci il consenso attivo. Siamo in un’ottica di probabilità: la storia della Seconda guerra mondiale non è finita, ma Pavese sa questo consenso attivo non ci sarà. Fa capire la natura del personaggio che on potrà mai per un consenso attivo, m anzi si muoverà come una lepre, rintanandosi. “E verrà il giorno che nessuno sarà fuori dalla guerra… tutti avremo accettato di fare la guerra e allora forse avremo la pace”: c’è quella famosa considerazione a proposito dei morti repubblichini. Citazione sulla colpa “oggi ancora mi chiedo perché i tedeschi…”: lui vede la cattura dall’alto dei suoi amici e si chiede il perché anch’egli non è stato catturato, perché i tedeschi non arrivano a cercarlo. Frase sul problema della colpa “Perché sono il più inutile e non merito nemmeno un castigo”: riconduce a problema dantesco che ritornerà anche al testo di Primo Levi: ignavia. La posizione che ha nel mondo è di reietto, a cui nemmeno un castigo compete, neanche la punizione vale per lui, lui pensa. Nasconde anche elementi autobiografici perché Pavese stesso sopravvive, nonostante alcuni amici torinesi muoiono. Vetro: ritorna il motivo della finestra: finestra come modalità di vita: vivere la vita da dietro un vetro. Finestra diventa simbolo della solitudine del protagonista, solitudine rimarcata dallo stesso Corrado. Sopravvissuto per caso, per caso è scapato al rastrellamento die fascisti. Tornando al capitolo 23 “E’ qui la guerra che mi ha preso e mi prende ogni giorno… gliene chiede ragione”: aspetto molto importante, ci permette di concludere il ragionamento sulla “Casa in collina”. Aspetti interessanti relativi alla descrizione del personaggio: Inferno III (46-51), quando parla degli ignavi, Dante. Caratterizzazione di Corrado dell’ignavo dantesco, dove misericordia e giustizia sdegnano la figura dell’ignavo: la giustizia sdegna la viltà di questi esseri, tanto che appunto Corrado non merita neanche un castigo. Qui mette l’accento sull’uguaglianza tra gli esseri umani: comprendere la dinamica della guerra civile (non è un caso che Pavese segnali la guerra civile e non la chiama patriottica), ma i corpi ci portano a una dimensione ulteriore: la sensazione di essere sopravvissuto di essere al posto del morto perché c’era un filosofo che dice "di fronte alla morte l’uomo ha la tendenza di sorridere/ridere”: morte dell’altro indica la sopravvivenza di noi stessi, fa capre che potremmo essere noi e che, al contempo, siamo ancora vivi. Corrado di fronte ai morti si sente sollevato, si riempie gli occhi guardandoli. Non importa che il corpo s di un nemico o sconosciuto, il sangue esige di essere placato: l’affanno della storia (contrapposizioni, schieramenti politici) nella morte terminano: dimensione che trascende la dimensione politica, delle opposizioni, degli schieramenti: fondo umano è la vera cosa da ascoltare e custodire: dimensione antropologica in Pavese viene a galla. Capire il rapporto che il personaggio ha nei confronti della colpa: colpa stoia nei confronti da parte di Corrado nei confronti di Cate e del figlio, c’è da parte di Corrado la mancata acquisizione di una responsabilità (non assume il fatto di essere padre e scappa più volte, lascia che Dino raggiunga i partigiani, lascia che questo avvenga): difetto del sé: personaggio che ha dentro si sé elementi divergenti dalla norma. La colpa viene trascesa dallo stesso Corrado, l’idea dei repubblichini morti è un’idea forte nel 1947: elemento non da poco, che ci riconduce a quell’ambiguità del pensiero pavesiano. Esce dall’intorpidimento dell’animo per fare contestazione che rimanda al fondo comune di uguaglianza, al di la dello schieramento politico: non c’è colpa individuale, ma il riconoscimento del fondo comune inevitabilmente rimanda alla dimensione del sacro. Ci sono molte spie semantiche che rimandano a un piano collettivo, nel quale si rispecchia in Corrado una colpa che trascende il piano storico e accomuna tutti gli uomini. Tutti siamo uguali alla fine, ma proprio questa comunione di intenti e di sguardi, all’interno di una dimensione antropologica, in cui la colpa diventa qualcosa di comune (accomunati tutti dal senso di chiusura/incapacità di aprirsi e non guardare veramente, tanto che preferisce non scegliere). Incapacità di scelta che è responsabile di quello che è accaduto tra gli anni 30 e 40: Corrado si rispecchia nella colpa collettiva, attraverso il riconoscimento dei corpi morti. In “Prima del gallo canti” c’è idea di salvazione? Alcuni critici sostengono che (prima dell’alba: qualcosa di nuovo che viene al mondo) il finale ci permette di confrontare la colpa con la colpa collettiva di cui Corrado diventa testimone. La scrittura di Corrado legittima e permette di comprendere quanto quel senso di incapacità di agire (la non scelta) abbia prodotto quel tragico periodo storico. C’era in quegli anni l’interesse di Pavese verso la filosofia heideggeriana(?): emerge nel rapporto con la religione e con Dio: molteplici livelli di lettura della Casa in collina: uno degli strati più profondi è proprio questo della colpa individuale e collettiva. Cosa si fa dei morti? Perché sono morti? : nessuno di noi saprebbe rispondere. Solo per loro la guerra è finita: la guerra diventa guerra della vita: piano storico e ontologico sono costantemente intrecciati e uniti all’interno del testo pavesiano. Questo ci permette di fare ultimissima considerazione relativa al passo: piano della dissociazione del personaggio che avviene attraverso la descrizione delle cagne (chiaro riferimento a qualcosa che insegue il personaggio e vorrebbe morderlo: problematica del destino che cagne sono le Oreste di Eschilo richiamo al senso del destino che incombe sul protagonista isolato e staccato dal resto. Senso di vita dentro una campana di vetro si ripercuote nel finale col riconoscimento che avviene. Riconoscimento che rende Corrado un testimone, testimone di qualcosa si più della seconda guerra mondiale, testimone della componente umana che affiora nel corpo del morto, componente di umanità e sacralità che il corpo emette. Problema della testimonianza è centrale in Primo Levi. SE QUESTO È UN UOMO – PRIMO LEVI Primo Levi era un partigiano che viene arrestato e deportato a Fossoli (centro di smistamento) e iene mandato attraverso il treno (come Levi ci descrive) ad Auschwitz. Ci interessa capire la geografia del campo di concentramento e la descrizione che Levi mette in gioco. A un certo punto Levi dovrà sostenere un esame e questo gli permette di accedere al laboratorio della Farben fabbrica di materiale mai andata in funzione durante la 2 guerra mondiale, come chimico. Incredibile sforzo, che però non ha mai prodotto nulla. Dal 22 febbraio del 44, al 27 gennaio del 45: per quasi un anno, nella descrizione che levi fa di “Se questo è un uomo” è momento più drammatico, dell’inverno, in cui lui si ammala. Segue poi il lungo viaggio di ritorno che da vita alla Tregua, un’altra opera di Levi, dedicata all’esperienza del Lager. I testi sono 3: “ I sommersi e i salvati” negli anni 80, poco prima di uccidersi, dall’androne di casa sua a Torino: è testamento spirituale in cui ripercorre alcuni aspetti della vita nel lager, facendo riflessione sui sommersi e sui slavati (che sono già nel libro Se questo è un uomo). Doveva addirittura esser il titolo del Se questo è un uomo, perché l’editore ha così deciso. LA tregua viene scritto anni dopo e rappresenta il lungo cammino che levi ha fatto dal campo di Auschwitz fino a casa: ungo cammino durato quasi un anno, dopo la liberazione da parte dei rossi del campo di concentramento. L’esperienza del ritorno è contenuta nella Tregua”: senso di sospensione: gioia frutto della liberazione ma indice che quello che era capitato nel lager sarebbe poi riemerso. Personaggi che danno uno spaccato di quella che era l’Europa all’uscita dalla Seconda guerra mondiale. Vicenda editoriale singolare sulla quale si discute continuamente: il testo viene inizialmente rifiutato. Scritto nel 46, alcuni appunti del testo sembra che levi li avesse presi nel campo di concentramento e annotati su pezzi di carta che riesce a trovare nella fabbrica (diceria critica, perchè non abbiamo nulla dal punto di vista filologico). Levi dà alla Einaudi il testo e nel 47 viene rifiutato. Levi è costretto a pubblicarlo presso la Desilva (con immagine della sovracoperta (? Frontespizio??) tratta da uno die bozzetti della fucilazione di Goya, dipinto da mano anonima -forse Carlo Levi che copia il bozzetto-). Cambiata nell’edizione Einaudi, perché nella edizione Desilva non se lo fila nessuno. Problema sul quale si deve riflettere: perché la testimonianza sui lager non esce inizialmente da una casa editrice? Nel 58 diventa best seller internazionale. Motivo legato a un rifiuto da parte della Einaudi: Natalia Winsburg(?) che decide che il libro non era il momento giusto per pubblicarlo: ritrosia della Winsubrg verso un’opera che le faceva male personalmente a causa della morte del marito. E perché era accaduto al di là della seconda guerra mondiale: oblio/rimozione della tragedia del lager. Levi voleva parlare dell’esperienza ma ha capito che in realtà le persone non avevano voglia di ascoltare: rigetto/rifiuto che caratterizza i primissimi anni del dopoguerra. Il primo libro italiano sulle deportazioni esce nel 44 (16 ottobre del 43); rastrellamento del ghetto di Roma: più di mille ebrei romani vengono rastrellati e Giacomo Debenedetti descrive in maniera corale e minuziosa l’arrivo della notizia che annuncia sarebbe accaduto all’interno del ghetto convinzioni da parte della comunità ebraica che non sarebbe accaduto nulla, poi trappola dei nazisti e deportazione di più di 1k persone. Racconto breve che esce ne 44 ed è primo libro sulla deportazione. Nel 45 10 altri libri, 14 nel 46 e 3 nel 47: sono numeri abbastanza esigui. L’altro motivo era più letterario dietro al rifiuto di Natalia e Pavese (si considerava per molto tempo che fosse stato pavese a causare il rifiuto) dipende dalla lingua e dallo stile che levi utilizza. Romanzo ottocentesco, distante da quello stile sperimentale di Calvino, Vittorini o Levi. Stile che poteva stonare alle orecchie di chi come Pavese e Ginzburg avevano optato per una tipologia narrativa diversa: non era il momento gusto per pubblicare il racconto sul lager, né è lo stile adatto per parlare del lager. Nel 1958, quando Calvino pubblicherà il libro con l’Einaudi, il libro diventerà caso internazionale, grazie proprio anche a Calvino che aveva messo lui una nota al testo. Esperienza testimoniale, frutto della volontà si trasmettere ciò che era accaduto all’interno del lager, uno die motivi per i quali lui è sopravvissuto: devo sopravvivere perché devo raccontare dice Levi più volte nel testo. La fabbrica “Buna” è sulla destra, i crematori sono sulla sx…: Aushwitz è nome generale per diversi sottocampi: Birkenau-Auschwitz 2, Auschwitz 1, Auschwitz III Monovitz. Levi si trovava sulla dx e i forni crematori erano sulla arte sx: ricordo di Levi dei fumi che vedeva da lontano. Il problema essenziale che il testo pone: mi pare superfluo aggiungere che nessuno dei fatti è inventato: ci chiede di essere sostanzialmente creduto proprio perchè ciò che viene raccontato è accaduto realmente. Il problema è un problema legato alla memoria. All’apertura del testo c’è una sorta di Scemaà: orazione tipica della preghiera ebraica, atto di fede che inizia con “ascolta Israele..”: si professa la credenza in un unico dio. Credere è un atto consapevole che ogni cristiano compie quando decide di credere. Ma l’atto di fede che Levi pone è un atto ribaltato: non crede in nessun dio, perché non può esserci Dio dopo Auschwitz, ma atto di fede nella memoria. Sintesi della condizione degli uomini per i primi 5 versi e donne per gli altri 5 versi. Interessante capire come Levi concepisce il sacro (esperienza concentrazionaria riconduce a elementi sacrali) lessico della sacralità che qui viene messo in luce attraverso l’idea dei condannati a morte (assumono una valenza di diverso tipo: alla vittima viene risparmiata ogni cura estranea, il corpo assume una forza che è sacra, perché è più vicina alla morte). Si tenta di far sentire a colui che deve morire la naturale necessità e correttezza di questa morte: problema della colpa. Levi spiega che i condannati a morte assumono questa aria di qualcosa che va sacrificato sull’altare: sacrificio (da qui, Olocausto) viene vista come necessario e giusto e insieme con la punizione avviene il perdono: elementi di una ritualità barbara. A loro non fu concesso perché erano moltissimi. Notiamo subito, dal punto di vista narratologico, che il testimone (lui dice “Io”) parla di sé: tentativo di instaurare patto di fiducia tra scrittore e lettore, ma ci sono due piani di narrazione su cui si fonda il testo: io-narrante e io-narrato. C’è un Levi che racconta e che sa come finirà la vicenda e c’è un Levi che invece vive. Ma la cosa interessante è che questi due piani possono essere immaginati come una specie di cono rivolto in giù (il personaggio che vive è la punta del cono, colui che non ha consapevolezza di quello che accadrà, man mano che si va verso l’io narrante il cono si apre: la coscienza dello scrittore aumenta: ci sono due livelli che giocano nel testo). Colui che parla di quello che gli sta capitando, e a volte interviene colui che scrive, che ha terminato l’esperienza. Gioco tra la punta e la base del cono: su giù-su giù -> gioco che avviene nel momento in cui il Levi-narrante fa delle considerazioni di tipo morale sulla vicenda del lager per spingerci a riflettere su quella che è stata l’esperienza concentrazionale: elemento retorico interessante: rapporto che ciascuno di noi può intrattenere coi propri figli con l’idea della madre che cura il proprio figlio fino alla fine, con il gesto molto delicato con cui si prende cura del figlio, stendendone i panni sul filo spinato -> immagine che suscita in noi empatizzazione nei confronti dei personaggi di cui noi non sappiamo nulla (questa immagine che gioca con la consapevolezza del lettore, che sa quello che accadrà, e spinge anche a dare credito a colui che dice “io”). Entra immediatamente la questione dell’esodo del popolo ebraico che continua nei secoli e che qui diventa elemento centrale della Shoah. Colpa e tradimento: temi: colpa è inesistente in questo caso, ma, in realtà, anche in questo testo emerge il problema della colpa, ovvero della giustizia del popolo tedesco. Alba è tentativo degli uomini di distruggerli. È bene che non resti memoria di quell’ultimo tempo prima della partenza: tempo su cui levi pone uno sorta di velo dal quale scorgiamo la follia di quello che sta per accadere: le persone vengono caricate come degli ? (parola tedesca ancora: tanti pezzi: 650 pezzi che vengono caricati sul treno, più di quelli che ciascun convoglio può tenere). Trasformazione dell’essere umano inizia ora: trasformandosi in qualcosa di legato al mondo dell’inorganico, che non è più umano, ma più simile alle cose. Questo sarà uno die tratti caratteristici per tutto il racconto e allo stesso tempo, nel momento in cui salgono sul treno, iniziano le violenze fisiche che vengono perpetrate a danno degli ebrei (disagi, percosse): unici puntelli che Levi-testimone dice essere quello che l’ha tenuto in vita: annullato il passato e il futuro (non esistono nell’esperienza concentrazionaria: terminano, muoiono. Il passato non c’è perché gli eventi del passato sono relegati in un altrove, il futuro è troppo astratto nei confronti dell’esperienza quotidiana del campo). Paradosso: levi gioca con le sfumature dell’animo umano: ciò che ci ha tenuto in vita è stata la fame, la sete, le percosse: sul fuoco di una disperazione senza fondo. Segue il viaggio che dura giorni e che li porta ad Auschwitz: è un nome, qualcosa che esite nel mondo: ci stanno portando da qualche parte! E qui avviene la separazione: donne e bambini vengono immediatamente in un altrove che si disperde nella nebbia, gli uomini abili al lavoro condotti all’interno del campo 3. Come viene descritto l’ingesso nel campo di concentramento? Come una sorta di inferno dantesco: attraverso questo esempio rielabora l’esperienza concentrazionaria, fin dal capitolo 1. “E’ un soldato tedesco irto d’armi…”: siamo in una sorta di antinferno dantesco. “Guai a voi anime prave” sostituito da “Ci domanda cortesemente se abbiamo denaro o orologi da cedergli”. Sfumature dell’animo umano: orologi e denaro chiesto che suscita collera e riso e uno “strano sollievo”: perché evasione della regola fatta dal militare fa pensare che poi in qualche modo le cose potrebbero sistemarsi. Arrivo è segnato dall’immagine che sembra riprendere Dante “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate” sostituito da “Arbeit macht frei”, che è quest’ultima quasi una sorta di scrittura antifrastica perché il lavoro si associa alla macchina organizzativa tedesca ma è paradosso, perché il lavoro non rende liberi ma anzi rende impossibile la libertà, rende schiavi: due facce della medaglia -rispecchiamento dell’ideologia nazista tedesca e la beffa nei confronti di chi entra nel campo di concentramento-). È proibito bere acqua, ma è vero che il rubinetto non eroga acqua potabile ma interesse vedere come Levi lavora coi tempi verbali: primo paragrafo usa il passato remoto, poi passato prossimo, gerundio passato: questo fa vedere il su e giù del cono della trasformazione dell’io. Il tempo diventa presente, presente assoluto, perché il tempo sembra non scorrere. La morale del campo è chiara immediatamente perché queste persone che sono assetate trovano della neve ghiacciata e uno di loro la stacca per berlo, ma viene colpito dalle persone che gravitano all’interno del contesto (non tutti i prigionieri sono uguali: levi le spiegherà nel corso del testo), senza un motivo: quando gli chiedono perché lui dice “non c’è nessun Warum”: non c’è nessun perché, perché non c’è nessun senso attorno al campo di concentramento. Tentativo di questo laboratorio sociale era la creazione di un essere (tentativo a cui i tedeschi volevano approdare e Levi sarà il primo a sistematizzare questo concetto ideologico) che non è vivo né morto: Levi capisce che c’è una categoria terza che è anello di congiunzione tra mondo dei vivi e mondo dei morti. Capitolo “Il fondo” Numero seriale con il quale gli ebrei venivano marchiati. È ancora un luogo antinfernale, perché non sono entrati ancora nella parte centrale del campo, “qui non ha luogo il santo volto…”: ripresa die verso infernali dedicati al personaggio di Lucca che era stato accusato di essere barattiere (colui che aveva carica pubblica a e commetta illeciti): qui levi lo usa per indicare il santo volto come il volto di Dio. Non c’è qui il volto di Dio: si è sommersi, non si nuota, nel fiume infernale. Fatto interessante: loro vengono fatti attendere, e poi inizia a suonare la Rosamunda (canzone sentimentale): modo atroce con cui veniva orchestrata la vita nel campo. All’ingresso dell’ora finale viene suonata musica tipica che ha lo scopo di dare il ritmo all’andatura dei prigionieri che rigorosamente rispettano l’andatura perché sennò verrebbero picchiati. Levi sottolinea che hanno un’andatura strana, innaturale: uomini che lui non riesce a capire la loro natura (lui era ancora in forze, appena arrivato): li definisce fantocci -fantocci manipolati di cui sopravvivono solo le ossa. È chiaro che allude all’estremo grado di deperimento a cui le persone arrivavano nel campo. Anomalia che viene rilevata come postura che loro si sforzano Lamiera dentro la scodella in cui mettono il cibo. Ci sono diverse gradazioni e personaggi all’interno del campo: criminali, politici ed ebrei che hanno caratterizzazione diversa a seconda del triangolo (criminali verde, politici rosso e ebrei che erano la stragrande maggioranza avevano stella ebraica rossa e gialla): tema studiato dai diversi sopravvissuti che in realtà le figure erano anche figure di mezzo (triangoli verdi) che costituivano l’anello di congiunzione tra SS e deportati ebrei che erano l’ultima catena del campo. Triangoli verdi erano reclusi a loro volta, ma diventavano assassini e fanatici e dirigevano i vari blocchi. Levi ci chiede attraverso il gioco narratologico di credere a quello che ci sta raccontando e non lo racconta attraverso un tono violento e perentorio, ma l’andamento della prosa è chirurgico che riesce a definire in maniera particolareggiata le diverse andature dell’animo umano, rifiutando l’enfasi e mantiene lo stile terso/pacato che produce il tentativo (tradizione ottocentesca italiana) ma produce ragionamento che si dipana in modo chiaro sulla pagina. “Ora anche noi raschiamo”: ancora al presente assoluto. Una delle altre figure chiave all’interno del campo di concentramento: il Muselmann. Stratificazione sociale all’interno del campo, ci sono, all’interno degli ebrei, gruppi di persone differenti nel modo in cui hanno risposto alla deprivazione della fame e della sete, svuotate della linfa vitale e assomigliano ai musulmani. Lunga discussione sulla problematicità del termine utilizzato da Levi “musulmani”: legato al pregiudizio che l’Europa occidentale aveva nei confronti dei musulmani (coloro che avevano una fede cieca/assoluta/fondamentalista). Perché i musulmani del campo vengono visti come dei fondamentalisti? Perché sono il risultato estremo della disumanizzazione del campo e nella loro cieca fede (dettata dalla totale incapacità di rispondere al mondo nelle condizioni attuali) perché non hanno più alcun tipo di volontà: qualsiasi scelta viene annullata e alienata in queste figure che sono totalmente soccombenti alla sorte. Sono coloro a cui neanche interessa ciò che accadrà: sfinimento estremo che produce la retimorezza (?) di fronte al mondo e alle cose per cui non gli cambiava niente se morivano o vivevano, perchè non lottavano più per la vita. Questi creano un gruppo nero attorno al quale tutti gli altri gravitano, cercando di allontanarsene perché vedendo l’essenza di ciò che si sarà se si continuerà a vivere all’interno del campo prosciuga anche la vita degli altri. I rapporti anche tra carnefice e vittima sfumano: grandissima idea di Levi -> campo di concentramento è zona grigia, non c’è bene e male, non vittime e no carnefici: tutti erano vittime e carnefici, perché le vittime dovevano diventare carnefici nei confronti di altri in un circolo vizioso. Il ruolo di Levi non è quello di testimone in senso stretto (“testis” in latino significa colui che è perso/colui che vede o testimonia il contenzioso tra due persone, ma testimone deriva anche da “superstes”: seconda radice etimologica del tema “stes” della testimonianza, colui che è sopravvissuto all’esperienza del campo) - > Levi non sta giudicando nessuno, perché non ha l’autorità del tribunale e neanche quella di concedere il perdono, è privo di autorità. Privazione di autorità ci introduce nella sfera intricata di relazioni tra giustizia ed etica che lvi affronta intelligentemente che è collegata a uno dei motivi per cui il problema dei campi di concentramento viene ovviato dalla storia europea all’indomani della seconda guerra mondiale -c’erano stati i processi tra cui quello di Eichmann e uccisione di lui che era uno ei tecnici della orchestrazione dello sterminio degli Ebrei. Col processo di Norimberga i processi erano fermati ed erano state erogate condanne che avevano fatto i conti col giudizio di colpevolezza di coloro che si erano macchiati dei crimini. Levi riconosce che questo riguarda l’ambito giudiziario: rielaborare culturalmente il lutto dei campi di concentramento e pensare che i processi avevano risolto il problema morale che si era creato nei campi. Questo avviene per altre strade: il diritto non può esaudire la questione. Non la questio iuris, ma la “questio facti” in sé non può essere lasciata al tribunale, deve essere rielaborata da colui che è il superstite -> tutto ciò produce azione umana che va al di là del diritto e la sottrae al processo. Anche i capi (triangoli verdi) erano usati come punto di raccordo tra SS: le SS erano sentite lontane, figure che ogni tanto emergono: Levi mette in luce come gli stessi vinti hanno soggiogato gli stessi vinti -> grande conclusione di Levi: è il prigioniero stesso a farsi carnefice di vittime che in realtà sono sue pari). Nell’appendice del testo dagli anni 70 in poi, Levi dice che molti ebrei hanno purtroppo collaborato col nemico anche nella formazione stessa dei ghetti: figure di raccordo tra ghetto e nazisti, con la speranza di trarre un vantaggio dalla situazione, per salvarsi. Aspetto debole dell’animo umano che i tedeschi sfruttano. Agamben definisce il “buco nero” del campo di concentramento i musulmani, lo specchio in cui non si guarda perché si ha paura di cadere nella condizione dei musulmani di affrontare quel totale annullamento di questi uomini (ottica del fondamentalismo è la totale soggezione nei confronti del negativo e abbandono totale agli accadimenti futuri). Stratificazione che Levi definisce: quelli inutili anche alla loro sussistenza che sono destinati a morire, poi coloro che erano sopravvissuti fino a quando Levi entra nel campo erano state persone che erano in grado di adattarsi e di sfruttare anche le loro capacità manuali (musicisti, chimici, operai…), poi coloro che addirittura hanno mosso indulgenza per le loro capacità di adattamento e violenza. “Selezione naturale”: lessico darwiniano. Levi sta tirando in ballo anche se stesso: anche lui grazie al ruolo chimico che avrà, compie un esame chimico e permette nell’esame finale del campo di concentramento ed entrerà nel laboratorio a lavorare. È colpevole anche lui: in termini giuridici è sine causa, ma dal punto di vista morale è grande perché lui si è salvato, altri no -> tema che poi tratterà in maniera più profonda in “Sommersi e Salvati”, il libro. Chi esegue tutto come china pericolosa che conduce alla morte, chi invece si ingegna attraverso sotterfugi e violenze può sopravvivere. [In un’intervista, Levi parla delle Scarpe: erano importantissime. Impossibilità di camminare = impossibilità di lavorare = selezione. Levi ci mette nel punto di focalizzarci su aspetti che noi definiremmo marginali, ma per loro erano essenziali]. Idea del volto che ritorna: importante. Sommersi che sono il terzo regno: “uomo scarno, dalla fronte…”. Le vie per la salvazione sono molte: esercitare diversi mestieri. Prominenti ebrei: meccanismo psicologico: devo tenere il mio ruolo perché altrimenti verrei sostituito con un altro. Hannah Arendt che aveva studiato le dinamiche del totalitarismo in “Le origini dei totalitarismi”, negli anni 60 (in USA per proteggersi) viene inviata da un giornale americano a seguire il processo Eichmann (scappato in argentina, riconosciuto e i servizi segreti israeliani lo arrestano e gli fanno il processo in Israele dove verrà giustiziato). “La banalità del male” testo di Arendt: uno degli elementi principali della difesa di Eichmann era che li aveva semplicemente prodotto umanerà esecuzione di ordini che venivano dai vertici. Arendt dice che questo non esime Eichmann dalle sue colpe, anzi è giusto processarlo anche se Arendt aveva riserve sul fatto che il tribunale di Israele avesse fatto questo processo, secondo lei ci doveva essere un tribunale superiore a processare, non il tribunale di uno stato. Arendt dal mondo dei nazisti, punto di vista esterno; Levi dall’interno. Levi lo vede come un uomo normalissimo, come un altro, non dà segni di follia o di anormalità (i media lo facevano sembrare un mostro): Levi parla di lui come un uomo totalmente ordinario. Ma era proprio l’ordinarietà che fa sì che ciò che è accaduto può riaccadere in futuro. Fine capitolo 9: Levi porta 4 esempi di 4 personaggi che è da tempo che sopravvivono all’interno del campo, e mettendo in luce le loro storie, mostra il fatto che loro sono il simbolo delle figure dei prominenti e quindi dei salvati del campo (di cui lui fa parte). Segue capitolo sull’esame di chimica, fa una discreta figura e di fatto viene assunto nel laboratorio. Motivo che spinge i tedeschi nazisti a imboccare l’idea sulla soluzione finale: elementi riconducibili alla problematica della Shoah. (Olocausto è da evitare, anche Levi, perché giustifica in nome del sacrificio, la Shoah). Olocausto è termine coniato da Visel che ripudierà lui stesso. Punto 7 Appendice: lunga digressione interessante: una delle principali motivazioni che si possono ricondurre all’ “odio fanatico”/soluzione finale è l’avversione contro chi è diverso da noi. Intolleranza che poggia su una differenza percettibile tra due popolazioni a contatto (es. tra bianchi e neri), ma ci sono differenze più sottili (gesticolare, abitudine pubbliche e private, accenti diversi…): popolo ebraico erano diversi e riconoscibili come diversi. Ed erano orgogliosi della propria diversità, li rendeva più esposti/vulnerabili rispetto ad altri gruppi sociali. Da S .Agostino in poi, con il mancato riconoscimento di Cristo come Messia e la loro presenza in tutti i paesi dove è forte la presenza della chiesa cattolica. Puniti perché, non avendo riconosciuto Cristo e avendolo mandato a morte, devono mostrare la loro infelicità: chiesa cattolica attua tentativo di portare con sé i fedeli, non denunciando la violenza dei nazisti e dei fascisti, proprio a causa di un motivo religioso. Popolo E(?) con il “Concilio Vaticano II” (anni 60): produce effetti nei confronti di un’apertura su molte questioni sociali. Germania esce distrutta dalla prima guerra mondiale e la volontà di ritornare prepotentemente sulla scena europea produce la seconda guerra mondiale ma anche tentativo di Hitler di portare attenzione su popolo ebraico per permettere al proletariato tedesco di recriminare un giusto diritto di ricompensa. Condizione del popolo ebraico in Europa di primo Novecento era facile capro espiatorio su cui riversare il malcontento popolare. C’erano anche dottrine biologiche distorte che producevano attenzione nei confronti degli ebrei “sottospecie umana, razza inferiore a tutte le altre”. Levi lascia ultimo messaggio: appendice era legata al fatto di rispondere alle molte domande che gli venivano fatte sull’esperienza. Alla domanda se odia i tedeschi, lui risponde che fa fatica ad odiare una cosa così perfetta nella sua modalità di funzionamento, che non ha un volto. Sicuro non può perdonare quegli individui che ha personalmente conosciuto, ma non li odia, perché parte del tutto. Odiare è una cosa personale. Follia dei tedeschi non si può neanche comprendere (abbracciare, empatizzare per capire il discorso dell’avversario, etimologicamente): comprendere sarebbe giustificare. Levi dice “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Rilettura che Levi fa della sua opera negli anni 60 e trampolino verso Sommersi e Salvati, ma già da subito, l’idea del monito è presente. Canto di Ulisse: chiama in causa degli elementi italiani. Particolare struttura che permette di comprendere momento particolare nel libro. Momento di pausa: Levi si trovava con il “piccolo del nostro comando” (un prominente) e discutono di alcune questioni Dante presenza nel 900 attraversa due momenti culturali importanti: dante viene ripreso dall’avanguardia in particolar modo, perché vede nel plurilinguismo dantesco un elemento strumentale che scardina e viene sperimentato in ottica linguistica. Dal 44/45 in avanti, dante utilizzato per descrivere le vicende della seconda guerra mondiale e si vede in diversi testi che Dante ritorna. In Levi Dante viene usato proprio per la struttura dell’inferno legata al campo di sterminio: ingresso dopo la fatidica scritta diventa una sorta di inferno reale. Bisogna ricorrere alla fantasia dantesca ciò che è difficile da descrivere perché si faticano a trovare le parole, un lessico che possa descrivere l’esperienza del campo. Guida alla comprensione di Auschwitz sugli abissi del male, in una pausa di lavoro forzato, mentre vanno a prendere la brodaglia che gli veniva data per pranzo. Siamo in uno dei canti più noti: Canto 26 tra i consiglieri di frode, colui che con l’astuzia aveva ingannato i nemici (ideatore del cavallo di troia, furto del Palladio -statua che proteggeva Troia dalla distruzione e dalla presa- accompagnato da Diomede): estrema intelligenza e capacità razionale, estrema capacità di muoversi con modo astuto nella scena politico-sociale. Testo complesso dentro la struttura di “Se questo è un uomo” bisogna capire il perché: (La vicenda di Ulisse finisce con il folle volo, tracotanza nei confronti di dio, vista del purgatorio e punizione divina nei confronti della Hybris di Ulisse verso Dio). Analogia in termini di intelligenza (Ebrei erano accusati di essere ricchi e usurai, quindi astuti). Levi parla all’interlocutore di Dante e in particolar dell’Inferno, e spiega che è fatto per contrappasso o per analogia. “Lo maggior corno della fiamma antica”: Ulisse e Diomede erano in una fiamma: il maggior corno di questa fiamma crolla e comincia a mormorare. Dante utilizza dante attraverso un verso che ha strutturazione e forma molto articolare “misi me (scrive Levi)/mi misi (diremmo in italiano)”: spostamento del pronome è slancio in avanti, verso il superamento dell’ostacolo spiega Levi. Come Ulisse, si scaglia la di là delle Colonne d’Ercole. Mare aperto: speranza che si apre nei confronti del futuro. Piccolo e Levi sopravviveranno entrambi ed entreranno in contatto dopo: Piccolo si capisce che non ha mai viaggiato per mare (esperienza del superamento del limite) e questo esce dalle lettere appunto. Tuttavia, Levi scrive che lui aveva viaggiato per mare. Alberto Levi (?) muore alla fine, con lo spostamento del fronte da arte dei tedeschi che sfollano il campo, facendo processione verso la Germania durante la quale muoiono in tanti. Idea del limite imposto da Dio e rappresentato dalle Colonne d’Ercole. Monito di Ulisse è come se Levi lo sentisse per la prima volta, come uno squillo di tromba: dopo aver vissuto quell’esperienza, sa cosa vuol dire viver come bruti e capisce il contrappasso. Slancio anche di umanità da parte di Piccolo verso Levi. Acuti voleva dire acuti di ingegno, ma anche pronti. Si vede il lavoro che Levi fa sul campo, imparando il tedesco. Sforzo finale: per arrivare alla conclusione dello sforzo per ricordare il passo dantesco. Soggetto che è Dio che elargisce attraverso l’acqua, tre volte l’ha girata, alla 4 va giù. Vicenda che chiude il canto di Ulisse, baricentro del libro che va verso la conclusione, ovvero estate del 44 che passa in maniera abbastanza rapida Segue la selezione dell’ottobre 44 E poi si ha l’arrivo all’interno del laboratorio E poi si hanno gli ultimi due capitolo L’ultimo”: episodio dell’area comando di Auschwitz, c’erano all’interno del campo dei Sondercomando (?) (coloro che erano prigionieri interni al campo ed erano atti alla gestione dei forni crematori, e che venivano tra l’altro uccisi dopo per non essere testimoni dei forni stessi). Uno di quelli che riesce a essere Sondercomando, cerca di ribellarsi ma vengono uccisi tutti. L’ultimo è quel personaggio che per ultimo viene ucciso in piazza e ucciso dalla furia. Così si chiude “Se questo è un uomo”: finale dove c’è anticlimax. Tentativo di levi era non dare informazioni acquisite successivamente (anche la spiegazione della furia nazista non è inserita nel testo vero e proprio), un dato che manca è il numero dei milioni di ebrei morti, per esempio. Idea di anticlimax che spinge a fare riflessione sul problema della redenzione e del risarcimento: non c’è redenzione, salvazione, risarcimento possibile nei confronti di ciò che è capitato, dentro al testo e al contempo neanche una forma di comprensione esauriente: il testo è chiuso con una descrizione anche piuttosto inutile, informazione diaristica che fa sentire la propria controtendenza rispetto al resto del racconto. Tutto ciò rimanda alla natura stessa della parola in “Se questo è un uomo”: è parola performativa che rappresenta un’estensione del gesto (ecco anche perchè Ulisse è importante perché spiega l’attenzione di Levi al linguaggio). Edificio dell’umano è edificio precario, costruzione della società e del vivere è precaria e l’esperienza concentrazionaria può sempre ritornare e ripetersi in forme diverse (non per esempio attraverso il lager, ma attraverso la Cambogia o alcuni paesi dell’Africa, prendendo luoghi degli anni 60/70). Tutto ciò viene poi ripreso e trasformato in “Sommersi e Salvati” (1986) pubblicato a un anno dal suicidio di Levi (1987). Differenze tra i due testi: molte più riflessioni degli altri deportati e andamento saggistico più forti. La parte è più interessante della scrittura di Levi è quella che si rafforza anche in Sommersi e Slavati: quello che dice Levi e che scrive levi, non è manicheista, nel senso che è vero che la sua posizione è quella del superstite, ma non è rigido moralismo che trasformerebbe e opporrebbe bene al male. Manca l’ideazione delle vittime e la colpevolizzazione/odio verso i carnefici: evita di trasformali in santi o demoni. C’è ultimo aspetto in Sommersi e salvati”: il terzo capitolo è intitolato “La vergogna”: uno dei temi importanti. Levi tocca all’interno del capitolo 3 aspetti che riguardano il suo sentimento di vergogna verso diverse tematiche: angoscia che colpisce coloro che vengono liberati. Non suscita felicità o alcun sentimento la liberazione. Ma perché? Levi prova a dare una spiegazione: erano spesso attraversati dalla vergogna nei confronti dell’essere sopravvissuti alle selezioni (si sentivano colpevoli). Esiste questa vergogna perché richiama la problematica della colpa/vergogna (usate in modo sinonimico): sentimento che conteneva in sé elementi diversi e in proporzioni diverse per ogni individuo. Primo elemento di vergogna o colpa è nei confronti della famiglia che si era dovuta abbandonare, l’altro è legato ad esempio (elemento che Levi spiega molto bene) al fatto che durante la permanenza nel campo, pochi erano stati i casi di suicidio -> Levi scrive “il suicidio è dell’uomo non dell’animale…”: non è istintivo, ma premeditato. La condizione concentrazionaria, infatti, non forniva la possibilità di uccidersi, perché il suicidio riguarda l’uomo e non l’animale e perché, sostanzialmente, c’era altro a cui pensare (fame, fatica, freddo, evitare i colpi). E poi cita “La coscienza di Zeno”, dove descrive l’agonia del padre, quando si muore non si pensa alla morte: riduzione dell’uomo alla condizione animale impedisce anche l’esercizio del suicidio. E poi perché il suicidio nasce da un senso di colpa che niente è venuto ad attenuare: il senso di vergogna o di colpa che provavano era già presente nel campo perché sottoposti a una punizione e il fatto di essere sottoposti a punizione indica presenza di una colpa per la quale essere punito. Questo rapporto tra punizione e colpa (che è stata imputata agli ebrei): non erano in grado durante il periodo del lager a sentirsi in colpa (se non perché prevaricavano altri detenuti), ma la presa di coscienza della colpa viene dopo, al momento della liberazione. Molti non hanno superato l’esperienza del campo e si sono suicidati dopo anni dalla liberazione. Altro elemento della colpa: mancanza di una resistenza nei lager. Anche nel 41 quando i militari sovietici vengono catturati dalle truppe tedesche, erano stati annientanti dalla concentrazionaria dei tedeschi, quindi loro che erano stati sottoposti a una condizione del genere, non avrebbero proprio potuto ribellarsi all’esperienza del lager. Anche se in realtà alcune esperienza di ribellione ci sono state. Scrive Levi “hai vergogna perché sei vivo al posto di un altro? …” -> si giunge all’interno della dimensione della colpa proprio per la paura di essere stato il caino del proprio fratello all’interno del campo, perchè non si può escludere che una determinata azione abbia provocato la morte o comunque le sofferenze di qualcun altro. Nodo della colpa leviano è completamente diverso da quello in Pavese per esempio. Alcuni aspetti della topografia del lager, insieme a Pietro Tabarroni. Lager: Topografia, Luoghi del lavoro, Ecosistema Per studiare lo spazio, la narratologia, la teoria critica, utilizza diverse categorie, anche simultaneamente. Cos’è la categoria? Per esempio, Ambientazione = Setting ed è una prima categoria con cui rapportarsi a uno spazio. Spazio che può essere testimoniato e quindi proveniente da un modello reale o inventato. Quali sono le spie formali e concettuali che mi dicono in che contesto mi trovo? Setting socioculturale: in “Sul fondo”: Levi descrive il lager: Kratzblock già si capisce che è un lager nazista: spie che vengono attivate e il lettore sa che siamo nel 45 in Polonia. Anche nel frame: la latrina, la Buna, il dormitorio sono singoli frame spaziali. Iniziazione: viene citata una Babele, quindi una città biblica: entra a far parte dello spazio narrativo di “Se questo è un uomo”. Spazio dell’azione o Spazi evocabili e citabili. Universo narrativo: forse categoria più importante: afferisce a tutti gli spazi dell’azione ed evocati e quelli del lettore (cultura del lettore): romanzo diventa un fronte tra ideologia del lettore e ideologia del narratore: consente di mettere a confronto le varie ideologie dell’autore, ma anche la nostra. Spazio che serve a separare ebrei da detenuti comuni e sani da malati. Esterno è organizzazione scientifica dello spazio, all’interno serve per manifestare il sorvegliante a tenerlo fisicamente con te. Disumanizzazione del lager è moto perpetuo: agenti esterni è ruolo marginale. Principio è quello di far vedere il sorvegliante; la piazza è visibile, quindi è emblematica. Foucault nel suo “Sorvegliare e punire”: Jeremy Bentham fa Panopticom. Prigione panoptica: funziona attraverso il principio dell’occultamento del sorvegliante: i prigionieri dovunque si trovino sono potenzialmente visibili dall’agente sorvegliante (loro però non lo vedono). È il contrario! Guardando a Monowitz, esso utilizza il principio del sorvegliante onnipresente, ma non attraverso l’occultamento, ma sulla presenza assoluta (visibilità assoluta). Il lager recupera i lavori forzati che erano rimasti fuori da Foucault: avrà una maniera di considerare il lager diversa dai suoi colleghi: per lui, che non ha mai citato Auschwitz, ha parlato dei campi di sterminio ma non come un male inspiegati, ma come ricomposizione del potere e del totalitarismo: riconsidera limite che c’era prima e adatta a nuova esigenza, controllo atto a stabilire la funzionalità e produttività della macchina stessa. Il lavoro diventa quindi la salvezza, cioè la cosa che tiene vivo: salvazione che si ottiene attraverso il lavoro stesso e quindi l’interazione con la macchina del lager, lavoro che è allo stesso tempo ciò che disumanizza. Nel laboratorio la sua vita migliora rispetto al cantiere, ma nel senso che produce e istiga al senso di colpa: comodità in più che portano alla colpa. È la caduta del laboratorio che fa riflessione: montagne che arrivano ad essere riferimento dentro al testo (come per Babele, viene introdotto nuovo ambiente: montagne italiane, della resistenza). Perché è tragedia ecologica? : attraverso principio scientifico di organizzazione della vita e degli spazi, si può regolare il rapporto io-altro (che stabilisce cosa sia possibile fare). Il lager è tentativo di prendere l’ariano e si inventa un rapporto con l’ambiente e sovverte tutti gli altri rapporti tra gli altri e lo stesso ambiente. Prende qualsiasi forma di non allineamento al rapporto stabilito, viene ripensato, manipolato e riconcepito. Non c’è più rapporto vitale, cioè quello tra l’individuo e l’ambiente. È anche anti vitalismo: è una fase di genealogia di controllo politico che si è generato all’origine della società. Si può trarre dalla descrizione della topografia, il fascismo si è trasformato in dinamiche di potere neoliberista e neocapitalista in un modello di società in cui nel 60 siamo tutti immersi. Antropocene corrisponde alla presa diretta dell’uomo dell’ambiente: antropocene caratterizzato da presenza di plastica come uno strato. Il lager non si ferma dentro al lager: realizzazione di un modello che si può poi rivedere in altre forme. 22/11/2022 L’Agnese va a morire Alcune questioni relative al problema dell’uomo e di ciò che riguarda le contingenze testuali: nuova letteratura che parte dal 1945 che si dipana in 3 filoni che sono 1) La letteratura di Guerra: Rigoni Stern 2)Letteratura di Resistenza: Calvino, Vittorini, Viganò 3) Letteratura di Lager: Primo Levi. La letteratura di guerra la vedremo la prossima settimana con Stern, dedicato alla ritirata dei soldati fascisti dalla morsa che l’esercito sovietico aveva creato nei confronti della mano tedesca e dei fascisti nel passaggio tra 42 e 43. La letteratura di resistenza, Vittorini in particolar modo con Uomini e No, dove l’accento è posto sulla dimensione dell’uomo ed e questo che Calvino definirà il passaggio tra uomo ermetico all’uomo vitale (che pone, all’interno del testo, l’attenzione legata all’uomo e a quei elementi del corpo e della corporeità centralissimi nei testi di Stern e Fenoglio -di Fenoglio leggiamo “Una questione privata” perché non presenta difficoltà testuali che si vedono invece in “Il partigiano Johnny”, che è il vero capolavoro di Fenoglio dedicato alla Resistenza, e che racconta di questo partigiano che nei pressi di Alba (dove si era rifugiato all’interno della vicenda partigiana) muove all’interno di un ambiente alpino; testo che ha però un linguaggio e uno stile che sono un po’ ostici perché mescola elementi dell’inglese che conferiscono quella tensione di Fenoglio verso la letteratura inglese e americana che amava e che danno una struttura linguistica su cui si deve riflettere). Attenzione alla corporeità discende dall’esperienza tragica della guerra, a causa delle perdite dei parenti: la guerra aveva coinvolto gli esseri umani a tal punto che c’era sentimento corale che spingeva a ripopolare questa nuova letteratura ma anche a capire i bisogni primari dell’uomo: eclatante è l’esempio di “Se questo è un uomo”, ma anche in altri testi come “L’uomo come fine” di Moravia… Questi testi pongono al centro dell’attenzione la problematica dell’umano e dell’uomo: l’uomo non è più visto come ermetico ma come uomo nuovo. All’interno di questa tradizione letteraria che si sviluppa dal 45, rientra anche il testo “L’Agnese va a morire”. Problematica relativa all’articolo davanti al nome: perché? Riferimento di tipo geografico/dialettale (nord, in cui si mette l’articolo davanti ai nomi femminili). L’Agnese va a morire: ci spiega anche il titolo già (dal punto di visto semiotico il titolo è uno degli elementi principali del testo) inevitabilmente ci spiega la vicenda della protagonista. Agnese è protagonista donna, che va a morire: questa è la spiegazione in nuce della vicenda, oltre a sfumature che devono essere analizzate. Momento di maggiore espansione della nuova letteratura italiana: da qui si possono fare riflessioni sulla rappresentazione del corpo e sul modo i cui gli autori pongono attenzione su dinamiche e riflessioni esistenziali. Dal 45/47 (anni di pubblicazione del Politecnico di Vittorini), viene pubblicato e tradotto in Italia il Muro (?) di cui parlava anche Pedullà: esistenzialismo di matrice francese che rientra all’interno di un testo italiano e ripreso da Calvino e da altri autori anche in riferimento alla prospettiva della presentazione del corpo e dinamiche all’interno del testo (in Levi è il lager, in Fenoglio è colline intorno ad Alba, in Viganò è valli Comacchio). Uno dei momenti-soglia della cosiddetta “nuova letteratura” a cavallo tra fine seconda guerra mondiale e elezioni politiche del 48, è momenti di passaggio centrale negli anni 40: le elezioni del 48, nell’aprile 48 il fronte democratico -popolare legato al partito comunista, al partito socialista crolla nelle elezioni e vince la Democrazia Cristiana (da qui assume il controllo politico, perché ottiene della maggioranza assoluta con 305 seggi alla camera e 131 seggi al senato) al contrario del fronte repubblicano democratico che invece si assesta solo in Emilia Romagna, Toscana e tra Piemonte e Lombardia. Il problema quello che succederà. Già dal è primo capitolo, data la suddivisione in tre parti (diversi capitoli lunghi più o meno 7-8 pagine ciascuno: struttura compositiva molto precisa che ha una serie di caratteristiche che si possono riassumere attraverso il testo di Giovanni Falaschi sulla Resistenza italiana per Einaudi nel quale fa analisi di alcuni testi importanti della resistenza, lui si concentra sull’Agnese dicendo che è testo fondamentale della Resistenza, addirittura “Romanzo Ufficiale”: si ricollega alla svolta del 48, e al fatto che il PCI si affidava a una narrazione corale che facesse il punto sulla storia della resistenza italiana: non è un caso se nel 49 vince il Premio Viareggio. Appoggiato dal PCI per il suo carattere di romanzo ufficiale della Resistenza, anche perché i romanzi sulla resistenza uscirono qualche tempo dopo: c’erano state molti racconti, ma non romanzi lunghi (dimensione del racconto rappresentava bene la misura della descrizione degli eventi interni al mondo resistenziale -anche Viganò scrisse racconti: uno viene inserito nell’Antologia di Pedullà, dedicato alla famosa battaglia dell’ottobre del 44 che ha investito Bologna e in particolar modo Porta lame (Bologna attraversata dal conflitto tra 43 e 45, tra SS e partigiani c’era scontro tra ospedale e Porta Lame, sulla spiaggia di via del Reno) comunque Pedullà critica il racconto di Viganò). Uno degli aspetti caratteristici del testo è il fatto che la descrizione sembra predominare sull’azione: una famosa distinzione in ambito narratologico. In Lukasc “Narrare o Descrivere”, l’autore prende Nanà di Zolà e Anna Karenina di Tolstoj e in particolar modo pone due scene di momenti critici sullo stesso piano: lunghe scene dedicate a una gara a cavallo -> descrizione e narrazione come tecniche narrative, dove la scena è descritta ma vista da lontano, da una prospettiva lontana -come in Zolà che fa quasi un’ekphrasis-, e dove invece, in Anna Karenina, colui che guarda, è anche interno, guarda e vive simultaneamente. Questo aspetto si ritrova anche se volessimo prendere a confronto il testo di Fenoglio (personaggio che vaga per i colli) e quello di Viganò. Un altro degli aspetti è che le parti descrittive predominano anche sul dialogato: il film di Montaldo è molto dialogico invece, al contrario del testo. Questa prevalenza è ben visibile nel testo quando, al soldato che all’inizio dice “La guerra è finita”, Agnese non risponde nulla: si limita a slegarsi il fazzoletto di sotto il mento. C’è il tentativo di scrivere come i personaggi si muovono sulla scena: grande importanza al frame. Infine, il dialogato è sempre brevissimo e spesso sostituito dai gesti, e spesso c’è commento del narratore nei confronti di quello che avviene, sempre in linea con la prevalenza della parte descrittiva su quella narrativa. Quello che invece scrive Pedullà, critico nei confronti del testo di Viganò, descritto come “Un’Apologeta Istituzionale”. Non si ha una risposta se Viganò sia effettivamente un’apologeta istituzionale oppure no. Apologia istituzionale che rientra in quello stampo del PCI che richiama alla necessità di non proporre politiche culturali autonome ma sotto linee guida del PCI. Attraverso una serie di intellettuali c’è controllo sulla produzione italiana dei romanzi, perché non rispettavano i canoni voluti. C’è una sorta di Manicheismo conciliante (per indicare la spaccatura tra bene e male, necessaria di presa di distanza nei confronti del mondo nazista. Pedullà dice che questa descrizione retorica del tedesco-cattivo e partigiano-buono diventa fastidiosa). Fastidio che emerge anche dal fatto che Viganò non è capace di narrare in maniera adeguata, con uno stile inesatto e inadeguato: Pedullà scrive “mancanza di confidenza con la lingua italiana e inadeguatezza stilistica”. È però una rara testimonianza della parte delle donne in questo contesto. 28/11/2022 Ci siamo resi conto che “L’Agnese va a morire” è un romanzo impegnato, in linea alla politica e alla poetica di Vittorini e a quella letteratura che dopo il 45 diventa letteratura impegnata: entra direttamente nelle questioni del paese. Il testo di Viganò viene accusato di essere apologia istituzionale del movimento della resistenza, in particolar modo dopo le lezioni del 48 che si è visto essere uno spartiacque (recupero dei valori del 48, il presente si sta spostando in una direzione totalmente aliena a quei momenti di grande libertà provata nella resistenza. Questo irrigidimento della cultura italiana irrigidisce il PCI. Letteratura schiacciata su un determinato partito. È Pedullà uno die primi ad indicare quanto il testo abbia elementi del manicheismo conciliante (tendenza a schierare i cattivi come nazisti e viceversa, anche attraverso uso di determinare metafore e analogie, per es. arrivo dei fascisti: urla e grida; partigiani: silenzio -> stilemi, strumenti letterari che Viganò usa per descrivere lo scontro tra due mondi (bene e male)). Rara testimonianza della parte femminile e importanza che Viganò dà alle donne: figura dell’Agnese diventa universale fantastico (cit. Battistini) di quelle donne partecipanti la resistenza italiana. Testo molto famoso all’epoca, immediatamente tradotto in circa 13 lingue (tra cui il russo), dalla semplicità della lingua di Viganò (semplicità letteraria non sciatta, il progetto letterario è di un certo tipo. Eroicità degli atti dei partigiani: eroismo rientra nella quotidianità emiliana. Terminologia tratta dal mondo emiliano, e contesto riguarda le valli di Comacchio e comunque la provincia di Ferrara. Una delle caratteristiche di questo testo: presenza indeterminata del dopo: tendenza a vivere la resistenza nella quotidianità, ma con un a tensione costante verso un dopo imprecisato (momento della Liberazione: vissuto da Viganò in maniera abbastanza drammatica, perché si pensava che fossero liberate molto prime di quanto non lo fossero veramente, perché gli Angloamericani si fermano prima, su quella linea che tagliava in due l’Italia. Osservazioni anche abbastanza ironiche sugli Alleati, da parte di Viganò) Forza coesiva dentro al termine: forza dei martiri, coloro che si sacrificano contro il comune nemico. Non c’è esitazione nel testo: tutto è steso a favore di questa realtà che arriverà su cui il PCI non vacilla. L’eroismo è umile, ma si tratta sempre di forme di martirio per la resistenza: Martirio a cui va incontro la stessa protagonista (titolo che rimanda alla collettività con l’articolo determinativo, come elemento dialettale; ma anche perché Agnese incarna non solo coloro che hanno partecipato, ma anche coloro che sono morti come martiri per la Resistenza). Pag. 32-33: “Quanto tutti si furono perduti dietro l’argine…”: descrizione utile per capire alcune tecniche narrative utilizzate da Viganò. Agnese si porta avanti, convinta subito della morte di Palita, e pone l’interlocutore in una sorta di gioco, che lo costringe a confessare che Palita è morto. Meccanismo che Viganò rintraccia in Agnese: pensa di voler dire “mi ero sbagliata”. Racconto dell’orrore che è Agnese a sollecitare: pretende che il soldato racconti il modo in cui è morto suo marito, lui racconta il momento prima della partenza, e la partenza verso il campo in Germania. Caratteristica tipica dei tedeschi all’interno del testo è il riso quasi satanico (si troverà poco dopo quando verrà impiccato un partigiano nel paese) davanti alla morte. Colui che sta facendo il discorso, è entrato in Germania con lo stesso treno: vigano costruisce il racconto di colui che si è salvato, ma dato che sta raccontando si è salvato. Descrizione per certi aspetti abbastanza in linea con il modo in cui abbiamo visto queste descrizioni: si cerca effetto empatico (dettato dal contenuto dell’episodio), è più violento , il discorso è mimetico (mima il parlato, mettendo tempi verbali diversi). C’è qualcosa però che non torna: non si capisce come lui torna dalla Germania (a piedi??): salto temporale del racconto che è un limite di questa scrittura (il come forse non è interessante). Non si capisce se è una fragilità del testo (e quindi tentativo di Viganò di scavalcare un punto narrativo senza dare troppa attenzione) o se questa tensione favolistica abbia poi un senso nell’economia globale del testo: si smaschera la narrazione, si mostra l’essere funzione di questo figlio-del- centro perché la sua funzione è quella di portare la notizia. Prospettiva retorica che inficia la capacità di una costruzione sapiente del testo: questa potrebbe essere spiegazione di questo scivolone. Mondo atemporale caratterizzato dalla sua unicità e dai caratteri etici del racconto, quindi forse la scena è venuta male per una serie di motivazioni, soprattutto a causa della temporalità ravvicinata tra un episodio e un altro (mancano indicatori temporali, tranne quella scansione temporale del viaggio, manca perciò la scansione temporale del tempo-primo di Agnese, schiacciata in una situazione senza futuro e senza passato). Universale Fantastico (definizione trattata dal pensiero di Gian Battista Vico) si vede da questo passo. Unica cosa che rimane di Palita è il gatto (esemplificazione del personaggio di Palita che permane all’interno della casa, fino alla Morte per gioco: aveva sottratto una salsiccia dalle vicine, e lì i tedeschi se ne accorgono e lo uccidono col mitra). Carattere abbastanza retorico, ma avevamo parlato de “La madre” di Gorkij (donne perda figlio che diventa simbolo della riscossa rivoluzionaria contro lo zar, testo molto importante in Italia, che Viganò utilizza nella descrizione di Agnese): descrizione di Agnese è anonima “aspetto non insolito, di contadina con le sue faccende, per cui i tedeschi non hanno nessun sospetto…-> motivo per cui Agnese viene scelta come staffetta. Formule reiterate nel testo per dare carattere epico alla figura dell’Agnese. Non è un caso se in quegli anni c’era forte tensione nelle dinamiche dell’epica e dell’epica dell’Iliade e dell’Odissea (traduzione fatta nel 1950 da Rosa Calzecchi Onesti, ella allieva di un noto antropologo italiano che lavorava con Pavese. Antropologo che segnala lei a Pavese per traduzione dei testi omerici, lui le fa avere un contratto. Iliade uscirà nel 1950, Odissea verrà pubblicata dopo, Eneide ancora dopo. Quella supervisionata da Pavese è solo l’Iliade (perché Pavese muore poco dopo il 1950). Tensione sul piano etico e critico nei confronti dei testi omerici: tipologia degli scritti che la Resistenza aveva prodotto, nel neorealismo è peculiare questa tensione. A partire dalle avanguardie in vanati, le forme sono quelle del modernismo. La differenza tra quella corrente e i testi tipo quello di Viganò è abissale: personaggi del modernismo europeo (la problematica storica centrale di testi come Ulisse, Sul tempo perduto, L’uomo senza qualità è il fatto che ci fosse una crisi perché si vedono gli effetti della grande trasformazione industriale: a partire dalla seconda metà 800 investe le grandi capitali europee: spaesamento, incapacità di interagire col proprio presente, senso di passività e di mancanza di strumenti coi quali interagire. Benjamin lo chiamava lo “shock della modernità”: tempo veloce attraverso mezzi di comunicazione, trasporto… Rivoluzione che si è riversata in ambito artistico con la nascita del modernismo. La grande forza della Seconda Guerra Mondiale ha prodotto necessaria unione contro il nemico e l’invasore, ma anche negli altri paesi europei ha prodotto un senso di epicità del reale. Ecco perché l’Agnese, per esempio, mostra bene questa descrizione quasi formulare dei personaggi (con caratteristiche definite he permangono nel testo, non hanno profondità psicologica dei personaggi di Pirandello – “Uno, nessuno, centomila” che parla sul senso della vita. Sulle strutture identitarie…). Qui siamo tutti buttati nella realtà e tutti attenti alla realtà e a ciò che succede. Anche il fatto che sarà l’Einaudi proprio a pubblicare il testo Una delle ultime lettere che Pavese scrive a Calzecchi Onesti: rapporto che si era instaurato. Pavese aveva vinto da poco il Premio Strega. Calzecchi Onesti aveva iniziato il progetto sull’Odissea. Ora vorrei pace e basta” è parte finale, interessante perché i critici vedono una tensione al suicidio. Opinione di Gadda sul neorealismo: stilizzazione del personaggio produce in scrittori come Gadda (tensione di scrittura molto diversa: scrittura molto difficile) (aveva studiato filosofia, è colui che scrive Ero (?) dedicato all’analisi psicoanalitica del fenomeno di Mussolini: analizza il modo in cui gli Italiani si sono fatti ammaliare da questa figura). Gadda comunque scrive “sono simboli, araldi di una verità…”: testo nell’ottica di Gadda dove il personaggio diventa utile all’esplicitazione di un assioma della resistenza. “Severità del referto…”: riguarda bene il testo di Viganò, ma non si addice al testo di Primo Levi dove le sfumature sono ben visibili. In Gadda siamo in un’accezione di neorealismo ben precisa, accezione diversa da ciò che il neorealismo effettivamente è stato. Tutto questo produce una sorta di manicheismo. Verità che muove le azioni del romanzo, “processo elettrolitico” divide i due poli nazisti e partigiani. Come se ci fosse l’idea che ciò che è brutto è malvagio e ciò che è bello è buono. paesaggio (già notato quando i tedeschi arrivano sull’aia della casa di Agnese: producono anche effetto su ambiente circostante che vien sempre visto come ostile). Da pag. 134/135 che segna la fine della seconda parte, vedremo come il romanzo cambia profondamente natura: la figura di Agnese non è piu cosi centrale come invece era stata fino alla seconda parte: Testo che vale la pena analizzare da una prospettiva legata all’analisi dello spazio, perché permette di fare ragionamenti sul rapporto che si crea all’interno del testo tra resistenza e truppe nemiche. Pag. 103: A metà della seconda sezione, Rina e Agnese vengono fermate nel momento in cui c’era stato attacco a uno degli accampamenti della Resistenza: interessante perché effettivamente rimanda un episodio accaduto realmente a Viganò che i trovava in quelle zone e che sopravvive a un imboscata delle SS. Si trovano sotto una coperta, vicino all’accampamento che avevano lasciato per ultime, e stanno ferme e sentono e descrivono i tedeschi nella zona. Poi a un certo punto i tedeschi sembrano essere adnati via e nella valle bruciava il fuoco. Il linguaggio di Viganò è sostanzialmente che vuole chiamare il sermo quotidiano (linguaggio umile con una serie di riferimenti propri alla parlata emiliana dialettale), ma a volte c’è un senso più propriamente elevato/aulico: nello specifico possiamo vedere alcune caratteristiche di questo lessico e strutture formali. È chiaro che c’era bisogno di un lessico e un linguaggio nuovi: allontanarsi dal fascismo non significava solo prendere le distanze dall’ideologia, ma anche elaborare una forma di linguaggio diversa da quella usata dal fascismo (altisonante, coralizzato, retorico, piegato a magnificare le sorti dell’impero). Viganò si torva anche nella necessità di trovare un nuovo linguaggio/lessico, costruito attraverso tre figure chiave che si trovano nel testo (e in particolar modo nei dialoghi del testo): gli anacoluti con enfasi sul complemento oggetto o di termine (anacoluto: si cambia il verbo quando si parla, per cui si inizia la frase in un determinato modo ma quella frase assume una torsione/modificazione errata di struttura linguistica); uso incerto delle forme pronominali “Ai tedeschi e ai fascisti non gli rimane più niente”; modi di dire colloquiali “far fuori, far festa, far piazza pulita, torna su il fascismo…” tutti tratti dall’orale. Tutto ciò però non deve far perdere di vista il fatto che il testo di Viganò non è un testo solo memorialistico (dato che non presenta elementi retorico-formali di alto livello), in realtà ciò che colloca il romanzo di Viganò al di là del memoriale è proprio l’attualità della sua scrittura: elementi del suo testo sono stati studiati da quello studioso bolognese Battistini scomparso di recente -> tutto questo richiede la creazione di un linguaggio nuovo. Questo italiano mischiato al mimetico non vale solo per un personaggio, ma è distribuito tra tutti i personaggi: è anche collante della coralità del testo. È linguaggio mimetico dove la lotta partigiana viene combattuta in dialetto proprio perché Viganò intende sottolineare l‘umile estrazione sociale di coloro che hanno partecipato e preso parte alla resistenza. C’è però un retaggio della vecchia Viganò (che a inizio 900 scriveva poesia crepuscolar-decadenti) che si nota qua e là nel testo, dove sopravvivono sinestesia e ossimori che risaltano sullo sfondo omogeneo di lingua di vita quotidiana. Questo aspetto del linguaggio è poi anche la vera forza di questo testo. La vera forza di questo testo è, al contrario di altre opere (come per esempio “Se questo è un uomo”, il fatto che non ci sono parti di movimento/lotte (non è testo argomentativo): tutto è racconto, diegesi, è avvenimento, però attraverso l’utilizzo di questo linguaggio in qualche modo obliquo (passa attraverso l’uso degli aggettivi) e degli aggettivi, fa trasparire quanto la Viganò pensava di questo scontro. Non c’è come in Levi una riflessione esplicita su quanto stava accadendo, ma proprio la costruzione dell’ambiente, dei personaggi (manichea), rimanda a quanto Viganò pensava. Aggettivi usati anche in maniera altisonante (bruciava cin felicità”, per esempio, non è un linguaggio come quello tipico di questo testo, ma rimanda a un linguaggio primo novecentesco decadentista). Linguaggio tipico dell’ambito simbolista è screziato in un contesto diverso, quello del realismo (le forme del realismo sono spesso contaminate da forme che provengono da altre correnti letterarie). Anche l’arrivo dei tedeschi produce cambiamento nel linguaggio: pervasiva è la presenza dei nazisti -> tutti per farsi capire iniziano a parlare con le frasi all’infinito “noi qui cosa fare?”. Riso dei tedeschi con la bocca piena di denti di metallo (riso dei tedeschi trasformato-manicheismo). È interessante vedere la reazione dell’Agnese quando il tedesco le chiede se sa qualcosa dei partigiani “Va all’inferno”. Tedeschi “rigidi, senza vita”. Molto interessante vedere come Viganò sia molto lontana dal modello di primo levi: la costruzione di Levi non era volta a una trasformazione in mostro dei tedeschi, c’era tentativo di capire perché e come i tedeschi pensavano. Qui c’è tentativo di trasformare l’altro in pazzo perché non si riesce a comprenderlo: questa trasformazione era il modo che Viganò aveva di rapportarsi con le SS sul suolo italiano. Spesso si intende trasformare anche nella vicenda quotidiana (soprattutto negli anni 70) demonizzandolo in una cosa che in realtà non è -> tecnica psicologica con cui si allontanano le responsabilità e si allontana la paura di diventare quel mostro (si erige una barriera: uno degli insegnamenti più belli di Levi è proprio quello di fare l’opposto che ricostruisce una retorica restituendo l’idea della zona grigia). Succede poi che Agnese e Rina vengono fermate però Rina (che sembrava quella più spaventata) fa un salto in avanti, oltrepassa i tedeschi a pag.108. Capitoletto 4 si chiude con il ritorno di Agnese molto affamata da Walter: nuovo luogo dove l’Agnese assume ruolo di coordinamento delle staffette partigiane. Compie un passo in avanti prodotto dall’arresto seppur momentaneo. Passaggio che le permette di coordinare una serie di staffette partigiane che lavorano in un luogo dove la presenza dei tedeschi è molto imponente. Si chiude la seconda sezione con la descrizione del paesaggio molto intensa e si apre l’ultima sezione del romanzo con il comandante, Clinto (?) e l’Agnese che sembrano essere i tre protagonisti, tre principali responsabili della zona. In questa parte c’è sostanzialmente modificazione degli elementi narrativi, perchè Viganò vuole puntare l’attenzione sull’esperienza/fenomeno collettivo della resistenza (che non è stato fenomeno individuale). A metà della sezione terza (capitolo 4) si assiste a una ripresa dell’inizio del romanzo: ragazze che fanno servizio ai tedeschi e ci ritroviamo in una dimensione speculare all’incipit (c’erano le vicine di casa che lavoravano con la casa del fascio): siamo all’interno di una nuova casa, accanto ai tedeschi. Quartier generale spostato vicino ai tedeschi perché la prossimità dello spazio non avrebbe fatto insorgere dubbi sul fatto che fossero partigiani/sfollati. Aspetto che riguarda la vita di Viganò: rappresentazione del femminile, molto interessante nel testo (anticipa un testo che Viganò scriverà nel 55 “Donne della resistenza” con 123 ritratti di donne partigiane emiliane) -> l’attenzione di Viganò è tutta alla questione della rappresentazione del femminile. Vinto il premio Viareggio nel 49 e diventata nota al pubblico italiano, negli anni 50 fa parte del gruppo del PCI; ma dai giornali diventa una sorta di star letteraria. Sostanzialmente interrogata sulle questioni di genere che venivano proprio dalla figura dell’Agnese che apre la strada negli anni 50 pur sempre dentro la militanza interna ad un partito. All’interno di “Donne della Resistenza”, il primo ritratto è quello di una donna bolognese Irma Bandiera (giovanissima ragazza che viene uccida una raffica di mitra proprio perché non aveva parlato e perché donna -aggravante per i nazisti-). Il ritratto che fa di queste donne, “mamme, spose, figlie, sorelle, fidanzate. Operaie, braccianti, contadine, intellettuali.” -> è interessante vedere come la descrizione che Viganò fa negli anni 50 della condizione femminile, riletta con gli occhi della seconda ondata del femminismo (con anni 70 e sistematizzazione del femminismo radicale), si gioca sempre con il confronto con le virtù maschili, come se il femminile potesse essere valutato e compreso solo in confronto a quello maschile (aspetto poi ridiscusso e rimesso in gioco). Dentro al testo si sente la forza della liberazione fatta anche dalle donne, sappiamo però anche quello che è successo dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando molte partigiane non si sono iscritte all’ANPI (non risultano sui registri), molte non sapevano neanche che dovevamo registrarsi (non è passata l’informazione presso i canali giusti) e sappiamo che la libertà però a partire dal 45 in avanti non si consuma nell’ambito familiare, pur avendo avuto la possibilità di lavorare all’esterno (costrizione al lavoro produce una forma di liberazione) è una sorta di contrazione del movimento perché le donne non erano libere in case. È questa la lotta al patriarcato. La stesa posizione di Viganò non era sicuramente che pone al centro la vera e completa liberazione del femminile, siamo all’interno ancora (come pensiamo oggi) negli stereotipi di genere. Negli anni 50, Viganò è assalita anche dalle critiche e dagli scritti di altre donne sempre in quest’ottica. “La guerra è contronatura perché ogni uomo è nato da una donna…” SLIDE -> questa è Viganò che parla dopo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ai nostri occhi appare come un’affermazione datata, ma che sicuramente nei primissimi anni 50 aveva la sua componente di emancipazione. Ciò che è più strano ai nostri occhi forse è il fatto che le donne sono concepite da Viganò in primis come madri: anche lo stesso fatto che abortire fosse la scelta per non perpetuare il clima di violenza è abbastanza forte. [La scelta dell’attrice di Montaldo, molto bella è abbastanza singolare e rispecchia anche determinate categorie di genere.] Sezione 3 capitolo 4: Proprio l’aspetto della coscienza di classe emerge in maniera chiara, in una sorta di riflessione interiore. Tutte domande che si rifanno all’acquisizione della coscienza di classe in seno a un partito politico che riguardano tutto l’arco cronologico della vita dell’individuo: dall’infanzia “Perché non posso avere una bambola?” (perché sono povera) all’età matura “Non posso avere un funerale degno di questo nome?” (perché sono povera), passando per la gioventù. Scarpe all’interno del realismo (anche cinematografico) è un tema molto frequentato. Opera una costruzione totalmente retorica del mito resistenziale: modo con cui Viganò rappresenta la resistenza dal momento in cui Agnese prende coscienza di sé (tecnica del discorso indiretto libero) capiamo che Agnese è entrata in una nuova fase di consapevolezza è pronta ad immolarsi sull’altare della resistenza, è pronta alla morte. Siamo in inverno, nelle pagine conclusive, sia arriva alla lotta finale tra partigiani e nazisti dove ad aver la meglio sono in questo caso i nazisti, ma subito dopo si posta la linea del fronte. Siamo nelle ultimissime pagine (pag. 237): Agnese è di nuovo stato catturata insieme a un gruppo di sfollati e Agnese viene riconosciuta da un compagno di un famoso Cur (?). Si chiude in modo violento e truce la vicenda dell’Agnese: Riflessioni che, ultime, si possono fare sul testo: utilizzo del termine stracci che rimanda al gatto e quindi di conseguenza a Palita: stracci che diventano emblemi di qualche cosa. Straccio si rifà anche al lavoro di donna: lo straccio rientra in quella sfera semantica (lenzuoli, coperte, vestiti…) del lavoro della lavandaia (che faceva proprio Agnese). Anche nel momento in cui aveva ucciso il soldato, lo uccide come se stesse sbattendo i “panni fradici di acqua”: la questione dei panni si rifà al lavoro di Agnese: per definire il modo in cui l’Agnese lascia il campo, morendo. La presenza di questi stracci nella morte indica una sorta di reliquia, rimandano alla sopravvivenza dell’esempio che l’Agnese è stata e che è in forte contrasto con l’ambiente circostante. Nella scena finale, gli stracci neri di Agnese risaltano sul fondo di neve: contrapposizione che rimanda alla contrapposizione bianco-nero anche dell’ambiente circostante. 05/12/2022 Mario Rigoni Stern Restando sempre nell’ambito del realismo/neorealismo, ma entriamo in un nuovo decennio, quello degli anni 50. Alcuni avvenimenti degli anni 50: maccartismo (corrente internazionale di accusa di comunismo nei confronti di tutte quelle forme di potere), 1951: nascita del festival di Sanremo (che spiega alcuni aspetti che si consuma tra il Don e il Volga (che si intrecciano proprio vicino a Stalingrado). Tra 1942 e 43: quando inizia la cosiddetta manovra a tenaglia (accerchiamento da parte di Stalin della sacca delle postazioni tedesche – e italiane, soprattutto alpini, e rumeni –): la morsa era fatale ovviamente, perché non potendo ritirarsi (perché così Hitler aveva comandato), i Russi rompono le fila e inizia la marcia su Berlino (17 gennaio è data-Simbolo). Il testo è diviso in due: il primo capitolo “Il caposaldo”, il secondo capitolo si chiama “La sacca” -> già dai titoli ci permette di capire come è strutturato il testo: la distinzione tra caposaldo e sacca rimanda alla contrapposizione tra stabile/fermo/fortificato e caos/trappola. Struttura bipartita. Primissime righe del testo: Ricordo ex-post del narratore di alcuni elementi indelebili nella mente di chi testimonia (odore del grasso sul fucile: pulizia delle armi era pratica svolta quasi tutti i giorni, rumore della neve, colpi di tosse e stranuti dei russi, suono delle erbe secche battute del vento, e la costellazione Cassiopea sopra la testa di notte). Riferimenti temporali tutti molto chiari ed espliciti: quando parla di “Gennaio” è ovviamente gennaio 1943. Le roccaforti erano tra le rive del Don e del Volga. Dal punto di vista temporale siamo poco prima di gennaio, immersi nei giorni festivi, prima dell’inizio della manovra a tenaglia. Alcuni aspetti letterari: frasi brevi, no prospettiva psicologica sui personaggi ma stilizzati/asciutti/tratteggiati per tipologia/caratteristiche molto concrete precipue. Questo testo inizia ad essere scritto il 16 gennaio del 44, quando Rigoni Stern si trovava in un campo di concentramento, dalla lunga ritirata finiscono verso la Germania (nel contempo gli Americani salivano l’Italia), dove rimane fino alla fine della guerra. Riesce e trovare qualche blocco per scrivere e mette giù vari racconti degli avvenimenti in Russia. Testo che non lascia spazio alle glorie o all’eroismo, tratta il ritorno al mare (Senofonte) che qui è il ritorno a baita (alpi dell’Italia del nord). All’indomani della pubblicazione, il testo viene definito nei modi della slide, un “testimonio puro” Carlo Bo, “dalle pennellate brevi” De Roberto, “lievitazione epica” Bocelli (epica che ritorna nella narrativa di guerra) … SLIDE -> ancora oggi al nostro sguardo il testo offre le stesse caratteristiche ritrovate dai commentatori. “Alto, taciturno, cupo”: frase nominale, tre elementi legati da polisindeto: con pennellata molto breve definisce il personaggio in modo chiaro. Uno dei primissimi ritratti che Stern fa. Siamo nel Natale 1942: si fa di nuovo la polenta: pochi elementi e pochi concetti: paesaggi, cibo (elemento legato alla sfera del primitivo e del primordiale) e soprattutto la polenta (che richiama le origini nordiche del protagonista). Non c’è retorica del russo da uccidere, qui col nemico quasi si può fraternizzare: il gruppo (che è il gruppo degli alpini) è il centro della narrativa: sineddoche che rappresenta umanità in genere (insieme di persone che vive isolatamente ma che vive una vita non dissimile da quella che si viveva in montagna). Parte più immobile dal punto di vista del contenuto, non ci si muove dal caposaldo; mentre la seconda parte sarà più dinamica perché avviene la lunga ritirata dal Don. “Arriveremo a baita?”: leitmotiv. Segue l’arrivo del Capodanno: un altro degli elementi che caratterizzano il testo è il freddo, per il quale anche le armi non riuscivano a funzionare. Costantemente ci sono richiami alla casa che permette anche a non enfatizzare il lato della guerra. Morte del tenente Sarpi ben descritta: descrizione del rapporto sintetico, schematico, senza emozioni (la gola è chiusa, l’emozione non può emergere). La scrittura si fa tecnicamente anche ridondante, con ripetizioni di alcuni questioni essenziali ed elementi. In poche righe, Rigoni riesce con pochissimo, a scrivere qualcosa di solido ficcato nello stomaco e la gola secca (impossibilità di esprimere il dolore) perché attorno qui non c’è nulla: blocco della realtà espresso molto bene dallo stile. Il tenete in maniera sintetica spiega cosa è successo. Sembra un fotogramma e l’augurio “Buon Anno Rigoni” era speranza di superare l’anno venturo: nastro si avvolge e la crisalide torna a svilupparsi. 06/12/2022 Metà del caposaldo. Vediamo come Rigoni Stern decide di chiudere il caposaldo, parte più statica a fronte di una scrittura che non è statica. Il 10 gennaio del 43 arrivano notizie poco positive che richiamano quella manovra a tenaglia a cui si accennava ieri. E questa manovra arriva alle orecchie di Rigoni. Tutto questo produce la ritirata alla fine del capitoletto. “Qualcosa non andava proprio…” elementi anche minimi che non sono riconducibili ai russi suscitano nei protagonisti della storia attenzione e preoccupazione. Ovviamente vengono descritti anche casi di automutilazione proprio per scappare da questa situazione che si fa sempre più drammatica, fintanto che a un certo punto inizia la controffensiva vera e propria dei russi che iniziano ad accerchiare quella ampia zona che collegava il Don al Volga e a un certo punto arriva all’interno del caposaldo la notizia che bisogna iniziare a prepararsi alla ritirata. Rigoni scrive “Doveva essere terribile passare il fiume...”: descrive irruzione dei russi in modo drammatico, anche i russi venivano mandati allo sbaraglio: c’è bella descrizione della fossa al di là della quale si colloca il fiume gelato da quetsi soldati che sono ovviamente costretti a perdere delle armi. “Tana, neve…” termini che continuano a tornare nella narrazione perchè danno idea del luogo di sicurezza nel quale gli alpini si sono rifugiati. Erano morti alcuni dei soldati che gestivano il caposaldo di Rigoni che a un certo punto diventa colui che gestisce il luogo: molte le descrizioni delle notti in cui non dorme, sveglio girando da un caposaldo a un altro. Il tenente Cenci fa arrivare l’ordine della ritirata “Sentivo tutta la responsabilità che mi …” L’obiettivo era lasciare il caposaldo senza far rumore, in modo tale da ingannare i russi e cosi uno dopo l’altro i soldati lasciano il caposaldo e il primo capitolo si conclude così. Prima di andare al capitolo sulla sacca, si devono fare riflessioni su una tipologia di scrittura che è molto particolare: quello che viene rappresentato è proprio la percezione del mondo esterno letto alla luce di pochi elementi essenziali che diventano fortemente allusivi o significativi: neve bianca che descrive il paesaggio che rende il luogo geografico nel quale si colloca questo piccolo uomo che torna dalla Russia verso la Germania a piedi (ambiente vasto in cui l’uomo viene visto in una misura anti antropocentrica: natura violenta, selvaggia, fredda, che produce amputazioni delle gambe, natura che è violenta nei confronti di chi la attraversa, proprio perché chi la attraversa sfida l’esercito russo in pieno inverno. Aspetti legati alla psicologia sono minoritari. Dal punto di vista tecnico frasi brevi concentrate su elementi pochi ed essenziali dove ci si sente calati. Macrostoria che viene superata dalla microstoria. Tecnica della riduzione, che permette di lavorare sul lettore perché più riduciamo più lo forzo del lettore per completare, rafforza l’immaginazione (elementi che sono pochi ma collocati in maniera sensata), produce surplus di immaginazione: questo aspetta in quell’enorme contenitore dell’epos (non è il solo autore che abbiamo visto a fare questo lavoro). C’è una dichiarazione dello stesso Rigoni del 1997 (successiva al suo successo presso Einaudi), scrive un testo “Stagioni di Giacomo” SLIDE -> riflessione che vale per tutta la scrittura di Rigoni Stern: introduce un amico (Zanzotto: esordisce nel 1951 con un testo chiamato “Dietro il paesaggio”) e Zanzotto e Stern sono accomunati dall’origine, di Asiago e autori entrambi sedentari, che non si sono mai smontati da lì. Eden paradisiaco come altrove in cui si può trovare qualcosa che nella società contemporanea veniva meno “vedo tante memorie che si allontanano ma non che svaniscono” a causa della velocità: aspetto interessante rin riferimento al Sergente: è un esto lento. “La velocità non dà pause…”: inversamente proporzionale alla memoria, più siamo veloci meno ricordiamo/riusciamo ricordare. Allora forse è per questo che in realtà riesco a ricordare: il camminare diventa la misura lenta della riflessione. Il passo della comprensione e il passo della determinazione degli oggetti della memoria. Piu si è lenti più la stratificazione della memoria è forte. Questa non è invenzione di Zanotto o di Rigoni Stern, ma afferisce a una lunga tradizione occidentale che richiama altri modelli. Prima di questo testo, c’è lo stesso Zanzotto che dedica alcune pagine “La storia di Tonle” – un altro testo che racconta la storia di un contadino dell’altopiano di Asiago che affronta la prima guerra mondiale e in questo testo dice alcune cose sul tempo e la memoria nelle opere di Stern. Zanzotto trova qualcosa di comune tra lui e Rigoni: siamo rimasti nel luogo di origine -> è anche una comunanza poetica perchè il paesaggio ha ruolo grandissimo. Zanzotto vede nel testo di Stern che ci sono autori/romanzieri (discorso si ampia al rapporto che lega il romanziere all’epica), che riescono a darci di tuto il valore, il senso, l’ampiezza immensa del romanzo fiume nel taglio elegante delle 100/150 pagine: ci sono narratori capaci di condensare in poche pagine cose che altri romanzieri scrivono con fiumi di inchiostro. Il romanzo lungo (Zanzotto parla al modello realista dell’800) destruttura la realtà, la snocciola nelle sue componenti, ma a furia di indagare aspetti minuti, perde di vista i ritmi generali della realtà stessa VS pochi elementi che vengono compresi in un’ottica generale che danno senso di qualcosa di più ampio, come il romanzo di Stern. Rapporto che rigoni Stern identifica tra megastoria (storia degli eventi, delle potenze, dell’URSS che respinge il nemico nazista) e piccolastoria (vicenda umana altrettanto valorosa che viene descritta non nella megastoria, ma nella piccolastoria). Questa tipologia di narrativa continua inssitenza sul rapporto che si instaura tra la grande storia e la piccola storia fatta di elementi quotidiani: punta di resistenza nel quotidiano contro il negativo, contro il male nel mondo. Zanzotto arriva a cogliere quello che in realtà dice Rigoni Stern: il sapore (elemento sensoriale) di questi elementi (della vita quotidiana) oggi è andato perduto”: accusa nei confronti della società capitalistica e delle trasformazioni che ha operato. C’è nell’uomo un mistero che a forza di scavare e di vivisezionare, si perde: questa resistenza nel testo di Rigoni Stern è molto palpabile (non solo da rigoni Stern, ma anche da altri autori che scrivono “per sottrazione”). Una cultura che stiamo vivendo che sconsacra molto senza però riconsacrare nulla: la grande parabola che in Italia venne descritta in maniera feroce da Pasolini, appunto con quel film di cui parlavamo ieri. Arriva al significato della letteratura: il Tonle passa tutta l’esperienza di Rigoni Stern e tutta l’esperienza passa in noi: questa collettività è andata perduta. Collettività che si trova nel Sergente col gruppo degli alpini, molto coeso, ma che al contempo diventa paradigmatico degli uomini in generale. È molto interessante che queste riflessioni di Zanzotto vengano fatte su Rigoni Stern negli anni 70. Infatti: Nel 1962 viene pubblicato in Italia per la prima volta un filosofo tedesco berlinese: Walter Benjamin descrive quello che stava capitando. Una trasformazione del mondo ad opera della crescente tecnicizzazione che trasformava le abitudini delle persone, in particolare di quelle che vivevano nelle metropoli europee (Parigi e Londra) che si abituavano a un modo di vivere diverso dall’Italia di inizio 900 ad esempio. Benjamin muore nel 1940: era ebreo e stava scappando dai nazisti tra Francia e Spagna, suicida, dopo che venne catturato da miliziani: condizione tragica, dettata anche da una condizione psicologica instabile (soffriva di alcuni disturbi psichici) ma ebbe anche una carriera difficile (voleva diventare prof universitario, scrive abilitazione studio dell’origine del dramma Marocco-tedesco e che dà idea intelligente anche dal pdv della filosofia della storia). Mescola elementi della sua origine ebraica con filosofia marxista, c’è all’interno del pensiero di Benjamin una forte prevalenza del pensiero messianico: tiene insieme il materialismo marxista con le problematiche che suggerisce la religione ebraica. Nel 1936 pubblica un saggio sul Narratore, molto importante perchè dà specifiche definite sulla problematica del narratore epico contro il narratore del romanzo. “Der Erzahler”: SLIDE -> sono le osservazioni sull’opera di Nikolai Lesskows (autore russo di inizio 900 che ha caratteristiche per Benjamin importante che non sono così distanti dalla narrativa di Rigoni Stern. In Italia la prima traduzione è del 1962, con il titolo “Complessivo Angelus Novus” (in copertina un’opera di Klee, acquistata nel 1920 da Benjamin e l’Angelus Novus rappresenta l’angelo della storia). L’angelo della storia è il progresso: ha le ali, è rivolto verso il passato e le guarda le macerie del passato, ma condotto in avanti dal vento che non riesce a resistere. Angelo muove le ali, accumula davanti a sé le macerie e Punto di rottura è la Prima guerra mondiale che porta a compimento la borghesia: processo lungo lentissimo come le ere geologiche che porta allo snaturamento dell’essenza dell’epica: che non viene del tutto persa, ma si possono ancora trovare (per es. in Lesco (?)). Due archetipi di narratore che Beniamin dice che è meglio se convivessero: parte del narratore che porta stori da un altrove di cui non si sarebbe venuti a conoscenza e narratore sedentario che porta dentro di sé un racconto verticale, che si fa carico di questa tradizione profondissima. Il testo benjamino non si può applicare con cura a Rigoni Stern: è difficile prendere un modello e impiantarlo dentro un testo, ma alcuni elementi di un narratore arcaico sopravvivono all’interno della scrittura di Rigoni Stern. Due archetipi di narratore che si devono conciliare, e la natura della narrazione è quella di dare un consiglio, un’istruzione di carattere morale/pratico/… (trasmettere questo senso di completezza). Uno die tratti che stanno venendo meno nel mondo contemporaneo è la saggezza, e quindi la capacità di raccontare e portare consiglio. Perchè viene meno la saggezza? Per il mondo materiale moderno, alla luce di cui l’uomo perde la capacità di stratificare, sedimentare, creare un sistema verticistico -oggi il mondo, dagli anni 50/60 è superficiale, tutto è in superficie, cultura diventa orizzontale posta su un piano che si attraversa in modo diverso- Benjamin è nostalgico, auspica e rimpiange la mancanza di un narratore epico che porta consiglio. Segno di questa trasformazione è l sistema mass-mediale: la storia di savenito (?) resta racconto perché non spiega tutto (casta concisione: sintesi che permette sviluppo di un’empatia nei confronti del testo), mentre l’informazione ha il carattere di essere comprensibile, luminosa. Il rapporto tra chi narra e chi ascolta è quello di conservare ciò che è narrato, che deve essere compreso e “vissuto”: sembra il rapporto padre-figlio, dove si passano valori, ma il rapporto è ampliato all’intero popolo. Si ascolta con la possibilità di riraccontare la storia stessa. Memoria è ciò che ci permette di salvaguardare le cose (cultura/tradizione) dalla morte. Perché proprio nel legame inter-generazionale sta la sopravvivenza culturale della specie. Mnemosine è la Musa dell’Epica: sia il romanzo che l’epica hanno matrice comune che sta nel rimando a Mnemosine (forma di ricordo e memoria), ma sono due forme differenti. Le spiega e ci permette di comprendere l’elemento più proprio della narrazione di Rigoni Stern: il ricordo è ciò che ci permetter di tramandare l’accaduto di generazione in generazione: questo è l’elemento chiave dell’epica. Ed è il narratore che è il mediatore tra generazioni, perché permette di far passare la storia di un determinato popolo. Sul narratore si concentra l’attenzione di Benjamin, la cui analisi da enfasi all’elemento musale che è la memoria, la capacità di riportare le storie. Il narratore “crea la rete che tutte le storie finiscono per formare tra loro, l’una si riallaccia all’altra…”: Sherazade era minacciata di morte dal sultano e l’unico modo per sopravvivere era raccontare una storia nuova al salutano ogni notte, lei si salva perché il sultano si accorge che lei incarna lo stesso modello di cui parla Beniamin: in goni narratore vive una Sherazade. Questo lo dirà anche Carlo Levi, quando parla della sua funzione narratoriale dice che nella storia del mondo contadino c’è filone parallelo in cui le storie vengono narrate oralmente, di bocca in bocca, questo perché è un patrimonio non scritto: è il patrimonio dei subalterni, in contrasto con la storia dei vincitori. Dentro l’epos c’è già elemento che aveva caratterizzato il romanzo, nonostante prevalesse l’elemento dell’epica. Elemento romanzesco che si scorge nell’invocazione alla Musa: compare il narratore di stampo romanzesco non quello che si oblia nelle forme di una narrazione culturale, ma c’è un IO che dice “Narrami o Musa…”. Individualità del romanzo VS la moltitudine delle storie narrate dal narratore epico. Il romanzo è dedicato a una sola storia, un solo eroe, una sola traversia; mentre l’elemento epico è legato a una coralità. [Testo da non leggere per l’esame, se si vuole]. Possiamo parlare di autenticità della narrativa per Benjamin: oggi non si parla più di autentico o non autentico; tuttavia, negli anni 20/30 del 900, si aveva il problema dell’autentico e dell’autenticità e anche sentito in modo forte. Il narratore epico qui ha caratteristiche migliori di quelle del romanziere: 1) casta concisione: stilizzazione dei personaggi nell’epica (anche nel Cristo si è fermato a Eboli in realtà: non si ha sviluppo psicologico, ma sono dei tipi che rappresentano modelli della civiltà lucana: per determinare la cultura che si reitera. Sherazade è collettore di storie che proprio come Levi fa collettore di storie lucane. 2) “La noia è l’uccello incantato che cova l’uovo dell’esperienza”: la noia-> elemento sul quale Benjamin insiste in contrasto a un determinato modello (modello che si rifà a un tipo di società che sta scomparendo, quindi Benjamin pensa alle botteghe degli artigiani all’interno delle quali si raccontavano storie oltre che a produrre elementi artistici: storie che sono artigianali -scrittura da artigiano, di colui che cesella con pazienta e on grande capacità di far sedimentare ciò che si scrive. L’esperienza si può solo dare dove c’è tempo lungo della capacità di assimilazione: a questo proposito Benjamin scrive il saggio su alcuni motivi in Baudelaire sempre nell’Angelo Novus dove distingue due tipi di esperienza (grazie alla lingua tedesca che usa già 3) Erfahlung VS Er: la prima è esperienza che si riesce a comprendere, l’altra è la nuova esperienza della vita moderna che non si riesce e a comprendere/vivere perché sono esperienze troppo rapide e veloci. Momento di cambiamento di inizio 900 analizzato e fotografato benissimo da Benjamin. Le narrazioni sono sempre narrazioni che vengono vissute dal narratore e calate nel contesto della vita di colui che narra e di colui che ascolta perché anche quest’ultimo diverrà narratore a sua volta 4) Coralità: (alpini in Rigoni Stern), torsione della scrittura che contiene in sé elementi che rimandano al mondo orale e al mondo alpino di Asiago sul quale viene proiettato il mondo della Russia. Un altrove che è anche un qui “Arriveremo a baita?”: unire spazio e tempo. Continua tensione a un punto: arrivare a casa. Tensione che si sente soprattutto dalle condizioni climatiche ed esistenziali che stavano vivendo. Lo stesso Rigoni in un’intervista del 1980, spiega che il narratore che incarna è uno che narra storie e cita proprio un passo di Benjamin “Il narratore prende ciò che narra dall’esperienza…” SLIDE -> tesi che Benjamin prende da un altro teorico del marxismo, che scrive “Teorie del romanzo”, Lucaks (che descrive il romanzo come la perdita del senso dell’uomo nella modernità). È lo stesso Rigoni Stern che, probabilmente ex-post scritto il testo, legge Benjamin (viene tradotto all’inizio degli anni 60) e ritrova il suo modo di fare narrazione in quel modo che Benjamin ha scritto. Capitolo “La Sacca”: Atmosfera della seconda parte che assomiglia a un deserto, deserto quasi biblico, dove l’unica cosa che sopravvive è il gruppo di persone che tenta di salvarsi. “è tutto buio. È tutto silenzio.”: si vede anche l’astuzia con cui Stern realizza le frasi, parallelismo con uno scatto di sillaba (sillaba in più che aumenta la musicalità della frase, rendendola simile a un verso poetico). La data cruciale della sacca è il 26 gennaio, quando alcuni alpini riescono a liberarsi dalla morsa russa, avviene la battaglia finale nella Nikolajevka. perchè la tenaglia russa aveva coperto lato sud e lato nord per confluire nella zona in mezzo, la zona della sacca. Qui è descritto il tragitto di Rigoni Stern insieme ai suoi compagni dal 16 gennaio al 31 a Selpeino (?). Le vicende che caratterizzano questa parte sono semplici: uno dei problemi essenziali è dato dalle armi che si portano dietro (tra cui la pesante che è la mitragliatrice che pesa moltissimo) e di coloro che si abbattono nella neve e vengono lasciati lì: c’è anche la tragicità di queste morti. In questa parte c’è netta sovrapposizione tra questo orizzonte che non ha confini, in cui il soggetto è immerso totalmente, con il ricordo di casa: sovrapposizione di piani, come se in questo viaggio nel deserto, si formassero luoghi paradisiaci (oasi) in cui ritorna il passato e il presente (questo evento è una prolessi). La differenza con la prima parte dell’opera è che i riferimenti di spazio e tempo sfumano completamente: la scansione temporale viene meno, tanto che si confonde il giorno con la notte (dovuto sia al momento drammatico della traversata, ma anche a causa della memoria che non gli permette di ricordare esattamente ciò che era successo). Costruzione elementare: gruppo di uomini che cammina verso un altrove che è il fine, inseguiti dal nemico alla spalle (nemico che non si vede benissimo perché non si capisce né l’altezza a cui si è posto, perchè c’è la neve, perché c’è il buio): sono la preda di una battuta di caccia in senso metaforico (non è un caso se Stern scriverà poi un libro sulla caccia). Questo passaggio è esemplificativo perchè tine insieme entrambe le modalità di narrare: torsione più legata alla diminuzione degli elementi della frase che è tesa a definire il paesaggio russo (enfatizzato da sensazioni ed emozioni che le persone che lo attraversano stanno vivendo). Impennate stilistiche che mirano ad enfatizzare il paesaggio e il modo di starci da parte dei personaggi. Poi tornano le modalità ritmiche di una narrazione molto elementare, anche biblica, poi c’è riflessione sulle armi che avviene in modo più arioso rispetto a come emerge nelle altre parti. Struttura interna del testo molto diversa: il Caposaldo è molto breve, la Sacca è anche fisicamente più lunga (molte più pagine): differenziazione volutamente costruita per rendere la lettura di questa seconda parte molto lunga, faticosa, parallela alle traversata che loro stanno compiendo in modo molto faticoso. Nella prima parte abbiamo quiete, sicurezza, quasi gioia (quando si descrivono i rapporti interni al gruppo, e ci sono anche forme di fairplay con i russi nelle azioni e nelle riflessioni di quando si accorge che lui è come i russi e i russi come loro). Qui di curiositas tipica dello scrittore greco c’è poco, nonostante la fonte sia l’Anabasi di Senofonte: non c'è curiosità dei luoghi: anzi, i luoghi tendono ad un appiattimento generale che tendono a un paesaggio che è sempre uguale a se stesso. Enfatizzazione del paesaggio causata dallo stile. Tutto è snocciolato attorno a nuclei semantici di un certo valore (alba, plenilunio, neve, freddo, bosco, acqua…: forte valenza propria di uno scrittore di montagna, che vive in montagna e che scrive della montagna, oltre che essere elementi attinenti al sacro). La lingua non è ridondante, è molto secca, asciutta, ridotta all’osso -> non è “ipervitaminizzata”, fatta di pochi elementi che diventano impasto originale di storia, esperienza, di un italiano verace (che afferisce a un ambito semantico regionale/veneto). Tutto questo ha anche una valenza che va al di là della mera comunicazione (si può leggere bene alla luce di Benjamin perché Benjamin critica la comunicazione al i là del boom: per Benjamin è importante il racconto oltre all’informazione). Impasto molto originale in cui si sente molto bene lo stare in un luogo. L’aspetto che più attraversa queste pagine, nelle quali i pochi elementi si replicano (non succederà nulla di effettivo: loro camminano, cercano di ripararsi, si rompono le scarpe, camminano, perdono compagni) fino ad arrivare a questa battaglia del 26 gennaio, con un episodio molto bello. Battaglia ferocissima perché l’unico momento in cui i russi possono bloccare l’uscita dalla sacca. Rigoni si salva proprio perché tra i primi, e riesce a superare le linee riducendo all’osso le proprie armi. All’interno di questo episodio c’è l’incontro coi tre soldati russi della Isba(?) che mostra la comunione di intenti che va al di là della guerra. Episodio della battaglia: “La nostra artiglieria…”. La vicenda continua, ma sostanzialmente Rigoni riesce a superare lo sbarramento a mettersi in slavo. È molto interessante vedere ciò che Barzoc(?) afferma. Riferimento alle lontane lingue perdute (riferimento a Benjamin): passo linguistico che ha forte valenza etico-morale. Il messaggio è chiaro, soprattutto alla luce di quest’ultimo episodio è chiaro. È vero ciò che scrive un critico Filippo La Porta (?): “Ciò che continua a sorprendere …” SLIDE. 12/12/2022 [Durata di 2 ore: tema, sviluppo critico di un punto toccato durante il corso. Margine limite di battute: 4500 circa (?) – circa una pagina di word senza interlinea con carattere 12. Il primo a trovare il testo è Lorenzo Mondo (aveva pubblicato il taccuino segreto di Pavese negli anni 60, carte scomode, ne aveva discusso con Calvino e carte usciranno negli anni 90). Nel 68 pubblica Il partigiano Johnny, facendo lavoro disastroso, cucendo liberamente le due redazioni: rende il testo leggibile ma unisce le due stesure in maniera arbitraria. Non rispecchia quella che in filologia si chiama l’ultima volontà dell’autore. Dieci anni dopo, Maria conti fa nuova edizione, lavorando in maniera diversa e ritrovando un altro pezzo di testo che non si era trovato in precedenza. Nel testo (nel rifacimento) il protagonista muore (solo una versione è così). I capitoli 1-20 sono uniti e i capitoli (che Fenoglio aveva limato e lavorato: versione definitiva che Fenoglio aveva voluto darci) e restituisce una seconda parte di cui non c’è certezza. Fenoglio fatica molto a chiudere i romanzi, a dare un fine ai personaggi: non è un caso che ci siano due finali (se si sta al terzo rifacimento il partigiano muore), invece nelle altre parti, il partigiano sembra salvarsi (non è esplicitato che i fascisti lo uccidano: c’è sospensione temporale e una frase finale “Dopo pochi mesi la guerra finì” che rimane ambigua). Stesso problema si ha anche in “Una questione privata”: il finale non è elaborato, sembra che il protagonista muoia, anche se il testo non lo dice esplicitamente. Abbiamo il personaggio che rimane in sospeso, perché anche all’interno di una questione privata si ha di fronte un’etica dell’antieroe della resistenza italiana. In Johnny non c’è spazio per famiglia, affetti, ricordi… Tutto è focalizzato nel qui e ora della narrazione degli eventi tragici la cui natura è epica e che si rifà al modello virgiliano: di nuovo c’è utilizzo dei modelli epici classici su cui si lavora. Eneide rappresenta un popolo di sconfitti in fuga da Troia: “sconfitta” in cui lo stesso partigiano si identifica. Incipit deli libro grosso SLIDE: ricalca esattamente quello che è capitato a Fenoglio stesso. La lingua del testo è mescolata con termini inglesi e l’utilizzo della lingua inglese rispetto ai termini italiani (non è italiano standard) “inpraticità”. Bando che costringeva alla forzata leva del 43/45: si era costretti ad entrare nel F: forme con prefisso negativo “In” tipico dell’esame: si prende l’aggettivo maneggevole e per indicare la forma negativa con IN davanti: “inmaneggevole”, “inperseguitato”, “inaiutante”; oppure con “non-“ o con “a-“ o con “un-“ e così via. C’è un saggio tutto dedicato allo stile del Partigiano Johnny. Dalla conclusione del ciclo di Johnny nasce l’idea di staccarsi dalla narrativa del partigiano e di creare una nuova storia: sono molte le differenze: la differenza principale è la lunghezza (Una questione privata p molto ridotto rispetto al Partigiano). Calvino considerava “Una questione privata” un capolavoro della resistenza italiana: SLIDE “Dalla conclusione…”. Calvino mette l’accento sulla geometrica tensione, teso verso il raggiungimento di un fine che riguarda “Una questione privata”, ovvero l’innamoramento di Milton di una ragazza (Fulvia), conosciuta in una villa sulle colline di Alba quando lei era 16enne. Primo capitolo del testo: Milton decide di tornare a vedere la villa per cercare di capire come stesse Fulvia e lì inizia la narrazione, con l’emergere dei ricordi di quando Milton si rapportava a Fulvia. L’antagonista di Milton è Giorgio, un altro partigiano: attorno a questo triangolo si sviluppa tutta “Una questione privata”: tentativo di fare una narrazione opposta a quella di Johnny: Johnny esclude tutti i rapporti al di fuori del suo essere partigiano, Milton no: microstoria (termine coniato da Ginzburg), il mondo della macrostoria vacilla: la storia partigiana c’è, ma è tuto concentrato attorno a un episodio dell’autunno del 44 (unità di spazio e tempo molto ben definita e circoscritta che rimanda queste due coordinate: Langhe autunno 44): geometrica tensione perché è tutto congeniato e molto ben tenuto assieme: rimanda a certi aspetti alla struttura di un altor libro “La luna e i falò” di Pavese (tensione verso raggiungimento dell’obiettivo). Obiettivo è ritrovare Giorgio per chiedere dei rapporti sentimentali che lo legavano a Fulvia: Giorgio era stato catturato dai fascisti -> in questo c’è rapporto tra microstoria e macrostoria. Milton deve trovare un ufficiale tedesco o fascista per fare scambio: ricerca di un ostaggio da scambiare per poter parlare con Giorgio e chiedergli cosa fosse successo. Abbiamo una serie di rifacimenti e scritture che portano a pensare che esitano più redazione del testo, tanto che in una prima redazione, ad esempio, Fulvia (che non compare mai in scena) compare, così come il padre di Giorgio Nella redazione finale i personaggi compaiono: lavoro di riduzione, di assorbimento di elementi accessori per dare un testo più secco possibile. Ritorno al romanzo? SLIDE: si può pensare che, con “Primavera di bellezza”, Fenoglio decida di abbandonare la memorialistica del mondo partigiano per dedicarsi a una struttura di romanzo più romanzesca (anche nel partigiano Johnny c’è racconto lineare che cerca di non omettere nulla della stagione resistenziale. Tentativo di dare testimonianza il più aderente possibile alla realtà di quei fatti. Comincia a pensare a un approccio diverso: non legato ai modi della testimonianza, ma ad una storia d’amore, dove i temi di macrostoria sono subordinati a quelli della microstoria: predomina la questione privata sulla questione pubblica -> è la questione privata che spinge il narratore a raccontare la storia, si dice quello che è successo di resistenziale, in vista del racconto della storia d’amore. Gli anni 60 sono anni caratterizzati dal punto di vista letterario, da alcuni movimenti storico-culturali molto distanti dalla narrativa partigiana (andava di moda la corrente francese della Scuola dello sguardo che tendeva ad essere attenti agli eventi legati all’industrializzazione e agli oggetti legati alla realtà attraverso l’unico senso che era la vista: si guardavano le cose come il loro essere cose tra le cose -in Italia ci sono opere di Pasolini e gruppo63 che fa proprio il mondo dell’industria e globalizzazione). Tentativo di Fenoglio di ritornare la romanzo che abbia un’ambientazione particolare: è chiaro che non è un caso unico, non è solo lui a ritornare su questa narrativa, ma negli anni 60 c’è ritorno alla narrativa partigiana perché nasce il partito dei reduci fascisti, problema culturale enorme, il ritorno dei fascisti all’interno dell’orizzonte politico, produce nuova ventata di scritti legati al mondo partigiano. “…non già sullo sfondo della guerra civile…” SLIDE: il racconto è costruito attorno a questo unico episodio nel quale si intrecciano elementi della guerra della macrostoria. Il personaggio, Milton (evidente riferimento a John Milton, autore del poema “Paradise Lost” dedicato alla cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre: riferimento alla passione per Milton autore, per la letteratura inglese e riferimento al rapporto di Milton e Fulvia – paradiso che vien perduto quando scopre che Fulvia in realtà frequentava anche un altro: la ricerca di Giorgio è per smentire le voci che a Milton arrivano riguardanti la frequentazione tra Fulvia e Giorgio). Primissime pagine: il ritorno di Fulvia coincide con la fine della guerra. La frase che dice Milton è interessante, sembra consequenziale a quello detto poc’anzi: “non la rivedrò più prima della fine”, sembra non la rivedrà prima della fine della guerra, ma lui rivedrà la villa poco prima di morire (nel finale del libro viene intercettato da un gruppo di fascisti poco mentre guarda la villa). Sembra che il narratore stia instillando il dubbio/presagio di morte. Milton è personaggio brutto (sulla bruttezza l’autore insiste parecchio) che ha occhi molto espressivi (tristi e ironici, duri e ansiosi) che qualsiasi ragazza avrebbe dovuto giudicare notevoli. Fulvia compare sì, ma nella dimensione del ricordo. Fulvia è molto ambivalente nella relazione col personaggio: recita in latino la formula matrimoniale, dice che è brutto ma che nello specifico ha gli occhi belli. Ambivalenza che farà scattare l’innamoramento di Milton. Il rapporto di innamoramento passa attraverso una mediazione letteraria, la scrittura di lettere che Milton le manda, lettere molto belle che a Fulvia piacciono molto, perchè Milton ha talento letterario (in Milton si pososno scorgere elementi autobiografici). “Deep purple” è una canzone un compositore degli anni 30 (il nome del gruppo deriva proprio da questa canzone che una nonna di uno del gruppo ascoltava). La capacità di Milton è di far suonare la prole come fosse la prima volta: hanno una forza nuova, nonostante siano parole consuete. Intreccio tra tempo presente e tempo del 42. Infatuazione di lei verso Milton per il suo aspetto intellettuale, e di Milton verso Fulvia per la sua bellezza. Richiami a Proust, Schnitzler e Michael Arm di cui sono citate tre opere rispettive. Testo all’interno del quale compaiono molti riferimenti letterari: aspetto che ci inserisce subito all’interno del mondo romanzesco molto distante dalla letteratura memorialistica di primo 900. Bellezza: è il nucleo. Poe: Scrittore importante per i racconti fantastici dedicati a un mondo a cavallo tra elementi reali e fantastici, nel caso di Morella è la storia di un rapporto amoroso che finisce male (riferimento forse a Milton e Fulvia), ma nel momento della morte di Morella nasce una figlia verso cui il padre ha atteggiamento molto paterno, tanto che la figlia diventa uguale a Morella, che inizia come la madre a perseguitare il padre. Rientra in questa narrativa che Freud anticipa essere letteratura che anticipa l’inconscio: Freud scopre l’inconscio sulla base di una serie di testi in cui l’elemento propriamente allucinatorio già compare. 13/12/2022: Lettura dei primi due capitoli, che sono centrali. Serie di riferimenti letterari che rimandano ad alcuni romanzi e opere ottocentesche/tardottocentecshe attraverso cui Milton parla con Fulvia: Proust, Schnitzler, Harlen, Evelyn pop poesia di Brownie…: in alcuni di questi testi, e Tess sono testi in cui compare una ragazza di 16 anni, ovvero che ha la stessa età della protagonista quando incontra il partigiano Milton. C’è tentativo di dedicare sentimenti a questa ragazza. Lui è traduttore di questi testi, trasmette attraverso le parole di altri, e bravo traduttore è colui che non si fa sentire, ma che fa sentire solo la voce dell’autore originario. Parlano di questioni amorose legate al rapporto d’amore tra Milton e Fulvia: gioco di specchi dove la conversazione viene arricchita attraverso un intarsio letterario molto interessante perché sono storie che tornano attraverso le citazioni (che tradiscono la natura originaria del testo di partenza) ma sono legate alla questione di Milton e Fulvia, piegate, quindi alla vicenda. La dimensione dell’amore, per es. trascende le altre vicende. Amore di Milton per Fulvia, spera ancora di essere soddisfatto: ma è un amore perduto perché come sappiamo, non sarà ricongiunto. Il testo è pieno di spie allusive che parlano attraverso voce di oggi ma che rimanda alla questione privata o al rapporto che comunque lega Milton a Fulvia. Chiusura primo capitolo: Milton, a partire da quello che è il suo nome di battaglia, è molto abile nella traduzione inglese: si arriva auna sorta di dicotomia nei protagonisti: Giorgio è un ragazzo molto affascinante; invece, Milton è brutto ma con occhi notevoli. Non bisogna rappresentare una media astratta come crede il naturalismo. Milton è proteso verso un principio individuale nel testo, non rappresentando né la media astratta, né il tipo. Nel prototipo tipo di Lukacs di dovevano fondere sia elementi individuali che universali, così che il personaggio rappresenti entrambe le cose insieme. La resistenza dovrebbe offrire l’occasione per la caduta delle barriere di classe, oppure la fraternizzazione dei combattenti (elementi storici che dovrebbero rientrare nella tipologia d un testo sulla resistenza). Fenoglio invece no, crea un partigiano all’interno di una brigata dove non si assiste né alle cadute delle barriere né alla fraternizzazione: uno dei motivi per cui Giorgio è catturato è perché i comunisti della sua brigata avevano invidia di lui perché ricco. In una sorta di ascesi quasi individuale, c’è tentativo di massima rappresentazione di quello che era il movimento partigiano. Siamo all’interno di un realismo in contrapposizione ai dettami del realismo socialista: Milton è singolare, individuale ed eccezionale proprio per il movimento che crea all’interno del testo, movimento mosso dall’elemento femminile che è chiave e struttura dell’intero romanzo. “L’elemento femminile: Fulvia” SLIDE L’architettura elementare chiara e comprensibile, ma opacizzata dalla psicologia e dalle motivazioni psicologiche che spingono i diversi personaggi ad agire. L’opacità del motivo rende questa ricerca buia, oscura e difficile da penetrare. Attraverso questa architettura siamo molto lontani da un testo che possa essere detto realistico in senso tradizionale. Effetto di opacità che rende bene anche se il passaggio da questa prima fase testuale alla fase centrale è un passaggio diverso perché nel finale del capitolo 3, dopo che si è giunti all’interno del campo dei partigiani, Milton dice “la verità,…” -> il piano dei ricordi passa in secondo paino. Torneranno ricordi legati a Fulvia ma nella parte centrale prende piede il tempo presente, dove succede che Milton è in preda a una furia che rimanda sia all’Ariosto sia a Foscolo (“Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, la cui struttura attorno a vicenda amorosa e politica sembrano intrecciarsi, così come in “Una questione privata”). Tempo presente che va avanti per alcuni capitoli, fino al capitolo 9, dove la storia cambia e il tempo predominante è il futuro. “I tempi: le cose di prima chiedono udienza” SLIDE -> Il testo è tripartito: Lo sfondamento dell’etica partigiana produce il rischio di perdersi dal punto di vista morale e la terza parte va verso il tempo del futuro. In “Una questione privata” sono il futuro (si sente vicino il tempo della liberazione che dovrebbe coincidere con il momento di ricongiunzione tra Milton e Fulvia) e il passato a muovere il presente: sono le chiavi di un presente incomprensibile. Mentre il “partigiano Johnny” è tutto nella presenza dell’azione, Milton sembra non essere qui per i fascisti (come Johnny), ma sembra che il suo combattere sia dare un contributo alla fine della guerra, ma in senso egoistico per ritornare prima da Fulvia. Capitolo 4: Parte dedicata alla ricerca di Giorgio e irruzione della lotta, al contrario della parte iniziale e finale che fanno da traino della narrazione. A partire dal capitolo 4, Milton sta cercando Giorgio, e ha chiesto al referente di potersi allontanare a va verso Mango, paese in cui si trovava Giorgio. Le differenze di classe all’interno di “Una questione privata” si trovano e anzi sono accentuate, e si evince nell’arrivo di Milton lì: lui spiega che deve trovare Giorgio. Anche la costruzione del paesaggio è interessante: nebbia molto fitta che impedisce di vedere presente nel momento in cui Giorgio stava per essere catturato. Giorgio era individualista, non amava stare nel gruppo, non amava partecipare ai discorsi di quel gruppo, perché apparteneva a una classe sociale diversa. Paesaggio del tutto imprevedibile anche negli accidenti che può produrre e non solo per il fatto che impediva a Milton di vedere Giorgio, ma anche a causa delle possibili conseguenze che ne possono derivare (es. arresto di Giorgio). Milton mette in moto quest’inchiesta nei confronti di questi partigiani e torna ad interrogarli chiedendo loro se fosse successo qualcosa con Giorgio: è molto interessante ciò che dice Fenoglio della relazione tra Giorgio e Milton. Avevano una relazione fisica perché loro dormivano anche insieme: c’era una somiglianza nella quale però noi riconosciamo l’antagonismo. Il capitolo5 va nella direzione di quest’inchiesta e si capisce uno dei motivi per cui Giorgio si è distaccato dalla brigata. Non avevano visto fascisti e avevano deciso di tornare nella base partigiana, e prima di arrivarci si fermano a dormire in un casolare abbandonato dove Giorgio prima fa la guardia (Fenoglio sottolinea il fatto di essere dedito alla salvezza, capacità di fare la guardia molto bene. Capacità che era sfruttata dai compagni comunisti che però lo criticano perché fa la guardia solo per motivi individualisti). Viene messo in luce il carattere violento e irascibile di Giorgio: l’altra guardia doveva rimanere a fare la guardia ma non lo fa e resta dentro il casolare a fumare. Giorgio sia avventa sul compagno, gli stringe il collo e il compagno indica l’inutilità del fatto di andare a fare la guardia a causa della nebbia. Milton prende le parti di Giorgio, perché isolato, si era perso nella nebbia, fino a sparire (non arriva al punto di raccordo dove lo aspettava Milton e poco dopo si viene a sapere su supposizione di Milton e poi di conferma che Giorgio era stato preso). La nebbia diventa illusiva a un passato che porta via: impossibilità di guardare bene il mondo delle cose. Impossibilità legata allo sguardo offuscato dello stesso Milton, sguardo che la critica ha definito Sguardo strabico”, perché è nel presente sì, ma i due poli dello sguardo di Milton vanno uno verso il passato e uno verso il futuro. Capitolo 6: Giorgio è diventato un fantasma, inghiottito dalla nebbia: rimanda un po’ alle ambientazioni spettrali di Poe ad esempio. Lo scioglimento della nebbia coincide con la scoperta dell’arresto di Giorgio. Milton prende l’iniziativa e inizia a cercare un fascista per poter fare la sostituzione con Giorgio. 14/12/2022 A pagina trentatré c’è un chiaro esempio dell’uso dei puntini sospensivi. La critica ha speculato su una presunta omosessualità nei confronti di Giorgio da parte di Milton (ipotesi non credibile poiché gli elementi testuali vanno verso le vicende di Milton e Fulvia). I puntini sono stati già visti nei primi due capitoli che andavano a sostituire termini quali “amore, morte”. Tutta la questione privata è legata ad elementi terzi che ci rimandano al rapporto tra Milton e Fulvia: i regali sono uno strumento, ad esempio, con cui Milton comunica. I puntini non lasciano un vuoto ma l’elisione permette una elusione del significato, è una strategia fatta di accenni. Questo processo della scrittura fenogliana ha come finalità quella di rafforzare il messaggio che viene eliso: per parlare d’amore o morte è necessario parlarne attraverso l’elisione, il non detto. Come se la lingua talvolta fosse inadatta ad esprimere certi concetti, tanto’è che Milton, generalmente non parla molto, bensì agisce. Questo movimento della seconda parte potrebbe rafforzare l’ipotesi di un rapporto omosessuale tra Milton e Giorgio, poiché ogni volta, Milton cerca e ‘pedina’ quasi, Giorgio. Tra Giorgio e Milton c’è una relazione però di antagonismo che, anche se questo include, obiettivamente, anche una forma di ‘stima’ tra i due. Questa tecnica è però presente all’interno di tutte le opere fenogliane. Anche all’interno del PJ - di cui abbiamo tre redazioni -, per chiudere l’opera (Isella) vengono utilizzati i puntini di sospensione per comunicare la morte del protagonista. Una Questione Privata, è in realtà (diversamente da altre opere Fenogliane) un’opera finita, poiché Fenoglio allude alla morte di Milton. I capitoli dal IIIº al IXº, vedono Milton cercare un ostaggio. Nel sesto capitolo, la dimensione privata svanisce o si attenua e vediamo Milton parlare con i propri capi e cercare di capire se ci fosse qualcuno da scambiare. Milton va da Hombre (trovando soltanto sottoposti) che gli comunicarono l’impossibilità nello scambiare ostaggi poiché nemmeno le brigate comuniste ne avevano. Sì, Hombre era parte dei comunisti). Nell’ottavo capitolo, Milton decide di scendere verso Capelli (luogo in cui crede di trovare un ostaggio) e c’è un lungo incontro con una vecchia e qui la preospettiva sul futuro iniziano ad emergere in modo quasi ossessivo: “quando finirà la guerra?”. L’idea del ’44 (ripresa d’Alba) si credeva che la liberazione fosse imminente. Milton considera gli oggetti fisici più esemplificativi di altro. Inizia a prospettarsi la fine della guerra (sviluppata negli ultimi capitolati del libro da Fenoglio). La prevalenza della questione privata, secondo i critici, lascia prevalere gli interessi personali rispetto all’importanza della resistenza. Tutto è legato alla ricerca di Milton, di questo paradiso perduto. Per ovviare questo problema, Fenoglio decide di introdurre un dodicesimo capitolato che ora esamineremo. Per due volte c’è un ritorno alla previsione da parte di Milton sulla fine della seconda guerra mondiale (errato, poiché milton sostiene per la seconda volta che tutto terminerà a Maggio). ‘Piuttosto di perdonarne uno solo…’ l’allusione in questo modo ci lascia riflettere. Proprio perché c’era una squadra di fascisti nella zona, trova questa donna che gli indica (in un vigneto) che tutti i giorni un sergente fascista va a farle visita. Dopo essersi consultato con la donna, si apre il capitolo decimo con il sequestro del sergente. Partono entrambi alla volta dell’altra squadra partigiana per poi procedere ad Alba allo scambio: è interessante che milton qui dica che non gli farà nulla (al fascista), lo ravvisa soltanto di non cercare di scappare altrimenti l’avrebbe ucciso. Fenoglio e Calvino offrono delle soluzioni diverse proprio perché il pensiero e le soluzioni di questi due sono divergenti. Il sergente, anyway, non crede che Milton non gli avrebbe fatto nulla e quindi si tuffa in un dirupo. È come se la narrazione si stesse rallentando e frammentando in immagini diverse. La morte del sergente viene raffigurata come con le braccia che remigavano nel cielo bianco: la scena è costruita in contrappunto (data dall’idea del cielo) ma, l’idea della rarefazione è data dall’idea del volo (come se la dimensione della morte potesse essere descritta attraverso un lessico che rimanda a tutto ciò che si alza e si sospende sopra la terra, sopra il suolo). Nel capitolo undicesimo, c’è l’incontro con Fabio (un altro partigiano). Fabio non sapeva nulla di quello che era successo e rivela a Milton (o predice) che probabilmente Giorgio avrà un processo (poiché di rango elevato: studente universitario, benestante) a differenza dei partigiani comunisti che venivano giustiziati sul posto. Svanita l’occasione del sergente, Milton decide di cercare e tornare nella villa di Fulvia. Tutta la ricerca di Giorgio cade e viene lasciata da parte (cosa che poi gli costerà la vita). Milton inizia a riflettere su quelle che
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