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Letteratura italiana contemporanea (O-Z), Sbobinature di Letteratura Contemporanea

L'organizzazione del corso di Letteratura italiana contemporanea (O-Z) a cura del prof. Bruno Pischedda. Il corso è strutturato in tre parti e ha un totale di 9 cfu. informazioni sulle parti del corso, sui testi da preparare e sugli argomenti che verranno approfonditi. Inoltre, vengono presentati i due strumenti a disposizione degli studenti per esprimere un parere motivato sull'andamento del corso e sulla qualità degli insegnamenti.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 01/02/2024

Cleoriga
Cleoriga 🇮🇹

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Scarica Letteratura italiana contemporanea (O-Z) e più Sbobinature in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA (O-Z) a cura del prof. Bruno Pischedda INTRODUZIONE AL CORSO: Abbiamo due strumenti a disposizione per esprimere un parere motivato sull’andamento del corso e sulla qualità degli insegnamenti: 1. La commissione pariteticaha una presenza equivalente (sotto il punto di vista numerico) di docenti e studenti di questo corso di laurea (bisogna informarsi su quali studenti facciano parte di questa commissione) 2. Il questionario da compilare obbligatoriamente prima di dare l’esameè piuttosto nutrito di domande riguardanti il corso e il docente referente di questo COM’È ORGANIZZATO IL CORSO? Il titolo del corso è “Conoscere il sistema letterario”. Il corso è strutturato in 3 parti (o unità didattiche) ciascuna da 3 cfu e quindi la totalità del corso dà 9 cfu (crediti formativi). Queste tre parti sono così organizzate:  la prima ha carattere istituzionale: vengono fornite le indicazioni fondamentali di metodo critico per affrontare l’argomento del corso (guardare titolo). Per questa parte ci sono alcuni saggi di metodo e alcuni di tipo tecnico. Quelli di metodo sono 3 studi di Vittorio Spinazzola: “Le istituzioni della modernità” (da cui partiremo oggi), “Le coordinate del sistema letterario” e “La valorizzazione del testo”. I saggi di tipo tecnico-applicativo sono 2: uno dedicato alle tecniche narrative (studio di narratologia) che ci darà i primi rudimenti per affrontare un testo narrativo redatto da Chines e Varotti; il secondo avrà un carattere poetico e ci permetterà di valutare le fondamentali modificazioni che intervengono nel panorama della poesia italiana soprattutto nel novecento con un’accentuazione nel secondo novecento (redatto da Giovannetti). SONO TUTTI DA PREPARARE PER LO SCRITTO.  la seconda parte ha un significato storiografico: si tratta di mettere in luce almeno le linee fondamentali di sviluppo della civiltà letteraria nel novecento italiano. Per questa parte abbiamo da preparare obbligatoriamente un manualetto di Alberto Casadei che si intitola “Il novecento”. Questo, unitamente ai contenuti bibliografici della prima parte, sarà oggetto delle domande nel questionario per la prova scritta. Questa seconda parte verrà articolata, oltre ad avere come base il testo di Casadei, dal docente nel seguente modo: non potendo dare una rappresentazione dettagliata di tutte le questioni che tra otto e novecento si sviluppano in Italia, ci concentreremo su 5 argomenti che verranno approfonditi: 1. latitudine tardo ottocentesca (secondo ottocentesca)romanzo d’appendice (o romanzo popolare o, come dicono i francesi, feuilleton) che usciva a puntate sull’ultima pagina dei giornali quotidiani con uno spazio proprio. Il romanzo popolare è stato scelto perché questa stagione, che sembrerebbe così circoscritta e chiusa in sé stessa, ha lasciato in realtà tracce profonde nelle modalità narrative di noi abitanti del II millennio (si pensi a tutte le strategie delle serie televisive) 2. romanzo di consumo piccolo borghese (cronologicamente vicino al primo ma distinto)è un tipo di romanzo che si sviluppa a cavallo tra l’ultimo ottocento e i primi decenni del novecento e che si affranca dalle grossolanità del romanzo popolare ma rivolgendosi comunque ad un pubblico molto ampio connotato prevalentemente in senso piccolo borghese. Questo genere è stato scelto perché è qui che la civiltà del romanzo italiano si radica maggiormente presso i lettori ed è qui che, in pratica, nascono i primi best-sellers, venduti a 50/100.000 copiequesto fatto è stato sorprendente in quanto si sviluppa in un paese come l’Italia in cui il bacino d’utenza è stato sempre piuttosto ristretto in rapporto alle altre nazioni confinanti (Germania, Francia, Inghilterra). Degli esempi sono: il romanzo di Guido da Verona con "Mimì Bluette, fiore del mio giardino" del 1916 oppure il romanzo di Pitigrilli “Dolicocefala bionda” del 1936 oppure, in una circostanza ancora da chiarire, il romanzo di Liala, suo capostipite, “Signorsì” del 1931 (letto, stampato e pubblicato ancora oggi) 3. il fenomeno delle avanguardie (non solo italiano), definite avanguardie storiche: espressionismo, futurismo, dadaismo, surrealismo. Che cos’è stata questa prima grande stagione novecentesca delle avanguardie? Proveremo a guardare alcuni dei manifesti o alcuni di quelli maggiormente significativi di queste avanguardie. Questo discorso avrà uno sviluppo nel novecento inoltrato quando si incomincerà a parlare, un po' in tutta Europa, di nuove avanguardie. Questo fenomeno si è sviluppato in Italia tra la metà degli anni 50 e la fine degli anni 60 (inizio 70) nel nome di un raggruppamento particolarmente agguerrito che prese il nome di “Gruppo 63”. In questo gruppo partecipano: il giovane Umberto Eco come teorico; due poeti di prima grandezza come Edoardo Sanguineti e Elio Pagliarani; romanzieri come Alberto Arbasino e Nanni Balestrini. Questa esperienza durò un quindicennio e, durante questo periodo, i crearono bufere e critiche intorno ai loro testi perché erano particolarmente trasgressivi, innovativi e sperimentali 4. il neorealismofase letteraria piuttosto interessante (forse più famosa in campo cinematografico). Si colloca tra i primi anni 40 e comincia grosso modo negli anni 50. Oltre a Pavese e Vittorini sono centrali in questa esperienza neorealista Pratolini, Silone, il primo Calvino, i cronisti e diaristi della guerra e della Shoà come Primo Levi e Carlo Levi con il suo testo straordinario “Cristo si è fermato a Eboli”. Dopo questo periodo si arriva agli anni 60…e poi? 5. Tra la fine degli anni 70 e medio 80 si forma quel fenomeno che è stato etichettato come “Post- modernismo”. Per questo periodo leggeremo in lingua originale (non è mai stato tradotto in Italia) e con particolare attenzione un testo di un autore americano, tale Leslie Fiedler, intitolato “Cross the Border-Close the Gap”, cioè “Varca i confini-chiudi il divario”. Questo testo dà un’idea molto significativa di ciò che è stato il post-modernismo americano, ma che in qualche misura si riflette anche nel nostro modernismo. A CIASCUNO DI QUESTI ARGOMENTI VERRà ASSOCIATO UN TESTO. L’INSIEME DI QUESTI TESTI SI TROVA Già SU ARIEL.  la terza parte, intitolata “Svevo e il romanzo modernista”, è quella monografica: viene preso un argomento e si approfondisce il più possibile. L’argomento di questa parte è il romanzo di Italo Svevo che si intitola “La coscienza di Zeno”. Si approfondirà come funziona questo romanzo così cardinale nel panorama dei primi decenni novecenteschi italiani e lo si prenderà a esempio di ciò che verrà chiamato, soprattutto dagli studiosi anglosassoni, modernismo (modernism). Se si comprende cosa sia stato il modernism capiremo cosa sarà il post-modernism. Svevo come Virginia Wolf, Joyce, Proust e Mann sono i capisaldi del nuovo modo di intendere il romanzo. HA INSERITO LA CRITICA DI GUIDO GUGLIELMI CHE SI INTITOLA “LA VITA ORIGINALE DI ZENO” E ANCHE L’INTEGRAZIONE PER NON FREQUENTANTI DI GABRIELLA CòNTINI. NON CI SONO TUTTI I MATERIALI PERCHé DI ALCUNI C’è ANCORA IL DIRITTO D’AUTORE IN QUANTO LI STANNO RISTAMPANDO. Nei primi decenni del 900 inizia una filiera di teorici e studiosi della letteratura, che si dipartono in Russia, i cosiddetti “formalisti” (poi diventano gli “strutturalisti” del Circolo di Praga, poi diventeranno i “semiologi” dei decenni successivi) che pongono al centro dell’attenzione il testo. Questo testo deve essere indagato nella sua presunta oggettività perché custodisce quegli artifici che lo rendono specificamente letterario. Da qui nasce un termine che per alcuni decenni è stato fondamentale, ovverosia letterarietà. Dunque il lavoro che doveva compiere il critico e il lettore avvertito era quello di trarre da un testo letterario i suoi specifici caratteri di letterarietà, nella condizione che questa fosse un elemento immanente al testocioè l’elemento dell’oggettività fosse dentro il testo. Fu solo dalla metà del 900 circa che ci si sposta significativamente sul polo del lettore e ci si concentra sugli atti di decodifica che il lettore deve mettere in primo piano. Questo avviene grazie ad una pluralità di discipline che, pur in diverso modo, provano a misurarsi con l’attività di lettura e con la costituzione del testo letterario attraverso la prassi della lettura. Tra queste discipline troviamo: sociologia letteraria (centro è il lettore); scuole sofisticate dette della ricezione o risposta estetica (daranno luogo ad una vera e propria teoria “teoria della ricezione”). Tra gli autori troviamo: Jacques-Joseph Haus in Germania; Wolfgang Iser. Questa comunicazione letteraria, tornando al discorso precedente, secondo Spinazzola, ha una particolarità: è sì un circuito comunicativo quello che si ingenera tra il polo dell’autore e il polo del lettore attraverso il testo, però è una comunicazione espressivacon questo termine si intende un qualche cosa che mette in gioco l’interiorità sia dell’autore che del lettore. L’autore nello scrivere mette in campo risorse profonde che giacciono dentro di lui (capacità fantastiche, capacità di elaborare i lutti, capacità di trasformare momenti di quotidianità in divertimento o in suspense) oggettivandole nel testo. Questa comunicazione che si avvia ha un carattere interno espressivo anche per il lettore perché cerca di appropriarsi e saziare il proprio bisogno di evasione fantastica attribuendo a quel testo qualche cosa di profondo nella sua esperienza quotidiana. Questa comunicazione inoltre ha una finalità in sé e per sé, cioè si legge letteratura non perché voglio imparare o informarmi o per capire meglio la lingua (questi sono dei corollari) ma per avere un appagamento estetico-fantastico. Quindi la comunicazione espressiva c’è quando la soddisfazione si chiude nell’espressione stessa. La comunicazione mira, dunque, all’arricchimento e all’intensificazione vitale del soggetto che legge. Ma, affinché questo contatto si stabilisca, bisogna che questo autore riesca a trovare una strada per mettere in pubblico il suo lavoro. Questa strada la ottiene nelle società moderne borghese-medie organizzate attraverso l’industria editoriale (Spinazzola darà grande importanza a questo fenomeno). A questo punto se mettiamo in campo l’editore, che è colui che cerca di trasformare una scrittura privata in una scrittura pubblica e in un prodotto culturale commerciabile, che richiede investimenti e si aspetta anche dei ritorni economici, possiamo vedere un secondo triangolo significativo. Questo secondo triangolo è costituito dall’autore, l’editore che dà forma pubblica al suo lavoro e il denaro. Come fa l’editore a diventare tramite della pubblicazione di un testo? Questo avviene perché all’interno della casa editrice ci sono lettori specializzati, chiamati lettori interni. Questi devono svolgere un duplice e preciso lavoro: devono accertare che quel testo possieda delle caratteristiche esteticamente adeguate per essere interessante e, contemporaneamente, che possa soddisfare una fascia di pubblico adeguata. Quindi l’editore deve accertare la letterarietà di un testo e che il suddetto testo sia anche vendibile. Di conseguenza il calcolo culturale deve stare insieme al calcolo economicol’editore investe dei capitali e ne trae dei profitti. Dalle differenze di studio derivano diverse teorie della letteratura. LA LETTERATURA E IL MODO IN CUI VIVE E SI TRAMANDA ALL’INTERNO DELLO SPAZIO SOCIALE (della società) La letteratura si tramanda, in quanto fenomeno dotato di una rilevanza sociale, in modo durevole nel tempo divenendo un’istituzione (nocciolo della riflessione di Spinazzola). Quando intendiamo la letteratura un’istituzione ci riferiamo alla letteratura moderna borghese che va dal 700 ai giorni nostri. Per capire in seguito cosa intenda Spinazzola dobbiamo partire da una definizione tecnicamente sociologicacosa intendono i sociologi quando parlano di istituzione? Per rispondere dobbiamo prendere una definizione di un sociologo Luciano Gallini, che nel suo manualone di sociologia (“Dizionario di sociologia”) di poche righe, cerca di dare un’idea di cosa sia un’istituzione: “Che cos’è un’istituzione? È un complesso di valori, norme, consuetudini che con varia efficacia definiscono e regolano durevolmente i rapporti sociali e i comportamenti reciproci di un determinato gruppo di soggetti, la cui abilità è volta a conseguire un fine (uno scopo) socialmente rilevante”. Ci sono tre questioni particolarmente rilevanti in questa definizione: 1. la catena, quasi sinonimica, valori, norme e consuetudiniquesta catena di termini ci segnala che la letteratura si svolge essenzialmente attraverso giudizi di merito. Queste attitudini devono essere condivise da tutti i soggetti che partecipano alla comunicazione 2. gli elementi del punto 1 regolano l’istituzione durevolmenteal di là dei singoli destini o delle singole generazioni devono regolare questo circuito comunicativopiù chiaramente: un’istituzione non è eterna perché in un momento imprecisato può decadere, ma è istituzione nel momento in cui supera la dimensione individuale e generazionale. Questa deve oltrepassare le vicende di tutti coloro che collaborano a farla vivere. 3. lo scopo di un’istituzionequesto scopo che si mantiene e si tramanda deve essere socialmente rilevante, cioè non deve essere un gioco di gruppo ma deve avere un’incidenza nello spazio sociale più ampio. Abbiamo un’istituzione solo se lo scambio comunicativo avviene con un riflesso socialmente rilevante. Quindi norme, valori, consuetudini, durevolezza nel tempo e rilevanza sociale sono il nocciolo dell’istituzione letteraria. Tuttavia se si guarda al novecento ci sono stati dei periodi fortemente anti-tradizionali, come le avanguardie vecchie e nuove, che aggrediscono la letteratura in quanto istituzione perché vogliono abbattere la tradizione e iniziare una nuova ricerca innovativa. A Spinazzola sembra che, anche nei momenti di avanguardismo più sfrenato, l’istituzione letteraria non è mai venuta meno ma si è stratificata nella modernità novecentesca. Per questo motivo si vedranno: fasce di contestazione sperimentale che producono, magari, testi rilevanti ma molto più aggressivi; fasce intermedie; fasce più tradizionaliste, che catturano l’interesse. Con tali pratiche e attitudini, che si andavano svolgendo dentro il circuito della comunicazione letteraria, avremo a che fare. Spinazzola per tradurre in concretezza storica l’idea di istituzione socialmente rilevante parla di sistema letterario della modernità borghese. altro, l’istituzione letteraria quindi si restringerebbe e perderebbe peso nella sua incidenza sociale. Domanda studente: Potrebbe rispiegare la questione inerente alla di differenza potenziale? Questo è un discorso antropologico, ci sono persone che hanno più capacità creative e sono in grado di oggettivarle in un libro, nella specie uomo la capacità di fantasticare è distribuita ma in misura ineguale. 3-Questo scambio che si oggettiva nel libro, anche se coinvolge prodotti di diversa natura, riguarda in essenza esperienze mentali altamente qualificate. I pubblici nel sistema letterario sono diversi, ma qualunque sia il loro grado di competenza e lettura quando leggono un libro attivano delle esperienze mentali altamente qualificate: bisogna essere alfabeti, decodificare i segni e creare immagini, ed altre esperienze mentali complesse, questo vale per qualsiasi libro. Per entrare in questo circuito comunicativo occorrono delle norme, delle consuetudini, delle questioni tecniche condivise, ad esempio bisogna essere d’accordo su che cos’è un romanzo, su che cos’è un intreccio, cos’è un sonetto, un endecasillabo, un verso libero. Vediamo appunto categorie tecniche (endecasillabo), queste norme e attitudini devono essere condivise dal polo del lettore e dal polo dell’autore, il circuito si attiva tanto più queste norme sono condivise, possono essere parzialmente o ampiamente condivise. Il problema per Spinazzola è capire da dove arrivano queste norme-categorie tecniche più o meno rispettate o trasgredite, ognuno ne fa l’uso che vuole. Secondo Spinazzola derivano da modelli precedenti, cioè da singolarità testuali che più positivamente in passato sono riuscite a estendere e soddisfare i bisogni estetici-fantastici di una comunità di lettori. Tanto più questo modello ha ottenuto risultati significativi, tanto più si riproduce nel tempo implicando il criterio della durata temporale, cioè tende a diventare oggetto di emulazioni anche al di là del pubblico originario per cui era stato pensato. Questo è il criterio della durata e dunque il testo diventa autorevole, cioè classico, fino a innescare una cristallizzazione di prestigio, diventa un polo a cui riferirsi fino a costituire una tradizione che ogni atto di scrittura dovrà tenere conto, emulandola o trasgredendola, ma dovrà confrontarsi con questa tradizione. Da un lato c’è chi applicherà un adeguamento amorfo e totale rispetto alla lezione del passato quindi duplicherà stancamente motivi che si sono già affermati, e dall’altra parte troveremo il rifiuto pregiudiziale per quello che la tradizione ci lascia. Da un alto ci sarà la ripetizione fedele del già scritto che dovrebbe suscitare scarso interesse, ma essere troppo originale significa non trovare probabilmente un pubblico che ti comprenda. Quali sono le condizioni in cui vi è la cristallizzazione di prestigio, come nasce un classico? È necessario un successo di pubblico, tanti lettori che si interessano e che i critici intervengano dando appoggio, inoltre questo testo, una volta affermato, si deve radicare nelle istituzioni formative, cioè la scuola e l’università, con l’insieme di questi elementi si forma un classico. In tutto questo ci sono individui fortemente tradizionalisti, altri invece si confrontano con la tradizione ma producono risultati creativi, ci sono tantissime possibilità. Il polo dell’innovazione riguarda un ristretto nucleo di lettori competenti, che possano comprendere in che cosa è innovativo quel testo rispetto ai precedenti, mentre il polo della ripetizione ha davanti a sé platee molto più vaste di lettori comuni che amano ritrovare qualcosa che già conoscono. Domanda studente: perché un testo è autorevole? Perché dura nell’esperienza dei lettori, perché non esaurisce la sua vita letteraria nell’ambito in cui è stato composto. 4-I nuovi testi che emulano un capostipite precedente, proprio in ragione del fatto che lo emulano, ricevono una sanzione di letterarietà. Joyce all’inizio del Novecento scrive L’Ulisse, un’allegoria dell’Odissea, quindi la durata e l’efficacia dei modelli può superare secoli e civiltà, ma proprio nell’elemento dell’emulazione ricevo una sanzione di letterarietà. Spinazzola afferma che il sistema letterario non è costituito di una montagna di singoli testi, non è un sistema puntiforme anche perché se così fosse non riusciremmo mai a dominarlo sensatamente. È necessaria una categoria di mediazione che mi consenta di muovermi nel sistema letterario con una bussola, questa categoria di mediazione è il genere letterario. Il genere letterario sta tra il singolo testo e la totalità dei testi, cerca proprio di mediare queste entità. Esempi di genere letterario sono la tragedia, la commedia, l’epica, la lirica, il romanzo, la novella, queste sono le prime grandi categorie che possiamo chiamare in causa. I generi sono famiglie relativamente omogenee di testi che garantiscono un fattore di continuità nel sistema, l’Odissea di Omero e l’Ulisse di Joyce non sono apparentemente simili, ma in realtà uno è l’allegorizzazione dell’altro, infatti si intitola “Ulisse” e ci invita a leggerlo come un’odissea della contemporaneità. Il genere è una categoria che consente una continuità riconoscibile del sistema, certi generi nascono, si sviluppano e muoiono, la tragedia ha all’incirca tre mila anni di vita, più lunga ancora è la vicenda dell’epica che deriva dai sumeri, il genere epico risale alle origini della civiltà, ora sia la tragedia che l’epica non sono più praticati, si dissolvono intorno al Settecento, all’alba delle civiltà borghesi, quindi tramontano con l’affermarsi della letterarietà moderna e del suo genere più vigoroso: il romanzo. Il genere dà una stabilità interna al sistema ma con le sue crisi e rinascite ne garantisce il dinamismo. Spinazzola sostiene che quando nasce un genere nuovo noi possiamo avere la certezza che sta cambiando qualcosa di fondamentale nella dimensione della società, perché questo mutamento della società si riflette immediatamente nell’idea di letteratura. Michail Bachtin, autore di “Epos e romanzo”, indaga la condizione per cui tramonta l’epica e nasce il romanzo che prende dall’epica le forze maggiori. Il nuovo genere si appropria di caratteristiche tipiche dei generi precedenti ed egemonizza i generi del passato per trarne forza e affermazione, il nuovo genere tende a fissare una nuova egemonia tanto sulla scrittura tanto sulla lettura (la tragedia la voglio sentire in condivisione e recitata, il romanzo lo voglio leggere individualmente). Quando il nuovo genere è sufficientemente robusto e affermato tende a differenziarsi all’interno dando luogo ai sottogeneri che appartengono a una grande famiglia, come quella del romanzo, ma che si differenziano al loro interno per le loro caratteristiche e specificazioni. Così si riavvia il ciclo delle conferme, è quello che è capitato al genere romanzo moderno che ha avuto i suoi primi vagiti tra Cinque e Seicento (Don Chisciotte può essere considerato il primo tentativo), ma trova affermazione a partire dal Settecento. Si afferma all’alba del sistema letterario moderno, cioè posteriore all’ancien regime, alla rivoluzione francese che smantella la società aristocratica-gentilizia. Il romanzo si specializza in diversi sottogeneri: fra i primi il romanzo epistolare (Le ultime lettere di Jacopo Ortis), il romanzo storico (Manzoni), il romanzo di formazione, il romanzo di avventura (importante per i giovani lettori, come il Robinson Crusoe o Moby Dick), il genere romanzesco della modernità trae succo dal genere epico. Entrando nel Novecento troviamo sotto tipi definiti impropriamente “romanzi di genere”, cioè generi più strettamente codificati: il romanzo giallo-poliziesco, il romanzo rosa, il romanzo di fantascienza o fantasy, sono generi fortemente codificati che dai lettori colti vengono impropriamente definiti romanzi di generi, anche gli altri sono romanzi di generi ma questi sono più specifici, ad esempio per un giallo è necessario un cadavere e un detective. L’idea di Spinazzola è che questi sotto generi del romanzo lavorano spesso, cioè nascono e si irrobustiscono, per coppie oppositive, per esempio il romanzo rosa di fianco al romanzo porno, la vita dei sentimenti di fianco all’eros, oppure il romanzo psicologico (lento) e dall’altra parte il romanzo di avventura, oppure il romanzo di costume in opposizione al romanzo storico in cui gli elementi di costume vengono proiettati in un passato più o meno lontano. L’idea è che questi sotto generi nascano secondo coppie oppositive e alcuni di questi riprendono parti della tradizione rinnovandola, per esempio il romanzo storico Guerra e Pace scritto su vicende del primo Ottocento ha a che fare certamente con la tradizione epica (storia di un popolo, di guerre e grandi amori), ma i veri protagonisti di Guerra e Pace, nonostante siano per lo più principi, non sono gli eroi dell’epica perché non sono carichi di un destino sovrastante, sono eroi con le loro storie, non con i loro destini. D’altra parte l’epos classico prevedeva una ricezione orale e più avanti una lettura a voce alta ritualizzata, il romanzo della modernità borghese ha conferito un tratto molto più individuale con una lettura prima sussurrata e poi mentalizzata che prevede una sorta di separatezza. Con l’avvento del romanzo abbiamo un’innovata tradizione: il romanzo porta differenze nel sistema ma avviene egemonizzando e rivitalizzando ciò che prima c’era, siamo in una rinnovata tradizione. 5-Parliamo di una dimensione storica: Spinazzola attraversa ciò che il sistema letterario passa negli ultimi due secoli. Sono due le fasi fondamentali nella modernità letteraria che segnano la letteratura in quanto istituzione: la prima è il periodo romantico, cioè fine Settecento e albori Ottocento che Spinazzola immagina come fase espansiva dell’istituzione perché è il periodo in cui intervengono nuovi ceti sociali nell’istituzione letteraria, cioè la borghesia e il proletariato urbano, ceti che venivano introdotti per la prima volta nel circuito letterario. La seconda fase è la grande stagione del decadentismo, sarebbe meglio assecondare l’uso anglosassone che di fronte alla crisi letteraria fine ottocentesca e inizio novecentesca chiama “modernismo” includendo il simbolismo di Baudelaire e Mallarmé fino ai cosiddetti modernisti veri propri degli anni ’10 e ’20 del Novecento, come Montale, che rinnovano la lirica e rinnovano le istituzioni romanzesche entrando poi con il modernismo di Svevo, Woolf e Proust che rinnovano il romanzo. Spinazzola chiama “la fine di fine secolo” il simbolismo, il decadentismo, il modernismo e coinvolge anche il fenomeno delle avanguardie. Giovanni Berchet nel 1917 scrive “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo”, in questo testo, manifesto del romanticismo, Berchet imposta una tripartizione: suddivide il pubblico in tre categorie, a livello alto ci sono i parigini, nel medio c’è il popolo borghese e in basso ci stanno le masse contadine. Porsi il problema del pubblico era una questione introdotta in modo significativo solo dai romantici perché prima leggevano solo i nobili e gli uomini di chiesa che erano precettori. I romantici pongono una domanda sottintesa: quale sarà il pubblico privilegiato per la nuova letteratura presentata dal romanticismo europeo? I parigini sono troppo sofisticati, secondo Berchet, le masse contadine, che lui chiama gli ottentotti (il popolo dell’Africa), li esclude perché sono masse di analfabeti, rimane il popolo borghese che Berchet concepisce in modo ampio, era il popolo non nobile della città, alfabetizzato e in grado di apprezzare la nuova letteratura romantica. Sia il periodo della rottura romantica, sia la rottura di fine secolo e il modernismo sono caratterizzati nel senso della novità, della frattura rispetto agli assetti precedenti, però nella rottura romantica Spinazzola parla di neotradizionalismo, cioè è convinto che nel fenomeno romantico si prendano le distanze dalla letteratura classicista dell’ancien regime ma con lo scopo di non creare fratture, ma ponti, per questo il romanticismo è un fenomeno neotradizionalista, non cancella una tradizione ma ne vuole creare un’altra. Completamente diverse sono le avanguardie, La Prima fase di Spinazzola: Il Romanticismo L’esperienza del Romanticismo, definita da Spinazzola come “Neotradizionalismo”, come già anticipato, comporta una drastica rottura con il canone classicista. Il canone classicista è in vigore presso tutte le società aristocratiche, e per questo funziona in un certo termine. Questo canone a livello retorico si strutturava su una gerarchizzazione degli stili: - Stile Elevato (o sublime): è uno stile molto ampio, ed era idoneo ad indole tragica e poetica, in cui il protagonista era solitamente l’eroe, il nobile o il principe. - Stile Medio: Erano gli ambiti dei personaggi comuni appartenenti al volgo, che prevedevano una conclusione non tragica. Appartengono a questo stile la trattatista in prosa o la commedia. I personaggi erano più bassi, e la conclusione non porta ad esiti tragici (diversamente dallo stile elevato). - Stile Basso: Ci sono rappresentazioni pastorali o sentimentali (definito per questo motivo “stile elegiaco” o “flebile”). Appartiene a questo stile la produzione comico realistica, dove ci sono rappresentazioni di una realtà disincantata e laicizzata. Un esempio cardine di stile basso lo si vede nella poetica comico- realistica di Cecco Angiolieri, che nel suo sonetto “tre cose solamente m’enno in grado”, affermava di gradire soltanto la donna (il sesso), la taverna (il vino) e ‘l dado (il gioco d’azzardo). Questo canone, che è definito “La Ruota Degli Stili”, stabiliva una stretta congruenza fra queste cose: - Genere - Tipo di Personaggi - Stili e atti rappresentati - Pubblico Questa configurazione assegnava naturalmente al vertice della gerarchia le rappresentazioni Tragiche ed Epiche, e subito dopo i Generi in prosa e Versi. Il pubblico Questa omologia e congruenza coincideva con i pubblici di riferimento. Il pubblico elettivo di riferimento della tragedia ed dell’epica erano le persone di rango, mentre il popolo comune veniva meglio rappresentato nella commedia o nella lirica sentimentale. È quindi un sistema abbastanza integrato, con una congruenza fra generi, stili, personaggi e pubblico di riferimento. Il Cristianesimo A minare le basi di questo assetto aristocratico e gentilizio, era intervenuto da molti secoli il Cristianesim. Negli ultimi secoli della classicità aveva assunto una forza dirompente: se pensiamo al testo “fede cristiana, ovvero il vangelo”, questa stretta congruenza salta drasticamente. In campo ci sono le sorti ultime dell’individuo e dell’ecumene umana nel suo insieme (la salvezza o il peccato e la dannazione), e il tutto ciò viene espresso in un linguaggio molto semplice, ovvero il Servo Humilis, o anche Servo Pescatoris (parlare dei pescatori). Giù qui c’era stata una sovversione drastica: questo vangelo recava come qualche contenuto qualcosa di importante: “La buona novella” con uno stile elementare (niente di più opposto al canone classicista). Le lingue romanze e il rimescolamento del pubblico La gerarchia prestabilita crolla, e si rimescola universalmente il pubblico del destinatario: non c’è più un destinatario che si distingue in alto e basso, ma si rivolge universalmente a tutti (nel caso del testo evangelico infatti, è per tutti). Su questa linea si sviluppano secolarmente le lingue romanze, ovvero in Francia la lingua d’Oc e d’Oil, in Spagna la lingua ispanica, la lingua del Si in Italia (definita anche “volgare”). Per i nostri filologi sono queste le lingue da studiare, mentre per i filologi del nord sono ben altre. Un filologo romanzo tedesco si occupano anche della lingua tedesca, inglese ecc. Ha quindi una platea di materie molto più ampie, perché vedono qualcosa di più grande rispetto a quelli italiani che vedono soltanto tre gerarchie. È su questa linea che si sviluppano quindi secolarmente le lingue romanze, che danno luogo a delle tradizioni nazionali (come la tradizione francese (oc e oli), la tradizione italiana, e quella spagnola). Il romanzo Nel passaggio fra l’epoca aristocratica-feudale, e la nuova epoca di tipo borghese, si manifesta quel grande cambiamento che secondo Spinazzola denota il passaggio fondamentale di civiltà, in modo già eccessivo che è costituito dalla nascita del genere del Romanzo moderno. Questo nuovo genere ha delle caratteristiche ben definite e precise. Ad occuparsene ampiamente è stato lo studioso russo Michail Bachtin nel testo “Epos e Romanzo”, in cui inserisce il suo pensiero. Il Romanzo ha caratteristiche mobili, e inoltre, come specifica Bachtin, ha caratteristiche “plastiche” (mobili e modificabili). Il romanzo inoltre ha come argomento di fondo il rapporto fra: - Io singolo: che è il protagonista - Il mondo che lo circonda L’argomento privilegiato è quindi il rapporto fra l’individuo ed ambiente, intendendo l’ambiente sia dal punto di vista sociale, che culturale. Questo genere non ha esiti obbligati, perché l’io (il protagonista) può risultare al termine della parabola in diversi modi: vincente o sconfitto, vittorioso o morto, felice o infelice. Può affermare se stesso come persona, oppure può essere schiacciato dall’ambiente che lo sovrasta. Da questi due estremi (finale vittorioso o finale sconfitto) ci sono poi tutte le mediazioni possibili all’interno: l’io che invecchia piacevolmente, l’io perplesso (come Zeno Cosini). In questo modo il romanzo è una forma massimamente aperta. Rifugge da una metafisica che è fondata sul sangue e sulla casta (Storie racconta il romanzo, e non destini (secondo un’asseologia di tipo aristocratico fondato sul sangue, e fondato sul ruolo distinto. Racconta storie, ed ha un sé un elemento laico, anche quando i suoi temi sono religiosi). L’egemonia del Romanzo Fin qui la rottura è drastica, ma per quale motivo Spinazzola utilizza il termine “Neotradizionale”? A questa mobilità di strutture (che è anche una mobilità di intreccio), corrisponde un secondo momento decisivo, ovvero la rottura della omogeneità stilistica, cioè il rapido traslocare degli assetti retorici che erano tipici della fase precedente (la così detta “Ruota degli stili”). In un romanzo si può utilizzare un registro alto e squisito, e trovare dei personaggi che si esprimono in forma media o bassa. Possiamo quindi trovare squisitezze lessicali, ma anche volgarità, il tutto nello stesso romanzo). L’autore mescola quindi diversi stili, Esempio: “Promessi Sposi”: Federico Borromeo parla come un intellettuale, e Renzo e Don Abbondio dialogano in un altro registro, ovvero quello basso. Il romanzo contempera tutte queste varietà stilistiche, prendendo in considerazione liberamente anche i generi precedenti, secondo una mera di tipo egemonico. Non c’è quindi una convivenza quieta con gli altri generi, ma è un rapporto pieno di tensioni, che condurrà ad una egemonia del romanzo sugli altri generi Il romanzo: la posizione di Bachtin, Aurechac e Spinazzola - Lo studioso Russo Michail Bachtin afferma che il ruolo del romanzo è quello di “romanzizzare” (романизировать - romanizirovat), cioè tende a rendere romanzeschi gli altri generi che gli stanno attorno. Questo capiterà all’epica, alla tragedia. Questi due generi verranno assorbiti ed estinti. Accadrà lo stesso anche alla produzione in versi (Giovannetti con il suo testo: si parla di oralità narrativa). - A riflettere maggiormente su questo aspetto è il filologo romanzo tedesco Erich Auerbach, nel suo testo fondamentale “Mimesis” (testo del 1946). Lo studioso conia un’espressione: 
 “Il romanzo è il genere in cui più nitidamente avviene la mescolanza degli stili. Il romanzo è un’ibridazione continua dei registri e dei codici. Il romanzo è sede di una complessa ed imprevedibile ed impredittibile strategia. Ogni autore nel romanzo elabora strategie espressive mescolando questi registri a suo piacere”. A tal proposito, l’autore può decidere addirittura di utilizzare tutti i registri, o basare tutto il romanzo su un registro basso, o meglio ancora produrlo tutto in un registro alto (come sempre ci sono due estremi, ma dentro ci sono tutte le opportunità di concordanza). - Spinazzola introduce però una riflessione ulteriore, che ci permette di arrivare al dunque del Neotradizionalismo. Spinazzola osserva che certamente c’è un mescolamento, ma che esso non è caotico ed anarchico. Nelle sue fasi nascenti, il romanzo dal 1700 inglese al realismo, mescola gli stili secondo un criterio di congruenza, e anche secondo un criterio di mediazione. Nello lo stile romanzesco dei primi secoli della modernità non depone mai un criterio di buon senso e redazione. È uno stile che più che mescolare e confondere i piani stilistici, li connette in vista di una rappresentazione totale della realtà. Da questo punto di vista Bachtin dice che il romanzo è un genere polifonico: ci sono tantissime voci che dentro il genere del romanzo si avvertono. La polifonia è uno dei temi cardinali di Bachtin. Ogni romanzo ha più voci, che però per Spinazzola sono raccordati in modo da rendere tutto comprensibile della realtà sociale. Il romanzo, in quanto Diegesis (racconto) e non Mimesis (resa teatrale), prevede una istanza fondamentale che è quella del narratore. La voce narrante si farà carico di connettere questa mescolanza stilistica, così da approdare ad una rappresentazione ampia della realtà sociale. La rottura con la tradizione In questo modo il Romanticismo, si pone come il periodo massimo di ascesa del romanzo. Anche oggi il romanzo è la chiave di volta, ma il suo periodo di massimo peso è fra il 1700 e la metà del 1800. Non c’era televisione, e per nutrire il proprio bisogno di fantasia il lettore ricorreva al romanzo. In questo desiderio, che Spinazzola sottolinea essere di mediazione, stava il desiderio di rompere con la tradizione precedente, per utilizzare il tutto ai fini di una nuova tradizione. Non era di rottura immediata, ma c’era una mediazione. Si vuole rompere con i criteri aristocratici per imporre nuovi modelli e nuove procedure espressive, e per determinare una nuova tradizione. Questa nuova tradizione ha il grande merito di ampliare il bacino d’utenza dell’istituzione letteraria. Il romanzo e la tragedia Questione: Il romanzo è più semplice di una tragedia? Se leggessimo una tragedia del 1600/1700 si hanno delle difficoltà nel codificare termini linguistici (troviamo augello invece di uccello). Una volta che però imparati i vocaboli che sono diversi dai nostri, la tragedia a livello di lettura è molto semplice, e non è così complitcata. Il romanzo invece si presenta in più stili (no è un genere monodico, ma seguendo la teoria di Bachtin è appunto un genere polifonico). I casi rappresentati all’interno del romanzo sono normalmente più ricchi e complessi, rispetto a quelli rappresentati in una tragedia. La domanda annessa quindi è una: perché vince il romanzo nonostante sia più complesso? Questo perché ha delle variabili, e il lettore non elitario se ne sente attratto, perché ha una rappresentazione più vicina delle sue rappresentazioni quotidiane. Il lettore si sente quindi più vicino al romanzo, anche in termini di organizzazione interna, è un genere più ricco e complesso. Nuove esigenze Si stabilisce così la tradizione della modernità come insieme di norme che valgono come strumento per ampliare il pubblico di riferimento. Questo ampliamento avviene su due terreni concomitanti: - I nuovi gruppi sociali che sono disponibili ad entrare come parte integrante della nuova istituzione letteraria (c’è una centralità nuova e più ampia). Esempio: Se io leggessi un sonetto di Stephane Mallarmè e non lo comprendo, non comprendo a chi si stia rivolgendo. Chi è il suo pubblico. Lui sta lavorando in assenza del pubblico. Gli arcicolti sono i letterati, i lettori e i critici, e tutti coloro che dovrebbero guardare le soglie di ciò che è vera letteratura, e ciò che non lo è. Cambiano i modelli e si avvia un antimodellistica programmatica, e di conseguenza cambia l’uditorio, che era stato popolare, ed ora torna a farsi qualificato e stratificato, anche dal punto di vista sociologico. Dice Spinazzola: “La linea espansiva della modernità sembra arrestarsi”: è proprio mentre stanno crescendo i livelli di alfabetizzazione, che consentirebbero a masse di cittadini di tratte il debito frutto di questa espansione letteraria. Mentre il pubblico di riferimento si ingrossa, lì interviene la crisi di fine secolo, che rimette in discussione tutto. La caduta dell’Antitradizionalismo Anche l’Antitradizionalismo assoluto ha la sua parabola. Sorge sul finire dell’ottocento, e avrà dei movimenti successivi, come le Avanguardie e le Neoavanguardie. Il 1900 è attraversato da questa tendenza antitradizionale, ma con l’avvento delle Neovanguardie (attorno agli anni 60 e primi anni del 70), la voga antitradizionalista sembra venir meno con il fenomeno del postmodernismo. Qui si posizionano autori che sono in discussa levatura, come Italo Calvino, Luis Borges, Gabriel Garcia Marquez, e anche alcuni che erano porta bandiera dell’antitradizionalismo assoluto, come Umberto Eco (che però scrive “il Nome della Rosa”, manifesto italiano del post modernismo. Tutti costoro tornano a rivolgersi ai modelli narrativi consegnati alla tradizione, innovandoli e portando elementi di novità indiscussa. I modelli precedenti sono il romanzo storico, il romanzo fantastico e sociale. Qui quindi troviamo “Cent’anni di solitudine”, Calvino, ed Umberto Eco che crea un romanzo storico in cui ci sono dei morti, e bisogna capire chi sia stato. Il protagonista è Guglielmo, con un rimando a Sherlock Holmes. I generi quindi vengono ricombinati e riproposti. La Tradizionalità Immanente Caduta l’aspirazione di un antitradizionalismo assoluto, ed esaurita la spinta iperletteraria che abbiamo descritto, rimane quella che Spinazzola chiama la “tradizionalità immanente”, ovvero l’elemento che da continuità all’istituzione letteraria. Uno dei punti fondamentali per vedere se istituzione letteraria esiste, è la durevolezza nel tempo. Se questa durevolezza nel tempo, nel procedere di tutte le innovazioni e di tutte le sovversioni continua ad esistere, allora si può definire "Tradizionalità immanente”, che consente all’istituzione letteraria di sopravvivere. Perché gli avanguardisti non hanno funzionato? C’è stato un grande travaglio nell’istituzione letteraria: gli avanguardisti hanno lasciato un segno, ma ci si domanda per quale motivo abbiano perso colpi. Spinazzola dice che l’istituzione letteraria non è mai stata a rischio di estinzione. Di fronte a queste spinte avanguardiste, si è solo stratificata al suo interno, lasciando spazio ad un margine di neotradizionalismo. In qualche misura è come se questo impulso ha lavorato solo per una parte singola, perché l’istituzionalizzazione si è stratificata. Alla fine è riuscita a riassorbire anche le punte più polemiche ed antitradizionali. Se si considera questo risultato positivo è errato, e per capire meglio la situazione, bisogna passare al secondo saggio di Spinazzola. Lezione 21/02 Come dicevamo nella scorsa lezione Spinazzola, nel delineare le coordinate di questo sistema letterario ha un intento totale: i lettori meno colti non cercano né più né meno appagamento fantastico rispetto ai lettori arci-colti quindi bisogna studiare tutto il pubblico nella sua interezza. L’asse verticale fa riferimento alla difficoltà maggiore o minore delle opere letterarie prese in esame; ciò di conseguenza vuol dire anche fasce di pubblico più o meno estese: in generale tanto più un’opera è complessa, sperimentale, innovativa tanto più ristretto sarà il suo pubblico. Sull’asse orizzontale troviamo sempre le opere letterarie ma stavolta in misura della loro maggiore o minore rispondenza a un canone: ossia quanto sono libere o irrigidite in senso compositivo. Guardiamo l’asse verticale. Lui dispone 4 sottoinsiemi, quattro livelli. PRIMO LIVELLO Partendo dall’alto abbiamo quella che Spinazzola chiama letteratura sperimentale. È la fascia in cui ci sono i testi più elaborati dal punto di vista linguistico e tecnico. Sono i testi che rispondono ai gusti di lettura più sofisticati, che si sono già affinati sulla base di letture plurime e consapevoli. Quelle di questo livello sono opere altamente anti-tradizionaliste. Qui abbiamo le opere che provano a reagire anche polemicamente a due procedimenti tipici della letterarietà moderna: il primo è il tramonto di un uso aristocratico-gentilizio classicheggiante e del suo canone e poi l’avvento di nuove fasce di lettori sempre più ampie (essenzialmente la borghesia nella connotazione spinazzoliana del termine) che non hanno in comune quello stesso grado di cultura, esperienza estetica, di esperienze di letture pregresse con questi ceti colti. Quindi sono sostanzialmente le opere dell’anti-tradizionalismo, anche detto oltranzismo, basato su rifiuti dei contrassegni della letterarietà (della tradizione) che la modernità ha portato fino a noi. Troviamo qui poeti come Zanzotto, molto difficile da leggere, Sanguinetti, appartenente al gruppo 63, Giorgio Manganelli, prosatore, Gadda, che non si è mai considerato avanguardia ma ha sempre proposto testi di forte aggressione anti-tradizionale. Essi, come detto, si pongono come avversari di un sistema tipicamente borghese, del fatto che l ‘opera letteraria possa avere larga diffusione e quindi larga retribuzione. Qui assistiamo alla problematizzazione ininterrotta dei criteri espressivi, condotta in uno spirito di originalità assoluta ai limiti del solipsismo (ossia il fatto che uno parla ma nessuno lo può comprendere se non lui medesimo, quindi autotelia espressiva). Quindi le avanguardie, come abbiamo visto, preselezionano un pubblico ristretto. (Comunque oltre a ciò che dice Spinazzola noi aggiungiamo che le avanguardie comunque hanno sempre una doppia faccia: se da una parte c’è l’elemento dell’elitarismo perché sono in pochi quelli che possono seguirli su quella strada dall’altra cercano anche di dilatare l’area di ciò che può essere rappresentato letterariamente e così facendo, si aprono meglio a fasce di lettori non necessariamente colti o borghesi. Per esempio Gramsci, negli anni 1910-1915 notava che c’erano tanti operai interessati al futurismo, estrema avanguardia: quindi c’è un fondo di indole democratica anche nelle avanguardie, più o meno marcato). SECONDO LIVELLO Rientra in esso quella che lui chiama letteratura istituzionale. Per essa possiamo citare Moravia, Sciascia, Calvino, il primo Pasolini (l’ultimo è più da avanguardia)…Tutti loro sono caratterizzati da una individualità estetica molto evidente, quindi sono difficilmente confondibili con altri, si capisce subito che sono loro per lo stile, per il modo con cui trattano gli argomenti. In questo ambito troviamo autori che sono sì molto marcati individualmente ma che a differenza di quelli del primo livello (letteratura sperimentale) non rompono con la tradizione letteraria pregressa (con la tradizione) ma piuttosto si collocano su un piano di continuità evolutiva, segnano un elemento dinamico nel sistema ma lo fanno con il famoso criterio della mediazione: “Innovo il pregresso, la tradizione per costituire una nuova tradizione, non per rompere con esso, per sradicarlo (ma scusate ma nel momento in cui l’avanguardia deve per forza andare contro la tradizione, tutto quello che non faceva la tradizione l’avanguardia non può farlo e quindi in qualche modo anche questo è una sorta di vincolo, di limitazione espressiva no?). È qui che per lui si crea il vero nerbo del sistema, è qui che ci sono gli elementi di persistenza dell’istituzione letteraria, quelli che garantiscono i suoi elementi di durata nel tempo (quella tradizionalità immanente si trova qui): infatti chiama questa letteratura istituzionale proprio perché è quella che garantisce la continuità dell’istituzione letteraria. Quindi in questo livello abbiamo un equilibrio positivo tra innovazione estrosa e conferma di modelli già acquisiti: è la mediazione che per lui è la più proficua, che dà più risultati. Il pubblico sono i ceti colti ma nel loro senso più ampio quindi non solo letterati che parlano ad altri letterati come nel livello uno della letteratura sperimentale ma i ceti colti nella loro estensione maggiore: dal proletariato appassionato di letteratura al borghese colto che ha fatto università e legge abitualmente. Lui li chiama lettori di preparazione media dovuta all’aver seguito un'educazione scolastica poi riconfermata da esperienze di lettura personale molto spesso suscitate dall'ambiente familiare o amicale (se in famiglia o miei amici leggono è più naturale che lo faccia anche io, che mi informi anche io, che vada a vedere un festival di letteratura per esempio). TERZO LIVELLO In questo livello rientra la letteratura di intrattenimento, Si possono fare nomi come Piero Chiara, De Crescenzo, Stefano Penna,, Scerbanenco, Guido Crepax come fumettista (fumettisti che hanno un lavoro dalla personalità piuttosto spiccata che ok vogliono intrattenere ma con un livello qualitativo che non si può obliare),la narrativa umoristica, i gialli di valore. Qui tuttavia siamo in un equilibrio più spostato sul lato dell’imitazione che non su quello dell’innovazione. Anche nella fascia seconda c’è equilibrio che lui chiama sapiente e proficuo tra il nuovo e il già noto: qui c’è ancora equilibrio ma è spostato di più sulla ripresa imitativa di modelli precedenti. È il livello privilegiato della serialità: più facilmente, dopo che l’autore ha individuato un genere, un personaggio o un ambientazione, tende a riprodurre in serie; capita molto nei gialli o nei romanzi umoristici. La letteratura di intrattenimento ha comunque, badate bene, un grande elemento di inventiva nonostante l’equilibrio sia spostato così verso la ripresa imitativa di modelli pregressi, ma riporta la sua componente di inventiva in un sistema ben ordinato perché è rassicurante. Lui dice che anzi, le trovate più estrose spesso si trovano nella letteratura di intrattenimento, solo che esse vengono inserite in un sistema di riferimento più tradizionale e ordinato e per questo più rassicurante perché il lettore lo conosce già (e questo sistema di riferimento è quello dei meccanismi del giallo, del romanzo storico…). Se non fosse così, se la letteratura di intrattenimento fosse solo e unicamente ripresa pedissequa di modelli precedenti, allora non potremmo spiegarci perché in questo livello alcuni autori hanno un successo incredibile e altri no: sono questi elementi di inventiva che fanno la differenza. Perché i gialli di Montalbano di Camilleri, in fin dei conti normalissimi gialletti, hanno avuto così tanto successo? Grazie all’inserimento nei rassicuranti e ripresi (Quindi questa ala dell’iper-romanzo è più vincolata secondo Spinazzola, più aderente a una vincolistica di genere ma non possiamo non notare che negli ultimi tempi è entrata in vigore una fortissima pratica ibridatoria per cui questi generi si intrecciano tantissimo con gli altri generi. Il rosa d’avventura per esempio, il rosa-porno. Questa idea di ibridazione che scompagina un po’ questa idea di vincolistica pura, anche se comunque questi testi rimangono riconoscibili. Questo lo dice il Prof. Non c’è in Spinazzola). Infine lui mette i generi misti, che non sono gli ibridi di cui abbiamo appena parlato: si tratta di testi e opere in cui c’è alleanza tra parola e immagine. Teniamo conto che siamo nell’85 quindi appena appena cominciavano a circolare i primi computer: quindi il nostro sistema letterario di oggi è fortemente cambiato dal suo. Per esempio inserisce in questa casella il fumetto, come esempio di testo letterario misto ma molto vincolato, perché infatti al tempo doveva avere un certo numero di quadri, anche se oggi non c’è più questa vincolistica così forte (tanto è vero che oggi ha anche cambiato nome il genere: non più fumetto ma graphic novel), non circolano più nelle edicole o nei giornali come strisce, oggi escono nelle librerie in diverse edizioni. Oggi in libreria c’è una zona delle graphic novels con Zero Calcare, Ugo Pratt. Tra i generi misti troviamo anche gli audiolibri, che oggi hanno un successo enorme. I sottolivelli verticali e orizzontali hanno un aspetto fluido e talora problematico: dove lo metto Il nome della rosa? Se lo consideriamo romanzo post-moderno (come d’altra parte è) allora lo metto nella letteratura istituzionale, ma se lo considero come best seller in cui evidenziare gli aspetti di generi (ossia il fatto che sia un giallo con l’impianto di un poliziesco) e anche la scrittura (che non è da scrittore ma da grande comunicatore) allora lo metto nella letteratura di intrattenimento. Quindi non abbiamo paratie, non sono scompartimenti stagni. Anche Camilleri, per dire, dove lo metti?Se nei manuali di letteratura italiana dei nostri figli sarà trattato diffusamente anche Camilleri allora vuol dire che ha avuto un riconoscimento estetico degno di essere protratto nel tempo, questo poi lo vedremo. Lo schema rimane comunque valido per superare opposizioni e binomi che andrebbero respinti. L'istituzione letteraria della modernità non è così semplice: per questo non si può proprio istituire rigidamente un binomio avanguardia-tradizione. Quando arrivano le neo-avanguardie del gruppo 63 chiamavano Liala, scrittrice di romanzi rosa, tutti quelli che stavano loro sulle balle. Oppure anche l’opposizione originalità-serialità come se la serialità riguardasse solo i livelli infimi del sistema e non anche i livelli medi e alti. Oppure anche l’opposizione tra letteratura empatica, in cui possiamo immedesimarci, e quella critica, che farebbe appello alle nostre attività intellettuali più sveglie e analitiche. Anche questa opposizione è da respingere perché appiattisce. Altra riflessione. Distinzione tra pubblico della letterarietà e pubblico letterario. Il pubblico della letterarietà è costituito da tutti coloro che sono disponibili a esperienze letterarie, quindi tutto il pubblico storicamente esistente. Il pubblico letterario è invece più ristretto, sono tutti coloro che condividono il senso comune della comunità letteraria, sono un po’ loro che si sentono più rappresentativi dei gusti egemoni in un certo momento nel sistema letterario. Cosa fanno questi due pubblici? I primi determinano l’attività letteraria, i secondi orientano la Storia letteraria. I primi, con i loro comportamenti, le loro scelte , con il fatto che determinano il successo di questo o di questo altro libro o genere determinano l’attività degli scrittori, ma sono i secondi, dotati di un criterio esteticamente più affinato che fanno diventare certi generi o autori Storia. Il secondo è composto da studenti, critici, che ci faranno sempre trovare un capitolo su Gadda, e non su Liala. Sono loro che fanno la Storia della letteratura, gli altri promuovono l’attività letteraria. Queste coordinate ok. Ma dopo, oggi che è successo? Sono passati 35 anni. Si è esaurito il ciclo delle avanguardie: oggi pubblicare un romanzo eversivo dei canoni tradizionali è molto difficile, difficilmente si troverà udienza nell’apparato editoriale. A quel punto letteratura istituzionale e letteratura di intrattenimento, quando è venuto meno il polo della sperimentazioni, tendono a schiacciarsi l’una sull’altra: la letteratura istituzionale si schiaccia sulla letteratura di intrattenimento, prima era abbastanza chiaro che un conto era Sciascia e un altro era Scerbanenco. Oggi questa distinzione è meno nitida e per questo emerge il problema di Camilleri, per esempio: dove lo mettiamo? Saltato il livello delle avanguardie livello 2 e 3 si sono schiacciati l’uno sull’altro. Quindi il sistema letterario ha perso distinzioni e di conseguenza si è impoverito rispetto a Spinazzola. Nelle società di oggi della rete, poi, si è aumentato o affievolito il desiderio di narrazione? È aumentato quindi si è passati dalla narrativa alla narratività transmediale. E le distinzioni allora sono venute meno o meglio sono diventate più sensibili, la scala delle gradazioni è diventata molto più fitta. Oggi nelle serie tv c’è di tutto: prima c’era il far west, lo sci-fi, tutti ben distinguibili gli uni dagli altri; oggi ci sono talmente tante gradazioni che è difficile dividere in girerei più stagni le produzioni audiovisive. Le serie hanno comunque una gradazione molto più difficile dei libri comunque, come Lost. Si è manifestata una stratificazione di complessità e di pregio estetico. Anche Orlando di Woolf (un libro all’interno del quale l’autrice decide di mettere fotografia) e I Promessi sposi che circolavano corredati di immagini secondo la volontà di Manzoni potevano essere considerati appartenenti ai generi misti. E il giornalismo narrativo di Carrère dove lo mettiamo? In fin dei conti è vero che sono storie vere però ci vengono presentate come romanzi e quindi le metterei come letteratura narrativa. Quello delle serie e quello dei libri sono generi cannibali? Le serie ruberanno sempre più pubblico ai libri? Secondo il Prof. È difficile che il pubblico di lettori di libri si ridimensioni a favore di quello delle serie. Che si continuerà a leggere libri e intanto anche a guardare serie. Al momento della nascita del cinema si pensava che avrebbe ucciso la letteratura ma non è stato così, lo stesso avverrà adesso probabilmente. È certo che le serie, che i prodotti audiovisivi costituiscono un terreno molto più rigoglioso di esperienze comuni tra di noi e il Prof.: nonostante siano entrambi beni datati, è molto più facile che conosciamo la serie tv West Worlds piuttosto che i libri di Meneghello. Eppure noi di lettere dovremmo essere amanti della letteratura, ma molti magari non hanno mai letto Joyce, non se ne interessano nemmeno. Queste coordinate di asse orizzontale e verticale valgono anche per il cinema, Spinazzola da giovane aveva studiato anche cinema. (Avanguardia, quanto più vinciamo tanto più diventeremo qualcosa di trascorso, come tutto diventa strumento di museo, solo così ci sarà vero progresso. Invece il neo-tradizionalismo voleva rompere con la tradizione per crearne una nuova come abbiamo visto). L’editore è principalmente un imprenditore, è un editore moderno che non si orienta sul mecenatismo, o su quello che viene considerata un’attività assistita o finanziata, cioè dobbiamo escludere la fascia dell’editore che pubblica ciò che vuole. Questo editore, in quanto imprenditore, attribuisce il testo che gli viene sottoposto un significato immediatamente economico, cioè rende il testo oggetto di previsioni più o meno fondate che fanno capo al guadagno e al profitto. Fuori da queste previsioni non c’è moderna editoria, se questo calcolo e questo insieme di previsioni a proposito di un certo numero di testi dovesse risultare completamente sbagliato, dopo N testi l’editore fallisce in quanto imprenditore. Questo è l’aspetto sommamente interessato che l’editore introduce nel sistema letterario ed editoriale. Questa mediazione editoriale non è senza esito, perché L’autore ha tutto l’interesse di inserirsi positivamente in questo ciclo di produzione. Si determina così una specie di feedback, di ritorno e di risposta, perché l’editore elabora le proprie strategie economiche culturali, e l’autore cerca di tenerne conto, perché se non ne tiene conto per niente difficile troverà un editore che lo pubblica. Da qui vengono certe linee di sviluppo, come un privilegiamento da parte di certi autori di genere di romanzo, di genere di complessità e di livelli di ricerca rispetto ad altri. Vedremo che ci sono anche delle controindicazioni piuttosto significative. La distinzione tra testo e libro sembra rafforzarsi in maniera inique o abile: il prodotto letterario si istituzionalizza ed entra a far parte dell’istituzione letteraria, assumendo un doppio profilo, da una parte economico e dall’altra estetico. È l’autore ad aver impostato il testo, è lui che ha il primato e che prende la parola. Sottopone all’editoria il testo che vorrebbe trasformare in libro. Nella figura dell’autore vengono a convergere tutti i procedimenti di valorizzazione di un testo letterario. È l’autore che prende la parola e conduce avanti, c’è un primato dell’autore, che imprime anzitutto l’altro suo testo degli aspetti di tipo letterario. Tuttavia questi aspetti che l’autore imprime al testo sono difficilmente commisurabili. Ad esempio come valutare l’elaborazione di uno stile, il sistema di relazione tra i personaggi. Si potrebbe vedere in primo luogo che è la professionalità e la consapevolezza di un autore che potrebbe fare la differenza: un autore tanto più è colto ed esperto della tradizione che ha alle sue spalle, tanto più è lecito credere che avrà maggiori possibilità di ottenere risultati maggiori. Ma tuttavia non è sempre così, può essere che il capolavoro possa scaturire da un giovane alle prime armi ma dotato di un grande talento, che riesce a costruire un'opera notevole. Per esempio un romanziere francese Ramon Rodiger che a 17 anni scrive un testo “il diavolo in corpo” che aveva scarse consapevolezze del sistema letterario e della tradizione prima di lui. Oppure Rimbaud che scrive dei capolavori a neanche 17 anni. Quello che avviene quindi nel laboratorio intimo dell’autore rimane per noi in larga parte incommensurabile. Allora scatta la seconda possibilità: se nel laboratorio intimo dell’autore io non riesco ad individuare criteri di orientamento sufficientemente validi provo a spostarmi sul terreno del testo e vedere che tipo di criteri posso prendere in considerazione. Quando scendo sul terreno testuale e mi domando quanto vale un testo e perché vale, inevitabilmente entro nel terreno della comparazione, cioè posso decidere quanto vale un testo solo sullo sfondo di altri testi. Bisogna metterlo a confronto con altri testi affini che hanno elementi in comune. Bisogna elaborare dei criteri che stabiliscano una graduatoria di valore che possa stabilire l’unicità di un testo che noi riteniamo pregiati esteticamente e letterariamente. Spinazzola lo chiama “estetica della differenza”: cioè, stabilità una classe di prodotti simili, si individua quel prodotto che fuoriesce dalla norma in maniera più nitida, quello che mostra elementi di originalità più chiara e conclamata. A questo punto devo sapere però che sto prendendo come valore un particolare atteggiamento, quello dello scarto della norma, che diventa la misura riguardo alla riuscita della rielaborazione creativa. Se mi metto su questo piano dello scarto dalla norma, mi metto sul piano dell’ assiologia del nuovo. “Assiologia nel nuovo”: si scagliano tutte le ideologie avanguardistiche e sperimentalistiche. Questa assiologia del nuovo non può essere presa in termini assoluti, perché tutte le opere letterarie si collocano tra due opposti estremi, della novità assoluta e della riconferma assoluta di ciò che è stato scritto, all’interno di questa codomia assolutistica. Bisognerebbe prendere atto che quasi tutti i testi hanno un evidente riscatto dalla norma. Alcuni di meno, altri di più Se io mi adeguo a questa idea dello scarto della norma, devo sapere che mi sto allineando ad un certo modo di vedere l’opera letteraria che è tipico dei ceti colti. C’è un punto delicato che bisogna dire: noi pensiamo che davanti ad un testo letterario si possano stabilire degli scarti e differenze di valore osservando la specificità dei fenomeni testuali, come un certo modo di utilizzare lo stile e organizzare la trama. Ma il punto è che qualunque testo fa riferimento ad un unico bagaglio tecnico, nell’ambito testuale i meccanismi letterari sono uguali per qualunque tipo di testo, e non basta nemmeno, perché molto spesso quei meccanismi tecnici debordano dal discorso letterario e invadono altri campi, come quello della pubblicità o della propaganda politica (es: “Governare il cambiamento”: metonimia, figura retorica). Spinazzola dice che bisogna abbandonare il criterio della ontologia letteraria, bisogna smettere di pensare che i testi siano letterari per qualche cosa che per loro sia immanente. Bisogna abbandonare questa impostazione e abbracciare invece un’impostazione di tipo funzionale, che ha come elemento il rapporto tra testo e il pubblico. La dimensione produttiva di articola nell’incontro con la dimensione fruitiva. La dimensione produttiva dell’autore entra in rapporto con il pubblico e da qui possiamo pensare ad una serie di processi che conducono alla valorizzazione dei testi letterari. In questa prospettiva redazionale va cercata una risposta. Non basta che il testo sia un supporto si segni ma ci vuole anche il lettore perché ogni atto di lettura coincide per intero con una deliberazione di apprezzamento. Sono livelli diversissimi di autorevolezza, ma non si può prescindere da questa molteplicità di giudizi per poter divenire a qualche criterio formato e il più possibile oggettivo. La valorizzazione letteraria è quindi un processo complesso, ha più stadi, anzi questi stadi procedono in senso piramidale secondo cinque tappe fondamentali. Parte costruens del discorso di spinazzola. L’idea di spinazzola è di tipo relazionale tra l’autore e il lettore. Questi cinque momenti fondamentali sono: 1. Il giudizio di pubblicabilità 2. L’impressione di leggibilità letteraria che si genere in un pubblico colto 3. Successo più o meno marcato che il testo e il libro ottengono presso pubblici larghi 4. La fama che un certo libro ottiene quando scendono i campo lettori più dottrinati e autorevoli 5. La gloria e la classicità prestigiosa: deve scendere in campo l’istituzione scolastica attraverso programmi che vengono decisi dai ministeri. È la sanzione di classicità che si esprime nei programmi scolastici a cui concorrono soggetti diversi. PUNTO N.1 Il giudizio di pubblicabilità. Nel mare delle proposte che arrivano alle redazioni editoriali, bisogna individuare quei testi che sono suscettibili di una oggettivazione sociale nelle forme delle merci librarie. Bisogna tradurre questa mole di proposte in qualcosa che sia oggetto abile socialmente attraverso la forma libro, la forma mercificata. La rilevanza strategica di questa tappa si determina fondamentalmente per due motivi: 1. Le innovazioni tecnologiche relative alla stampa che in quantità molto variabile hanno determinato la mole sempre crescente del materiale leggibile in commercio. Come mai è importante l’aspetto tecnico? Perché sono loro che consentono questa dilatazione di offerte così massiccia. Come può un editore di alta cultura come Carocci a pubblicare libri e saggi che sono di alto livello e come fa a trovare un margine di guadagno economicamente sufficiente? Negli ultimi due decenni sono state messe apunto altre tecniche di stampa come “print on demand”, che consente con spese bassissime di produrre 30 copie per volta. In questo modo carocci riesce a tenere marcato e ne realizza una quota ad hoc 2. Crescita dei livelli di acculturazione: c’è una crescita delle platee alfabetizzate. Questo ha determinato una possibilità di valorizzazione più ampia del testo letterario. L’aspetto della disintermediazione favorita da internet: molte persone possono pubblicare i loro testi immediatamente sulla rete, e rendono più importante il lavoro di mediazione fatta dall’editore. Il lavoro dell’editore deve regolarsi su un criterio economico: un editore deve pensare a chi vendere un testo, e in quale misura può presumere di poterlo vendere. Pubblicare un libro comporta capitali di rischio ad un editore, e la tentazione è quella di far sì che il capitale di rischio sia il minore possibile. L’editore per ottenere questi risultati cerca di ridurre l’elemento della sperimentalità: si tenta quindi di replicare ciò che il pubblico gradisce. Se riproduco questi generi letterari il sistema diventa più rigido e meno interessante. Il sistema letterario si impoverisce se non avviene un cambio di tipi e di proposte. In sostanza il giudizio di pubblicabilità dell’editore è monografico. “Pareri di lettura editoriale”: ci sono pochi casi, sono per lo più pareri monografici che possono andare incontro al lettore. Il gattopardo è un esempio di libro che ha influito notevolmente, viene pubblicato nel 1958 dopo la morte di Tomasi da Lampedusa. Questo testo era stato affidato a Mondadori, che però nel momento in cui aveva degli interessi più sperimentali, non si sentì a suo agio e mandò una scheda di lettura negativa. Successivamente Tommaso andò in mano a Giorgio Bassani che lavorava presso la Feltrinelli e divenne uno dei bestseller più venduti del Novecento. Un altro caso è quello di Guido Morselli che ha passato la vita a scrivere romanzi che nessuno ha mai voluto pubblicare. Adelphi dopo il suo suicidio si accorge che c’è un romanzo interessante e pubblica il romanzo, che ne scaturisce il caso “Morselli”. nel prossimo modulo con il romanzo popolare di appendice che comincia a manifestarsi sui giornali nella metà dell’800 che fa accadere proprio questo: i critici non leggevano testo per testo includendo o escludendo, ma lo facevano a priori. Il romanzo popolare di appendice appariva infatti sui giornali per un pubblico più basso, quindi non era letteratura. Viene negata ,non la sanzione di letterarietà, ma il fatto che non sia un testo da leggere letterariamente. Tutti questi testi sono collocati o nella fascia di intrattenimento, terzo livello, oppure, ad esempio Harmony, passano nella zona marginale. Questa zona un tempo non molto lontano si chiamava ZONA PARALETTERARIA (paraletteratura: assomigliava alla letteratura, ma era un brutta imitazione che non aveva i caratteri di sostanzialità letteraria, era anche chiamata “letteratura delle sartine" Oppure "letteratura milanese” per la zona di sviluppo. Aveva grandi numeri, che otteneva risultati economici e che si indirizzava ad un pubblico depresso, leggevano, ma senza la cognizione di causa di un borghese. Leggevano romanzi un pò piccanti con trama melodrammatica forte e protagonisti rilevanti che formava la letteratura di serie B). Bisogna dire che c’è una destinzione che possiamo introdurre: Il ceto colto, i lettori più qualificati, davanti al romanzo di appendice lo esclude a priori (non abbiamo infatti critiche individualizzate di questo o quel romanzo di appendice perchè vengono ripudiati a priori). Ci sono state sicuramente delle eccezioni (Dickens, Dostoevskij, Hugo) ma vengono considerate letterariamente perchè diventano libri, non quando appaiono a puntate. Alcune zone letterarie a priori vengono escluse dalla leggibilità letteraria e nessuno si mette ad esaminarle . Nel caso della lett. di intrattenimento, quella per le sartine (es. guido da Verona), la questione è più varia perchè i critici provano a leggere e poi si scandalizzano .Il presupposto da cui parte questo pregiudizio, questa negazione della sanzione letteraria, è DUPLICE: c’è una condizione che tanto più il prodotto libraio si propone di catturare l’attenzione dei pubblici più vasti e più inconditi, meno qualificati, tanto più propone merci letterarie di scarsissimo valore (questo è il primo presupposto). Sono libri che si rivolgono a pubblici troppo larghi per avere esteticità apprezzabile e avanzata. Ricade in questo primo pregiudizio anche ciò che noi proviamo davanti ai BESTSELLER (libro che ottiene un vastissimo successo di pubblico, diventa un GIGALIBRO che si vende a milioni): è piaciuto a troppe persone, se sono un lettore borghese a priori lo metto via (la maggior parte delle volte i bestseller sono di Follet, Ghrisham, Brown… ,ma ci sono delle eccezioni come ”l’insostenibile leggerezza dell’essere”di Kundera oppure “cent’anni si solitudine” di Garcia Marquez ).il secondo presupposto è che, questi testi che vengono sottratti al giudizio di letterarietà, appartengono generi troppo qualificati (la cosiddetta letteratura di genere). Il presupposto negativo vuole che tanto più sia vincolante e riconoscibile il codice di genere, tanto più manchi l’elemento dell’originalità, manca la novità. Un esempio nell’ambito del genere rosa, Liala non è la stessa cosa di Brunella Gasperini che concepisce un romanzo rosa quasi ironico, giovanile, quasi antitetico a quello di Liala…come mai alcuni ottengono largo successo di pubblico e altri no? perchè sono prodotti diversi, bisognerebbe indagarli uno ad uno. -nella nostra università era stato invitato uno studioso austriaco che fece un discorso (erano ancora gli anni dove si risentiva la critica strutturalista ad Eco) dicendo di rovesciare il metodo: non bisogna partire dal genere e vedere come un autore sta dentro il genere, bisogna fare il contrario quindi vedere quale specificità l’autore porta nel genere. Non autore-schema, ma schema e concretizzazione originale. Se io penso ad Umberto Eco, è il primo che in Italia nel 64 studia la cultura di massa (fumetti, romanzi di fantascienza), ma quando si mette a studiare ad esempio i romanzi di Fleming in un saggio che compare nel libro che si intitola “superuomo di massa” prende i romanzi, smonta 007 e li riduce a schema spiegandoci come funzionano i romanzi di Fleming, quali varianti hanno e quali punti fissi, dalla molteplicità di testi ricava uno schema e questo è un atteggiamento semiotico e strutturalista, arrivare alla costituzioni delle invarianti attraverso uno schema . Certamente c’è un genere vincolante: il romanzo poliziesco e giallo e, ad esempio, Camilleri segue il genere ma è anche molto riconoscibile e totalmente individuabile, non reprime gli elementi di originalità. Questo tipo di sanzione negativa che la comunità letteraria elitaria esprime verso i testi o classi di testo, presuppone che non ci sia interscambio possibile tra le zone basse e alte del sistema; o, se presuppone un interscambio possibile, è MONODIREZIONALE (c’è la vera letteratura che man mano scende nei livelli viene volgarizzata negli strati inferiori, è DISCENDENTE). Anche questo è un pregiudizio, se penso con occhio largo a come funzione il sistema letterario nei tempi della modernità sono le zone basse che influenzano quelle alte e l’idea stessa di letteratura: prima i veri grandi autori si dedicavano alla tragedia, alle odi, all’epica, non al romanzo che invece ora spopola e rivoluziona tutto. Negli ultimi 30/40 anni il romanzo giallo ha prodotto dei risvolti significativi all’interno del sistema, ha portato a delle opere che collochiamo a livello istituzionale o di avanguardia: i gialli di Sciascia non sono sicuramente paraletteratura, ma sono nella classe istituzionale; con Gadda in “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” siamo invece nella zona sperimentale (Gadda aveva chiarissimo e lo scrive che nell’ambito del genere poliziesco c’era qualcosa che si poteva usare in modo molto più qualificato, non troveremo mai un manuale di letteratura italiana che non contempli Gadda). Riassumiamo e concludiamo allora questo punto: Alla fonte c’è la proposta di lettura letteraria dell’editore attraverso collane e apparti paratestuali, però la proposta deve andare incontro al consenso della comunità letteraria guidata e nella quale hanno maggior voce in capitolo i più colti, quelli che hanno più ampia esperienza di lettura. Domanda: come avviene il ribaltamento? Una possibilità è avere dei testi e ricondurli a schema (genere), l’altra possibilità opposta è possedere uno schema ed esaminarne le variante (qui abbiamo più possibilità e spazio di indagare le individualità, non le invarianti) Veniamo allora al punto tre: IL SUCCESSO EDITORIALE È Importante perchè qui abbiamo la prima vera risposta di lettura formulata dal pubblico nel suo insieme, non solo dalle elitè che giudicano ciò che è letterario o no. In realtà sarebbe questo il primo vero dato concreto: se un romanzo vende mille copie ed un altro un milione, concretamente, in maniera numerabile, diciamo che ha ottenuto un consenso più alto dell’altro, è un elemento di valorizzazione. è a questo livello del successo che il libro acquisisce aspetti unici: qui troviamo i BESTSELLER (prendiamo Dan Brown, ha scritto molti libri ma solo “il codice da Vinci” è un bestseller; Umberto Eco ha scritto diversi romanzi, ma solo “il nome della rosa” è bestseller internazionale). Qui abbiamo una serie di individualità testuali, singolarità… e che cosa favorisce questo successo? Spinazzola è chiaro: il libro di successo, tra NOVITA’ e CONFERME, ha trovato un EQUILIBRIO EFFICACE. Il successo del pubblico sancisce uno spostamento in avanti di questo equilibrio in una linea di continuità. In ogni opera letteraria c’è equilibrio tra nuovo assoluto e ripetitivo assoluto e l’opera deve trovare un punto di compromesso, il bestseller è quell’opera letteraria che trova equilibrio efficace spostandolo avanti rispetto ai parametri del gusto dominante. Spinazzola aggiunge che qui sta la magia del libro di successo: si inserisce meglio nelle convenzioni vigenti ed, allo stesso tempo, ne propone una modifica che può essere occasionale, come spesso capita, o anche duratura (Es. quando si delinea il successo straordinario di Camilleri il dibattito ruotava intorno alla “lingua di plastica”, si parlava di grandi successi avvenuti anche tramite traduzioni estere. Gli editori e la critica ragionavano sul fatto che, per ottenere un successo robusto, bisognasse usare una lingua sostanzialmente neutra e facilmente traducibile, la cosiddetta lingua di plastica, esempio “Seta” di Baricco. Diventa anche un piccolo bestseller la parodia di seta, chiamata “Setola”. Con Camilleri notiamo che una lingua tutto tranne che semplice diventa strumento di successo mondiale, Camilleri è perfino tradotto nello Sri-Lanka, con la sua lingua italo-agrigentina inventata. Qui capiamo Spinazzola, Camilleri ha spostato in avanti qualcosa in maniera occasionale o duratura, tra Trent’anni non sappiamo cosa ne sarà. Rimarrà un grande successo o sarà inserito nella storia della letteratura con i suoi canoni?) Spinazzola prova ad interrogarsi su come si produca un successo letterario, quali siano i meccanismi sociali che possono produrre un successo editoriale. Egli Parte dall’esempio di “il nome della rosa”. Secondo lui ci sono due tappe nel successo letterario: prima i PUBBLICI SETTORIALI che concorrono all’affermazione di un testo. Quest’ultimi man mano allargano la fascia di influenza e arrivano ad una EGEMONIA GENERALE, giungendo ad ottenere un PUBBLICO DI MASSA. Ne “il nome della rosa” il primo pubblico è sicuramente dei ceti colti (nel libro si parla anche di filosofia, allegoria del terrorismo ecc), da pubblico qualificato, grazie anche alle qualità dell’opera poi diventa pubblico universale. A questo proposito Spinazzola parla di SOGGETTO COLLETTIVO PARZIALE: ci vuole la mobilitazione, il consenso primario di un soggetto collettivo parziale, più o meno ampio, che è il cavallo di troia per conseguire pubblici PLEBISCITARI (pubblico che circoscrive la maggior parte del pubblico storicamente disponibile). L’unico criterio del successo numerabile è un criterio BORGHESE; è la borghesia con la sua idea di letteratura che tende ad un ampliamento dei pubblici sempre più largo, facendo del riscontro concreto di vendita e di letture l’elemento del valore. Questo è un concetto massimamente borghese. -punto 4: ACQUISIZIONE DELLA FAMA rimanendo sul piano dell’IMMANENZA SOCIALE (sono processi sociali non c’è un’ontologia letteraria che possa decidere questo o quello). Queste cinque tappe (PUBBLICA VERITA, LEGGIBILITA LETTERARIA, SUCCESSO, FAMA, GLORIA) configurano nel suo insieme quello che possiamo dire dal lato immanente, non tecnicistico o metafisico, usando l’istituzione in senso FUNZIONALISTA, NON SOSTANZIALISTA questa è la concretezza dei processi che portano alla VALORIZZAZIONE DI UN TESTO (cioè alla discriminazione tra il testo che vale di più e quello che vale di meno). Due elementi da ricordare: Fuori da questi processi non c’è letteratura, perché come diceva Sartre la letteratura è una trottola, vale solo finché funziona, non esiste alcuna realtà di valori letterari e fuori da questi rapporti sociali non c’è la letterarietà (ciò che fa di un testo un testo letterario) come la intendevano gli strutturalisti. Il secondo elemento è: se proviamo a considerare la scalarità di queste cinque tappe è impossibile non constatare che, a ciascun livello, le motivazioni più puramente estetiche sono sempre connesse a MOTIVAZIONI EXTRAESTETICHE. Kant non sarebbe d’accordo con noi, non c’è il bello gratuito. Nello snodarsi delle cinque questioni della valorizzazione, notiamo che nell’attribuzione di valore da parte di ciascun soggetto c’è qualcosa di extraestetico, Kant direbbe che la nostra è un’estetica barbara perché subordina il bello a qualche utile. Venerdì 3 marzo 2023 Iniziamo a trattare la parte sul capitolo della narrazione, tratto dal manuale di Chines e Varotti, Che cos’è un testo letterario. La narratologia è una disciplina che studia come sono costruiti e come funzionano i testi narrativi delle più diverse fatture, qualunque sia la sua realizzazione tecnica. Inoltre, questa non ha un aspetto narrativo, bensì descrittivo. Si occupa di individuare categorie per indicare fenomeni testuali che hanno a che fare con il racconto e la narrazione. Una primissima distinzione è quella che viene stabilita tra storia e racconto, o meglio tra storia e discorso. La prima distinzione tra storia e racconto la attribuiamo a Gerard Genette, che si qualifica come colui che ha varato una serie di ragionamenti narratologici. L’altra distinzione, tra storia e discorso (che considereremo noi), è a cura di Chapman, uno studioso americano. Con storia intendiamo l’insieme delle vicende che vengono raccontate, mentre il discorso è la forma coi cui queste vicende vengono raccontante, ovvero la forma che assume in concreto il testo. Se noi concepiamo un riassunto dei fatti narrativi salienti, avremo la storia, che può essere elaborata espressivamente in molti modi e ognuna di queste realizzazioni concrete è un discorso, un testo preciso e stabile con un suo particolare intreccio e una sua particolare lunghezza. La storia dunque è un’astrazione, quello che invece si presenta concreto a noi è il discorso. Se prendiamo i Promessi Sposi, il fatto che a Milano ci fosse la peste nel Settecento è un elemento storico, che invece Lucia facesse voto presso un monastero di Monza è un elemento di finzione. Troviamo elementi reali e fantastici, che quando noi leggiamo non distinguiamo subito. Bisogna che gli diamo fiducia attraverso un atto di “suspension of disbelief”, espressione coniata da Samuel Coleridge; questo passaggio è necessario affinché si stabilisca un fatto di lettura tra scrittore e lettore, che possiamo dire finzionale o referenziale, se rispettivamente si basa su elementi di fantasia, oppure se si da per assodato che l’autore lavori su dati di realtà. Parliamo dunque di patto narrativo, risultato di una convezione tacita o esplicita, che può avvenire attraverso prefazioni, commenti interni, scelte paratestuali dell’editore, ecc. In ogni caso bisogna stare attenti perché questo patto è un convenzione anche quando siamo di fronte ai racconti più realistici. Ad esempio, il fatto che i romanzi di Balzac e di Flaubert siano collocati con esattezza nello spazio e nel tempo, cioè che ci sia una minuziosità spazio temporale nel racconto, non esclude che nel testo ci siano artifici come quella di poter conoscere i pensieri dei personaggi, che sono frutto di mera convenzione (che in questo caso appartiene a quello che noi chiamiamo “narratore onnisciente”). Il succo è che nel patto narrativo ci sono inevitabili elementi di convenzionalità. Questi mondi narrativi hanno ulteriori particolarità. Come il mondo che abitiamo noi, anche questi mondi narrativi si compongono di personaggi, oggetti, sfondi, ambientazioni, ma non tutti questi elementi trovano luogo nella narrazione. Il mondo narrativo tende a selezionare > è un mondo più piccolo rispetto a quello della realtà, perché si qualifica come mondo narrativo attraverso esclusioni e selezioni di elementi funzionali al rapporto stesso. Ad esempio, sappiamo che Lucia dei Promessi sposi ha una madre, ma non viene mai citata la figura del padre, eppure questa esiste o è esistita per forza, solo non è funzionale alla narrazione. La narratologia ha radici lontane. Già Aristotele (IV sec a.C) nella Poetica si occupava del mythos, cioè del racconto, e distingueva due modi: - Attraverso la mimesis, ricalco drammaturgico immediato di fatti e e discorsi - Attraverso la diegesis, racconto filtrato dalla voce di qualcuno che ce lo racconta Noi cominciamo a parlare sensatamente di narratologia in due momenti diversi: - Tra gli anni ‘20 e ‘60 , quando si sviluppano le correnti già precedentemente nominate del formalismo e dello strutturalismo, in cui la narratologia rientra nell’ambito della poetica. - Tra gli anni ‘60 e ‘80 si rende disciplina autonoma e diventa uno strumento. Si tratta di uno strumento tendenzialmente neutro, che noi abbiamo in mano per descrivere ed esaminare approfonditamente i concetti narrativi. È possibile assegnare alla scuola formalista una prima distinzione per cui ➢ In ogni testo narrativo abbiamo una fabula e un intreccio (in inglese: plot). La fabula è la successione cronologica degli eventi. L’intreccio è il modo concreto con cui vengono incastrati i vari elementi in uno specifico ordine che decreta lo scrittore. Lo scrittore quasi mai rispetta l’ordine cronologico. Si tratta di artifici che hanno a che fare con il tempo, uno delle categorie più importanti della narratologia. Narrare significa in gran parte temporalizzare ed è qui che il narratore compie la sua parte maggiore di lavoro. Edward Morgan Forster fu uno dei primi a interrogarsi su queste questioni. In un testo, Aspects of the novel, sottolinea l’importanza imprescindibile che ha per un romanziere la categoria del tempo. È anche vero che il narratore si prende parecchie libertà in questo senso. I più noti artifici che insistono sull’asse del tempo sono le cosiddette anacronie, suddivise in due grandi famiglie: i recuperi all’indietro e le proiezioni in avanti, rispettivamente analessi e prolessi. Nel cinema flashback e flashforward. Le analessi sono molto più frequenti nelle prolessi, che invece hanno bisogno di inserirsi in particolari condizioni. Una delle prolessi più memorabili è quella collocata da Garcia Marquez nell’esordio di Cent’anni di solitudine, in cui abbiamo un incrocio tra una prolessi che si sviluppa in un’analessi, lasciandoci la sensazione che in questo romanzo il tempo faccia le bizze. Ed è proprio sul piano del tempo che Garcia Marquez gioca la sua partita. Persino nella definizione dei generi troviamo definizioni di anacronia > il romanzo giallo è sostanzialmente una grande analessi: ricostruzione degli eventi passati per risolvere un caso. Personaggi. De benedetti definisce il personaggio homo fictus, una figura inventata. Forster nelle sue conferenze avanza una prima distinzione, diventata poi celebre, tra personaggi piatti e personaggi a tutto tondo. I personaggi piatti, o flat characters, sono bidimensionali o “disegnati”. Di essi vengono colti solo alcuni aspetti; un solo dato di realtà viene rappresentato attraverso questi personaggi, che si presentano a noi con pochi tratti, molto marcati, che rimangono tali nel corso di tutto il romanzo. Invece i personaggi a tutto tondo, o round characters, sono modellati a più dimensioni, con sfaccettature multiple. Sono personaggi disposti in maniera evolutiva o devolutiva, in chiave positiva o negativa. Sta di fatto che al termine del romanzo li troviamo diversi da come erano stati presentati all’inizio. Anche in questo il genere può determinare i suoi personaggi: se prendiamo il racconto umoristico, in genere abbiamo a che fare con personaggi piatti, colti in un loro specifico aspetto caratteriale. Nei romanzi del realismo abbiamo spesso e volentieri a che fare con personaggi a tutto tondo. In questi testi troviamo un equilibrio molto delicato tra personaggi maggiori, che noi riteniamo protagonisti, e personaggi minori, che se collaborano alla riuscita delle vicende dei protagonisti sono i deuteragonisti, e se cercano di impedirlo, sono gli antagonisti. A volte i personaggi minori sono strategici perché aprono uno squarcio sulle condizioni sociali o permettono di inserire elementi della tradizione, ad esempio il personaggio di Platon Karataev in Guerra e pace. LEZIONE DEL 7-03-23(OTTAVA LEZIONE) Pischedda ha scritto alla lavagna dei nomi e cognomi importanti e da ricordare. Alcuni li ha riassunti e altri li ha spiegati in questa lezione. Le parole scritte alla lavagna sono le seguenti:  Triade categoriale di Aristotele: o Mythos cioè il discorso o Mimesis la rappresentazione teatrale o Diegesis la rappresentazione narrata  Dopodiché c’è l’autore Edward Morgan Forster colui che nel volume: “Aspects of novel” aveva cominciato a distinguere personaggi a tutto tondo e personaggi piatti  Poi 2 nomi salienti della narratologia degli anni 70-80 cioè il francese Gerard Genette e l’americano Seymour Chatman  Dopodiché eravamo passati a parlare dei personaggi ed eravamo partiti da un formalista russo: Vladimir Propp a cui avevamo aggiunto poi il cosiddetto ragionamento sui tratti, quello che noi ammettiamo ai vari personaggi. Colui che ha proposto una teoria dei tratti è Percy Lubbock, anche lui americano  Un altro critico narratologo americano è Wayne Booth. È a lui che dovremmo il concetto di lettore implicito e di lettore implicito  Un importante critico tedesco che si chiama Leo Spitzer a cui si deve la distinzione tra io narrante e io narrato  Infine, due modi di prendere la parola. Due modi con cui il narratore offre la parola ai personaggi: o uno è il discorso indiretto libero – uno dei maggiori critici che ha riflettuto su questa categoria è lo stesso Spitzer o e il flusso di coscienza AUTORE REALE E NARRATORE: Avevamo cominciato a considerare i problemi di voce che c’erano nel capitolone che riguarda la voce. E abbiamo distinto anzitutto: quello che chiamiamo autore reale – persona in carne e ossa, esistita o esistente che vale anche nei casi di opere anonime. Perché anche se sono anonime cioè dov’è arrivata a noi la figura di chi le ha composte o tuttavia ci deve essere stata e quindi c’è un autore reale che in questo caso è anonimo. Pischedda ha fatto il caso di un famoso romanzo picaresco del 500: “La vita di Lazarillo da Tormes” che è il prototipo del romanzo picaresco. Abbiamo distinto quindi l’autore reale da ciò che chiamiamo narratore: • mentre l’uno è fatto di carne e ossa, vive nel mondo ed è un nostro simile • l'altro è un’entità unicamente fatta di parole, è una istanza lobotiva. È colui che ci conduce all’interno del mondo narrato anche se fa di tutto per nascondersi (anche se deve sempre esserci un narratore) TEMA DELLA PATERNITÀ LETTERARIA: Abbiamo anche accennato rapidamente al fatto che alla figura dell'autore reale è connessa la paternità dell’opera. E questa paternità dell’opera cioè dell’insieme dell’opera nel modo in cui si presenta a noi, ha solitamente ricadute non solo economiche (non ci guadagna con questo testo) ma anche civili e giuridiche. Per esempio, gli autori che sono stati chiamati a processo per opere accusate di trasgredire la morale accettata. Per esempio, va a processo Baudelaire per “I fiori del male”, Flaubert con “Madame Bovary”, ma anche nei nostri tempi sono andati a processo per gli stessi motivi: Giovanni Testori, Pasolini quando pubblica “Ragazzi di vita” e anche alcuni suoi film verranno denunciati e portati al processo, e poi ricadute propriamente politico-civili: si pensi a Salman Rushdie che è stato accecato da dei fanatici islamici qualche mese fa oppure a Saviano che dopo aver pubblicato “Gomorra” vive perennemente sotto scorta. Ora c'è però una terza figura che ci è utile richiamare ovvero quella del personaggio. Noi quando maneggiamo una raccolta di racconti abbiamo sempre a che fare con queste tre figure: • Autore reale • Narratore • Personaggio/personaggi che si muovono dentro quel romanzo GENERI REFERENZIALI: Bisogna anche chiarire che il corpo dei testi che noi chiamiamo narrativi è un corpo piuttosto ampio perché non si esaurisce nelle storie d’invenzione. Questo corpo narrativo, a cui noi attribuiamo un significato letterario, non si esaurisce con i racconti o romanzi d’invenzione (per dirlo all’ inglese non si esaurisce con la fiction). Può anche, comprendere la non fiction cioè quei generi che, per uscire dagli anglicismi, noi chiamiamo generi referenziali cioè che hanno un risvolto concreto nel mondo reale, hanno un referente concreto. Quali sono questi generi? Piu precisamente quali sono questi generi referenziali? ▪ Per esempio, il genere biografia -> Per esempio, la biografia di Pietro Citati, critico e storico della letteratura, che aveva dedicato a Goethe (sicuramente più nota e celebre rispetto a quella dedicata a Tolstoj) e anche a Tolstoj. Il referente in questo caso è Goethe (persona reale che è vissuta e morta, che ha scritto questo e quell’altro). GENERI AUTOREFERNZIALI: ▪ Poi sempre in questo ambito della non fiction vi sono i generi autoreferenziali, qui abbiamo certamente l’autobiografia -> per esempio per dir due titoli: Luigi Meneghello con il suo capolavoro: “Libera nos a Malo” (Malo è il paese dell’alto vicentino in cui Meneghello è nato e vissuto) oppure “Le parole tra noi leggere” di Lalla Romano. Un romanzo dedicato alla maternità e al rapporto con il figlio ▪ Abbiamo poi il genere un po' più ampio e difficile da restringere in una vincolistica marcata: il genere del racconto memoriale -> Qui, Pischedda, vi colloca il testo di Carlo Levi: “Cristo si è fermato a Eboli” oppure anche “Se questo è un uomo” di Primo Levi ▪ Poi abbiamo il genere diario -> per esempio, il testo intitolato “Mai tardi” di Nuto Revelli in cui racconta la ritirata di Russia e la decisione di diventare partigiano. È un diario, quindi un genere preciso perché nel diario le annotazioni hanno carattere cronologicamente esplicito (esempio: “oggi in data... “e poi vi è l’annotazione che segue). ▪ Oppure, infine, in certi casi abbiamo anche il genere epistolario. Nel genere diario e nel genere epistolario a colpo d’occhio potremmo dire che questa non sia letteratura, ma in realtà in qualche caso lo è. Dipende da: • come viene organizzato il testo, • dalla qualità della scrittura, • dall’importanza dell’evento, • come noi ci riferiamo al testo: se ci riferiamo al testo in modo espressivo quello diventa un testo letterario e • dipende anche da come ce lo presenta l’editore (in quale collana lo mette? Lo mette nella collana dei documenti storici? O lo mette in una collana di opere letterarie varie?). In ogni caso se noi pensiamo a come si dispone la triade fondamentale (autore – narratore – personaggio) in questi casi di generi referenziali e autoreferenziali, possiamo dire che nel genere biografia c’è una coincidenza tra autore e narratore (è una coincidenza: perché quando Citati si mette a scrivere la biografia di Goethe non è che costruisce un narratore a parte diverso da sé stesso. È lui che fa la sua ricerca sui documenti disponibili riguardo la vita di Goethe). Quindi nel genere biografia abbiamo la coincidenza di autore reale/narratore e il personaggio inverso, mentre in tutti gli altri generi referenziali cioè l’autobiografia, il racconto memoriale, il diario e l’epistolario abbiamo la coincidenza di tutte e tre le figure che abbiamo chiamato in causa. Perché se uno scrive un’autobiografia è l’autore reale che la scrive, ma ha come oggetto la sua propria esistenza e questo ce lo dice, se si tratta di un’autobiografia classica, nominandosi per nome e cognome dentro l’autobiografia. Quindi quel nome e cognome che compaiono in copertina sono poi gli stessi che ritroviamo nel testo come narratore perché racconta di sé stesso e come protagonista perchè il personaggio, è lui il protagonista della vita narrata. AUTOBIOGRAFIA CLASSICA E ROMANZATA: Il caso dell’autobiografia è un caso che andrebbe preso a parte e sviscerato. Accanto: • all'autobiografia classica, in cui c’è una specie di contratto specifico per cui dentro nel testo l’autore si chiama con il suo nome e cognome e quindi abbiamo un patto autobiografico forte e riconosciuto • In altri casi questa autobiografia può avere degli spazi e delle varianti maggiori. Nel qual caso parliamo di autobiografia romanzata e qui la coincidenza stretta tra autore, narratore e personaggio può anche non esserci. E i due casi clamorosi leggendo un testo cioè mettendoci dentro un testo. In modo tale che tutto ciò che è strategia espressiva del testo possa riflettersi in un’immagine che noi abbiamo costruito in maniera ideale. Quindi cos'è l’autore implicito? È la versione idealizzata dell’autore reale. Dice Booth quell’entità a cui tutto il romanzo va incontro il lettore, compresa la voce narrante (compreso il narratore perché un autore reale che scrive 5 romanzi, in ognuno di questi dovrà realizzare una voce narrante che può essere diversa o diversissima). Quindi quando parlo di autore implicito io lo considero quell’immagine ideale che costruisco a partire da tutti gli elementi testuali e con il conforto anche di elementi paratestuali o eventualmente epitestuali. Dice ancora Booth: “il lettore interpreta la sua personalità (quella dell'autore implicito) come una versione letteraria idealizzata della persona reale in quanto somma delle scelte espressive/elementi espressivi che compaiono nel testo”. Quindi siccome spetta all’autore implicito anche la costruzione della figura del narratore in ciascuna opera può capitare che si costruisca un’immagine diversa di autore implicito a seconda delle opere sue che stiamo leggendo. Certamente una cosa che possiamo aggiungere per concludere è che è più facile se mi immedesimo nella figura di un autore piuttosto che nella figura del narratore. La figura del narratore è un elemento tecnico che io devo sapere eventualmente riconoscere ma che riconduco facilmente all’identità autoriale. È all’autore che mi affeziono e non alla voce narrante di questo o di quel romanzo. LETTORE IMPLICITO: Per Booth se c’è un autore implicito (implied author) c’è anche un lettore implicito (implied reader) e anche in questo caso noi ci muoviamo all’interno del testo. Cos'è questo lettore implicito? È l’immagine di pubblico di destinatari più o meno delineati e specifici che l’autore si costruisce man mano che procede nel suo lavoro testuale cioè sembra abbastanza sensato pensare che a seconda delle strategie che mette in atto l’autore implicito otterrà una certa immagine idealizzata di pubblico/lettore. Un lettore che potrà essere più o meno competente, con certi gusti, magari con certe inclinazioni culturali o ideologiche (per fare qualche esempio è lecito affermare che il lettore implicito dei testi di Agatha Christie – scrittrice poliziesca inglese – abbia delle caratteristiche molto ampie e indifferenziate cioè le strategie messe in atto da Agatha siano a tal punto apprezzate e comprensibili da platee cosi ampie da produrre un lettore implicito molto ampio e differenziato magari che ha certi gusti particolari: il gusto per la conduzione logica di un’inchiesta, un certo gusto per il cosmopolitismo (per cui sembra Inghilterra pero i romanzi sono ambientati in tutte le parti del mondo – “Orient express” tutto il caso discusso a bordo di un treno che sta andando verso l’oriente). Se invece io penso alle strategie messe in atto, sempre sul terreno del romanzo poliziesco, da un autore come carlo Emilio Gadda penso cioè al suo romanzo “Il pasticciaccio brutto di via Merulana” qui l’immagine ideale di lettore cambia abbastanza significativamente. Quello che per Agatha è un lettore ampio e indifferenziato che solitamente viene selezionato sulla base per un certo gusto logico deduttivo e cosmopolita, nel romanzo di Gadda si trova tutt’altro. Una commistione di lingua, dialetti, codici, sottocodici. Una vicenda che non si snoda per via logica tanto è vero che l’inchiesta che viene condotta dal commissario Ciccio Ingravallo che è il protagonista, non arriva neanche a conclusione – alla fine non si capisce chi ha ammazzato la donna: Liliana Balducci. Il romanzo resta inconcluso. E quindi a parità di pubblico dedito al romanzo poliziesco pur tuttavia le strategie messe in essere da questi due autori diversi nei loro testi prefigurano delle immagini di lettore molto differenti. E chi è che deve individuare quali sono i tratti di questo lettore implicito? Chi i testi li studia: il critico, lo storico della lettura, è colui che maneggia analiticamente un testo in ciascuna sua parte che dall’insieme delle strategie messe in essere può ricavare un’idea di lettore implicito nel testo. Anche qui è evidente che una volta individuato il lettore implicito all’interno del testo questo non vuol dire necessariamente che questo lettore implicito diventi pubblico reale. Pensate a un evento come quello di Harry Potter: il lettore implicito è ben chiaro: sono gli adolescenti desiderosi di avventure fantastiche. Questo è il lettore implicito che posso ricavare dall’insieme delle strategie: un certo linguaggio semplice, protagonisti adolescenti, maghi, maghetti. Però capita che questa saga ha venduto milioni di copie in tutto il mondo anche a persone che non sono adolescenti ma che hanno voluto rivangare la loro adolescenza o che hanno voluto leggere per prima loro ciò che dovranno leggere i figli. Sta di fatto che il caso di Harry Potter è un esempio clamoroso di quello che gli editoriali chiamano il crossover ovvero un prodotto letterario che nasce secondo un progetto abbastanza definito ma che poi nell’incontro con i pubblici reali deborda, va molto oltre. La stessa cosa forse per i galli di Camilleri che sono gialli di crossover perché in realtà poi li leggono anche fasce estese di pubblico che non li leggono perché sono dei polizieschi ma perché gli piace Montalbano, gli piace come scrive Camilleri. Non confondiamo il lettore implicito a cuoi pensa Wayne Booth con il pubblico reale. LA FIGURA DEL NARRATARIO: Facciamo un passo in più. Per concludere un po’ questa nostra casistica c’è un’altra figura che noi dobbiamo considerare. La narratologia canonica è quella che ha individuato quasi subito una figura che non va confusa con l’autore implicito e non va confusa con il narratore. Questa figura si chiama narratario. Cos'è questo narratario? È un’immagine più o meno convenzionale di lettore che noi percepiamo però dentro nel testo. Che ha delle spie di presenza piuttosto precise. Qui ci sono due scuole: [Pischedda segue il pensiero della seconda scuola]  qualunque testo narrato prevede un ascoltatore/lettore e quindi in questo senso potremmo dire che ciascun testo narrativo prevede un narratario  Non tutti i romanzi prevedono un narratario: alcuni sì e altri no. Se lo prevedono io trovo materialmente le tracce testuali di questo narratario (es. Sapete come inizia il romanzo Moby Dick nella traduzione di Cesare Pavese? Nel testo americano era: “My name is Ismael”, Pavese l’ha tradotto più efficacemente con “ChiamateMI Ismaele”. Chiamate voi Ismaele. Quel verbo di seconda persona plurale è il segno del narratario. È cioè il testo che in qualche misura presentifica con elementi linguistici precisi colui a cui si sta riferendo (quasi una platea di ascoltatori/lettori). È quindi l’immagine più o meno convenzionale di lettore/ascoltatore che l’autore può decidere di inserire o meno nel suo testo. (esempi: alcuni romanzi prevedono un narratario piuttosto marcato e diffuso all’interno del testo. Se si prende per esempio un romanzo complicato, sgradevole da leggere in certe sue parti, inconcluso e volutamente allo stato nascente, non definito come per esempio “Petrolio”. Era un romanzo che Pasolini stava scrivendo più o meno negli ultimi anni della sua vita e che verrà pubblicato molto dopo la sua morte nel 92. “Petrolio” è una specie di canovaccio, di brogliaccio ancora non ben definito. Tanto più è complicato muoversi dentro questo brogliaccio tanto più Pasolini mette in gioco la figura del narratario cioè lo fa percepire testualmente dentro al testo con frasi più o meno come le seguenti: • “preferisco dirlo subito al lettore”, • “il lettore, dunque, non si illuda”, • “il lettore mi perdoni se lo annoio”, • “è comprensibile che il lettore resti un po' disorientato” • “del resto il lettore colto si sarà già accorto che” LA FUNZIONE STERNE: Qui Pasolini fa appello al narratario nella sua funzione istituzionale. Sembra evidente l’intento provocatorio che c’è dietro questa continua chiamata in causa del narratario cioè tanto più il romanzo è complicato, inestricabile volutamente perché è quello a cui sembra tendere Pasolini, sperimentalmente, è il romanzo illeggibile. Tanto più c’è questo progetto di rottura drastica del canone della leggibilità tanto più ironicamente chiama in causa il lettore nella funzione sua più istituzionale. Qui però una traccia letteraria a livello proprio del narratario noi la abbiamo. Chi ha giocato più massicciamente nella storia della letteratura contemporanea sul tasto del narratorio è uno scrittore, romanziere irlandese che si chiamava Laurence Sterne. Nel suo romanzo più celebre che si intitola: Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo (poi passato come Tristram Shandy). E cosa succedeva? È il tentativo di costruire una autobiografia che non avrà mai fine. È solo per raccontare come è stato concepito passano 200/300 pagine. È palesemente un romanzo esplosivo e paradossale. Dentro questo romanzo esplosivo e paradossale la chiamata in causa del narratario è continua anche in maniera plateale e ridicola: a un certo punto si sta raccontando questo e quello e il narratore dice "aspettate un attimo che devo chiudere la finestra perché mi arriva uno spiffero sulla schiena e che non vorrei che mi potessi ammalare” e si conclude il capitolo così. Viene chiamato in causa il lettore per giocare un po' con lui e per prenderlo un po' in giro. E questa sarà chiamata la funzione Sterne. La funzione Sterne è quella di prendere il romanzo con le sue architetture già abbastanza consolidate, perché questo è un romanzo del 700, quindi il romanzo moderno ha già mosso i primi passi, si è appena assestato che arriva sterne e comincia a ridicolizzarlo attraverso la funzione del narratario. Quindi Pasolini sicuramente occhieggia un po' a questa funzione Sterne quando così insistentemente chiama in causa il lettore. Però questa è una possibile strategia di utilizzo del narratario ce ne sono tante altre. impassibile si gioca un discrimine storiografico piuttosto importante perché è più tipico del romanzo realista 800esco il narratore intrusivo ed è più tipico invece nel romanzo naturalista/verista del secondo 800 il narratore impassibile. Il narratore impassibile o impersonale è un narratore che fa un po' di tutto per nascondersi. C'è perché è inevitabile che ci sia, ma tutto al contrario di Dickens, Tolstoj e Manzoni, non vuole fare sentire che c’è e come la pensa. Questa in ottemperanza a un’idea di tipo scientifico cioè questi narratori del naturalismo e verismo (capostipiti: Flaubert in Francia e Verga, verista, de “I Malavoglia”, in Italia) avevano come scopo quello di presentare le vicende e la realtà così come si manifestava nella sua oggettività scientifica. Sotto ci stavano le ideologie positivistiche, le filosofie del positivismo, le teorizzazioni della medicina e della sociologia. L'idea era quella di fare del romanzo una specie di esercizio scientifico, di esperimento (e non nel senso di sperimentare a livello artistico ma proprio in senso scientifico). Impassibilità= convinzione che la realtà debba essere rappresentata secondo criteri “scientifici”. Quando Zola ,che in Francia è il teorico maggiore del naturalismo, raccoglie suoi scritti attorno al romanzo per farci intendere che è un romanzo che non ha può a che fare con il romanticismo, con i modi effusivi sentimentali e ideologici del periodo primo ottocentesco ma è un altro tipo di romanzo, raccoglie questi suoi scritti sotto un titolo molto semplice "Il romanzo sperimentale”(è una raccolta di salmi che esce nel 1871 e vi sono contenute le teorizzazioni maggiori riguardo ciò che noi chiamiamo naturalismo). La famosa lettera che Verga scrive a Salvatore Farina introducendo una novella che si chiama "L'amante di gravigna”. C'è una lettera dedicatoria a Salvatore Farina, in cui Verga tira fuori il nocciolo della sua scrittura:” Bisogna fare come se l’opera d’arte si facesse da sé” senza, cioè, l’intromissione di nessuno, men che mai del narratore, senza intromissioni ideologiche di nessun tipo: la realtà va rappresentata così com’è senza intromissioni. Questo è l’ideale positivistico scientista che sta dietro alla svolta naturalistico-verista. Ed è da qui che nasce l’idea del narratore impassibile/impersonale. Il maggior teorico del naturalismo è Zola, il romanziere che ha realizzato più puntuale l’idea dell’impassibilità è Flaubert. Quando quest’ultimo nel 57 pubblica “Madame Bovary”, lo prendono e lo portano in tribunale perché la madame Bovary la dava via. Ma perché nei romanzi precedenti non c’erano delle porcellate simili? Certo che c’erano, anche più spinte. Ma allora perché portano a processo Flaubert? Perché questo adulterio più o meno romantico ma anche disperato della Bovary non era oggetto di nessun commento da parte del narratore e quindi la dirompenza dell’opera era maggiore. La vicenda racconta nella sua nudità oggettiva e questo era molto più destabilizzante di quanto capitava prima. Narratore intradiegetico: Quando il narratore è interno al mondo narrato(omodiegetico) solitamente vi sono due casi:  O il narratore racconta vicende che sono capitate ad altri perché lui le ha viste, le ha potute considerare e quindi ce le può riportare. In questo caso lo chiameremo narratore testimoniale. È un narratore che funge da testimone: è dentro il mondo narrato, ma non racconta di cose che coinvolgono lui in prima persona (magari lo coinvolgono ma non è lui il protagonista). Es “Moby Dick”: Ismaele non è il protagonista: è il marinaio che è riuscito a sopravvivere. I protagonisti sono Achab e la balena bianca. Ismaele è l’unico che si salva e che vuole riportare questa vicenda  Dall'altra parte abbiamo il narratore protagonista per esempio Zeno. È lui che racconta la sua propria vita. E la sua vita è il fulcro di tutto il romanzo che non a caso s’intitola con il suo nome. In questo caso quando abbiamo un narratore che diventa interno ma protagonista allora alcuni chiamano questo narratore autodiegetico Riassumendo abbiamo posizione extradiegetica che si dice anche eterodiegetica e abbiamo una posizione intradiegetica che si chiama anche omodiegetica. Quando siamo nel caso in cui il narratore è interno ma è anche lui protagonista possiamo definirlo autodiegetico. LA FIGURA DEL NARRATORE NEL 900 DEFINITO DA BOOTH: Questo narratore esterno e interno lo abbiamo considerato più o meno fino all’800 poi nel 900 (secolo di sperimentazioni, novità, modernism e l’avanguardia) succedono altre cose. Emerge la possibilità che questo narratore non sia perfettamente credibile, anzi a volte è il narratore che cerca di ingannarci. È qui che interviene Booth distinguendo un narratore attendibile, parzialmente attendibile o inattendibile. Il narratore della coscienza di Zeno è inattendibile. C'è un altro fenomeno ovvero di romanzi dove ci sono narratori multipli e il caso più clamoroso è quello dei promessi sposi che riprendeva un artificio (artificio non inventato da Manzoni ma che anche altri romanzieri della prima metà dell’800 ne facevano uso ovvero quello del narratore multiplo). Il narratore multiplo nasceva dall’artificio del manoscritto ritrovato. Una volta che c’è il manoscritto ritrovato c’è un narratore che ha scritto il manoscritto che chiameremo narratore di primo grado e poi questo manoscritto va in mano a un altro che lo interpreta, lo aggiusta e lo spiega e diventa il narratore di secondo grado. È questo quello che succede ai promessi sposi: c’è un dilavato manoscritto di anonimo 600esco che cade nelle mani di un anonimo 800esco che dice guarda è scritto con i piedi però la storia è bella e merita di essere sviscerata bene e quindi prende in mano le redini del racconto in funzione di narratore di secondo grado. . Quindi abbiamo anche i gradi del racconto e in ultimo abbiamo anche dei fenomeni di narrazioni a staffetta. Quando abbiamo queste narrazioni a staffetta? Quando c’è un narratore che porge il mondo narrato fino a un certo punto, poi subentra un certo personaggio che va avanti a parlare di quella stessa storia o di un’altra storia e cambia completamente l’asse ( si parla in questo caso di metalessi ovvero di un ribaltamento dell’asse discorsivo) e funge da narratore di 2 grado, a sua volta può passare la parola a un altro e quindi abbiamo delle narrazioni dove abbiamo narratore di 1,2,3 grado etc. Abbastanza comune questo artificio artificioso e stucchevole però ha avuto un certo corso nella narrativa italiana del periodo scapigliato. La Scapigliatura faceva uso abbastanza di frequente di questi giochi sul narratore (non sapevano cosa fosse categorialmente cosa fosse un narratore). spesso indistinguibile: sono voci che corrono tra gli abitanti di Aci Trezza → fondamentale nel romanzo è quindi la figura del coro Il discorso indiretto libero è pieno di artifici e di scelte retoriche. Questo tipo di discorso partecipa ad entrambi i tipi di discorsi precedenti (diretto e indiretto) oscillando tra essi → l’obiettivo è quello di rendere le parole dei personaggi anche coloritamente e precisamente ma in modo che il narratore scompaia, come se l’opera d’arte si fosse fatta da sé PUNTO SESTO 4. Nel novecento in maniera più o meno rapida viene assimilata la nuova disciplina psicoanalitica derivante dalla psicanalisi freudiana che comporta ulteriori possibilità per lo scandaglio delle coscienze dei personaggi e per il modo di rappresentarle → dopo Freud si afferma l'idea che la coscienza sia stratificata e che possa essere più o meno presente alla mente dell’individuo a cui appartiene. Si tratta della cosiddetta topica freudiana secondo cui c’è un io consapevole di sé stesso, un super io derivabile dall’autorità paterna che si incarica di regolare i comportamenti e i pensieri eventualmente censurandoli, e l’inconscio (es) che è una realtà magmatica e informe che giace sul fondo della coscienza e che in certi casi preme per emergere ma non è perfettamente consapevole. Sulla base della topica freudiana, quando si tratta di rappresentare la coscienza dei personaggi si utilizza la tecnica del monologo interiore anche detto flusso di coscienza. Esso può essere rappresentato a maggiori o minori gradi di radicalità ma il concetto su cui si basa è sempre quello dell’irrompere nella vita psichica del personaggio nel mezzo delle vicende narrate → il personaggio interviene con il suo carico di idee più o meno consapevoli che stanno nel fondo della sua individualità. Testimonianze di questa tecnica sono date dal modernismo → nell’Ulisse di James Joyce troviamo due esempi di flusso di coscienza a differenti gradi di radicalità: il protagonista Leopold Bloom … in cui non abbiamo verbi di parola e non avvertiamo la presenza del narratore. Le associazioni mentali delle tre frasi del passo sono espresse in discorso diretto senza virgolette e infatti abbiamo il tempo presente e la prima persona → il legamento di queste è di tipo associativo e non logico-causale → abbiamo così un allontanamento dai criteri logico-consequenziali ma ci avviciniamo a quelli dell’associazione libera anche se vengono mantenuti i segni interpuntivi. In un altro passo del romanzo in cui parla la moglie del protagonista, Molly Bloom, invece, abbiamo un esempio in cui viene scardinata totalmente la sintassi → si fa ricorso alle tecniche dell’alogicismo e dell’asintatismo per rappresentare il flusso di coscienza La focalizzazione La focalizzazione riguarda i modi e le angolazioni in cui ci viene rappresentato il racconto. L’adozione di particolari focalizzazioni diventa decisiva e porta a percezioni differenti, può cambiare l’effetto globale del testo. Abbiamo tre casi di possibile localizzazione: 1. Focalizzazione interna 2. Focalizzazione esterna 3. Focalizzazione zero o racconto non focalizzato PRIMO CASO: FOCALIZZAZIONE INTERNA Il narratore decide di adottare il punto di vista di uno dei suoi personaggi, sapendo ciò che lui sa e nulla di più, vedendo attraverso i suoi occhi e avendo i suoi pensieri. Un esempio è nei promessi sposi, in cui abbiamo la descrizione di Renzo della Milano durante la rivolta del pane → qui il narratore è extradiegetico onnisciente perché ci dà conto dei pensieri di Renzo, ma decide di presentarci la scena con gli occhi del personaggio. Domina il senso della vista ma viene presentato anche il gusto (Renzo assaggia la farina), il ragionamento e quindi la mediazione logica del personaggio. Possiamo avere tre casi di focalizzazione interna: 1. Focalizzazione interna fissa se il narratore adotta per tutta l'opera il punto di vista di un solo personaggio 2. Focalizzazione interna variabile se il punto di vista cambia e si insedia in vari personaggi nel prosieguo del racconto 3. Focalizzazione interna multipla se si vede una scena da punti di vista diversa → può capitare nel romanzo epistolare del settecento SECONDO CASO: FOCALIZZAZIONE ESTERNA Nel caso della focalizzazione esterna il narratore si limita a descrivere il vissuto dei personaggi traendosi al di fuori del mondo narrato → affinché ci possa essere focalizzazione esterna il narratore deve essere il contrario di onnisciente, ovvero a prospettiva parziale → ci offre le vicende allo stesso livello dei personaggi che le vivono. Un esempio si trova in “mutamento al mare” di Hemingway TERZO CASO: FOCALIZZAZIONE ZERO La focalizzazione zero non è semplice da definire e si ha quando non si può cogliere una strategia organicamente costruita nell’adozione di punti di vista precisi e duraturi. Si figurano quindi costanti cambi di focalizzazione → il narratore ha a sua disposizione più informazioni del personaggi ed è quindi onnisciente ma non ci consente una esatta localizzazione del punto di vista perché questo è in continuo mutamento LEZIONE 10 10\02\2023 Si parla di narratologia, di questioni di tempo o di durata. Per analizzare quest’ultima dobbiamo distinguere il rapporto tra il tempo della storia e il tempo del discorso o del racconto. Tempo della storia: misura accertabile di tempo entro cui si svolgono tutte le vicende raccontate nel racconto o nel romanzo. es. l’Ulisse di Joyce si svolge in un giorno solo, mentre l’Odissea dura 10 anni. Non sempre è accertabile, come nella Coscienza di Zeno è difficile da capire se non per il cambio di stazione, eventi storici e avvenimenti che ci permettono di individuarlo. Tempo del racconto / discorso: quello che ipoteticamente noi ci metteremo a leggere le parti del testo che andremo a esaminare. Quindi si tratta di un rapporto tra un tempo concreto e uno variabile. Tempo variabile: il narratore decide quanta estensione dare a un certo evento. Egli può decidere di omettere certe vicende o di riassumerle e tutto questo cambia il rapporto tra il tempo della storia e il tempo del racconto. Abbiamo individuato 5 possibilità fondamentali della durata: • Scena dialogata • Sommario • Ellissi • Pausa • Estensione Ognuna di queste prevede un differente rapporto tra tempo della storia e tempo del racconto. ● LA SCENA DIALOGATA: vi si trova una sostanziale identità tra tempo della storia e tempo del racconto, TS=TR, perché la durata delle scene rappresentate (per lo più di tipo dialogico) coincide con il tempo che ci si mette per leggere, comprendendo testi, parole e pensieri del protagonista, che vengono rappresentati in modo mimetico. La scena dialogata è quella porzione di racconto, di romanzo, che più riconduce alla situazione drammaturgica. ● SOMMARIO: Nel sommario il narratore sintetizza o riassume in poche parole eventi che possono essersi protratti per un tempo storico lungo, anche per anni. es. il sommario che troviamo nel romanzo “Educazione sentimentale”, in cui un giovane della provincia negli anni ’40 dell ‘800 a Parigi si innamora perdutamente di una donna sposata, Madame Margot (la sera sotto le finestre va a vedere quando accende o spegne la luce finché si accorge che l’indirizzo è sbagliato). Questa donna ricambia il suo amore ma lui se ne accorge soltanto quando da vecchio ritorna nel suo paese d’origine. Nel testo, in un celebre sommario dice: “Viaggiò. Conobbe la malinconia dei piroscafi, i freddi risvegli sotto la tenda, l’incanto dei paesaggi e delle rovine, l’amarezza delle simpatie troncate. Ritornò, frequentò la società ed ebbe ancora altri amori ma il ricordo costante di quel primo, glieli rendeva insipidi”. Vi è un tempo della storia ampio, fatto di stagioni, forse di anni, ma tutto quanto viene ritenuto non essenziale dal narratore ai fini del suo racconto e quindi lo riassume. In questo caso TS>TR. ● ELLISSI: LEZIONE 10 10\02\2023 La metrica quindi diventa sempre più rara così come la lettura metrica. Oggi abbiamo una lettura molto più libera e meno istituzionalizzata della poesia. In Europa la tradizione italiana in versi ha delle caratteristiche nazionali. La nostra tradizione è ISOSILLABICA e quindi i versi si presentano in una misura costante. Per esempio se io faccio un sonetto i suoi 14 versi devono essere endecasillabi, ovvero isometrici. Il termine opposto all’ ISOSILLABISMO è ANISOSILLABISMO. Un esempio di tradizione ANISOSILLABICA è la Spagna con la produzione castigliana e in particolare con il testo “ Cantar del mio sid”, in cui i versi vanno dalle 10 alle 20 sillabe. Quando la poesia religiosa e la poesia giullaresca avevano già aspetti di ANISOSILLABISMO, a partire dal '200, la tradizione italiana diventa ISOSILLABICA. Elementi fondamentali del verso italiano Il verso italiano si regola da un lato sulla sillaba metrica o posizione e dall’altro sull’ accento metrico o ictus (dal latino, battuta). Il numero di queste sillabe metriche o posizioni determina la struttura metrica del verso, cioè il numero delle sillabe metriche o delle posizioni determina il fatto che si tratti di un endecasillabo oppure di un novenario o di un settenario o ancora di un dodecasillabo o di un quinario. Queste strutture metriche sono determinate dalla dimensione metrico-accentuativa, cioè da quante posizioni e da quanti accenti o ictus posso contare. Mentre la struttura metrica determina la misura del verso, la posizione e il numero degli ictus determina la struttura ritmica del verso. Le posizioni possono essere deboli o forti: se la posizione è forte si mette p+, se è debole p-. ICTUS : accento metrico; nell'Italiano gli accenti sono: ● accento grammaticale o ortografico (se non si mette correttamente l’accento grammaticale si parla di errore d’ortografia); ● accento fonico: riguarda due vocali, la “e” e la “o” di cui bisogna distinguere se si tratta di accenti aperti, cioè gravi, o chiusi, cioè acuti. Questa distinzione va marcata anche graficamente: “perché” è acuto mentre vi è una differenza tra pésca e pèsca (uno è il frutto, l’altro nome è un’attività, indica l’azione di pescare). Questo tipo di accento si trova nei dialetti. ● accento tonico: riguarda tutte le parole con almeno tre sillabe e tutte le vocali. L'italiano, ad esempio, è una lingua parossitona, in cui l'accento tonico cade sulla penultima sillaba (amore). Ci sono anche parole proparossitone dove l’accento tonico cade sulla terzultima sillaba (albero) oppure ossitone in cui l’accento cade sull'ultima sillaba, come accade per tutti i passati remoti (andò, parlò) e per alcune congiunzioni (perché, affinché, su quest’ultima ho la coincidenza di un accento grammaticale, fonico e di un accento tonico). ● accento metrico: si ha quando nella struttura del verso devo indicare un ritmo con cui viene letto (nell'endecasillabo devo distribuire quattro accenti metrici, l'ultimo è obbligato ma gli altri tre li devo decidere). POSIZIONI: considero il verso “in forma dunque di candida rosa”. Si tratta di un verso endecasillabo perché prendo il verso e lo distinguo in sillabe forti e deboli: in → p- (debole) LEZIONE 10 10\02\2023 for → p+ (forte) ma → p- (debole) dun → p+ (forte) que → p- (debole) di → p- (debole) can → p+ (forte) di → p- (debole) da → p- (debole) ro → p+ (forte) sa → p- (debole) Se io dovessi dare una rappresentazione schematica di questa struttura sillabica direi p1 debole, p2 forte, p3 debole, p4 forte, p5 debole, p6 debole, p7 forte, p8 debole, p9 debole, p10 forte. p→ posizione Sillaba residua : la definizione scolastica per cui l'endecasillabo è un verso di 11 sillabe o il novenario di 9 sillabe non è sufficiente. Bisogna individuare le sillabe che hanno una rilevanza metrica. Nel decasillabo le sillabe che hanno rilevanza metrica sono 10, se c’è una sillaba in più o due sillabe in più o tre non importa perché il decasillabo termina sull'ultimo accento, sull’ultima posizione forte. In questo caso la parola è “rosa”, la sillaba forte è “ro” e lì cade l'ultima posizione. Ciò che viene dopo è accessorio alla struttura metrica. Il cancelletto (#) indica l'inizio e la fine della struttura versale # p1 p2 p3 p4 p5 p6 p7 p8 p9 p10 # → fine della struttura metrica (può esserci una sillaba in più o due sillabe in più o tre ma l’ultimo accento tonico determina p10) Quindi l'endecasillabo è un verso di 10 posizioni, l'ultima delle quali forte; il novenario è un verso di 8 posizioni, l'ultima delle quali forte; il settenario è di 6 posizioni, l'ultima delle quali forte ecc… Affinché si riesca a individuare questa griglia di posizioni, all'autore e quindi al lettore che deve realizzare il verso, si rendono disponibili quattro figure metriche: ● sinalefe ● dialefe ● sineresi ● dieresi Queste figure metriche si definiscono obbligatoriamente quando all'interno del verso ci sono incontri di vocali tra parole diverse. Ad esempio nel caso della parola “visione” per interpretare correttamente il verso devo decidere se farne 4 sillabe o posizioni (vi-si-o-ne) o se farne 3 (vi-sio-ne); se decido per la soluzione 4 sto applicando una figura metrica chiamata dieresi; al contrario applico la sineresi. Di norma quando abbiamo una sineresi gli editori moderni mettono due puntini sulla vocale che viene tenuta insieme, in questo caso sulla “i”. Questa decisione viene fatta sulla base del fatto che riconoscendo l'endecasillabo so che deve avere 10 sillabe e quindi decido se sia dieresi o sineresi e ciò ricade sul fatto che devo avere 10 sillabe e di conseguenza leggo in maniera diversa. Analogamente quando abbiamo l'incontro di parole diverse che si incontrano con vocale devo decidere la figura metrica: nel caso di un incontro di parole in cui una finisce con vocale e la successiva inizia con vocale vi è un incontro di vocali e devo decidere tra una figura di legamento, sinalefe, o una di separazione, dialefe. LEZIONE 10 10\02\2023 Questo accade in una tradizione isosillabica in cui i versi o gli endecasillabi di una canzone devono avere una struttura metrica uguale e quindi vanno utilizzate le figure metriche citate. Ci sono però nella tradizione italiana ottocentesca o novecentesca delle escursioni anisosillabiche, ovvero degli autori che non rispettano perfettamente la tradizione dell’ isosillabismo ma la amareggiano. L'anisosillabismo italiano prevede altre figure metriche (si tratta di una via di mezzo, ci sono delle libertà in più): ● anacrusi mobile: aggiunta di una o due sillabe (posizioni) deboli a inizio verso o a inizio del secondo emistichio che è la metà del verso (un endecasillabo è composto da due emistichi) ● acefalia: consiste nella sottrazione di una sillaba a inizio verso; ● sinafia o episinalefe: particolare forma di anacrusi molto utilizzata, consiste nel far passare inosservata l'irregolarità della struttura metrica perché si considera nel computo delle posizioni e nella recitazione, come quando il verso inizia per vocale e la vocale di inizio è collegata all’ ultima vocale del verso precedente (è come se si trattasse di una sinalefe tra versi diversi). Questi accorgimenti anisosillabici vengono utilizzati da Pascoli e poi anche da Pasolini nei poemetti. Ognuno di questi artifici metrici dovrebbe produrre una particolare esecuzione del verso. La tradizione metrica è una tradizione tendenzialmente normativa, però questa tradizione normativa che noi chiamiamo metrica italiana subisce delle trasformazioni. Per esempio se prendo i generi metrici della canzone o del sonetto devo sapere che la strofa comporta anche dei vincoli di rima. Nel sonetto le prime due quartine sono a rima alternata e le due terzine finali sono incatenate o abbracciate a scelta mentre la struttura ritmica dà luogo alla melodia poetica. Già nell'800 queste strutture ritmiche vengono messe in discussione e nasce il verso sciolto (da un legame di rime). Un caso di versi sciolti nell’800 è “L’ infinito” di Leopardi, dove vi sono endecasillabi sciolti dal legame di rima (le rime sono in mezzo al verso), ma anche i versi dei “Sepolcri” di Foscolo sono endecasillabi sciolti. Nel '900 succede qualcosa di più radicale, interviene il verso libero che è diverso dal verso sciolto e si afferma nei primi anni del '900. Questa espressione generica indica posizioni poetiche che non obbediscono né alle regole dell'isosillabismo tradizionale né ai moduli della metrica barbara perché nella seconda metà del ‘800 Carducci nelle Odi barbare, con la metrica barbara, vuole ripristinare nella tradizione dell’italiano che è una lingua accentuativa perché regolata dall'accento tonico, vuole recuperare nella poesia italiana la ritmica quantitativa del greco e del latino. Si tratta di un esperimento classicista. Ne risultano componimenti che non obbediscono più alla tradizione isosillabica italiana. Il verso libero può assumere diversi aspetti: ● polimetria: in essa interviene l'imprevedibilità assoluta del tipo di versi. Qui si infrangono tutte le tradizioni strofiche. Un esempio è la poesia Falsetto di Montale, che si trova nella raccolta Ossi di Seppia, dove un verso è diverso dall'altro; ● anisosillabismo: un esempio è il poemetto Le ceneri di Gramsci che è caratterizzato da versi più lunghi o più brevi acconciati con figure metriche quali anacrusi, sinacrusi e acefalia; ● riadattamento della metrica barbara: qui vi è un’ alternanza di versi molto lunghi regolati in chiusura. Sul finale rispetta il cursus quantitativo delle lingue classiche. Un esempio è Notizie dall'Amiata di Montale (qui egli ragiona sulla metrica barbara); dell’ermetismo (ad esempio Saba). Giovannetti fa lo sforzo di tenere insieme fascio di variabili ch possono andare in controtendenza. Abbiamo 3 ipotesi o prospettive per la poesia italiana della prima metà dell’ ‘800: 1) Centralità dell’esperienza ermetica Questa poesia nasce, sorge e si sviluppa sotto il fascismo. Si sviluppa in una doppia facies/atteggiamento perché la rivendicazione di assolutezza e scioglimento da contingenze storico-politiche esistenti vale da un lato come estraneità al regime fascista (elemento che i poeti ermetici e critici di questo tipo di poesia soprattutto sottolinearono), d’altra parte anche dichiarandosi estranei al regime fascista si sottrassero alle responsabilità civili che esso comportava. Ungaretti (che fu uno degli autori più di spicco di questa tendenza ermetica) è stato molto vicino al fascismo fino ad ottenere anche delle cariche prestigiose (per esempio divenne professore di letteratura italiana all’università di Roma grazie ad un decreto fascista. Diventò professore per chiara fama). Il primo libro di Ungaretti intitolato “L’allegria” era dedicato a Mussolini (aveva con lui un rapporto di conoscenza diretta fin dalla prima guerra mondiale). Questa centralità della poesia ermetica quindi può essere articolata in due modi: da un lato hanno il coraggio di astrarsi dalla retorica e dall’ideologia fascista, dall’altro lato non si caricano di nessuna responsabilità civile in opposizione al regime (ovviamente ci saranno critici che la vedono da un lato e critici che la vedono dall’altro). 2) Prospettiva avanguardista In questa seconda prospettiva, a dominare è soprattutto il rifiuto della lingua tradizionalmente poetica che in maniera secolare si era consolidata in Italia con atteggiamenti di tipo gradualmente nuovisti/avanguardisti, versati a sperimentazioni ancora inaudite. 3) Modernità poetica che risulta da differenti fattori e spesso eterogenei (prospettiva che pare che Giovannetti sposi in maniera più convinta) Pensiamo al contributo che a questa nuova lirica novecentesca portano autori non avanguardisti come D’Annunzio e Pascoli (che introducono significative novità nel quadro italiano). Pensiamo ad un poeta che introduce elementi apparentemente tradizionali come Saba. Pensiamo al fiorire piuttosto marcato (già negli anni ’30 e ’40) alla poesia dialettale (in questo modo si esprimeranno grandi poeti del ‘900). Ancora si pensi all’esperimento tentato da Cesare Pavese: nel ’36 dà alle stampe una sua raccolta di poesie intitolata “Lavorare Stanca” che comprende testi poetici in cui l’elemento dominante è il verso lungo all’americana (secondo il modello proposto a metà dell’ ‘800 in America da Walt Whitman con il suo poema più celebre “Foglie d’erba”). Pavese si era laureato con una tesi su Whitman e il suo primo progetto espressivo era di tipo poetico narrativo con l’utilizzo del verso lungo Whitmaniano. Secondo Giovannetti quindi la modernità lirica novecentesca italiana si sviluppa su un fascio di varianti talora tra di loro eterogenee, ma che convergono in un sostanziale svecchiamento del quadro poetico. Giovannetti prova ad indicare, all’interno di questo globale movimento fitto di interventi vari ed eterogenei, quali sono quelle che potremmo considerare le invarianti formali di questa nuova tradizione della modernità poetica: 1)Problema della enunciazione poetica c’è un indebolimento del soggetto portante (il cosiddetto io lirico o io poetico). Dopo Baudelaire c’è un fenomeno per cui il personaggio/autore del testo poetico dice un critico: “si trincera dietro una fitta trama di metafore e di formule incantatorie”. L’io lirico/poetante nella tradizione della modernità comincia a perdere una identità immediata e riconoscibile. Nella prima parte del ‘900 intervengono le avanguardie (da noi massimamente futuriste) che hanno come progetto fondamentale quello della riduzione dell’io lirico ( che sente, vede, prova, soffre, si conduole…). C’è una riduzione di questo fascio di sensibilità emotive a favore degli esistenti della poesia (gli oggetti/la materia). Così fa anche la tradizione propriamente ermetica che dalla figura centrale dell’io poetante trasferisce spesso l’attenzione del lettore su una fitta rete di sensazioni, associazioni, intuizioni che diventano il vero nervo della testualità ermetica, a discapito di un io che le governa tutte queste sensazioni. Anche un autore come Saba, che fa dell’autobiografismo poetico un suo punto forte, quello che rappresenta non è un io integro, ma un io scisso, frammentato, in qualche misura polverizzato nel suo tentativo di orientarsi nel mondo. Ci sono anche qui degli elementi di controtendenza: da un lato abbiamo un indebolimento del soggetto poetante che però trova degli elementi di ricomposizione a livello macrotestuale. Se prendo i singoli testi poetici non posso che osservare questo indebolimento progressivo dell’io lirico, ma se considero la testualità tipica del ‘900m poetico vedo che si innescano dei processi di controtendenza: è del ‘900 per esempio la formula del libro poetico, da non confondere con il canzoniere alla Petrarca (per esempio “Ossi di seppia” è un libro poetico); oppure va in auge nel ‘900 il libro delle antologie o delle auto antologie poetiche. Sia nel caso del libro di poesia sia nel caso delle antologie/auto antologie viene potenziato all’interno di questo macrotesto l’identità dell’io che in esso è contenuto. Nel caso del libro di poesia per una serie di contenuti che diventano organici a quel testo e che inevitabilmente rinforzano l’immagine di io poetante. Nel caso dell’antologia o dell’auto antologia, cioè del poeta che ad un certo punto raccoglie le sue poesie ne fa una scelta, l’identità del poeta risulta potenziata. Un esempio di auto antologia è “Ed è subito sera” in cui Quasimodo fa una scelta tra le migliori poesie che ha composto. 2)rapporto tra le lingue e la retorica Tra la fine dell’ ‘800 e i primi del ‘900 si assiste alla morte della lingua poetica ereditata, cioè della lingua di poesia come istituto separato che viene contrapposta alla lingua della prosa (almeno da Petrarca e Bembo in poi c’ è una lingua della poesia ed una della prosa che dura almeno fino a Leopardi e Carducci). Ci sono parole che possono essere usate in poesia e altre in prosa: uccello in prosa e augello in poesia. Bembo nel ‘500 sancisce che la lingua della poesia è quella di Petrarca. I due istituti non sono sovrapponibili. Avviene la morte del lessico separato a partire dalla fine dell’ ‘800. Da quel momento domina una sorta di prosaicizzazione del verso con un tendenziale riavvicinamento della lingua della poesia alla lingua orale. Questo perché da un lato vengono meno le classiche ripartizioni interne della poesia (il sottogenere didascalico, religioso… Tutti questi sottogeneri producevano varianti espressivi). Si riduce tutto ad un macrogenere lirico che ha una lingua che si prosaicizza sempre di più. Dall’altro lato cadono le partizioni tra registri espressivi alti e bassi. Nell’ ambito del macrogenere lirico il poeta può variare ed intervenire come meglio crede, mescolando o privilegiando questo aspetto di tipo prosastico. Anche qui ci sono delle controspinte: la presenza per certi versi classicheggiante di autori come D’Annunzio e Pascoli che si manifestano all’interno del secolo. Pensiamo per D’annunzio a tutti gli arcaismi, latinismi, grecismi che introduce nella poesia novecentesca italiana. Pensiamo alla componente latineggiante che anche Pascoli introduce nella nostra tradizione (Pascoli era uno dei maggiori traduttori dal latino di tutta Europa). Il sostrato latino molto presente. Pensiamo alla persistente suddivisione nella sua produzione poetica tra poesia lirica (Myricae), poesia narrativa (poemetti), poesia civile (odi e inni). Prospettiva sia per il Pascoli sia per D’Annunzio di una novità (idea che nella tradizione ci si può trovare sempre il nuovo). Si può parlare di una codificazione dell’eversione: La spinta novecentesca è di tipo innovativo fondamentalmente. 3)esperienze metriche Nell’ambito del primo novecento anche qui tra spinte e controspinte si può raggiungere una sorta di sintesi che procede dall’ermetismo e si inoltra fino alla produzione dialettale che sembra così aliena dalla purezza del verso ermetico. Ci sono alcune invarianti introdotte all’inizio del secolo. Prima fra tutte è introduzione del verso libero con la conseguente crisi dell’isosillabismo. Alla crisi dell’isosillabismo seguono l’abbandono dei sistemi strofici tradizionali (canzone, canzonetta, sonetto, madrigale, ottava, sestina…). La crisi dell’isosillabismo coinvolge anche l’istituto della rima (la strofa si costituiva sulla base di un intreccio di rime). La rima in alcuni ambiti novecenteschi permane, ma non è più l’elemento che contribuisce al legamento versale. Giovannetti dice che in generale se vogliamo andare nell’analisi più minuta possiamo osservare alcune di queste invariabil che sono almeno 4, che prescindono dalle differenti poetiche che si svilupperanno: - permanenza dell’ alternanza tra endecasillabo e settenario, però avviene in chiave anisosillabica (quegli endecasillabi possono non essere anche più endecasillabi, quei settenari idem. Per esempio Montale, che spessissimo fa uso di questa alternanza, ci dà anche la presentazione di una poesia ormai anisosillabica; cioè questi endecasillabi possono essere ipermetri o ipometri, cioè possono essere endecasillabi più lunghi o più brevi di quello che dovrebbero essere. - crescita di importanza del verso breve. D’Annunzio ha puntato precocemente e ha introdotto in un certo senso il verso breve in Italia (nella raccolta “Alcione” fa ampio uso di versi ternari e quinari). Anche nel primo Ungaretti di “Porto sepolto” e “Allegria di naufragi” si trovano versi in un range che vanno da ternari a quinari (quindi versi medi o brevi). - verso lungo o sintattico (perché i versi lunghi solitamente comportano il fatto che il fine verso coincida con segnali di interpunzione più o meno forti come la virgola, il punto e virgola o il punto). C’è una sostanziale coincidenza tra strutture metriche e sintassi. Il verso lungo è utilizzato dai poeti connessi alla rivista “La voce” come ad esempio Piero Jahier. Anche Pavese fa uso di versi lunghi. - versi in prosa, cioè brani che sono inseriti in raccolte poetiche e sono pieni di versi. I versi in prosa sono utilizzati dal Cardarelli, ma anche da Ungaretti nelle sue prime raccolte ci sono anche brani in prosa che possono essere raccontini, frammenti di sensazioni (sono incastonati in un macrotesto a dominante poetica e quindi vengono letti con la stessa intensità stilistico linguistica propria delle poesie). Queste sono le linee fondamentali che possiamo individuare nel primo novecento. Il primissimo novecento è segnato da spinte avanguardistiche fino alla fine degli anni ’20. Dalla fine degli anni intorno e quindi: infrazioni sintattiche, asintattismo (mancanza di una qualunque riconoscibile tessitura sintattica). Visione schizomorfa della realtà, cioè visione di una realtà che bisogna vedere di sbieco, decomponendola, facendola esplodere attraverso un elemento ripreso consapevolmente dal futurismo storico: riduzione dell’io lirico. Alle fonti di questa poesia neoavanguardista c’è un testo intitolato “Laborintus” di Edoardo Sanguineti. Questo testo è un poemetto che esce nel ’56; paradossalmente è un poemetto dedicato a Pasolini, con cui di lì a poco scoppierà la lite drastica per cui ci saranno i neosperimentali da un lato (“Officina”) e i neoavanguardisti dall’altro (Gruppo 63). I neoavanguardisti cominceranno dispensare etichette a tutti gli altri autori (ad esempio definiranno Cassola e altri “le nuove Liale degli anni ’60. Liala era un’autrice di romanzi rosa. Pasolini e gli officineschi verranno definiti neocrepuscolari per sancire una distanza tra due atteggiamenti diversamente sovversivi. L’ultimo Pasolini è difficile da leggere se non sulla scorta delle neoavanguardie). Quello che “Laborintus” si proponeva era quello di indagare il caos e il magma della realtà contemporanea e di farlo attraverso istituti linguistici analogamente magmatici. Se pensiamo a “Petrolio” di Pasolini (ultimo testo prima di essere ucciso) c’è lo stesso obiettivo di indagare il caos all’interno di un testo romanzesco che non ha strutture si fa continuamente giorno per giorno. Resta il fatto che negli anni ’50 e ’60 queste due tendenze (neosperimentali e neoavanguardiste) si guardano in cagnesco e se ne diranno di tutte i colori. 4) Il Gruppo 93 ha una vita breve e una doppia testa: da un lato abbiamo la rivista milanese che si intitola “Baldus” (a cui partecipano autori come Mariano Baino, Biagio Cepollaro e Lello Voce), dall’altro lato abbiamo dal cosiddetto Gruppo KB (KB sono le iniziali del nome di un piccolo pesce) a cui partecipano Gabriele Frasca, Lorenzo Durante e Tommaso Ottorieri che è uno pseudonimo. Agli inizi il Gruppo 93 voleva essere una parodia dell’avanguardia 63. I loro intenti sono quelli di dare luogo ad una poesia non appagata e non conciliata, quindi ruvida e che vuole mordere nella realtà. Per ottenere questo si ripropongono 3 cose (completamente diverse da quelle che si proponeva il Gruppo 63): - contaminazione, cioè l’idea di fare un collage di tutte le forme poetiche precedenti. – citazionismo - uso del dialetto (magari del dialetto maccheronico in cui si segue il modello del “Baldus”) A proposito di questi tre intenti loro parlano di postmodernismo critico. Interessante è il ricorso alle forme chiuse, cioè a quelle forme metriche che tutto il ‘900 aveva contribuito a mettere in crisi o a fare saltare per aria. Sembrerebbe che con il Gruppo 93 siamo tornati al punto di partenza, cioè attraverso strategie nuove, ma che tendono a riutilizzare ciò che era stato tradizionalmente stabilito. È la prima volta che il dialetto, con il Gruppo 93, viene utilizzato come forma d’avanguardia (non il dialetto come ricorso ad un bacino di esperienze che hanno nel radicamento tradizionale e folklorico suoi elementi fondamentali, ma il dialetto viene usato come elemento di sovversione. Per quanto riguarda le metriche, 3 sono i fattori che Giovannetti individua per dare un panorama di quello che è il secondo ‘900 italiano: 1) Crisi dell’isosillabismo. È una crisi lunga che parte dagli inizi del ‘900 e si sviluppa nel corso del ‘900. Ci sono alcune convenzioni che l’isosillabismo italiano portava con sé: in un testo poetico non erano da accostare decasillabi ed endecasillabi e l’utilizzo della rima doveva servire a legare. Ora tutto questo sembra doversi superare. 2) Valorizzazione del verso in quanto unità visiva. Dice Giovannetti “il verso come qualcosa che è a valore dell’occhio”. Il verso è una riga mozza (già per questo deve colpire il fatto che sia un verso e non un rigo in prosa), ma la questione si allarga quando viene valorizzata la forma delle parole: per esempio quando con i futuristi si comincia a lavorare sui caratteri e le disposizione nella pagina delle parole (caratteri grandi, piccoli, versi messi in verticale, versi di sghembo). Un esempio può essere “Zang tumb tumb” di Marinetti. Cominciamo ad avere dei versi che devono risultare anche all’occhio; è un rinnovamento forte perché la poesia nasce come struttura ritmico fonica (le avanguardie invece ci sottopongono la possibilità della poesia per l’occhio e non per l’orecchio). Non solo i futuristi hanno questa idea: per esempio Zanzotto (grande poeta del secondo ‘900) proverà ad immaginare una testualità mista in cui ci sono organizzazioni versali più o meno tradizionali che si alternano ad icone e immagini, che danno una specie di referente allegorico di un testo poetico. 3) Rafforzarsi delle cosiddette poesie in prosa. Un fenomeno già attivo nel ‘700, poi ripreso da Baudleaire in maniera significativa. È di Baudleaire la prima raccolta che si intitola “Poemetti in prosa”. Nel ‘900, soprattutto risalendo dai cosiddetti poeti frammentisti che usavano in maniera non infrequente la poesia in prosa, risaliamo a tutto il corso del ‘900. Da questi 3 elementi metrici più radicali si sviluppano delle formazioni di compromesso fino ad arrivare al punto, dice Attilio Bertolucci (importante poeta del ‘900) che le strutture metriche diventano ininfluenti e poco considerate dagli stessi poeti che pure hanno l’obbligo di conoscerle. Bertolucci nel ’79 scrive: “La metrica non esiste più, quello che conta è il ritmo che non vuole più essere limitato dalle regole fisse della metrica anche se non deve ignorarle”. Questo è ciò che sembra essere l’approdo finale Letteratura italiana contemporanea lezione n°12 (16/03/23) prima parte Evoluzione del verso nel secondo ‘900. Precedentemente Paolo Giovannetti nel suo saggio aveva tratteggiato i fenomeni fondamentali di tipo metrico-poetico nella prima metà del XX secolo. In seguito, invece, egli ripercorre i fenomeni salienti, soprattutto dal lato metrico, del secondo ‘900, lavorando su due prospettive, su due piani di ragionamento: - Il primo è quello che muove dalla crisi conclamata della misura metrica endecasillabica, il verso canonico della tradizione italiana, quello che si regola su 10 posizioni, l'ultima delle quali forte, e su tre ictus distribuiti variamente all'interno del verso. Questa struttura metrica tanto tipica della tradizione italiana, che si affaccia anche in maniera consistente dentro il ‘900, va incontro a una crisi sempre più marcata, tanto da far emergere quello che Giovannetti definisce “l’endecasillabo per l'occhio”, un endecasillabo di misura irregolare; quindi, ci si trova all'interno di una prospettiva anisosillabica. Giovannetti definisce “l’endecasillabo per l'occhio” una sorta di alternanza non regolamentata, quindi non riconoscibile nelle sue cadenze ricorsive, di decasillabi, di endecasillabi veri e propri, ma anche di dodecasillabi. Esso può anche essere chiamato più genericamente “verso lungo novecentesco”, un verso in ogni caso eccedente le misure tradizionali. Si tratta di una scelta che si trova già abbastanza frequentata da poeti di sicuro prestigio, come per esempio Montale, nella sua ultima stagione poetica, che si concretizza con la raccolta Satura (1971), ma che si protrae anche all'interno delle ultime decadi novecentesche e delle prime decadi del 2000, per una varietà molto nutrita di poeti. - Una seconda possibilità di disarticolazione delle strutture metriche tradizionali nel secondo ‘900, all'opposto, è quella che riguarda le misure brevi e brevissime. Queste soluzioni brevi che vanno dal ternario, al quinario, al senario al massimo fino al novenario, erano già ben presenti nella prima metà del secolo. I due maestri tra ‘800 e ‘900 sono stati certamente D'Annunzio, in alcune scelte metriche della sua raccolta poetica più prestigiosa “Alcyone” e dall'altra parte, a pochi anni di distanza, Giuseppe Ungaretti nell’esperienza poetica delle sue prime due raccolte, “Il porto sepolto” e “Allegria di naufragi”, due raccoltine che confluiranno nel 1921 nella raccolta complessiva “L’allegria”, che porta la dedica a Mussolini. Nel secondo ‘900, invece, una delle figure più eminenti e di maggior rilievo che ricorre in maniera particolare ai versi brevi è Giorgio Caproni, uno dei cosiddetti poeti “post-ermetici”, un gruppo di poeti (di cui facevano parte anche Vittorio Sereni e Mario Luzi) che parte da posizioni ermetiche sul finire degli anni 30 e che nel dopoguerra si affranca (si emancipa) gradatamente dalla poetica della poesia pura del verso assoluto, approdando a differenti soluzioni. In particolare, Caproni, nella sua fase matura, quindi secondo novecentesca, comincia a lavorare su una linea melodica di tipo fortemente riconoscibile, melodrammatico. Si parla di verso breve alla maniera caprioniana perché queste strutture da aria di melodramma o di canzone o di canzonetta vengono scomposte e redistribuite secondo una tecnica che viene chiamata a gradino. Per esempio, Caproni conduce questa versificazione: gradino Si tratta di una versificazione a gradino, perché è possibile considerare i due membri “verso la notte” e “quando” come due emistichi, due spezzettature di un verso che complessivamente è un settenario tradizionale, però dislocato sulla pagina secondo la tecnica a gradino. vociano, cioè nei poeti della rivistina fiorentina, che all'inizio del ‘900 si intitolava “La voce”. Questi poeti avevano derivato un’idea di poesia frammentistica, cioè di una poesia intesa come illuminazioni brevi istantanee che potevano andare in sottospecie di verso, ma anche in sottospecie di prosa. Ricorrono a questo tipo di soluzione poeti come Clemente Rebora, vociano, e Giovanni Boine, anch’egli vociano. Nell'ultimo ‘900 altri autori riprenderanno questo tipo di testualità, per esempio, Gabriele Frasca, annoverato all'interno del gruppo 93, con una poesia in prosa definita da Giovannetti prosa mutante, ossia una prosa che, però, ricade sotto altri statuti espressivi. 3) La terza prospettiva riguarda il cosiddetto verso informale. In questo caso, ci si trova nell'ambito di un estremo liberismo, perché il verso informale è tutto ciò che, per volontà esplicita del poeta, che spesso è un poeta colto, attrezzato dal punto di vista delle conoscenze metriche, si sottrae a qualunque classificazione di tipo metrico-versale. È, quindi, un tipo diverso irriducibile a schemi o anche a una metricità intesa in senso allargato, in senso debole. Tra coloro che ricorrono a questa metrica informale è incluso il poeta contemporaneo ancora vivente e scrivente, Milo De Angelis. Nell’utilizzo del verso informale si evidenzia un’incoerenza testuale lucidamente perseguita dall'autore. Un buon iniziatore di questa voga informale fu ancora una volta, Pier Paolo Pasolini, che precedentemente aveva fondato insieme a Leonetti e Roversi la rivista bolognese “Officina” nel 1955 e si era fatto notare con la sua teoria di tipo neo-sperimentale in polemica con la teoria neoavanguardista di Sanguineti. Inoltre, in questa fase Pasolini portava avanti l’idea eclettica di respingere l'ermetismo e di recuperare forme poetiche precedenti, sempre novecentesche, ma precedenti all'ermetismo. In particolare Pasolini aveva di mira Pascoli, la misura del poemetto pascoliano, quello dei canti di Castelvecchio, della raccolta “Poemetti” e “Nuovi poemetti”. Infatti, proprio da queste raccolte parte il testo poetico, forse più affascinante di Pasolini, “Le ceneri di Gramsci” (1957). Successivamente l'esperienza poetica di Pasolini procede e la raccolta poetica pasoliniana che meglio rappresenta l'idea di un verso che sta tendendo chiaramente all'informale è la raccolta “Trasumanar e organizzar”, una specie di parafrasi di un verso celebre di Dante: “Trasumanar significar 'per verba' non si poria”, pubblicata del 1971. Questa raccolta insieme ad altre e insieme all’ultimo romanzo di Pasolini, che si intitola “Petrolio”, mostra come, in realtà, con il passare degli anni, la polemica tra avanguardisti e sperimentali venga superata perché in queste opere di Pasolini sono presenti tutte le tecniche della neoavanguardia (tra cui l’idea del caos, del magma che deve essere rappresentato in maniera a sua volta magmatica). Queste sono le stesse idee che Sanguinetti aveva agitato già negli anni 50 nel suo poemetto “Laborintus”. 4) La quarta prospettiva poeticamente molto rilevante riguarda l'idea delle forme dialettali, ossia di una poesia dialettale novecentesca che ha assunto anche dei valori espressivi decisamente notevoli. Anche in questo caso Pasolini rappresenta un esponente importante, perché egli esordisce nel 1942 con una piccola raccolta di versi in friulano “Poesie a Casarsa” (si tratta di poesie notevolissime). In seguito, nell’arco del ‘900 l’esperienza della poesia dialettale si fa molto più marcata. Dal punto di vista metrico, questa poesia dialettale solitamente recupera le forme della metrica tradizionale come strumento privilegiato per dare un argine, un ordine intelligibile a una materia di tipo popolare, folklorico con l’idea sottostante per cui è necessario procedere a una rifondazione della lingua poetica. Questo perché la lingua d'uso ormai è stata completamente reificata e involgarita e, di conseguenza, si rende necessario ricorrere a un diverso sistema comunicativo fondato sui dialetti delle varie regioni, dando l'idea di una poesia che da un lato è nuova perché utilizza un sistema linguistico opposto a quello della lingua d'uso, ma che, dall’altro lato, per dare rappresentazione di questa novità e per comunicare l'assoluta poeticità del testo ricorre a forme metriche tradizionali. Tra i poeti più notevoli che scrivono poesia dialettale è importante ricordare Franco Scataglini, che scrive in un vernacolo neanche regionale ma anconetano, una parlata molto localizzata ad Ancona, e sempre in area centro-meridionale Albino Pierro, che scrive in dialetto lucano, quello della Basilicata. Anche il Nord può vantare risultati molto notevoli grazie al poeta milanese Franco Loi e al poeta romagnolo Raffaello Baldini. 5) L’ultima prospettiva si sviluppa a partire dagli anni 80 del ‘900, quindi in concomitanza con il fenomeno del postmodernismo, quando comincia a ricomparire anche nella poesia in lingua un recupero piuttosto sistematico delle forme chiuse, cioè delle forme metriche tradizionali, soprattutto il sonetto, la sestina, la canzone. Una raccolta fondamentale è Medicamenta” (1982), scritta da una poetessa di origine veneta, in seguito trapiantata a Milano, che si chiama Patrizia Valduga. In questa raccolta è evidente lo sforzo manieratissimo dell’autrice di riprendere le forme chiuse, in particolare la sestina, una delle forme metriche più squisitamente tradizionali. Inoltre, anche nel gruppo 93, definito anche di postmodernismo critico, si evidenzia il tentativo di recuperare, o per citazioni o per collage o per strutture metriche complessive, il rapporto con la tradizione. Non si tratta della tendenza prevalente in quel periodo ma di una delle componenti abbastanza riconoscibili dell'ultimo panorama poetico italiano, quindi in una situazione in cui la tendenza sempre più marcata verso l’informale convive con fasi, espressioni e personalità poetiche che riprendono la tradizione.
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