Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Letteratura italiana contemporanea. Gattopardo e I Vicerè Ganeri università della Calabria, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti anno 2020/2021 trascritti al pc - solo una parte manuale - del corso della prof.ssa Ganeri Università della Calabria. Gattopardo e Viceré

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 25/01/2021

appunti_lettere_
appunti_lettere_ 🇮🇹

4.6

(51)

48 documenti

1 / 130

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura italiana contemporanea. Gattopardo e I Vicerè Ganeri università della Calabria e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Dalla lezione del 22/10/2020 le lezioni sono trascritte in word @O REDMI NOTE 9 PRO CO AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO CO AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO CÒ AI QUAD GAMERA @©O REDMI NOTE 9 PRO CO AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO OSIO van ei o Bho AO. A Eu FOA iù Fs geo me n vel 1 ss n soli shuo0 0h ‘? quolroso. di cui ghi > fa Souo Qaaomnilt nosbcolì: utur touultoto > fado di quo. d a l'aa da “ddl © do spo Ea lo eglh' a i duouospi ifemvali culto. Re To oa ci E fe ui coluposssult vet io i 0° r0so pedali duo | toda RARA Da TI LI ct È È Li uo S ni L se e n] do sosia Li ce: fichi fr mosta è meclota dol 88° uttuali. ded nurtamsuo dl mnucua Seu o. DI tmp bali dall a pre 5- Von fi Qui Ro pate Sa AR > cdasuo ehl qllo fe: tou dugfi nq lie È ig dd pal la fl Dico pui Spodo 0 Mud Mak seo quali di op game gel nblgudo a cospicuo la chu st coitamole no chi è o lo ea duo Vaie ir mucuifico do La A sovipe tmcueluo a uu coultlo muco nn , L'antkisio, fa eli 9 cniuca + solo a clu guoda. Si quo offlluto:. si A ai da lozione 2: _ NMWLU A Loto AUDI È a peo by Face mio i Me i pra ut 6 n roi \touico DE Gud Fofiolo Spa ai i l'in co iii è pu usuro, cè sala f tweluzoui culetto ne e “oubbtuto. let Lech mecl N ch . Stoll i @O REDMI NOTE 9 PRO SZ. gori @O REDMI NOTE 9 PRO SOALQUAD'CAMERA VEREZZI ZA A AAA I i E° > DI n @O REDMI NOTE 9 PRO CÒ AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO (Ori e AA @O REDMI NOTE 9 PRO OSE via @O REDMI NOTE 9 PRO CO AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO (ONORI peli ) ” @O REDMI NOTE 9 PRO CO AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO SSL MAT @O REDMI NOTE 9 PRO CY AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO (NOIE TINI: @O REDMI NOTE 9 PRO CO AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9 PRO CÒ AI QUAD CAMERA TANA CO AI QUAD CAMERA @O REDMI NOTE 9-PRO CO. Re]tEZVAZ -_,@0O, REDMI NOTE 9 PRO COMUNITA al 22/10/2020 Letteratura italiana contemporanea - Ganeri Ci stiamo avvicinando alla lettura del testamento la cui morta è annunciata nell’incipit del romanzo. Tutta questa parte fino alla lettura del testamento è caratterizzata da un assetto corale in cui non solo la folla progressivamente ci immerge in questo bagno di voci contrastanti plurivoche, noi lettori gradualmente ci orientiamo in questo vociare e cominciamo a conoscere i personaggi. Momento saliente è il funerale con versi funebri scritti da don Cono e da altri e con tanto di drappi neri, già a questo punto della lettura del romanzo il lettore ha colto una forte carica ironica che attraversa la scrittura. È molto più di una semplice carica ironica, c’è proprio sarcasmo nascosto tra le righe, è un sarcasmo dell’autore implicito che rappresenta attraverso la sottolineatura dell’eccesso, eccesso verbale, eccesso retorico, di rappresentazione pubbliche, fa emergere già dalle prime pagine una sostanziale disistima nei confronti della famiglia protagonista del romanzo. I protagonisti sono bersagli polemici non sono eroi, ma sono eroi negativi. Il contino Raimondo arriva in ritardo accompagnato dalla moglie Matilde Palmi. Attraverso sempre l’indiretto libero capiamo qual era il retroscena; era il figlio prediletto di Teresa Risà, primo per la bellezza fisica, un tema nell’ereditarietà degli Uzeda sempre meno frequente. La razza è un tema centrale nel romanzo, e gli Uzeda non erano poi così belli. La nobiltà siciliana in generale, le razze nobili, sono degradate, il degrado ereditario fa si che troviamo diversi personaggi brutti o deformi fisicamente o corrotti a livello psichico come il Babbeo. Questa consunzione ereditaria deriva dall’uso invalso per secoli dalla nobiltà di contrarre matrimoni tra consanguinei con la finalità di conservare i patrimoni, questo ha prodotto una tara ereditaria che ritorna in più occasioni. Soltanto in modo imprevedibile fa si che ci siano casi di persone che non hanno questa tara: tra i figli di Teresa solo Raimondo e nella generazione successiva Consalvo. Il tema dell’eredità genetica e dell’ereditarietà è tipico del positivismo, c’è un approccio scientifico da parte di De Roberto. Nei Vicerè questo tema è anche collegato allegoricamente al tema dell’eredità storico-politica. Il tema del testamento e del lascito ereditario anche come questione politica si intreccia nel romanzo con i temi della generazione della razza, temi sociali e biologici. C’è una decadenza sia fisica che storica sul piano del potere. Raimondo era bello ed era amato dalla madre, ma anche lui era malato. Nel mondo dei Viceré la salute non esiste. Raimondo è forse il primo dei personaggi dei Viceré, ma frequenti in DR., affetto da dongiovannismo -> è un personaggio superficiale, narcisista, appassionato alle donne, ma anche per il divertimento per la vita mondana fiorentina, passioni che gli passano con grande velocità. Raimondo tradisce anche la madre, infatti è l’ultimo ad arrivare. La moglie Matilde è emarginata dalla famiglia e trattata male, è boicottata e quasi stalkerata. La baronessa apparteneva a una nobiltà meno nobile, di lignaggio inferiore rispetto agli Uzeda ed era stata la madre ad imporre il matrimonio. Qui si apre uno scenario del rapporto perverso e complesso tra la madre e il contino Raimondo a cui impone un matrimonio non poi così brillante scegliendo la Palmi per il suo carattere remissivo e mansueto che Teresa sa che non è adatta a far innamorare il figlio e quindi la sceglie perché sa che non può essere una sua rivale in una sorta di tensione edipica con il figlio, lo vuole tenere legato a sé. Il contino arriva a palazzo, la lascia indietro, è già in piena crisi coniugale, è malata Matilde, è sofferente già lo si vede. Isabella Fersa che inizia a flirtare con Raimondo e già si immagina che accadrà qualcosa. È una scena corale ma che ci prospetta già un orizzonte di instabilità, ci fa entrare in modo instabile in questo mondo a cui noi arriviamo già preparati alla critica, al sarcasmo, alla distanza. L’atteggiamento empatico richiesto al lettore non è di immedesimazione o identificazione, il lettore deve assistere a una farsa, magari in molti momenti la scrittura provoca sorrisi, ma il lettore deve osservare pronto a vedere delle botte da parte dell’autore che ci fanno vedere in luce negativa i personaggi. Il lettore deve aspettare un crescendo di questa carica cattiva anche sarcastica. DR è molto cattivo, ma è una cattiveria a fin di bene, cioè è tesa a tenere vigile il lettore e a stimolare una capacità critica nel lettore che si realizza solo se il lettore non cede a meccanismi di immedesimazione con la scrittura. Pag 458-459 Marco Roscistano stava facendo predisporre le nuove carte, e c’è una descrizione di un’ala del palazzo. Come accade in molti scrittori veristi, la descrizione degli spazi è importante, e non marginale. È un contesto che ci rappresenta allegoricamente la storia che si sta scrivendo. Qui c’è la galleria dei ritratti. Qui nelle prime frasi che ci presentano gli spazi si può notare la sottile e forte ironia che anima la scrittura: la galleria conciliava la grandezza con la soavità. Gli elementi dell’arredo e i dettagli dei dipinti degli antenati vengono elencati, questo ha grande importanza, con la tecnica dell’enucleazione, dell’accumulo. Più i dettagli sono elencati e più si rafforza il senso di una rappresentazione che tende alla deformazione e non alla mimesi. Sono citati molti dettagli, ma la menzione di questi dettagli come effetto produce una rappresentazione in falsetto: si vuole ridicolizzare la sontuosità di questa galleria e i ritratti. Questa elencazione non ha l’effetto di rafforzare la monumentalità della stanza e celebrare il potere e il prestigio della casata, ma anzi per la tecnica stessa dell’accumulo, ottiene l’effetto opposto, viene ridicolizzato. Questi antenati sono come delle figurine un po’ ridicole, tutti contribuiscono alla farsa vacua e priva di contenuto. Dopo l’ingresso di tutti, l’ultimo è il Babbeo, e dopo che tutti gli astanti hanno commentato, sembra che proprio quelli che non avranno nulla da guadagnare nel testamento, i fratelli del marito di Teresa, don Blasco, donna Ferdinanda, il duca d’Oragua e don Eugenio, soprattutto don Blasco e donna Ferdinanda, erano molto interessati al testamento. La famiglia era una famiglia molto competitiva e conflittuale l’uno con l’altro, non è una famiglia armonica. Però è una famiglia in cui nonostante ci siano queste divergenze, tutti si fanno gli affari degli altri. Il lettore ha capito come nella scrittura è importante la parodia fatta a sfottò soprattutto dei testi giuridici e testamentari. Quel linguaggio DR lo usa come bersaglio, è il linguaggio del potere e allora il romanzo intende polemizzare contro il potere costituito attraverso una polemica delle forme di questo potere costituito. Pag. 461 lettura testamento. Nella lettera si rimanda a delle formule codificate. Tuttavia, cominciamo a notare attraverso la riproduzione però caricata delle formule secondo lo stile dell’eccesso, anche una parodia della religiosità, della chiesa, del cattolicesimo, questo si era già notato nel funerale. La chiesa, quindi, è molto presente nel romanzo, ma sempre come una manifestazione del poter collegato al potere nobiliare e fondato sull’infamia, bugia e ipocrisia. Teresa si rivolge ai figli con «i miei amati figli», siamo all’inizio ma il lettore sa che Teresa non poteva vedere i suoi figli, non voleva nessuno in realtà al Belvedere dov’è morta, e tranne forse Raimondo, con gli altri non aveva buoni rapporti. Siamo nella scrittura di un testamento, ma è un capolavoro di retorica, lo stile testamentario voleva che si scrivesse «ai miei amati figli», la verità è che odiava e detestava i figli e a loro volta questi la detestavano lei. Anche i figli alla lettura pronunciavano frasi melense, proprio come le aveva pronunciate. Quindi tutto è segnato da una pesante ipocrisia. DR dichiara l’opposto di quello che è. Dobbiamo pensare se DR rappresenti questa ipocrisia in maniera calda o fredda. Teresa sottolinea il suo potere economico e il proprio ruolo, ma in un testo testamentario non ce ne era proprio bisogno. Aveva salvato la famiglia del marito grazie alla sua dote e alla sua tirchieria. Il livello di ironia sale, da semplicemente ironico va al sarcastico. Non c’era alcun spirito materno. Nella pagina successiva dice che il patrimonio è suo e la sua volontà dovrà essere rispettata. Perché citare il testamento del beneamato marito? La cattiveria di questa donna consiste nel fatto che anche post mortem vuole che il suo potere sia ricordato anche a discapito del marito morto che aveva dilapidato il patrimonio. Il rapporto tra madri e figli, la donna e il marito è improntato alla violenza e alla prevaricazione del potere. Il potere è alla base di tutte le relazioni interpersonali e l’amore è solo una finzione ipocrita e retorica e alla fine si rivela illusoria. È il tema del «trattato d’amore» di DR. Cioè smontare questo amore e poi ci sono altre ustioni: la figura della madre. Negli ultimi 10 anni si è sviluppata una corrente critica che studia la figura della madre, ma è una madre cattiva spesso. Teresa Risà dovrebbe essere molto studiata da questo punto di vista, anche se non è l’unica madre cattiva del romanzo, ma forse la più cattiva. Questa enorme cattiveria della madre molti studiosi di DR ne hanno visto un rimando alla madre dell’autore Donna Marianna degli Asmundo che però DR amava e non aveva questo tipo di personalità. Tuttavia, nel rapporto ambivalente che aveva con la madre, c’era una componete di odio, DR non riuscì mai a staccarsi dalla madre. La rappresentazione di questa donna incombente che rovina tutti i figli, adombra il lato oscura della madre di DR. Nella produzione di DR ci sono molte madri come queste come nel racconto «Il rosario» in cui la madre prega con le altre sue tre figlie perché aveva cancellato la quarta figlia che aveva sposato un uomo da lei non autorizzato. Allora prega perché c’è questa figlia che l’ha tradita. Ci sono molte madri forti che comandano e lo fanno anche sugli uomini, non soltanto un’evocazione inconscia della paura della madre, ma un’evocazione della paura della donna. Non è solo misoginia in DR., ma paura del potere castratorio e femminile. Il commento è fatto di allontanamento dal testo, commentare un testo significa allontanarsi dal testo, leggerlo, comprenderlo e capire le sensazioni che ci dà. La lettura critica aiuta anche a comprendere noi stessi perché cogliamo determinati aspetti perché ci dicono qualcosa di noi. C’è un forte antagonismo della voce narrante che è maschile e lo si legge anche dentro il testo, questa rappresentazione quasi disumana di Teresa Risà, e sta manifestando una paura del femminile. E questa paura del femminile non ha immagine più forte se non quella della madre. La madre è sempre un po’ cattiva e castratoria. Questo si riflette su altre donne. Teresa ha deciso di lasciare tutto il suo patrimonio a due eredi: Giacomo e Raimondo sono coeredi, e di distribuire altre cose alle figlie. La cosa scandalosa del testamento è la nomina 23/10/2020 Dopo la lettura del testamento grazie a don Blasco il lettore è informato di tanti flashback e informazioni sulla famiglia. Si apre una parte digressiva rispetto all’azione diretta che passa attraverso il discorso diretto e serve a compensare l‘incipit in medias res. Don Blasco è un personaggio macchiettistico, cioè ha la funzione di polemizzare, ironizzare e irridere sulla bontà della fede religiosa. È un personaggio cinico e attaccato al denaro, soprattutto è colui che si fa gli affari degli altri, non potendo vivere dei propri. È frustrato, lui era stato costretto a prendere i voti, invidia donna Ferdinanda che era rimasta al secolo e poteva accumulare patrimonio. Lui soffre di questa situazione. Dopo i moti risorgimentale anche lui riuscirà ad accumulare ricchezze e fare gli affari proprio. Ritornerà questo tema anche nel duca d’Oragua. Farsi gli affari propri è la dominate della critica di DR al fallimento al post Risorgimento. Il Risorgimento fallisce con l’unità d’Italia proprio perché i rappresentati del nuovo ceto politico non si fanno gli affari dell’Italia, ma i propri. Don Blasco sobilla i suoi parenti perché non accettino il testamento, ma lo impugnino. Il lettore viene informato di molte premesse che poi ci fanno orientare nel mondo degli Uzeda. Don Blasco è cinico e rabbioso, anche simpatico, intrallazzino, pettegolo, invidioso, si accosta a tutti i nipoti e litiga anche con loro. Via via che agisce con ciascuno dei nipoti, il testo ci informa sulle biografie e storie di ciascuno dei personaggi. Emerge il livore e l’odio reciproco che ha sempre una genesi nel comportamento della generazione precedente. La cattiveria di Teresa ha delle ripercussioni sui figli. La mala razza così la definisce don Blasco, poi si manifesta in molte forme. Sia Chiara e Lucrezia non erano molto femminili, erano state mortificate le loro femminilità. Lucrezia era stata ancora più umiliata dalla madre e vive la sua relazione amorosa con Giulente. Essi erano rappresentati di un altro ceto sociale, non la nobiltà e nemmeno la vera e propria borghesia in ascesa, ma era un ceto a metà tra le due, di estrazione borghese, ma con ispirazione nobiliare quasi arrivato ad avere uno status nobiliare, ma che era considerato come ultimo e non viene riconosciuto come tale nel contesto sociale. Sono arrivisti e rivendicatori. I Giulente sono liberali, sono combattenti. Hanno partecipato anche fisicamente al Risorgimento, ma anche loro non l’hanno fatto per ideali ma per compensare la mancanza di riconoscimento sociale della loro posizione oramai altolocata. Per questo scelgono di posizionarsi in un partito polemico e alternativo. Macchiettistico è anche donna Ferdinanda. È un personaggio icastico ed espressionistico. Il termine rimanda a un’avanguardia del primo Novecento, ed è un movimento – non solo letterario ma delle arti figurative – che è fondato sull’accentuazioni deformata/grottesca di tratti espressivi. La deformazione ha quasi sempre una funzione politica, di satira politica e di critica. Le avanguardie rompono con il precedente, e questa rottura è fatta con il tragi- comico, si confondono insieme le due, l’impossibilità di distinguere il tragico dal comico e ha una funzionalità di denuncia. Don Blasco e donna Ferdinanda non sono personaggi a tutto tondo, ma sono personaggi esasperati, come dei comici, non c’è un estremo realismo in loro, c’è un realismo deformato ed espressionistico. Donna Ferdinanda quasi non sembrava una donna, era misto tra uomo ed ebreo, anche i tratti fisionomici del corpo erano asessuati. Lei essendo donna, non potendo attingere al patrimonio della casata Uzeda, anche lei sarebbe dovuta diventare monaca. Ma i suoi familiari rassicurati dal suo disinteresse verso il matrimonio e la vanità femminile, la lasciarono in casa, tanto non si sarebbe mai sposata. Donna Ferdinanda è apatica, è solo interessata al danaro, i soldi e la nobiltà intesa come storia anche della sua famiglia. Lei era stata condannata a un destino di miseria, ma era molto tirchia e avida. I suoi tratti sono così espressionistici da risultare comici e tragici allo stesso tempo, ma non reali. Donna Ferdinanda era ignorante, non aveva mai studiato, riteneva che i nobili non avevano mai bisogno di studiare. Studiavano solo gli scribacchini che lei considerava di un ceto sociale inferiore. Lei sospettava degli intellettuali perché li riteneva dei falliti. L’avvocato per lei era quasi un titolo offensivo, devono lavorare per guadagnare dei soldi. Pag 512 C’è di nuovo la figura retorica dell’accumulo, di nuovo elencazioni di tratti e aggettivi. La tecnica dell’accumulo serve a rafforzare questa rappresentazione esagerata, in falsetto, macchiettistica del personaggio. Però nonostante la rappresentazione sia impersonale – secondo DR si realizza solo nel discorso diretto libero – però qui è un po’ disattesa. Pag 513 «e quelle pagine vecchie e ingiallite». Provoca un sorriso. Questa riga corrisponde a un punto di vista esterno e contrapposto a quella di donna Ferdinanda, quindi un punto di vista non impersonale che vuole che venga rappresentato solo il punto di vista del personaggio – artificio della regressione, il punto di vista è calato dentro la narrazione – e la reazione del lettore dovrebbe essere suscitata dal fatto che c’è una visione mimetica. Ora qui chi dice che quelle pagine puzzano etc, non è donna Ferdinanda che non vede così belle pagine, per lei sono bellissime. Quindi il giudizio negativo sulle pagine è un giudizio forte sulla qualità di enfatica e «bolsa prosa sicula spagnola». La prosa sicula spagnola del 600 era enfatica cioè retorica e bolsa ovvero vuota. Questo è il giudizio della voce narrante, è il giudizio di DR, e questo lo sta descrivendo per criticarlo; la critica nel testo è molto forte, ma è presentata in sordina e che questa lettura di donna Ferdinanda sia paragonata a un romanzo, è il suo romanzo. Il termine romanzo. Come mai queste letture per lei vengono definite romanzo, qual è la nozione di romanzo chiamata qui in causa? È un’accezione positiva o negativa di romanzo. La gramigna dei nomini falsi: è un capolavoro ironico di sfottò di donna F. Lo stile «era di suprema magnificenza per donna F», le leggeva veramente uolgato perché non sapeva –da ignorante – che u stava per v. Lei leggeva così come era scritto, è una rappresentazione tragi-comica. Questo lungo passaggio in indiretto libero serve a dare al lettore le chiavi di lettura, le info necessarie per orientarsi nella storia, ma anche per presentare una carrellata di ritratti icastici, deformati ed espressionistici. Ferdinando viveva in un modo fantastico e trasforma le Ghiande in una sorta di Isole. Poi gli altri personaggi Chiara e Lucrezia. Ma anche la prima generazione: Don Eugenio era attaccato al denaro, ed era invidioso dei privilegi dei fratelli di cui non poteva godeva. Poi raccoglie cianfrusaglie credendo che siano reperti di grande valore, o autori come Tintoretto. Ma era un morto di fame, era un po’ un accattone e poi si inventerà la professione dei nuovi stemmi famigliare da vendere alle famiglie. Duca D’Oragua altro cognato: anche lui è presentato in questa parte del romanzo, era un personaggio ignobile. Fin dall’inizio anche lui era tratteggiato come invidioso del fratello maggiore. Era secondogenito ed escluso dal patrimonio. Era invidioso e rabbioso della condizione e cerca di barcamenarsi. E questa volontà di affermarsi trova sfogo nella politica, e dal punto di vista politica è fondamentale, è il modello a cui si ispira Consalvo. È presentato come vigliacco, pavido, pauroso, cercava di dare ragione a tutti, si alleava con chi gli conveniva di più, prima fervente Borbonico, poi diventa Liberale patriota, poi quando questi nel 48-49 stavano perdendo cambia di nuovo e firma a favore dei borbonici, firma il libro nero. Per un po’ di tempo deve stare lontano da Catania perché la gente glielo rinfaccia. Poi in occasione delle nozze di Raimondo con la Palmi (ramo nobiliare inferiore e per questo era malvista da donna Ferd. e don Blasco) ma lui era favorevole a questo matrimonio perché Palmi era un liberale e anche lui aderisce al modo Liberale. Quindi è un opportunista e diventerà l’antesignano del trasformista Consalvo. Tutto questo è legato a due aspetti importanti che confermano questa struttura di rappresentazione icastica e grottesca attraverso l’uso di alcune allegorie: quelle del palazzo di casa Uzeda e quella dei ritratti degli antenati. Questi ritratti sono come dei rimandi della vecchia storia nobiliare. Allegoria è una figura retorica che mette in correlazione un particolare rispetto a un significato nascosto dietro. Nel medioevo l’allegoria funzionava come il simbolo, simbolo e allegoria erano sinonimi: commedia di Dante. La correlazione tra un referente realistico e il significato simbolico o allegorico era sancito e riconosciuto collettivamente, il rimando simbolico era oggettivo. Mentre una delle caratteriste della modernità come è stato caratterizzato anche da Goethe, c’è il simbolo – il simbolismo – mentre il simbolismo va verso il fenomeno della sinestesia, associazione di tutti i sensi, il simbolo richiama una serie di significati senza scioglierli razionalmente, l’allegoria invece diventa una costruzione razionale e molto diversa nel romanticismo rispetto al mondo medievale, perché è priva di chiavi di lettura. L’allegoria vuota viene chiamata, è priva di chiavi di lettura e caratterizza l’avanguardia – cioè è teorizzato da Beniamin. In Kafka l’uomo che diventa scarafaggio, non c’è alcun legame tra i due. Il modo in cui DR utilizza l’allegoria è pienamente modernista. Pag 501Questa immagine del palazzo fa pensare a tutto tranne che una dimensione di stati. Il palazzo non è ultimo ma è plurimo. Questo è costruito tramite la voce dell’indiretto libero di don Blasco. Gli antenati si erano divertiti a scompaginare l’assetto architettonico del palazzo perché erano pazzi, ma anche perché l’idea di spazio immobile e predefinito – che è un’allegoria della storia – a loro non andava proprio bene. Il luogo dell’abitazione è contemporaneamente un luogo che si desidera modificare, un luogo della libido e che ciascuno degli avi vuole, per affermare il proprio potere, modificare a piacimento. Giacomo lo avrebbe voluto fare anche, ma è stato represso dalla madre che non gli aveva lasciato nemmeno attaccare un chiodo. Lo farà alla sua morte. Ma le trasformazioni del palazzo non seguono un principio progettuale, un’idea di miglioramento o svecchiamento del palazzo, ma prevale nella descrizione l’idea di casualità. Il palazzo è un labirinto con tanti pezzi messi insieme e prevale il disordine, sia nell’esterno della struttura della pianta, quanto nell’interno. I «pazzi» fanno a pezzi il palazzo che è un’allegoria molto forte che rimanda in maniera visuale alla confusione al caos e al disordine di questo mondo nobiliare. Già contiene in sé la prefigurazione del proprio declino. Anche la descrizione dei ritratti evoca questo caos e questa decadenza dentro il caos. Giacomo era 24/10/2020 È un passaggio che non segna un episodio in particolare. Tecnica del close reading. Sono i casi più insignificanti che hanno dei significati rilevanti. Pag 457. Dialogo tra donna Ferdinanda e Consalvo. Qualcun altro, don Eugenio, stava dando al bambino una serie di insegnamenti e informazioni storico-culturali. Questo dialogo contiene degli elementi cruciali per interpretare tutto il romanzo, e anche la posizione politica dell’autore. La sua posizione politica rispetto al ruolo, allo spazio e identità della cultura, ma anche la visione dell’autore nei confronti del progresso. Il lettore attento, prima di elaborare una propria tesi, dovrebbe già in fase di lettura raccogliere questi elementi, l’interpretazione del critico è valida quando è supportata da un testo. La posizione di don Eugenio e don Cono sono a favore della cultura, mentre donna Ferdinanda è contraria. La risata sguaiata e volgare lascia di sasso gli stessi personaggi che assistono al dialogo. Questa risata non è un elemento insignificante. L’irrisione di donna Ferdinanda ci dice qualcosa sulla sua visione della cultura. Don Eugenio disprezza le belle lettere, ma non sa contrapporre a donna Ferdinanda una contro-argomentazione, lui non risponde dicendo che la cultura è importate. Lui risponde alla critica citando il loro antenato. «L’uomo tanto più vale, tanto sa» è la prima argomentazione a favore della cultura e rimanda nella sua struttura da proverbio e luogo comune, rimanda a un’opinione un po’ blanda, non c’è una difesa forte e appassionata del mondo delle lettere. È vero che è un proverbio, ma l’uomo più vale tanto più sa. Questo riferimento al valore è ambiguo ed è un riferimento economicistico al valore, siamo sicuri che ci sia un riferimento al valore etico? O c’è un riferimento al denaro e basta? Don Eugenio squattrinato e accattone si aggrappa spesso alla cultura per racimolare soldi. Questa citazione rimanda al valore economico della cultura quindi e non al valore in sé. L’uomo vale quanto più sa, lui tanto più raccoglie delle cianfrusaglie tanto più guadagna. A questa argomentazione segue quella nobiliare «bisogna che tu faccia onore al nome che porti», deve essere degno del nome Uzeda. Don Fernando Uzeda che è ridicolizzato dalla zitellona, «gli altri scrivevano per lui». A quest’affermazione di donna Fernanda/Ferdinanda anche per la modalità della risorsa sguaiata, gli spruzzi di saliva in giro. La reazione di don Eugenio e don Cono è inadeguata: rimangono a bocca aperta e non sanno che dire: dicono che anche se non sapeva scrivere, sicuramente era lui che dettava. Quindi loro sembrano credere alla critica della zitellona, però la frase seguente: «le accademie di [...] lo avevano annoverato tra i soci» è di una sottigliezza sarcastica impressionante. Qui va colta la critica di DR nei confronti delle istituzioni culturali come le accademie di Napoli e Roma sempre al servizio dei potenti e non si dissociavano mai dal potere, il fatto che le accademie riconoscessero questi premi a don Fernando non vuol dire nulla, anzi fa sospettare che donna Ferd aveva ragione. Era un potente e allora lo citavano per questo. La critica è radicale al mondo del potere rappresentato a cui la cultura è asservita. Gli studi non erano il forte dell’antica nobiltà diceva Graziella. «Era forse una bella cosa», non c’è molta convinzione nemmeno qui da parte di don Eugenio. Poi donna Ferdinanda «Non mi parlare nemmeno del progresso». L’idea del progresso nel romanzo è centrale e presente, è un tema cardine. Si parla soprattutto del progresso storico-politico, siamo a pochi anni dall’Unità d’Italia e la fine del Regno Borbonico, e la rivoluzione liberale faceva dell’idea di progresso un elemento centrale. Il progresso: donna Ferdinanda non crede nel progresso, pensa che tutti ne parlino, non mi parlare anche tu del progresso, quindi anche altri ne parlano per lei il progresso non c’è, perché prevede che si debba insegnare ai ragazzi a studiare, un tempo invece si insegnavano all’esercizio della violenza, lo dice nel passo successivo quando parla del padre Consalvo che sapeva difendersi. Da un lato ci sono i notai incapaci di violenza e dall’altro i nobili capaci di violenza invece. Don Cono, don Eugenio e gli altri? E la voce narrante ci crede? DR è stato definito un autore antiprogressista e antistorico, per alcuni lui è un nichilista e allora presenta una storia che non muta mai e anche il finale del romanzo lo dimostrerebbe. Ma in questi passaggi la voce narrante che ci parla attraverso l’ironia e il sarcasmo ci fa cogliere che chi scrive probabilmente è arrabbiato per il fatto che si sta screditando il progresso e denigrando le patrie lettere, l’autore sta scrivendo un romanzo non può condividere queste cose, ma certamente non può dire che donna Ferdinanda sta sbagliando, il suo punto di vista non è rappresentato da don Eugenio, ma c’è un punto di assoluta dissociazione rispetto a questa idea. Il fatto che a parlare sia donna Ferdinanda, vuol dire che DR lo condivida, non è progressista, ritiene che il progresso sia un’illusione, che sia giusto ciò che pensa donna F.? Con la parte V del romanzo si ha un cambio di scena perché scoppia l’epidemia del colera. Questo permette di anche al testo di rievocare precedenti epidemie di colera, scoppiavano epidemie quasi ogni anno in Sicilia, e di ricostruire sullo sfondo lo scarso livello di cultura e conoscenza medica del sud Italia. È importante notare che anche se la famiglia si trasferisce al Belvedere e alle porte ci sia la paura della diffusione della malattia, gli Uzeda sono disinteressati a quello che accade fuori, sia agli interessi politici che all’epidemia. Loro vivono come se fossero in un loro mondo, apparentemente disinteressati alla collettività e ai grandi temi che toccano il circondario. La continuità dei referenti allegorici conferma questa autoreferenzialità della famiglia Uzeda e anche il fatto che, nonostante questa loro chiusura, loro non sono chiusi in un universo immobile. E la continuità delle figure allegoriche – la villa anche qui presente – non fa che dimostrarlo. Pag 558. C’è una continuità dell’allegoria, il palazzo Belvedere è simile a villa Francalanza nel processo di caotico e folle decostruzione. Attenzione delle parole «a furia di modificazioni e riadattamenti … a casaccio» immagine del labirinto, dell’alterazione che è casuale e l’effetto è disorientante. La metafora del giardino, la vigna che viene abbattuta che diventa agrumeto, rafforza la tensione allegorica. Gli Uzeda sono animati da una mania distruttiva, la loro idea di cambiamento è distruttiva, vogliono distruggono ciò che già c’era. Teresa ancora di più egli altri, ma anche altri non solo non avevano cultura e gusto, ma si comportano, nella loro idea di fare quattrini, in maniera ignobile, tutto sembrano tranne che nobili. La descrizione del palazzo non è neutrale e mimetica, tanto che noi lettori non immaginiamo come sia il palazzo, come dovrebbe fare una descrizione mimetica. DR descrive il palazzo in modo che non si riesce a immaginare la sua fisionomia. È una descrizione il falsetto ed esagerata, deformata che serve a spiegare meglio questa valenza provocatoria, sarcastica e grottesca, dall’altro l’allusione alla scarsa pratica di conservazione della famiglia. Gli Uzeda hanno voluto alterare e deformare questo loro palazzo, senza nemmeno una progettualità, solo per il gusto di farlo. Ciascun capo famiglia che subentra vuole distruggere ciò che hanno fatto i precedenti e ricostruirlo a suo modo: questo è molto interessante e dobbiamo collegarlo al tema dell’immobilismo storico. Durante questo ritiro gli Uzeda vivono allo stesso modo, alcuni hanno umore migliore come donna F che vive a scrocco per l’affitto, per il vitto ognuno contribuiva. Giacomo è felice perché stava imbrogliando meglio i fratelli che lo porterà ad impossessarsi della parte del patrimonio che la madre aveva diviso con Raimondo, solo don Blasco se ne accorge. Gli Uzeda giocano e soprattutto il gioco vede protagonista Raimondo. Isabella Fersa molto bella e civetta – donna giovanna detta da DR, cioè seduttiva – Raimondo è don Giovanni. Matilde fa da contraltare a questa figura e lei si isola, è bistratta da tutti, soffre molto fisicamente, era anche incinta, sospetta che Raimondo lo tradisca con Isabella. Ma qui ancora la relazione non era iniziata anche se ne era infatuato da lei. Raimondo aveva bisogno di passioni una dietro l’altra, non è innamorato di lei, ma ha bisogno di avere delle occupazioni che lo facciano sentire vivo, poiché in questa fase al Belvedere non ce l’ha del tutto, ma non potendo vivere a pieno la vita di libertino, compensa con il vizio del gioco bel visto da Giacomo che lo aiuterà con le cambiali, aveva anche falsificato la firma della madre, e queto lo porteranno a cedere la parte di eredità ala fratello. C’è un’associazione tra vizio erotico, pratica di seduzione erotica, e vizio del gioco: per Rimondo, ma non solo, o c’è l’uno o l’altro, entrambi sono vizi del desiderio e contengono l’idea di scommessa nei confronti della preda. Il don giovanni è anche predatore, e gli Uzeda sono predatori anche, i predoni chiamati dalla folla. La voglia di ottenere prede in Raimondo si manifesta come gioco sessuale o gioco di carte. Interessante che a questo personaggio libertino si associ Matilde. Nel giovannismo è implicito l’esercito del sadismo. Il don giovanni è sadico, non ama, ma conquista e conserva l’elenco delle sue numerose prede e conquiste, non ha nulla a che fare con l’amore. La figura del libertino si allontana già da questo, e una figura ancora diversa è quella del Casanova realmente esistito, don Giovanni è inventato. Nel Casanova c’è una pluralità di relazione, ma a muoverlo è la passione. Il libertino vive una dimensione erotica libera, non necessariamente associato alla conquista. Ma Raimondo, come quasi tutti i don giovanni di DR, per DR il don G è narcisista non ama, lui non vede l’altro, il narcisismo implica una crisi dell’identità. Il dongiovannismo che rimanda al narcisismo è profondamente sadico nei confronti delle prede, il sadismo di Raimondo che non è semplicemente libertino, si allontana dal Casanova e in lui c’è qualcosa di dongiovannesco. Al don giovanni sadico corrisponde un personaggio masochista -> Matilde, eroina romantica masochista fino alla fine, che associa la propria sofferenza e la natura del marito alla figura della madre. Ritiene che questo suo carattere così incostante e instabile e insensibile sia stato alimento e plagiato da una cattiva educazione venuto dall’amore eccessivo di una madre incestuosa. Nel VI capitolo finita l’epidemia di colera, Consalvo si avvia a diventare un protagonista. Il Capitolo di apre con il suo ingresso con convento, in collegio. Nelle precedenti parti era un bambino già allineato con le caratteristiche della famiglia: prepotente, innamorato del proprio 29/10/2020 Questione del genere letterario dei Viceré. Le posizioni nel dibattito critico sono di prevalente diniego dell’appartenenza al romanzo storico. Uno dei problemi per noi importanti è quello della rappresentazione della storia, si parla di macro-storia, di storia nazionale, sullo sfondo della storia particolare dei personaggi Uzeda. Carlo Alberto Madrignani spende diverse parole per sostenere la sua tesi di non appartenenza al romanzo storico perché secondo lui DR sarebbe un’anti-eghelino d’istinto, non gli interesserebbe la storia nazionale, ma gli interessa rappresentare il particolare (la famiglia Uzeda) disgiunto dalla prospettiva nazionale. I critici che sostengono l’appartenenza al genere del romanzo storico, per molti i Viceré inaugura una variante interna che è quella del romanzo antistorico, o un romanzo storico che rappresenta negativamente la storia. L’affresco storico è condotto con un intendo di testimonianza e di documentazione, ma ciò che viene documentato è negativo, si racconta un fallimento storico. Da DR diventa un tema centrale, il fallimento è quello dell’Unità d’Italia del Risorgimento. È molto importante soffermarci su alcuni passaggi in cui nelle vicende degli Uzeda entrano i fatti storici e nazionali. Dobbiamo capire quale può essere la situazione ideologica dell’autore, se la microstoria degli Uzeda e la storia è condotta in modo casuale o c’è una correlazione stretta, a DR interessa la grande storia o no, o gli interessa solo il particolare? Questo ci interessa per capire la posizione di DR nella storia. Pag. 656. Don Blasco ha un ruolo nella protesta. 13 maggio 1860 e si sta parlando di Garibaldi, dello sbarco dei Mille in Sicilia e don Blasco è infuriato, lui è borbonico e spererebbe che questa soldataglia possa essere sconfitta e dispersa dalle truppe borboniche. Però al tempo stesso don Blasco è inquieto e preoccupatissimo che possano vincere. La sua rabbia non è solo personale, ma per la posizione vigliacca della chiesa e altri membri della famiglia. Ludovico resta a guardare così se dovessero vincere i garibaldini, passa dall’altra parte. Don Blasco esprime autenticità nella sua rabbia, non aveva fede o rigore morale. Nonostante ciò, è schietto, anche lui è interessato alla roba, ma esprime in maniera viscerale, senza filtri delle verità. Molti altri personaggi sono ipocriti, don Lodovico e il duca d’Oragua, ad esempio, che sono a lui antitetici. Gli eventi politici sono in primo piano e anche in maniera cronachistica. Il racconto del romanzo ha delle scansioni cronologiche che rispettano la cronaca – 13 maggio, poi 6 maggio – cioè si segue in cronaca diretta ciò che sta avvenendo però presentandolo attraverso le reazioni e la vita della famiglia, anche se Garibaldi stesso e Bixio compaiono in scena, però certo non sono protagonisti, ma sono personaggi minori. Ma questo non è rilevante per la definizione di romanzo storico. Il romanzo storico aveva la caratteristica che i personaggi storici ci sono, ma sono personaggi minori e i personaggi principali sono inventati, ma verosimili. Ludovico, il duca, don Blasco sono inventati, ma sono verosimili. Alcuni di loro non sono nemmeno inventati, ma il lettore che non sa che dietro il duca d’Oragua ci sia un personaggio realmente esistito, dietro Consalvo anche, sono personaggi esistiti, ma non famosi, ma questo non ha importanza per comprendere il romanzo. Gli avvenimenti sono presenti nella storia degli Uzeda e quello che avviene è collegato allo sfondo sociale. C’è varietà d’azione e comportamento dei personaggi e questo è teso a dimostrare che sta avvenendo qualche cosa di grande, imprevisto e destabilizzante. E proprio questo tipo di rappresentazione che ci fa riviere quell’atmosfera storica, è come se fossimo insieme ai personaggi a vivere qualcosa di terribile e nuovo. Il monastero dei benedettini diventa un luogo in cui si vanno a rifugiare tutti i personaggi impauriti da ciò che stava avvenendo. Pag- 657. Il duca d’Oragua è a favore dei liberali, ma è un volta gabbana. Lui era un Uzeda carrierista, sta trovando uno spazio per costruire la sua carriera politica. Ma è terrorizzato che i garibaldini possano perdere e lui debba pagare pegno per questa sua posizione. Il palazzo Uzeda era rimasto da solo perché tutti erano scappati. Nel «Gattopardo» non sarà così invece nonostante lo stesso scenario storico. Il duca avrebbe dovuto partecipare al moto, essere in prima linea invece e si rifugia nel convento grazie alla rete famigliare; la famiglia alla fin fine rappresenta una struttura sociale che poi protegge. Critica questa struttura familiare che anticipa la struttura della famiglia mafiosa, e questa sarà la grande causa del fallimento del Risorgimento. Sempre a pag. 657 vediamo quello che sta accadendo in fieri ma possiamo cogliere l’intervento abbastanza nascosto dell’autore, questa descrizione contiene un giudizio non composto in primo piano, ma disseminato con tracce nascoste: Lucrezia e Benedetto Giulente. La citazione di una lettera di un patriota con il linguaggio tipico romantico ottocentesco del patriota risorgimentale. È probabile che ci sia stata una lettera di un patriota che DR abbia potuto leggere, è verosimile quindi. Tipico di quello stile enfatico e retorico del patriottismo risorgimentale. Però il modo in cui è scritto non è quello di riprodurre il documento, ma c’è questa deformazione che è dentro la riproduzione, al tempo stesso è deformate riprodotto in falsetto. Noi lo possiamo notare nel tessuto della singola frase, ma naturalmente anche dall’’intersezione della frase nel contesto; c’è quest’ironia della citazione di queste parole. È una lettera e rimanda alla letteratura, è qualcosa di scritto. La scrittura e il mondo della letteratura costituisce un livello nel livello di rappresentazione di falsetto e fortemente critica di questa pratica della deformazione ironica e sarcastica da parte dell’autore. Al lettore viene spontaneo il riso. Il testo non ci trasmette un’adesione empatica. Si irride l’atteggiamento patriottico. Benedetto Giulente poi sono dei leccapiedi degli Uzeda e del duca d’Oragua, sono interessati all’ascesa di ceto sociale, appartenevano a una nobiltà molto recente. Pag 660: La rivoluzione. Don Blasco, che è un po’ il punto di vista prospettico da cui è partito l’arco di rappresentazione della rivoluzione, per un passaggio del testo è il punto focale da cui si racconta la rivoluzione, ma comunque non c’è adesione della voce narrante rispetto a questo punto focale. Questo per quasi un secolo la critica non l’ha colto. Don Blasco vive molto male quello che sta succedendo. Lui è un borbonico e si sta realizzando la fine del partito borbonico e la vittoria dei liberali e garibaldini. Credere che il protagonismo di Don Blasco serva a dare ragione ai borbonici, al partito dei conservatori nel romanzo, è un errore d’interpretazione del testo. Questa è la tecnica di DR. Così come non ci sono dei protagonisti, noi abbiamo una polifonia di voci che si contrappongono nella narrazione, ma senza che nessuna mai prevalga sulle altre. Don Blasco qui è rappresentato dall’esterno ed è ridicolizzato. Don Blasco che è un personaggio schietto, verace, sincero che critica gli altri suoi famigliari vigliacchi, però al testo stesso ora qui è presentato lui stesso dalla voce narrante in questa luce. «nondimeno» è un passaggio importante: Don Blasco contemporaneamente ha ragione a criticare Gaspare suo fratello che rimane chiuso perché un vigliacco, è un liberale, e sta chiuso con i borbonici e complotta con Lorenzo Giulente e quindi con i liberali. Questa è una critica di don B che il lettore condivide. Anche don Blasco ha torto però: in contrasto a quello che dice, che bisogna avere coraggio, anche lui stesso si va a rifugiare presso i monaci e nonostante abbia paura, anche lui è vigliacco, critica gli altri. Questo è l’universo dei Viceré, non si salva nessuno. Nessun personaggio si salva, tutti vivono una contraddizione permanente, le debolezze umane dei personaggi sono palesati ai lettori, con poche eccezioni: Matilde Palmi non è guardata con le stesse lenti spietate dell’autore. È la vittima della famiglia Uzeda. Ma sul piano della rappresentazione degli eventi storico-politici in cui i personaggi femminili hanno meno spazio – questo è dovuto alla sua forte consapevolezza del conflitto di gender, le donne storicamente non avevano ruoli pubblici di primo piano – quindi c’è una divisione di campo, nevrosi e follie si manifestano nell’ambito delle relazioni interpersonali, della maternità, sessuali ad esempio. I maschi del romanzo invece, sono costretti a schierarsi in un abito pubblico, e quando non lo fanno sono dei matti: il Babbeo. La voce narrante con chi vuole che il lettore parteggi: Don Ludovico, Giulente o Don Blasco? Con nessuno di loro, i personaggi sono tutti criticati e tutti sbagliati, sia per i loro comportamenti interpersonali che per il loro ruolo politico. Questa critica poi viene estesa ai fratelli Giulente, sui liberali non cambia nulla. Pag. 662 Anche qui i fratelli Giulente sono criticati nella rappresentazione del testo in maniera indiretta: la critica sta nel fatto che vanno nel monastero a prendere don Gaspare rassicurandolo invece di darsi all’azione, dovrebbero criticare e attaccare don Gaspare. Si manifestano come dei leccapiedi perché don Gaspare è un Uzeda e quindi il loro senso interiorizzato d’inferiorità sociale si conferma. Don Gaspare certo non suscita le simpatie del lettore. Poi c’è l’Inno garibaldino nella città, i rivoltosi acquisiscono i posti più importati, giravano per la città. Pag 663. Sono passaggi fondamentali per capire l’ideologia politica del romanzo. Mentre tutti parlano di libertà e uguaglianza (citazione della Rivoluzione francese) ma anche qui DR fa satira: i patrioti del Risorgimento non urlavano Libertà e Uguaglianza come in Francia, ma Italia Unita. Però il modo e i termini che DR usa per rappresentare questo sono caustici, cioè «loro – Giulente e duca D’Oragua, coloro che dovevano assumere la direzione del moto rivoluzionario- a tutto pensavano…. fino 663». C’è una forte critica alla nobiltà sia liberali che borbonici. C’è anche una critica del popolo, è meno ribollente, quasi motivata dall’idea che il popolo non aveva molta colpa per questo. L’atteggiamento che troviamo negli umili in Manzoni, ad esempio, è completamente diverso da quello in DR. Nei promessi sposi c’è, tramite anche la visione religiosa della provvidenza, un atteggiamento di empatia e simpatia, di comprensione nei confronti di questo ceto sociale sofferente e privo di mezzi culturali. L’atteggiamento di DR non è questo che nella sua vita privata era un classista e un misogino anche, tranne poi a rappresentare in letteratura, alcuni, personaggi femminili, come la protagonista dell’Illusione, che sembrano dei veri personaggi femministi antelitteram. C’è una discrasia sul piano dell’esistenza della vita di DR – a cui attingiamo dalle lettere, abbiamo più epistolari – e poi la rappresentazione. Lui era un classista che disprezzava il ceto popolare. Quando la figlia del fratello viene scritta alla scuola pubblica, si ribella e la fa togliere. Al tempo stesso sullo sfondo corale dei Viceré, il popolo non è sicuramente visto con questa comprensione umana manzoniana, non c’è nemmeno la visione religiosa, lui era un autore poco incline alla religione. Però al tempo stesso c’è una profonda coscienza del determinismo storico che implica che il popolo Prima vicenda: proposta di matrimonio di Benedetto Giulente a Lucrezia sullo sfondo della proposta dei Giulente al duca d’Oragua della candidatura, cosa che poi il duca accetterà e diventerà deputato. La proposta di matrimonio si accompagna a un traffico ereditario operato da Giacomo nei confronti di Lucrezia, ma anche degli altri famigliari. Il principe Giacomo, contrariato dalle inique volontà testamentarie della madre, ha avviato una truffa nei confronti di Raimondo che degli altri eredi. In questa sezione del romanzo si assiste al suo maneggio per diseredare Lucrezia ricattandola proprio in virtù del suo desiderio di sposare Benedetto. Giacomo, che capisce che questo era il momento giusto per portare a termine il suo piano, si muove perché anche gli altri membri della famiglia accettino le sue condizioni. In particolare, oltre a Lucrezia viene frodata Chiara. Il matrimonio Tra Ben e Luc è espressione dei nuovi tempi. Prima della rivoluzione il matrimonio, visto il dislivello sociale, non sarebbe stato possibile. In questo momento storico viene reso possibile a causa del fatto che Benedetto era stato patriota e la sua famiglia fa parte del partito patriottico. IL prezzo economico da pagare è rilevante. Va sicuramente vista una critica all’amore romantico. Benedetto sicuramente era un patriota romantico. In coerenza con il suo romanticismo politico, si sviluppa il suo romanticismo sentimentale. L’universo di DR la vita sentimentale e il privato dei personaggi, non è mai separato dal pubblico, sono ambiti diversi, ma si rimandano l’uno all’altro, si determinano quasi reciprocamente. A determinare i sentimenti è sicuramente più il piano politico. Benedetto quindi è un romantico e come tale viene ridicolizzato, viene rappresentato come un illuso. Amore = illusione. Lucrezia è romantica? È più difficile da dire. È innamorata di Benedetto, ma non è romantica. Tra gli Uzeda non i sono personaggi romantici. I personaggi romantici sono tutti all’esterno e sono vittime degli Uzeda. Lucrezia in questa fase, però, corrisponde l’amore di Lucrezia. Lei lo corrisponde molto come reazione alla difficile vita che fin da bambina le era toccata in sorte a casa Uzeda. Un’altra caratteristica di questi Uzeda, i predoni, è la testardaggine e cocciutaggine e in Lucrezia il tratto predatorio degli Uzeda si manifesta nella sua determinazione. Vuole sposare Benedetto contro il volere della famiglia anche per affermare il proprio potere personale. Il matrimonio poi dimostrerà poi dimostrerà come questa testardaggine si paleserà provocando delle crisi coniugali. La relazione d’amore tra i due non è presentata attraverso le lenti di una simpatia tra i due e non è neppure isolata, non è una storia pura e semplice di sentimenti e d’amore. È una delle diverse componenti di questo scenario sociale in cui si vede il fallimento degli ideali rivoluzionari. Perché? Benedetto ama Lucrezia, ma la ama proprio perché fa parte della famiglia Uzeda esattamente come Benedetto adesso si fa principale promotore della candidatura del duca d’Oragua. Un Uzeda al parlamento piemontese. C’è una contraddizione in questo aspetto rispetto ai propri ideali sia politici che di vita. D’altra parte, sia il duca che Lucrezia sono criticati per lo stesso tipo di contraddizione che DR individua. Anche il duca contravviene ai suoi principi familiari, genetici e storicamente borbonici, e avvia la sua carriera politica nel nuovo stato savoiardo, tuttavia non lo fa per convinzione, ma per opportunismo essendo un cadetto squattrinato. Allo stesso modo anche Lucrezia accetta il matrimonio con Benedetto, rinunciando alla sua eredità e costringendo anche gli altri a rinunciare, perché essendo anche lei una cadetta (la casa degli Uzeda aveva riservato poco), attraverso il matrimonio lei si adatta ai nuovi tempi e cerca un’affermazione sociale. Infatti, Lucrezia non capisce nulla di politica, non sa cosa sta succedendo, prova a leggere i giornali quando Benedetto combatte, ma lei nemmeno comprende il patriottismo romantico di Benedetto. Non c’è celebrazione empatica di questo amore romantico. Chiara e Ferdinando sono presi dalla gravidanza, correndo meraviglioso con migliori stoffe e merletti. Questa storia d’amore non è affatto presentata con simpatia. Il matrimonio era stato imposto da Teresa Risà. Poi però dall’odio si era passato all’amore, ora quest’idillio, quindi qualcosa di romantico. Ma dove c’è romantico per DR c’è finzione. Nella parte iniziale del IX capitolo c’è la coppia Chiara-Ferdinando. Va a fare visita a loro la cugina Graziella. Graziella nella sua apparente bontà, nel suo buonismo recitato, è veramente perfida. Lei esaminava il corredo capo per capo, lo quantifica anche in senso di valore economico, ma è falso! Essendo estremamente pettegole Graziella introduce nel discorso Lucrezia. Chiede se hanno speso tanti quattrini. È una critica. Avete aspettato un pezzo dice anche, è cattiva, perché sottolinea. Tutto il discorso è strumentato a Lucrezia. I cugini non reagiscono perché anche loro stranie pazzi, sono concentrati sulla loro dolce attesa e basta. Pag. 674. La cugina è andata a visitare perché avrebbe sperato suscitare uno scoppio d’indignazione, cioè litigare su Lucrezia. Vendendo che alla coppia non interessa nulla, lei resta delusa. «Tolta la bocca…amaro». Il personaggio di Graziella è quasi inquietante e nel romanzo viene trattato con grandissima finezza, perché la sua componente perfida, doppia, ipocrita, è nascosta e emerge indirettamente. Lucrezia e Benedetto- > il rimando al privato. Parto di Chiara. Il risultato della prima elezione in cui si afferma la vittori del duca d’Oragua. Sono sincronicamente intrecciati questi tre elementi, e la proposta sarà accettata a patto della sistemazione della situazione ereditaria. Eredità storia, finanziaria e quella genetica. Le tre eredità s’intrecciano per costruire l’immagine allegorica. Pag. 690. La sera prima, il giorno avviene il parto e la votazione. C’è sincronia. I due Giulente si mostrano come leccapiedi. I maneggi vengono svolti nel palazzo Uzeda che è la prima volta che si apre a tutti, il principe Giacomo li fa entrare nelle stalle, non nelle sale di lusso. Anche l’interno esterno del palazzo, dello spazio, subisce una rivoluzione. È un passaggio espressionistico della camera di Chiara. «Nonostante…etc». Si nota il parossismo di questa rappresentazione, com’è possibile che una partoriente che soffre sia beata, è proprio l’enfasi eccessiva delle parole, l’esagerazione che il lettore coglie proprio nei termini usati. -> lei era beata, sorrideva e pensava al marito. Il desiderio – per tutti e tre – si stava per realizzare. È una delle immagini più rappresentati, ma anche più incisive e icastiche del romanzo, molto condensata nell’arco di una sola frase. Le levatrici non impallidiscono per il mostro, ma perché vedono svanire le speranze di ricchi regali. Questa è una nota verghiana, di ascendenza verista. Nemmeno di fronte a questo spettacolo sconcertante viene meno l’interesse economico. «pezzo di carne informe…uccello spiumato». DR in vita è stato accusato, dopo la pubblicazione dei Viceré, di cose grottesche, invece in realtà anche in questo episodio in questo orribile aborto, fa capo a un documento conservato all’archivio di stato di Catania, che documenta il parto di una contadina nel 700, con tanto di illustrazioni anatomiche corredate a cui DR si è ispirato. Questa immagine raccapricciante e grottesca rimanda a questo documento. Ma a noi interessa la costruzione allegorica, il significato. Chi va a dare la notizia al marchese: donna Graziella che nella sua apparente bontà è un personaggio sadico, prova gusto nel suscitare la sofferenza altrui. Lei le andò incontro e preparò il marito al brutto colpo. È un apice del romanzo. La cugina le dice che era una «femminetta» ed era tanto bellina. Dice molto sul contesto maschilista e misogino della storia. Ma qui è misogino il contesto che sta raccontando. DR raccontando in questo modo la personalità e la perfidia di Graziella e la reazione di Chiara che dice che va bene lo stesso, ironizza su questa concezione maschilista. DR prescinde dalle proprie convinzioni ideologiche, c’è un andamento avanti e indietro. «Voglio vederla» è il tratto della testardaggine degli Uzeda. La reazione di Chiara non è realistica, ma è comprensibile in un universo di folla. Poi gli altri parenti arriva, anche il duca ma che resta poco perché i Giulente fuori lo aspettavano. C’è un excursus. «Domani egli corse su e giù per le sezioni» cosa c’entra questo con il patto di Chiara; c’è un montaggio delle due scene che poi richiamano la terza, il matrimonio tra Lucrezia e Giulente perché Benedetto è protagonista. Il montaggio quindi non è casuale. Nonostante il parto, ha le chiave sotto il guanciale che sono simbolo di soldi. Chiara fa mettere nella grande boccia sotto spirito il suo feto. Consalvo «Zio non pare la capra del museo?» anche questo è un riferimento documentato perché nel museo dei benedettivi sono conservati animali sottovetro, nelle teche sotto spirito. Il parto di Chiara era più orribile. Nel frattempo, gli Uzeda parlano fuori e c’è un «Viva il duca d’Oragua, viva Uzeda». C’è un’alternanza testuale e continuale che fa si che ci sia una corrispondenza nel testo tra quest’immagine allegorica dell’aborto, però messo sotto spirito, e l’altro aborto che si sta consumando sul piano politico. Così come Chiara poi prende la boccia e rimane ad osservarla soddisfatta «guardò soddisfatta il prodotto più fresco della razza dei Viceré», questo prodotto è il prodotto della degenerazione ereditaria dei Viceré, è un aborto mostruoso che deriva dal fatto che gli Uzeda sono degenerati dal punto di vista ereditario, ma questa degenerazione, il prodotto più fresco, è riflessa sul piano politico -> l’elezione del duca d’Oragua è un aborto, un abominio, un prodotto più fresco della razza dei viceré anche quello. Ultime parole -> dialogo tra Consalvo e il padre. Quello è il prodotto ultimo della razza dei Viceré. negativo e ci sono molte testimonianze, ma quando lo rappresenta deve sospendere il giudizio e lui stesso deve diventare Consalvo. Lo chiama Consalvo: È un nome leopardiano e DR adorava Leopardi. Chiama il suo nemico come se lo chiamasse Leopardi proprio in virtù di questa sua visione dell’arte. Consalvo è il personaggio spregevole, ma è anche Leopardi ma è anche DR, le cose sono vere e false insieme. È un metodo artistico, complesso e moderno di DR. Prefazione alla raccolta «L’albero della scienza», 1889. In questo testo c’è una citazione che conferma questo metodo. Aggiunge ancora la condizione che il personaggio diventi simpatico all’autore mentre scrive. Ripete l’idea e vista la continuità cronologica di questi testi, sono gli anni in cui sta lavorando alla trilogia Uzeda, ci lavora contemporaneamente. Allora queste indicazioni dell’autore sono fondamentali per comprendere Consalvo e Teresa dell’Illusione. La rappresentazione simpatetica per cui anche quando si rappresenta un personaggio anche aborrito, e lui detesta questi personaggi, rappresenta personaggi negativi e lo fa attraverso la simpatia dell’immedesimazione. Questo significa che l’autore lasci cadere il giudizio negativo? Il giudizio che ha l’autore si ribalta? NO. Questa sospensione del giudizio dura fin che dura la scrittura, al termine della lettura si deve riportare a un giudizio che sarà quello negativo dell’autore. A lui non interessa se il personaggio è brutto e cattivo, ma come è rappresentato quel personaggio. L’autore deve immedesimarsi simpateticamente mentre lo rappresenta, altrimenti la rappresentazione non sarà artisticamente efficace. Però poi siccome la modalità della rappresentazione mira a produrre degli effetti sul lettore, alla fine dell’opera, completato il ritratto, l’effetto sul lettore sarà sempre quello di aver suscitato un giudizio. Teresa Uzeda dell’Illusione è rappresentata in modo che il lettore patteggi per lei, ma dalla lettura del romanzo non emerge la difesa di una donna dongiovanna, incapace di amare, il giudizio resta negativo. Tuttavia, nel modo in cui il personaggio è tratteggiato, DR si è estraniato, è così tanto diventato Teresa da aver rappresentato con ricchezza quel personaggio, nonostante il giudizio di condanna non possa cambiare. Una delle accuse mosse al romanzo era che il testo potesse cambiare le giovinette, era la stessa accusa di Madame Bovary. Lui diceva che è ancora più educativo, fa vedere fin dove si spingono le conseguenze del dongiovannismo. La stessa cosa per Consalvo, noi dobbiamo guardarlo con queste lenti. Questo ci dà una chiave di lettura. Ci sono molto studiosi che ignorano totalmente la fonte, il riferimento documentario. Non avere questa chiave di lettura riduce di molto la comprensione del testo. Sapere che è inventato ci fa perdere molto. Il paratesto derobertiano deve essere messo con la costruzione letteraria del personaggio per capire l’analisi che ha fatto sul personaggio. «L’officina dei Viceré. La genesi del romanzo attraverso l’epistolario di Federico De Roberto», Agnese Amaduri 2017. DR era un grande scrittore di lettere, ci sono molti epistolari. In questo libro Agnese Amaduri raggruppa delle lettere. C’è un amico di DR molto citato Ferdinando Digiorni, è un interlocutore privilegiato che spessissimo gli scrive della sua attività letteraria e non. Lettera Milano 18 luglio 1891, a Ferdinando, leggiamo una confessione relativa all’Illusione e quello sta scrivendo, ovvero i Viceré. È tutto illusione? È tutto vero e falso? Ma allora DR è un nichilista, questa era l’accusa che gli era stata mossa. Questa sua visione relativistica per cui non ci sono verità, vero e falso coincidono, potrebbe far pensare alla prospettiva nichilista, ma DR se ne discosta. Scrive di essere contrario al nichilismo e a un’interpretazione in chiave nichilista della sua opera. Il fatto che DR rifiuti l’attribuzione di nichilismo alla sua opera, potrebbe non voler dir nulla. Per Digrado DR è un nichilista e non ha importanza ciò che aveva detto della sua opera. Questi autori pensano che la visione storica dell’autore sia quella dell’immobilismo e non ci sia la prospettiva di una denuncia militante, ma ci sia una visione della storia che è sempre stata così. La prof crede che non sia così. Consalvo ci dice la storia è una monotona ripetizione, ma siamo sicuri che il punto di vista di DR coincida con quello di Consalvo. Lui in quel momento è Consalvo, c’è adesione, ma poi quest’adesione continua? Il nichilismo può conciliarsi con una visione di protesta e militanza? Il tempo dello scontento universale, Aragno 2012, Annamaria Loria. -> Articolo del 1884, prima delle due prefazioni: Qui DR a proposito del nichilismo degli scienziati e dei grandi narratori, come Flaubert, lui dice che questi autori avevano una visione scientifica della realtà, ma non sono nichilisti. Lui difende il valore di verità della grande arte anche in quei casi in cui l’arte rappresenta al negativo, o anche quando la scienza introduce dei paradigmi di relativismo. L’arte deve riflettere l’intima armonia. Il problema è quello che fanno gli spiriti impreparati che sono spinti a interpretare male. Dr ha un’altissima considerazione dell’arte, per lui è il livello più sublime, ma l’arte ha le sue regole interne di grandezza che prescindono le scuole, e anche quando l’arte rappresenta il negativo non ha la finalità di rappresentare il negativo. La sua è una difesa dell’arte che non mai nichilista e non lo è la scienza, perché l’arte continua la propria produzione vitale in nome di una visione elevata. (I critici hanno sollevato l’ipotesi che tra i due ci fosse una relazione omoerotica. Spesso DR faceva commenti fisici a Digiorno, c’era qualcosa di più della semplice amicizia). 05/11/2020 L’inizio della seconda parte del romanzo vede protagonista Raimondo che torna a Palermo sull’onda di uno scandalo, lo scandalo era stato preparato nella prima parte e corrisponde alla relazione adultera di Raimondo con Isabella Fersa che aveva già portato alla cacciata di casa di Isabella dalla madre soprattutto. Poi la relazione si era consumata a Firenze dove aveva maltrattato e bistrattato la moglie Matilde e le due figlie. Tutto l’inizio della seconda parte è caratterizzato da matrimoni che si fanno o che si spaccano. Il tema del matrimonio quindi e dell’adulterio sono collegati e rimandano allo scenario politico. Su entrambi i piani assistiamo a una carrellata di tipi di personaggi, a tipi molto diversi. In questa varietà possiamo individuare una costante che li accomuna e questa è l’incoerenza, il trasformismo, l’opportunismo oppure viceversa l’illusione. Pag. 720-722: Raimondo Uzeda è il personaggio dongiovannesco. I caratteri dell’appartenenza alla famiglia Uzeda li vediamo nell’incostanza, è un’incostanza diversa rispetto a don Blasco o donna Ferdinanda. Ma alla fine si rivela molto simile a quella del duca d’Oragua. Incostanza, opportunismo, doppiezza, falsità, mancanza di convinzione. È molto sottile la descrizione psicologica di questo personaggio. Raimondo amava la libertà, qualsiasi legame era come una catena. Isabella era stata una conquista come tante altre. Ciò che alimentava, rendendolo meno indifferente, era il compiacimento un po’ invidioso che gli manifestavano i suoi amici, che per lui contavano molto di più delle donne. Il suo desiderio amoroso per la donna era alimentato proprio dalle gelosie di Matilde, più lo supplicava e gli stava vicino, più lui si sentiva spinto a contrariarla. Nel backstage del testo c’è la riflessione di DR sull’amore: per lui l’amore non è mai un sentimento altruistico, non è mai un sentimento disinteressato, il motore che muove l’amore è la vanità che corrisponde all’opportunismo politico. Brama di potere=brama di amore, sono meccanismi simili e paralleli, analoghi. E sono analoghi perché entrambi rimandano alla logica del desiderio; a questa si unisce la logica della sopraffazione un fattore moderno che potrebbe essere anche simile alla nozione di libido teorizzata da Freud, ma che è proprio il desiderio di sopraffazione, di affermazione. Il desiderio per sua natura è condannato a restare insoddisfatto perché ogni qualvolta si raggiunge l’oggetto del desiderio, a quel punto il desiderio ha bisogno di trovare un ulteriore oggetto. Questa dinamica si vedrà molto bene in Raimondo. Il terzo elemento nascosto è importante nella dinamica del desiderio, spesso in questa dinamica c’è il triangolo. Ma non è solo il terzo elemento della relazione di coppia: si nota la presenta degli amici rompicollo e scapati. Li definisce così la voce narrante che non è neutrale, ma fa un giudizio, è un’interferenza autoriale che in questo caso simpatizza con Matilde, ma ancora di più con il padre di Matilde. Il setting della passione amorosa è tale che ci sia un pubblico fuori, un terzo elemento anche quando è nascosto. Qui il terzo elemento è costituito dagli amici, il contesto sociale fiorentino che alimenta la vanità di Raimondo, e dall’altro c’è un contesto dietro i personaggi, ci sono dei rivali. C’è un contesto sociale che rafforza il punto di vista del protagonista, e dall’altro c’è il rivale. La rivalità caratterizza tutti le relazioni degli Uzeda (gli Uzeda sono tutti rivali tra loro e con il mondo esterno). La logica della rivalità aumenta le passioni. Il fatto che Raimondo si senta spinto proprio dalle rimostranze della moglie ad avvicinarsi ad Isabella, lo dimostra. Vive una relazione pregnante intorno alla agone sociale dell’invidia e della rivalità. Il malocchio è uno sguardo cattivo che qualcuno per invidia ha rivolto sulla persona che poi viene colpita dagli effetti nefasti del malocchio. I fattocchieri sfascinano, tolgono questo desiderio di male. La jettatura e il malocchio significanti di questo orizzonte sociale profondamente conflittuale e belligerante in cui il desiderio che è d’invidia la fa da padrone. Anche qui le coppie contrapposte: personaggi che odiano i medici e quelli che non sopportano i microbi e le malattie. I microbi e le strette di mano sono possibili fonti di veicolo di questo male ugual a quello de malocchio e jettatura. Il terzo capito 738: Tema dell’immobilismo storico, nulla cambia, cambiamento solo apparente e non di sostanza. Il tema del nulla cambia, in tutto lo svolgimento della trama d’azione in questa seconda parte è contraddetto da tantissimi eventi della famiglia Uzeda che invece cambiano radicalmente, sono propri i personaggi che cambiano, vanno da un eccesso all’altro. Ultimo atto della crisi coniugale tra Raimondo e Matilda, e il matrimonio con Isabella Fersa. Il conflitto molto forte tra il barone Palmi e Raimondo a Firenze in cui il livello sociale fa la sua parte, Raimondo chiama il barone facchino, perché il barone voleva prenderlo a pugni. La voce narrante entra sempre in primo piano con giudizi sferzanti contro gli Uzeda, è un universo gerarchizzato in cui il classismo è fortissimo, ma è ingiustificato perché non è per nulla motivato da una superiorità dei comportamenti. Finisce il matrimonio tra i due. Il matrimonio di Isabella sarà di nuovo infelice caratterizzato dalla dinamica della prevaricazione e del potere, e contemporaneamente entra in crisi il matrimonio tra Lucrezia e Benedetto per uno dei ribaltoni forse più significativi del romanzo: Lucrezia che si rende conto di aver sposato Benedetto proprio per contraddire la volontà della famiglia, e si rende conto di aver sbagliato. Riflette sulle accuse fatte a Benedetto e pian piano dà ragione alla famiglia e si rivolta in malo modo contro il marito. I personaggi cambiano radicalmente. Le cose cambiano sullo scenario politico, qui c’è la parte più intensa della macrostoria, che portano a cambiamenti della microstoria. Pag 795: Chiara non voleva sposare il marchese, poi dal giorno delle nozze inizia un idillio romantico caratterizzato da queste gravidanze allegoriche. Chiara la quale anche lei si ribalterà contro il marchese disprezzandolo, sempre in virtù del senso di superiorità sociale, ora «con questo utero fradicio e sentendosi a disagio per non poter servire il marito». Servire rimanda alla posizione subordinata anche nell’ambito sessuale della donna. È una spia linguistica questo verbo: rimanda a quest’orizzonte di classismo, servilismo e dislivello sociale. Lei dopo il matrimonio diventa la donna che vuole servire il marito, le sue gravidanze sono significanti del potere anche da questo punto di vista. Adesso sente di non poterlo fare e trova delle cameriere al marito, serve le cameriere invece che esser servita da loro. Poi nasce un bambino e lascerà il marito per dedicarsi al figlio. C’è il tema della follia degli Uzeda, ma la mania, follia, cocciutaggine si collegano a un orizzonte di dinamica, cambiamento e ribaltoni, di cose che cambiano in contrasto con questo «tutto era come prima, nulla era cambiato». Il romanzo pur volendoci rappresentare il trasformismo legato alla volontà di potere di questa classe sociale in realtà sconfitta, ma i segni della sconfitta e del cambiamento, quindi, sono disseminati ed evidenti e contrastano con queste affermazioni della folla e di tanti personaggi relativi all’immobilismo della storia, al fatto che nonostante la rivoluzione nulla è cambiato. Chiara è un altro esempio di questo cambiamento, anche il suo matrimonio naufraga, ma sempre nella logica del potere. La relazione tra Giacomo e Graziella comincia a diventare più evidente: Graziella è rimasta vedova e con il consenso di Margherita, Graziella si è trasferita al palazzo del principe. È lei che si comporta da padrona di casa, si occupa deli ordini, gira con le chiavi etc. Tanto che il lettore ha il dubbio se i due avessero continuato questa tresca amorosa, sembra di sì ma non si capisce bene, ma ora è esplicito. Anche qui c’è un triangolo: Margherita, Giacomo, Graziella. Margherita è vessata dal marito che la tratta malissimo così come tratta male i due figli in maniera autoritaria. Graziella è il terzo elemento che è destinato anche qui a uno scioglimento. Il cambiamento è costante quindi. Poi diventano più importanti i figli della nuova generazione. Teresa molto legata alla madre che fin da piccola viene educata con durezza dal padre nonostante le resistenze della madre, che però obbedisce sempre al marito, non riesce a difendere la figlia, che veniva fatta portare regolarmente al monastero e fatta passare attraverso la ruota di pietra e la bambina è terrorizzata, ma nasconde questa sua paura. La penna dello scrittore è molto più dura e caustica nei confronti degli Uzeda che con gli estranei alla famiglia. Abbiamo notato già che per il personaggio di Matilde se c’è ironia nel testo, è un’ironia molto sottile, è quasi un personaggio dell’illusione, è romantico, anche se poi le sue illusioni romantiche falliscono. C’è un aspetto di lirismo anche un po’ melodrammatico, non c’è molta cattiveria. Non c’è nemmeno cattiveria nei confronti di Isabella Fersa, non c’è forte simpatia, ma neppure ironia. Mentre Chiara e Lucrezia è evidente che siano rappresentate in forma caustica, sono personaggi macchiettistici. Teresina com’è? È possibile cogliere una corda ironica in questa bambina che poi diventerà adulta oppure no? È utile un confronto tra Teresina e Matilde. 06/11/2020 Pag 804, Teresina è vicino ai 12 anni. Questo ritratto di Teresa resterà anche costante da adulta. Teresina è presentata orgogliosamente come l’orgoglio della madre ->tema della vanità. L’orgoglio è tale perché sollecita la vanità della madre. La madre si vanta della figlia così bella nel corpo e nella persona, nella bontà d’animo. Il testo dice «mai un dispiacere da quella bambina». Chi pronuncia questa frase, è riportata nell’indiretto libero. È il punto di vista della madre, ma anche della folla anonima che riporta quello che sente dire nella famiglia Uzeda. Lo stesso principe, per la folla sempre, non riusciva mai a coglierla in fallo. «per la dolcezza…raccoglieva sempre lodi e premi»: c’è un registro ironico che gioca nel ritratto di questo personaggio. L’ironia a volte può essere palese altre volte può essere sottile e potrebbe essere impercettibile e inferita da chi legge e allora non è palesata. La decodificazione del testo è ovvio che può dipendere da chi legge. Qui è ironico e l’ironia sta nella rappresentazione così estremista di Teresa, è possibile che una bambina sia sempre obbediente e perfetta, mai abbia dato occasione di lamentarsi. Questa perfezione suscita in chi legge un qualche sospetto. Un sospetto relativo alla verità di questa sua caratteristica e bontà e quindi all’ipocrisia o meno di questa persona così obbediente. La sua bontà le faceva dovunque raccogliere lodi e premi. Teresa aveva una forma di vanità mirante a conseguire lodi e premi, questo è il tratto saliente della personalità di Teresa. Questo tratto distintivo di tutti gli Uzeda è presente anche in lei. Il narcisismo del personaggio, il bisogno di ottenere un riconoscimento pubblico, l’idea di comportarsi per un fine. Teresa, anche per effetto dell’educazione e dell’autorità del padre, ha elaborato questo tipo di strategia -> imporsi sugli altri rispettando le volontà altrui, non ribellandosi, ma anche in lei questa remissività è una strategia di affermazione, affermazione anche della vanità, del bisogno di supremazia ->lei voleva avere lodi e premi. Sin da bambina aveva imparato a nascondere le proprie paure perché temeva di non ricevere le lodi della famiglia. La bambina impara la legge dell’obbedienza in virtù del suo bisogno di essere considerata brava e servizievole. Anche qui questo modello così estremizzato fa da contraltare a Consalvo. Coppie contrapposte. Pag. 805-806: Consalvo si comporta sempre al contrario della sorella, e fino alla fine anche dopo la morte dei genitori, il rapporto resta coeso e forse uno dei più veri della famiglia, resta caratterizzato da questa antitesi. Teresa viene mandata in collegio a Firenze per decisione del principe. Per Teresa è scioccante, non vuole andare in collegio, ma lo nasconde per non far soffrire soprattutto la madre. Sullo sfondo di questa situazione si vede anche il tema dell’educazione delle ragazze di buona famiglia nobile e uno scontro con la generazione precedente; donna Ferdinanda protesta con la decisione di mandarla in collegio, l’educazione della ragazza non doveva consistere nello studio ->Pag 807: c’è un cambiamento sociale rilevante che riveste il ruolo della donna. Il problema dell’educazione femminile è importante nel romanzo. La cugina Teresa figlia di Raimondo, spesso equiparata nel romanzo all’altra cugina da Matilde: entrambe belle, magre, con gli occhi chiari, entrambe attestanti quel filone genetico non degradato della famiglia, però la differenza tra le due cugine sta nel carattere. La Teresa a confermarsi come un leccapiedi del duca perché spera che il duca gli spiani la strada per la carriera politica nazionale. È proprio esplicito nel testo, il duca glielo aveva proprio promesso. Diventare deputato era il sogno di Benedetto, e convinto della bontà del duca, non si rende conto che tradisce le ideologie del partito per eseguire gli ordini degli Uzeda perde consenso dei suoi. Questo viene confermato anche dagli insulti rivolti dalla moglie, lo insulta anche per la sua debolezza, a lei questa debolezza dava molto fastidio. Dopo l’elezione a sindaco Pag. 849: e lui sopportava tutto. Il personaggio è ridicolizzato. La guerra della moglie era esplicita, ma quella dello zio dica era nascosta, la sua protezione di fatto era come una guerra. Il duca era il sindaco occulto in realtà, faceva quello che voleva con la scusa di dare consigli al nipote. Il ritratto del duca è molto esteso in questa parte e si arricchisce di dettagli. Pag 862: la voce anonima della folla ricostruisce questa sua incapacità d’azione, debolezza teorica, lui non aveva nessuna idea politica. Anche lui era mosso dalla cupidigia. È molto forte questo passaggio. È un indiretto libero, ci sono questi popolani che a volte si contraddicono, ma la verità esce: lui non aveva fatto nulla in 8 anni, non aveva mai parlato. Era stato un deputato che non aveva mai preso la parola in parlamento. Queste sono presentate come accuse dei nemici. La ricchezza dei Viceré è che c’è molteplicità, la cosa è affermata e poi negata e poi affermata, ma esiste una verità? Sono rappresentati punti di vista diversi, anche Giulente è visto come un ipocrita e un servo. Pag 864: sempre in questo indiritto viene citata una frase del duca che è diventato quasi uno slogan del romanzo. «Ora che l’Italia è fatta dobbiamo fare gli affari nostri». Ribalda il famoso motto attribuito a D’Azzeglio che diceva: «Ora che l’Italia è fatta dobbiamo fare gli italiani». Il duca sicuramente questo aveva fatto. La cupidigia aveva prevalso sulla paura, non aveva idea e aveva paura di parlare in pubblico. Il termine che spiega il suo comportamento è la «cupidigia», stesso termine che è stato usato relativamente a Consalvo nella sezione in cui si parla del Consalvo appena uscito dal noviziato, non solo torna il temine cupidigia, ma anche «ereditaria cupidigia regale». Quindi Gaspare e Consalvo sono l’uno il riflesso dell’altro, è una coppia similare, entrambi mossi dalla cupidigia e ciò porta alla strategia di farsi sempre gli affari loro. È sempre il popolo a parlare perché è rimasto deluso di questa rivoluzione che non ha portato cambiamento nei ceti bassi, i nemici del duca quindi non “aumentati”: è il punto di vista popolare. Ma possibile che chi scrive non condiva questa critica e poi la rabbia è condivisa dalla voce narrante che mira non solo a suscitare il consenso del lettore, ma anche a suscitare la rabbia in chi legge. I Viceré è un romanzo di denuncia, questa frase di ribalta di quegli ideali è di grandissima attualità e la rappresentazione durissima dell’Italia non a caso da Sciascia e da tanti altri è stata ritenuta una fotografia dell’Italia tra gli ultimi decenni dell’800 e ancora. “Autobiografia di una nazione” l’ha definito Roberto Faenza, una nazione che da allora sarebbe rimasta ancora così. Noi dobbiamo giudicare il testo come militante perché vuole dimostrare l’iniquità, l’ingiustizia e la gravità sociale degli eventi che sta rappresentando. Il romanzo è un romanzo di denuncia, si sta raccontando il modo polemico e con dovizia di documenti, ma anche di dettagliata rappresentazione dei fatti storici locali, è il fine è quello di elaborare un messaggio critico che deve smentire l’idea di un autore disinteressato e nichilista politico, che invece la tradizione critica ha veicolato e condivide ancora ora. 07/11/2020 Con la terza parte la dinastia degli Uzeda sembra avviarsi verso l’autodistruzione. Consalvo è l’unico personaggio a cui sembra che la sorte arriva, ma gli altri personaggi sono tutti destinati a fare una brutta fine. Nell’VIII cap. della Seconda parte si consuma lo scontro e la rottura definitiva tra Giacomo e Raimondo che è in qualche modo mediato da Graziella, che resta invisa a Consalvo, la detesta molto. Don Blasco dopo aver scandalizzato tutti, diventa Liberale per potersi arricchire e impossessare di beni ecclesiastici messi in vendita. Il duca d’Oragua subisce un evidente declino sia fisico che morale. La sua stima è corrosa, esce di scena progressivamente. Naufragio del matrimonio tra Raimondo e Isabella. Raimondo la odia perché la ritiene colpevole di averle messo un secondo gioco. A Firenze la umiliava, ed esercitava su di lei un sadismo evidente e le fa molte corna con prostitute che porta anche a casa. Il suo arrivo a Palermo accompagnato di tutte queste cameriere belle, e il pessimo aspetto della moglie, è invecchiata tanto da essere irriconoscibile. Sembra aver subito la stessa metamorfosi fisica e psicologica toccata a Matilde. È terrorizzata dal marito che esercita su di lei violenza. Raimondo ha dilapidato tutto il suo risicato matrimonio e finirà povero. Eugenio finisce quasi pazzo e povero. Questa follia degli Uzeda emerge e porta a disavventure. Giacomo si consuma di bile, è giallo in viso. È ammalato di tumore, ma diffidente dei medici morirà dopo una lunga agonia ed è ossessionato dagli jettatori. Anche don Ferdinando aveva subito dei ribaltoni: Non aveva più voluto abitare alle Ghiande in cui la madre lo aveva relegato dalla madre proprio perché non desse fastidio, viveva in questo mondo ideale in cui si dedicava alle sue sperimentazioni, ma in maniera inconcludente. Poi era tornato in città ed era ritornato elegante. Nel cap. 8 muore a 39 anni di malattia psichiatrica. La narrazione è molto significativa perché chiama in causa il tema della guerra; lo scenario politico si è evoluto, e in ossequi alla regola secondo cui le vicende locali sono determinate e influenzate dalla grande storia, ora sullo sfondo storico ci sono ci eventi del 70- 71, ovvero la presa di Roma e lo scoppio della guerra Franco-Prussiana e il personaggio di Bismark. La follia di Ferdinando prima della morte consiste nell’ossessione delle carte di guerra, pag. 881: Ferdinando è ossessionato dalla battaglia, dal teatro di guerra e dalle mappe della guerra. Spilla e spilloni che segnalano degli spostamenti e cambiamento storico. È malato ma non vuole i medici e ritiene che tutti i familiari che assistono, tra cui Lucrezia, siano lì per la sua roba. Si realizza in questo aspetto una sorta di legge del contrappasso rispetto a quello che era avvenuto prima a sua madre alla lettura del testamento. C’è un altro elemento paranoico perché Ferdinando non ha più nulla, è convinto che la sua roba sia conservata e di averla implementata, ma lui è stato spogliato di tutto senza rendersi conto da Giacomo. L’elemento della consapevolezza del patrimonio, della coscienza pratica delle azioni di compravendita -> collegato al tema del bovarismo, il personaggio bovaristico perdendo il controllo della realtà, perde anche il contatto con la gestione delle proprie finanze e questo accade anche a Ferdinando che è un personaggio bovaristico e la follia appare in primo piano ed è una follia paranoica che gli ha fatto perdere il contatto con la realtà. Tuttavia, c’è una logica in questa follia, e la logica che emerge da questo passo mette in luce la conflittualità reciproca, l’impossibilità di avere relazioni positive tra i membri, lui è convinto di essere odiato dai famigliari. Pag. 887: Viene chiamato un medico con uno stratagemma, gli si fa credere che deve arrivare un ingegnere che deve prendere le misure della pianta della casa -> è tutto allegorico, il palazzo ha un suo valore, non era quasi più riconoscibile perché tutti lo avevano modificato in maniera folle. La metafora della pianta della casa si collega alle piantine del teatro della guerra su cui in maniera ossessiva spende le sue ultime energie. Rifiuta di mangiare ossessionato che venga avvelenato dai famigliari in cui vede dei nemici in questa guerra mentale da cui lui è ossessionato. Ferdinando muore per la malattia e anche perché non è alimentato. Perché proprio Bismark? Cosa vede in Lui? Nella sua follia non è ben chiaro se chiami Bismark per essere salvato, o tema che possa arrivare Bismark. L’ossessione per Bismark forse era anche di DR. L’autore gli dedica molte ricerche e lui è interessato alla vita privata di Bismark perché DR non riusciva a collegare la vita di Bismark a tutti gli esempi negativi sulla teoria dell’amore che poi alla fine dimostravano la fallacia e l’illusorietà dell’amore. DR deve dimostrare che l’amore non esiste e dalle carte deve ammettere che forse Bismark era stato felice in amore ed era stato appagato. L’amore di Bismark si allontana dall’amore bovaristico, dall’amore romatico-bovaristico. Il bovarismo è una manifestazione dell’amore romantico. In uno dei saggi pubblicati nella raccolta «Come si ama» che DR ha dedicato all’amore, c’è un saggio dedicato a Bismark. Il saggio ha il titolo «Matrimonio di Bismark» che inizia dicendo che i casi d’amore considerati non sono lieti, tuttavia il caso di Bismark è un caso di amore felice. Bismark fu molto felice nel matrimonio, ma era stato felice anche nelle relazioni private con donne della sua vita, come la madre e la sorella e questo era dovuto alla maturità della madre di B. che ne aveva colto il valore e la vocazione di statista e aveva fatto sì che il figlio potesse studiare nelle migliori condizioni per poter emergere, ma non lo aveva mai viziato, anzi la madre era stata molto più brava del padre che tendeva a viziarlo. Le tre donne – madre, sorella e moglie – sono donne «teutoniche», amanti fedeli, compagni fedeli, consolatrici sicure, e stabili, ma non sono lacrimevoli e sentimentalistiche o romantiche, ma sono «pratiche». Questa parola torna più volte nel saggio, anche Bismark era pratico. Ricorre un episodio in cui B. compra un orologio e riferisce il prezzo alla moglie come segno del suo amore. Questi riferimenti all’economia non devono esser visti come di minuzia dell’affetto, ma al contrario, come amore che in virtù di questa visione pratica è anche condivisione degli aspetti di realtà: economia e gestione del denaro. Paternò di San Giuliano. Tutti i discorsi politici di Consalvo sono costruiti letteralmente sui testi reali e veri pronunciati da San Giuliano. Prende quei testi che erano pubblici e li riscrive facendone una parodia, molte delle citazioni sono le stesse, cambia qualche piccola cosa in qualche parte. Il giudizio negativo che la voce narrante tratteggia, è il giudizio negativo nei confronti di San Giuliano, il testo non è limitato a questo naturalmente. Essendo arte qui non si limita a questo. L’interpretazione del personaggio fa affiorare altri aspetti ed è inevitabile ne processo della scrittura che ha DR. Tuttavia, questi lati seminascosti di Consalvo restano, nell’economia della costruzione del personaggio, di portata inferiore rispetto al giudizio negativo che viene dato a Consalvo. Pag. 952-53: non si può affermare che Consalvo venga giustificato. È evidente che questa descrizione è negativa e chi sta dicendo queste cose lo sta disprezzando. Lui non aveva idea, e dava entrambi ragione e torno a nessuno. A lui interessava il grande principio che si manifestava nel disprezzo del popolo e che lui era fatto di un’altra pasta e doveva comandare al gregge umano, lui era disposto a concedere tutto, purché non si toccasse il principio di superiorità aristocratica, questo principio lo lega al disprezzo dei ceti inferiori e un desiderio di vanità di potere e narcisismo. La condanna dell’autore è molto chiara. Ancora più rafforzativa di questa interpretazione è «credeva alla sincerità della fede altrui». Chi parla qui? Non capiva lo scetticismo nel non credere alla sincerità della fede altrui, non avere idee a parte quella della razza superiore. La voce narrante ci dice che il «sentimento…egoismo». C’è il male in questo scettico egoismo e Consalvo non ha gli strumenti per comprenderlo. 12/11/2020 Bastardi della famiglia Uzeda. Fra Carmelo finisce pazzo, è fratello bastardo di don Blasco e lo sappiamo perché viene detto nel testo all’improvviso. La figura più significativa da questo punto di vista, sempre con un ruolo un po’ marginale è Baldassarre maestro di casa. Baldassarre è una cicatrice del testo, secondo l’interpretazione psicoanalitica, la sua presenza nel romanzo, pur a confine della trama narrativa, corrisponde specularmente alla sua maggiore importanza. Il fatto che alcuni personaggi non siano presenti in primo piano non vuol dire che non siano cruciali nel racconto. Finora Baldassarre è fedele per eccellenza e incapace di ribellarsi. Lui è un bastardo, figlio di Consalvo e una relazione illegittima, è fratello di Giacomo sembrerebbe, è sempre tutto alluso. Perché lui è cicatrice del testo: la sua presenza è abbastanza sottaciuta, non si parla molto di lui, né lui prende molto spesso la parola. A maggior ragione è sintomatico il suo abbandono del palazzo Uzeda. Decide di andare via in seguito alla decisione del matrimonio di Teresina con Michele e non Giovannino. Il rapporto con Teresa e Baldassare era stato molto forte. La vicenda di Teresina è centrale nella terza parte del romanzo. Una dettagliata analisi del personaggio è molto utile anche ai fini del discorso del gender, la condizione femminile nel sud e nella classe nobiliare. Pur sullo sfondo deli conflitti fra genere, a differenza di quello che accade con Matilde, anche nei confronti di Teresa, la voce implicita dell’autore finora non ha mai manifestato empatia o simpatia. In questa sezione del romanzo ci sono passaggi in cui questo aspetto sembra essere apparentemente contraddetto. Teresa vive un processo di progressiva presa di coscienza interiore, in questo processo possiamo intravedere sullo sfondo una immedesimazione dell’autore. Ci sono passaggi in cui DR diventa Teresa, e il giudizio negativo su Teresa viene sospeso, si tratta solo di passaggi da cui per effetti della trama narrativa, si esce dal racconto. Possiamo dire che il giudizio su Teresa resta comunque negativo. Tuttavia, poiché Teresa vive una situazione di delusione amorosa, e poiché il tema dell’amore è fondamentale per DR, Teresa sbaglia perché rinuncia alla propria passione amorosa? Perché è condannata? Teresina dopo un’altra passione che ha preceduto quella con Giovannino, ha dato il suo cuore a Giovannino, ma la storia viene osteggiata dalla famiglia perché solo il primogenito Michelino poteva ereditare il patrimonio. Michelino era brutto e goffo, non lo ama e prova repugnanza nei suoi confronti, ma deve cedere alla famiglia e sposa Michelino. Giovannino si era rifugiato a vivere in campagna e si era accoppiato a una contadina. L’elemento di classe è fondamentale ed è collegato al tema amoroso. Tema amoroso e sociale sono uniti indistricabilmente. In questi passaggi possiamo cogliere il classismo di DR e la sua associazione dell’amore a classi sociali alte. Tuttavia, il punto centrale della discussione è il rapporto tra l’amore e la coscienza. Teresa ricorda la fase di bovarismo, la fase giovanile dell’innamoramento che coincideva con le ispirazioni poetiche. A questa evocazione di un passato romantico, al tempo stesso, si associa la percezione della prosa quotidiana che condanna la donna nell’istituto coniugale all’infelicità. Così come accade nell’Illusione, la tecnica introspettiva implica l’immedesimazione e fa sì che nella scrittura alcuni dei personaggi possano essere visti come personaggi femministi antelitteram. Il tema della ragazza ben educata che aveva fatto felice la famiglia e la beata Ximena con la sua scelta. Pag. 1012: DR ha già scritto l’Illusione e ha sviluppato già la sua disamina sul bovarismo. Tersa si chiede se fosse peccato leggere quei libri. Qui il bovarismo funziona al contrario. Nel primo romanzo, che è una riscrittura di Madame Bovary, i sogni alimentano le passioni. Le passioni derivano dalle letture. Qui avviene il contrario, Teresa non ha ceduto al bovarismo, ha rinunciato ai suoi amori, però adesso le letture agiscono nel suo presente, o meglio lei sospetta, come dispositivi capaci di turbare la sua vita quotidiana facendo accendere in lei una scintilla che rimanda al desiderio non vissuto. In Emma e Teresa dell’Illusione la lettura ha alimentato il desiderio che poi viene vissuto, qui accade l’invero, perché il personaggio ha già rifiutato il desiderio e questo “demone” del desiderio, del bovarismo, torna per renderla infelice e farla rendere conto che lei non aveva potuto realizzare e vivere i propri desideri prima ancora di averli vissuti. Questo «bene perduto» è l’amore, Giovannino, ma il bovarismo torna dopo che si è rinunciato alla prospettiva bovaristica. Per la solita costruzione di specchi, al capoverso successivo: non è soltanto Teresa, ma anche Giovannino è un personaggio bovaristico. Giovanni impazzisce e quindi non guarisce dal bovarismo, il ritiro in campagna è un palliativo, ma non le fa dimenticare l’amore per Teresa. Vivere la passione d’amore porta alla morte, non viverla porta all’infelicità. Pag 1016: Giovannino si ammala, c’è il timore che stia per morire, Teresa è da sola in casa in ansia e apprensione perché aspetta notizie, passano le ore, sta pregando: c’è il momento di riconoscimento, di agnizione. Teresa finalmente prende coscienza di quello che è successo. Cade la maschera di Teresina, c’è un’acquisizione di coscienza. Questo monologo interiore mostra come scavando nell’inconscio, infondo sapesse molto bene tutto, non solo che non avrebbe dovuto obbedire, ma anche che stava obbedendo agli assassini di sua madre. Nelle pagine seguenti si nota come il personaggio, nonostante questo passaggio in cui prende coscienza di quello che accade in modo intermittente, non riuscirà a ribellarsi o a cambiare la sua situazione. Teresa comprende che era stata lei e lo aveva fatto che sono i soliti pazzi, maligni, cattivi. Questo processo viene risucchiato nell’incoscienza e questo fa emergere il giudizio negativo. Pag. 1018: nessuna traccia della tempesta resto più in lei. Teresa continua ad agire in modo inconsapevole come se fosse una marionetta di sé stessa. Ha dei momenti che fanno affiorare l’ombra della sua coscienza, ma quando questi elementi di illuminazione affiorano, vengono risucchiati nel buio, perché la luce porta soltanto alla follia. È proprio Giovannino che in più occasioni sembra accusare Teresa di voler fare impazzire. E Teresa stessa nota che la pazzia di Giovannino è rivolta contro di lei. Teresa si rende conto di esser la causa della pazzia. Lei resiste alla follia di questi momenti dell’agnizione, rimuovendo. Teresa non ricorda questa tempesta. Ma il processo di acquisizione della coscienza continua: dialogo Consalvo Teresa pag 1021 il dialogo-scontro riapre il percorso che Teresa sta vivendo e sforzandosi di reprimere. China 13/11/2020 Episodio del contesto elettorale che decreta Consalvo vincitore. Da un canto il racconto della storia è molto dettagliato, dall’altro la costruzione del testo mira a un crescendo narrativo perché tutta la storia dei Viceré a partire dagli anni 50 dell’800 aveva come punto focale proprio gli anni 80, il fallimento del risorgimento e di unificazione nazionale che coincide con l’avvento del trasformismo storico. 1882 è l’anno in cui viene ufficialmente decretata la politica del trasformismo. Affermazione elettorale: ci interessa mettere a fuoco il punto di vista che il romanzo pone al lettore e giudicare la posizione di DR verso l’immobilismo e la storia. Litigio tra Con., Giulente e il duca: Consalvo aveva da tempo idea di candidarsi al parlamento, svolge il ruolo di sindaco. Fa sempre riferimento al barone Antonino che fu sindaco di Catania e secondo DR e altri gestiva la cosa pubblica allo stesso modo di Cons. Consl dà le dimissioni da sindaco perché aveva speso molto e teme che la crisi del comune possa avere delle ripercussioni negative sulla sua candidatura elettorale. Nessuno sa del suo progetto elettorale. Il duca Gaspare si rende conto che se si candidasse ora, perderebbe. È rappresentato come ancora più incapace di prima. Benedetto sta aspettando quest’occasione per prendere il posto dello zio. Cons. lascia il comune e lo affida a Giulente il quale ha una presa di coscienza finalmente, si rende conto di essere stato sfruttato e raggirato. Pag 1050: Consalvo disprezza Giulente e lo zio duca in maniera furba. Ma anche Cons. che è furbo è caratterizzato dalla paura di non farcela. Furbescamente si dimette e questo è causa della rottura dei rapporti con Benedetto. Si confronta prima con lo zio e poi con Cons. 1053-54: «mentre vostra Eccellenza…» -> appartiene al partito moderato il duca. Il discorso anticipa pienamente il trasformismo: ancora pensi alla destra e sinistra, non esistono più questi partiti, c’è una rivoluzione, questo termine che si contrappone alla vera Rivoluzione risorgimentale. È molto contemporaneo questo discorso. Il duca pronuncia il discorso ridendo, è una spia linguistica. Il riso caratterizza la letteratura modernista (Pirandello), anche Cons. riderà a Benedetto. È l’irrisione dei confronti dell’altro personaggio, ma anche Giulente è poco idealista, anche lui è opportunista. È una risata sadica e che vuole mettere in risalto l’assurdità della politica e della storia. Chiunque crede in qualcosa è un illuso che deve essere irriso. Uso del termine «plebe». Il duca si rivolge a Benedetto e chiama gli elettori la plebe. Il termine è importante perché è classista, non è neutro. Non dice gli elettori popolari o la massa popolare. Nell’uso del termine plebe è insita un’offesa del ceto sociale più basso che è chiamato a votare. In questo discorso il duca sembra considerare suo pari Benedetto, cosa che invece non è, perché Bened viene sempre trattato in maniera classistica e paternalistica, sempre guardato dall’alto in basso. Perché offendere i popolani: per tecnica di seduzione finalizzata ad ottenere un risultato. Una tecnica opportunistica. Il duca cerca di compiacere Giulente facendogli credere che lo ritiene suo pari e farlo così uscire bene da questa situazione. Tanto che Benede non risponde male al duca. Si va a sfogare da Cons: lo scontro è accesso e lui dice che sono tutti di una razza e Cons gli risponde con una risata. A questo punto Giulente si rende conto del grande tradimento a suoi danni senza ritegno e considerazione e si rende conto di essere stato una pedina degli Uzeda. Torna a casa in cui la moglie anche lo aveva bistratto come tutti gli altri parenti. Questo trattamento sadico, cattivo nei confronti degli altri è sempre legato alla dissipazione economica. Cons ha gestito male le casse del ministero e Giulente era complice, lo stesso aveva fatto il duca d’Oragua e ora pagano il conto. Anche Lucrezia sta gestendo le casse della famiglia, ma malissimo e offende il marito e aspetta la sua sconfitta elettorale. Benedetto per la prima volta rientrando in casa reagisce contro la moglie: dà un ceffone alla moglie. Pag: 1057. Questo atto violento segna un punto di svolta. Lucrezia si ribalta nuovamente, c’è un’altra Lucrezia da ora in poi. 1058: Lucrezia in seguito alla presa di coscienza di Benedetto, prende coscienza. Da ora in poi diventa una donna amorevole e servizievole e piena d’affetto, ora si indigna di nuovo contro gli Uzeda. «il ceffone la convertì» c’è ironia, la parola conversione rimanda all’ambito religioso, ma non è una conversione religiosa. «torbido cervello»: chi ci dice che è torbido? La voce narrate del testo che definisce dall’esterno. «per funzionare regolarmente»: perché regolarmente? La voce narrante pensa che in seguito alla presa di coscienza adesso ragiona bene. La voce narrante ci sta fornendo un indizio e spia a comprendere ciò che segue -> IX cap. Ci dice che ci sono delle verità, il cervello che funziona bene, ma anche il ragionamento psicotico, la deviazione dalla realtà, la negazione dello stato di realtà, la visione strumentale che per ragioni opportunistiche o per logiche di affermazione personale fanno si che non si guardi in faccia nessuno, non ci sia rispetto dei nemici, non ci siano idee e partiti da rispettare. Però quello è sbagliato, rientra nella follia degli Uzeda. È vero che non ci sono verità, verità sentimentale a intermittenza di Teresina, ma esiste anche l’orizzonte delle verità della storia, della politica in cui forse non si può pensare che il punto di vista ideologico dell’autore condiva il discorso del duca d’Oragua, che destra e sinistra non esistano più. Questo tipo di lettura sarebbe un tradimento del testo, che ci sta rappresentando i personaggi per condannarli, criticarli, mostrare la follia, la scarsa dignità politica, la scarsa affidabilità. È sempre presente in primo piano il fine del libro: criticare gli Uzeda e il contesto sociale che li ha mantenuti in auge. DR non pensa che Cons abbia ragione. Cons non ha ragione, non è un personaggio positivo, non è uno che ragiona bene. Ha un’intelligenza politica furba, è predone ed opportunista e si conferma uno degli Uzeda e quindi negativo. Lucrezia è anche Uzeda, ma forse con questa botta, in qualche momento può ragionare correttamente. Consalvo appare come un opportunista durante tutta la campagna politica. La costruzione dei suoi comizi sono calchi dei discorsi politici di Antonio di San Giuliano, tutti i riferimenti nel corso del romanzo sono documenti reali. Questi documenti, però sono riprodotti e stravolti in falsetto, per evidenziare questa doppiezza interiore del personaggio. Lui è un cinico e vuole solo vincere le elezioni e primeggiare a qualsiasi costo. La fazione di estrema sinistra vede male la sua nobiltà e allora nei comizi rinnega la sua appartenenza nobiliare. Poi però nella destra gli dicono che lo voteranno perché lui è principe di Francalanza, è ne è contento, li invita a votare. Pag: 1064: mi eleggano, che m’importa. Consalvo si adegua al contesto, vuole piacere a tutti. Il senso della sua campagna politica è anche l’ironia e il sarcasmo con cui è raccontata. 1065: Il romanzo è iniziato con lo stemma, la rastrelliera; poi da bambino si era gloriato dei racconti che attestavano l’importanza della casata. Ora quasi se ne vergogna e pone una specie di «zelo», un impegno nello spogliarsi di tutto ciò che poteva offendere il sentimento dell’uguaglianza umana. Cons è impegnato a mascherarsi e fingersi ciò che non è, a mostrarsi al pubblico ciò che non è. Consalvo molto spesso ride e sorride, si contiene dalle grandi risa. Ride molto quando va a trovare Teresa e vuole che ottenga la sua mediazione per i voti dei clericali e ci trova Lucrezia che ora lo detesta. Pag 1071: «quegli Uzeda», ma anche lui è un Uzeda. Quindi significa quei matti e poco di buono degli Uz., però anche lui è della stessa famiglia. Tutti i migliori si rilevavano pazzi. definisce Teresa pazza. Importante il termine «isteria» per la discussione dell’isterismo pazzo che era stato attribuito a DR. Cons si stima sano solo lui, si contrappone agli Uz che vede tutti pazzi. Ma questa auto percezione è anch’essa illusoria: prima parchè tutti si rivelano pazzi, ma anche proprio per questa forte contrapposizione all’interno di questa patologia mentale degenerativa degli Uz. per cui ognuno di loro ha la convinzione di supremazia sugli altri. Baldassarre ex maestro di casa, ex servo: pag 1072: era ex servo, ma ora è di nuovo servo di Cons lo sarà fino alla fine e serve a mostrare la doppiezza e vacuità degli Uz, lui era un bastardo della famiglia. Cons è il trasformista per eccellenza nei discorsi pubblici, e quello che noi vediamo nel privato del personaggio ci fa capire la doppiezza e la sua ipocrisia, non ha valori ed ideali, è mosso solo dal desiderio di vittoria, potere, affermazione e sogno di una vita futura diversa-> la vita di deputato. È una mania di grandezza. Il suo sogno è di affermazione di un altrove, non solo a Catania, il desiderio che va al di là del contesto specifico dell’ambiente in cui Cons opera (pensiamo al bovarismo). Cons dopo la vittoria va a fare visita a donna Ferdinanda che ha chiuso i rapporti con il nipote, aveva osteggiato la sua carriera politica per gli ideali borbonici. Donna Fr è malata e lui approfittando va a trovarla, lei è molto ricca, aveva accumulato eredità: quindi c’è un secondo fine nella visita. La zia fino a poco prima non lo avrebbe colto in casa, ma ora lo fa entrare. Tossisce molto, non vuole medici. È un dialogo caratterizzato quasi solo da Cons, è un monologo lunghissimo di fatto. Il testo è collegato in explicit e quindi è importante, ma anche perché c’è in nodo più importante. Pag 1098 donna Fr pronuncia solo «tempi obbrobriosi… razza degenere». Cons si prende gioco della zia, ha un sorriso di beffa nei confronti della zia. Cons vuole raggirare la zia come ha fatto con tutti. La prof. non condivide questo punto di vista. Questi vedono in DR uno scrittore poco interessato, documentato e poco sensibile alle istanze della storia. Sul versante opposto ci sono altri critici che ritengono DR uno scrittore che traspone quello che è il lavoro che farebbe uno storico in ambito letterario. La ricostruzione dello sfondo storico è molto dettagliata, ma rimanda anche a una serie di documenti, lui si documentava con acribia e atteggiamento maniacale. 2. La Galvagno propone una teoria nuova rispetto al dibattito critico: il tema è il collegamento tra i Viceré e Shakespeare, c’è corrispondenza tra Amleto e Consalvo. Pag 68-69-70, individua un modello testuale nascosto ovvero l’ipotesto. Lei sostiene che in alcuni passaggi possiamo vedere un ipotesto che è l’Amleto di Shakespeare. Shifter: parlano del poco tempo intercorso tra la morte di Margerita e il matrimonio con Graziella, 3-6 mesi. Questo elemento temporale, che rimanda ad Amleto, si chiama Shifter, in termini di critica psicoanalitica, è una spia dell’enunciazione che secondo la Galvagno conterrebbe un’allusione esplicita (è quasi un paradosso, l’allusione on è mai esplicita) al testo di Amleto e questo significherebbe che è l’Amleto. Una delle prove che lei cita per sostenere la sua teoria è il fatto che DR negli anni 80 dell’800, firmava molti articoli giornalistici sui giornali locali con lo pseudonimo di Hamlet, e rimanda a tre articoli pubblicati sul Giornale di Sicilia nell’estate del 1888, dal titolo «Interventi di una malattia morale 1, una malattia morale 2, una malattia morale 3». La Galvagno rimanda a questi articoli, sia perché si firma con Hamlet e poi perché è evidente l’importanza di Shakespeare per DR. È ovvio che lui conosceva Shakes., ne usava anche lo pseudonimo. Però perché non scrive saggi su lui come fa con Flaubert e Leopardi e Baudelaire. Siamo sicuri che Shakesp. siano un autore di riferimento così importante. È un po’ eccessivo considerare che Amleto sia l’ipotesto. I tre articoli sono inclusi nel libro “Il tempo dello scontento universale” di Nel primo dei tre Shakes. è citato una sola volta «Shak crea il tipo dell’irresolutezza». Il saggio verte sul tema del male del secolo, male del secondo 800. DR sostiene che il male del secolo è il male di ogni secolo, non c’è un male specifico, ma il male c’è sempre stato. Ed elenca una carrellata di autori fino al mondo classico, poi al rinascimento tra cui c’è anche Shakespeare, che crea un personaggio che non sa decidere, che è irresoluto. Non dice altro. Negli altri testi lo cita an passan. Invece Leopardi e Flaubert sono molto citati e più articolati. Quindi da questo punto di vista questa prova della Galvagno non convince. Questa singola frase di DR non sempre che sia a favore della tesi di Rosalba. È ovvio che per lui Amleto è il tipo dell’irrisolutezza, non sa come comportarsi, è indeciso tra l’azione e la riflessione. Quindi perché pensare che Consalvo è come Amleto. La caratteristica principale di Cons. è quella di sapere se agire o no? Per la prof è tutto azione invece, semmai ha problemi a giustificare anche con sé stesso le sue azioni. lui anzi agisce, è tutta azione finalizzata all’affermazione di sé e del potere. Consalvo nel corso del romanzo ogni volta che ha un ostacolo se ne libera con mancanza di scrupoli. Poi il rapporto tra Cons. e il padre non somiglia a quello di Amleto, anzi è rovesciato. [È necessario interpretare gli scritti dei critici su quel testo. È un’ermeneutica di secondo livello] La restante parte della Galvagno “va bene”. Lei ha calcato la mano su DR perché nel contesto in cui era ha voluto inserire qualcosa di nuovo nel dibattito letterario. La restante parte è dedicata alla disanima dell’dea dell’illusione nei singoli personaggi. Paragrafo sulla Beata Ximena, Pag 113 -> leggere. Poi si conclude con il paragrafo più importante che dà titolo al libro, in cui la Galvagno sulla scorta di Eco Vertigini della lista, si sofferma sui diversi tipi di elenchi e cataloghi. Poi si concentra sulla litania che ci parla allegoricamente di potere, la litania è costituita da nomi propri, antica nobiltà o monastero dei benedettini. L’accumulo è costituito da cose. Questo fa comprende l’idea del potere di DR che è una forma di illusione. Litania nel linguaggio comune è associato alla monotonia. Da una parte c’è l’elencazione, più è lungo l’elenco e più emerge la vacuità del potere, ma anche la monotonia della litania che per lei è la chiave della critica che DR fa al potere. E lei poi lo interessa alla mancanza di interesse storico. Anche se la Galvagno non lo nota, però è convincente la definizione della litania come figura retorica importante come tema del potere. L’uso del termine monotonia torna nel dialogo finale di Consalvo. L’aggettivo monotono si nota nel testo; usa il termine monotoni Consalvo forse perché ritiene che sia monotona la storia? Ma ha appena vinto le elezioni. Quindi la prof accoglie la tesi della Galvagno, ma la collega alla visione che emerge nel finale di Consalvo, della storia come monotona ripetizione. 19/11/2020 Francesco Orlando. La sua lettura è profonda e raffinata. Orlando è stato un importantissimo studioso e professore dell’Università di Pisa, ma non solo, molto affermato anche a livello nazionale. È un grande nome non solo importante come critico letterario, ma come teorico della letteratura, questo fa sì che i suoi scritti siano quasi incomprensibili. Orlando è uno dei grandi nomi dell’Accademia italiana. Orlando aveva un rapporto di conoscenza diretta con Tomasi di Lampedusa. Orlando era stato allievo di Tomasi, aveva scritto a macchina dietro dettatura il dattiloscritto del «Gattopardo», quindi anche primo lettore si può dire. Il rapporto tra lo scrittore e il critico si guastò con il passare degli anni per diverse ragioni, ma anche per la gelosia di Orlando perché Tomasi adottò un altro l’allievo (Gioacchino Lanza). Si dedicò a questo testo nel 1998, quindi all’apice della sua carriera. In precedenza, aveva scritto qualcosa su Tomasi, ma sono ricordi autobiografici dello scrittore. L’intimità e la storia è il più importante testo critico sul Gattopardo. Il gattopardo suscitò un grandissimo dibattito critico, uscì postumo e immediatamente suscitò un caso letterario che vide da un lato un enorme successo di pubblico, è considerato il primo best seller della letteratura italiana, in prima battuta 100000 copie e per l’epoca era molto. Ma anche moltissime stroncature, recensioni negative. Il dibattito fu così intenso da determinare la distinzione in due fazioni dei critici: i gattopardisti, quelli a favore del romanzo e gli antigattopardisti, che stroncavano il romanzo ed erano di sinistra; quindi, lo stroncavano in virtù o dell’ideologia considerata conservatistica e un po’ nostalgica nei confronti del passato, o alcune critiche strettamente letterarie, vedevano il romanzo un po’ datato e retrò, nel clima di quegli anni c’era il neorealismo. In questi anni, primi anni 60, Orlando leggeva questi dibattiti, ma non interveniva. Poi anni 70-80 il successo internazionale cresce moltissimo, diventa uno dei più conosciuti romanzi all’esterno, in Inghilterra soprattutto. Il Gattopardo entra a pieno titolo nel canone. La tradizione critica sul romanzo però non è così rilevante, si è scritto tanto, ma non tantissimo nella critica letteraria; parte proprio da questo Orlando nel sul libro. Nel titolo mette in primo piano il rapporto, che apparentemente è diviso, ma il libro vuole mostrare come sia un rafforzativo, da un lato l’intimità e dall’altro la storia. L’intimità di rapporti personali intercorsi tra il critico e lo scrittore, la storia per Orlando non è la storia come sfondo dei fatti, il Risorgimento, ma è la storia letteraria; il primo punto di arrivo del libro è la difesa del valore letterario del Gattopardo, libro da lui definito come capolavoro e così destinato a restare. Si parla anche della storia, ma il titolo del libro, con il termine storia vuole rimandare al valore del romanzo nella storia della letteratura. Orlando, quindi, prende una posizione molto netta, che negli anni 90 e forse per qualche anno dopo anche, perché pochi critici lo ritenevano un capolavoro, molti lo ritenevano un fenomeno culturale. Aveva avuto molto successo, aveva tratti d’interesse dal punto di vista della documentazione di un’epoca, era interessante, ma non da ritenere un capolavoro. Orlando è il primo a sostenere che è un capolavoro. Orlando è un interprete che mette in atto il Close reading. (anche la Galvagno lo usa, anche lei professoressa di Teoria della letteratura, ma il metodo usato da Rosalba non rimanda a contrapposizione salta totalmente. Non esiste questo principio più (aporema nella contraddizione perenne. L’aporema potrebbe essere spiegato dalla teoria di Blanco). Per Orlando la logica asimmetrica è in azione nella letteratura alla pari della logica simmetrica. Cioè nei testi letterari lavorano le due logiche e quella simmetrica entra in campo per ribaltare e rovesciare la prima. Questo sostiene molto la teoria del ritorno del represso, perché attraverso la logica asimmetrica è più facile che la letteratura riesca a raggiungere quelle zone d’ombra del represso storico e farle entrare in azione nella costruzione letteraria. Pag. 3 c’è una rievocazione autobiografica inziale che ci presenta il critico nella sua storia e biografia e nella sua relazione con Tomasi. Per molto tempo non si era dedicato allo studio di questo testo pensando che la sua amicizia con lo scrittore potesse renderlo meno obiettivo nella lettura. Polemica tra Proust e Sainte-Beuve che era molto presente a Tomasi: consiste nel fatto che Proust polemizzò con questo storico SainteB che riteneva che fosse la vita dell’autore a essere molto importante per l’interpretazione dei testi. Prost riteneva che non fosse così, l’io che scrive è diverso da quello ideale. Tomasi dava ragione a Sante, Orlando dava ragione a Proust. Questa presentazione del libro fa pensare alla figura retorica dell’excusatio non petita, la scusa non richiesta. Orlando si preoccupa di presentarsi al lettore come un critico non condizionato dalla sua frequentazione dell’autore in passato e quindi, siccome l’exusatio non petita rimanda al suo contrario, allora si pensa che ci sia l’elemento contrario. Ciò di cui si sta scusando chi non dovrebbe farlo, fa pensare che l’accusa da cui si sta difendendo chi non dovrebbe farlo è fondata ed è condivisa da chi scrive. Si nota infatti come quai in tutto il libro c’è il riferimento a Tomasi e ciò che conosceva di lui. Questa relazione reale con l’uomo è anche spesso evocata in chiave conflittuale durante l’interpretazione del romanzo. Siamo in critica psicanalitica e il critico che riscrive il testo, in fondo sta anche lottando con quel testo. L’atteggiamento è anche di sfida e di polemica con quel testo perché il testo resiste a quelle interpretazioni e il critico cerca di rompere, scovare quei significati nascosti. Questo agonismo viene riportato anche al rapporto di allievo-maestro che è di ammirazione e di stima, ma anche di conflittualità per Freud. La citazione di questa polemica ci dà una prima chiave. Orlando aveva scritto prima di questo libro un breve saggio di memorie «Ricordo di Lampedusa», 1996 pubblicato insieme a un altro saggio sempre di memorie «Distanze diverse». In questo libretto Orlando dice cose interessati. Dice che Tomasi di Lampedusa non era soddisfatto del romanzo e decise di scriverlo quasi come una sfida nei confronti del cugino Lucio Piccolo che era poeta, aveva conosciuto Montale. Più volte mentre scriveva il romanzo lo definiva una «porcata». Questa insicurezza dello scrittore si manifestava anche in un’altra cosa che diceva e poi era ricorrente quando faceva lezione a Orlando su diversi scrittori. Durante le lezioni sulla letteratura francese e inglese, faceva differenza su scrittori magri e su scrittori grassi; preferiva gli scrittori magri, asciutti privi di fronzoli e giri di parole e temeva lui di essere scrittore grasso e anche da questo traeva un senso d’incertezza sulla propria opera. Infine Orlan fa dei riferimenti interessanti alla visione di Tomasi alla letteratura italiana. Tomasi di Lam era esterofilo, di grandissima cultura, anche in ambito psicanalitico, ma disprezzava la letteratura italiana. Apprezzava la letteratura fino a Dante, forse Ariosto, tutta quella contemporanea sembrava ignorarla completamente o parlarne male. 20/11/2020 Scrittori grassi e magri di cui parlava spesso Tomasi di Lampedusa; la magrezza era per lui il valore a cui aspirare, e in effetti la storia di redazione del romanzo riflette questo bisogno di essenzialità e scarsa ridondanza, di asciuttezza della scrittura. Il Gattopardo esce nel 1958 e l’autore era morto pochi mesi prima. Ha cominciato a scrivere nel 55, pur avendo già avuto un’idea progettuale negli anni 30 ma non ci aveva mai messo mano. Dedicò 5/6 mesi alla scrittura del primo capitolo. Poi abbandonò la scrittura per dedicarsi a un altro testo «Ricordi d’infanzia». Tomasi di Lam non ha scritto molto, ha scritto tardi, ci sono alcuni racconti e pubblicazioni postume ricavate dalle lezioni. Poi riprede il manoscritto e lo conclude pochi mesi prima della morte avvenuta per tumore. Il Gattopardo fu proposto a Mondadori e Einaudi. Per diversi mesi lo tenne la figlia di Benedetto Croce, Elena, senza dare una risposta. Prima Elio Vittorini, capo redattore dell’Einaudi, rifiuta la pubblicazione del romanzo perché, pur apprezzando l’opera, non la riteneva adatta alla collana che curava. Elena Croce dà mandato a Bassani che ne promuove la pubblicazione per Feltrinelli, ma Tomasi era già morto, l’anno dopo vince anche il premio Strega. Collegamento stretto tra il primo capitolo del Gattopardo e I Ricordi d’infanzia. È ovvio che il retroterra da cui parte il Gatt. è I Ricordi. Il Gatt è il romanzo autobiografico, la biografia sia pur sottacente e romanzata c’è e sarebbe impossibile leggere prescindendo dalla sua storia e quella della famiglia. Il Principe don Fabrizio è un calco romanzato del bisnonno, la sua vita, ma anche quella dello stesso scrittore: Tancredi sarebbe stato modellato a Gioacchino Lanza Tomasi, abilissimo conversatore, colto, brillante e legato molto a Tomasi che lo adotta quando sta scrivendo il romanzo. C’è una stratificazione della memoria, i personaggi sono inventati, ma in ciascuno dei personaggi giocano delle suggestioni. È sicuramente la biografia che muove la pulsione originaria della scrittura. Il nucleo centrale del romanzo riguarda la nobiltà nel momento storico in cui si assiste al crollo del ceto nobiliare. Anche chi non conosce la storia dello scrittore, nota come Tomasi prenda le parti della nobiltà, pur non totalmente non c’è idealizzazione della nobiltà, ma il punto di vista è molto allineato con quello della nobiltà raccontata nel romanzo, quindi possiamo cogliere un’appartenenza dello scrittore a quel ceto nobiliare. Questo aspetto differenzia i Viceré e il Gatt. Da come aveva detto Orlando, Tomasi non apprezzava la letteratura siciliana e non aveva letto I Viceré. Da altre fonti invece sappiamo che lo aveva letto e non lo aveva apprezzato perché nei Vicerè c’è una rappresentazione negativa fino al parossismo della nobiltà; la voce narrante non si schiera con la nobiltà. Il parossismo che anche DR aveva discendenza nobiliare dalla parte della madre, poi impoveriti. Sembra, per alcuni, che sia stata la lettura dei Viceré a sollecitare una delle ragioni di Tomasi a scrivere, in risposta alla critica feroce della nobiltà e lui che ne voleva fare una difesa. L’arco storico della narrazione copre circa un cinquantennio. Gli aventi narrati iniziano nel 1860, 12 maggio e segue lo sbarco dei garibaldini a Marsala. Il romanzo procede per salti temporali, non c’è una ricostruzione ordinata e continuativa della storia, ci sono interi decenni saltati, e poi si conclude dopo 50 anni. La morte del principe rispetta la datazione della morte del bisnonno. Il romanzo è diviso in 8 parti, le prime quattro sono più lunghe: 60-62. Poi le seconde 4 parti, iniziano anni 82-83 e poi l’ultima sezione 50 anni dopo. La suddivisione in parti era stata voluta dallo stesso TdL. Ogni parte è caratterizzata da titoli frastici, da delle frasine. Ciascun capitoletto corrisponde a una scena: questo rientra nella concezione della scrittura magra. Il testo è articolato in una serie di episodi semiconclusi che si reggono da soli, che poi nel testo sono presentati in forme di continuità, ci sono solo dei righi bianchi, ma potrebbero essere letti in forma autonoma. Questo da una parte corrisponde alla magrezza, i connettivi tra le scene sono ridotti al minimo. La struttura temporale a cui rimanda quest’articolazione è una struttura temporale assolutamente moderna. Il Gatt fu contestato aspramente da parte di critici di sinistra, Vittorini e Franco Fortini, e la critica mossa era relativa all’aspetto anacronistico che sarebbe stato un romano ottocentesco. Ma il romanzo non ha nulla di ottocentesco. L’articolazione dell’assiologia spazio-temporale risente del modernismo. Sono frequentissimi i flashback, le analessi, poi ci sono molti tagli che vengono operatati attraverso il metodo del montaggio. La giustapposizione delle scene fa pensare a una composizione della storia. Il tempo nel Gatt è frammentario. TdL è conoscitore ed estimatore di Virgia Wolf e si ispira a lei per questa sua concezione del tempo. L’episodio più emblematico in questo senso è la morte del principe, si rende conto che la vita si riduce a pochi istanti. Questo stesso tema va ricondotto anche alla conoscenza approfondita che aveva della psicanalisi. La logica della frammentazione in questa epifania d’istanti è anche una visione che deriva dall’inconscio; l’inconscio che fa derivare una continua amnesia ed epifania del ricordo, non è conseguenziale il meccanismo memoriale, ma è concentrato in un flusso in cui emergono alcuni frammenti. Questa frammentazione rimanda alla frammentazione dell’io che sono tutte tematiche moderne. I modelli letterari del Gatt non sono Ottocenteschi, ma neppure italiani, risente molto di modelli internazionali, soprattutto della letteratura inglese e francese. Questo molti critici lo hanno usato per spiegare il grande successo internazionale che rompeva la tradizione italiana a lui contemporanea per aprirsi a una tradizione europea. Collocazione: Fine anni 50 del mondo letterario. DR scrive in un momento in cui da pochi anni si è fermato la politica del trasformismo, siamo ancora nell’età del Positivismo, gli albori del modernismo. Il Gatt esce negli anni 50, sono gli anni del boom economico, della società di massa e dei consumi e anche l’editoria diventa marketing. Collocando l’autore in questo contesto storico: l’autore ci racconta il Risorgimento e ciò che ne segue; tutto questo circola in anni 50-60, anni diversi da DR e allora la finalità è diversa che era vicino a quegli eventi. Anche per il Gatt si è registrato un ampio dibattito se tratti di un romanzo storico o no: la maggior parte dei critici dicono che non lo sarebbe. Non lo sarebbe perché il Gatt racconta una storia che attinge alla sfera dell’autobiografia con una visione celebrativa di parte. Prende le parti della nobiltà e poi allo scrittore interessa poco la storia che sarebbe solo
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved