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LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Contemporanea

LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 05/12/2023

beatrice-piscioneri
beatrice-piscioneri 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! Commento: Quer pasticciaccio brutta de via Merulana Carlo Emilio Gadda Parliamo di “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana”. Vorrei avviare il discorso, siccome tutti gli autori in qualche modo sono influenzati dai loro luoghi, da una data e soprattutto da una città: la data, in questo caso è il 1893, perché lì Gadda nasce nel 1893, a Milano, il 14 novembre e sicuramente ci servirà molto comprendere com'era Milano in quel in quell'epoca. Dal punto di vista culturale, a cavallo tra 800 e 900, Milano era la città laboriosa per antonomasia. Le industrie favorirono una quantità molto fitta di relazioni quindi era una città già protesa verso l'Europa, ricca di relazioni, di industrie e il cittadino diciamo settentrionale pativa forse molto di più rispetto al cittadino meridionale quel senso di alienazione nei confronti del paesaggio perché appunto il paesaggio ha subito una trasformazione repentina in quel periodo storico. Dal punto di vista culturale Milano era altrettanto dinamica in quel periodo perché pensate che nel 1872 fu fondato il Circolo filologico, un centro culturale che tornerà utile anche ai fini della comprensione della biografia di Gadda. È stato un centro culturale di grande importanza, se pensate che ospitava circa 70.000 riviste italiane e straniere, quindi c'era anche questa grande sensibilità nei riguardi delle altre lingue europee. C'è però anche un aspetto prettamente linguistico, e la lingua è il nodo centrale della letteratura gaddiana. Non era raro infatti nelle case milanesi dell'epoca assistere, nell'interazione tra membri di una stessa famiglia, alla commistione tra italiano e il dialetto milanese e quindi un bilinguismo diciamo molto intenso rispetto ad altre zone d'Italia; così come non era raro trovare persone che a casa leggevano ad alta voce poesie di Carlo Porta, di quelli che sono stati i grandi poeti dialettali milanesi che non si sono naturalmente sostituiti per spessore al grande lombardo per eccellenza, con cui lo stesso Gadda poi ha dovuto fare i conti (ovviamente mi riferisco ad Alessandro Manzoni), però sono stati autori che hanno arricchito sicuramente il panorama letterario locale. Pensiamo che, nonostante Milano fosse già una città industriale non sono mancate le rappresentazioni anche del sottoproletariato milanese, una cosa che spesso non viene detta e resta fuori dalla narrazione canonica perché quando si parla di Milano solitamente si pensa alla città industriale e basta, mentre in realtà autori come Carlo Bertolazzi, Paolo Valera hanno descritto il sottoproletariato milanese. Tutto questo per dire cosa? Per dire che Gadda, quindi, se da un lato nasce e opera in una città europea non diversa, per esempio, dalla Trieste di Italo Svevo o di Umberto Saba, d'altro canto, però, Gadda cresce in una famiglia molto chiusa, quindi c’è questa contrapposizione: una famiglia della buona borghesia milanese molto conservatrice e cosa importante una famiglia in cui diciamo tra virgolette la padrona di casa era la madre di Gadda; il padre di Gadda era lui lo definisce un inetto, un negoziante di seta che ha provato ad investire più volte senza alcun successo. Gadda in varie interviste dice che era uno che a cui piaceva molto costruire, costruire e basta, però al tempo stesso non faceva altro che sperperare i soldi della famiglia. E la madre di Gadda proviene da una tradizione familiare di ingegneri, quindi Gadda che già a scuola andava molto bene in italiano non poteva compiere gli studi umanistici perché secondo la madre la letteratura è una cosa poco redditizia (come darle torto). Doveva fare gli studi di ingegneria, quindi seguendo il diktat della madre si iscrive ad ingegneria, si laurea in ingegneria e per tutto il resto della sua vita lui sarà semplicemente definito anche dai letterati l'ingegner Gadda. Si trasferisce a Firenze dove nel frattempo conosce vari letterati parliamo di Eugenio Montale, di Bonsanti, degli ermetici di quel periodo; però Gadda ha anche partecipato in prima persona alla Prima guerra mondiale e lì subisce il primo trauma esistenziale: la morte del fratello. Durante la guerra mondiale, scrive “il giornale di guerra e di prigionia” che dedica a Bonaventura Tecchi, un altro intellettuale che conosce di sul fronte, torna a casa e scopre apprende la notizia della morte del fratello. Un trauma indescrivibile, inenarrabile. Lui ha provato a descrivere questo trauma in un altro suo libro che vi consiglio spassionatamente che è La cognizione del dolore. In questo scrive “Spero passi presto tutta la vita”. Quindi pensate quanto è stato forte questo dolore. Siamo negli anni 20/30, conosce diversi letterati, comincia a scrivere, a pubblicare i suoi primi romanzi sulle riviste dell'epoca parliamo di Solaria, Letteratura eccetera. Quindi le prime pubblicazioni “Il Castello di Udine”, “la Madonna dei filosofi”, ecc. vengono pubblicate su queste riviste letterarie. Poi cosa succede? Succede che lui nel frattempo continua il suo impiego, resta comunque un ingegnere. Va in Argentina per un breve periodo, poi torna in Italia, si trasferisce a Roma e vive il periodo diciamo più cruento del fascismo e lo descriverà poi in un'opera spettacolare che è Eros e Priapo, attualissimo, perché lui in questo libro, pensate, utilizzando il fiorentino del cinquecento, non fa altro che leggere il fascismo in una chiave psicanalitica. Addirittura. Quindi parliamo di un autore molto complesso, molto erudito, in un certo qual modo; poi entra a far parte della Rai come consulente, programmi culturali. Il suo successore sarà un tale Andrea Camilleri. Poi scrive su Commissione questo bozzetto di dodici racconti gialli, gli viene proposto da Bonsanti, direttore della rivista “Letteratura”. Però questi bozzetti poi Gadda non li consegnerà, perché si accorge che stanno assumendo una fisionomia inaspettata, cioè quella del romanzo. Sulla rivista Letteratura questo libro si intitola “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, titolo rigorosamente in romanesco. E poi dopo 10 anni, durante i quali Gadda opera diverse revisioni, anche tormentato da questo romanzo, esce nel 1957, un anno per la letteratura italiana veramente impressionante se pensate che nel 1957 sono stati pubblicati “Ragazzi di vita” di Pasolini e “L'isola di Arturo”, di Elsa morante. Nel romanzo scopriamo la figura di Francesco Ingravallo, Don Ciccio, e capiamo che già dal primo capitolo, dall'incipit di questo libro in realtà Gadda ci dà diverse indicazioni e soprattutto ci dà la chiave di tutto il romanzo, se pensiamo che il pasticciaccio è, oltre ad essere il fattaccio, oltre ad essere questi due fatti criminosi avvenuti in via Merulana al civico 219, il pasticciaccio in realtà è il pasticcio, il pasticcio linguistico, è la commistione di lingue e dialetti. Avete capito adesso? Perché prima ci tenevo a sottolineare questo aspetto legato al bilinguismo tra italiano e dialetto milanese. In questo caso troviamo l'italiano, quello manzoniano, quello classico, quello alto, troviamo anche il romanesco, poi troviamo degli inserti veneziani, napoletani, molisani. Insomma questo libro è un frullatore di dialetti. Però quello che è più importante è quello che ci ha voluto far capire Gadda che questo non è un semplice gioco linguistico. Gadda non ha scritto questo romanzo per dirci quanto è bravo a utilizzare i vari dialetti. Lui vuole, attraverso la figura di Francesco Ingravallo, rappresentare la realtà. Sosteneva fra l'altro (la parte più importante del romanzo) che le “inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia di un unico motivo di una causa al singolare, ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta a Liliana: “ma che ci fanno qua?” domanda Ingravallo e Valdarena dice “ma questi me li ha dati Liliana”. E poi si scopre che in quei giorni Valdarena era a Genova, quindi ha un alibi e viene messo da parte anche lui. Dopodiché c'è un altro caso: il caso della sciarpa, perché qualche giorno dopo i carabinieri comunicano al commissariato di Santo Stefano Del Cacco di aver rinvenuto la sciarpa che appartiene a un tale Enea Retalli: notate anche l’onomastica in questo libro, Enea Retalli, Santo Stefano del Cacco, poi ci saranno anche altri nomi che rimandano a un'infinità temporale: Enea, poi ci sarà anche Ascanio insomma nomi del mondo classico. Quindi questa sciarpa appartiene a Enea, abitante al Torraccio. E questa sciarpa poi si scopre che è stata portata a tingere nel laboratorio di una signora che si chiama Zamira e sarà un personaggio chiave nel corso delle indagini, perché un'altra interrogata, Ines dirà che sostanzialmente lei ha lavorato nel laboratorio di Zamira. Questa Ines era stata fermata qualche giorno prima per sospetta prostituzione e guarda caso anche lei del Torraccia, al Torraccio si trova anche Zamira la sciarpa è stata fabbricata da Zamira, quindi è il caso di insistere su Ines. Prosegue l'interrogatorio alla Ines e a un certo punto Ines accenna ad un'amica di Camilla Mattonari, che è una sua collega di laboratorio, perché Ines va da Zamira, tenutaria di bordello tra le tante cose. E quindi questa amica di Camilla Mattonari, che si chiama Virginia, secondo Ines era stata ospite e penultima nipote di Liliana Balducci. L'ultima era stata Assunta quindi la penultima Virginia. Questa Virginia era stata da questi signori a Roma, non specifica però secondo Ingravallo si tratta proprio di Liliana Balducci. E poi Ines cita anche due persone: il fidanzato Diomede e il fratello del fidanzato che è Ascanio, anche questi due nomi rimandano alla classicità. E racconta che Diomede fidanzato appunto di Ines, era stato lì in via Merulana, essendo lui un elettricista ad aggiustare l'impianto elettrico di una signora veneziana. Quindi Diomede, fidanzato di Ines, aveva aggiustato l'impianto elettrico della Menegazzi. E quindi siamo quasi in dirittura di arrivo, forse! Il carabiniere Pestalozzi si reca al laboratorio di Zamira. Nel frattempo, mentre tenta di interrogare Zamira ci troviamo nell'estrema periferia (quindi notate anche questo passaggio da via merulana, dal palazzo della buona borghesia romana poi si va poi nella verso la periferia, Italo Calvino recensendo il libro disse che la protagonista di questo romanzo era la città di Roma) Tra una cosa e l'altra Pestalozzi nota Lavinia che è l'amica, una delle tante, di Virginia, di Camilla, eccetera. Anche questa all'interno del bordello di Zamira è questa Lavinia tenta inutilmente di nascondere a Pestalozzi un anello, con un topazio che porta al dito, e Lavinia confessa che però quell’anello le è stato prestato dalla cugina Camilla, la collega di Ines, interrogata, nonché amica di Virginia (penultima cameriera). Allora Pestalozzi si fa condurre a casa di Camilla e rinviene i gioielli della Menegazzi. I gioielli le sono stati affidati da Enea che è il proprietario della sciarpa. Lo stesso giorno, sempre Pestalozzi si reca dalla Zamira. Il maresciallo Santarella va alla ricerca di Enea. Ovviamente nel frattempo Ascanio, l'amico di Diomede viene arrestato in un mercato mentre cerca di vendere la porchetta, (da notare pagine in cui lui urla “a porca, a porca venite, a porca). E qui interviene Ingravallo che va a casa di Assunta perché nel testamento di Liliana c'erano dei lasciti proprio a favore di Assunta: lei accoglie Ingravallo a casa sua col padre moribondo sul letto. Quindi c’è questa contrapposizione, anche grottesca: Ingravallo, che insiste, e assunta col padre moribondo ripete “no dottor Ingravallo, non sono stata io, non sono stata io”. E così si chiude il romanzo, in questo modo: Ingravallo osserva assunta e gli ricorda la solcatura (che era la solcatura del sesso di Liliana). E questa diventa un'altra digressione, lui si distrae con queste distrazioni di natura erotica da parte di Ingravallo, viene distratto dalla bellezza di Assunta. E infatti il romanzo si conclude in un modo davvero singolare, considerando che dovrebbe essere un romanzo giallo: “No sior dottò. No, non sono stata io. Implorò allora la ragazza, simulando, forse in parte godendo una paura di dovere, quella che un poco affianca il visetto e tuttavia resiste a minacce. Una vitalità splendida in lei, a lato, il moribondo autore dei suoi giorni che avrebbero ad essere splendide, una fede imperterrita negli enunciati di sue carni che ella pareva scagliare audacemente all'offesa e in un subito corruccio, in un cipiglio: “No, non sono stata io”, il grido incredibile bloccò il furore dell’ossesso. Egli non intese là per là ciò che la sua anima era in procinto di intendere (non stava capendo niente, ovviamente, Ingravallo) quella piega nera verticale tra i due sopraccigli dell'ira nel volto bianchissimo della ragazza lo paralizzò, lo indusse a riflettere a ripentirsi, quasi”. Così si conclude il romanzo che è un romanzo giallo sui generis. Gadda ci vuole dire che il tentativo di mettere ordine nel disordine della realtà è illusorio. Che il romanzo giallo tradizionale è consolatorio perché il lettore vuole capire come va a finire, vuole capire chi è l'assassino e Gadda in un'intervista dirà a Dacia Maraini, scrittrice che conosciamo bene, “io il romanzo l'ho troncato appositamente: il poliziotto ha capito chi è l'assassino e questo basta” perché qui il poliziotto intuisce, ma in realtà non viene dichiarata l'assassina, che è una femmina. Perché nell'incipit, ricordate, lui a un certo punto dice “e femmen se ritrovano adduv i vo truvà” (prima ho detto che questa frase dà la chiave di tutto il romanzo). Negli anni della stesura del romanzo Gadda scrive più versioni, in una alla fine veniamo a conoscenza che l'assassina è stata Virginia, la penultima cameriera. Però questa è un'altra versione rispetto alla versione definitiva del romanzo, in cui c'è un assunto prima di tutto filosofico e che è anche un invito di Gadda a noi contemporanei, cioè quello di comprendere il disordine che ci circonda.
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