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Letteratura italiana contemporanea, Sbobinature di Letteratura Contemporanea

Appunti discorsivi e completi delle lezioni dell'anno accademico 2023-2024. Contiene i frammenti letti a lezione.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 26/02/2024

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Scarica Letteratura italiana contemporanea e più Sbobinature in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Letteratura italiana contemporanea 18/09 Ungaretti – per riconoscere la sua statura di intellettuale, a Roma creano un corso per lui. Letteratura abbastanza recente difficile da definite. Non esiste una letteratura che ha confini specifici. Viene anche chiamata letteratura 2.0, di un secolo iniziato. Sotto l’etichetta ‘contemporanea’ rientrano un centinaio di anni, stretta o abbondante (forse iniziato alla fine dell’Ottocento e chiude alla fine del Novecento). Primo decennio del ‘900 fino agli anni ’60. Contemporaneo significherebbe letteralmente: ciò che fa parte del nostro tempo, che renderebbe molto ristretto il panorama, sarebbe meglio definirlo tutto ciò che ancora ha qualcosa da dirci quest’oggi. Benedetto Croce: “ogni storia è storia contemporanea”. Studiamo tutto dal punto di vista del tempo in cui siamo. Definizione troppo larga, non va per niente nello specifico. Tema: come gli scrittori rappresentano il corpo nella loro opera. Corpo = oggetto che ha delle caratteristiche che orientano la nostra lettura. Termine che può essere declinato in modi diversi. INCARNAZIONI = come gli autori incarnano le loro idee dentro i corpi dei loro personaggi o certe situazioni nelle loro opere. Identità: tema difficile, che spesso viene mal interpretato e reso in modi completamente errati, pur di dare una spiegazione.  Identità dei testi – ogni opera che leggiamo ha una sua identità, genere letterario (gender), romanzo, racconto, fiaba, poesia narrativa, lettera, diario. Se uno scrittore sceglie un genere, è perché vuole che la sua opera abbia un’identità specifica, esempio Italo Calvino (centenario dalla nascita), generi diversi, ha giocato con i generi, non ha mai scritto un romanzo vero e proprio. Modi con cui un’opera si costruisce. Saremmo ingenui a non riconoscere a quale genere appartiene un’opera. Gli autori partono da un genere di riferimento e poi sovvertono le regole del genere -> trans – transitano da un genere all’altro. Identità degli scrittori che viene fuori da un’opera non è detto che sia la stessa dell’autore che sia fuori. Della vita privata di Calvino sappiamo veramente pochissimo, Calvino è in continua metamorfosi, una continua rivoluzione. Immaginazione: parola chiave. Corpi dei personaggi con forti fluttuazioni. Problemi che non hanno risposte facilmente ricavabili, non possono essere chiaramente declinabili, non sono corpi stereotipati. Strumento di base manuale 1910-2010, necessario trovare un perimetro per delimitare 100 anni di letteratura italiana. Compromesso-> fase di transizione (Pascoli, D’Annunzio), ci sono altri autori, che scrivono durante le due guerre e successivamente, i componenti delle Avanguardie, che sono compresi in questa definizione. Avanguardie: primi movimenti letterari e opere dell’900. Quasi tutti dichiarano di aver interrotto i rapporti con gli autori predecessori. Si dichiarano rivoluzionari, innovatori. Avanguardie termine militare. Molti sostengono la guerra, che considerano come unica soluzione per risolvere il problema che attanagliava l’Italia. Situazione politica attuale, basti osservare l’Africa. Questi scrittori che nascono negli ultimi anni dell’800, si raggruppano molte volte in movimenti che danno loro una certa forza, poi definite avanguardie storiche. Rompere con il passato è una mossa retorica, atto che serve come atto di identificazione. “Quelli venuti prima sono anagraficamente vecchi, io sono giovane, sono nuovo.” Dichiarare la novità, le affinità e le diversità. L’idea di essere giovane significa distinguersi, vedere le cose in modo diverso. Rappresentante per l’Italia è Filippo Tommaso Marinetti, grande idea di questo autore: sparare (letteralmente) addosso con le parole la tradizione italiana, bruciamo le biblioteche, aboliamo la tradizione letteraria, creiamo un nuovo modo di pensare la letteratura. Prime idee vengono espresse a Parigi, il suo primo manifesto esce a Parigi, su “Le Figaro”. Manifesto = proclamazione di intenti, opera che vuole dichiarare perché lui e i Futuristi saranno contro la tradizione e perché combatteranno contro la tradizione. “Manifesto del futurismo” F. T. Marinetti 1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 1 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali. 5. Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo. 6. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. 7. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria. 8. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aereoplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. Molte affermazioni sembrano incitazione alla guerra, tensione: cantare l’amore al pericolo, il coraggio, l’audacia, la ribellione elementi essenziali della nostra poesia, noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, lo schiaffo, il pugo. Ultime espressioni riprese da Mussolini come elementi di base del Fascismo. Caratteristiche principali: Marinetti esaltato di virilità, violenza, non vuole forse intendere proprio lo schiaffo e il pugno fisico, ma sono elementi viriloidi, caricatura di Superman. Glorificare la guerra: sola igiene del mondo. Lette così Marinetti pare un essere detestabile. Anticipazione del fascismo, esaltazione della guerra, non c’è nessun rispetto verso l’altro. C’erano le donne nel Futurismo? Sì e parecchie. Marinetti era uno che si esibiva, provocatori volute e cercate, che la realtà. Marinetti girava tutta l’Europa. In Russia nasce un vero e proprio movimento futurista. Poco dopo il suo manifesto, una donna francese, aveva scritto a sua volta un manifesto. Valentine de Saint- Point, poetessa, attrice e danzatrice, nata nel 1875, il suo manifesto lo pubblica nel 1913. Manifesto Futurista della Lussuria-> manifesto dedicato non solo alla sessualità, ma alla liberalizzazione della sessualità. Apparentemente connotazione negativa (Dante: Paolo e Francesca), “scrivo questo testo per coloro che ritengono la lussuria un peccato”. Dare spazio ad una donna di scrivere questo manifesto non è per niente scontato. Prende delle cose di Marinetti e le coniuga nel pensiero della sessualità. Che cos’è la lussuria? Lussuria è un modo attraverso il quale un essere si proietta al di là di se stesso. Superomismo, filosofia di Nietzsche che gira già in Europa (Al di là del bene e del male). Lussuria è il dolore di sbocciare, di fiorire. È l’unione carnale, comunione di una particella di umanità con tutta la sensibilità della terra. Lussuria come atto sessuale è creazione. Quando questo manifesto esce, Marinetti ne parla molto, però non condivide molto ciò che l’autrice dice. Marinetti rimane più maschilista, sente il fastidio della competizione, delle idee che vanno al di là di ciò che lui ha detto. Quando questo manifesto arriva in Italia (gennaio 1913), viene attaccato sui muri, lanciato dalle automobili e il nome di Valentine si diffonde. Intrattiene un rapporto con Boccioni, uno dei più grandi pittori Futuristi dell’epoca. La guerra nasce dalla sensualità, lussuria è uno scatenamento di forze. La lussuria non è solo un piacere di corpo, ma bisogna farne un’opera d’arte. Marinetti, Boccioni vogliono distruggere l’idea della letteratura come opera scritta. Il suo romanzo più famoso ha un titolo che ha un suono “Zang Tumb Tumb”, suono delle armi durante una guerra. Copertina scritta secondo un’innovazione grafica, tentativo di rendere visivamente un suono. Libertà assoluta alla lingua. Zang Tumb Tumb, dietro c’è la battaglia di Andrianopoli 1912, suono animalesco, infantile. La letteratura che pensa Marinetti è una letteratura che non segue le regole della pagina, dei caratteri, della sintassi. Convinto che in questo modo si possa distruggere la letteratura. Marinetti ottiene un suo successo personale. Letteratura che abbandona la pagina tradizionale, poeti che fanno performance in 2 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 tutte quelle lingue, non vengono a baciarti tutte? Non sono le tue spose voluttuose? Bello, bello, bello e Santo! Santo! Santo! Santo quando pensi di bruciare. Santo quando abbruci, Santo quando le guardi le tue fiamme sante! E voi, rimasti pietrificati dall’orrore, pregate, pregate a bassa voce, orazioni segrete. Anch’io sai, sono un incendiario, un povero incendiario che non può bruciare, e sono come te in prigione. Sono un poeta che ti rende omaggio, da povero incendiario mancato, incendiario da poesia. Ogni verso che scrivo è un incendio. Oh! Tu vedessi quando scrivo! Mi par di vederle le fiamme, e sento le vampe, bollenti carezze al mio viso. Incendio non vero è quello ch’io scrivo, non vero seppure è per dolo. Àn tutte le cose la polizia, anche la poesia. Là sopra il mio banco ove nacque, il mio libro, come per benedizione io brucio il primo esemplare, e guardo avido quella fiamma, e godo, e mi ravvivo, e sento salirmi il calore alla testa come se bruciasse il mio cervello. Come mi sento vile innanzi a te! Come mi sento meschino! Vorrei scrivere soltanto per bruciare! Nel segreto delle mie stanze passeggio vestito di rosso, e mi guardo in un vecchio specchio, pieno di ebbrezza, come fossi una fiamma, una povera fiamma che aspetta…. il tuo riflesso! Fuori vado vestito di grigio, ovvero di nessun colore, c’è anche per le vesti una polizia, come per le parole. E quella per il fuoco è tremenda, accanita, gli uomini ànno orrore delle fiamme, gli uomini seri, per questo anno inventato i pompieri. Tu mi guardi, senza parlare, tu non parli, e i tuoi occhi mi dicono: uomo, poco farai tu che ciarli. Ma fido in te! T’apro la gabbia vài Guardali, guardali, come fuggono! Sono forsennati dall’orrore, la paura gli à tutti impazzati. Potete andare, fuggite, fuggite, egli vi raggiungerà! E una di queste mattine, uscendo dalla mia casa, fra le consuete catapecchie, non vedrò più le vecchie reliquie tarlite, così gelosamente custodite da tanto tempo! Non le vedrò più! Avrò un urlo di gioia! Ci sei passato tu! E dopo mi sentirò lambire le vesti, le fiamme arderanno sotto la mia casa…. griderò, esulterò, m’avrai data la vita! Io sono una fiamma che aspetta! Va, passa fratello, corri, a riscaldare la gelida carcassa di questo vecchio mondo! Tecnica nuova. Versi molto brevi, riportate nel testo come se Palazzeschi riportasse le voci delle persone che passano in questa piazza di un paese (non si sa quale), dove è rinchiuso in una gabbia l’incendiario (un piromane). Come se si trovasse ad un circo e fosse l’attrazione principale, coloro che passano per di lì lo giudicano. Spettacolo di un uomo che viene deriso. Il digiunatore di Kafka, dove viene esibito al pubblico dentro una gabbia un uomo che non mangia da mesi. Complesso di vittima che Kafka ha, lo stesso che esprime Palazzeschi. Perché una persona si sente una vittima, dalla quale la comunità si allontana e diventano oggetto di uno spettacolo? L’arte viene considerata in tutte le sue forme come una modalità di svago, serve alla borghesia come momento di svago da quelle che sono le cose importanti (il progresso tecnologico, economico). Nel ‘800 l’arte è fondamentale, molti scrittori sono anche politici. Alla nostra epoca nessuno pensa che lo scrittore possa mettersi contro la politica (es. Pasolini). L’artista non può permettersi di dire più di tanto. Le parole degli scrittori hanno ancora oggi un valore importante. La letteratura anche quando non è letteratura in senso tradizionale, il valore polemico esiste ancora. Gli scrittori dovevano avere un ruolo nei movimenti politici. 5 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Palazzeschi fa un’operazione parallela ma che non coincide con quello che fanno i Futuristi. Fiamma -> entusiasmo devastatore con i quali i Futuristi affrontano il pubblico, la società. L’incendiario è la vittima di tutti coloro che lo guardano, che lo deridono. Un poeta si mette sotto gli occhi del pubblico per essere oggetto della violenza verbale del pubblico. Ogni verso è una battuta di qualcuno che sta passando di lì, ognuno deve dire qualcosa, da quelli aggressivi, a quelli che lo compiangono. Palazzeschi si mette esattamente come incendiario sotto gli occhi della gente, forse prova anche piacere nell’essere offeso della gente che passa di lì, essere derisi, essere oggetto della violenza verbale delle persone. Uno scarto della società non può avere famiglia. La formazione teatrale di Palazzeschi viene fuori in questo testo. Il testo è composto da considerazioni di tipo diverso, anche espliciti. C’è chi sostiene, attraverso una visione allegorica, che Palazzeschi pensasse all’immagine dell’uomo oggetto di vilipendio per eccellenza: Cristo. L’incendiario è la vittima delle colpe che ha commesso, colpe gravi. Il poeta ha attraversato il mondo per venire a salvare l’incendiario. Il poeta riconosce la figura sacra, che gli uomini non hanno riconosciuto. Gli uomini normali di una società qualunque non capiscono più il valore del fuoco, non come elemento che distrugge, ma come fuoco che dà la vita, che rimette al loro posto le cose. Elemento in comune tra Marinetti e Palazzeschi: poeta che vuole liberare una forza nuova. Sistema simbolico non tanto semplice. C’è la volontà del poeta di salvare l’incendiario. L’incendiario è ricoperto da un mantello nero, si fa maltrattare e non risponde. Il poeta vuole rivendicarne la forza. Analogia molto esplicita: il poeta conosce la potenza della fiamma accesa dall’incendiario, ma quest’ultimo non vuole difendersi. Il poeta è l’unico in grado di individuare nell’incendiario un portatore di un messaggio, che non viene mai esplicitato, ma è colui che potrebbe aprire una nuova epoca. Esattamente come Marinetti pensava di essere lui che avrebbe rovesciato la letteratura e portato ad una nuova epoca. Letteratura ai margini di una società che sta guardando da un’altra parte, che non sa cosa farsene. La letteratura rivendica un carattere politico. Viene fuori l’elemento erotico, che nel romanzo che poi Palazzeschi scriverà diventa inquietante. Le fiamme che l’incendiario provoca sono l’elemento erotico, l’incendiario prova un piacere fisico, gode nel vedere il mondo bruciare. Il poeta riconosce questo suo erotismo. Allusione a qualcos’altro -> idea di rinnovamento, fuoco come elemento che distruggerà il passato, ma che rimarrà un’energia vitale nuova per il futuro, sono sante perché trasmettono l’energia sacra. Pubblico stupido, che va educato. Poeta: anche io sono un incendiario, ma un incendiario mancato. Ogni verso che scrivo è poesia. Le parole sono il fuoco che il poeta può scatenare. Compiere un rituale che farà capire a tutti come siamo vicini, bruciare il libro che ha scritto. Esempio di Virgilio chiede di bruciare l’Eneide perché non è terminato come avrebbe voluto. Bruciare il libro del poeta diventa un rito, fatto per provocare coloro che stanno osservando. Prima parte voce del pubblico, seconda parte voce del poeta. L’incendiario non parla mai. Il messaggio finale, lasciato al poeta, è la distruzione del mondo. L’azione dell’incendiario dovrà distruggere tutto, poeta compreso. Il poeta è come una fiamma che aspetta che l’incendiario arrivi per bruciare. Nietzsche –> distruzione dell’uomo vecchio, in favore di un uomo nuovo. L’uomo vecchio cammina in bilico su una corda per superare il vuoto e diventare un oltre l’uomo. La cosa interessante da osservare è la forma di questo componimento poetico. Voci all’inizio senza identità, poi lungo monologo. Idea generale: uomo misterioso, che non parla mai, identificato come l’incendiario che dovrebbe portare un incendio che è rinnovamento, un passaggio epocale. Solo il poeta sa diffondere il verbo dell’incendiario, profeta della divinità. Milano, 1910. A causa della sua carica rivoluzionaria è un volume che viene sequestrato e messo a processo. L’anno dopo Palazzeschi, va da Marinetti e gli porta il suo romanzo futurista (Codice di Perelà) con questa dedica: “Affettuosamente dedico al pubblico, quel pubblico che ci ricopre di fischi, di frutti e di verdure, noi lo ricopriamo di deliziose opere d’arte”. L’elemento che collega le due opere è il tema del fuoco, ma nel romanzo Palazzeschi ha portato ad una fase successiva quella che è l’obiettivo di distruzione del fuoco. Perelà è un uomo particolarmente anomalo, più fuori dalle regole dell’incendiario, fatto da una materia che non ha fisicità. Palazzeschi ha scelto il fumo per alludere a qualcosa che sta nell’aria. Non ha fisicità e non ha capacità di dialogo, se non in pochi momenti. Nasce da un camino. Il racconto inizia proprio con un dialogo tra il protagonista, Perelà, ed una persona che non si capisce bene chi potrebbe essere, una vecchia che lo vede. 6 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Palazzeschi inizia il racconto con tre parole, che non si sa da chi vengono pronunciate: “Pena, rete, lama”, alla base del nome. Tre termini che non hanno niente in comune, ma forse alludono a qualcosa. Pena -> dolore. Rete -> prigione. Lama -> strumento che serve per uccidere. “Siete un uomo forse? No, io sono una povera vecchia.” Dialogo: prima battuta pronunciata dallo stesso Perelà, che ci fa pensare che il protagonista non abbia mai visto un uomo. Capisce la prima cosa: lui è un uomo. Perelà non può essere definito in nessun modo, perché non ha un corpo. Apparentemente sembrerebbe un uomo, ma forse è una creatura. Palazzeschi ha connesso il fumo di cui Perelà è fatto con una caratteristica, la leggerezza. Calvino osserva molto Palazzeschi: ambito della favola (ambito favoloso-fantastico), Palazzeschi scrittore anomalo, che non rientrava nelle regole. La prima cosa e unica che sappiamo è che è un uomo leggero. Leggerezza è un termine ambiguo, che può prendere aspetti positivi (nella prima parte del racconto), poi improvvisamente l’essere leggero lo rende un individuo pericoloso e da cacciare (connotazione negativa). Questi tre nomi enunciati sono in realtà i nomi di tre donne vecchie: le madri di Perelà. Si continua ad evocare queste tre donne all’inizio del romanzo. Perelà è un po’ come incendiario, un uomo anomalo che entra in una città fantastica dove viene detto che i cittadini uccidono sempre i loro re, e tutte le volte che il protagonista incontra una persona ripete la stessa cosa. La nascita di Perelà è una nascita misteriosa. Tre madri e senza padre, le parole chiave che compongono il suo nome sono le sillabe iniziali dei tre nomi delle madri e non significa niente. Primo capitolo: l’utero nero. La spiegazione di Palazzeschi è molto simile a ciò che succede realmente. Sotto il camino continuamente vengono bruciati tronchi di legna che gli permettono di acquisire la consapevolezza che stava nascendo, consistenza del fumo. Sotto al camino si trovano tre vecchie, che hanno continuamente alimentato il camino. Le tre vecchie continuavano a leggere e parlare. Perelà è un uomo che sa tutto: conosce la filosofia, la guerra e l’amore. “Io non sapevo il loro nome, io ho dato loro il nome. Sono stato composto cellula per cellula da quella spira di fumo e sotto il prodotto di quel fuoco.” Evoluzione dell’incendiario, figlio del fuoco.Sono tre divinità, alcuni sostengono che siano le tre Parche, Moire. La prima creava il filo della vita, la seconda dava continuità al filo della vita, la terza tagliava con le forbici il filo. Il legno carbonizza e questo fumo è il segno di una purificazione. Perelà ha qualche cosa che lo distingue da qualsiasi cosa, è un uomo che non dovrebbe avere passioni, non dovrebbe avere desideri. È l’uomo puro per eccellenza. Palazzeschi vuole fare del protagonista una specie di dio che scende sulla terra per portare un messaggio di purificazione. Gli uomini non sono capaci di intendere il messaggio di Perelà, talmente puro che gli uomini non possono capire. Quando il re lo incontra e quando viene introdotto nella reggia, tutti capiscono che quell’uomo di fumo in realtà può essere utile. Il re sta riscrivendo le leggi della città. È arrivato un uomo puro, che non conosce il peccato, così sua maestà lo nomina membro della commissione che dovrà stendere le leggi di questo paese. Ne diviene parte, gli viene conferito un incarico importante. Perelà incontra tutte le donne più importanti del paese ad un evento mondano, ogni donna racconta quello che è in base ai propri desideri sessuali. Capitolo fuori dalle regole, fuori dalle norme, termini molto specifici con i quali ogni donna viene identificata. Perelà anche se non è uomo in carne ed ossa, provoca delle reazioni in tutti coloro che lo incontrano. Perelà smaschera le convenzioni degli esseri umani. La rivoluzione sta proprio in questo: il modo in cui ogni uomo di fronte a lui perde la sua fasulla identità. 20/09 Palazzeschi utilizza una tecnica originale. Personaggio che compare improvvisamente e un secondo personaggio, la vecchia che lo interroga sulle caratteristiche del suo nome e sulle caratteristiche fisiche, corporee. Viene definito dagli altri un uomo di fumo, un’espressione che non segue la logica. Mette in crisi la nostra capacità di immaginare i personaggi che incontriamo. Tutto il romanzo è basato sul fatto che l’uomo di fumo riesce ad interagire con le donne e con gli uomini. Nascita mitologica, “partorito” da tre vecchie donne, ma in realtà creato da solo all’interno del camino, perché il fumo si è coagulato. Concetto di purificazione fondamentale in tutto il racconto, elemento che lo identifica. Arriva ad una città immaginaria, viene affidato proprio a lui l’incarico di riformare il codice in base al suo aspetto che dipende dalla purificazione. Non conosce la macchia del peccato. Sta alle origini delle azioni di Perelà che non compie atti, 7 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 degradano di fronte a lui. Una di queste donne (Marchesa Olivia di Bellonda) si innamorerà di Perelà, tornerà in scene diverse, ha un ruolo nella fine del racconto. Una donna è sempre ricoperta di decine di abiti, ha paura degli uomini. A 15 anni la consegnano ad un tenente. Eccessivo pudore. Donna piena di paure e piena di desiderio, lentamente cercano di superarle. Passano mesi prima di consumare il rapporto dopo il matrimonio. Il suo desiderio sta nell’essere liberata dai mantelli immaginari che indossa, ma allo stesso tempo lei vuole tenerli. Il suo piacere sta nell’essere continuamente svestita. Perelà funziona da agente scatenante, quello che non si può dire queste donne lo dicono a Perelà. 25/09 Manuale-> Gozzano, Palazzeschi e Dino Campana. Questi tre autori sono messi vicini, nello stesso capitolo, si allude alla loro capacità di utilizzare le maschere, operano il rovesciamento dell’idea della poesia che fino ad allora aveva dominato la poesia di Carducci, Pascoli e D’Annunzio. Pascoli muore nel 1912, D’Annunzio muore dopo la metà degli anni ‘30. Avvento e affermarsi del Fascismo, Mussolini che deve tenerselo buono perché deve annetterlo al regime Fascista. Mussolini pensa che possa essere la figura giusta per il regime. Proprio a cominciare dal 1909/1910, praticano la poesia e la letteratura. Palazzeschi è poeta e romanziere. Perelà non ha mai un pensiero esplicito, coerenza nel commentare, nel non giudicare ciò che vede. Viene portato in vari luoghi della città ma rimane sempre un’unica cosa, ribadisce un unico principio, motto di presentazione “io sono leggero”. Palazzeschi ha nascosto qualcosa di particolare dietro questa affermazione. Rovesciare in maniera comoda quelle che sono le strutture di una società moderna. Figura di Iba, colui che è il male, è mostruoso. Italo Calvino e Il cavaliere inesistente: essere che non rientra nella norma. Questo principio di anormalità è un principio che domina in tutto il romanzo. Quando Palazzeschi riscrisse il romanzo decise di attenuare l’incontro di Perelà con le nobildonne. Improvvisamente vedono in Perelà una sorta di amico, tanto simile a loro, che ogni nobildonna confessa la propria natura più profonda. Medico analista, le donne gli raccontano tutto ciò che non hanno mai raccontato. Due concetti complessi: erotismo e sessualità, concetti complicati che non hanno una stabilità. La letteratura del ‘900 non può mai rinunciare ad utilizzare gli elementi della vita erotica e sessuale dei personaggi. Nuova disciplina: medico che cura i pazienti ascoltandoli, psicanalisi (Svevo). Perelà è legato al fumo ma anche al fuoco. L’uomo di fumo è un uomo senza identità, guarda, osserva e capisce. È un non-personaggio. Dovrebbe avere una fisionomia, un corpo, caratteristiche psicologiche. Perelà è l’altro assoluto, ciò che altro dall’uomo. Iba mezzo animale è un altro essere. Perelà va al di là della mostruosità di Iba. C’è qualcuno che afferma che Palazzeschi si ispiri alla figura di Gesù. Perelà di fronte alla realtà rimane sempre silenzioso, non dà mai una sua visione della realtà. Non ha nessun tipo di reazione. Dobbiamo pensare che dietro la creazione di questo non-personaggio ci sia qualche cosa a cui Palazzeschi pensava ma non voleva dire fino in fondo. C’è una leggenda comprovata che Palazzeschi scrivesse molto male. Non molto corretto dal punto di vista della sintassi ad esempio. Ha riscritto il romanzo perché voleva darne una versione più corretta facendosi aiutare da amici romani, fiorentini. Quando abbiamo parlato della figura di Iba è come se riattivasse il fenomeno carnevalesco, forza implicita delle società antiche che porta un’esplosione dell’ordine. Non ci sono più caratteristiche logiche e riconoscibili. Iba diventerebbe un re senza alcun tipo di decenza, è un essere osceno. Si trova il modo di mettere in prigione Iba e tenerlo lì per sempre. C’è un rapporto basato sulla loro anomalia: Iba è osceno e nessuno lo vuole accettare, l’anomalia di Perelà invece affascina. La dote di Perelà è l’ammirazione è il rispetto che tutti provano nei suoi confronti. Palazzeschi aveva capito che questa scena lo metteva in difficoltà, perciò strategie per dire e non dire le cose. La scena si apre con tutte le donne che chiacchierano fra di loro, tutte gli stanno attorno con lui al centro che non dice mai niente. “Voi sarete discreto, vero?” discreto perché Palazzeschi ci sta portando in una zona molto delicata. Nel nuovo codice si aspettano un ruolo alle donne. Gli dei dettano le leggi (Mosé a cui Dio detta le leggi dei 10 comandamenti). Perelà deve fare lo stesso, deve dettare il nuovo codice. Insistenza sul dettare. Gli uomini non capiscono e forse saranno le donne a creare una nuova società. Palazzeschi pensa al mondo femminile come un mondo importante, Marinetti non è così attento. Ma ci sono donne che durante il futurismo scrivono testi interessanti. Futurismo, molto maschile, molto maschilista. Capiscono che Perelà in realtà non ha mai bevuto un thé, beve un sorso da ognuna delle 10 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 loro tazze e loro bevono poi da dove Perelà ha bevuto. Decidono di cominciare a raccontare (“leggero, leggero”). Pudore nella società tradizionale è una virtù (nasce nel mondo greco). Spudorato/a, qualcuno o qualcuna che non trattiene i propri desideri. In realtà capiamo che il desiderio vero è quello di essere guardata, ancora una volta c’è un gioco di travestimento e sveltimenti. Viene rivelato ciò che la donna non potrebbe rivelare a nessuno. Racconti bizzarri e divertenti che servono ad alludere a qualcosa che non si può dire. Parabola delle ciambelle (Donna Giacomina Barbero di Rio Bo). I dolcetti fanno le ciambelle e sono pronte per il forno, nessuno può giudicarle dalla loro riuscita. Le ciambelle non sono tutte uguali. Ciambelle senza buco, buco talmente piccolo che si possono vedere solo contro luce. Rivelazione abbastanza scandalosa è scorretta, secondo la nostra prospettiva oggi. Questa storia fa ridere, Perelà non commenta. Questa donna non ha mai potuto avere un uomo. Sua madre l’ha portata in tutta l’Europa, l’Asia, il Giappone per trovarle l’uomo adatto. La madre capisce che solo Carlo Mignolo può essere l’uomo adatto per la figlia. Giovane bellissimo, alto, le va incontro e fra di loro nasce l’amore. Tutto raccontato in maniera molto poetica. Episodio erotico alludendo a qualcosa che è comico per come viene raccontato, ma è connesso molto profondamente con la sessualità. Fin da giovane Palazzeschi vorrebbe scrivere. È omosessuale, non lo nasconde. Però di fronte ai futuristi le cose non le poteva dire come andavano dette. Perelà viene chiamato in modo volgare pederasta passivo. Vengono usati dei termini francesi che affermano che la stranezza di Perelà stava nella sua sessualità. Sulla sessualità di Palazzeschi viene detto molto. Travestimento della sua sessualità. Prima di procedere su questa strada vediamo la figura femminile della marchesa Oliva de Bellonda, che si innamorò di Perelà. “Ognuno di noi nascendo, porta il cuore di un’altra persona.” Perelà fa un’analisi che risale direttamente a Platone, Aristofane che viene ripreso in diversi testi. In ogni donna c’è una parte maschile ed in ogni uomo c’è una parte femminile. Idea che prende un’ampiezza notevole. Non c’è un uomo realmente uomo, non c’è una donna realmente donna. Oggi sembra enunciato come un’idea predominante del nostro tempo (ma è un’idea antica). Cosa dice Aristofane in Platone? Ermafrodite, esseri costituiti da due metà: una parte maschile è una parte femminile. Giove per punirlo li taglia e li separa. Questi due esseri separati vanno l’uno alla ricerca dell’altra. Ci sono più varianti. Le varianti più complesse: metà maschile che ha perso una metà maschile, dentro la quale c’era un’anima femminile. “Noi cerchiamo il nostro cuore per il mondo”. Quello che abbiamo trovato non è il nostro e non abbiamo esattamente il nostro contrario. Impossibilità dell’amore. Cerchiamo ma non troviamo. La nostra ricerca è sbagliata, non trovai il cuore adatto a me. Dentro di me ho il cuore di uomo che però non troverò più. “Chi ha il mio cuore? Chi me l’ha rubato? Quando potrò riaverlo tu che lo conservi?” Non le sarà mai possibile amare veramente. Palazzeschi con questa donna ha creato una donna che vive di sogni romantici. Lei ha per marito uno dei migliori uomini di questo mondo. Sconcia brutalità, alla quale lei sottostà in quanto è suo marito. Il discorso finisce quando una delle donne dice di smetterla perché il signor Perelà si annoia, parli un’altra. La donna della ciambella è una donna anomala che trova soddisfazione perché incontra il suo compagno. Ma anche Oliva è anomala, è una donna filosofica di cui le idee vengono reputate inutili e romantiche. Perelà verrà portato in un manicomio. Ultima parte del romanzo, dove si scatena un fenomeno che modifica le cose. Fino a questo punto, Perelà viene onorato, viene considerato un essere che porterà una nuova legge nella città. Improvvisamente un fatto rovescia l’assetto della situazione. Avendo bisogno di creare un episodio chiave, che per adesso ha messo in atto solo degli incontri, trova compimento nel vecchio servo del re, che si chiama Alloro, che sparisce. Tutti iniziano a cercarlo. Iba, i nomi delle donne, Alloro, usare nomi che ricordano quelli che inventano i bambini. Giochi infantili per inventare i nomi. Pena, Rete, Lama. Ritorno all’infanzia. I futuristi riprendono questa idea, trasformandola. Linguaggio delle cose non ancora concettualizzate. Poesia con cui Palazzeschi gioca. Uso onomatopeico. Allusione alla pianta dell’alloro, pianta dei poeti. Alloro, rimanda ancora alla proposizione allora, essendo molto vecchio. Ha una figlia, sarà lei che farà svoltare le ricerche. Non ha visto il padre da giorni, vanno nella stanza e non lo trovano. Quando ha visto il padre ha notato un atteggiamento molto strano allegria insolita. Pensiero fisso che lo faceva ridere come un folle. Il riso è un fenomeno fondamentale. Iba ricoperto di sterco in cui tutti lo deridono, confessioni delle donne private che diventano molte volte comiche e spesso 11 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 si prendono in giro. Qui il servo rideva molto, come un folle. Ridere in eccesso fa perdere la concezione di umano. Perché ridere è un segno superiore di potenza, forza superiore. Il riso fa molto bene in certe situazioni. Alloro è irrequieto, perde il controllo delle sue azioni, stranezza nel comportamento. Stranezza che deve essere messa in rapporto con Perelà. Alloro si è messo in testa di diventare, di imitare Perelà. Cercando in tutto il palazzo del re, si trova una porta chiusa da dentro. Dalla porta escono delle spire di fumo. Alloro si è dato fuoco. Si vede una nube violenta, un fumo denso. Dentro la torre succede qualcosa di incredibile. Vedono al centro della stanza un grande mucchio di cenere e carboni ancora accesi. Dal soffitto scende una catena di ferro. Alloro si è appeso e si è bruciato. Nessuno riusciva a trovare una ragione per giustificare il gesto. Scena cupa, scena tragica. L’uomo si è bruciato, non viene trovato una lettera che spiegasse il gesto. Arriva improvvisamente la figlia che entra della stanza, spalanca la bocca e dice questa frase: “Folle! Folle! Padre mio! Che hai fatto!? Credevi di poter divenire come Perelà?” Dice una frase che sembra casuale, ma che da tutti viene presa come una spiegazione. È la figlia che fa questo collegamento. Alloro era il servo preferito del re, ammira talmente tanto Perelà che lo mette ad un livello superiore. Errore di pensare che fosse possibile essere come lui. Voler imitare Perelà è l’errore. Tutti esclamano il suo nome. Si rivela la natura pericolosa di Perelà, che diventa l’assassino. La figlia identifica in Perelà la causa della morte del padre. Automaticamente si individua in un essere il colpevole, il diverso. Paura di poter essere identificato e di subire un processo in quanto diverso. Prima ha utilizzato l’arte del riso per nascondere gli effetti di Perelà sul mondo, poi ha rivelato qualcosa che è rimasto implicito: l’elemento dannoso che potrebbe derivare dalla sua anomalia. Perelà non è definibile con delle categorie. Morte che si manifesta attraverso il fuoco. Come l’incendiario chiuso dentro la gabbia. Il poeta arriva e dice di liberarlo. Il romanzo che Palazzeschi scrive è il romanzo dove il passaggio dalla poesia al racconto produce questi effetti. Non tutti ci credono, non vedono il legame, ma c’è qualcuno che ha visto Perelà incontrare Alloro, forse è stato lui a convincerlo nel gesto. Se Perelà avesse convinto Alloro, molti potrebbero diventare incendiari di se stessi. Perelà non è più il portatore di una saggezza attraverso la quale si scriveranno regole nuove, ma è diventato il capo espiatorio di questa città. Improvvisamente Perelà arriva, subito viene aggredito verbalmente. Tutti si aspettano che Perelà dica qualcosa. Manda all’aria ancora una volta la logica di un essere umano: calmo, sereno, guarda l’uomo a ciondoloni, il tronco rimasto appeso bruciato, e dopo qualche minuto di assoluto silenzio si lascia sfuggire queste parole: “voleva divenir leggero”. Questa frase non fa altro che peggiorare la situazione. Alloro si è ucciso, non è diventato leggero. Contrapposizione molto forte tra Perelà che non dà un giudizio e gli abitanti che lo condannano. Palazzeschi vuole che Perelà dica la cosa più fuori dalla logica che lo metta in cattiva luce. Viene tutto riferito al re ed il re istituisce una riunione del Consiglio di Stato durante la quale si decide la sorte di Perelà. Da colui che deve salvare la città, diventa colui che rovina la città. Personaggio dell’entourage de re che dà la sua opinione: da qualche tempo non si fa che seminare fumo, è la terra continua a fumare. Fumo centro della vita. Questo è l’esito. Il fumo si sta diffondendo. L’unica soluzione per salvare il contagio è eliminare Perelà. Ci si deve dimenticare di lui. Lui è il Diavolo, figlio di Satana. Bisogna processare Perelà. Bisogna rendere pubblica la sua colpa. C’è un capitolo molto strano, capitolo in cui Palazzeschi ci fa assistere ad una scena in cui c’è solo Perelà che esce dalla città. Per alcuni giorni sta chiuso nel suo appartamento, rendendosi conto che tutti coloro che ha incontrato lo guardavano in modo diverso e si chiede il perché. Ha detto la verità, si è comportato come sempre. Gli uomini non sono come lui e lui non è come loro. Non sapeva spiegare come lui è diventato di fumo, ma non voleva questa morte. Perelà si accorge che fuori è una bellissima serata di sole e decide di uscire da solo. Tutti coloro che lo incontrano fanno finta di non vederlo. Perelà arriva alla porta della città e si ritrova in un luogo che lui non ha mai visto, cioè in un luogo di libertà assoluta, sappiamo che in realtà lo stanno spiando, che tutti pensano che Perelà uscisse e non tornasse più, che forse il fatto che sia uscito sia un segno positivo, ma la voce che si diffonde è che Perelà è sospettato della morte di Alloro. Trasfigurazione di Perelà in essere angelico. Da grigio, è diventato azzurro, da fumo è diventato fiore. Perelà è salito su di una collina e si rende conto che non ha niente in comune con la città. Si eleva. È un essere libero come la luce del cielo. Quello che si fa nella città è qualcosa di grave, di pesante. Autocoscienza di Perelà. Non si libera dalla città, torna in città e un gruppo di 12 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 - Torniamo indietro? - Torniamo pure. I fiori di Palazzeschi-> Aldo, il protagonista, è ad una festa importante forse perché si sente infelice, forse perché ha mangiato troppo, va in questo giardino e viene colpito dalla bellezza dei fiori. Qualcosa lo spinge alla solitudine, tutto lo infastidisce, forse era lui che era sconcio. In ogni caso si apparta. Allusività erotica che mette in evidenza attraverso la minestra (tipico esempio di Gozzano). Senso di inappartenenza che ha il poeta, esattamente come Perelà se ne va. Le stelle sorridono all’uomo dal firmamento. Rime quasi scontate, poesia in senso quasi elementare. Esaltazione della gioia che prova nel trovarsi in quel luogo. Elemento più anomalo di Palazzeschi: improvvisamente i fiori cominciano a parlare, gli rivolgono la parola. Una grande rosa si apre come una donna che si sveste. Rosa che fa la prostituta. Trigger warning: incesto! I FIORI NON SO PERCHÉ QUELLA SERA FOSSERO I TROPPI PROFUMI DEL BANCHETTO ... IRREQUIETEZZA DELLA PRIMAVERA ... UN’INDEFINITA PESANTEZZA MI GRAVAVA SUL PETTO UN VUOTO INFINITO MI SENTIVO NEL CUORE ... ERO STANCO, AVVILITO, DI MALUMORE. NON SO PERCHÉ, IO NON AVEA MANGIATO E PURE SENTENDOMI SAZIO COME UN RE DIGIUNO ERO COME UN MENDICO CHI SA PERCHÉ ? NON AVEVO PRESO PARTE ALLE ALLEGRE RISATE AI PARLAR CONSUETI DEGLI AMICI GAI O LIETI TUTTO M’ERA SEMBRATO SCONCIO TUTTO M’ERA PARSO OSCENO NON PER UN SENSO VANO DI MORALITÀ CHE IN ME NON C’È E NESSUNO S’ERA CURATO DI ME, CHI SA ... O LA SCONCEZZA ERA IN ME ... O C’ERA L’ULTIMO AVANZO DELLA PURITÀ. M’ERA, CHI SA PERCHÉ SEMBRATA QUELLA SERA TERRIBILMENTE PESA LA GAMBA CHE LA BUONA VICINA DI DESTRA TENEVA SULLA MIA FINO DALLA MINESTRA. E IN FONDO ... NON ERA CHE UNA VECCHIA USANZA VECCHIA QUANTO IL MONDO. LA VICINA DI SINISTRA CHI SA PERCHÉ NON MI AVEVA ASSESTATO CHE UN COLPETTO ALLA FINE DEL PRANZO, AL CAFFÈ E FICCATOMI IN BOCCA MEZZO CONFETTO S’ERA VOLTATA IN LÀ QUASI VOLENDO DIRE "AH ! CI SEI ANCHE TE". QUANDO TUTTI SI FURONO ALZATI E SI FURONO SPARPAGLIATI NEGLI ANGOLI, PEI VANI DELLE FINESTRE SUI DIVANI DI QUALCHE ROMITO SALOTTINO IO, NON VISTO, SCIVOLAI NEL GIARDINO PER PRENDERE UN PO’ D’ARIA. E SUBITO MI PARVE D’ESSERE LIBERATO LA FRESCHEZZA DELL’ARIA IRRUPPE NEL MIO PETTO RISOLUTAMENTE, E IL MIO PETTO SI SENTÌ SOLLEVATO DALLA VAGA E IGNOTA PENA DOPO I MOLTI PROFUMI DELLA CENA. BELLA SERA LUMINOSA ! FRESCA, DI PRIMAVERA. PURA E SERENA. MILIONI DI STELLE SEMBRAVANO SORRIDERE AMOROSE DAL FIRMAMENTO QUASI UN’IMMANE CUPOLA D’ARGENTO. COME MI SENTIVO CONTENTO ! AMPIE, ROBUSTE PIANTE DALL’OMBRE GENEROSE SOTTO VOI PASSEGGIARE SOTTO LA VOSTRA SANA PROTEZIONE OBLIARE, RITROVARE I NOSTRI PENSIERI PIÙ CARI, SOGNARE CASTI IDEALI SPERARE, SPERARE DIMENTICARE TUTTI I MALI DEL MONDO DEGLI UOMINI PECCATI E DEBOLEZZE, MISERIE, VILTÀ, TUTTE LE NEFANDEZZE TRA VOI FIORI SORRIDERE TRA I VOSTRI PROFUMI SOAVI ANGELICA CAREZZA DI FRESCURA ESSERI PURI DELLA NATURA. OH! COM’ È BELLO SENTIRSI LIBERO CITTADINO SOLO NEL CUORE DI UN GIARDINO. - ZZ ... ZZ … - CHE C’È ? - ZZ ... ZZ ... - CHI È ? M’AVVICINAI DONDE VENIVA IL SEGNALE ALL’ANGOLO DEL VIALE UNA ROSA VOLUMINOSA SI SPAMPANAVA SULLE SPALLE IN MANIERA SCANDALOSA IL DÉCOLLETÉ. - NON DICO MICA A TE. FO CENNO A QUEL GRUPPO DI BOCCIUOLI CHE SON SULLA SPALLIERA MA NON VALE LA PENA. MAGRI AFFARI STASERA QUESTI BRAVI FIGLIUOLI NON SONO IN VENA. - MA TU CHI SEI ? CHE FAI ? - BELLA, SONO UNA ROSA NON M’HAI ANCORA VEDUTA ? SONO UNA ROSA E FACCIO LA PROSTITUTA. - TE? - IO, SÌ, CHE MALE C’ È ? 15 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 - UNA ROSA ! - UNA ROSA, PERCHÉ? ALL’ANGOLO DEL VIALE ASPETTO PER GUADAGNARMI IL PANE FO QUALCOSA DI MALE ? - OH ! - CHE DIAVOLO TI PIGLIA ? CREDI CHE SIEN MIGLIORI I FIORI IN SENO ALLA FAMIGLIA ? VOLTATI, DIETRO A TE LO VEDI QUEL CESPUGLIO DI QUATTRO PERSONCINE DUE GRANDI E DUE BAMBINE ? DUE ROSE E DUE BOCCIUOLI ? SONO IL PADRE, LA MADRE, COI FIGLIOLI. SE LA INTENDONO ... E BENE TRA FRATELLO E SORELLA IL PADRE SE LA FA COLLA FIGLIOLA LA MADRE COL FIGLIOLO ... CHE CARA FAMIGLIOLA ! È ANCOR MIGLIOR PARTITO FARSI PAGAR L’AMORE A ORE CHE FARSI MALTRATTARE DA UN PORCO DI MARITO. QUELL’OCA DELL’ORTENSIA SENZA NESSUN COSTRUTTO SI FA SÌ FINIR TUTTO DA QUEL COGLIONE DEL GIRASOLE. VEDI QUEI DUE GAROFANI AL CANTO DELLA STRADA ? COME SONO ELEGANTI ! CAMPANO ALLE SPALLE DELLE LORO AMANTI CHE FANNO LA PUTTANA COME ME. - OH! OH! - OH! CIEL CHE CASI STRANI DUE GAROFANI RUFFIANI. E LO VEDI QUEL GIGLIO LÌ, AL CEPPO DI QUEL TIGLIO ? CHE ARIETTA INGENUA E CASTA ! AH! AH! LO VEDI? È UN PEDERASTA. - NO! NO! NON PIÙ! BASTA. - MIO CARO, E CI POSSO FAR QUALCOSA IO SE IL GIGLIO È PEDERASTA SE PUTTANA È LA ROSA ? - ANCHE VOI ! - CHE MARAVIGLIA ! LESBICA È LA VAINIGLIA. E IL NARCISO, QUELLO SPECCHIO DI CANDORE SI MASTURBA QUANDO È IN PETTO ALLE SIGNORE. - ANCHE VOI! CANDIDI, AZZURRI, ROSEI VELLUTATI, PROFUMATI FIORI ... - E LA VIOLACCIOCCA FA CERTI LAVORETTI CON LA BOCCA ... - NELL’ORA SÌ FUGACE CHE V’È DATA ... - E LA MODESTISSIMA VIOLETTA BEGHINA D’OGNI FIORE ? FA LUNGHE PROCESSIONI DI DEVOZIONE AL SIGNORE POI... ALL’OMBRA DELL’ERBETTA VEDESSI COSA MOSTRA AL CICLAMINO ... POVERO LILLI È LA PIÙ GRAN VERGOGNA CORROMPERE UN BAMBINO - MISERO PASTO DELLE PASSIONI. LEVAI LA TESTA AL CIELO PER TROVARE UN RESPIRO, MI SEMBRÒ DALLE STELLE PUNGERMI MALEFICI BISBIGLI E IL FIRMAMENTO MI CADESSE ADDOSSO COME COLTRE DI SPILLI. PRONO MI GETTAI SULLA TERRA BUSSANDO CON TUTTO IL CORPO AFFRANTO: - BASTA! BASTA! HO PAURA. DIO ABBI PIETÀ DELL’ULTIMO TUO FIGLIO. APRIMI UN NASCONDIGLIO FUORI DELLA NATURA  Tutti i fiori hanno una perversione. Pederasta riferito al giglio, che ritorna nel finale di Perelà. La poesia è basata sull’esibizione di elementi indicibili, osceni, atti sessuali che riguardano tutti i fiori. Il poeta distrutto da questa rivelazione (comico e osceno), si butta a terra e chiede a Dio di nasconderlo in un luogo fuori dalla natura. Il giardino, luogo di assoluta felicità, diviene un luogo da evitare, da cui nascondersi, esattamente come il banchetto (società). Natura intatta non esiste più. “Aprimi un nascondiglio”, dare al poeta la possibilità di occultarsi. Il poeta di sente in colpa, colpevole di vivere in quella natura. Fa ridere, ma Palazzeschi non ride. Ha qualcosa di fantastico e di paradossale, ma in realtà lui si dispera. Perelà sembrerebbe aver trovato la libertà nella natura. Scappa dalla città che non lo vuole più. Ritrova la sua purezza. Sta nascendo in Perelà una consapevolezza: la città lo ha imprigionato e quel mondo della città lo sta corrompendo. Ha dovuto ascoltare le cose più nascoste. Perelà nasce libero, poi subisce lentamente un cammino che lo rende sempre più schiavo della città, fino a che il gesto di Alloro di volerlo stupidamente imitare, provoca una catastrofe per cui Perelà non potrà stare più nella città. Utopia= luogo perfetto dalla fine del ‘400 in poi, la città ideale. Distopia= città dentro la quale si vive in condizioni che sono contrarie all’umano. Futuro degradato, il tempo non sarà più il tempo che stiamo vivendo, lo spazio non sarà più lo stesso, una serie di catastrofi che porteranno al non riuscire a trovare un ambiente adeguato in cui vivere. Il codice di Perelà non è una distopia e non è nemmeno un’utopia, in quanto Perelà alla fine non detta il codice della città. Futuristi che immaginano città del futuro. Al fondo c’è un immaginario che ha a che fare con il Futurismo. Architetti futuristi. In Italia questa idea della città di un futuro, immaginata come la migliore delle città possibili, viene incanalata nel Fascismo. Edifici fascisti, testimonianza dell’architettura fascista. Tutto questo 16 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 immaginario nasce con i Futuristi, cambiamento profondo delle abitudini di vita. Non sono solo letterati o scrittori, ma sono anche dei progettatori dell’immaginario. Umberto Boccioni uno dei più grandi artisti del Futurismo, dipinge La città che sale, tecnica di scomposizione dell’immagine. Ci dovrebbe essere il cantiere in cui gli uomini stanno costruendo un grande edificio, la città che sale nel senso che va verso l’alto, ma in realtà in primo piano c’è un enorme cavallo (rosso) che sembra avere due ali, che in realtà è il fumo che gli esce dalle narici, vicino a lui c’è un altro cavallo. Ci sono tre uomini che stanno trascinando, con l’aiuto di questo cavallo i materiali che servono per costruire la città. Unica forma di energia che può essere sfruttato. Forza vitale che modifica il mondo. Per Marinetti si deve tradurre in un linguaggio che non ha più la forma della letteratura convenzionale, tradizionale. Il libro non è più un oggetto che interessa a loro, non è più di carta stampata, ma fa emergere l’energia che percorre l’universo. Marinetti scriverà un manifesto facendo finta di volare su un aereo. Palazzeschi ha in sé qualcosa di questo immaginario. Palazzeschi ha bisogno dell’appoggio dei Futuristi, altrimenti rimarrebbe isolato. Qualche anno dopo cercherà di separarsi da questa idea. Cerca di modificare, riscrivere alcuni elementi di Perelà. Regime fascista = uomini che devono piegarsi alla necessità del regime. Uso della parola pubblica attraverso l’amplificazione della radio, degli strumenti necessari per diffondere la voce del capo. Carlo Emilio Gadda fa una codifica del fascismo attraverso una versione erotica e sessuale (“Duce è un enorme fallo”). Tutto il segreto del fascismo, dominare secondo un’energia sessuale di potenza virile che gli hanno trasmesso i Futuristi. A distanza di poco più di vent’anni, momento di declinazione del fascismo, Pablo Picasso durante il bombardamento di una piccola città spagnola (dai fascisti spagnoli), comporrà il suo assoluto capolavoro Guernica. Costruzione quasi perfetta del triangolo, le luci, lampada della donna fuori dalla finestra, sofferenza e dolore soprattutto delle donne che perdono i figli durante i bombardamenti e l’occhio di Dio che osserva quello che è successo. Picasso non ha utilizzato solo esseri umani per esprimere il dolore. Ha usato due animali simbolici per la cultura spagnola: uno è il toro e l’altro è un cavallo che ha una ferita profonda. Uomo fatto a pezzi. Tutto è scomposto. Picasso riprende la testa del cavallo rivoltata verso il cielo, che sembra stia urlando, un urlo di sofferenza. Molti italiani vanno a combattere in Spagna per aiutare i comunisti spagnoli che si contrappongono al regime. Perelà si rende conto che la città che è sotto ai suoi piedi è un luogo insopportabile. “Gravità insopportabile”. Gravità opposto di leggerezza. Tutto ciò che cade, cade verso il basso. Palazzeschi lo dice chiaramente: per Perelà non è sopportabile la pesantezza del mondo. Non è allineato al futurismo, è un distacco profondo. Era così fin dall’inizio ma si era abituato. Perelà si rende conto che se accetta di vivere nella città, potrebbe acquisire alcune qualità, ma perderebbe la sua qualità migliore: la leggerezza. Improvvisamente vede sotto un albero una bambina con un bastone in mano e alcune pecore attorno. Perelà si avvicina alla bambina, che, come lo vede, prende paura ed urla. “Se voi non mi farete paura, io non avrò paura” risponde la bambina che pensa sia un fantasma. La bambina è una pastorella che vive fuori dalla città, non ci è mai andata. Figura di favola che ha una zia cattiva che le impedisce di scendere in città. Perelà cerca di spiegare alla bambina com’è fatta la città. La bambina vuole andare nel posto che non ha mai visto, il cielo lo vede sempre. Il fatto che anche una bambina così piccola e ingenua in realtà è un essere umano schiavo dell’idea della città. Forse questo discorso lo convince a tornare in città, nonostante Perelà sia un essere che non può vivere in mezzo agli uomini. Scende ed un bambino gli dà una spinta, Perelà barcolla e va a sbattere contro un muro. I bambini si ammassano su di lui, “ne fecero come un gioco, uno di quei palloni pieni di gas che si manipolavano l’uno all’alto”, i bambini sono sadici, giocano a fargli del male. Perelà umiliato, incapace di difendersi, è ferito. Alle finestre ed alle porte delle case tutti cominciano a ridere. Qualcosa ci fa pensare al momento in cui Cristo viene umiliato e poi portato sul Golgota. Sono i bambini che umiliano Perelà, gli adulti si aggiungono dopo. I bambini non sono innocenti. “Le grida, le risa gli ferivano il cuore” segno della grandezza e della debolezza di Perelà. È un essere inesistente ma soffre per quello che gli viene fatto. Perelà viene punito da bambini innocenti, gli unici esseri che potrebbero capirlo e non lo fanno. Perelà piange perché quello è il segno definitivo della consapevolezza che non può stare tra gli uomini. Idea che la diversità gli impedisce di stare vicino agli altri. Palazzeschi mostra il lato perverso die bambini, non crede al mito dell’infanzia pura, i bambini sono colpevoli. Il puro viene umiliato da coloro che dovrebbero essere puri. Perelà è diventato l’oggetto dell’odio e dell’umiliazione. Non fugge, nonostante il suo essere di fumo, per colpa della sua estrema onestà e leggerezza che lo rendono impotente. L’indisposizione di Perelà-> chiuso in casa, l’unica che lo va a trovare è Oliva di Bellonda, l’unica che lo ama ancora, ha paura per quello che sta per succedere, personaggio che non capisce Perelà, perché ragiona ancora in termini umani. “Utilizzerò il fuoco per vendicarmi”, logica alla quale Perelà non può appartenere. Processo e finale (Il codice di Perelà). Nel finale Palazzeschi vuole farci intravedere che cos’è il codice di Perelà. Proprio perché è di fumo Perelà è superiore al mondo delle realtà, delle cose umane. La realtà è ciò 17 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Finito il discorso di Perelà, si torna nel mondo degli uomini. La Marchesa è impazzita improvvisamente per la fuga in cielo di Perelà. Pazzia e volo di Perelà è una cosa che hanno un nesso logico. La pazzia allontana la mente dalla realtà del mondo degli uomini, così come Perelà è volato. “Uccidere” in senso simbolico tutte le abitudini che la letteratura ha seguito fino ad ora. Raccontare per uccidere, funzione del racconto che provoca la morte di qualcuno, la morte fisica o simbolica di qualcuno (cade morta la marchesa alla quale scoppia il cuore). Unico elemento realmente tragico è una donna innamorata che muore (si chiude qui il romanzo del ’58). Nell’edizione del 1911 c’erano alcune altre frasi in cui si dice che gli uomini improvvisamente guardano il cielo, hanno consapevolezza che nel cielo si trova Perelà. La scomparsa di Perelà ha prodotto un effetto, uomini che consegnano a Dio la propria anima, cercano salvezza. Perelà ripetuto quattro volte in modi diversi. Il Signor Perelà, attributo usato per la prima volta. Perelà viene considerato un uomo. Nel ’58 Palazzeschi la toglie e la storia termina con la morte della marchesa. Gli uomini guardano al cielo e vanno a cercare Perelà che in effetti è una creatura del cielo. Perelà creatura celeste che potrebbe salvare gli uomini. Finale rasserenante. Palazzeschi ha rifiutato questo finale. Racconto molto denso dal punto di vista di creazione immaginativa, molto povero di fatti. Favola un po’ futurista, tema del presente e del futuro, e un po’ metafisica, in quanto in una dimensione che è oltre la realtà, che sta fuori dal mondo. Questo racconto cerca di spiegare qualcosa della realtà, ma che non è la realtà. Il mondo degli uomini segue delle abitudini e delle regole, una norma che tutti gli uomini si trovano a seguire. Gli uomini non si rendono conto di chi è Perelà. Gli uomini non si fanno sconvolgere da Perelà, rientrano subito nella norma. Illusione senza fondamento quello dell’amore di Oliva di Bellonda. Paradossalmente la letteratura italiana del ‘900 inizia con un atto profondamente trasgressivo, un racconto fondato sull’inconsistenza del personaggio centrale. Perelà è importante proprio per la sua inconsistenza e il valore trasgressivo che ha la sua inconsistenza. Il romanzo tradizionale ha sempre un personaggio principale con determinate caratteristiche. Ad esempio, D’Annunzio (esteta, colui che vive la vita come un’opera d’arte) sfrutta nei suoi personaggi un prototipo di uomo particolare e donna particolare. Qualcosa di straordinario che si connette al senso della bellezza, dimensione superiore. Idea del superuomo. Mentre D’Annunzio presenta un personaggio che guarda ad una dimensione di perfezione estetica che si distacca dal mondo per l’irrealtà del concetto, Palazzeschi con Perelà ha creato un personaggio fuori dalla norma perché non ha un corpo, non ha una consistenza, ma ha l’obiettivo di cambiare la città. DINO CAMPANA Dino Campana tenta un esperimento simile a quello di Palazzeschi, ma è più estremo. Palazzeschi fa una vita molto regolare, scrittore ed intellettuale che appartiene ad una buona borghesia. Il problema di Campana è proprio la sua vita, vive continuamente fuori dalle regole. Viene considerato violento e sottoposto a varie perizie psichiatriche. L’ombra dell’anomalia mentale lo perseguita. Era realmente malato di mente? Si e no, non era malato di mente come molti dei suoi concittadini lo pensano. Nasce a Marradi. Essere bollati come folli diventa uno stigma di cui non si può liberare. L’unico che cerca di aiutarlo è il padre, che cerca di seguirlo e comprendere la sua stranezza. Campana fugge continuamente. Campana ha un progetto: scrivere un libro di poesia che gli permetta di esprimere la ricerca dell’identità. Apre una dimensione diversa, una nuova dimensione di esistenza. Si incanalerà nell’esaltazione della guerra che viene visto come unico strumento per cambiare la società. Libro molto piccolo dove lui in maniera disperata vuole raccontare la sua esistenza. Appare un uomo alla ricerca di se stesso, che sia capace di capire il mondo da un’altra dimensione. Il titolo del libro è I Canti Orfici, Orfeo= primo essere mitologico che ha praticato la poesia. Verrà rinchiuso in manicomio. Come Perelà avrebbe dovuto salvare la vita degli uomini della città, Campana pensa che il suo libro possa aiutare gli uomini a raggiungere una dimensione esistenziale superiore. 02/10 Intorno a questo poeta ci sono dei problemi che non sono problemi indifferenti: unico poeta italiano che ha una vita caratterizzata da una serie di episodi sui quali non si è mai riuscito a fare luce, perché mancano documenti che attestino questi eventi. Nasce in un piccolo paese dell’appenino vicino a Faenza, sarebbe romagnolo, ma il paese è più toscano che romagnolo, anche dal punto di vista linguistico. La prima parte della vita di Campana gravita in prima parte su Faenza, e per la seconda parte su Bologna e Firenze. Famiglia benestante. Viene iscritto al ginnasio di Faenza, studi regolari che lo mettono in contatto con la letteratura italiana e non solo. Prima tappa: 1900, dopo i tre anni di ginnasio viene iscritto ai due anni di liceo. “Mio figlio cominciò a dare prova ad un comportamento ossessivo, morboso, in particolare con la mamma” scrive 20 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Giovanni (il padre) ad un medico. Il padre sospetta che non abbia una malattia fisica, ma sia necessario portarlo da degli esperti (medici più esperti sono ad Imola). Nel 1900 Campana ha quindici anni, studente molto maturo, ma la cosa più interessante è che è il padre che decide di prendersi cura il figlio e a portarlo alle visite con i medici di Imola (al posto della madre). Scappare e camminare compiendo tragitti lunghissimi, tormento fisico legato ad un altro tipo di tormento. Il padre decide di mandarlo a studiare come privatista a Torino. Nel 1903 Campana si iscrive all’università di Bologna a chimica. Si dice che abbia compiuto questa scelta perché in famiglia avevano già interessi di questo genere. Una delle prime testimonianze che abbiamo di una sua figa lunghissima è del 1904, viene ritrovato a casa dopo mesi che è sparito affermando di aver compiuto un viaggio in Russia (forse Ucraina). Campana racconta ad un medico quando viene ricoverato di aver fatto un viaggio ad Odessa. Una notte in cui ha dormito con un russo. Incontro con la letteratura di quel paese. Nel 1905 abbiamo un documento in cui Campana chiede di essere riammesso all’università di Bologna per frequentare la facoltà di chimica farmaceutica. Campana viene espulso dall’università, due teorie: Campana viveva nel 32 di via Zamboni, camere in affitto; - la prima teoria: Campana incontra il maggiordomo di un professore che abitava nel primo piano (nobile), che abbia inveito contro di lui e che abbia scaraventato il cane del professore giù per le scale. Viene preso e portato in questura, per questo momento viene espulso e decide di passare all’università di Genova (lettera del rettore dell’Unibo, che lo ritiene pericoloso in quanto potrebbe creare degli ordigni utilizzabili per chissà quale motivo). Va a Genova, ci sta poco e poi ritorna a casa a Marradi, poi fugge in Francia e in Svizzera. Quando torna da questo viaggio nel 1906, Campana viene portato dal padre al manicomio di Imola, prime diagnosi di una sua possibile malattia mentale. Fino adesso noi non abbiamo nessuna testimonianza di un’attività letteraria di Campana, ma dobbiamo pensare che sia già iniziata. Probabilmente nel 1908 viaggio in Argentina, dichiarazione del fratello di Campana che dice che nel settembre del 1907 Campana avesse fatto richiesta di un passaporto per un viaggio all’estero. Instabilità reale; Campana non vuole stare da nessuna parte. C’è chi, anche se abbiamo i testi, sostiene che i testi sono di pura fantasia, completamente inventati. 1909: Campana ricoverato d’urgenza in un manicomio di Firenze. Successivamente scappa in Belgio e viene anche lì ricoverato in un manicomio. Nel 1912 torna a casa, riprende gli studi a Bologna, pubblica due poesie e un testo in prosa su un giornale pubblicato dagli studenti (Il Papiro: giornale goliardico). Diventare uno scrittore, nel giro di due anni nascono i Canti Orfici, che manda ai due letterati più famosi di allora Papini e Soffici, lascia a loro l’unica copia dell’opera, manoscritto che si è conservato. Titolo diverso: Il più lungo giorno. Aspetta qualche riscontro; Campana scrive molte lettere, poi va a casa di Soffici chiedendo il manoscritto (che dice che sia stato perso). Non sappiamo se sia una storia inventata da Campana, tra il 1912- 1914 riscrive il suo libro, a mano, su un quaderno che si è procurato. Nel mese di giugno del 1914 a Marradi fa stampare il libro da uno stampatore (non da un editore). I Canti Orfici escono a Marradi presso una tipografia (Ravagli). Nel 1918 Campana che ha girato ancora per il mondo, che ha cercato di scrivere altre poesie, che vorrebbe ampliare la raccolta di poesie, viene quattro anni dopo mandato ad una visita di controllo e chiuso di nuovo in un manicomio a Castelpulci (vicino a Firenze). Non uscirà più dal manicomio. Per metà della sua vita è stato in manicomio. Nel 1932 muore in manicomio per un’infezione. Medico psichiatra che decide di andarlo a visitare. Questa serie di incontri producono un libro: “Vita non romanzata di Dino Campana” di Carlo Pariani (che incontra Campana dal ’26 al ’30, colloqui riscritti e pubblicato). Il Campana ricoverato in manicomio non è un uomo che può parlare lucidamente di sé, è difficile pensare che Campana dicesse o raccontasse al suo intervistatore cose realmente successe. Il medico prima di riportare i colloqui con Campana dice che nel 1913 si trovava a Genova, in cui aveva cominciato a frequentare l’università ma non riusciva a laurearsi e per questo motivo era partito per Buenos Aires. Non attendibile, va sottoposto ad una serie di controlli ciò che il medico riporta. La vita di Campana incide pesantemente su ciò che scrive. I Canti Orfici sono la rielaborazione di episodi della vita. Campana è povero, viveva del suo lavoro. La famiglia non lo ha seguito sempre, c’è chi sostiene che la famiglia voleva liberarsene il prima possibile, tutti dicono che Campana girava vestito da barbone, però in realtà quando andiamo a vedere le foto rimaste di Campana non c’è niente che ci faccia pensare a queste condizioni. Quando Pariani conosce Campana fa alcune considerazioni della sua malattia: accessi di “pazzia dissociativa”, quando gli parlava sembrava lucido, ogni tanto teneva discorsi strani. Inizio 1900, fotografia è 21 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 un’arte ancora giovane. Prima volta che abbiamo la testimonianza degli scrittori con il loro reale aspetto, prima quadri e dipinti. Fotografia di Campana: ombre che creano una superficie strana, turbato, la metà in ombra ha una contrazione. Fotografia con la quale si vuole documentare un Dino Campana malato psichiatrico, non personalità di Dino Campana in sé. Gli hanno rasato i capelli, molto rovinato, probabilmente sottoposto all’elettroshock, consuetudine all’epoca, con uno sguardo ferito. “Psicopatia inculcate” -> malattia psichica, Pariani lo chiama subito poeta, con influenze nel suo ingegno a causa della sua malattia. Poeta pazzo, in Italia non abbiamo mai avuto una figura di poeta con alterazioni psichiche così esplicite. C’è bisogno di trovare un poeta che sia affetto da un’alterazione mentale. Se ci poniamo nei panni di Campana è umiliante, “sei poeta perché sei pazzo, scrivi in base alla tua malattia mentale”, toglie valore alla sua capacità di poeta. Ha dovuto lottare per difendere la sua capacità di poeta. Campana dice a Pariani “una volta ero poeta, ma adesso non riesco a connettere le idee”; la poesia di Campana è una poesia che non è caratterizzata da logica. Causa di tutti i matrimoni delle famiglie reali d’Europa, stazione telegrafica, faccio tutto l’ordine del mondo, comunicazione con Milano, Parigi, telegrafo senza fili. Delirio di onnipotenza: crede di essere al centro del mondo. Queste sono frasi che ci fanno ipotizzare una condizione di Campana che ormai è fuori dalla possibilità di comporre poesia. Situazione lontana dalla creazione poetica. Potere telepatico che esercita su tutto il mondo attraverso una forma di comunicazione che sta nascendo e si sta sviluppando. Ha trasportato su di sé tutte le notizie: immagine di un uomo che può parlare con tutto il mondo. Lettera che Campana scrive nel 1916, quando ha già fatto circolare alcune sue poesie nell’ambiente dei letterati fiorentini (Emilio Cecchi, a cui Campana ha scritto più volte e che è andato a trovare). Poeta originale, fuori dalle norme, straordinario, non era qualcuno da trascurare, nonostante la sua stranezza. Concessa a Cecchi la sua vita fino a quel momento, quanto ha sofferto. “La causa della mia rovina sono stati proprio loro”, Campana parla dei fiorentini. Cecchi fa parte della critica della Tribuna. Perché tutti i letterati fiorentini mi hanno squalificato in tutti questi anni? È questa la domanda che si pone Campana. Campana si presenta all’illustre letterario come un perseguitato. “I miei compaesani mi hanno sempre perseguitato, mi hanno considerato un avanzo di galera, da Bologna sono scappato a Genova, ma lì fu peggio”. In qualche mese scrive i Canti Orfici includendo testi già fatti. Impossibilità di essere considerato un individuo normale, “giustificazione della sua vita”. Fare capire a tutti che Campana è qualcuno, cha sa scrivere. Va a trovate Papini e gli fa leggere il manoscritto e lo ha invitato alle Giubbe Rosse. Manoscritto passato nelle mani di Soffici, senza ottenerlo indietro. È un buon testo, ma non lo pubblicano. Campana decide di riscrivere a memoria da capo l’opera. Viene insultato dalle forze poliziesche. “E questi erano tutti laceri e coperti con il sangue del ragazzo” le ultime parole e le più importanti del libro, citazione di Walt Whitman. A Pariani Campana mostra un aspetto esaltato di una personalità che si crede al centro del mondo; a Cecchi, Campana racconta di essere un perseguitato e i primi persecutori sono i compaesani di Marradi (“assassini”). Non ci sono gli strumenti per capire il forte disagio del Campana ragazzo, il padre lo porta in un manicomio segnandone il destino. In tutto il paese si diffondono delle voci che lo considerano il matto del paese, additato come anomalo, decide di fuggire tutte le volte che può. Crisi che scoppiano improvvisamente che lo fanno progressivamente considerare ancora più anomalo di quello che lui è. Fugge in vari paesi, aumenta l’inimicizia dei concittadini che lo vedono tronare come un barbone. Il libro dovrebbe essere la dimostrazione che lui non è quello che gli altri credono. Cerca nei letterati fiorentini un aiuto, “non sono il reietto della società”, non riescono a diventare la rivendicazione della sua vita, vengono apprezzate ma non pubblicate. Solo dopo che viene rinchiuso in manicomio, lo si inizia ad apprezzare. I testi dei canti Orfici nel loro insieme costituiscono poco più di 150 pagine. Inizio in prosa: percorso che lui ha fatto da Faenza a Bologna passando per Bologna. Discorso intitolato “La notte”, composto da tre incontri erotici, con sei donne. A questa prosa seguono poesie, ambientate in luoghi in cui Campana ha realmente vissuto: Marradi, l’appenino tosco-romagnolo, Firenze, Genova, Bologna. Poesie frammentarie: Pampa Argentina, “Passeggiata in tram in America e ritorno”. Ultima e lunga poesia ambientata a Genova, poesia con la quale Campana decide di chiudere i racconti dei Canti Orfici. Marradi, Firenze, Bologna, Genova e l’Argentina sono i luoghi della sua esperienza, poi trasformati in luoghi della poesia. “Essi erano tutti ricoperti del sangue del fanciullo” frase finale. Orfeo, poeta considerato di una sapienza superiore. Mago o uomo dotato di saperi religiosi, sapienza che spiegava l’intero universo, capacità di non solo creare delle situazioni esteticamente importanti, ma portare a conoscere i segreti del mondo. Individuare la conoscenza dell’universo. Canti che servono a lui per individuare lui chi è. 22 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 deserta, casupole schiacciate, finestre mute: a lato in un balenìo enorme la torre, otticuspide rossa impenetrabile arida. Una fontana del cinquecento taceva inaridita, la lapide spezzata nel mezzo del suo commento latino. Si svolgeva una strada acciottolata e deserta verso la città. La torre è il segnale dei ricordi della sua infanzia a Faenza. “Colui che io ero stato” proprio a cominciare da questo punto non c’è lui, ma c’è un altro lui. Idea del tempo che si muove. Nel secondo frammento lui alza gli occhi, nel terzo “colui che ero stato”. È successo qualche cosa tra il secondo e il terzo frammento: Campana non ha stabilità. Riferimento a Perelà. Campana ha un corpo ma non domina in maniera razionale l’immagine del suo corpo. Da questo punto in poi Campana alterna la prima persona alla terza persona. Quello che Campana vuole fare ed è molto moderno (cinema) è creare dei piani diversi del tempo. Tempo della memoria, tempo del passato, tempo sospeso. Dimensione del sogno. È come un secondo io di Campana. I medici considerano il secondo io il segnale della sua dissociazione. A 23 anni, la vita che Campana condusse a Bologna lo ha riportato nella sua condizione dissociativa. Pariani ha delle visioni molto aride (per lui è un disturbo dissociativo). Chi legge i testi ricava la dissociazione di Campana dalle opere. Strategia letteraria utilizzata anche da altri, ma viene fatta coincidere con la malattia mentale. Pariani dice che la malattia mentale influisce in modo negativo nelle sue attitudini di poeta. Campana entra ed esce in luoghi diversi (tecnica narrativa che ritorna). Fu scosso da una porta che si spalancò. Dei vecchi, delle forme oblique ossute e mute, si accalcavano spingendosi coi gomiti perforanti, terribili nella gran luce. Davanti alla faccia barbuta di un frate che sporgeva dal vano di una porta sostavano in un inchino trepidante servile, strisciavano via mormorando, rialzandosi poco a poco, trascinando uno ad uno le loro ombre lungo i muri rossastri e scalcinati, tutti simili ad ombra. Una donna dal passo dondolante e dal riso incosciente si univa e chiudeva il corteo. La scena in cui bussa ed entra viene ricondotta da alcuni commentatori alla prima esperienza di Campana in un luogo in cui si trovano i diseredati. Luogo di sofferenza, scena di prigione, di un luogo dove vengono tenute sotto controllo delle persone con caratteristiche perturbanti. Frate a cui piedi si trovano le persone striscianti. Strisciavano le loro ombre lungo i muri rossastri e scalcinati: egli seguiva, automa. Diresse alla donna una parola che cadde nel silenzio del meriggio: un vecchio si voltò a guardarlo con uno sguardo assurdo lucente e vuoto. E la donna sorrideva sempre di un sorriso molle nell’aridità meridiana, ebete e sola nella luce catastrofica. Egli (Campana). Densi di espressività. Pittore che rappresenta una deformazione della realtà. È tutto giocato su un livello da incubo. L’atmosfera che si crea non è realistica e nemmeno piacevole. Dimensione dell’ospizio, del manicomio, del luogo di internamento. Incontrerà di volta in volta figure strane, che sembrano delle altre presenze di sé. Non seppi mai come, costeggiando torpidi canali, rividi la mia ombra che mi derideva nel fondo. Mi accompagnò per strade male odoranti dove le femmine cantavano nella caldura. Ai confini della campagna una porta incisa di colpi, guardata da una giovine femmina in veste rosa, pallida e grassa, la attrasse: entrai. Una antica e opulente matrona, dal profilo di montone, coi neri capelli agilmente attorti sulla testa sculturale barbaramente decorata dall’occhio liquido come da una gemma nera dagli sfaccettamenti bizzarri sedeva, agitata da grazie infantili che rinascevano colla speranza traendo essa da un mazzo di carte lunghe e untuose strane teorie di regine languenti re fanti armi e cavalieri. Salutai e una voce conventuale, profonda e melo[p. 11 modifica]drammatica mi rispose insieme ad un grazioso sorriso aggrinzito. Distinsi nell’ombra l’ancella che dormiva colla bocca semiaperta, rantolante di un sonno pesante, seminudo il bel corpo agile e ambrato. Sedetti piano. Nel sesto frammento avviene l’incontro reale con la prostituta. Segnale dello sdoppiamento: ombra che ride e lo segue. La figura femminile attrae la sua ombra. Porta di un bordello in cui si trovano le prostitute che aspettano i clienti. La lunga teoria dei suoi amori sfilava monotona ai miei orecchi. Antichi ritratti di famiglia erano sparsi sul tavolo untuoso. L’agile forma di donna dalla pelle ambrata stesa sul letto ascoltava curiosamente, poggiata sui gomiti come una Sfinge: fuori gli orti verdissimi tra i muri rosseggianti: noi soli tre vivi nel silenzio meridiano. ⁂ Era intanto calato il tramonto ed avvolgeva del suo oro il luogo commosso dai ricordi e pareva consacrarlo. La voce della Ruffiana si era fatta man mano più dolce, e la sua testa di sacerdotessa orientale compiaceva a pose languenti. La magia della sera, languida amica del criminale, era galeotta delle nostre anime oscure e i suoi fastigi sembravano promettere un regno misterioso. E la sacerdotessa dei piaceri sterili, l’ancella ingenua ed avida e il poeta si guardavano, anime infeconde inconsciamente cercanti il problema della loro vita. Ma la sera scendeva messaggio d’oro dei brividi freschi della notte. ⁂ Venne la notte e fu compita la conquista dell’ancella. Il suo corpo ambrato la sua bocca vorace i suoi ispidi neri capelli a tratti la rivelazione dei suoi occhi atterriti di voluttà intricarono una fantastica vicenda. Mentre più dolce, già presso a spegnersi ancora regnava nella lontananza il ricordo di Lei, la matrona suadente, la regina ancora ne la sua linea classica tra le sue grandi sorelle del ricordo: poi che Michelangiolo aveva ripiegato sulle sue ginocchia stanche di cammino colei che piega, che piega e non posa, regina barbara sotto il peso di tutto il sogno umano, e lo sbattere delle pose arcane e violente delle barbare travolte regine antiche aveva udito Dante spegnersi nel grido di Francesca là sulle rive dei fiumi che stanchi di guerra mettono foce, nel mentre sulle loro rive si ri[p. 13 modifica]crea la pena eterna dell’amore. E l’ancella, l’ingenua Maddalena dai capelli ispidi e dagli occhi brillanti chiedeva in 25 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 sussulti dal suo corpo sterile e dorato, crudo e selvaggio, dolcemente chiuso nell’umiltà del suo mistero. La lunga notte piena degli inganni delle varie immagini. ⁂ Si affacciavano ai cancelli d’argento delle prime avventure le antiche immagini, addolcite da una vita d’amore, a proteggermi ancora col loro sorriso di una misteriosa incantevole tenerezza. Si aprivano le chiuse aule dove la luce affonda uguale dentro gli specchi all’infinito, apparendo le immagini avventurose delle cortigiane nella luce degli specchi impallidite nella loro attitudine di sfingi: e ancora tutto quello che era arido e dolce, sfiorite le rose della giovinezza, tornava a rivivere sul panorama scheletrico del mondo. ⁂ Nell’odore pirico di sera di fiera, nell’aria gli ultimi clangori, vedevo le antichissime fanciulle della prima illusione profilarsi a mez[p. 14 modifica]zo i ponti gettati da la città al sobborgo ne le sere dell’estate torrida: volte di tre quarti, udendo dal sobborgo il clangore che si accentua annunciando le lingue di fuoco delle lampade inquiete a trivellare l’atmosfera carica di luci orgiastiche: ora addolcite: nel già morto cielo dolci e rosate, alleggerite di un velo: così come Santa Marta, spezzati a terra gli strumenti, cessato già sui sempre verdi paesaggi il canto che il cuore di Santa Cecilia accorda col cielo latino, dolce e rosata presso il crepuscolo antico ne la linea eroica de la grande figura femminile romana sosta. Ricordi di zingare, ricordi d’amori lontani, ricordi di suoni e di luci: stanchezze d’amore, stanchezze improvvise sul letto di una taverna lontana, altra culla avventurosa di incertezza e di rimpianto: così quello che ancora era arido e dolce, sfiorite le rose de la giovinezza, sorgeva sul panorama scheletrico del mondo. ⁂ Ne la sera dei fuochi de la festa d’estate, ne la luce deliziosa e bianca, quando i nostri orecchi riposavano appena nel silenzio e i nostri occhi erano stanchi de le girandole di fuoco, de le stelle multicolori che avevano lasciato un odore pirico, una vaga gravezza rossa nell’aria, e il camminare accanto ci aveva illanguiditi esaltandoci di una nostra troppo diversa bellezza, lei fine e bruna, pura negli occhi e nel viso, perduto il barbaglio della collana dal collo ignudo, camminava ora a tratti inesperta stringendo il ventaglio. Fu attratta verso la baracca: la sua vestaglia bianca a fini strappi azzurri ondeggiò nella luce diffusa, 470 ed io seguii il suo pallore segnato sulla sua fronte dalla frangia notturna dei suoi capelli. Entrammo. Dei visi bruni di autocrati, rasserenati dalla fanciullezza e dalla festa, si volsero verso di noi, profondamente limpidi nella luce. E guardammo le vedute. Tutto era di un’irrealtà spettrale. C’erano dei panorami scheletrici di città. Dei morti bizzarri guardavano il cielo in pose legnose. Una odalisca di gomma respirava sommessamente e volgeva attorno gli occhi d’idolo. E l’odore acuto della segatura che felpava i passi e il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero. «È così Parigi? Ecco Londra. La battaglia di Mukden». Noi guardavamo intorno:  [p. 16 modifica]doveva essere tardi. Tutte quelle cose viste per gli occhi magnetici delle lenti in quella luce di sogno! Immobile presso a me io la sentivo divenire lontana e straniera mentre il suo fascino si approfondiva sotto la frangia notturna dei suoi capelli. Si mosse. Ed io sentii con una punta d’amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino. La seguii dunque come si segue un sogno che si ama vano: così eravamo divenuti a un tratto lontani e stranieri dopo lo strepito della festa, davanti al panorama scheletrico del mondo. ⁂ Ero sotto l’ombra dei portici stillata di gocce e gocce di luce sanguigna ne la nebbia di una notte di dicembre. A un tratto una porta si era aperta in uno sfarzo di luce. In fondo avanti posava nello sfarzo di un’ottomana rossa il gomito reggendo la testa, poggiava il gomito reggendo la testa una matrona, gli occhi bruni vivaci, le mammelle enormi: accanto una fanciulla inginocchiata, ambrata e fine, i capelli recisi sulla fronte, con grazia giovanile, le gambe lisce e ignude dalla vestaglia smagliante: e sopra di lei, sulla matrona pensierosa negli occhi giovani una tenda, una tenda bianca di trina, una tenda che sembrava agitare delle immagini, delle immagini sopra di lei, delle immagini candide sopra di lei pensierosa negli occhi giovani. Sbattuto a la luce dall’ombra dei portici stillata di gocce e gocce di luce sanguigna io fissavo astretto attonito la grazia simbolica e avventurosa di quella scena. Già era tardi, fummo soli e tra noi nacque una intimità libera e la matrona dagli occhi giovani poggiata per sfondo la mobile tenda di trina parlò. La sua vita era un lungo peccato: la lussuria. La lussuria ma tutta piena ancora per lei di curiosità irraggiungibili. «La femmina lo picchiettava tanto di baci da destra: da destra perchè? Poi il piccione maschio restava sopra, immobile? dieci minuti, perchè?» Le domande restavano ancora senza risposta, allora lei spinta dalla nostalgia ricordava ricordava a lungo il passato. Fin che la conversazione si era illanguidita, la voce era taciuta intorno, il mistero della voluttà aveva rivestito colei che lo rievocava. Sconvolto, le lagrime agli occhi io in faccia alla  tenda di trina seguivo seguivo ancora delle fantasie bianche. La voce era taciuta intorno. La ruffiana era sparita. La voce era taciuta. Certo l’avevo sentita passare con uno sfioramento silenzioso struggente. Avanti alla tenda gualcita di trina la fanciulla posava ancora sulle ginocchia ambrate, piegate piegate con grazia di cinedo. Al frammento numero 13 noi sappiamo bene dove si trova Campana: “ero sotto l’ombra dei portici -> Bologna. Notte di dicembre. Avviene un cambiamento di luogo. La luce dei portici è trasfigurata in gocce di sangue. Ancora una volta entra in un luogo in cui incontra due donne. Campana cerca di sintetizzare in questo passaggio tutta la prima parte di adolescenza, anni di studi regolari più o meno e poi Bologna (anni di formazione). Più avanti nel testo si incontra una seconda sezione che si chiama “il viaggio e il ritorno”, 4 frammenti, nel suo insieme questo racconto in prosa con caratteristiche di poesia racchiude tutta la vita di Campana, fino al momento in cui lui decide di scrivere i Canti Orfici. L’ombra di Campana attraversa la campagna, porta sorvegliata da una giovane femmina in veste rosa. Due figure femminili, officianti orfici. Donna più grande, Matrona, portatrice di una saggezza antica e una donna più giovane, oggetto di un desiderio erotico molto esplicito. La Matrona e la Ancella sono le due figure femminili che dovrebbero consentirgli il percorso di salvezza. Campana cerca disperatamente di trovare unità, un’unità che non riesce a sperimentare nella vita. La sua condizione mentale gli fa sentire la profonda distinzione all’interno di sé (lettera ai fiorentini). L’elemento che ci attrae a Campana è un libro di poesia che trova la sua unica giustificazione per una vita sofferente in cui il suo unico obiettivo è quello di ritrovare unità, il libro deve essere l’unità riconquistata e il raggiungimento di una salvezza. Se dimostro che sono un poeta dimostro che non sono folle. I Canti Orfici all’altezza del 1914 sono la giustificazione della sua vita. La Matrona legge le carte (cultura popolare del passato). Barbaramente decorata = donna agghindata in un certo modo che fa 26 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 pensare a figure antiche. Appartiene ad un altro tempo. Ancella che probabilmente dorme e rappresenta l’attrazione erotica. Campana nel frammento successivo racconta come la Matrona comincia a guardare le carte e parla di amore, l’Ancella appoggiata sul letto lo guarda come una sfinge. Loro tre sembrano essere vivi nel silenzio che li avvolge. Rapporto strano: sacerdotessa, ancella e poeta. Anime infeconde, il poeta è sullo stesso piano delle due donne perché non riesce a creare. Cercare il problema della loro vita. Stanno tutti cercando di capire qual è il problema della loro vita. Descrizione del corpo delle donne. Primo passo verso la conoscenza di se stesso. 09/10 Campana scrive un lungo testo in una prosa ricca di analogie per raccontare un percorso modellato su un percorso reale che lui ha fatto. La notte è una trasfigurazione sottoforma di visioni di un individuo che sta facendo un percorso, lungo questo percorso incontra delle figure che non sono definite (non possiamo chiamarli personaggi), non hanno identità e sono smaterializzate. C’è chi ha detto che Campana si ricordava molto bene della Vita Nova di Dante (trasfigurazione “angelica” di Beatrice). Le figure di riferimento principali sono due figure femminili: una che si presuppone che non sia più giovane (Antica, Matrona) e l’altra più giovane (Ancella). Non sono due figure separate, sono due figure complementari. Matrona= madre che possiede un sapere che secondo Campana potrà servire per il suo percorso di iniziazione (viaggio alla scoperta di sé). Campana aggredito, perseguitato, non rispettato nel suo paese e dagli altri intellettuali, considerato pazzo. Situazione di emarginazione fisica e psicologica, Campana vuole scrivere questo libro per dimostrare che ha una visione del mondo, ha un pensiero che riesce a trasmettere attraverso la poetica. Immagine non della realtà, ma realtà trasfigurata. Un poeta trasfigura sempre (forte o controllata). Visione/allucinazione: non sono di fronte alla realtà, ma sono di fronte ad un prodotto della mia mente che ha un qualcosa di patologico. Non più legato al mondo. In una condizione di allucinazione posso fare cose che non sono sotto il dominio della mia mente. Non sono sinonimi, ma rimandano tutti e due ad un fenomeno piuttosto strano. LA CHIMERA Non so se tra roccie il tuo pallido Viso m’apparve, o sorriso Di lontananze ignote Fosti, la china eburnea Fronte fulgente o giovine Suora de la Gioconda: O delle primavere Spente, per i tuoi mitici pallori O Regina o Regina adolescente: Ma per il tuo ignoto poema Di voluttà e di dolore Musica fanciulla esangue, Segnato di linea di sangue Nel cerchio delle labbra sinuose, Regina de la melodia: Ma per il vergine capo Reclino, io poeta notturno Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo, Io per il tuo dolce mistero Io per il tuo divenir taciturno. Non so se la fiamma pallida Fu dei capelli il vivente Segno del suo pallore, Non so se fu un dolce vapore, Dolce sul mio dolore, Sorriso di un volto notturno: Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti E l’immobilità dei firmamenti E i gonfii rivi che vanno piangenti E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera. Prima intitolata “Montagna”, importantissime per Campana nato in un determinato territorio. Uomo che nasce sugli Appennini fugge di casa e attraversa anche le Alpi. Idea del salire, liberarsi, condizione superiore. Differenza tra amare il mare (stasi, condizione legata all’acqua) e la montagna (conquista di qualcosa, verticale, condizioni per salire, idea di libertà). Chimera= rimanda ad una figura mitologica che viene dall’antichità classica e sarebbe una figura composta da varie parti di animali che non sono coordinati tra di loro. Campana non pensa ad un mostro, pensa ad una donna. Campana pensa ad una donna particolare: descrive un viso, che gli è apparso tra le rocce (rimando alla montagna) [rimando alla Vergine delle Rocce di Leonardo Da Vinci]. Riferimento alla Gioconda che rende palese il collegamento a Leonardo, che faceva i volti allo stesso modo (tecnica pittorica molto simile). La Vergine delle Rocce è un quadro molto difficile da interpretare. Mano della Vergine tridimensionale: controllo di tutto ciò che ha intorno. Campana destruttura l’immagine, la scompone. Allusione ad una “Regina adolescente”. Figura femminile particolare, che ha qualche cosa di sacro (potrebbe essere la Vergine o la Gioconda oppure il volto di una 27 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 difficile stabilirne la biblioteca. Il russo è violinista e pittore, due termini che hanno a che fare con Campana, che parla spesso di musica e arte, “curvo sull’orlo della stufa scriveva febbrilmente” -> scrive in maniera assidua, concitata. Strofa successiva: dopo aver descritto l’incontro con il Russo ci descrive il luogo dell’ospedale psichiatrico. Camerata dei pazzi. Guarda il cornicione, guarda fuori. Il russo era stato ucciso. Sacrificio sanguigno. In un ampio stanzone pulverulento turbinavano i rifiuti della società. Io dopo due mesi di cella ansioso di rivedere degli esseri umani ero rigettato come da onde ostili. Camminavano velocemente come pazzi, ciascuno assorto in ció che formava l’unico senso della sua vita: la sua colpa. Dei frati grigi dal volto sereno, troppo sereno, assisi: vigilavano. In un angolo una testa spasmodica, una barba rossastra, un viso emaciato disfatto, coi segni di una lotta terribile e vana. Era il russo, violinista e pittore. Curvo sull’orlo della stufa scriveva febbrilmente. ⁂ «Un uomo in una notte di dicembre, solo nella sua casa, sente il terrore della sua solitudine. Pensa che fuori degli uomini forse muoiono di freddo: ed esce per salvarli. Al mattino quando ritorna, solo, trova sulla sua porta una donna, morta assiderata. E si uccide». Parlava: quando, mentre mi fissava cogli occhi spaventati e vuoti, io cercando in fondo degli occhi grigio-opachi uno sguardo, uno sguardo mi parve di distinguere, che li riempiva: non di terrore: quasi infantile, inconscio, come di meraviglia. ⁂ Il Russo era condannato. Da diciannove mesi rinchiuso, affamato, spiato implacabilmente, doveva confessare, aveva confessato. E il supplizio del fango! Colla loro placida gioia i frati, col loro ghigno muto i delinquenti gli avevano detto quando con una parola, con un gesto, con un pianto irrefrenabile nella notte aveva volta a volta scoperto un po’ del suo segreto! Ora io lo vedevo chiudersi gli orecchi per non udire il rombo come di torrente sassoso del continuo strisciare dei passi. ⁂ Erano i primi giorni che la primavera si svegliava in Fiandra. Dalla camerata a volte (la camerata dei veri pazzi dove ora mi avevano messo), oltre i vetri spessi, oltre le sbarre di ferro, io guardavo il cornicione profilarsi al tramonto. Un pulviscolo d’oro riempiva il prato, e poi lontana la linea muta della città rotta di torri gotiche. E così ogni sera coricandomi nella mia prigionia salutavo la primavera. E una di quelle sere seppi: il Russo era stato ucciso. Il pulviscolo d’oro che avvolgeva la città parve ad un tratto sublimarsi in un sacrifizio sanguigno. Quando? I riflessi sanguigni del tramonto credei mi portassero il suo saluto. Chiusi le palpebre, restai lungamente senza pensiero: quella sera non chiesi altro. Vidi che intorno si era fatto scuro. Nella camerata non c’era che il tanfo e il respiro sordo dei pazzi addormentati dietro le loro chimere. Col capo affondato sul guanciale seguivo in aria delle farfalline che scherzavano attorno alla lampada elettrica nella luce scialba e gelida. Una dolcezza acuta, una dolcezza di martirio, del suo martirio mi si torceva pei nervi. Febbrile, curva sull’orlo della stufa la testa barbuta scriveva. La penna scorreva strideva spasmodica. Perchè era uscito per salvare altri uomini? Un suo ritratto di delinquente, un insensato, severo nei suoi abiti eleganti, la testa portata alta con dignità animale: un altro, un sorriso, l’immagine di un sorriso ritratta a memoria, la testa della fanciulla d’Este. Poi teste di contadini russi teste barbute tutte, teste, teste, ancora teste... · · · · · · · · · · · La penna scorreva strideva spasmodica: perchè era uscito per salvare altri uomini? Curvo, sull’orlo della stufa la testa, il russo scriveva, scriveva scriveva........ ⁂ Non essendovi in Belgio l’estradizione legale per i delinquenti politici avevano compito l’ufficio i Frati della Carità Cristiana. Il sacrificio sanguigno = morte del russo. Immagine del sangue è continuamente riportata nei Canti Orfici. Quando dicono che il russo è stato ucciso acquista un significato che ha qualcosa di sublime. Campana vuole dare nobiltà al sacrificio dell’uomo. Luogo specifico in cui si trova il manicomio (fiandre). Il Russo è un alter-ego di Campana che viene ucciso in un sacrificio. Come Campana il Russo scrive ed è un vagabondo. Non c’è differenza tra ospedale psichiatrico, prigione, manicomio. Smania di instabilità. Ritorno alla notte: Campana è stato a Bologna almeno tre volte stabilmente. Trasmutazione ad un personaggio della letteratura. Faust era giovane e bello, aveva i capelli ricciuti. Le bolognesi somigliavano allora a medaglie siracusane e il taglio dei loro occhi era tanto perfetto che amavano sembrare immobili a contrastare armoniosamente coi lunghi riccioli bruni. Era facile 472 incontrarle la sera per le vie cupe (la luna illuminava allora le strade) e Faust alzava gli occhi ai comignoli delle case che nella luce della luna sembravano punti interrogativi e restava pensieroso allo strisciare dei loro passi che 30 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 si attenuavano. Dalla vecchia taverna a volte che raccoglieva gli scolari gli piaceva udire tra i calmi conversari dell’inverno bolognese, frigido e nebuloso come il suo [p. 19 modifica]e lo schioccare dei ciocchi e i guizzi della fiamma sull’ocra delle volte i passi frettolosi sotto gli archi prossimi. Amava allora raccogliersi in un canto mentre la giovine ostessa, rosso il guarnello e le belle gote sotto la pettinatura fumosa passava e ripassava davanti a lui. Faust era giovane e bello. In un giorno come quello, dalla saletta tappezzata, tra i ritornelli degli organi automatici e una decorazione floreale, dalla saletta udivo la folla scorrere e i rumori cupi dell’inverno. Oh! ricordo! ero giovine, la mano non mai quieta poggiata a sostenere il viso indeciso, gentile di ansia e di stanchezza. Prestavo allora il mio enigma alle sartine levigate e flessuose, consacrate dalla mia ansia del supremo amore, dall’ansia della mia fanciullezza tormentosa assetata. Tutto era mistero per la mia fede, la mia vita era tutta «un’ansia del segreto delle stelle, tutta un chinarsi sull’abisso». Ero bello di tormento, inquieto pallido assetato errante dietro le larve del mistero. Poi fuggii. Mi persi per il tumulto delle città colossali, vidi le bianche cattedrali levarsi congerie enorme di fede e di sogno [p. 20 modifica]colle mille punte nel cielo, vidi le Alpi levarsi ancora come più grandi cattedrali, e piene delle grandi ombre verdi degli abeti, e piene della melodia dei torrenti di cui udivo il canto nascente dall’infinito del sogno. Lassù tra gli abeti fumosi nella nebbia, tra i mille e mille ticchettìi le mille voci del silenzio svelata una giovine luce tra i tronchi, per sentieri di chiarìe salivo: salivo alle Alpi, sullo sfondo bianco delicato mistero. Laghi, lassù tra gli scogli chiare gore vegliate dal sorriso del sogno, le chiare gore i laghi estatici dell’oblio che tu Leonardo fingevi. Il torrente mi raccontava oscuramente la storia. Io fisso tra le lance immobili degli abeti credendo a tratti vagare una nuova melodia selvaggia e pure triste forse fissavo le nubi che sembravano attardarsi curiose un istante su quel paesaggio profondo e spiarlo e svanire dietro le lance immobili degli abeti. E povero, ignudo, felice di essere povero ignudo, di riflettere un istante il paesaggio quale un ricordo incantevole ed orrido in fondo al mio cuore salivo: e giunsi giunsi là fino dove le nevi delle Alpi mi sbarravano il cammino. Una fanciulla nel torrente lavava, lavava e cantava nelle nevi delle bianche Alpi. Si volse, mi accolse, nella notte mi amò. E ancora sullo sfondo le Alpi il bianco delicato mistero, nel mio ricordo s’accese la purità della lampada stellare, brillò la luce della sera d’amore. Medaglie siracusane che Campana probabilmente ha visto in musei. Famosa figura del Faust -> messo al centro del grande poema di Goethe. Perché Campana nomina se stesso Faust? Gioco specifico con il testo originario. Nel poema di Goethe, Faust è un professore che si occupa di scienze naturali (tra cui la chimica, corso di laura di Campana). Faust viene raggiunto da Mefistofele che stringe con lui un patto, raggiungere una condizione di immortalità se Faust farà certe cose. Il Faust giovane e bello si diverte a guardare le studentesse e rimane affascinato dalla loro bellezza. Ero sotto l’ombra dei portici stillata di goccie e goccie di luce sanguigna ne la nebbia di una notte di dicembre. A un tratto una porta si era aperta in uno sfarzo di luce. In fondo avanti posava nello sfarzo di un’ottomana rossa il gomito reggendo la testa, poggiava il gomito reggendo la testa una matrona, gli occhi bruni vivaci, le mammelle enormi: accanto una fanciulla inginocchiata, ambrata e fine, i capelli recisi sulla fronte, con grazia giovanile, le gambe lisce e ignude dalla vestaglia smagliante: e sopra di lei, sulla matrona pensierosa negli occhi giovani una tenda, una tenda bianca di trina, una tenda che sembrava agitare delle immagini, delle immagini sopra di lei, delle immagini candide sopra di lei pensierosa negli occhi giovani. Sbattuto a la luce dall’ombra dei portici stillata di gocce e gocce di luce sanguigna io fissavo astretto attonito la grazia simbolica e avventurosa di quella scena. Già era tardi, fummo soli e tra noi nacque una intimità libera e la matrona dagli occhi giovani poggiata per sfondo la mobile tenda di trina parlò. La sua vita era un lungo peccato: la lussuria. La lussuria ma tutta piena ancora per lei di curiosità irraggiungibili. «La femmina lo picchiettava tanto di baci da destra: da destra perchè? Poi il piccione maschio restava sopra, immobile?, dieci minuti, perchè?» Le domande restavano ancora senza risposta, allora lei spinta dalla nostalgia ricordava ricordava a lungo il passato. Fin che la conversazione si era illanguidita, la voce era taciuta intorno, il mistero della voluttà aveva rivestito colei che lo rievocava. Sconvolto, le lagrime agli occhi io in faccia alla tenda di trina seguivo seguivo ancora delle fantasie bianche. La voce era taciuta intorno. La ruffiana era sparita. La voce era taciuta. Certo l’avevo sentita passare con uno sfioramento silenzioso struggente. Avanti alla tenda gualcita di trina la fanciulla posava ancora sulle ginocchia ambrate, piegate piegate con grazia di cinedo. Il frammento precedente è un incontro di tipo erotico che ha gli stessi elementi: porta che si apre (terza volta), spazio di luce. Prendere delle frasi e ripeterle creando una sorta di rima. Viene creata una specie di irregolarità della sintassi, frammentazione che scompone l’immagine (epoca futurista, cubista). Ben costruita l’apparizione della matrona, indicazione del gesto (poggiava il gomito reggendo la testa), poi dopo la descrizione della matrona si passa alla descrizione della fanciulla (non più ancella). Elemento molto strano su cui dibattono molti critici: sopra di lei c’è una tenda. La tenda di trina suscita delle fantasie bianche. La tenda ha una funzione: sembra agitare delle immagini, immagini che si susseguono con un ritmo veloce. Matrona vita, fanciulla giovinezza e la tenda? Immagine candide, luce bianca molto forte. Luce sanguigna. Livello visionario, fantasmatico, non c’è niente di reale. Campana ci vuole far capire che entrare in quella casa ha un significato in sé. Le immagini che scorrono su quella tenda bianca siano immagini che rimandino al suo passato. Campana nei suoi viaggi forse ha visto degli spettacoli che anticipavano la tecnica del cinema. Quello che lui vede ha a che fare con la sua esperienza di vita. Poeta e due donne, stessa tecnica del primo incontro. Intimità libera. Matrona che parla, fanciulla mai. Campana esplicitamente cita il canto V dell’Inferno [lussuriosi] (anime che sono colpite dalla bufera infernale, due anime attaccate di Paolo e Francesca). [Colombi = animali che sistematicamente vengono 31 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 legati alla lussuria (Il Fisiologo, animale identificato secondo una qualità morale, tutto a un valore simbolico nel Medioevo, scala di valori che culmina con la figura divina)]. Evinciamo dalla Commedia di Dante che i colombi siano simbolo di lussuria. La matrona parla di un atto d’amore compiuto dai due piccioni. Curiosità sulla lussuria della matrona che si pone delle domande. Campana sospende l’atto di possesso: la Matrona ricorda il passato, parla della lussuria perché conosce i segreti erotici, deve incitare o eccitare il poeta a possedere la ragazza, ma il poeta rimane sconvolto dalla rivelazione della Matrona. La rivelazione della Matrona lo commuove. Si scatena nel poeta un susseguirsi di immaginazioni che prende il posto dell’atto finale della scena. La Matrona se ne va. Si sospende qualche cosa, l’ultima immagine è la fanciulla che posa sulle gambe dell’autore. Scenario della tenda, centro della scena, oggetto ripetuto più volte che non è semplicemente lo sfondo, ma è l’oggetto principale, ha a che fare con il ritorno di immagini che lo collegano al passato. Cinedo = termine greco figura di un adolescente maschio ed effemminato. Indice costruito secondo la geografia dei viaggi di Campana: rievocazioni di Firenze, viaggio a La Verna, rievocazione dell’America del Sud, Firenze e Faenza, Bologna, Fiandre e manicomio, ancora Bologna e poi Genova. Punto terminale di tutto il percorso di Campana. A Genova Campana compone due poesie: nell’ultima utilizza una tecnica particolare, costruire una poesia smaterializzando la realtà attraverso suoni e colori. Indice che riassume varie tappe della sua vita. Genova luogo di fuga, si trasferisce dopo che viene cacciato da Bologna. Genova è un porto e una città in cui ha vissuto Nietzsche (che in alcune sue opere parla di Genova). Genova non è semplicemente il luogo della fuga o della partenza. Genova è il luogo dove avviene l’ultimo atto di ascesa spirituale di Campana, non è un atto salvifico. Non saggezza o canti che portano al mistero orfico o portano ad una condizione di salvezza dalla vita. Molto efficace dal punto di vista simbolico ma anche molto strano da capire fino alla fine. Tutte le navi vengono tenute nel porto come prigioniere, non si possono liberare, le navi legate soffrono a causa di questa condizione. Battelli che nella notte stanno legati. Sono oggetti inanimati ma soffrono della loro condizione, vorrebbero liberarsi. Riferimento a “Bateau ivre” di Rimbaud -> non si riesce più ad essere poeti come nei secoli precedenti, intoppo nella poesia. Anticipa il destino di molti scrittori del Novecento, la poesia non soddisfa più. I grandi poeti italiani parlano tutti della possibilità della poesia. Sconfitta dell’esistenza e dell’idea di libertà. Qualcuno parlerà di Campana come un Rimbaud italiano, qualcosa c’è ma hanno stili diversi. Campana compie il suo viaggio, non immaginandosi di essere un battello come Rimbaud (che parla), ma vedendo i battelli che si trovano a Genova qualcosa in cui si riconosceva. GENOVA Poi che la nube si fermò nei cieli Lontano sulla tacita infinita Marina chiusa nei lontani veli, E ritornava l’anima partita Che tutto a lei d’intorno era già arcana- mente illustrato del giardino il verde Sogno nell’apparenza sovrumana De le corrusche sue statue superbe: E udii canto udii voce di poeti Ne le fonti e le sfingi sui frontoni Benigne un primo oblio parvero ai proni Umani ancor largire: dai segreti Dedali uscii: sorgeva un torreggiare Bianco nell’aria: innumeri dal mare Parvero i bianchi sogni dei mattini Lontano dileguando incatenare Come un ignoto turbine di suono. Tra le vele di spuma udivo il suono. Pieno era il sole di Maggio ⁂ Sotto la torre orientale, ne le terrazze verdi ne la lavagna cinerea Dilaga la piazza al mare che addensa le navi inesausto Ride l’arcato palazzo rosso dal portico grande: Come le cateratte del Niagara Canta, ride, svaria ferrea la sinfonia feconda urgente al mare: Genova canta il tuo canto! ⁂ Entro una grotta di porcellana Sorbendo caffè Guardavo dall’invetriata la folla salire veloce Tra le venditrici uguali a statue, porgenti Frutti di mare con rauche grida cadenti Su la bilancia immota: Così ti ricordo ancora e ti rivedo imperiale Su per l’erta tumultuante Verso la porta disserrata Contro l’azzurro serale, Fantastica di trofei Mitici tra torri nude al sereno, A te aggrappata d’intorno La febbre de la vita Pristina: e per i vichi lubrici di fanali il canto Instornellato de le prostitute E dal fondo il vento del mar senza posa, ⁂ Per i vichi marini nell’ambigua Sera cacciava il vento tra i fanali Preludi dal groviglio delle navi: I palazzi marini avevan bianchi Arabeschi nell’ombra illanguidita Ed andavamo io e la sera ambigua: Ed io gli occhi alzavo su ai mille 32 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Abbiamo trovato delle rose Erano le sue rose erano le mie rose Questo viaggio chiamavamo amore Con il nostro sangue e con le nostre lacrime facevamo le rose Che brillavano un momento con il sole del mattino Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi  Le rose che non erano le nostre rose Le mie rose le sue rose P.S. E così dimenticammo le rose. Rose -> unità non raggiunta. Le rose non sono mai l’unione, ma rimangono sempre separate. In un momento sono sfiorite, è durato pochissimo. Nel 1916 Dino Campana è un uomo molto provato dalla malattia (nel ‘18 viene internato). Trova in Sibilla una donna che gli permette di creare un insieme. Anche lei cerca un modo di creare un’unità con un uomo. SIBILLA ALERAMO, Lettera a Dino Campana, 6 Agosto 1916. Perché non ho baciato le tue ginocchia? Avrei voluto fermare quell'automobile giù per la costa, tornare al Barco a piedi, nella notte, che c'è il tuo petto per questa bambina stanca. Tornare. Come una bambina, questa del ritratto a dieci anni. Non quella che t'ha portato tanto peso di storie di memorie affannose, che t'ha parlato come se stesse ancora continuando il suo povero viaggio disperato, come se non ti vedesse, quasi, e non vedesse lo spazio intorno, le querce, l'acqua, il regno mitico del vento e dell'anima... Tu che tacevi o soltanto dicevi la tua gioia. Sentivi che la visione di grandezza e di forza si sarebbe creata in me non appena io fossi partita? Nella tua luce d'oro. E non ho baciato le tue ginocchia. I nostri corpi su le zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il cielo. Non ho saputo che abbracciarti. Tu che m'avevi portata così lontano. Che il giorno innanzi ascoltavi soltanto l'acqua correr fra i sassi. Oh, tu non hai bisogno di me! È vero che vuoi ch'io ritorni? Come una bambina di dieci anni. È vero che mi aspetti? Rivedere la luce d'oro che ti ride sul volto. Tacere insieme, tanto, stesi al sole d'autunno. Ho paura di morire prima. Dino, Dino! Ti amo. Ho visto i miei occhi stamane, c'è tutto il cupo bagliore del miracolo. Non so, ho paura. È vero che m'hai detto amore? Non hai bisogno di me. Eppure la gioia è così forte. Son tua. Sono felice. Tremo per te, ma di me son sicura. E poi non è vero, son sicura anche di te, vivremo, siamo belli. Dimmi. Io non posso più dormire, ma tu hai la mia sciarpa azzurra, ti aiuta a portare i tuoi sogni? Scrivimi! Sibilla scrive una lettera elaborata, piena di immagini (prese dai Canti Orfici). Sibilla probabilmente si è innamorata di Campana attraverso i Canti Orfici. “Non hai bisogno di me” = Dino è un uomo solitario, forse la malattia in questo momento è già progredita Perché le prostitute descritte da Campana hanno sempre qualcosa di mitologico? Portatrici di un passato arcaico, di un’atmosfera che non è quella che vede ma di una memoria lontanissima di cui esse sono le rappresentanti. Sovrapposizione dei piani del discorso: la Siciliana è dietro una finestra o appoggiata ad una finestra. L’immagine del seno viene utilizzata da Campana per sottolineare che in un certo senso i capezzoli della donna emergono dall’ombra con qualche cosa di luminoso. Trasfigurazione improvvisa: prima ombra e poi la Siciliana è la piovra delle notti mediterranee. Altra ipotesi: gioco di luce e ombra, si intravede appena la rotondità del seno. C’è un’ambiguità che Campana crea mettendo i piani espressivi uno dentro l’altro. Campana mette in rilievo la parola ‘capezzoli’ con la posizione tra la luce e l’ombra, che rende impossibile la parafrasi letterale della frase. Dentro la cava, la grotta, la Siciliana diventa una piovra nascosta, tentacoli (cefalopodi). Grotta= stanza della Siciliana, ombra cava, ed esce quando c’è un animale da catturare. Non è una vera piovra, ma è un’incarnazione della notte mediterranea. Mediterranea= simbolo che indica tutto lo spazio di un mare e l’idea dei battelli che il giorno dopo partiranno. Piovra con la maiuscola = identità specifica, forma di personificazione. Nel porto di Genova c’è una gru che aveva un braccio meccanico (“Cigolava cigolava cigolava”). Il debole cuore batteva un più alto palpito: tu -> verso alessandrino. Tu=pronome personale è quello che fa sforare la lunghezza del verso. Non c’è più nessuna luce alla finestra. La finestra viene chiusa e lei non c’è più. La notte ora diventa la cava ed è occhiuta perché ci sono le stelle. Mistico = termine greco che significa non parla, tenere le labbra chiuse, condizione che non ci consente di parlare, labbra chiuse. Il termine mistico rimanda ad una condizione esistenziale di unione con le divinità che non ci permette di poter esprimere la nostra condizione. Un mistico è quello che ha un contatto con una divinità ma non ha parole per esprimersi. La notte è una specie di cavità che lo sormonta e dentro la quale avviene una sovrastazione. Campana non riporta il verso di Withmann in maniera precisa. Trad.: erano tutti stracciati e coperti del sangue del ragazzo. Il braccio di ferro afferra il debole cuore del poeta che nel momento in cui viene stretto batte un più alto palpito, palpito finale = morte del poeta, oppure l’atto che lo fa improvvisamente morire e passare ad una condizione mistica, ad una condizione superiore di saggezza. Il prof. crede che il corpo della Siciliana sia diventata la notte. Campana vuole alludere ad un sacrificio. C’è chi sostiene che Campana sia attirato dai versi di Withmann perché ha quasi trent’anni e si proietta nei giovani di Withmann (cacciatori americani). Morte fisica o spirituale dopo la quale il poeta è pronto a ricominciare una nuova epoca. 35 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 16/10 ALBERTO SAVINIO Otto Weininger – rapporto che Campana potrebbe aver avuto (non siamo sicurissimi). Tutto il libro di Weininger (Sesso e carattere) contiene una teoria abbastanza folle: ossessione del rapporto tra sessualità e personalità di ogni individuo. Idea di fondo del libro: non esiste la pura maschilità e femminilità, ma ogni individuo è il frutto di una mescolanza tra elementi maschili e femminili. Si uccide dopo aver scritto questo libro a poco più di vent’anni. La componente femminile all’interno degli uomini e in generale le donne sono causa di deviazioni culturali che caratterizzano tutta la storia dell’umanità, considera le donne portatrici di cose negative. Ampliamente censurato. Quando parla delle donne è molto ambiguo. Discorsi che possono aver colpito Campana. Gli impulsi naturali della donna sono avere figli (le prostitute hanno una dose di genialità simile a quella che potrebbe avere un genio maschile). Campana se avesse letto queste considerazioni potrebbe essere stato influenzato dall’importanza delle figure delle prostitute. Anche lui che avrebbe voluto mostrarsi uomo geniale avrebbe cercato donne di un certo tipo. C’è solo una poesia dei Canti Orfici dove compare la figura materna. Weininger sostiene che i grandi geni sono gli uomini che non dimenticano mai nulla nella propria vita (Campana riscrive i Canti Orfici a memoria, dopo che Papini e Soffici avevano perso il suo manoscritto). Il problema dei Futuristi è che vogliono modificare tutto il mondo. Decidono che ci si deve vestire in un altro modo rispetto al passato (abiti geometrici, che riprendano l’idea di una vita tutta basata su astrazione). Tutto ciò che è ambito artistico, compresa anche l’architettura, va sottoposto a revisione. Il Futurismo non è un fatto esclusivamente letterario. In tanti altri ambiti del Futurismo c’è più influenza. Surrealismo: rappresentazione artistica fondata sulla rappresentazione del mondo onirico, del sogno. Ci sono due fratelli che vengono dalla Grecia, nati ad Atene negli ultimi anni dell’Ottocento, che si chiamano: pittore e scrittore Giorgio De Chirico ed uno più letterato Alberto Savinio pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico. Nel 1917 vengono a Ferrara dove incontrano Filippo De Pisis ed insieme formano la corrente artistica e letteraria denominata Metafisica. Non ha più a che fare con la violenza, l’aggressività del Futurismo. Vogliono portare i miti dentro la pittura e la letteratura moderna. I due fratelli fanno entrambi sia pittura che scrittura, però nel tempo Giorgio diventa famoso come pittore, l’altro diventa un letterato importante. Figure che non hanno caratteristiche umane. Giorgio de Chirico vuole rendere un’idea filosofica molto profonda che conosce e sfrutta più volte (idea che deriva dalla filosofia di Nietzsche): l’uomo non si sente più uomo, ma si sta trasformando in un essere diverso (avvento di una nuova umanità). Castello di Ferrara in rosso, statue del patrimonio greco, dipinte in maniera elementare e grossolana, sembrano manichini. Sia Giorgio che Alberto pensano che l’arte debba recuperare il mondo dell’infanzia, i miti sono i racconti con cui l’umanità spiegava il mondo. Libro fondamentale che viene studiato: Scienza nuova di Vico, idea di un nuovo pensiero. Primo filosofo e grandissimo scrittore. Ha un’idea fondamentale: l’umanità è nata quando c’erano degli esseri enormi, mostruosi, incapaci di pensare, con una sola qualità: l’immaginazione. Vivevano in base agli stimoli che venivano dal mondo (es. tuoni=c’è un dio superiore che ci sta parlando attraverso i lampi > Zeus dio). I bestioni primitivi vivevano nelle foreste, nelle selve, mangiavano animali, poi lentamente alcuni di loro (per Vico, ad esempio, Ercole) insegnarono la civiltà agli altri. Le statue di Giorgio De Chirico sono sempre forme umane non evolute. Momenti particolari in cui il tempo sembra sospeso per sempre (metafisica). Giorgio Morandi arriverà a fare qualcosa di conturbante con la metafisica, oggetti fermi nel tempo. L’arte Metafisica è diversa dal Futurismo perché usa figure geometriche essenziali, dipinge mondi arcaici, atmosfera primitiva/infantile. Savinio cerca di fare la stessa cosa in letteratura. Il signor Münster è il tentativo di descrivere un fenomeno incomprensibile: uomo che lentamente ora dopo ora perde la concezione di uomo, gli capita un’avventura particolare. Momento particolare della vita di un uomo: non dorme con la moglie perché la figlia soffre di incubi. Rapporto difficile con la moglie. Sogna di cadere, vede una porta alla quale cerca di aggrapparsi, ma in realtà questa porta apre sul vuoto. Sogno che spaventa, che mette a disagio, crea paura. A questi scrittori interessano molto i sogni e gli incubi. Calvino è molto interessato a questi scrittori. Usare il fantastico per parlare di qualcosa di irrazionale. Due pagine dalla più grande raccolta di saggi (online): Una pietra sopra. Copertina: disegno di un famoso artista newyorkese di nome Saul Steinberg. Calvino è il cavaliere che sta inseguendo un coccodrillo (drago) 36 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 (=mondo complesso che Calvino vorrebbe rappresentare nei suoi libri), il sasso che lo schiaccia (l’autore cerca di rappresentare il mondo, ma c’è qualche cosa che lo sovrasta e lo schiaccia). Pietra: società. Nel ’67 Calvino parla della cibernetica e di come le macchine stanno sostituendo l’uomo. Gli scrittori sono delle macchine. Una macchina segue un cammino molto più veloce, ma sistematico. Lo scrittore per trovare aggettivo, parole, sintassi giusta deve metterci giorni e giorni di lavoro, una macchina una volta inseriti i dati correttamente produce pagine già pronte. Che fine fanno gli esseri umani? Una volta nelle civiltà primitive gli uomini usavano dei racconti, dei miti. Si formano le tribù, si mettono insieme per difendersi. Ci doveva essere un narratore primitivo all’interno della tribù, che ha il compito di raccogliere i versi, le parole e forse cominciare a disegnarle. Raccoglie le informazioni fondamentali: nascere, morire, dormire, mangiare, accoppiarsi, etc… Racconti su ciò che si può fare e ciò che non si può fare. Nel momento in cui il linguaggio si stabilizza nascono i racconti orali: le favole, strutture di base del raccontare. Nascono i miti, gli uomini primitivi sentono che c’è qualcosa di turbante, esseri più potenti di loro che sono divinità, che mettono loro paura e a cui bisogna ubbidire. I miti sono quei racconti con i quali gli uomini esplorano ciò che non si vede, la parte nascosta di ogni storia. Si allude a creature misteriose che sovraintendono alla loro vita, si può alludere ai misteri ed ai racconti non detti. La letteratura è quell’arte che ci fa sentire che c’è qualche cosa di nascosta. La letteratura ha a che fare con i miti ed anche con l’inconscio, ciò che abbiamo rimosso dal linguaggio, che non possiamo spiegare attraverso il linguaggio. Mito di Edipo (Freud) proibizione: un figlio non può uccidere suo padre. Il mito di Edipo illustra quello che succede in un mondo dove improvvisamente si trasferiscono le regole degli dèi. Le tragedie ci educano attraverso la paura a non compiere certe azioni, suscitano in noi pietà e ci spaventano (Aristotele). Freud pensa che il mito di Edipo possa essere reinterpretato per spiegare le nevrosi dei suoi pazienti, in realtà i bambini subiscono dei traumi in famiglia, ogni bambino maschio viene odiato dal padre (trascurato dalla madre), il bambino sente l’inimicizia, il bambino vuole stare attaccato alla madre perché gli dà sicurezza. Questo mito ci può aiutare a comprendere ciò che succede nel mondo moderno. L’inconscio è ciò che rimane sotto le strutture linguistiche che usiamo. Calvino dice cosa dovrebbe fare uno scrittore, far sentire la presenza dei miti e dell’inconscio in ciò che scrive. Kafka. Savinio sia come pittore che come scrittore, cerca di fare questa cosa. Parola chiave dell’arte di Savinio è costruzione di giochi. Penelope = Savinio gioca con scambi immaginativi, teste di strani animali. Ossessione del ritorno di Ulisse. Due donne: una con una testa di un pellicano e l’altra con la testa di uno struzzo, vestite per andare ad un matrimonio. Miti che emergono, miti che derivano da un passato animalesco con cui lui si diverte. Immagini buffe perché non riusciamo bene a capire. Divertimento con cui Savinio smonta la nostra idea di umanità. La storia è apparentemente banale: Münster e la moglie Erda hanno un rapporto ormai finito. Per quale ragione l’uomo prende moglie? Domanda che Savinio si diverte a porre. Il signor Munster è un uomo che non sa decidere, si fa condurre dal destino. È un uomo senza qualità, si fa condurre dal flusso della vita. Savinio si diverte a far trasformare improvvisamente la vita di questo uomo, impazzisce. I sogni prendono il sopravento sulla realtà: Münster la mattina apre gli occhi e si diverte a fare un gioco che consiste nel confondere le forme dei due divani con le persone decedute della famiglia paterna, ogni oggetto viene accostato a qualcosa di famigliare. Il signor Münster è rimasto un bambino, uomo che sta allucinando la realtà. Un bambino gode a ripetere sempre lo stesso gioco. Con la fantasia si può giocare, ogni particolare della stanza gli consente un gioco. Cosa può succedere agli uomini se si liberano delle convenzioni, se ognuno di noi vivesse di fantasia? Mentre a Calvino interessa il modo con cui la ragione riesce a dominare e a ritradurre l’immaginazione in termini razionali, a Savinio interessa come la fantasia entra nel discorso. Il signor Münster non vuole seguire la logica, stando steso inizia a pensare a cosa produce i rumori fuori dalla finestra, come quando era bambino (bambino prolungato Savinio). Musica, pittura, poesia e qualcosa che ha a che fare con la filosofia (fasi della vita di Savinio). Lentamente si sveglia, ma tornano memorie continue. Ripensa a Losanna e a donne che sono parte delle sue memorie prima del matrimonio. Gli vengono in mente esseri anormali che vedeva anche in altri luoghi. A Savinio non interessa ciò che è strano in sé, ma ciò che è strano nella dimensione quotidiana, qualsiasi cosa che in noi può provocare una fantasia. Il signor Münster si rende conto di una cosa terribile, il suo corpo andrà a pezzi e marcirà. Nucleo dell’avventura: disfacimento del suo corpo. Uomo che si disfa lentamente. 37 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Anomalo. Un uomo che viene dal nord e va al sud dipinge dei quadri grazie ai quali fa un’operazione incredibile: riesce a lasciarci le uniche testimonianze di quei mondi remoti del sud. Idea che l’Italia è fatta di luoghi diversi. L’operazione che fa Carlo Levi quando va al sud, che è completamente diversa dall’operazione che fa Savinio, Levi attraverso la pittura (la letteratura gli verrà in mente dopo), pensano tutti e due che l’arte abbia qualche cosa di magico in sé, operazioni che non rimane chiusa nei libri, ma sono cose che hanno un’azione profonda nella vita.))) Mentre il signor Münster gira per casa, gli viene in mente che ha letto uno studio di Ettore Romagnoli (uno dei più grandi grecisti della prima parte del ‘900) riguardo Medusa. Perseo riesce ad uccidere Medusa utilizzando il suo scudo. Tema del riflesso nello stratagemma utilizzato dall’eroe. Il signor Münster pensa di essere un po’ come Medusa, che si riflette su di sé. Se lui si vedesse in uno specchio morirebbe, lui sta già morendo. Savinio prende questo mito e ci gioca. Ci crede perché per lui sono importanti ma allo stesso tempo gli smonta un po’ alla volta. Romagnoli ha insegnato un particolare (si trova nel poeta Pindaro): Medusa torna una donna bellissima una volta ogni mille anni, che canta un canto infinitamente triste e dolce. A udire quel canto i mostri si placano nelle foreste. La figura di Medusa diventa da spaventosa a consolatrice. Qualcuno suona un campanello che rimanda alla cucina, allora cerca di attraversare il corridoio molto lungo, dietro il vetro della porta c’è il portiere per portare qualche notizia. Il portiere si chiama Alessandro e porta un telegramma. Pensa al grande eroe Alessandro Magno. Strane analogie che Münster fa: piedi di gesso, la faccia del portiere assomiglia tanto alla faccia di quei piedi di gesso esposti dai callisti. Continuo mescolarsi di immagini, vedere la realtà a seconda di molteplici aspetti: il signor Münster vede dove gli uomini non vedono, riesce proprio perché ormai la sua vita è finita a vedere là dove gli altri non vedono. Giornata in cui il signor Münster si è nascosto da tutti. Il signor Münster pensa che sia il momento di andarsene di casa (notte), vuole che la sua morte definitiva avvenga in mezzo alla natura. Non ci sono più legami con quella casa lì. Si rende conto che deve coprirsi, si sta smontando. Idea bizzarra con cui Savinio chiude il racconto: va nell’armadio di sua moglie ed indossa un vestito di Erda. Il tragico di Kafka si trasforma nel comico e nel disgusto di Savinio. Grande mantello da sera di seta nera: anche lui uscirà dal teatro dell’esistenza, della vita, uscirà di scena con quel mantello. Trova un grande cappello di paglia per coprirsi la testa. Prima di uscire decide di passare in tutte le stanze della casa e accendere tutte le luci, per lasciare un segnale di addio. Mentre passa per via del Babuino, vede una donna con una pettinatura tutta rovinata, sfatta (scapigliona), con un abito da ballo, profonde occhiaie e macchie (come se l’avessero picchiata). Il signor Münster è attirato da questa donna, la guarda e la riconosce: si chiama Aurora, è una ninfa in realtà. Divinità che compare ogni notte in cielo e che ha le dita dipinte di rosa. L’alba = cielo albus, successivamente compare l’aurora. 12 sorelle nella mitologia, che accompagnano il carro di Apollo e che corrispondono alle 12 ore del giorno. Perché Aurora è in giro di notte a Roma? Cammina di fretta, Aurora deve andare verso l’orizzonte e salire in cielo, Münster pensa sia in ritardo. Aurora è stata tutta la notte in casa di un uomo. Nel mito si dice che Aurora passava la notte con il suo amante (Dante: concubina di Titone antico -> Aurora amante di un vecchio dio di nome Titone). Il signor Munster va a vedere con curiosità il campanello del portone da cui è uscita la donna e legge “Ingegner Titone”. Sorride ed ha capito, si diverte. Gli viene anche rabbia. Catene = puttana nel gergo francese. L’idea che le aurore continueranno anche dopo di lui gli fa rabbia, è un’idea insopportabile. Vuole rincorrere l’aurora e fermarla, fermare il tempo. Si rende conto che l’aurora è già lontana. Gioco grottesco e comico: corpo che si disfa, vuole fermare il tempo uccidendo l’aurora. Il corpo del signor Munster ormai è dissolto. Momento in cui in realtà dovrebbe apparire l’anima, ma in realtà l’anima chissà se c’è. Se il signor Munster ci potesse parlare, ci rivelerebbe la realtà, ma non può più parlare adesso. Comincia a spuntare la testa di Aurora, truccata. La morte del signor Munster non serve a niente, la vita continua come prima. Questo suo percorso di conoscenza del mondo attraverso un’altra dimensione (soprattutto attraverso le immagini) non è servito a niente. Tutti i miti del mondo non sono riusciti a metterlo nella condizione di raggiungere la sapienza che avrebbe voluto ottenere. Nel disfacimento del corpo del signor Munster ha rappresentato il punto in cui l’arte e la letteratura sono arrivate al fallimento, non riescono più a tenere unito il mondo. Mondo della risata, del gioco, non c’è un’alternativa. Un’artista può divertirsi e spiegare al suo pubblico che le cose sono irreversibilmente cambiate. Non abbiamo più sicurezze. 40 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 18/10 Narciso e Medusa usati in un racconto grottesco. Uomo che si rende conto di avvicinarsi alla morte, corpo che si smonta. Ipotesi: Savinio non ha più nessun tipo di interesse nella rappresentazione di personaggi che avevano determinate caratteristiche. Forme che alludono a qualcosa di non coerente (es. animali) oppure forme anormali. Tragedia dell’infanzia -> trasfigurazione dell’infanzia in una rappresentazione grottesca, priva di logica. Sfiducia nelle tecniche della letteratura. Diventa un esercizio raffinato di citazioni ed elementi del passato e modificazione del senso di questi elementi. Il signor Münster è un personaggio che gli serve per esprimere una serie di emozioni, sensazioni per esprimere il suo mondo mentale, psicologico. Il signor Munster insegue Aurora, cercando di fermare il ciclo del tempo. Racconto che si mette in una posizione nuova rispetto alla tradizione letteraria corrente, nessuno degli scrittori (Campana e Palazzeschi) possiamo catalogarli. Creano un’idea di arte e letteratura tutta nuova, metafisica perché non si accontenta di esprimere niente della realtà. CARLO LEVI Cristo si è fermato ad Eboli (ora considerato un romanzo) all’inizio fu considerato un saggio, che dava un’immagine dell’Italia del sud, in anticipo rispetto ad indagine fatte da studiosi di vario tipo in quei luoghi. Levi durante il Fascismo viene mandato al confino, rimane parecchio tempo in un luogo che nessuno conosce e fa fatica a comunicare con la famiglia, in particolare la sorella che si trova a Torino. Carlo Levi ci ha lasciato la testimonianza più forte dell’esistenza di altri mondi in quegli anni. Storia= flusso di azioni che fanno in una direzione specifica, dentro a quella storia ci sono uomini che vivono fuori dalla storia. Nessuno poteva pensare che all’epoca esistesse un mondo fatto di azioni irrazionali come quel mondo che Levi ha vissuto in prima persona. Levi ci lascia una testimonianza diretta. Levi ha compiuto degli studi, è un medico, deve adattarsi a vivere in luoghi primitivi. Levi arriverà a dire una cosa impressionante, soprattutto se pensiamo che Levi arrivato in quel paese è un medico che stava facendo una carriera abbastanza importante (Torino e Francia) come artista, ragiona in termini artistici. Quando arriva nei paesi vicino a Matera tenta di dipingere. Pittore che attraverso la pittura arriva alla scrittura. I 40 quadri che dipinge in quei luoghi sono come gli appunti che prende per il libro che scrive anni dopo. Paesaggio dei luoghi in cui Levi vive, paesaggio determinato dall’argilla. Masse di colore, non sono contorni definiti. Levi sapeva bene quali sono i pittori che gli interessavano. Gli studiosi di Levi lo chiamano movimento ondulatorio. La capra è l’animale che in qualche modo rappresenta una serie di elementi complessi di quel mondo. Levi racconterà nel suo romanzo come si cucina la capra. La capra è l’animale che domina in queste tribù primitive che vivono secondo le regole, che non sono le nostre, ma le regole di un altro mondo. Quando Levi arriva a Gagliano (come lo chiama lui), il territorio è denominato Lucania [terra dei lupi]. Prima portato a Grassano, poi trasferito a Gagliano. Eboli è il confine tra un mondo civile e questo mondo. L’avvenuta di Cristo sulla Terra ha cambiato la storia. Usa Cristo perché indica molto bene l’idea di due epoche che si alternano. Implica due tipi di pittura: pittura che Cristo ha prodotto ed ha cambiato, idealmente anno della nascita di Cristo = anno 0, se Cristo non è arrivato in questi luoghi la storia non è ancora iniziata. Gagliano è l’ultimo paese immaginabile, si trova sopra una specie di altura in mezzo a valli scoscese, c’è un po’ di verde, ma la cosa che lo colpisce di più è il colore delle montagne e delle case che sembrano tutte uguali. Paese sospeso tra due burroni (descrizione della città di Dite in Dante). Germoglio che vive nell’impossibilità secolare. In questo mondo Levi scopre una parte della sua interiorità. Ogni individuo ha una parte di sé nascosta, mondo dove esistono possibilità infinite. La Lucania è in ciascuno di noi. Questo mondo primitivo è in ciascuno di noi. Parte nascosta che è una forza vitale che può diventare forma, che può prendere un aspetto. Levi ha colto molto bene, forse più delle fotografie i dettagli di quei paesaggi. Carl Jung -> dentro di sé ognuno di noi ha l’ombra, un mondo incomprensibile e segreto, che ci mette in comunicazione con tutti gli altri esseri, esiste un inconscio fatto di tutte le memorie dell’umanità. La nostra evoluzione non ha tolto da noi caratteristiche della nostra specie. Codice segreto, genetico, dove qualcosa è rimasto iscritto. 41 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Ci sono personaggi importanti del paese che lo accolgono con rispetto perché sanno che è un uomo di cultura. Levi si informa per cercare un luogo in cui vivere, queste persone gli indicano una donna che potrebbe ospitarlo. Prete, sindaco, i due medici e poche altre figure sono le più importanti del paese. Il segretario è uno delle prime persone del paese che lo accoglie, cognata vedova che ha una camera che affitta e che gli avrebbe anche dato da mangiare. Levi racconta in prima persona. C’è un cane che accompagna sempre Levi, chiamato Barone. Quando entra nella casa della vedova vede: “migliaia di mosche…” Donna vestita a lutto che ha un abito particolare, marito morto tre anni prima. A Levi viene detta una cosa inconcepibile, la donna ha perso il marito perché attratto da una strega con dei filtri magici. Levi capisce bene che qualcosa non va, improvvisamente si sente battere alla porta, arrivano contadini vestiti di nero in cerca di un dottore. Lo prendono e lo portano a casa di uno (lui è appena arrivato in quel paese). Stanza piena di gente, che sta attorno al malato e lo piange. Lo avevano portato da medici somari, incapaci. Levi si rende conto che l’uomo sta morendo di malaria. Il primo contatto con il paese è un contatto con la morte, non ci sono medicinali, non c’è niente per salvare le persone del paese. Durante il fascismo c’è il podestà. Il podestà va da Levi, descritto con una specie di caricatura, fa l’insegnante e deve sorvegliare ciò che Levi fa. In quel paese ci sono degli altri confinanti come lui, sono operai, sono poveri (“gentaglia”), ma non può aver nessun contatto con loro. Ciò che caratterizza Levi: è un dottore, un pittore e un uomo di cultura. Più avanti Levi dirà che le donne in quel paese sono moltissime, giovani (le quali non possono uscire di casa) e vecchie, sono animali selvatici che non pensano ad altro che all’amore fisico e ne parlano di una libertà che stupisce. Occhi chinati obliquamente a pesare la tua virilità. Se ti volti celano il viso tra le mani e ti guardano attraverso le dita. Tutte le donne lo guardano. Quando rimane solo, sente tutto questo attorno a sé. Desiderio è una parola chiave, non solo erotico, ma un incanto magico che gira nel paese. Il dottore gli spiega che tutto ciò che le donne gli possono dare da bere e da mangiare è sangue (mestruale). Gente ignorante. Levi, uomo portatore di una cultura, non può credere a questa faccenda, beve e mangia quello che gli offrono, unica chiave giusta per penetrare in quel mondo che altrimenti sarebbe chiuso per lui. Il racconto di Levi ci fa capire come un uomo acculturato riesce ad entrare in un altro mondo, metamorfosi dell’uomo che lo racconta. Quando Levi scrive tutto è già finito, il cambiamento è già avvenuto, Levi è già cambiato stando in quel paese. È finito in un mondo strano e pericoloso dove gli può succedere di tutto. Gli uomini potrebbero ucciderlo per gelosia. Le donne potrebbero attirarlo attraverso filtri magici. Due scene: - Uomo-capra: Levi sta camminando da solo, il paese ha una lunga strada interrotta dalla piazza che arriva al burrone che circonda il paese. In mezzo alla piccola piazza c’è una casa molto piccola, diversa da tutte le case. Edificio più monumentale di tutte le case che ci sono attorno, quando si avvicina vede che sulla parete del pisciatoio c’è scritto: “ditta Renzi Torino”, la ditta che ha costruito quell’edificio è di Torino. Il podestà aveva utilizzato una quantità di soldi, molti anni di tasse accumulate per far costruire quell’oggetto. Levi incuriosito si affaccia all’entrata dell’edificio: vede da un lato un maiale che sta bevendo dell’acqua e da un lato due ragazzi che giocano. C’era solo una persona che lo usava per la funzione che era stato costruito: lui. Tutti gli altri lo usavano a seconda dei bisogni, ma non per la sua funzione reale. Ad un angolo della piazzetta c’è un uomo molto strano tutto vestito di nero, che sta compiendo un’azione incomprendibile: di fronte a lui ha una capra morta e sta soffiando nel corpo di questa capra. La capra l’aveva ammazzata poco prima e sdraiata. Uomo zoppo che aveva fatto un’incisione vicino al piede, gonfiava la capra staccandogli la pelle dalla carne. Viene gonfiata dall’uomo. Sembrava di assistere ad una strana metamorfosi: l’uomo sembra versarsi poco a poco nella bestia. L’uomo che entra nella comunicazione mostruosa con la capra. La pelle intera viene sgusciata. Il nipote lo aiuta a squartare la bestia. “I contadini ammazzano tutte le capre, la tassa chi può pagarla?” Levi descrive l’evento quasi come fosse una cosa naturale, il ricordo lo ha depurato dagli elementi disgustosi. Perché Levi si ferma su questo particolare della capra? L’uomo dice che sono costretti a mangiare le capre perché sottoposte a tasse troppo alte. La tassa costringe ad uccidere l’unica ricchezza dei contadini (la capra serve anche per produrre il latte). - Lui in casa della vedova, estate caldissima, vento caldissimo che rinforza l’afa del momento, Levi non può fare molto. Levi sta per chiedere il permesso di dipingere. In casa ci sono solo le mosche. Si 42 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 vecchio, che possiede caratteristiche specifiche. Questo vecchio ha qualche cosa che non lo fa appartenere al genere maschile: non ha né barba né baffi, non ha nessun tipo di pelo, parlava una lingua che non è il dialetto del luogo (nato in un altro paese di nome Pisticci ma aveva girato diversi paesi), ciò che dice non viene capito da Levi (non aveva denti), ma lentamente si abitua a conversare con questo vecchio. Levi ci parla di un essere vivente che usa una lingua con cui non riesce a comunicare. Forse questo vecchio appartiene ad un mondo mitico, è una creatura anfibia: non è maschile né femminile, usa una lingua che non si capisce, non si può decidere se ascolti veramente ciò che gli viene detto. Un essere indefinibile, essere reale che appartiene ad un altro mondo, non ha le caratteristiche degli esseri reali. Questo sarebbe un ottimo oggetto di pittura. (Ritratto di Alberto Moravia, caratteristica esplicita: pennellata ondulante e mossa, tipica dei quadri di Levi. Negli anni ’30 Levi fa ritratti di altri personaggi che appartengono alla cultura del ‘900). La cosa strana è che Levi non dipinge mai gli uomini. Tre oggetti preferiti: animali, bambini e le donne, poi ci sono anche i paesaggi. È un essere che non ha caratteristiche umane, è indefinibile. È vestito con una vecchia camicia sporca e sulla testa ha un berretto con caratteristiche particolari: rosso e che fa capire a Levi che l’uomo ha un ruolo pubblico, è il becchino del paese, ma anche il banditore comunale, cioè la radio pubblica. Anomalo ma con una funzione fondamentale: trasmette le notizie. Trombetta e tamburo con cui annuncia tutte le notizie, molto semplici. Il podestà se vuole lanciare un messaggio al paese utilizza questo uomo, importantissimo per la comunità. Come per la capra, dentro di lui c’era un’altra vita “piena di un’oscura potenza impenetrabile”. Uomo non-uomo, non è un uomo come in quei paesi si considera un uomo, ha qualche cosa che lo caratterizza che è proprio la sua sessualità. Dominio femminile molto chiaro che passa attraverso il sesso, viene deriso dalle donne, che tuttavia hanno rispetto e quasi paura di quell’uomo. Il vecchio domava gli animali, conosceva gli spiriti. In ogni cultura primitiva ci sono delle figure che nelle nostre culture non abbiamo. Scherzano per esorcizzare una paura molto forte. Incantatore di lupi, animali più pericolosi. Figura unica perché non appartiene alla comunità degli uomini. In quella comunità l’unico essere diverso è quest’uomo. Potere magico della pittura e della medicina (Levi). Insiste su questo incontro che avviene nel cimitero perché c’è una comunanza soggiacente. Levi offre all’uomo metà di un sigaro. Luogo di paura e di morte. “Il paese è fatto delle ossa dei morti”. Levi aggiunge una cosa: girava una leggenda -> “Una notte non molto tempo prima (…) giunto su un poggio di fronte alla Chiesa aveva sentito un’improvvisa stanchezza (…)” Leggenda che chiude l’incontro con questo vecchio che non tornerà più nel racconto, se non accennato. Questo vecchio incontra una capra diavolo, che lo tratteneva dal camminare e andare avanti. Entra la considerazione del mondo dei briganti, che Levi raccoglie e rappresenta un’informazione fondamentale. L’epoca dei briganti coincide con al fine dell’Ottocento, in questi paesi non si accetta l’unità di Italia sotto il Regno dei Savoia, perciò nasce il brigantaggio. Ninco Nanco è il capo più famoso dei briganti. Compagna del brigante è Maria ‘a Pastora, chiamata dea della guerra, bellissima, dà origine ad una leggenda. L’ottavo capitolo ci fa ricavare molti elementi che ci servono a capire come Levi si sta avvicinando a questa strana cultura, molto diversa da lui e che fa parte di ciò che lui vuole salvare attraverso la sua attività. Se avesse avuto una macchina fotografica, avrebbe usato uno strumento tecnologico per salvare questo mondo destinato a morire, appena arriverà il processo di modernità dell’Italia. In tutte le culture popolari sono rimaste le tracce della magia, degli incantesimi, delle figure particolari, ma questo mondo in particolare è permeato da un’idea di magia che Levi probabilmente scrive questo libro per salvare l’esperienza di un uomo arrivato lì e che ha raccolto le idee, le credenze, questo tipo di sapere prima che venisse sostituito. La donna più importante del viaggio di Levi è la protagonista di tutta la seconda parte del libro. È una strega, è una donna che ha una bellezza particolare. Rappresentata come la Madonna con un bambino del dipinto. Giulia Santarcangelese è il nome di questa donna. Il primo elemento che Levi ci racconta di Giulia è che ha 41 anni ed ha avuto 17 gravidanze da 15 uomini diversi (tra aborti e parti). Levi si dovrà adattare alla convivenza con questa strega. Senza l’aiuto di qualcuno del paese lui non può vivere lì. La strega lo proteggerà dalle potenze negative del paese. Grazie a Giulia, Levi potrà vivere lì e non cadere dentro le mille trappole che gli possono essere fatte. Levi teme che qualcuno lo uccida, che gli facciano un incanto e con un veleno lo facciano fuori, teme che venga commissionato un assassinio perché è un oppositore politico. Levi ci racconta come fa a dipingere in un capitolo. Per dipingere deve uscire di casa e mettere il cavalletto con il quadro in certe zone. Quando si diffonde la voce che sta dipingendo, il podestà manda un carabiniere a 45 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 controllarlo. L’azione di dipingere viene considerata potenzialmente pericolosa, fine che non si conosce. Levi accetta di dipingere anche con la presenza di questo personaggio. Dipinge il paese di Gagliano illuminato dalla luna. Potrebbe essere questo in realtà il primo quadro che Levi dipinge. Viene ammesso perché uno dei potentati del paese è compiaciuto del fatto che Levi abbia dipinto in quel modo il paese. Chiede a Don Luigino il permesso di continuare a dipingere e muoversi in diversi luoghi e gli viene concesso. Levi può dipingere in altri luoghi, però Levi viene a sapere che in quel paese c’è un altro uomo che come lui ha praticato l’arte della pittura: il prete del paese. Allora Levi decide di andarlo a trovare, anche perché questo prete è malato. Levi inizia a visitare die malati. L’arte della pittura e della guarigione. Il prete si chiama Don Trajella, ma la condizione di vita di questo prete è inconcepibile. Vive con la madre. Il prete nel momento in cui Levi entra sta mangiando con un piatto e un solo bicchiere. Il prete e la madre vivono in una specie di unità assoluta. La casa viene definita da Levi una ‘spelonca’, una grotta. La spelonca ha un unico spazio che fa da tutto. I letti dei due abitanti della casa sono lettini gemelli separati da una tenda verde. In tutta la spelonca si trovano quantità di libri gettati dappertutto e galline che camminano su tutto. Cattivo odore e sporcizia. Il prete offre a Levi l’unico bicchiere della casa con del vino. Levi teme che ci sia dentro qualcosa di pericoloso, ma non può sottrarsi perché offenderebbe il prete. Unico uomo colto del paese, legge molto. Libri, simbolo di cultura. Aveva scritto anche dei libri. Quest’uomo è stato un intellettuale ed un pittore. L’avvertimento che Levi dà a se stesso è che non deve degradarsi al livello del prete, intellettuale e pittore che si è abbandonato ad una vita di questo genere. 24/10 Regime fascista che vuole controllare troppo, effetti di reazione che si sentono anche nella letteratura. Gli scrittori fanno finta di seguire quello che il regime vuole o altre volte aspettano per scrivere ciò che vogliono dire. Carlo Levi scrittore di origine ebraiche che scrive quando il fascismo è quasi finito. Nato in una città del nord, nel 1901. Carlo Levi viene mandato in esilio alla metà degli anni ’30, sta in esilio due anni e poi torna, scappa in Francia, torna in Italia negli ultimi due anni di guerra. Si nasconde a Firenze e decide di scrivere un’opera che è una specie di memoria di ciò che aveva vissuto in Lucania. Il centro di questo luogo è Matera. La sorella di Levi si occuperà dei bambini a livello psichiatrico. Ha circa trentatré anni e fa il medico ed è un pittore. Levi entra nel mondo primitivo dei contadini e capisce subito che quel mondo è un mondo quasi invivibile. È costretto ad adattarsi a delle regole. Problema meridionale che esiste anche oggi, barriera ideologica usata ancora per ottenere voti. Levi denuncia con questo libro il fatto che l’Italia non si è occupata di queste persone povere e misere. Quando Levi scrive, vuole far capire cosa succede in quelle città agli illuministi moderni. Mondo che avete ignorato, considerato inferiore, mentre è una realtà che va capita, osservata e conservata. Levi dedica tante parti di questo libro a raccontarci gli aspetti folclorici di questi luoghi. Attraverso questo libro ci fa capire in un’Italia che allora non si conosceva. Lo scrittore che sarà più vicino a Levi è Pasolini, quando andrà a cercare cosa succede nel sud dell’Italia. Quando Pasolini girò nel 1964 il Vangelo secondo Matteo, si ispirerà proprio al libro di Levi. Pasolini va in Palestina, perché pensa di poter ambientare il film nei luoghi reali in cui Cristo è vissuto, ma dopo un breve soggiorno capisce che non esiste più il senso del sacro e che quel mondo è troppo modernizzato. Girerà il film in Puglia, Matera, ecc… Matera è ancora nella condizione di una città primitiva, idea di Gerusalemme quando Cristo ci è vissuto. La cosa da non trascurare è il fatto che dopo Levi queste cose diventano oggetti di attenzione. Durante un governo democristiani viene emanata una legge specifica che è una legge di risanamento della città di Matera, modernizzazione. Matera esiste ancora come luogo sfruttato dall’industria del turismo. Pensare il mondo in modo diverso. Idea assolutamente giusta e destinata ad essere sviluppata. La cosa interessante è che Levi capisce che se non c’è coscienza intellettuale salta tutto l’ordine in un mondo. Questi uomini vengono amati da Levi proprio perché capisce che non è un mondo che va ignorato o distrutto, ma va aiutato. Nello stesso tempo Levi pensa che qualche cosa di lui si stia modificando, qualcosa che lui ha sempre creduto fondamentale sta cambiando. In questo mondo non esiste la felicità. È inutile farsi un’idea felice del passato, attacco a Virgilio e all’Eneide. “In questi uomini non può esistere né la felicità né la speranza, ma in loro esiste la cupa… forse negative della natura. Il senso profondo e umano di un destino comune”. Valore politico molto forte, tutti siamo qui perché siamo sottoposti a poteri che non possiamo narrare, in quanto uomini siamo tutti uguali, c’è una volontà che vuole il nostro male. Per questi uomini lo Stato italiano non ha 46 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 ragione di esistere. La storia per loro è una forza alla quale vengono sottomessi. Ammiriamo l’Enide ma è la storia di un uomo che scappa dal suo paese perché viene sconfitto ed arriva ad un luogo che Virgilio stesso chiama l’umile Italia. Enea è asiatico, arriva più o meno all’altezza della Calabria, risale la costa e si ferma nei territori del Lazio. Questi conquistatori distruggono tutto ciò che si trovava lì prima del loro arrivo. Pietas di Enea è il fatto che abbia civilizzato popoli con il suo arrivo distruggendoli. Enea aveva armi, scudi e la forza dell’esercito, una religione che comportava sacrifici umani. Eneide testo di epoca classica, presa dal Fascismo per perseguire il grande mito di Roma. Levi smonta questo mito. Tutte le mitologie di cui si parla in questi giorni è violenza. Chi uccide è colpevole. L’uso delle armi è violenza. La pietas di Enea porta a distruggere le civiltà. Vuole trapiantare lo Stato dell’esercito e della religione. Regime Fascista finirà con l’arrivo dell’esercito americano, che distruggerà e userà violenza allo stesso modo. Alla fine, riesce ad ottenere una casa sua, l’ultima casa che si trova alla fine del paese, vicino al burrone, sulle montagne di argilla. Casa in cui vivrà l’ultimo periodo del suo soggiorno. Ha tre stanze e una di esse la utilizza come studio per dipingere. In tutto il suo soggiorno Levi ha sottolineato la presenza di un cane di nome Barone. Il rischio a cui è esposto Levi è che si pensi che in quella casa possa portarci donne. Divieto maggiore: nessuna donna può entrare in casa sua, antichissimo costume dei sessi. Ad un certo punto Levi racconta che ha curato una vecchia donna di 75 anni che aveva una malattia di cuore con sintomi gravi. Questa vecchia va a casa sua e gli porta una cesta piena di cose preparate da lei. Grossa infrazione nei costumi. Levi ha bisogno di una strategia per proteggersi da questi rischi. Sta iniziando a curare molte donne. Levi ci spiega per la prima volta, paragrafo 11 e pag. 89, con una considerazione che le donne del paese pensano solo all’amore fisico e ne parlano con grande libertà. Levi essendo l’unico uomo che rimane in paese ed essendo diverso dagli altri uomini è desiderato da tutti. Le chiama “le regine uccelli”, creature dell’aria che covano grandi nidate di bambini, citazione che riutilizzerà Calvino. C’era solo una categoria di donne che possono entrare nella casa di Levi, donne con molti figli di padri diversi, le uniche donne che possono entrare in casa sua sono quelle che normalmente Levi chiama le streghe, donne che hanno uno statuto anonimo. Le figure femminili che con le loro azioni cambiano il destino degli eroi. In un’epoca abbastanza lontana ma non lontanissima, le streghe venivano uccise. Le streghe sono le eredi di quelle credenze. A Gagliano c’erano una ventina di donne che disponevano delle caratteristiche citate. Giulia è la donna che incarna tutte le anomalie di questo mondo, ha qualcosa di femminile e qualche cosa di animalesco, ha qualcosa di attraente ma anche qualcosa di spaventoso, è alta e formosa, però con la vite sottile come quella di un’anfora. Viso rugoso per gli anni e giallo per la malaria. Non è una bellezza classica, ma appartiene ad un’era più misteriosa e crudele, appartiene ad un’epoca più antica. Giulia è una donna antichissima, nulla le può essere celato. Ha un sapere che va oltre il tempo. Era come le bestie uno spirito della terra. Incarnazione umana della capra. Giulia tutti i giorni va a casa di Levi, fa il suo lavoro. Levi è felice perché può dedicarsi allo studio e alla pittura. Levi può starsene solo nella sua stanza ad osservare il paesaggio. Mentre si trova lì, udiva i rumori dei passi di Giulia ed il cane Barone abbaiare. Levi mette insieme la strega ed il suo cane. Ad un certo punto anche Levi si sentirà come loro, avrà una trasformazione fondamentale. 25/10 Documentari che fanno vedere un mondo sommerso o in estinzione che viene riscoperto da alcuni autori italiani. Alla prima opera ne seguiranno altre, Carlo Levi è un autore prolifero. Levi ha sposato la figlia di Umberto Saba, che ha avuto un ruolo importante nella seconda fase della vita di Levi. Saba ha scritto una poesia che è dedicata ad una capra. La capra di Umberto Saba Ho parlato a una capra Era sola sul prato, era legata. Sazia d’erba, bagnata alla pioggia, belava. Quell’uguale belato era fraterno al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perché il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria. 47 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 folklore. Racconta sempre leggende che funzionano in quei luoghi. In questi paesi le parole hanno un potere magico, perché non sono una convenzione legata al linguaggio. Per noi le parole hanno sì un’origine, ma sono delle convenzioni. In realtà una parola è una cosa che agisce in questi paesi. Se quel cane si chiama Barone significa che è un barone, un signore, un uomo potente. Il cane muore e viene seppellito in Liguria. In Liguria Levi non può andare. I potenti = riferimento al Fascismo. Ipotesi: sta scherzando ma sta dicendo una cosa vera -> mezzo barone e mezzo leone, anche Levi ha qualcosa di sacro che spaventa e fa paura a quegli uomini che comandano. Ha assorbito quella mentalità grazie alla quale viene evidenziata nel cane una doppia natura. Semplice molteplicità: simplex multiplex (origine etimologica dal latino), due termini che hanno assunto un significato di tipo cognitivo: ciò che è semplice ha un volto solo, ciò che è multiplo lo si può vedere da più punti di vista. Ossimoro, cortocircuito logico per cui le due parole si annullano, fenomeno molto interessante del linguaggio. In Barone c’è qualche cosa di diretto, di facile da capire, ma c’è anche qualche cosa di complesso, che è la molteplicità. Due volti di Barone: cane che nella sua semplicità nasconde qualcosa di molteplice. L’ultimo momento importante del libro è un rituale funebre e lui che se ne va. Deve tornarsene a casa, capisce che è il momento di allontanarsi da questo mondo che potrebbe essere un mondo in cui si rimane prigionieri. Solo la ragione e la storia nelle sue manifestazioni fondamentali ha un senso. Il senso dell’esistenza, del linguaggio, dell’arte e dell’amore è molteplice all’infinito. Secondo Levi l’arte è sempre legata ad una proiezione che si fa del mondo. Si fa arte perché si prova passione verso il mondo. Esistono due mondi paralleli: quello dei contadini e quello del resto del mondo, tutto partecipa della divinità, tutto è realmente e non simbolicamente divino. Il divino è nel mondo, negli animali, nella terra, tutto è magia naturale. 8/11 Idea che dentro la letteratura, attraverso la letteratura si possono rappresentare situazioni non conformi. Come si colloca il libro di Levi in quest’ottica? Il libro di Levi è importante, perché attraverso il confronto di una cultura irrazionale, scova dei fenomeni impressionanti. Si rende conto di una cosa fondamentale: nel luogo in cui passa i mesi al confino, esiste un tipo di vita inimmaginabile prima di lui. Tipo di vita che risale ad anni ed anni precedenti, che non si credeva potesse conservarsi in questo modo. Levi arriva ad esplicitare questa sua conoscenza quando parla della doppia natura di tutti gli esseri. Uomo che presenta una forte razionalità, possiede la capacità di analizzare questi fenomeni. Il libro viene scritto a distanza. Primo fatto che lui è doppio. In lui c’è una presenza che confligge con un’altra presenza: per i contadini una donna può credere di essere figlia di una vacca, realmente allattata da una vacca. Realtà magica che mette in contatto elementi che non sarebbe in contatto. Le idee di un mondo magico vengono abbandonate, ma dopo Levi alcuni studiosi credono che il mondo magico non è stato abbandonato. Sardegna, Sicilia. Spiegazioni della realtà fondate su una credenza non più nostra. La scienza fa un salto in avanti con Galileo, ma non è detto che cancelli tutto ciò che viene prima. In Dante ci sono degli elementi che non hanno nulla di razionale: idea di un uomo che va nell’oltretomba, che riesca a parlare con i morti, che ritrovi Beatrice e risalga in cielo. Quando si comincia a diffondere un pensiero scientifico molti dicono che non ha più senso leggere Dante. Dante apre una sua idea fondata su principi solidi, scientifici e filosofici del suo tempo. “La razionalità soltanto ha un senso univoco, insieme alla storia e alla religione”. Noi siamo in un luogo in cui Cristo non è arrivato e di conseguenza non è arrivata nemmeno l’idea della storia moderna. La ragione spiega le cose in un modo solo. In realtà c’è un altro ambito dove le cose comunicano tra di loro: l’arte, il linguaggio e l’amore. All’interno di questi tre ambiti, il senso dell’esistenza è molteplice all’infinito. La nostra ragione, in quanto strumento di conoscenza, va in una direzione solo; ma al contrario, quello che appartiene ad ambiti diversi, quello che lui chiama “il senso dell’esistenza” è molteplice all’infinito, dentro questo tipo di linguaggio non esiste un senso univoco. Senza dichiararlo esplicitamente parla dell’arte, il linguaggio e l’amore. Cosa molto strana perché non ci aspetteremmo questo rapporto. Levi lo fa capire più avanti: in pratica tutto quello che dipinge in questi luoghi, lo dipinge perché sente un rapporto molto forte con i personaggi. Consonanza molto forte: consonanza che lo ha fatto diventare come loro, ma allo stesso tempo non lo è. Partecipe della loro vita, fa tutto ciò che è possibile. Levi è un medico, allo stesso tempo è un pittore. Questa compresenza è segno della doppia natura. Quasi a metà del secolo, quando Levi scrive sta finendo la seconda guerra mondiale, cade il fascismo. I contadini non conoscono la religione come la 50 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 conosciamo noi. Non hanno l’idea di un dio unico. Tutto ciò che li circonda è divino. Tutto ciò che è naturale è divino. Da questi pensieri di Levi si sviluppa il discorso di Pasolini: il mondo moderno ha distrutto il sacro, tutto ciò che ci appare nel mondo all’inizio è sacro, poi con lo sviluppo della storia abbandoniamo e ci allontaniamo da quell’idea di sacro. Cristo e capra. Cristo segno della religione occidentale. Forte polemica. La capra è un satiro distruttore di civiltà. Idea di religione, dello Stato. Levi fa una lunga digressione per spiegare che cosa succede durante una festa dedicata alla Madonna. Feste popolari dedicate alle figure tipiche della chiesa. Processione da parte di un gruppo del paese. Innanzitutto, è una madonna con un viso scuro. Madonna vissuta come una divinità arcaica, non è la madre di Dio come la concepiamo noi. Era una divinità sotterranea. Dea che favoriva la prosperità dei campi. Era una dea che derivava direttamente dai luoghi infernali. Doppia natura: natura della religione tradizionale, ma allo stesso tempo è una divinità dell’inferno. Levi racconterà molti episodi che riguardano le credenze di questi luoghi. Sono episodi che riguardano la comparizione di creature fantastiche. Episodi raccontati da Giulia. Giulia dice a Levi che la sera scendono dal cielo tre angeli: uno sta sulla porta, uno entra in casa ed uno si mette vicino al letto. Tre angeli che proteggono la casa dal male. La figura dell’angelo si mescola ad una figura di altra natura, la sera non si può buttare la spazzatura per strada, come le donne sono solite fare durante il giorno. Protetto da creature invisibili. Protetto da Giulia. Legge, scrive, dipinge. Solitudine abitata dagli spiriti e animali. Se rispetta alcune regole può vivere in questi luoghi, soprattutto tenendosi lontano da personaggi del paese che potrebbero influenzarlo. Uscire di casa solo quando vuole dipingere. Inizia a dipingere oltre i paesaggi, anche degli oggetti e dei ragazzi. Gli uomini erano sempre nei campi e le donne non volevano farsi dipingere. Ogni mattina prima di farsi il bagno chiudeva la porta della cucina dove Giulia faceva le pulizie e stava con il bambino. Una mattina Giulia entra e lo vede nudo, mentre si fa il bagno nella vasca che si era fatto portare da Torino. Levi rimane turbato da ciò che lei gli dice, cioè che deve essere aiutato a lavarsi. Forse Giulia era stata abituata a farlo da altri uomini o era un’abitudine antica. Lei prende il vizio ogni mattina di lavarlo. “La strega si stupiva” che non le chiedesse di fare l’amore. “Sei ben fatto, non ti manca nulla”. Giulia è abituata ad un’animalesca passività, cioè obbediva come un animale a quanto il suo padrone gli chiedeva. Lui dice di essere rimasto freddo, di aver rifiutato. Ma lei insiste, riempiendolo di complementi: “quanto sei bello, quanto sei grasso”. Giulia era disposta, dice Levi, a qualunque servizio. Quando le chiedeva di posare, lei si rifiutava come di cosa impossibile. In questa considerazione Levi mette insieme l’idea di un rapporto sessuale (non lo sappiamo, molto improbabile) con la pittura. Giulia non si fa dipingere: “quando le chiedevo di posare si rifiutava come di cosa impossibile”. Accetta tutto ma si rifiuta di farsi dipingere. Un ritratto sottrae qualcosa alla persona ritratta, il pittore acquista un potere assoluto su chi ha posato per lui. Molta gente ripudia anche di farsi fotografare. Secondo Giulia il pittore acquista un potere assoluto su chi ha posato per lui. Giulia ha paura di farsi ritrarre, paura della sua pittura. Ha paura dell’influsso e della potenza che avrebbe esercitato Levi ricavandone un’immagine. Se lui accetta l’offerta che gli fa cioè di essere un oggetto erotico lei è disponibile. Ma fare un ritratto no, perché si sarebbe impossessato di lei in questo modo. Se vuole convincere Giulia deve usare una magia più forte, una forma di violenza contro di lei. La deve soggettare: la minaccia di picchiarla. Uno dei punti più strani del racconto. Levi starebbe per esercitare questa violenza, minaccia di batterla e fa l’atto, forse anche qualcosa di più. Non sappiamo: forse l’ha picchiata veramente. Il viso di Giulia si illumina, non desidera niente di più che di essere dominata. Riesce a dipingerla. Levi ha molta sincerità nel descrivere quello che è costretto a fare se vuole dipingere Giulia. Quando Levi è lì ancora non è nata l’ambizione di scrivere il romanzo. Usa la pittura come strumento per ricordare alcuni degli elementi fondamentali di quei luoghi. Alla fine del racconto Giulia stessa glielo dirà: sei diventato uno di noi, sei uno stregone, un uomo con del potere. La sua pittura è strumento di potere. Fissare il clima magico di quei luoghi. Esercitando una violenza su Giulia (forse si forse no), Giulia si adatta, diventa docile come un agnello e si fa dipingere. Perché Levi mette insieme la scena del bagno e questa scena? Perché vuole farci capire che attraverso la pittura Levi si impossessa di Giulia, ultimo passaggio all’avvicinamento a questo mondo che vede in Giulia la figura principale. La pittura è l’equivalente di una forma di erotismo che Levi esercita su Giulia. Piccola aggiunta: Giulia si fa dipingere, madre amorosa che tiene tra le braccia il bambino, il bambino di Giulia sta in casa e gioca con il cane. Ritorna il tema della magia: Levi rimaneva solo per delle ore, Giulia puliva, il bambino e il cane giocavano, tutti i giorni erano uguali. Tempo fermo, senza amore e libertà. Levi non ha nessuno con sé, sentiva solo la 51 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 magia di quei luoghi e degli animali. L’incanto lo tiene legato a quei luoghi. Levi pensa che forse non se ne sarebbe mai andato. Trovare una magia contraria, per vincere questa magia. Giulia gli insegna gli incantesimi dell’amore. Anche qui non dice più di tanto, ma fa una considerazione: “che cosa c’è di più contrario dell’amore, espressione della libertà, della magia, espressione del potere?” Lui non può sentire l’amore perché schiavo della magia. Giulia gli assicura che la magia era particolarmente efficace per agire sulle persone lontane, formula magica. Pronunciarla sull’uscio di casa e guardare una stella. Ultima parte del racconto sono degli episodi in cui Levi cerca di liberarsi dalla potenza, l’influsso che ha la magia su di lui. Il significato a cui arriva Levi, di tutta questa parte del romanzo: Levi, uomo guidato dalla ragione, assorbe tutto ciò che non fa parte della ragione. Condivide la vita di questi contadini del sud. Perde la natura originaria ed acquista una doppia natura: esercizio della medicina (vittoria sulla magia) e creazione artistica (prima la pittura e poi la scrittura del romanzo, due livelli attraverso cui Levi si avvicina il più possibile al mondo della Lucania). Levi è stato dentro la magia ed è riuscito ad uscirne. Questo rapporto ha a che fare anche con quello che Levi ha vissuto: mesi del fascismo trascorsi in un luogo lontano, quando è uscito da questo luogo è tornato ad essere un uomo che riconquistava la storia liberandosi del fascismo. Quando viene liberato dal confino scappa in Francia e poi torna in Italia, scrive il romanzo per lasciare la sua testimonianza prima del mondo magico e poi fuori, quando si è allontanato da quel luogo. Levi è l’unico scrittore italiano che può parlare di un’esperienza che lo ha portato al di là del mondo reale. Se Levi non avesse praticato la pittura non sarebbe riuscito a scrivere il romanzo. GIORGIO BASSANI Giorgio Bassani, scrittore Ferrarese di famiglia ebraica che non viene coinvolto dalla parte più tragica della storia, non viene spedito in un campo di concentramento. Scrive delle opere particolari su ciò che avviene nella sua città. Piccoli racconti all’inizio, che poi diventeranno sempre più elaborati attorno alla città di Ferrara. Cinque storie ferraresi –> hanno tutte un elemento in comune: cosa succede a Ferrara durante gli anni del fascismo (dalla metà degli anni ’30 alla metà degli anni ’40). Dopo le storie ferraresi, con le quali vince il Premio Strega, si rende conto che in queste storie non ha mai parlato in prima persona. Si chiede il perché di questa cosa. Si interroga in maniera molto drammatica sul perché non sia mai riuscito a parlare di sé. Paura che ha di raccontare qualcosa che lo riguardano. Manca la presenza di colui che le racconta. Una lapide in via Mazzini - Estate del ’45, Fascismo finito, vengono fuori i nomi dei 183 ebrei deportati da Ferrara due anni prima e morti nei campi di concentramento. Lastra di marmo con i nomi degli sterminati nelle camere a gas. Mentre l’operaio fissa la lapide sul muro, sente che un uomo dal basso lo prende alla caviglia e gli dice che la lapide è sbagliata. Geo Josz si è salvato dal campo ed è riuscito a tornare a casa. Bassani racconta lo stupore della gente che si raccoglie attorno alla scena e del ragazzo. Cominciano a chiedersi se è veramente lui. Uomo molto grasso, è vestito in modo strano (pomeriggio dell’agosto del ’43), la gente comincia a riconoscerlo. Arriva uno zio dalla gioia di averlo riconosciuto. In città nasce una chiacchera che si espande molto velocemente: uno di quei 183 si è salvato, la lapide non può essere appesa. In tutta la città questa cosa crea un grande subbuglio: questo uomo vuole essere riconosciuto da tutti, vuole che tutti lo interroghino su ciò che è successo. Il comportamento di quest’uomo è anomalo, fa delle cose che nessuno si aspetterebbe. Sopravvissuto da un campo, è riuscito a scappare e tornare a casa. Non ha effetti positivi, dopo una serie di episodi Geo decide di scappare dalla città. La sua presenza ha creato degli effetti nei cittadini che procurano verso di lui odio. Dopo aver scritto le storie ferraresi, nel ’56 Bassani comincia a pensare che ci sia qualcosa nei racconti che non è stato affrontato. Non ha mai parlato di se stesso. Frequenta la facoltà di lettere all’università di Bologna, mentre si stava affermando il Fascismo. Nel ’38 arrivano le leggi antiebraiche. Il racconto termina proprio con questo evento e si intitola Gli occhiali d’oro. Idea rivoluzionaria con la quale Bassani per la prima volta utilizza uno stratagemma molto interessante per parlare del Fascismo e della lotta contro il mondo ebraico. Al centro del racconto c’è una figura che viene rappresentata subito all’inizio del racconto: medico che si chiama Dottor Fadigati, otorinolaringoiatra. Era arrivato a Ferrara subito dopo la prima guerra mondiale, nel ’19. Racconto autobiografico: è troppo piccolo per poterselo ricordare, ma ricorda l’atmosfera 52 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 dottor Fadigati è …” Perché non c’è nessuna parola? Sostituisce i termini precedenti per indicare la natura del dottore con dei puntini. Pochissime parole in italiano, ma un’unica parola veniva ampliamente usata: invertito (diverso). Una serie di parole offensive. Invertito: ha rovesciato la sua natura normale, però la cosa interessante è che anche se Bassani scrive nel ’58, quando le cose sono cambiate, il fatto che la parola non venga pronunciata vuole dire due cose: la prima è che la parola non vuole essere pronunciata e la seconda cosa è che non esiste una parola che descriva l’orientamento del dottore. “Era uno di quelli…” Quelli che non sono come “noi”. Inversione sessuale, Bassani usa l’unico temine consentito. C’era chi ricorreva ad una parola dialettale, non sappiamo quale sia perché Bassani non ce lo dice. Ma il dialetto è sempre più cattivo, offensivo e volgare di quanto sia l’italiano. La voce si comincia a diffondere. La gente lo dice in maniera divertita. Bassani dice che “infondo perché non riconoscere anche in questa caratteristica, irregolarità lo stile dell’uomo”. Tutti gli studi più nuovi sul problema della sessualità nelle società borghesi moderne concordano su un punto: chiaramente si parla di omosessualità in ogni società, però in nessuna cultura, né in quella greca (Platone) né in quelle successive, fino all’Ottocento non è ammesso che possa vivere in una condizione indipendente di sessualità. Oscar Wilde è il primo che vive la sua sessualità con uno stile indipendente dalla società. Stile = insieme di comportamenti con i quali un uomo si distingue dagli altri. Il dottor Fadigati viene ammirato perché possiede uno stile. Stile dall’Ottocento in poi diventa un modo di esprimersi in diversi modi, ma designa anche una serie di comportamenti molto differenti tra di loro: come si veste, come parla, come si comporta. Bassani dice una cosa molto interessante: i ferraresi che hanno fatto questi commenti, rimasti stupiti dall’aver pensato questa cosa, non cambiano atteggiamento nei confronti del dottore. Dopo un primo moto di sbalordimento, arrivano ad ammirare Fadigati per la sua riservatezza, il suo non dare scandalo. La vita di Fadigati è suddivisa in due parti. La sera bisogna far finta di non conoscerlo, la sera e la notte il dottore entra in un’altra dimensione, non è più nella dimensione della norma. Ha dei modelli su cui si è ispirato? Il modello è reale, il dottore è realmente esistito. Friedrich Mark nel dottor Jekyll (Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson). All’interno di sé il dottore ha una matura mostruosa che si libera la sera. Anche oggi il problema di fondo rimane questo: non è accettato lo scandalo, non bisogna dare scandalo. Anche la società capitalistica dei nostri anni non accetta scandali. L’unico elemento scandaloso rimasto è che una coppia dello stesso sesso possano avere un figlio. Nel ’58 o addirittura negli anni ’30 durante il Fascismo è impensabile. Il dottore non crea problemi e per questo viene accettato. Il dottor Fadigati aveva due vite, “ma chi non ne ha?”. Tutti gli esseri umani hanno due vite che agiscono su due piani diversi. Quest’uomo mostruoso da certi punti di vista, ma assolutamente simile agli altri, è nella condizione in cui individui appartenenti ad una cultura ebraica si trovano a dover convivere con persone non appartenenti a questa cultura. L’idea di unione, del rapporto tra lui e il dottore nasce da questa visione della società, anche lui si sente diverso. L’idea di diversità diventa dominante nel ’38, gli italiani accettano le leggi razziali. Mussolini le ha imposte, ma non ci sono state ribellioni, se non pochissime. Tutti siamo colpevoli. Nel momento in cui viene imposto qualcosa, chi tace è colpevole. Sapere che cos’era il dottor Fadigati corrispondeva a comprendere e lasciare perdere. Fadigati al cinema va a cercare ragazzi. All’inizio le persone pensano che si metta in platea per un gesto di liberalità. Si dice che lui stava in piedi vicino alle uscite o vicino ai bagni. Tutti vogliono verificare che ci sia attraverso gli occhiali d’oro che designano la presenza di Fadigati. “Un piccolo lampo inquieto proveniente da una lontananza infinita” -> Fadigati è realmente in un altro mondo rispetto a coloro che lo guardano, c’è una lontananza infinita rispetto a coloro che lo guardano, appartiene ad un’altra dimensione per la sua diversità. Per i borghesi ferraresi la platea è un orrido mondo. È concesso solo al dottore di frequentare quel mondo così ripugnante. Mantenersi sul confine del lecito. Di lui non si può dire nulla in confronto ad altri personaggi. L’erotismo di Fadigati sarebbe stato contenuto dentro i confini della decenza. Patto tacito tra il dottore ed i cittadini. Nel cinema tutti lo vedevano, da cui l’insinuazione che avesse un debole per i militari. Non era mai stato visto uscire dal cinema con qualcuno o far entrare a casa qualcuno. Il suo viso tirato e grigio, con i tratti tirati da un’ansia acuta. È il suo viso che ricordava che lui stava cercando, probabilmente verbo usato comunemente per indicare che cercava qualcuno con cui avere rapporti sessuali. Trovava? Nessuno sapeva. Attorno al ’35, Bassani ha già iniziato a frequentare l’università, rammenta che al nome del 55 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 dottore si associava il nome di una guardia municipale. L’anno dopo un altro nome dell’uscere del comune. Più tardi ancora venne ad aggiungersi il nome di un giocatore dell’estense, squadra sportiva ferrarese. Figure che appartengono ad una classe più bassa, non compromettono la posizione sociale del dottore. Rapporti clandestini con uomini di mezza età, che mai hanno messo in repentaglio la reputazione del dottore. La notte si sentiva della musica e si vedeva una luce accesa, ma chi pensava che ci fosse un uomo lì non ci faceva tanto caso. Definizione dell’immagine dello stile del dottore. Nel capitolo quarto inizia il racconto personale, insieme ai suoi amici lui, 20 anni prima di scrivere questo romanzo, prendeva tutte le mattine il treno che lo portava a studiare in via Zamboni. Una mattina tra il ’36-’37, sul treno compare anche il dottore. Scena che congiunge la vita del dottore con la vita di Bassani e dei suoi amici. Processo di degradazione pubblica. Fadigati si ‘innamorerà’ di uno degli amici di Bassani. 14/11 “Attorno al ’35, rammento bene che…” Bassani rivela che perlomeno da quest’anno (scansione degli anni è molto importante perché si arriva ad un anno fondamentale nella storia italiana) inizia la propria esperienza personale nella conoscenza del dottor Fadigati. Terzo anno di università, anche se questa indicazione non viene fuori. Dicendo nel ’36 aggiunge “esattamente vent’anni fa”. Bassani vuole che noi identifichiamo l’anno in cui questo racconto è stato iniziato a scrivere nel ’56. Le altre cinque storie ferraresi sono state pubblicate e vincono proprio nel ’56 un importante premio letterario. Gli occhiali d’oro entrerà nell’edizione del 1960 delle storie ferraresi, anche se si distinguerà dalle altre storie. I cinque racconti precedenti sono storie relative a cinque personaggi diversi che hanno a che fare con la città di Ferrara, ma in quelle storie Bassani non era mai coinvolto perché erano storie o lontane da lui oppure in epoche recenti in cui lui non si trovava a Ferrara, raccolta meticolosa, quasi ossessiva di dati di cinque episodi ricostruiti perfettamente, ma senza dire che conosca qualcosa di diretto attorno a questi episodi. In questo sesto episodio è avvenuto un cambiamento: la sua presenza all’interno dell’avventura del dottor Fadigati. È vero quello che ci racconta? Ha davvero conosciuto il dottore o sta fingendo, non c’è una testimonianza diretta. Ci sono dei segnali nel racconto che ci fa capire che Bassani abbia realmente parlato o conosciuto il dottore. Dal quarto capitolo in poi Bassani non solo parlerà di sé, ma anche del gruppo di amici di cui ci dice nome e cognome, che come lui tutte le mattine, all’alba, qualche minuto prima delle sette, prendono un treno locale che dalla stazione di Ferrara e li lascia al sedicesimo binario della stazione di Bologna. Con la circolare gli studenti si spostano nelle sedi dell’università. Bassani e la sua amica Bianca Sgarbi studiano in via Zamboni letteratura italiana e storia dell’arte. Docenti sono: Carlo Calcaterra (stesso professore di Pasolini qualche anno dopo) e Roberto Longhi (predecessore è un professore di origine ebraica Iginio Benvenuto Supino). Tesi su Tommaseo, in particolare di un suo testo intitolato Fede e bellezza. Si vorrebbe laureare con una tesi in storia dell’arte, in particolare ha un grande interesse per l’arte ferrarese (Rinascimento), ma per ragioni pratiche (Il giardino dei Finzi Contini) decide di fare una tesi in letteratura. Longhi si rifiuta di aderire al fascismo e viene allontanato. Come possono viaggiare questi studenti? Bassani rievoca il mese di dicembre, tram fino alla stazione, treno e poi devono prendere un tram che li porti in via Zamboni. Quando prendono il tram a Ferrara sono tutti piuttosto addormentati. Durante il viaggio in treno gli studenti si raggruppano e fanno amicizia tra di loro. Viaggiano tutti nella terza classe, più frequentata da tutti, studenti, operai e gente del popolo. Bassani sottolinea questo perché la terza classe non può essere frequentata da persone abbienti. C’è solo un vagone di seconda classe che rimane sempre vuoto, perché non c’è nessuno che se la possa permettere. Nell’inverno del ’36 viene visto il dottor Fadigati prendere il biglietto di seconda classe e viaggia da solo fino a Bologna. Bassani non si ricorda chi nel gruppo dei suoi amici per primo abbia identificato il dottore, sotto forma di domanda. Lo vedono in un taxi. Eraldo Deliliers, studente di scienze politiche, personaggio interessante perché lo isola dal gruppo, qualche atteggiamento che lo differenzia. Si comporta come un vissuto, ha già avuto diverse esperienze. Testa coperta di riccioli biondi, dormiva sempre, eppure Bassani dice che era stato lui ad annunciare nel febbraio del ‘37 che la seconda classe del treno aveva trovato un cliente fisso e pagante e che questo sia il dottore. Quando Deliliers fa il nome del dottor Fadigati lo ha riconosciuto. Bianca: “Chi era costui?” (citazione manzoniana, Don Abbondio). Aria stordita, ancora tutti mezzi addormentati. La sua domanda fu colta da grandi risate. Allusione che fa ridere tutti, nessuno gli risponde. A quell’epoca Bianca 56 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 Sgarbi che faceva con malavoglia il terzo anno di lettere era quasi fidanzata con Nino Bottecchiari. Piegata verso Deliliers, si rivolge verso di lui. Il fidanzato sta in un angolo e soffre in silenzio. Deliliers afferma: “un vecchio finocchio”. Viene fuori il termine che Bassani non ha voluto utilizzare fino a questo momento. È un dettaglio importante perché sarà proprio Deliliers ad avere un ruolo fondamentale nella fine del dottor Fadigati. Nel capitolo cinque Bassani ci spiega che Fadigati spinto dalla sua volontà, decide di spostarsi dalla seconda classe alla terza classe, stessa logica che lo spinge ad andare nella platea dei cinema che non appartiene alla sua classe sociale. Molto spesso chiede al controllare del treno di aprirgli la porta e farlo andare in terza classe. Fadigati aspetta il tram sulla stessa piattaforma dei ragazzi in via Mascarella. Fadigati li conosce benissimo, sa di chi sono figli, perché tutti erano stati portati da lui quando erano piccoli. Li individua molto bene in quanto sa quali sono le loro famiglie di appartenenza. Nasce una specie di amicizia. Bassani dice che molto spesso fanno la strada normale risalendo via Indipendenza, tutti tranne Deliliers che se ne stava per le sue. Fadigati li segue, ronzandogli attorno. Lo identificano e lo prendono in giro, cominciano ad avere un atteggiamento quasi violento nei suoi confronti, ironizzano su di lui. Gentilezza del dottore tale che è impossibile sottrarvisi. Offre un caffè ai ragazzi. Il martedì ed il venerdì mattina ci sarà sempre un posto per il dottore nel treno. Il medico decide di entrare in rapporto con questi ragazzi, Fadigati va a Bologna per ottenere la libera docenza, che consentiva di insegnare senza essere realmente professore dell’università. Domanda molto logica: “Ma lui sapeva che noi sapevamo? Sapeva ciò che noi sapevamo su di lui? Forse no, forse si illudeva ancora su questo punto”. Succede qualche cosa che sposta l’equilibrio tra il dottore e gli studenti, per loro alla fine continua ad essere il medico che tutti a Ferrara rispettano, il medico che loro stessi hanno conosciuto perché li ha visitati più volti quando erano piccoli. Forse sono le uniche persone con cui il dottore può parlare liberamente. Loro avevano visto la faccia del dottore quando erano bambini, ma erano passati 12 anni forse e la sua faccia non era cambiata, colore terreo di un tempo, forse un po’ più grasso. I ragazzi cercano le macchie visibili del suo vizio e del suo peccato nel suo volto. Bassani ricava questo elemento da Proust (La ricerca del tempo perduto), in cui c’è un personaggio nobile molto importante, il barone di Charlus. Volto che faccia trasparire il vizio del dottore. Il dottore si tradisce quando cede ad una provocazione di Deliliers. Racconta loro di aver studiato a Padova e poi a Venezia. Venezia l’aveva abbandonata perché non era una città adatta per il clima a causa di una sua malattia cardiaca, Padova non gli era piaciuta. Parla della sua famiglia. Uno studente ha un cognome veneto, Vittorio Molon, e gli chiede se avesse parenti di Padova. Il dottore rievoca in seguito una novella di uno scrittore straniera ambientata a Padova: “protagonista della novella…”. La novella da cui il dottor Fadigati prende spunto è una novella di uno scrittore americano ambientata a Padova alla fine del sedicesimo secolo. Nathaniel Hawthorne (autore de La lettera scarlatta) intitolata la figlia di Rappaccini, che parla di un luogo magico che porta alla morte, chiunque toccherà quella ragazza che vive nell’orto verrà ucciso dal veleno delle piante che il padre ha fatto costruire appositamente per impedire che qualcuno si avvicini a lei. Momento di silenzio in cui Delieliers apre gli occhi. Bianca: “come può essere buono l’odore del letame?” con una risatina nervosa. Deliliers molto acuto capisce che la frase del dottore si può interpretare in un altro modo, il dottore fa riferimento ad altro. Dice: “lasci stare il letame, dottore, e ci parli piuttosto di quei due ragazzi dell’orto che gli piaceva tanto, che ci faceva insieme?” Il dottore si è messo allo scoperto da solo. Ha evocato due bei ragazzi che lavorano nell’orto. Il ricordo del letame è un ricordo falso che ha tirato fuori per non dire che cosa faceva con quei due ragazzi. Fadigati sussultò come se fosse stato colpito nel profondo, reagisce come se qualcuno lo avesse fisicamente colpito, reagisce balbettando. Disgustato Delieliers se ne va. La scena è stata costruita con molta attenzione, la novella da cui parte il discorso del Fadigati ha un epilogo tragico che anticipa l’epilogo tragico di questo racconto. Bassani ha usato la novella per evocare un ricordo personale del dottore, presenza di due ragazzi ha dato modo a Deliliers di rivelare a tutti quello che il dottore è. Forse il medico pensava non fosse a conoscenza dei ragazzi. “Un attimo di abbandono gli era costato caro” da questo punto in poi Fadigati non potrà più pensare che i ragazzi siano inconsapevoli di ciò che lo riguarda. Bassani dice che malgrado il rapporto con Fadigati continui, qualche cosa è irreversibilmente cambiato: iniziano a mancargli di rispetto. Tutti ormai, essendo palese quello che riguarda il dottore, reagiscono in una maniera strana, cominciano ad esporgli un atteggiamento particolare. Il momento scatenante è quando una mattina il dottore decide di scendere quando il treno fa una pausa per andare a comprare panini e dolci per tutti. Dal finestrino tutti 57 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 al dottore. Il dottore ha una reazione di spavento perché si vergogna a farsi vedere. Giorgio dalla sua posizione vede il padre e Fadigati che parlano ed indicano con dei gesti la spiaggia, il mare. Il padre fa da mediatore, perché dopo aver parlato con il medico prende con sé il dottore e lo porta alla loro tenda. Giorgio si alza per andare a salutare Fadigati, che in realtà sperava o temeva di veder arrivare Deliliers, che ogni notte va a cercare ragazze. Giorgio capisce che il padre lo fa senza rendersene conto, non si era conto della situazione. Presentazioni in modo ufficiale ed è la stessa signora Lavezzoli che lo giudica che stringe la mano al dottore. Saluta i vari ferraresi, che per tutto il mese non hanno fatto altro che parlare male di lui. Il dottor Fadigati, in questo modo viene riaccettato nella società a cui era sempre appartenuto. Si sente felice e libero in questa situazione, quindi dobbiamo immaginare che con Deliliers lui si senta infelice. Servo di Deliliers. Viene fatta un’allusione politica, in occasione di questa osservazione prima Fadigati fa una considerazione sulla bellezza del mare (citazione su Pascoli), poi del colore del mare in certe ore del giorno. Richiamato dalla realtà da un’affermazione molto scortese della signora. Un gruppo di persone che si muove tutte insieme, il padre di Giorgio chiede che cosa stia succedendo: Mussolini che scende in acqua, a qualche centinaio di metri di distanza, applaudito dalla folla. Il padre di Giorgio: “possibile che non ci si salvi nemmeno al mare?” Il padre di Giorgio ebreo ha un rapporto negativo con il regime fascista. Romantico, patriota e politicamente ingenuo e inesperto, come tanti altri ebrei della sua generazione, non è un uomo che ha esperienza legata alla politica, elemento che a Bassani dà molto fastidio in quanto non sa prendere una posizione forte. Aveva preso la tessera del fascio tornato dalla guerra. Ha preso la tessera perché tutti la prendevano. Da quando Mussolini aveva iniziato ad andare d’accordo con Hitler il padre era inquieto. Non faceva che pensare ad uno scoppio di antisemitismo in Italia. L’antisemitismo era già diffuso in Germania nel ’35-’36-’37. La paura era che anche in Italia ci fossero fenomeni di antisemitismo, per questo suo padre si lasciava sfuggire qualche amara parola contro il regime. Alla fine del racconto la coscienza politica è fondamentale, importante proprio grazie alla mediazione di Fadigati, che insegnerà qualcosa a Giorgio. A Riccione Giorgio e Fadigati riescono a parlare da soli. Il marito avvocato della signora Lavezzoli è indagato perché non ha aderito al Fascismo, mentre la signora è fortemente legata al Fascimo di Mussolini. Deliliers non torna, Fadigati prende le cose che ha lasciato e torna verso l’albergo. Umiliato due volte: Deliliers che non è arrivato e da ciò che la donna gli ha detto. Volto disfatto dal sudore e dall’ansia. Il padre segue con occhio impietosito, sottovoce sussurra: “poveretto”. Comprensione per il dottor Fadigati. Nel capitolo successivo avviene l’incontro tra Giorgio e il dottor Fadigati. Fadigati si rivolge a Giorgio sempre dandogli del Lei, come abitudine dell’epoca anche se molto più giovane. Fanno delle chiacchiere varie e poi Fadigati chiede a Giorgio se si è accorto che sta fumando, che ha iniziato a fumare. Alla sera Giorgio viene avvicinato proprio da Deliliers. Padre Agostino Gemelli e articolo contro l’ebraismo, Lavezzoli che lo espone. Ira celeste, segno di Dio, antisemita, la morte di Cristo è oggetto del sacrificio del popolo ebraico (in realtà Roma, Pilato). Giorgio ascolta queste cose e se ne va. Deliliers se ne approfitta e fa una proposta erotica a Giorgio: fare un giro in macchina con due ragazze di Parma. Sembra che nella famosa continuazione del romanzo che non viene scritta, Deliliers diventato fascista ripropone in modi diversi un’avventura erotica, solo accennata da Bassani in una lettera. Deliliers diventa capo di una squadra fascista. Giorgio dice che sta studiando perché deve dare degli esami a settembre. Deliliers in modo seducente gli parla di queste ragazze di Parma. Per un momento Giorgio è attirato dalla proposta. Non si reputa abbastanza amico di Deliliers per accettare a cuore leggero l’invito. Giorgio teme realmente l’influenza di Deliliers, teme questo invito. Accettando l’invito prevede una giornata di disgusto e di umiliazione. Giorgio sente qualche cosa di strano, qualche cosa che non lo convince, quindi decide di non andare. Forse Deliliers ha fatto questa proposta per una ragione specifica. Influenza nefasta di Deliliers, che ha colpito il dottor Fadigati. Perché ad un tratto quasi lo supplicava di accompagnarlo a donne? Una spiegazione è che Deliliers voglia chiarire che usa Fadigati per soddisfare i suoi capricci, non va a letto con il dottore. Giorgio va in spiaggia, vede il dottore da solo e decide di riprendere il discorso. Fadigati ha l’aria molto sconsolata, legge un libro (edizione del primo canto dell’Iliade), ha un sorriso amaro. Achille = Deliliers. Arrivano i genitori di Giorgio e Giorgio continua a parlare con il dottore. La signora Lavezzoli non ha proprio simpatia per il dottore. Raggiungono la famiglia di Giorgio, riferimento ancora ad Omero, Orazio, Carducci. Giorgio nota che Deliliers non si sarebbe più visto sulla spiaggia. Fadigati comincia a seguire le partite di tennis che Giorgio fa con gli amici. Il punto che ci interessa è un successivo incontro con Fadigati sempre all’ora del 60 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 tennis. Sente la voce della signora Lavezzoli, si veste con la tuta da tennis, mentre scende viene fermato dal padre. Allusione delle reti metalliche del campo da tennis e campi di concentramento: Giorgio sta entrando nel campo, Fadigati è già dentro. Il volto di Fadigati ha dei segni, è stato picchiato. Gli occhiali sono stati rotti, incrinatura. Il dottor Fadigati è stato oggetto di una violenza fisica. La sera prima c’era stata una discussione con Deliliers. Lui lo rimproverava sottovoce della vita che stava svolgendo. Delilliers dà un pugno al medico. Tutti hanno visto la scena dello scandolo. “In confronto al resto.” Quando il dottore torna in albergo dalla spiaggia, ha trovato un foglietto: “grazie, tanti saluti da Eraldo”. Deliliers ha preso tutto quello che ha trovato nella stanza e se n’è andato. Fadigati è vittima in tutti i sensi. Dopo aver confessato quello che è successo, Fadigati terminò con uno strano grido quasi esaltato, quasi come se da ultimo l’enumerazione degli oggetti derubati da Deliliers, avesse tramutato lo strazio in una sensazione di esaltazione e piacere. Nella personalità di Fadigati c’è un principio legato a ciò che gli sta succedendo. Come se Fadigati si sopponesse in maniera quasi volontaria in questa lunga esperienza di sacrificio. Fadigati si sente una vittima predestinata. “Recinto” rete metallica, luogo in cui è avvenuto un evento che in altre circostanze non sarebbe evvenuto. L’ultima parte del racconto è ambientata in autunno a Ferrara. La prima notizia che Bassani ci dà è la notizia terribile che il patto tra Mussolini e Hitler si è stretto. Bassani dice che alla fine di un anno sarebbero state promulgate le leggi razziali. Capitolo fondamentale per Bassani: inizio ottobre i giornali iniziano a parlare di antisemitismo, alla fine dell’anno successivo vengono promulgate le leggi razziali. Questo periodo viene messo in correlazione con lo stesso Fadigati. Bassani mette in rapporto la partenza improvvisa da Riccione di Fadigati con quello che succederà con la promulgazione delle leggi razziali. Bassani ci vuole far capire che esiste ai suoi occhi una correlazione segreta che non si può dire, tra quello che Fadigati è e quello che Bassani vede accadere nella sua famiglia in quei mesi. L’omosessuale Fadigati e il padre di Giorgio non riescono a trovare una soluzione a ciò che sta per capitare. Il padre di Giorgio che ha sempre avuto un po’ il sospetto, ma non ha mai enunciato realmente quello che pensava, sarà incapace di indicare una soluzione. Processo di maturazione di Giorgio. Dover affrontare la vita come un uomo. Padre affranto che cercava i giornali, gli occhi della madre pieni di lacrime, la sorellina ignara ma consapevole di tutto, la chiusura di Giorgio in un silenzio ostinato. Sanno che sta succedendo qualcosa di irreversibile per loro. Capitolo 15 – Giorgio rivede il dottore. Il dottor Fadigati dà la spinta giusta per poter risolvere almeno parzialmente la lacerazione che il ragazzo si porta dentro. Bassani aveva bisogno di preparare il terreno per arrivare a questo momento. 20/11 Anna Maria Ortese (1914-1998) Angelici dolori, il mare non bagna Napoli, Alonso e i visionari, il cardillo addolorato, il porto di Toledo e L’iguana. Il porto di Toledo è il libro più importante di Ortese, libro a cui lei ha lavorato di più: stesura, temi affrontati, elaborazione e trasporto dell’autrice stessa. Dopo la prima stesura, Ortese continua a rivederlo e modificarlo. Alla fine della sua vita (1998) Ortese continua a modificare il suo testo, aggiunge un’introduzione al porto di Toledo che si intitolata Anne, le aggiunte e mutamento. In questa introduzione racconta la storia di Anne, una ventitreenne estremamente povera che abita a Londra alla fine del ‘700, per sopperire alla povertà fabbrica del denaro falso. Viene beccata, va al processo e non si difende. “Non aveva voce per difendersi. Stette sempre zitta.” Ortese dedica questo libro ad Anne che poi fu impiccata per aver smerciato della moneta falsa. Ortese vuole restituire a questa donna una forma di giustizia. Avrebbe voluto scrivere qualcosa a proposito del reato, reato di aggiunta e mutamento, è un “reato” che avviene nei libri. Ortese dedica ad Anne il libro a cui lavora dagli inizi degli anni ’60 fino alla morte. Ortese come Anne cerca di recuperare qualcosa falsificandolo. Il porto di Toledo – sottotitolo: ricordi della vita ideale. Falsifica la propria vita: crea una falsa autobiografia. Questione della povertà: in tutta la sua vita Ortese lotta contro la precarietà dovuta alla sua povertà. Problema di fondo è quello “economico”. Anche a causa della povertà la sua vita è segnata da nomadismo, cioè dover cambiare casa in continuazione. Case fisiche ma anche “case” come metafore di legami d’affetto. 61 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 13 giugno 1914 -> quindici giorni dopo la nascita di Ortese avviene l’assassinio a Sarajevo, il mese a seguire scoppierà la prima guerra mondiale. Il padre si chiama Oreste Ortese e la madre napoletana Beatrice Vaccà; questa famiglia numerosa è subito segnata da lutti. Il padre nel 1914 viene chiamato al fronte, la famiglia si sposta a seconda gli spostamenti del padre. Anna Maria non frequenta in maniera continuativa le scuole, ha problemi di salute. Nel 1925 la famiglia Ortese di sposta in Libia, in Africa. La seconda casa è Napoli, Via del Piliero 29 / Casa del Pilar, Toledo (trasposizione di Napoli nell’autobiografia fittizia), temi sono il mare, la scrittura, la morte e l’amore. Gruppo “Sud”/l’Unione delle Donne Italiane/Il partito Comunista: appartenenza ed erranza. Rapallo: la solitudine, casa in cui trascorre gli ultimi anni della sua vita. Dal ‘25/’28 rimangono in Libia. Il padre inizia a costruire la casa ai confini del deserto, ma è una casa che non terminerà mai. L’esperienza in Libia è fondamentale, cruciale per Ortese. È proprio qui in Libia che Ortese inizia a riflettere, fa esperienza di quella che è la natura, lo spazio, le piante, gli animali. Tutta l’idea che Ortese costruisce sul concetto di Natura ha un punto cruciale di partenza in Libia. “Essere dentro la natura anziché fuori.” Già in Libia comincia ad essere un tema fondamentale il legame con il mare. “La vita si mette a girare più velocemente”. Muore la nonna, il padre riceve un telegramma: è richiamato in Italia. 1928 ritornano a Napoli. L’impressione con la città è molto forte. Napoli è spaventosa, molto violenta. La famiglia si va ad installare nell’appartamento che si trova in via del Piliero, 29, che non ha acqua, in condizione di povertà. Decide di abbandonare la scuola a quattordici anni. Legge tantissimo i libri dei fratelli a casa. Lei risponde: “se mi mandate a scuola, mi uccido”. Passa questi anni a perlustrare tutta la città di Napoli. La morte del fratello è l’impulso vitale della sua scrittura. Nel porto di Toledo questa morte viene descritta e ci sono intere sezioni dedicate a questo fatto. Viene descritto nel dettaglio l’attimo in cui lei e i suoi famigliari apprendono la morte del fratello. Tutti i nomi sono inventati, che però corrispondono alle persone della sua vita. Apo= il padre, Apa= la madre, Rassa= il fratello Emanuele. Arrivo della notizia della morte del fratello, di fronte a questo dolore Anna Maria Ortese sente la forza della scrittura. Scrittura = questione di sopravvivenza legata alla morte del fratello, trasformare il dolore in un’altra forma. La scrittura è come un ritmo che serve a calmare l’orrore che altrimenti ci distruggerebbe. Il porto di Toledo è una specie di cantiere. Chiama i racconti e le poesie che inserisce nel testo: espressività. Il titolo di questa casa è il mare e la scrittura, la morte e l’amore. In questi anni viene raccontato anche il tema dell’amore. Tormenti amorosi: la protagonista del porto di Toledo Dossa si innamora di un certo Lemano (Aldo Lemano). La scrittura è il porto a cui fare ritorno, strumento che permette di dare una forma ai sentimenti. È qui, a metà degli anni ’30, che Ortese inizia a scrivere in maniera importante. Esce la raccolta di racconti Angelici dolori. Lettera all’editore in cui lei scrive gli intenti della sua scrittura, prendere un’immagine, riprodurla com’è (“reale/irreale”). Il suo sogno è riprodurre reale e irreale, fare semplice l’impossibile, dedicarsi con urgenza e necessità a questo progetto. L’altra morte è quella del gemello che muore nel 1940, pugnalato in Albania da un soldato. “Probabilmente questa che noi crediamo di vivere non è vita”, “l’anima è un così piccolo lume”. Nel 1942 gli Americani iniziano i bombardamenti a tappeto sulla città. La famiglia Ortese sopravvive per miracolo. La casa sarà completamente distrutta e bombardata. Vanno a vivere in un altro appartamento molto povero, che compare in quello che forse è il racconto più famoso di Ortese intitolato “Un paio di occhiali”. La protagonista del racconto è una bambina di nome Eugenia, che vive in una zona molto povera di Napoli. La zia decide di regalarle questi occhiali per poter vedere, visto che non riesce a vedere bene. Va dall’oculista con la zia. Come al solito rimangono d’accordo che o la zia o la mamma andrà a ritirarli. Eugenia è nel cortiletto e aspetta la mamma con gli occhiali. Gli occhiali vengono identificati con un insetto lucentissimo che scintilla nelle mani della madre. Il prezzo degli occhiali viene ripetuto diverse volte, 8 mila lire. Tutte le persone iniziano ad affacciarsi. Eugenia sta male. 21/11 La terza casa, che è una casa intesa come gruppo di affetti e non solo, sono: Gruppo “Sud”, l’Unione delle Donne Italiane e il Partito Comunista (appartenenza ed erranza). Ragiona sulla sua solitudine ed il suo isolamento, che è una sua scelta, nessuno l’ha allontanata o esclusa. Queste tre case sono gruppi di persone, centri di affetti nei quali prima si sente accolta e poi subito dopo rifiutata, inclusione ed esclusione. Quando la famiglia Ortese torna a Napoli dopo la guerra vivono in condizioni misere. Anna Maria è distrutta dal 62 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 mostro nella società. “Vecchia”: quella che lui aveva preso per vecchia in realtà era una bestiola verde e altra come un bambino, vestita da serva. Daddo è sorpreso non perché si trova di fronte ad un’iguana vestita da serva, poiché la sua apparizione e presenza appartiene a quella realtà, ma la sua sorpresa è dettata dal fatto che quella non fosse una vecchia come aveva immaginato. La sua presenza non è “strana”, un po’ come nelle fiabe in cui gli animali parlano e nessuno si stupisce: lui è spinto dal suo spirito di cavalleria per aiutare la creatura, lei lo ringrazia e lui risponde «non c’è di che, nonnina!». Non c’è niente di meraviglioso in quell’essere, e la stranezza che lo caratterizza appartiene al nostro mondo, che non conosciamo mai interamente, poiché esisterà sempre una zona d’ombra inconoscibile, in quanto il mondo non è sempre chiaro nella sua totalità. Essendo un essere femminile doveva essere nutrita nella sua vanità, per questo lui le fa un regalo. Anche quando l’iguana usa il logos quello che dice sono pezzi di discorso, qualcosa di pressoché incomprensibile, frammenti di frasi. L’Ortese fa parlare l’iguana con balbettii e piccole parole in segno di ribellione verso il logos, il veicolo attraverso cui il personaggio si oppone a un tipo di sapere, parola, discorso, e non è perché non sa parlare, ma parla così volontariamente. Animuccia bestiale: viene trattata dal Daddo in atteggiamento paternalistico, al limite fra una bambina e una vecchina. Idea maliziosa del conte che parla del comprare un essere vivente, nella cui idea vi è il sottotono del comprarla lui stesso, per darle la libertà: idee opposte e apparentemente inconciliabili. Il desiderio di reintegrare un essere nella società, e in questo caso vi è l’idea di dare la libertà servendosi di quegli strumenti che limitano e logorano la libertà stessa. L’iguana ha molti atteggiamenti che non rientrano in un canone preciso, per cui non ci si può aspettare un determinato atteggiamento rispetto ad una situazione tipo, perché può evadere dagli schemi e dai rapporti di causa-effetto che noi ci aspetteremmo. 27/11 La famiglia che abita l’isola, di un cognome spagnoleggiante, durante la narrazione è avvolta da un’atmosfera seicentesca. L’iguana cambia per come viene percepita se a vederla è Daddo o la famiglia: per esempio una sera a cena l’iguana portava il cibo a tavola e l’io narratore spiega come ella appaia diversamente da come l’aveva percepita all’inizio (cambia anche nei nomi ad ella affibbiati: iguana, estrella, strella). Antica umiliazione: sottintende che l’iguana fosse serva da sempre, ma qui vi è anche una ripresa del concetto dell’oppresso e dell’oppressore dei capitoli precedenti. Ci sono delle forme che prendendole tentiamo di fissarle senza riuscirci, e di conseguenza l’iguana appare sempre in maniera confusa e cangiante: si sottrae al controllo, al dominio e al tentativo di normalizzazione, proprio in virtù di questa mutevolezza, come se si avessero delle linee di fuga da una via dominante; probabilmente ciò è legato al modo in cui l’autrice percepisce la natura, da un lato quella della primissima pagina (secondo la prospettiva milanese, qualcosa di opposto alla cultura), per poi passare ad affermare che «l’iguana è la Natura», intendendo c he la natura non è altera rispetto alla cultura, ma ci siamo inseriti a pieno, e proprio perché ci siamo inseriti c’è sempre qualcosa di essa che noi non riusciamo a percepire. Sono evidenti i legami con Manzoni e Leopardi (forse Ortese è la più leopardiana del ‘900 addirittura). Daddo (personificazione di una mentalità tradizionale che con il contatto con l’isola vengono meno le sue fondamenta) a un certo chiede alla «creaturina» di sposarlo. Da un lato c’è l’irrazionale natura (a un certo punto lo stesso Don Ilario dice che l’iguana è causa dei mali della famiglia), dall’altro uno spirito immortale. Nella seconda parte del racconto Daddo si avvia a un processo di perdita di lucidità, e con la sua morte il romanzo cambia, perché non vi è più l’elemento di fantasia o di allucinazione: «trova la morte nella dolcissima follia di questo amore». Ci sono dei temi filosofici, dice l’Ortese, ma non è un libro filosofico, motivo per il quale non bisogna ridurre le massime da lei inserite a delle frasi meramente astratte, poiché si tratta di magia narrativa. La natura è quella divinità velata che ama nascondersi: comprendere la natura significa ridurla a un codice di comprensione, e inserendola in un dialogo facendola parlare è come se la si snaturasse, perché non è più la stessa. Capitolo XX: chi legge può farsi delle domande alla luce della narrazione e agli eventi, motivo per cui lei fa una piccola digressione rivolgendosi al lettore; ai mutamenti di scena e ai cambiamenti frutto della sua modalità narrativa molto complessa il lettore si pone giustamente delle domande relative agli avvenimenti narrati, e l’autrice comprende queste domande, sono legittime, però dice che molto spesso non c’è spiegazione perché il mondo stesso gira in questo modo, per cui spesso non vi sono giustificazioni. Il Daddo ha una ristrettezza mentale che però con l’incontro con l’iguana avviene uno spalancamento, rendendosi 65 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 conto che il mondo è più vasto della sua realtà milanese. Vi è nel romanzo una componente fantastica e magica, oltre all’idea che la scrittura e lo scrittore possa rappresentare un mestiere, una professione a tutti gli effetti; il ruolo di scrittore donna non è stato acquisito subito, e solo nell’800 si iniziano a intravedere delle donne che scrivono in qualità di intellettuali, in Italia addirittura nel ‘900 (Sibilla Aleramo è un esempio palese in tal senso). Dante, Petrarca, Boccaccio avevano una seconda professione rispetto a quella dello scrittore. Calvino, leggendo le cose dell’Ortese, le reputa belle ma non è qualcosa che Einaudi avrebbe pubblicato, poiché impostato su un codice narrativo profondamente tradizionale e legato ai primi del ‘900, ed essendo lei una scrittrice anomala non era possibile. Dell’Ortese c’è molto nel Daddo, ma anche nell’iguana stessa. Questo romanzo è molto polemico soprattutto verso la società consumistica: l’iguana accumula le pietre in maniera avida perché i suoi stessi padroni le hanno insegnato l’avidità, motivo per il quale si dice che l’iguana è «caduta nel mondo dell’umano», al pari dell’anima senso Platone che cade dall’iperuranio e finisce in un corpo, prigione, ostacolo verso la purezza creata da Dio; l’Ortese non condivide tale pensiero, è più spinoziana, dicendo che non c’è bisogno di pensare a un creatore, ma la natura è un qualcosa di a sé stante. Nella natura c’è anche il male, così come lo credeva Leopardi. Sull’isola arrivano degli americani, gli Hoppins, composti da un padre, una madre e una figlia di 22 anni, il cui obiettivo era quello di far sposare la propria figlia con Don Ilario, in crisi economica, poiché loro avevano una dote abbondante. Alcuni hanno ipotizzato che l’Ortese si riferisse alla conquista delle colonie, dove chi conquista trova un nativo che viene sottoposto al proprio potere. Capitolo XI, intitolato “Il terrore del Male”, vi è un discorso fatto al lettore: il protagonista è il conte. Prima del matrimonio il prete dice che era necessario purificare l’isola dalla presenza dell’iguana, identificando in lei i problemi relativi alla famiglia. L’iguana era stata nel pollaio, e uscendo e dirigendosi a casa, l’Ortese aggiunge che, pur essendo un’iguana, ha paura della notte, perché appena nata i suoi padroni le hanno detto che in giro ci sono i mostri; la sua «personcina verdastra» (elemento importante, pur comportandosi come una donna, il suo corpo rimane quello di un’iguana), «l’iguanuccia», è stata additata come il Male dell’isola. Sin dall’inizio l’iguana viene chiamata Estrella, Estrellita, quindi qualcosa che deriva dal cielo, ma in seguito lei ha preso le sembianze di un’iguana e i Guzman l’hanno allevata e umiliata come se fosse un essere impuro: è un meccanismo di potere per il quale viene esercitata un’operazione che insinua il dubbio, una colpa, nell’anima dell’iguana, fino a far condurre l’iguana a considerarsi la personificazione dello spirito del maligno. Talvolta l’iguana provoca delle trasformazioni profonde: è vero che per la mentalità dell’isola quella è una creatura da umiliare, ma non è così per tutti (verrebbe meno l’amore di Daddo per lei), poiché lei in virtù della sua umiltà si fa amare. Coloro che si sentono portatori del male come fanno ad affrontare la coscienza di sé, se educati in questo modo per tutta la vita? La famiglia borghese, padre madre e due figli, è un’invenzione del ‘700: prima nei ceti più bassi l’uomo lavorava e la donna sfornava i figli, per cui non vi era l’idea della famiglia come unità, poiché i genitori hanno dei ruoli sociali, ma tutti e due sono legati dal vincolo di dover educare i figli, e siccome in quella famiglia l’educazione del figlio non può avvenire in maniera completa si crea una seconda istituzione. Famiglia canguro: il termine è usato perché prima la famiglia si teneva la creatura in grembo per pochi anni, poi se viveva o moriva non importava, mentre in seguito con l’avvento della borghesia la famiglia teneva i figli nel proprio grembo fino alla maggiore età, al pari dei canguri. C’è un patto di ferro: i bambini vanno allevati impedendo loro di avere una condotta sessuale libera, allevati per lo meno fino all’età adulta in modo tale che non abbiano libertà sessuale, per cui il medico consigliava ai genitori che il primo controllo doveva essere sulla sessualità, soprattutto dei maschi. L’idea di fondo era quella di impedire ai bambini di firmarsi un’idea della sessualità, e il primo controllo era contro la masturbazione (spesso venivano legati di notte, oppure usando vari strumenti per impedire che si toccasse le parti intime), il tutto perché il medico diceva che il bambino doveva divenire in fretta un adulto e un bravo lavoratore, fuori dalla morale. La società da cui deriviamo è frutto del controllo, che viene meno negli anni ’60. Forte polemica contro gli americani, che appena sentono che c’è il male usano la sedia elettrica. Coloro che dentro di sé pensano di avere il male devono combattere contro sé stessi, fuggire da sé stessi: l’iguana a questo punto diviene autocoscienza del male, poiché allevata affinché lei pensasse questo; la sofferenza dell’iguana è uguale a quella di molte altre, in particolare le donne, che più di tutti hanno incarnato questo concetto (discorso al femminile, poiché l’iguana è un essere femminile). Se vivi da sempre con l’idea del male poi ti abitui. Quello che dopo fu considerato male all’origine non era tale, anzi. Tutti 66 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 siamo in questa condizione, anche se non è necessario riconoscerci, poiché se colui che all’inizio è stato trattato come l’incarnazione del bene e tutti attorno a lui cantavano canti, per poi essere rovesciato in un contenitore del male e in una strada di solitudine, solo questa persona sa realmente cosa sia il «freddo mortale del Male». La «creaturina»: termine particolarissimo, risalente ai testi sacri, in riferimento a un qualcosa legato all’atto della creazione, momento in cui l’individuo comincia ad esistere, e nell’ottica di una divinità creatrice ogni cosa è creatura, anche le cose inanimate; il termine «animale» contiene al suo interno la parola anima e male. È una creatura che da un passato di felicità è stata degradata a un presente di infelicità, un po’ come tutte le creature. Daddo capisce che l’isola sarà venduta, e la storia lentamente prende due vie: da un lato Daddo che perde la lucidità, e dall’altro la storia dei Guzman e dell’iguana, che alla fine del racconto diviene una ragazza come le altre (con questo l’autrice vuole farci capire che forse tutto è stato frutto di un’allucinazione, di lui e di lei). 28/11 Alcuni segnali dicono che l’incontro con l’iguana avviene un certo periodo dopo rispetto a un tempo in cui ella non era tale, ma veniva chiamata Estrella o Estrellita: la degradazione dell’isola e l’impoverimento dei Guzman sono l’effetto della degradazione dell’iguana stessa; la famiglia sta umiliando l’iguana perché ascrivono a lei la colpa di quello che è successo. Il tutto non è detto a chiare lettere, e il discorso sul male riferisce ad un “male ancestrale”, ma l’autrice non ci dice da dove nasce. È un male fabbricato dagli sguardi di chi giudica, motivo per il quale è come se l’iguana avesse assorbito il senso di colpa a causa dei suoi padroni, e ciò non esclude che ci fosse un’epoca in cui l’iguana non fosse tale creatura. Il capitolo V racconta che, quando Daddo entra in una biblioteca al buio, con una scrivania piena di carte e calamai rotti, la poca luce della stanza che entrava illuminava un ovale (quadro) dove una persona apparentemente di trent’anni, che si scoprirà essere la madre di Don Ilario, reggeva sulla spalla una «minuscola e oscura creatura»: poteva essere una donna nobile dietro la cui fronte s’intravedevano «secoli di comando» con uno sguardo di disgusto verso quello che era diventato il mondo. Lo sfondo era un paesaggio straniero con il luccichio di un lago, e sotto il quadro c’era scritto «ho scelto il niente»: è un quadro che ha un significato specifico perché dopo Don Ilario conferma che quella signora morta da alcuni anni era sua madre che viveva nelle Antille, e che quella scimmietta di nome Pérdita (è un nome parlante, perché vuol dire «colei che è stata perduta», ma è anche il nome di un personaggio di Shakespeare, quindi anche un nome letterario) era molto cara ai suoi genitori e cresciuta con lui come una sorella. A un certo punto del racconto l’iguana è chiamata Perdita, per cui tutto quanto rientra nel gioco delle metamorfosi dell’iguana, allevata dalla madre di Don Ilario, che diceva che era cresciuta con lui come una sorella: il loro legame è di natura fraterna, il che suggerisce che la creatura che oggi è un’iguana in un tempo passato poteva essere una scimmietta amata dalla madre del don; aspetto favolistico, per cui il narratore non è costretto a spiegare come è avvenuto il passaggio, e infatti l’Ortese non lo fa, e proprio per questa ragione la sua letteratura non ha avuto grande fortuna. Il male dell’iguana è l’ossessione della colpa che caratterizza tutti gli esseri viventi, sensazione che troviamo in ogni secolo della storia e che segna ogni individuo, oltre che la filosofia dell’autrice: è il male che caratterizza ogni essere vivente. Il discorso sul male era stato fatto di notte quando arrivano gli americani, Daddo isolatosi e l’iguana chiusa in un pollaio e poi recatasi alla sua tana. In seguito c’è un capitolo dove avviene una scena molto interessante in cui Daddo assiste a cosa succede nella casa: gli americani si sono portati dietro un prete per purificare la casa dalla presenza malefica dell’iguana. Avviene un esorcismo: l’iguana viene tenuta in uno spazio sotto la villa, in uno scantinato che viene chiamata tana o grotta (sottolinea la sua posizione di inferiorità), e il conte curioso va a vedere cosa succede lì; c’è una botola per scendere e arriva nel locale dove ci sono già gli americani (questi vengono presi in giro e resi grotteschi dall’Ortese, perché arrivano con i soldi per comprare tutto, la cui figlia arriva per sposare Don Ilario, il quale poi se ne andrà) e poi arriva l’iguana scendendo dalla scala. Don Ilario viene chiamato «quasi fratello» di Daddo, perché fra loro si è instaurato un rapporto abbastanza stretto. «Diciotto pupille di un civile splendore» (detto in tono ironico dall’autrice) definiscono l’iguana «la rinnovata incarnazione del Male»: l’iguana ha capito che tutta quella gente era lì per far qualcosa contro di lei, e infatti uno di loro a un certo punto dice che «nelle sacre scritture gli animali non vengono ricordati, ma se Dio li ha creati devono avere una qualche utilità pure loro». Daddo piange perché capisce che vogliono fare del male alla «più diletta delle iguanucce». Subito 67 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 lei critica questo impianto fortemente utilitaristico del linguaggio. Il rapporto original Econ la realtà non è di categorizzazione che parla attraverso i nomi, un bambino rimane folgorato ogni volta che veda qualcosa di nuovo per cui per lui è un corpo celeste (titolo dell’opera), il mondo è animato, gli parla in modo diverso. La famosa coperta di Linus: oggetto transizionale, non può passare dal corpo della mamma (che è un corpo celeste), e quando il bambino deve staccarsi da ella si aggrappa ad oggetti (es. orsacchiotto) trasferendo in questo tutta l’affettività che prova verso la madre, ma quando si crea questa distanza si perde quel senso di meraviglia che l’adulto non è in grado di capire; nell’innamoramento si può dire che tutti ritroviamo un rapporto con un corpo che più o meno ci ridà il piacere che ci davano i corpi genitoriali, e per questo l’innamoramento è uno scatenamento di fantasia rispetto al quotidiano. L’autrice dice che il bambino che diventa ragazzo sente più degli altri la solitudine poiché non più bambino ma nemmeno adulto e si sente sempre più da solo (questo spiegherebbe le due psicologie maschili dell’iguana, da un lato Daddo che viene da una classe agiata va in viaggio per comprare ma perde la propria identità con l’incontro con l’iguana, che gli permette di riscoprire il corpo celeste, quella carica emotiva forte che ha il mondo per i bambini, e infatti ci sono dei passaggi in cui il conte si infantilizza, in cui parla non come un uomo adulto ma come un ragazzino; dall’altra parte vi è Don Ilario, adolescente alle porte della maturità, che sembra preso dal rapporto con l’iguana, ma all’arrivo di Daddo, dopo una prima fase iniziale di simbiosi con lui, mostra la sua natura cinica di adulto, volendosi poi liberare dell’iguana per perseguire i suoi interessi). Probabilmente l’Ortese ha inteso i due protagonisti maschili come complementari, che insieme possono creare unità, dopo una prima fase di sintonia e poi di separazione. All’età dell’adolescenza nel mondo reale avviene uno scontro traumatico nella sfera di rapportarsi e di protezione verso gli altri: l’Ortese dice che l’educazione ci offre un paraurti che ci protegge da questi traumi e ci permette di entrare nel mondo per il verso giusto, facendo agire anche la creatività, non solo fatti concreti. Se il bambino entra nel mondo attraverso la proprietà di oggetti di mercato in lui rimane un vuoto che spesso si tramuta in ira e insoddisfazione (le violenze sono originate dalla mancata metabolizzazione e giusta intesa nel rapporto con il mondo). Rispetto ad una persona violenta, nella sua educazione e rapporto col mondo è mancato il rapporto con la creatività, ha trovato tutto fatto da altri, e ciò lo porterà a distruggere tutto quanto, perché si rende conto della sua amputazione fantastica; la cosa appropriata è quella secondo cui un bambino è introdotto nella società in qualità di creatore, poiché la creazione è una forma di maternità, e non come accumulatore delle cose create. Creare è la condizione di produrre qualcosa che non viene imposto dagli adulti. Il bambino è educato attraverso degli oggetti, naturalmente in relazione al paese e alla classe sociale di provenienza. Il Daddo che viene dalla società ricca fa un progetto di recupero del corpo celeste (ecco perché viene detto che l’iguana è il legame puro e profondo con l’universo), ma il suo problema è sul volerla comprare, trattarla come un oggetto, frutto della mentalità di chi vuole impadronirsi delle cose: questo errore lo porta al delirio finale e alla morte. La conclusione del romanzo non è lieta, come dice l’Ortese, motivo per il quale ha voluto lavorare sul finale per renderlo più appetibile ai critici, ma in realtà non aveva riscosso un grande successo (un libro di Calvino aveva venduto appena uscito almeno 5000 copie, mentre il romanzo di Bassani in pochi mesi circa 10000 copie, mentre il libro dell’Ortese poco più di 1990 copie in 5 anni). Per sottolineare questo fatto l’autrice stessa nel capitolo XIII della seconda parte scrive che il conte camminando sulla spiaggia e guardando la sua nave ancorata al largo viene preso da un profondo turbamento non tanto dalla psicologia del marchese, avendo capito la sua decisione in merito all’iguana, ma lo feriva la personalità doppia dell’iguanuccia, non una semplice bestiolina come aveva creduto, ma una vera e propria decaduta creatura umana; quella creatura umana in passato aveva avuto probabilmente un ruolo nella famiglia, e ha il sospetto che la madre abbia allevato due creature, una Perdita e l’altra invece l’iguana, creature non umane che simbolicamente sono sorelle di Don Ilario, motivo per il quale in passato hanno avuto un rapporto molto stretto in passato: questo è il dubbio del conte. Avrebbe voluto parlare con qualche filosofo per comprende il confine fra l’animale e l’umano, arrivando alla conclusione che l’umano è tutto ciò che può esprimere dolore, mentre animale o subumano tutto ciò che non sente, non cura o provoca quel lamento e quel dolore: Daddo si propone il compito, vorrebbe agire soccorrendo tutti gli esseri che si lamentano e provano sofferenza, e a tal proposito capisce che per aiutare l’iguana dovrebbe aiutare anche il marchese, che sta cambiando divenendo qualcosa che non è. L’Ortese dice che tutte le creature del racconto sono sofferenti: l’iguana al limite fra l’umano e l’animale, Don Ilario che da uomo allegro e pieno di idee sta divenendo cinico, e Daddo invece nonostante la 70 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 sua ricchezza si riteneva orfano di figure come quello della madre, una sorella o un fratello. È come se l’autrice abbia disperso delle parti di sé, allineandosi perfettamente in tal senso con i più grandi scrittori degli anni ’60 come Pasolini, che si sono esposti ritenendo che sia stata sottratta allo scrittore la possibilità di rappresentare il mondo attraverso la sua interezza, ma possa essere rappresentata solo per frammenti e porzioni. I personaggi sembrano frutto di una favola ma sono personaggi che parlano della realtà. Don Ilario mostra sempre più caratteristiche negative: il capitolo XIX è intitolato “il terribile Mendes”. Racconta dell’atteggiamento verso il conte cambiato completamente, senza più rapporto di consonanza, anzi divenuto di una «superficialità indicibile», ma hanno un dialogo. Mai il conte avrebbe pensato che il sentimento verso Don Ilario sarebbe cambiato così, e ora «la debole mente del lombardo vacillava»: si parla della metamorfosi di Don Ilario in un’altra persona, uno «sfrontato signore». La mente del conte che vacilla porterà nel capitolo XX alla follia: Daddo arriva al pozzo dove aveva incontrato l’iguana e ha una stranissima visione; prima di questa scena il marchese e il conte si parlano e l’ultimo vuole affrontare la questione dell’iguana in seguito all’abbandono del primo, che sarebbe partito. Chiede cosa ne sarebbe stato dell’isola e dell’iguana, volendo aiutare quest’ultima, e il marchese risponde con il discorso dei sindacati; il capitolo finisce con il verbo «delirare», che indica che la mente del conte entra nel delirio. Al pozzo Daddo capisce che non sarebbe più tornato a Milano e guarda in fondo al pozzo (rimanda all’idea di guardare nella profondità di sé stessi) e lì in fondo vide una creatura bellissima vestita di bianco inginocchiata sul fondo. Successivamente sappiamo del futuro dell’isola, abbandonata e ormai priva di magia e abitata solo da tre esseri che hanno perso la loro parte fantastica divenendo delle creature meramente umane: i due fratelli di Don Ilario e l’iguana. 04/12 Finale molto ironico, l’Ortese vuole fare in modo che il finale sia meno criptico. Daddo è in profonda sofferenza: non riesce a sentirsi in sintonia con Don Ilario e non riesce a salvare l’iguana. Per Daddo salvare l’iguana significa sposarla in un primo momento. Lui la vuole sposare per portarla con sé, ma non è possibile portare Iguana verso un mondo di normalità, in Lombardia a Milano. L’iguana è lo spirito dell’isola e la testimonianza di quello che è successo in quel luogo. Fare vivere l’iguana a Milano è inconcepibile. Capitolo 20 -> La bella bambina. Armato! Sulle tracce dei colpevoli. Vicinanza con l’immaginario di Pinocchio di Collodi. Si ritorna al pozzo, uno dei luoghi simbolici dell’isola. Improvvisamente la scena cambia, Daddo vede che don Ilario sembra essere tornato quello di sempre. Qualcosa è irreversibilmente cambiato. L’iguana è morta. In questo punto si ipotizza che in seguito a tutto l’intreccio dei capitoli precedenti l’iguana non esista più. La morte dell’iguana è avvenuta nel pozzo. Il pozzo come tutti i luoghi che vanno in profondità sono immagini dell’inconscio. Daddo guarda dentro il pozzo come don Ilario. Daddo è come se guardasse dentro se stesso. Dentro il pozzo Daddo vede una creatura bellissima, vestita come se si dovesse sposare, che sta inginocchiata nel fondo del pozzo. “Ma è viva. Ma è un’altra”. L’Ortese dice che guardando meglio non scorse più nulla. Non siamo più in un regime realistico, ma siamo nella fantasia di Daddo, in fondo al pozzo c’è acqua. Daddo, Ilario e un altro uomo lì presente si allontanano dal pozzo. Daddo è preso da una tristezza che lo fa piangere. Grida il nome di Iguana. C’è una corda, vorrebbe scendere. Scena cambia, c’è sempre un rapporto tra Daddo ed Ilario. La Ortese dice sempre che sta sovrapponendo due piani: il reale e l’irreale. Il conte confessa che non capisce più cosa sta succedendo. Dice chiaramente che loro due sono in una condizione di impossibilità di capirsi, vi è un inganno: “Vi è nella nostra educazione un errore di base che costa strazio a molti”. Dal momento che in tutto il racconto Iguana ha provocato continue reazioni nelle vite di tutti i personaggi, sembrerebbe che si dovesse arrivare alla fine a capire qualche cosa, scoprire una verità connessa a questo luogo e a questa presenza. Daddo è conscio che c’è qualcosa da capire, che c’è un errore che tutti si portano dietro. Don Ilario fornisce una risposta molto strana: “Non c’è niente da capire, Dio è morto, è morto…” Dio è morto= non esiste più un principio di verità, non c’è più qualcuno che possa dire la verità. Finché c’è Dio c’è una verità che è riconducibile a lui (divinità); ma se lui non c’è, è inutile cercare una verità. Il mistero al quale Daddo si riferisce è l’iguana, ma in realtà le cose sono complicate. Scena allegorica, serie di immagini che ci devono portare al finale: Daddo guarda fuori da una finestra e vede don Ilario piangere, dietro di lui una ragazzetta grigia e scalza che sta trascinando un grande secchio. Non si capisce dove si trova il conte. Non esiste un codice che rispetta la 71 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 realtà. Gli spazi e i tempi si mescolano tra di loro. Abbiamo qualche possibilità di capire un po’ meglio quello che sta succedendo. Maria Zambrano, filosofa spagnola che ha vissuto in Italia. Ha scritto dei libri molto belli interpretando a modo suo il pensiero di alcuni filosofi del ‘900 (Heidegger e filosofo spagnolo José Ortega y Gasset). Ha vissuto a Roma ed è venuta a contatto con molti scrittori. Ha scritto un libro intitolato “il sogno creatore”: di solito tradizionalmente pensiamo che i sogni abbiano dei significati collegati al nostro inconscio (si considera simbolico ciò che compare in un sogno, spiegazione razionale di ciò che razionale non è), la Zambrano afferma che nei sogni ci sono delle immagini che non hanno un significato razionale, immagini senza razionalità. Le leggiamo perché abbiamo bisogno di dare significati razionali a quelle immagini, che altrimenti rimarrebbero qualcosa di magico, misterioso, non espresso, metterebbero in crisi il nostro pensiero. Se vengono decifrate noi teniamo sotto controllo la minaccia della nostra mente. Le immagini del sogno hanno un potere espressivo che non è riconducibile a razionalità. Una storia sognata non è una storia che va analizzata, perché altrimenti sarebbe sottoposta alla coscienza, che ha bisogno di difendersi da quelle immagini. Se le spieghiamo le riconduciamo alla nostra ragione, le impoveriamo rispetto a ciò che sono, invece dovremmo dare a queste immagini del sogno uno spazio per ospitarle dentro di noi, dovremmo riuscire a ospitarle e fare di queste lunghe catene di immagini parte di noi, in questo modo la nostra ragione diventerebbe una ragione poetica, una ragione che contiene al suo interno fatti che solo la poesia può spiegare. Nella civiltà moderna sono fatti non comprensibili per un uomo normale che agisce secondo principi di razionalità. Uomo normale non ha bisogno di pensare all’anima, all’interiorità, all’inconscio. Va da un professionista che razionalizza. “Noi abbiamo scoperto che in ogni cosa c’è una manifestazione della vita che noi chiamiamo anima. Rapporto con il mondo esterno non esiste più, con ciò che gli circondava, agli uomini di oggi il rapporto esterno non interessa più. A chi interessa capire la sacralità della natura, dei luoghi completamente diversi da quelli che conosciamo.” Negli altri uomini, di altre culture, rapporto diverso con l’esterno. Negli uomini antichi ciò avveniva attraverso miti, che permetteva loro di affrontare vari stacchi dell’esistenza. I sogni sono strumenti che servivano anche a questo. Uomo moderno che realizza realisticamente i sogni. L’Ortese ha praticato un’opera che si rapportasse in modo diverso alla realtà. C’è in lei la volontà di fare della letteratura una realtà creatrice molto diversa da quella di altri autori come ad esempio Calvino. Per Calvino l’irrazionale può essere sempre spiegato attraverso la razionalità. Calvino dice che i miti sono oggetti difficili verso i quali la letteratura deve tendere, deve riuscire a spiegare l’irrazionale, le favole, non si trova mai in Calvino un sovrapporsi di scene come nel caso di Ortese. Il gioco di Calvino sta nel rendere plausibile ciò che non è plausibile (Barone rampante – Cosimo che vive sugli alberi. Anomalia di condotta, di azione, non è un’anomalia mentale, fatto irrazionale che diventa sempre più razionale, rendere plausibile tutto ciò che non è plausibile. Mescolare due piani: Cosimo esempio della razionalità assoluta, che fa qualcosa di irrazionale). Tutto ciò che potrebbe essere spiegato nell’Ortese non viene spiegato. Quello che per noi può sembrare strano non deve necessariamente rispondere alle necessità della vita normale, per filosofi come la Zambrano ha una sua legittimità. “MA TU” -> riferito al Lettore, lunga considerazione interessante. L’Ortese dice di non fare domanda sulla mescolanza di cose, non bisogna cercare una spiegazione nelle azioni di Daddo. Dentro di lui è successo qualche cosa (‘malattia’) che lo ha messo nella condizione di capire, essendo un individuo senza anima all’interno della sua classe sociale, cosa sta succedendo, sta scoprendo la sua anima. Questo racconto è il racconto di ciò che l’iguana provoca sulla coscienza di alcuni uomini, l’iguana è l’unico personaggio femminile. L’iguana con le sue anomalie, che non può essere ridotta a determinate definizioni, agisce in maniera molto particolare sul conte Daddo, lo trasforma profondamente. Scena del processo: Daddo viene processato, è la scena più inspiegabile di tutto il racconto, non capiamo cosa sia questo processo. Chiara volontà dell’Ortese di riprendere il Processo di Kafka, un processo che non avviene. Il processo è abbastanza complesso perché la Ortese ci spiega che Daddo viene portato dentro una grande stanza in cui c’è un giudice e tanta gente che assiste. Improvvisamente appare questo tribunale. Accusato è il conte, lo si vede nel banco degli imputati, accompagnato da un ragazzo che gli tiene la mano per confortarlo, questo ragazzo si rivela don Ilario. Daddo viene processato perché si dice che è lui che ha ucciso Dio. Tanto è vero che il giudice ordina che venga portato nella sala del tribunale il cadavere della vittima. L’Altissimo viene rappresentato 72 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 contatto con il medico che da bambino gli aveva curato le tonsille. Improvvisamente il medico diventa un essere da tenere sotto controllo. Questo controllo è non violento fino a che il dottore rispetta certe regole della società, regola fondamentale è non deve esibire in nessun modo quello che è il suo orientamento. La degradazione del dottor Fadigati avviene quando viene esposta al pubblico la relazione con Deliliers. Non si rende conto di aver usato un nome reale, viene denunciato. Viene sempre chiamato con il suo cognome. Capitolo 13 - capitolo in cui finiscono le vacanze, finiscono tardi, tornano da Riccione il 10 ottobre. Malgrado la bellezza di quel mese di ottobre, succede l’irreparabile: campagna denigratoria che porta alle leggi razziali del ’38. Partenza di Fadigati in rapporto con questo evento. Bassani ricorda quei primi giorni come un incubo. Ci fa capire che simbolicamente l’incubo del dottor Fadigati si rovescia in un altro incubo. Da questo momento in poi le due storie sono legate, la storia del narratore che comincia ad essere ossessionato. Il padre ha l’illusione che gli ebrei che hanno la tessera del fascismo sarebbero stati risparmiati. Giorgio capisce che il padre è un nemico, qualcuno che pensa assurdamente alle cose e quindi si mette in una posizione di assoluto isolamento. Intima lacerazione, come se dentro di lui si spaccasse qualche cosa anche solo al pensiero di tornare a Ferrara. Tutta l’attenzione dei ferraresi si era concentrata su Deliliers e il dottore. Bassani sale su una bicicletta e va verso il cimitero ebraico. Angoscia delle ultime pagine del racconto. La città che ha sempre avuto un volto materno per Bassani ora lo fa sentire un escluso. Incontra Nino che aveva ricevuto una lettera di Deliliers da Parigi. Una lettera ributtante, uno schifo. È Nino a dire a Bassani che fine ha fatto Deliliers. Viene creato ancora un legame più stretto: Fadigati, Deliliers e il giovane che si sente diverso in quanto ebreo. Deliliers sarebbe stato fucilato dai partigiani, la sua tomba sarebbe stata collocata vicino alla tomba del dottore (secondo l’immaginazione dell’autore, che espone in una lettera). Arrivano ad una chiesa. Bassani è infastidito dall’essere insieme a Nino. Si sente escluso. Sente odio verso tutti gli altri, dalla sua prospettiva sono essere ripugnanti, sente di essere ebreo, lo riconosce. Si vergogna del sentimento di odio, impossibile da vincere. La vittima non può che odiare il proprio carnefice. Bassani arriva a considerare la possibilità di essere chiusi in un getto. Gohim = termine con il quale vengono indicati i non ebrei, i cristiani dagli ebrei, cristiani di Ferrara. Ghetto medievale = tra medioevo e rinascimento, veniva concesso agli ebrei di venire concentrati. Grandi archi che corrispondono a questi luoghi in cui venivano chiusi i cancelli di notte. Il problema è che Giorgio si rende conto che in lui sta nascendo un sentimento impuro. Tutti gli amici con i quali sta facendo l’università, tutti gli amici con cui viaggia la mattina sono potenzialmente dei nemici, non perché lo siano ancora realmente, ma perché si stanno creando delle condizioni storiche che inevitabilmente li separeranno. Ritorna in scena il dottor Fadigati, nel mese di novembre (l’autore affida al dottore il compito di insegnare qualcosa). Casa di tolleranza. Giorgio sta uscendo da questo luogo. Vede due uomini che parlano di calcio, della squadra dell’Estense, Giorgio sente dei passi. Sente una voce che dice: “Ma si può sapere cosa vuoi? Hai fame? Stupida, sporcacciona. Non ho niente da darti, lo sai.” L’uomo parla al femminile, il legame è quasi implicito. Appare la sagoma del dottore che sta parlando ad un cane. Cane che segue il dottore mentre sta tornando a casa. C’è qualcuno che ama il dottore, è un essere che ama il dottor Fadigati. Invecchiato. Sono passati pochi mesi. Racconta tutto quello che lo ha ulteriormente degradato: non ha più clienti, l’hanno cacciato dall’ospedale e nessuno lo frequenta più. La cagna ha dei piccoli. La cagna si appiatta sulle scarpe del dottore, vuole delle coccole. “Picchiami, uccidimi pure, e poi mi piace” Bassani fa dire alla cagna il nucleo del disfacimento del dottore. Il dottore si è innamorato del ragazzo più violento, il più distorto, il più malefico, il più distorto. Ha scelto il proprio carnefice. Tutti scelgono un carnefice. Anche gli ebrei si stanno mettendo in una condizione di giustificazione del proprio carnefice. Anche il padre sta giustificando i propri carnefici. Derivazione della scena, non sono cose scritte nel racconto. La cagna sta seguendo la sua natura. Sta seguendo un istinto, si sta degradando. Giorgio si ribella, ammettere di essere un ebreo e come tale essere trattato dagli italiani? In questa frase Fadigati sta insegnando qualcosa a Giorgio, gli sta insegnando un principio morale. Non fare come ho fatto io, che mi sono degradato, devi trovare il modo di vincere la natura distruttiva. Stai attento, questo è il momento in cui bisogna trovare una soluzione, non considerarti semplicemente un ebreo. 06/12 Bassani scrivendo questo racconto ha pensato che, per quello che lui era in quegli anni, non era possibile accettare le regole che la comunità ebraica e la sua famiglia aveva diffuso, una situazione di non reazione e 75 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 di paura. Bassani non aveva mai praticato la religione ebraica, né tantomeno aveva mai applicato in casa sua le regole della religione, ma c’era libertà assoluta (notizie avute dal prof direttamente dalla famiglia Bassani), senza sottomettersi a nessun tipo di dettame o regola. Il discorso proprio passando la presenza della cagna cade su una questione morale profonda: ogni essere umano deve sottomettersi a quella che è la propria natura o può in qualche modo ribellarsi? La cagna accetta la propria natura, pur dovendo essere con i suoi cuccioli, ha seguito il dottore perché ha bisogno di affetto, coccolata da qualcuno. Giorgio prima fece una grande risata, e poi risponde che, pur essendo italiano, dovrebbe ammettere di essere «soltanto un ebreo», e in quanto tale dovrebbe sottomettersi alle nuove leggi: Fadigati sta giustificando quello che ha fatto, mentre Bassani non accetta questa cosa, e il dottore alla sua risposta lo guarda con uno sguardo comprensivo. Vi è un problema identitario molto forte, per il quale Giorgio vorrebbe rinnegare la propria natura: il dottore vorrebbe fargli capire una cosa fondamentale, dicendogli che se avesse seguito la propria natura non sarebbe dovuto essere in compagnia di un vecchio omosessuale, lui eterosessuale; dice che non può ribellarsi del suo essere ebreo, ponendo la questione in maniera diversa, dicendogli che lui non è SOLO ebreo, ma anche tante altre cose, pur all’origine appartenendo a questo tipo di cultura. Il caso del dottore è differente come dice egli stesso, perché dopo quello che è successo l’estate non riesce più a tollerare sé stesso, ma lui non può cambiare «come posso avere degli occhiali da persona normale?» (qui Bassani ricorda l’elemento identitario che da sempre ha caratterizzato l’omosessualità di Fadigati). «Unde redire negant», frase catulliana, indica che il dottore si trova in una zona di isolamento di perdita di identità dalla quale non gli è possibile tornare indietro, non può cambiare sé stesso, e al tempo stesso si disgusta, e quindi è senza identità. Il dottore si trova in una ziona di confinamento che corrisponde alla zona della perdita dell’identità, non può cambiare se stesso, ma il se stesso che è lo disgusta. Per il dottore non c’è niente da fare. Bassani non chiarisce in modo esplicito la scelta di morire del dottore. Sembra che a Ferrara davvero ci sia stato un otorinolaringoiatra omosessuale, che però è stato fucilato nel ’45, e Bassani sicuro conosceva la storia, anche perché la comunità ferrarese era molto piccola. Tutti i personaggi che abbiamo visto non hanno un’identità definibile, ognuno concepito per opere diverse: in realtà noi chiamiamo personaggio ogni elemento fondamentale di un racconto, ritenendo che ogni personaggio corrisponda a un essere più o meno simile agli esseri che fanno parte del mondo reale, ma in realtà non è così, perché gli individui che abitano la letteratura soprattutto dall’800 non sono individui reali, ma anzi mettono in crisi l’idea di individuo per come l’intendiamo noi, ovvero con caratteristiche fisiche e di pensiero ben definite, bensì con caratteristiche fuori dalla norma. Tutti questi personaggi hanno caratteristiche diverse dalla norma, sono tutti personaggi anomali. L’anomalia di Fadigati è molto chiara, e però non incide sulla sua vita, almeno fino al momento in cui esibisce la sua storia d’amore, dividendo un diverso e relegato in una zona dalla quale lui stesso dice di non poter tornare indietro. In tutte le società esistono queste zone di diversità: in Carlo Levi, quando questi incontra il becchino, si rende conto che l’uomo è un diverso, spiegando che in quel paese ci sono regole che lui lentamente impara ma che non sono quelle a cui era stato educato; il carcere è un luogo in cui sono relegati i diversi per regole comportamentali, gli ospedali per le anomalie transitorie. L’anomalia di Fadigati diventa palese nel momento in cui si innamora di Deliliers. L’idea che esprime Fadigati è quella di non rifiutare quello che è. Fadigati e Deliliers sono legati da un rapporto di vittima e carnefice, non è una situazione anomala. La vittima spesso giustifica il carnefice, ma Bassani non può accettare l’odio e risponde con altro odio. La sua famiglia e la sua stirpe stanno scivolando verso una condizione di vittima. Questa è un’affermazione molto problematica perché sembra dire che non c’è via d’uscita, nel senso che se sei odiato o accetti e ti sottometti oppure odi a tua volta. In un racconto come questo capiamo il problema vero: se siamo vittime possiamo ribellarci? Fino a che punto possiamo ribellarci? In società come quella fascista queste anomalie sono portate all’ennesima potenza: Fadigati lo esorta a non rifiutare quello che è, e in seguito Bassani pensando al dottore e a Deliliers porta avanti un pensiero profetico per cui si identifica un rapporto di vittima e carnefice, dove la prima molto spesso giustifica il secondo con il suo comportamento, aggiungendo che Fadigati dice che non sarebbe stato in grado di portare avanti un rapporto di odio corrisposto. Giorgio sa che lui e la sua famiglia stanno per scivolare nella condizione di vittima, dicendo che non è in grado di far altro se non odiare, poiché l’altra 76 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 alternativa è sottomettersi: non vede possibilità di soluzione, ma ricordiamo che questo è un racconto, in cui introduce una forma di consapevolezza non solo rispetto alla sua persona ma anche nei confronti di altri esseri, in virtù di una condizione irrisolvibile che diventa un racconto in cui possiamo stabilire dei rapporti empatici. Prima di salutarsi Bassani esorta il dottore a chiamarlo, e il dottore risponde «mah… chi vivrà, vedrà». Dopo due giorni il dottore lo chiama mentre era a tavola, risponde la madre che lo passa al figlio, che si trasferisce in un’altra stanza (di solito il telefono è sempre posto in una stanza a parte, anche nel Giardino dei Finzi-Contini), chiudendosi nello sgabuzzino: il dottore gli racconta della cagna, che è andata a casa con lui per poi andare in camera da letto con lui, in un angolo della stanza, solo che durante la notte ogni quarto d’ora raspava la porta per uscire, ma lui le ha aperto la porta solo al mattino; alla fine arriva il padrone della cagna che la riporta con sé. Rientrando a casa scopre che durante la notte voleva uscire perché aveva perso latte, in quanto doveva andare ad allattare i propri figli: vi è un processo di identificazione con Fadigati, che per un periodo è stato una madre per Deliliers, al quale ha donato beni materiali, che però poi se n’è andato; è una cagna che non rispetta le leggi della natura, che passa la notte a casa di un uomo soffrendo perché produce latte, andandosene poi con il padrone ritrovato. Per staccare la chiamata si danno appuntamento per il fine settimana per andare a vedere il Po: il dottore gli dice addio e gli augura buona fortuna per tutto. Il capitolo XVIII, l’ultimo, affronta il problema dell’ebraismo: il padre di Bassani dice che il suo avvocato ha incontrato Geremia Tabet, ebreo che ha stretto un patto coi fascisti, uno che fa un doppio gioco di cui tutti sono a conoscenza, molto autorevole, dicendogli che andando a Roma è stato rassicurato da un personaggio importante sul fatto che in Italia non sarà mai promulgata una legislazione sulla razza, e il padre di Giorgio crede a queste parole; la notizia rende tutti felici, ma Giorgio ha una strana reazione, e infatti si mette in un lato della stanza e si sente disperato, non tanto per la notizia, bensì nel vedere il padre così felice, come se l’ansia dei mesi precedenti fosse sparita, e lui non sopportava questa cosa, che lui fosse contento. Pensa che il padre sia come un bambino cacciato dalla classe che si trova in un corridoio della scuola per espiare una colpa, e a un certo punto la porta della classe si apre, lui viene perdonato e riammesso in classe: ciò denota caratteristiche infantili nel padre, mentre lui è ancora memore del senso di solitudine di quei mesi, pensando molto più a Fadigati, con il quale si sentiva molto più vicino rispetto che al padre. L’ultima immagine del padre è la sensazione di sicurezza e protezione sotto il mantello, mentre dormiva. Bassani prende il giornale e legge che un uomo ferrarese è annegato nelle acque del Po, parlando non di suicidio bensì di disgrazia (durante il fascismo non si poteva scrivere di un suicidio, moralmente degradante): era morto il dottor Fadigati. Questa scena è di una contraddizione insanabile, da un lato il padre rassicurato e dall’altro Fadigati morto. Pur non parlando di suicidio si capisce dalle pagine precedenti che si tratta di un evento simile, e non di avvenimenti di altra specie. Giorgio ha imparato qualcosa dal dottore: con lui ha parlato di odio, ma lui non era un uomo odioso, bensì carico di amore. Questo racconto doveva essere solo la prima parte di un racconto più vasto, che sarebbe dovuto essere seguito da un racconto incentrato su di sé. Bassani ha passato dei mesi in prigione, e immagina che di fronte la sua cella passa una guardia fascista, Deliliers, che ancora una volta gli avrebbe proposto qualcosa di osceno: gli aveva proposto una fuga dal carcere; non siamo certi di questa cosa, ma in alcune poesie lui fa riferimento ad «una voce che tenta di corromperlo», così come aveva corrotto il dottor Fadigati. Riesce a fuggire dal carcere e ad andare a Roma con dei documenti falsi, dove si stabilizzerà definitivamente abbandonando Ferrara, per poi riscuotere molto successo. Nelle interviste dice che questo racconto gli ha permesso di parlare di sé e che lui, pur essendo eterosessuale, è riuscito a dare spazio a personaggi come il dottor Fadigati. Viene aggiunto alle cinque storie ferraresi, che poi diventano sei, motivo per il quale poi il titolo non sarà più “le Cinque storie ferraresi” bensì “le storie ferraresi”. GIORGIO MANGANELLI una donna si inserisce nel suo destino, che avrà un ruolo non di una madre bensì quello che del padre non ha mai rispettato, perché questa che all’inizio viene chiamata bambina (poi fata) gli detterà le regole. I capitoli hanno un’enumerazione progressiva e sono 36. Capitolo III: è il capitolo della nascita di Pinocchio, che avviene nella casa di Geppetto, molto povera e costituita da un’unica stanza, con oggetti che sono assolutamente anomali, e sia Geppetto che il falegname che gli dà il legno sono due individui anomali, che vivono da soli e hanno delle manie, con case che sono come quelle di animali, con pochissimi mobili (es. un 77 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 principio femminile senza nessun tipo di sviluppo, è fin dall’inizio una divinità potente dotata di caratteristiche metamorfiche, questa madre è quella che sottopone Pinocchio ad una serie numerosissima di sventure. La fata non insegna, la fata proibisce. A tutte queste imposizioni Pinocchio reagisce sempre al contrario. Si ribella in tutte le forme e ribellandosi in lui qualche cosa cambia, ma i cambiamenti sono sempre connessi (non all’interiorità che non c’è) alla sua esteriorità, piangere, umiliarsi, chiedere l’elemosina, lavorare, il suo naso cresce molte volte per le frasi che usa, deve umiliarsi almeno due volte in maniera evidente per poter avere dalla fata la possibilità di diventare un ragazzino. Dal momento che sono i genitori a fornire al bambino il linguaggio, la bugia è lo strumento con cui si rivendica la possibilità di autonomia rispetto ai genitori. Le avventure di Pinocchio sono da una parte le favole di una maturazione, però una maturazione assurda. La maturazione sta nel liberarsi del suo corpo di legno. La maturazione di Pinocchio può avvenire solo in questo: liberarsi del suo corpo. Può liberarsi uccidendo se stesso. Pinocchio non può morire perché non è mai nato, quando diventa un bambino da una parte nasce e dall’altra uccide il suo precedente essere burattino. Elemento apparentemente illogico che ha fatto di pinocchio un testo interessante all’interno della cultura italiana. Incontri con una serie di animali. Frammenti di favole che Collodi è molto bravo a raccogliere e tenere insieme. Nelle favole la presenza di animali e creature magiche che provocano trasformazioni dei bambini sono presenti in abbondanza. Paure primordiali che vengono simbolicamente rappresentate per insegnare ai bambini che per essere bravi e buoni devono compiere determinati tipi di azioni. Pinocchio molte volte parlando, altre volte usando le bugie riesce a mettersi in salvo. Se lo scopo di questo libro è arrivare al momento in cui Pinocchio arriva a diventare un bambino, lo scopo di questo libro è di uccidere la letteratura. Pinocchio nel momento in cui diventa bambino uccide il se stesso burattino ed uccide anche tutto ciò che ha vissuto come burattino. Clima storico in cui Manganelli scrive Pinocchio, idea di prendere un grande classico della tradizione italiana e dichiarare con un secondo libro che la letteratura va uccisa. In realtà non è detto che sia solo questo, questo potrebbe essere una conclusione, ma non è detto che sia l’unica. Chi è per Manganelli la bambina? Pinocchio fugge dal Gatto e dalla Volpe, attraversa il bosco, trova una casina bianca e comincia a bussare a questa casina, nessuno gli apre e ad un certo punto si apre una finestra e Collodi dice che si affacciò alla finestra una bella bambina, con i capelli turchini, il viso pallido, gli occhi chiusi e le braccia incrociate sul petto. “In questa casa non c’è nessuno, sono tutti morti” frase della bambina, prima apparizione. Subito dopo viene catturato ed impiccato. Manganelli dice qual è il vero mistero della casina. La bambina parla senza aprire gli occhi, senza muovere le labbra, Manganelli la chiama bambola, ma è la signora dei morti. In un certo senso la bambina è come Pinocchio, un umanoide, una bambola con dei poteri, regna su una casa in cui sono tutti morti. Perché tutti morti? Chi sono tutti morti? Tutti significa tutti, la casa è il deposito della vita, quella vita si è spenta. La bambina si dice morta. La casina candida è il deposito della morte. Primo incontro realmente traumatico con la morte. La bambina oltre a dichiarare di essere morta, è indifferente. Pinocchio ha bisogno di aiuto, se lei è una divinità dotata di poteri perché non lo salva? La bambina in modo malvagio vuole far morire Pinocchio. Sa che Pinocchio deve morire. Solo con la morte di Pinocchio potrà iniziare un percorso di nuova vita per Pinocchio. La bambina ha la consapevolezza, è una madre cattiva, perché fa morire il bambino, ma è una madre cattiva perché ha una possibilità di vedere oltre, sa che la morte di Pinocchio è necessaria per la rinascita futura di Pinocchio. La lunare regina delle tenebre: gelida, ignara e indifferente, non può accoglierlo nella sua casa, forse perché non esiste ed è solo un’illusione. La bambina dice che sta aspettando una bara che la venga a portare via. Manganelli si inventa questa idea. Se tutti sono morti, se la bambina aspetta una bara, in realtà l’incontro tra la bambina e Pinocchio è un incontro fondamentale: l’apparizione di Pinocchio libera la bambina dalla condizione di morta. La bambina è una strega che ha bisogno di una magia per tornare a vivere. Incontrando Pinocchio e tornando a vivere, la bambina eserciterà di nuovo il potere su di lui. Secondo Manganelli c’è un rapporto di dare-avere. Se leggiamo tutta l’opera di Collodi in parallelo a Manganelli ci rendiamo contro di una cosa abbastanza conturbante. La bambina pensa solo a come complicare la vita di Pinocchio. Noi potremmo leggere all’interno di questo racconto una specie di allegoria del fatto che le donne non hanno bisogno di crescere, perché sono già completamente consapevoli di tutto. Quando compare è caratterizzata da capelli turchini, elemento che fa coagulare tutto il personaggio, elemento misterioso, inspiegabile, che caratterizza il potere della fata. Se la fata ha tutto questo potere in quanto donna, chi sono quelli che non hanno potere? I 80 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 bambini, in particolare i bambini maschi. I maschi devono conquistare una sorta di umanità, le donne hanno già implicitamente tutte le forme possibili. La fata conquista tutto il suo potere, Pinocchio è destinato a subire continue angherie dal mondo che lo circonda a cominciare dalle angherie della fata. Capitolo 16, mentre Pinocchio stava morendo attaccato ad un ramo della grande quercia, la bambina lo vede dalla finestra. “Impietosita”. Un grosso falco si appoggia alla finestra: “Che cosa comandate, mia graziosa fata?” Buonissima fata che da più di 20 anni abitava presso quei luoghi. Animali che aiutano Pinocchio a guarire e iniziare una seconda serie di avventure. Il racconto prende un’altra struttura. 36 capitoli: Le avventure di Pinocchio. Chiamarlo favola non va bene, non va chiamato romanzo, non c’è codice romanzesco vero e proprio, c’è un codice narrativo. Passiamo un confine e ci rendiamo conto che c’è un elemento che non torna. Manganelli ci dice che si rivela un elemento che non ci aspettavamo, si attraversa un confine, c’è un elemento che non torna. La bambina dai capelli turchini si riaffaccia alla finestra ed ordina agli animali di salvare Pinocchio. La bambina mentiva quando si è dichiarata morta, menzogna atroce che aveva causato l’impiccagione di Pinocchio. Anche la fata usa le menzogne in tutta la seconda parte del racconto, però lei apparentemente mente o tiene nascosto delle cose a Pinocchio a fin di bene, come se mentisse per aiutarlo, però Manganelli non è convinto di questa spiegazione. Anche se quelle della fata sono menzogne pedagogiche, devono servire a Pinocchio stesso, non è una spiegazione convincente. Alleanza tra tutti gli elementi di questo racconto: alleanza tra gli assassini e la bambina stessa, la quercia e la casina dove la bambina abita. Fata buonissima, che vive da più di mille anni nelle vicinanze di quel bosco. Se la bambina sa tutto in quanto fata è lei che ha architettato tutto. Maga magata, rinchiusa in un incantesimo lei stessa. Entrambe queste morti sono frutto di una messa in scena, proprio per questo, da questo momento in poi la bambina e Pinocchio vengono legati da qualche cosa che li rende simili, tutte e due si incontrano attraversando la morte. Difficile ed enigmatica storia amorosa. La bambina inizierà ad amare Pinocchio, amore che possiamo declinare in senso materno ma non solo. Pinocchio per la prima volta viene a contatto con un luogo magico, la selva. Dentro la selva incontra una femminilità morta, che può apparire anche viva. Femminilità oscura, ambigua, imminente e distante, costante ed infinitamente polimorfa. Alterità rispetto al maschile che è Pinocchio. La natura della fata porta rischio e salvezza. La fata gli consentirà di diventare ragazzino. La carrozza sembra un gioco. Colore dell’aria è il nulla, l’aria non ha colore. Oggetto impossibile di definizione. Pinocchio insegue il desiderio di cibo, dentro ci sono savoiardi, ecc… “Golosa carrozza di nulla per il funebre trasporto da burla, di un quasi morto burattino goloso” Manganelli. Il libro di Collodi è una grande mistificazione, una grande finzione. Se andiamo a farla a pezzettini è una storia che non sta in piedi, che non ha nessuna verosimiglianza. Se noi consideriamo un libro un oggetto fisicamente consistente, ogni pagina è fatta di una serie di linee scritte, ogni linea è fatta di un insieme di parole, il libro si disfa e non esiste più, annulliamo la concretezza del testo. Per fare questo abbiamo bisogno di un testo parallelo, il libro originale muore e il libro secondo di Manganelli nasce e cresce mano a mano che il libro originale viene smontato. Pinocchio diventa ragazzino, mano a mano si smonta l’identità di burattino. Può diventare bambino perché le sue avventure da burattino si esauriscono. Paese dei Balocchi trascinato dall’amico, si trasforma in asino, viene buttato in acqua per essere mangiato dai pesci, mentre i pesci lo mangiano rimuovono la carne dell’asino e torna fuori Pinocchio burattino, mangiato dal pescecane. All’interno del pescecane trova Geppetto, anche lui divorato. Pinocchio racconta tutto ciò che gli è successo. Capitolo 36 – Pinocchio trasporta su di sé il padre. Assommarsi di notizie: arrivano alla spiaggia grazie al Tonno, dove compare un altro essere magico, il Grillo parlante che Pinocchio pensava di aver ucciso durante la prima scena del libro. Lo rimprovera Pinocchio per quello che ha fatto. È il fantasma del grillo. Pinocchio deve sottoporsi ad una prova finale: sottoporsi al lavoro. Il babbo è malato e lui deve trovare i soldi per farlo guarire. Si mette al posto dell’asino (Lucignolo) a girare una sbarra di legno che fa girare la ruota della macina. Perché la fata non c’è più? Al posto della fata compare una grossa Lumaca bianca. La fata è in ospedale anche lei malata. Colpita da mille disgrazie non ha soldi per procurarsi un boccone di pane. Cameriera della fata. Menzogna crudele, mette alla prova con materno sadismo la disponibilità del figlio, volontà malvagia per adempiere ai suoi compiti. Manganelli dice di non essere convinto fino in fondo di 81 Marinella Brahja Marco Bazzocchi 23-24 questa interpretazione. La fata non può essere malata perché è una fata, stratagemma per mettere alla prova Pinocchio. La fata ha costretto Pinocchio a compiere degli errori, uno dietro l’altro, è lei che ha costretto Pinocchio ad arrivare a questo punto qui. Far cadere Pinocchio negli errori per fargli trovare un comportamento corretto, sarebbe una madre malvagia perché anziché insegnare subito le cose a Pinocchio, lo ha portato a vivere delle atroci disavventure. Perché la fata sarebbe finita in ospedale? Perché Pinocchio si è allontanato da lei, perché è entrato in altri mondi. La fata sta aspettando che Pinocchio compia un’ultima prova. Il suo essere malata e in miseria la riporta alla condizione di bambina morta di partenza, ha bisogno anche lei di Pinocchio. Ha recitato una parte, assistente del destino. Prova finale di cui Pinocchio si deve far carico, realmente quello che Pinocchio fa adesso ha un significato: lavora per guadagnare pochi soldi per far mangiare il padre malato, ma lavora anche perché in qualche modo sta dimostrando realmente alla fata che è diventato buono. Condizione di poter crescere: si pone a servizio di Geppetto, ma anche della fata. Figlio buono che lavora per mantenere due genitori malati. Quando compare la fata? Pinocchio dopo aver lavorato un numero di ore elevatissimo, vede in sogno la fata che gli dà un bacio. Diventa un ragazzo come gli altri. Il finale di Collodi è meschino e consolatorio. Meschino perché si torna sui soldi, meschino nel senso semi- ironico, il regalo della fata sono dei soldi, dei vestiti, una casa ed è diventato un ragazzino per bene. La fata che compare in sogno non è più malata, da un certo punto in poi la fata compare solo attraverso figure che la sostituiscono, fata che è tornata al suo mondo, mondo che Pinocchio ha percorso ma da cui sta per congedarsi. La fata è un fantasma, quello del sogno è un’esperienza dell’altrove. Pinocchio non è più da quella parte. Il transito si è compiuto scrive Manganelli. La fata grazie a Pinocchio è tornata nel mondo a cui appartiene, della fantasia, della letteratura, Pinocchio invece è tornato nella realtà più banale, i soldi, la casa e il sogno. Manganelli nota una cosa: non c’è un segnale di affetto vero in questo congedo, non c’è tristezza nel momento in cui si lasciano. Questo sogno di Pinocchio definisce i due mondi. Manganelli dice che questo è un corridoio onirico. La fata per l’ultima volta penetra nel mondo dei vivi. Pinocchio il giorno dopo ritroverà quello che abbiamo visto, ha compiuto il suo percorso, ha trovato il tesoro che gli era stato destinato. Manganelli non sembra essere tanto contento di questo finale. Manganelli nota una cosa: la trasformazione di Pinocchio racconta la morte di Pinocchio, durante questo suo sogno Pinocchio burattino ha scelto di morire. Secondo Manganelli Pinocchio ha chiamato attorno a sé tutti coloro che hanno cercato di ucciderlo, ha usato tutta la sua leggenda per uccidersi. Nessuno poteva uccidere Pinocchio se non Pinocchio stesso. Il burattino non si è trasformato, Pinocchio ha scelto di morire per fare spazio a Pinocchio di carne. Nella casa del nuovo Pinocchio, resta il Pinocchio di legno, reliquia morta e religiosa. Il Pinocchio vivo dovrà coabitare con Pinocchio morto. Allegoria della funzione della letteratura: può essere considerata un oggetto inutile, ma può continuare ad esistere da qualche parte. Il pezzo di legno continuerà a sfidare il bambino nella casa borghese. Letteratura: morta ma religiosa, capace di procurare ancora meraviglia. Manganelli ha cancellato il Pinocchio originale, lo ha riscritto dimostrandone le incongruenze, ma ha fatto in modo che Pinocchio non muoia mai. Nessun libro finisce, i libri non sono lunghi sono larghi, la pagina non è che una porta alla sottostante presenza del libro, o piuttosto ad altra porta che porta ad altra porta. Finire un libro significa aprire una porta, che non può essere chiusa, possiamo continuare ad aprire porte che rimarranno sempre aperte. 82
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