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Letteratura italiana da tasso a fine ottocento (da Marino in poi) Alfano, Italia, Russo,Tomasi, Sintesi del corso di Letteratura

Riassunto del manuale di letteratura Italiana di Alfano, Italia, Russo, Tomasi il riassunto inizia da Marino

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 18/11/2020

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Scarica Letteratura italiana da tasso a fine ottocento (da Marino in poi) Alfano, Italia, Russo,Tomasi e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! Letteratura italiana Epoca 6 La fine del Rinascimento e il Barocco Capitolo 4: Giovan Battiata Marino 1. Il principe della stagione barocca Marino è il percorso poetico più significativo del 600, interpretato in questa chiave: ponendo al centro la straordinaria capacità del poeta di rispondere a una nuova letteratura, proiettata oltre glia approdi del grande Tasso, e insieme di realizzarla in opere ampie e maestose che diventano subito un modello non aggirabile per i contemporanei. Biografia carica di ombre e di minacce segnata dal rapporto turbolento con l’ inquisizione 2. Il giovane Marino e la Napoli di fine 500 Nasce a Napoli nel 1569, compie di malvoglia studi giuridici, passione letteraria contrastata dal padre. Frequenta gli ambienti di Matteo di Capua principe di Conca che ha una straordinaria collezione di opere d’ arte che accende nel poeta un profondo interesse destinato a durare nel tempo. In un clima che prevede anche la lezione del naturalismo filosofico fa i suoi esordi poetici con una Canzone dei baci. Intreccio semplice di endecasillabi e settenari. Costruisce una catena di metafore per rendere la dinamica inesausta dei baci degli amanti, fino alla conclusione di taglio sessuale. Novità misurata di concetti e di linguaggio che caratterizza la prima stagione mariniana Nel biennio 1598-1600 vita sregolata, due volte condannato al carcere per svariati motivi tra cui reati sessuali e produzione di documenti falsi. Costretto a lasciare la città. 3. L’ esordio delle Rime nella Roma di Clemente VIII A Roma ha la protezione di alcune delle famiglie più importanti (Crescenzi). Conosce Caravaggio. Grazie alla sua abilita di autopromozione riesce a farsi largo come protagonista di una nuova stagione poetica. Nel 1602 vengono pubblicate a Venezia le Rime dedicate al Crescenzi. Ottengono uno straordinario successo. Grazie a una serie di testi segnati da un felice equilibrio tra tessitura fonica e rete di metafore. Le Rime chiudono con il modello petrarchesco di canzoniere unitario. Ma vanno verso O baci avventurosi, ristoro de’ miei mali che di nettare al cor cibo porgete, spiriti rugiadosi, sensi d’Amor vitali, che ‘n breve giro il viver mio chiudete: in voi le più secrete dolcezze, e più profonde provo talor, che con sommessi accenti, interrotti lamenti, lascivetti desiri, languidetti sospiri, tra rubino e rubino Amor confonde, e più d’un’alma in una bocca asconde. una divisione per temi. Marino le divide in Amorose, Marittime, Boscherecce, Heroiche, Lugubri, Morali, Sacre e Varie. Grazie alle Rime, Marino assume il ruolo di guida alla nuova generazione di letterati. Spicca la “vivacità incredibile” dei concetti così definita dai coetanei. Nelle Rime annuncia l’ imminente redazione della Gerusalemme distrutta, in chiave agonistica con la Liberata tassiana. La Distrutta doveva raccontare la distruzione della citta da parte dell’imperatore romano Tito nel 70 d.C.. Ma non vedrà mai la luce per scarso interesse dell’autore. Già da una lettera di Marino del 1605, all’ artista Catello, si evince la sua preoccupazione per l’ opposizione della censura. Motivo per cui fa pubblicare a Venezia le sue opere. Con l’ aiuto del cardinale Aldobrandini. Ogni opera del Marino dovevano avere un disegno del Castello: una dimensione congiunta di parole e immagini una costante della parabola del Marino. 4. Tra omaggio e parodie feroci: gli anni torinesi Nel 1605 al seguito del cardinale va a Ravenna. Ma è un ambiente che gli va stretto e si guarda intorno. L’ occasione capita nel 1608, con il doppio matrimonio delle figlie del duca di Savoia Carlo Emanuele I con i principi delle casate d’ Este e di Gonzaga. Per l’ occasione compone due testi encomiastici. Si mette in luce fin da subito a Torino oltre che per gli omaggi alla casata anche per la scrittura e la circolazione di suoi testi parodici contro Gasparo Murtola poeta di corte a Torino con il fine di scalzarlo dal suo ruolo e prendere il suo posto. Lo scontro letterario tra i due si fa accesissimo e Murtola decide di passare ai fatti con un agguato al fine di uccidere l’ avversario nel 1609. Murtola viene arrestato e Marino miracolosamente sopravvissuto ne esce da eroe nominato dal duca “cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro”. Si trasferisce stabilmente a Torino alla fine del 1609 fuggendo frettolosamente dal territorio pontificio (Ravenna) perché sulla sua testa pende un ordine d’ arresto del tribunale dell’ inquisizione per “poesie oscene ed empie”. A Torino non si astiene da una condotta rischiosa e a causa di alcuni testi poco riverenti verso il duca, viene arrestato e rinchiuso in prigione per oltre un anno e vengono sequestrati i suoi manoscritti. 5. La svolta decisiva del 1614: la Lira e le Dicerie sacre Nel 1612 ritrova la libertà e la restituzione delle carte. Si impegna per pubblicarne qualcuna. Nel 1614 pubblica la terza parte delle sue rime intitolata la Lira. Qui raccoglie le liriche composte dal 1602 e chiude la sua esperienza lirica. Queste presentano una “nuova maniera mariniana”, la ricerca di metafore e la pratica dei concetti in clausola è più marcata. Il 1614 rappresenta un passo avanti per la sperimentazione delle metafore e nell’ oltranza dello stile, con una parte importante destinata alla sezione dei Capricci. Dicerie sacre innovazione inattesa, prosa sacra. <<Faranno stupire il mondo>> legando insieme la materia sacra e una tecnica inedita, che fa leva sul suo virtuosismo. Ne pubblica 3: - La Pittura, dedicata alla sindone, metafora del Cristo pittore, che lascia impressi i segni delle ferite sul sacro lino; - La Musica, lunga e complessa rielaborazione a partire dalle parole di Cristo pronunciate sulla Croce; - Il Cielo, dedicato alla celebrazione della materia celeste come prodotto della creazione. Le Dicerie sacre accompagnate da un dossier impressionante di citazioni di testi sacri e Padri della Chiesa, allo scopo di dimostrare la propria erudizione nella cultura sacra. Marino aggiunge l’azzardo di una dedica diretta a Papa Paolo V Borghese. Si tratta di un tentativo estremo di Capitolo 5: La poesia barocca tra classicismo e sperimentazione La stagione della poesia barocca è stata giudicata a lungo (fin dal 700) un epoca di decadenza, segnata da un eccesso di sperimentazione che sfociava nel “cattivo gusto”. Solo recentemente è stata rivalutata con una valutazione più approfondita che ha consentito di rivalorizzare le tante esperienze significative del 600. 1. Tra Cinque e Seicento: Gabriello Chiabrera Gabriele Chiabrera nasce a Savona nel 1552 e muore nel 1638, in pieno Barocco. E’ uno degli autori di riferimento del papa Urbano VIII. A cavallo di due epoche interpreta il barocco in modo molto personale. Coniuga prudenza e abilità di gestire il rapporto con i ignori evitando ogni tipo di conflitto. Nel 1582 pubblica le Guerre dei Goti. Di genere epico. Poi altri poemi epici: il Firenze 1615 (sui Medici), L’ Amadeide 1620 ( sui Savoia). Opere lontane da quelle tassiane e mariniane. La sezione più importante della scrittura di Chiabrera è la lirica, da un lato riprende i modelli classici dall’ altro si dimostra capace di una sperimentazione inedita in ambito di metri e ritmi. Le Canzonette 1591 hanno grande successo. Maniere di versi toscani ( 21 componimenti), Scherzi (in tre sezioni di 14, 12, e 44componimenti) e Canzonette morali (16 testi) in queste Chiabrera sfoggia una vasta gamma di soluzioni metriche. Già con le Maniere fa riferimento “all’ aspetto tutto tecnico della sua ricerca”. Alternanza tra ottonari e quaternari con rime semplici. Offre una compagine di pochi testi con una riflessione di gusto oraziano. Chiabrera non cerca il confronto con le nuove correnti barocche (Marino ecc.) cerca di conservare una posizione autonoma , come maestro di una generazione precedente, ritirandosi nella tranquilla dimora ligure. Con l’ elezione al soglio pontifico di Urbano VIII nel 1623, Chiabrera conosce una nuova stagione di centralità quale modello di raffinato dialogo con i classici (Orazio e Pindaro) di contrasto con gli eccessi sperimentali dei moderni. Nel 1625 viene chiamato a Roma dal papa, qui compone 30 Canzonette di argomento religiose. Gli ultimi anni sono in una posizione di grande rilievo. Scrive una breve e interessantissima autobiografia. “Sperimentazione dei nuovi mondi”. Verrà recuperato dall’ Arcadia. 2. Accanto a Marino: geografia della prima poesia barocca In contemporanea con Marino nel 1601 escono le raccolte liriche di Tommaso Stigliani e Gasparo Murtola poeti che saranno fieramente ostili al napoletano, pur condividendone percorsi e amicizie. Spinta a cercare nuovi moduli nuovi contenuti. A Bologna nell’ Accademia dei Gelati, fanno le prime esperienze Cesare Rinaldi e Girolamo Preti ( Salamace 1609, raffinata rielaborazione a amplificazione del racconto di Ovidio, è un capolavoro del genere idillico). Sempre a Bologna si ha la formazione di Claudio Achillini, impegnato nello studio delle leggi e poi diversi incarichi a Parma alla corte Farnese. Pubblica nel 1632 Poesie i suoi testi rappresentano un Barocco pieno e maturo, più avanzato e oltranzista rispetto agli esiti del Marino. Sudate o Fochi sonetto che si basa sulla metafora iniziale dei fuochi impegnati a fondo per forgiare le armi del re di Francia Luigi XIII. A Genova colgono l ‘eredità di Angelo Grillo ( poesia di materia sacra e di vivissima tensione sperimentale sul piano delle immagini), autori come Giovan Vincenzo Imperiali (Stato rustico 3 edizioni 1607, 1611, 1613. Immenso poema di endecasillabi di materia pastorale e mitologico. Offre un modello anche stilistico all’ Adone di Marino) e Ansaldo Cebà (Reina Ester,1615 trattando materia sacra in modo libero finisce sotto la lente del San’ Uffizio). A Napoli l’ Accademia degli Oziosi, divisa tra il modello di Tasso e il culto di Marino. Ospita il percorso di Basile responsabile di edizioni commentate delle rime di Bembo e Della Casa. Qui maturano gli scritti di Giovsn Battista Manso, e soprattutto di Gian Francesco Maia Materdona. Quest ultimo passa dagli esordi lirici di gusto mariniano Cento sonetti amorosi 1628, le Rime 1629; a una produzione matura di materia sacra dopo la sua conversione e dopo l’ assunzione dei voti sacerdotali. Abbandona l’ esperienza profana mettendo il lettore davanti alla precarierà della dimensione umana e alla minaccia della dannazione. Un percorso di normalizzazione in linea con le tendenze di metà secolo. Il posto più rilevante è l’ Accademia degli Umoristi a Roma molti protagonisti del pontificato di Paolo V Borghese (1605-1621). Diventa uno dei luoghi decisivi per la formazione del nuovo gusto poetico. Tra gli accademici vi sono: Guarini, Grillo, Tassoni, Maffeo Barberini, Marino e Preti. 3. Un genere nuovo: Tassoni e l’eroicomico Alessandro Tassoni nasce a Modena nel 1556, compie studi giuridici. Interviene nella letteratura maggiore con le Considerazioni sopra le rime del Petrarca 1609 con cui critica il poeta di Arezzo. Critiche e polemiche che non si risparmieranno anche in futuro su altre opere, letterati e stili. Nella raccolta dei Pensieri (andrà in stampa più volte fino alla edizione definitiva del 1620) la raccolta di tesi brevi in prosa, verrà incrementata da un decimo e ultimo libro Paragone degli ingegni antichi e moderni: discute così il confronto tra modelli classici e contemporanei abbandonando ogni differenza, in nome di una fiduciosa proposta del valore dei moderni. Tassoni è soprattutto legato alla formazione del genere eroicomico. Nel 1622 compare infatti a Parigi la Secchia rapita, poema in ottave di dodici canti. Sceglie di sperimentare una forma inedita e già dalle prime ottave Il «memorando sdegno» ( che apre il poema) prende il posto dell’ “ira di Ahille” dell’ Iliade ed Elena si trasforma in una secchia. L’ altezza del dettato epico viene sostituita da una poesia aperta alla materia umile, nella lingua e nei contenuti. La storia narra dello scontro tra Modenesi e Bolognesi nel corso delle opposizioni tra guelfi e ghibellini del Trecento italiano, mescolando vicende senza particolare attenzione al dato storico. Centro del racconto la secchia rubata dai Modenesi alla città di Bologna. Personaggi improbabili (Conte di Culagna) dietro il quale è possibile che Tassoni abbia voluto ricalcare personaggi contemporanei. La parodia di Tassoni è un esperimento estremamente raffinato ( oltre a parodiare il genere epico va quasi a sancirne il tramonto nella tradizione letteraria italiana). Tassoni definisce “Poesia misurata” che piace a tutti. La Secchia rapita ha un grande successo e dopo attenta correzione (in vista dello scoglio del Sant’Uffizio), ne stampa a Roma l’ edizione definitiva del 1630. Tassoni da il via al genere del genere eroicomico che avrà larghissimo successo e diffusione. 4. Contro Marino: la poesia del circolo barberiniano Maffeo Barberini nasce a Firenze nel 1568, e già nel 1606 è cardinale. Maffeo è autore di odi latine si dalla giovinezza. Stringe rapporti con numerosi letterati. Collabora ad alcune opere. Auspica al ritorno a una classicità composta e misurata. Grazie all’ elezione al soglio pontificio come Urbano VIII nel 1623, nasce il circolo barberiniano che auspica a una poesia che coniughi il modello di Petrarca sul piano dello stile con quello di Orazio e Pindaro. Il circolo attacca neanche troppo velatamente Marino e la poesia Barocca. A metà secolo, scomparsi i promotori, la proposta della classicità misurata perde un po’ di forza. 5. La poesia di pieno e tardo Seicento e le sistemazioni teoriche Ciro Pers nato in Friuli nel 1599 da una famiglia nobile, studia a Bologna in contatto con Preti e Achillini. Opere pubblicate postume. Poetica segnata dalla ricerca metaforica e curvatura di ordine morale impressa alle sue composizioni concettose. Poesie sugli orologi tema della fugacità del tempo. Giacomo Lubrano (1619-1693) esperienza lirica di matrice sacra. Emanuele Tusaro autore dell’opera più importante del 600 italiano il Cannocchiale aristotelico Tusaro nato nel 1592, divenuto a vent’ anni gesuita. Il Cannocchiale aristotelico mira a una teorizzazione della poesia moderna soffermandosi sul valore delle figure retoriche. Capitolo 6: La riflessione politica e morale 1. Sotto il controllo della Spagna Nel Seicento gravi problemi economici. In Italia la presenza dominatrice spagnola spinge a un largo dissenso e alla riflessione storica e politica che ha in Machiavelli un modello ineludibile e che nel XVII sec. raggiunge esiti pregevoli. Le vicende storiche diventano oggetto della narrazione o argomento di riflessione. 2. << Ragion di Stato>> e tacitismo In questo periodo matura la questione intorno alla “ragion di Stato”, i teorici affermano la preminenza della politica sulla morale, per salvaguardare l’ interesse sullo Stato. Connesso alla “Ragion di stato” è il recupero di Tacito, che avviene già nella seconda metà del 500 e prosegue lungo il 600. Nel corso del 500 si sviluppa il tacitismo, quell’ interesse verso Tacito, che negli Annales aveva descritto il despotismo dell’ imperatore Tiberio. Modello tacitiano adoperato in maniera molto fluida, ora per giustificare l’ assolutismo ora per criticare la tirannide. Giovanni Botero (1544-1617) nei suoi testi politici condanna apertamente Machiavelli e quell’ uso di Tacito che difende il potere assoluto. In Della ragion di Stato (1589) propone una teoria in cui convergono <<Ragion di Stato>> e principi di natura morale e religiosa. 3. Paolo Sarpi Nasce nel 1552 a Venezia, a 13 anni entra nell’ ordine dei Servi di Maria. Diventa prima teologo presso i Gonzaga. Poi torna a Venezia dove dal 1575 al 1585 approfondisce la cultura scientifica che influisce sul pensiero e sulla scrittura. Sarpi entra in attrito con la Chiesa per le sue frequentazioni di “eretici”. Contrasto che si inasprisce con il conflitto tra Papa e Venezia, che porterà alla scomunica della città. In tal senso scrive il Trattato dell’ interdetto (1606), sostenendo 4. Galileo tra Gesuiti e Lincei: le <<lettere copernicane>> La fama di Galileo raggiunge presto mezza Europa. Nel 1611 Galileo si trasferisce a Roma convinto di poter convincere la Chiesa. Entra in contatto con gli ambienti Gesuiti. Entra a far parte dell’Accademia dei Lincei (avanguardia della cultura moderna italiana, con interessi in vari campi scientifici e aperta alla sperimentazione). Nella seconda metà del 1611 torna a Firenze. Galileo per le sue scoperte diventa al centro delle discussioni. Nel 1613 rispondendo a un suo allievo, il Castelli, espone la sua opinione sul rapporto tra scienza e fede. E’ la prima delle cosiddette <<Lettere copernicane>> testi con i quali Galileo, in forma privata, cerca di sciogliere il problema dei rapporti tra scienza e dottrina cristiana. Nelle quali definisce Natura diretta emanazione del magistero divino. L’ Istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari (1613). Galileo si spinge su un terreno rischioso, muovendosi con troppa fiducia e poca prudenza. Nel 1616 viene promulgato il “Salutifero editto” con il quale si sancisce la condanna della teoria di Copernico che prevede il movimento della Terra intorno Sole, contrastante con la teoria della Bibbia. 5. Le comete del 1618 e la nascita del Saggiatore In risposta a una critica di Grassi (sulla comparsa di 3 comete). Galileo risponde con il Saggiatore che scrive tra il 1620-1621, che ha come destinatario Virginio Casarini giovane membro dell’Accademia dei Lincei. Viene pubblicato nel 1623. Riprende le posizioni di Grassi e le smentisce puntualmente. Registro tra ironia e caricatura. Galileo trasmette l’ entusiasmo di una ricerca che si misura direttamente con la natura, senza mediazione condizionante dell’ autorità. Il filo conduttore è un’ indagine condotta in maniera sperimentale, verificabile sul piano dei sensi. 6. Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo La stagione successiva al Saggiatore è segnata da un rinnovato ottimismo. Il passaggio dal Discorso al Dialogo è da questo punto di vista un’innovazione strutturale decisiva, la chiave di volta di un capolavoro. L’ opera è già pronta nel 1630 e Galileo avvia una serie di contatti per avere il benestare alla pubblicazione. Lettura di Niccolò Riccardi ( celebre e severo lettura al servizio della controriforma). Galileo deve accettare diverse modifiche al testo, a partire dal titolo, ribattezzando l’opera Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Presentando appunto un confronto tra i sistemi di Tolomeo e Copernico, un confronto puramente teorico. Viene approvato da Riccardi nel 1632. L’ opera si apre con una dedica ai Medici e con la presentazioni dei personaggi. Con un ambientazione quasi contemporanea. 1. Giovan Francesco Sagredo (1571-1620), nobile veneziano allievo di Galilei 2. Filippo Salviati (1583-1614), fiorentino, anche egli allievo di Galilei; 3. Simplicio, nome che nasconde un “filosofo peripatetico” che non vuole nominare esplicitamente. I dialoghi si svolgono in 4 giornate a Venezia, nel palazzo Sagredo, le dinamiche vedono le argomentazioni di Salviati opporsi a quelle di Simplicio. 1. Prima giornata: esposizione di presupposti teorici di eliocentrismo e geocentrismo 2. Seconda giornata: discussione del possibile moto diurno di rotazione della Terra intorno al proprio asse. 3. Terza giornata: discussione del possibile moto annuo della Terra intorno al Sole. 4. Quarta e ultima giornata: descrizione del fenomeno fisico delle maree, fenomeno che dovrebbe offrire la conferma del moto terrestre. Lo sviluppo degli argomenti prevede numerose digressioni, con inserimento di scorci sulle sue scoperte più antiche. Il Dialogo diventa una sintesi dell’ intera opera Galileiana. Sagredo, Salviati e Simplicio danno vita a una sorta di commedia scientifica nella quale i singoli fenomeni vengono letti sia in chiave tolemaica che copernicana. Simplicio impegnato in dichiarazioni cariche di superbia in favore del suo sistema. Finisce per essere sopraffatto dall’ esposizione di Salviati. Il disegno dell’ opera culmina nella quarta giornata. Il Dialogo è un opera straordinaria sul piano scientifico e insieme eccezionale sul piano letterario. 7. La condanna dell’inquisizione e gli ultimi anni. Dopo la stampa del Dialogo, si trova nelle mire di un inattesa e improvvisa reazione di Roma. Partita direttamente dal Papa Urbano VIII che crede di essere caricaturato da Simplicio. Il processo inizia il 12 aprile 1633 e la sentenza di colpevolezza avviene il 22 giugno. Costretto all’ abiura in pubblica piazza. Gli viene posto un soggiorno forzato nella villa di Arcetri. Qui muore l’ 8 gennaio 1642. Ma già da molto tempo era in pessima salute e completamente cieco. Epoca 7 L’ Arcadia, l’Illuminismo e la stagione delle riforme Introduzione 1. La reazione al Barocco tra Italia e Francia Nel 1690 un gruppo di letterati si riunisce per fondare l’ Accademia dell’ Arcadia. 2. La poesia di primo 700 e Metastasio La prima produzione poetica dell’Arcadia è caratterizzata da un’attenzione estrema all’ aspetto formale, la ricerca di un’eleganza ottenuta in un certo senso per sottrazione, attraverso la sottrazione di un linguaggio misurato e la costruzione-descrittiva di immagini raffinate. Nel giro di pochi anni si ha una trasformazione della poetica, si definisce una poesia guidata da un ideale di misura, nella quale alla linea di sperimentazione pindarica si preferisce piuttosto il più sicuro ritorno al modello di Petrarca: gli esiti , spesso circoscritti e esili nei temi quanto accurati nella veste, saranno presi di mira come esercizi di vacuo formalismo dagli intellettuali delle generazioni successive, ma rappresentano un esempio significativo di una precisa stagione della cultura italiana. L’ esperienza più importante del primo 700 è quella di Metastasio. Metastasio costruisce i suoi drammi su una consapevolezza sempre maggiore, mettendo in mostra in diversi casi quasi una linea pedagogica. 3. Erudizione e filosofia nel secolo dei Lumi Un aspetto caratterizzante della cultura di inizio Settecento è rappresentato dall’ intreccio tra una ricerca accurata volta al passato, mirata a cogliere le origini delle istituzioni e del vivere civile e il ruolo esercitato dalla poesia in queste dinamiche, e le istanze di riforma che animano il presente. Vi è fiducia in una prospettiva razionale, nella possibilità di conoscere e intervenire sui processi storici, attivando percorsi di riforma e di miglioramento della condizione degli uomini. 4. Teatro, società Nel teatro e nella commedia Goldoni a Venezia che rivoluziona il mondo della commedia. 5. Illuminismo a Milano Centro più dinamico in dimensione europea è Milano. Qui dopo il passaggio dal domino spagnolo a quello austriaco nascono l’ Accademia dei Trasformati e l’ Accademia dei Pugni. Di quest’ultima sono protagonisti Alessandro e Pietro Verri e Cesare Beccaria. Negli stessi anni Parini si dedica al Giorno, il più coraggioso progetto letterario del secondo 700. Parini sostiene un intervento civile della poesia. Capitolo 1: Arcadia 1. Un’accademia per il ripristino del buon gusto letterario In Italia si cercano le condizioni per la fondazione di un soggetto che, raccoglie i frutti delle iniziative di fine Seicento per “rimettere il buon gusto”. A Roma nel 1690 nasce l’Accademia dell’Arcadia. Il periodo di maggior successo e autorevolezza coincide con la guida di Giovan Mario Crescimbeni (fino al 1728) grazie alla sua opera organizzativa l’accademia diviene il centro di una rete internazionale che mette a sistema varie iniziative riformatrici e promuove la riflessione sulla specificità della tradizione letteraria italiana. Il ripristino del “buon gusto” implica una rilettura critica del passato. Nel mille 1711 si ha lo scisma dell’Arcadia, avviene per la contrapposizione del pensiero di Crescimbeni (vincente ma con la tendenza a chiudere l‘Arcadia in un esercizio vacuo e conformista) e quella filosofica-civile di Gian Vincenzo Gravina (più complessa ma in prospettiva più feconda). 2. Premesse seicentesche Alla fine del 600, per l’ influsso dei modelli letterari, filosofici, scientifici e religiosi francesi e inglesi, si afferma anche in Italia l’ idea di diversità e superiorità della modernità rispetto ai secoli precedenti. Eustachio Manfredi contribuisce alla riforma del buon gusto con il recupero della forma di Petrarca. Paolo Rolli si forma alla scuola di Gravina è un giovane prodigio. 6. La riforma del melodramma Il moderno dramma per musica, costruito sull’ alternanza del recitativo (in endecasillabi e settenari con o senza rime) e arie (strofette in metro lirico) dedicati all’ espressione degli affetti. Le più convincenti proposte di riforma arrivano da Venezia. Apostolo Zeno rimodula la struttura dei drammi per musica, sacri e profani, secondo norme classiche a gusto arcadico: semplicità, organicità, funzione educatrice della poesia. Le unità d’ azione tempo e spazio sono tendenzialmente riproposte, gli intrecci sono semplificati per garantire la verosimiglianza, il numero di personaggi è ridotto e limitato ai soli caratteri seri. Vengono studiati ingressi e uscite per evitare scena vuota. Si hanno limiti drammatici, inesattezze metriche e si aggiungono disarmonie strutturali e una certa difficoltà nelle arie e nell’ espressione degli affetti amorosi. 7. L’ Arcadia dopo Crescimbeni (1729-1824) Dopo la scomparsa di Crescimbeni si iscriveranno altri autori del calibro di Parini e Alfieri. Si apre in ritardo all’ illuminismo e atematiche scientifiche. Questa apertura prenderà il nome di “seconda Arcadia”. Viene meno l’ organizzazione avuta con Crescimbeni, e far parte dell’ Accademia diventa solo un titolo onorifico. Nel 1824 perso il suo prestigio, e divenuta causa di ridicolo, l’ Arcadia si riduce ad avere solo una dimensione Romana. Capitolo 2: Pietro Metastasio 1. Teatro d’ affetti, armonia di ragione Bimbo prodigio e discepolo di Gravina. Riformatore dell’irriformabile dramma per musica. Contro gli eccessi barocchi e contro gli anatemi arcadici. Opta per un dramma logocentrico ed antropocentrico. Poesia è guida di tutte le arti che concorrono nello spettacolo. Centro del dramma Metastasiano è la vita interiore dell’ uomo, analizzata nelle passioni, soprattutto ma non solo amorose. La tragedia metastasiana punta a una drammaturgia della felicità, sia per diletto che procura, sia per l’ utile che propone mettendo in scena modelli positivi. 2. Fra Roma e Napoli: formazione ed esordi (1698-1718) Pietro Trapassi nasce a Roma il 3 gennaio 1698. Infante prodigio (già a 11 anni parla in versi). Nel 1709 Gravina lo nota, e lo sceglie come discepolo grecizzandogli il cognome (Metastasio) e lo educa alla lettura dei classici greci e latini, di Ariosto e Trissino. Di nascosto dal maestro legge anche Tasso, Guarini e Marino. Appena quattordicenne compone una tragedia Giustino tratta dall’ Italia liberata dai Goti di Trissino. Gravina lo porta a Napoli e poi a Scalea dove lo affida al cugino Caloprese per completarne la formazione filosofico-politica all’ insegna del razionalismo. Rientrato a Roma studia diritto e nel 1714 prende gli ordini minori. Nel n1717 viene stampato Giustino nel volumetto Poesie di Pietro Metastasio. La morte di Gravina avvenuta 6 gennaio 1718, lascia come suo erede materiale e spirituale l’ allievo prediletto. Il 15 aprile 1718 Metastasio entra nell’ Arcadia con il nome di Artino Corasio. 3. Nascita << Alla luce del pubblico>>: Napoli (1719-1724) Nel 1719 nasca Roma e va a Napoli capitale del Viceregno Asburgico. Qui ci sta per 5 anni. Nel 1721 gli viene commissionato dal viceré, per il compleanno di Elisabetta l’ imperatrice d’ Austra, la cantata Gli Orti Esperindi, musicata da Nicola Porpora ( a cui Pietro deve il completamento della sua educazione musicale. 1722 sempre per il compleanno dell’ imperatrice compone Angelica segna l’ amicizia e collaborazione duratura per tutta la vita con il ‘Gemello’ Carlo Braschi attore detto “il Farinello” Nel 1724 collaborazione con la Romanina con l’ opera Didone abbandonata. Metastasio si dedica all’analisi degli affetti, si fa così poeta delle emozioni e degli stati d’ animo. 4. Roma (1724-1730): uomo di teatro Nel 1724-25 Metastasio accompagna i successi della Didone e della Romanina a Roma e a Venezia. Siroe (1726), Catone in Utica (1727), Ezio (1728), Semiramide riconosciuta, Alessandro nelle Indie(1729), Artarsene (1730). I successi di pubblico ei contatti con la nobiltà filo asburgica napoletana hanno frutto: il 31 agosto 1729, grazie a Marianna Pignatelli-Althann, sorella del principe di Belmonte, favorita di Carlo Vi, Metastasio viene invitato a succedere ad Apostolo Zeno nella carica di poeta imperiale. 5. Vienna (1730-1782) Giunto a Vienna il 17 aprile 1730, qui vi starà per più di 50 anni Riassunto Riformatore dell’irriformabile dramma per musica, poeta sensibile degli affetti e del loro controllo, precettore d’élite amato dal popolo. Egli si dedica al teatro per musica: opta per un dramma logocentrico ed antropocentrico; la poesia è guida di tutte le arti che concorrono alla realizzazione dello spettacolo. Centro del dramma metastasiano è poi la vita interiore dell’uomo, analizzata nelle passioni, soprattutto ma non solo amorose, di personaggi grandi ed anime belle: la loro forza tumultuosa fa dell’uomo un essere instabile, un campo di forze contrastanti che solo grazie alla ragione può indirizzare positivamente la propria energia vitale. Egli sceglie una drammaturgia della felicità, sia per il diletto che procura, sia per l’utile che propone mettendo in scena modelli postivi: il teatro musicale diviene un luogo d’educazione. Egli riceve una formazione filosofica-politica all’insegna del razionalismo, in particolare a Cartesio, basilare per l’analisi dell’interiorità e la costruzione dei futuri personaggi e drammi, e a un’idea di monarchia come custodia della pace sociale contro gli egoismi dei singoli. Il quinquennio a Napoli, dal 1707 capitale del Viceregno asburgico, sarà decisivo; impegnatosi come avvocato, si dedica però alla poesia stringendo relazioni con la nobiltà filoasburgica. Queste occasioni teatrali destinate a spettacoli privai per un pubblico aristocratico portano Metastasio sostanzialmente fuori dall’ortodossia arcadica. Sottolineando la primazia non solo della parola ma della necessità di coerenza drammatica rispetto alla musica e alle altre arti che contribuiscono a realizzare lo spettacolo drammaturgico. Didone abbandonata (1724): il dramma è costruito tutto sulla volitiva e impulsiva figura di Didone, dove la sua affermazione di sé è contrapposta alla debolezza dell’irresoluto Enea. Il dubbioso ondeggiare fra una ragione e l’altra, fra un effetto e l’altro, è un tratto tipico di moltissimi eroi metastasiani, come pure è tipica la contemporanea presenza nell’animo di più istanze e passioni, anche fra sé contrarie. Si fa così poeta delle emozioni e degli stati d’animo, autore di drammi in cui conta il percorso di formazione morale che attraverso il variare costante d’opposti affetti porta al loro contemperamento e alla quiete interiore. Il cinquantennio austriaco segna il culmine e il lungo declino dell’arte di Metastasio: nel turbarsi gli equilibri politici con la salita al trono di Maria Teresa e le consecutive guerre di successione austriaca, egli si mantiene fedele a un ideale, poetico-politico, di razionalismo e di moderatismo. Si concentra perciò su una semplificazione dei drammi, poco concedendo alla spettacolarità scenica ma curando attentamente la funzione drammatica della gestualità dei personaggi e l’approfondimento della loro psicologia, e d’altra parte enfatizzando la riflessione sulla regalità in funzione educativa. Il primo dramma che pubblicherà nel 1731 è Demetrio. Capitolo 3: Critici e storiografici del 700 L’elaborazione culturale della prima metà del XVIII secolo si fonda sulla ricerca storica e sull’erudizione, strumenti necessari alla ricerca della verità. Enorme influenza, sia a livello teorico sia per la creazione di un nuovo gusto letterario e artistico, hanno inoltre la filosofia cartesiana e l’opposta riflessione dell’empirismo inglese; volendo mettere in evidenza la necessità dei moderni, affrontando questioni fondamentali quali il rapporto fra verità e invenzione, ragione e fantasia, il buon gusto, il ruolo del poeta e della letteratura. Ludovico Antonio Muratori: Nell’opera di Muratori i principi del razionalismo di fine Seicento e inizi Settecento sono posti al servizio di una rivolta essenzialmente alla cultura italiana da una parte e alla fede cattolica dall’altra. Muratori si pone come obbiettivo il ritrovamento dei “primi principi dell’arte” e delinea un ideale di medietà fra fantasia e misura apprese grazie ai precetti della tradizione e l’imitazione dei migliori poeti. All’educazione dei giovani al buon gusto, cioè alla verità o verisimiglianza dell’espressione poetica, e a una poesia attenta ai contenuti finalizzata, nell’ultima parte dell’opera, l’analisi dei difetti e pregi stilistici di moltissimi testi. Il buon gusto diventa qui capacità di indirizzare la cultura per promuovere e migliorare la condizione degli uomini facendosi comprendere da essi. Diventa, il buon gusto, anche metodo di ricerca erudita e storica, contrastando i pregiudizi grazie all’esatta ricostruzione dei fatti passati, al recupero di antichi testi e documenti dimenticati e al loro vaglio critico. L’erudizione muratoriana, mai fine a sé stessa ma sempre rivolta alla comprensione e alla riforma del presente, mostra così i suoi legami con la riflessione religiosa e spirituale, nella quale Muratori unisce un vivo senso di pratica carità cristiana con un approccio razionale. Riformismo religioso e politico s’intrecciano nel pensiero di Muratori in vista di un miglioramento delle condizioni sociali, soprattutto delle classi povere; il rapporto fra popolo e principe è così fondato su un patto che pone il sovrano-padre alle dipendenze dei suoi molti figli, fondamentale per la realizzazione di questo ideale di principe è quindi l’educazione di questi secondo principi della ragione e del Vangelo. Capitolo 4: La stagione dell’illuminismo tra il Veneto e Napoli Rusteghi (1759-1760), un capolavoro in dialetto che narra dell’ opposizione tra 4 mariti i “Rusteghi”, chiusi in una morale rigida, e le mogli che, nella varietà dei caratteri, offrono il modello di una visione più aperta e intelligente della vita e delle convenzioni della società. Una complessa trilogia: Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura tre commedie leggibili autonomamente e allo stesso tempo da intendere come tessere di un quadro complesso sulla << Mania>> della villeggiatura. Baruffe chiozzotte (1762) protagonista il popolo minuto di Chioggia, un’opera dialettale che mette in scena un gioco di incastri e simmetrie tra le diverse figure di popolani, impegnati nella ricerca dell’ amore e della sistemazione matrimoniale. Scene di vita quotidiana. L’ unico elemento esterno è rappresentato da Isidoro, rappresentante dell’ autorità veneziana. Una delle ultime sere di Carnovale (1762), commedia dal tono autobiografico. Nel mille 1762 Goldoni lascia Venezia per raggiungere Parigi su invito della Comédie italienne. 9. Il soggiorno francese e i Mémoires (1762-1793) Dopo un lungo viaggio, raggiunge Parigi nel 1762. Qui trova un clima molto diverso da quello veneziano ed è costretto a accantonare in parte la sua riforma. Dal canovaccio francese l’ Eventail da vita alla commedia Il ventaglio destinata al pubblico veneziano. Nel 1771 compone Le Bourru bienfaisant (il burbero benefico) ha un grandissimo successo. In questi anni francesi incontra Diderot, Rosseau, Voltaire. Nel 1783 a più di 75 anni inizia a scrivere Mémoires (nel 1782 Confessions di Rosseau), la composizione dura 5 anni e si divide in tre parti. - Parte prima: Infanzia, formazione e giovinezza (movenze di un romanzo di formazione) - Parte seconda: gli anni della scrittura teatrale a Venezia (un articolato manifesto di poetica, a difesa della propria riforma) - Parte terza: gli anni francesi (romanzo di viaggio e un saggio su costumi francesi) Viene pubblicato nel1787 ma non riscontra l’interesse del pubblico. Gli ultimi mesi di Goldoni sono turbati dagli sconvolgimenti rivoluzionari che gli vedono revocare la pensione ne giugno del 1792, provvedimento che lo riduce in miseria. Muore a Parigi il 6 febbraio 1793. Capitolo 6: Milano e l’illuminismo lombardo 1. Illuminismo e giornalismo Nell’ inverno tra 1761 e 1762 nasce a Milano l’ Accademia dei Pugni, nome che viene dato per indicare l’animosità dei dibattiti: uno spazio di sociabilità dove si traducono in territorio milanese le idee di rinnovamento culturale, politico ed economico della società civile, elaborate dagli illuministi francesi Voltaire, d’ Alambert, Dideraut, Rosseau e Condillac. Esponenti dell’ Accademia dei Pugni sono i fratelli Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria; Giambattista Biffi, Luigi Lambertenghi, Alfonso Longo, Giuseppe Visconti di Saliceto. Nel 1763 nasce Il “Caffè” periodico di lingua, letteratura, costume, economia e politica che esce ogni 10 giorni, dal giugno del 1763 e il novembre del 1766 per un totale di 74 fogli poi riuniti in 2 tomi. 2. Una famiglia nell’ età illuminismo: i fratelli Verri Gabriele Verri ha 4 figli. Pietro Verri (1728-1797), dopo gli studi filosofici a Parma, torna a Milano dove, oltre a innescare, l’esperienza sei Pugni e del << Caffè>>, e a pubblicare saggi politici, diviene funzionario asburgico su temi tributari e economici. Alessandro Verri (1741-1816) dopo aver composto negli anni del << Caffè>> un Saggio sulla storia d’ Italia. Tra il 1766 e il 1767 fa un viaggio a Parigi con Beccaria e poi a Londra, per poi trasferirsi a Roma. Carlo Verri diventerà senatore del Regno di Italia sotto Napoleone. Giovanni Verri Cavaliere dell’ordine di Malta. Ha una relazione con Giulia Beccaria da cui nascerà Alessandro Manzoni Con il viaggio di Alessandro inizia una fitta corrispondenza con il fratello Pietro, più di 3800 lettere scritte tra 1766 e 1797. Due visioni politiche opposte. Pietro più progressista, scrive Osservazioni sulla tortura iniziate nel 1760 e pubblicate nel 1777 Alessandro ha una visione di moderatismo politico. Illustrato nelle Notti romane. 3. Un intellettuale europeo: Cesare Beccaria Cesare Beccaria (1738-1794), consegue nel 1758 il dottorato in legge presso l’ ateneo pavese. Trasgredendo al padre sposa Teresa Blasco con cui nel 1762 ha una figlia, Giulia Beccaria che sarà la madre di Alessandro Manzoni. Scrive Dei delitti e delle pene che inizialmente pubblica anonimamente nel 1764. E’ l’ opera più importante dell’ illuminismo italiano. Ha un grandissimo successo e viene pubblicata e tradotta in tutta Europa. Capitolo 7: Giuseppe Parini 1. Il poeta fra <<I cenci e l’ oro>> del Settecento La traiettoria poetica e culturale di Parini occupa l’intera metà del Settecento milanese: formazione arcadica, apertura all’Illuminismo, gusto neoclassico. La sua estrazione provinciale, povera e plebea è all’origine del particolare punto di vista da cui egli osserva la società e gli uomini, e ne immagina la riforma. La sua percezione della strutturale ingiustizia della società, dell’immortalità dei privilegi e delle ricchezze di una aristocrazia neghittosa e corrotta, vantaggi economico-sociali ingiustificabili. D’altra parte, l’orgogliosa consapevolezza d’essere poeta, di far parte di un’aristocrazia spirituale, lo rende consciamente diverso dai cenciosi plebei per nascita e per spirito. Sensibilità per una letteratura che, da un lato, con le armi della satira e dell’ammonimento inviti ed educhi a una riforma razionale e morale dell’uomo e della società, dall’altro, tramite la lode del merito, l’adesione alla verità e la proposta di una bellezza incontaminata, celebri il vero oro e la vera nobiltà dell’esistenza. 2. Formazione ed esordio di Ripano Eupilino Giuseppe Parino nasce a Bosisio sulle sponde del lago di Pusiano (latinamente Eupili) il 23 mag 1729. Decimo figlio di un piccolo commerciante di seta, nel 1738 viene mandato a Milano da una prozia. Qui frequenta la scuola dei padri Barnabiti. Ha a patto di accedere al sacerdozio una piccola eredità dalla prozia. Nel 1752 anno in cui si diploma pubblica grazie al sostegno di amici Alcune poesie di Ripano Eupilino. Con questo pseudonimo Ripano anagramma di Parino ed Epilino indicante il loco natio. Autoantologia divisa in due parti: sonetti seri e i testi piacevoli. Quest’ ultime satire sono condite da un linguaggio scurrile rappresentano una polemica letteraria, e gli ambienti di un umanità degradata. La propria immagine di poeta plebeo e povero e quindi libero. 3. Poeta e prosatore in accademia Nel 1753 entra nella Accademia dei Trasformati, di recente ricostruita da Giuseppe Maria Imbonati. Nel 1754 è ordinato sacerdote, e da quest’anno fino al 1762 abita come precettore nella casa del duca Gabrio Serbelloni. Parini legge in modo critico i testi illuministi. 3.1 Prose La più importante e significativa è il Dialogo sopra la nobiltà, qui Parini critica l’ insensatezza del vanto di una nobiltà di sangue disgiunta da una personale nobiltà di spirito. IN quest’ opera inscena il dialogo tra due cadaveri, di un poeta e di un nobile, accidentalmente finiti accanto, nonostante la diversità dei rispettivi funerali e sepolture. Il Nobile reclama anche sotto terra il suo diritto di nascita a stare discosto dal Plebeo, il poeta ribatte convincendo il nobile della falsità dei suoi convincimenti. La critica alla nobiltà di Parini è indirizzata al singolo e alle sue opinioni , alla società e ai costumi, ma anche alla poesia e alla letteratura. Altre opere satiriche sono Discorso che ha servito d’ introduzione all’Accademia sopra le Caricature (1759) e le Lettere del Conte N.N. ad una falsa divota. Tradotte dal francese (1761) quest’ ultimo romanzo epistolare incompiuto. Nel Discorso sopra la poesia (1761), qui la componente didattica della letteratura è teorizzata, qui Parini rivisita l’oraziana mistione di utile e dulce alla luce del coevo riformismo illuminista e d’un estetica sensista. La poesia produce un vero diletto, quanto più il poeta riuscirà a rendere sensibilmente percepibile di ciò che imita, tanto più riuscirà ad essere persuasivo. Nel 1762 scrive Discorso sopra la carità. 3.2 Versi accademici e le prime odi civili Parini da voce alla propria ispirazione satirico-morale in alcuni testi lunghi in terzine o endecasillabi sciolti. I più importanti sono Lo studio (1753) e Il teatro (1754). In quest’ ultimo colpisce i nobili. Il << Covo>> notturno di tutte le scelleratezze della classe dominante. Altri testi parodici: Trionfo della Spilorceria (1754), L’ auto da fé (1761). Nei Trasformati, Parini trova l’ ambiente culturale adatto a cimentarsi in un più ambizioso progetto poetico: la composizione di odi di argomento civile che mettano in piena luce la persona del poeta e affermino i suoi ideali progressisti sul piano ideologico. La vita rustica (1757-58): è la prima ode, il tema, tipicamente arcadico, della libertà agreste, è usato per affermare la superiorità morale del produttivo e pacifico ideale fisiocratico, per presentare una nuova figura di poeta libero da ricatti del potere e del denaro e ad annunciare una nuova poesia. Parini non loda gli ozi campestri, ma l’industriosa intelligenza del contadino capace di migliorare le tecniche agricole e di rendere più produttivi i campi, creando quindi valore e ricchezze. Il ritorno in patria e l’abbandono della città segnano quindi il distacco dai costumi contemporanei e la restituzione a una natura che è ragionevolezza, fonte di vero progresso economico, bellezza e pace. Se per Alfieri la lingua italiana è l’obbiettivo da inseguire in solitario nel lavorìo sulla propria opera, all’incirca negli stessi anni il codice linguistico nazionale è al centro di un dibattito che vede impegnati i diversi intellettuali. 5. Sotto il segno del progresso civile È ancora Milano che si fronteggia gli esponenti della due tendenze, in particolare sarà famosa la polemica di Madame de Staël, Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, in cui la baronessa sollecita i letterati italiani a tradurre in italiano le opere straniere al fine di vitalizzare i contenuti della letteratura nazionale. Alla de Staël ribatte Pietro Giordani, fautore di un classicismo linguistico e letterario declinato in chiave progressista; in cui solo la perfetta padronanza di tutte le corde della tradizione linguistica italiana può servire alla liberazione socioculturale delle masse. Sarà sotto la rivista “Il Conciliatore” che i principali intellettuali liberali e antiaustriaci saranno mossi dalla comune convinzione che le lettere debbano servire al progresso all’intero consorzio civile. Convinzione illustrata correttamente da Berchet nell’epistola pedagogica Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo, nella quale si proclama come “la sola vera poesia sia la popolare”. Capitolo1: Vittorio Alfieri 1. Un aristocratico contro ogni dispotismo La curva descritta con Vittorio Alfieri con la sua biografia e con la sua opera riassume un secolo, il Settecento, che vede compiersi l’ultimo atto delle società di antico regime e il prologo di un’era nuova, l’era borghese. Viaggiando nell’Europa di quell’ancien régim che da lì a poco verrà ribaltato dai “re plebei” (Vita, III3) della Rivoluzione, e sviluppando un pensiero politico avverso a tutti i tipi di tirannide, da quello di uno solo a quello della maggioranza. 2. Il Grand Tour e i primi esperimenti letterari Vittorio Alfieri nasce ad Asti, 16 gennaio 1749. Figlio del conte Antonio Alfieri. Tra il 1758 e il 1766 intraprende i primi <<Non-studi>> presso l’ Accademia Reale di Torino. Sarà a Torino che Alfieri viene a contato per la prima volta col teatro, osservando il repertorio francese sia tragico che comico messo in scena da una compagnia transalpina. Successivamente inizierà il suo viaggio per l’Italia, toccando Milano, Firenze, Roma, Napoli: ovunque si rechi ha modo di conoscere i sovrani del luogo, riportandone un’impressione di “tirannia” generalizzata. Poi si sposterà in Francia giungendo alla corte di Luigi XV, e successivamente in Inghilterra e in Olanda, di cui apprezza gli ordinamenti politici democratici. Giunge anche alla corte viennese di Maria Teresa in cui arrivò a maturare la sua inclinazione antitirannica. Va anche a Praga, Dresda e Berlino dove conosce il ‘tiranno’ Federico II, poi in Finlandia e a San Pietroburgo. Nel maggio 1772 torna a Torino. Qui scrive il dialogo satirico in francese l’ Esquisse du Jugement Universal, parodia filosofico-libertaria mette alla berlina sottoponendoli a giudizio divino prima Carlo Emanuele III e la sua corte di Savoia, poi l’ aristocrazia piemontese e la civetteria femminile. I Giornali (1774-77): diario intimo, nel testo emerge la prima scrittura dell’io alfieriana, alla cesura costituita dal cambiamento di codice linguistico corrisponde una cesura strutturale e morale: se nella prima parte a dominare è il racconto dell’amore tormentato, nella seconda il fulcro è invece la gloria letteraria, obiettivo finalmente perseguito con lucidità dopo la rottura del legame amoroso. Antonio e Cleopatra (1774): prima opera drammaturgica dell’autore, dove lo spunto autobiografico del “serventismo” di Antonio ricalca quello di Alfieri nei confronti della Falletti, è controbilanciata dal tema universale del potere tirannico, personificato dai personaggi di Cleopatra e Augusto. 3. Teatro e potere Dopo i faticosi anni di apprendistato, la “conversione letteraria e politica” è finalmente posta in essere; alla ricerca della fama letteraria non è disgiunta quella di una lingua, l’italiano; il “ben dire” deve dunque essere perseguito e ottenuto in lingua italiana e non nella lingua francese. Egli introduce il metodo di lavoro dei “tre respiri”: ideare, stendere, verseggiare. Mirra (1786):racconta la storia della fanciulla incestuosamente innamorata del padre Ciniro, riprendendo il modello dalle Metamorfosi di Ovidio, la storia diventa una tragedia della reticenza, tesa a tacitare una lotta tra questi e la volontà inattingibile di fuga dalla reggia e dai propri stessi desideri; tutto in un climax che conduce al disvelamento finale e al suicidio della protagonista. In quest’imponente produzione tragica la mitografia e la storiografia greco-latine sono sottoposte alle leggi del testo teatrale, e perciò possono essere modificate e adattate alle ragioni interne allo sviluppo drammatico e alla dimensione performativa. A livello strutturale, la proposta alfieriana di riforma del teatro tragico consta soprattutto nella semplificazione dell’impalcatura drammaturgica, utilizzo del monologo, assenza del coro, nella riduzione del numero dei personaggi e nel rispetto delle tre unità aristoteliche di tempo, di luogo, di azione. 4. Alfieri trattatista politico-morale Della Tirannide (1777): è scritto dall’entusiasmo dopo aver letto le opere di Macchiavelli e le osservazioni sul dispotismo di Mirabeau, insieme alle riflessioni politiche di Montesquieu e Rousseau. Egli si interroga su chi sia il tiranno, e definito come “l’infrangi-legge”, colui che in virtù di un potere assoluto non deve sottostare ad alcuna norma, poco importa che sia illuminato o meno; l’importante che il suo potere si fondi su un regime di scacco psicologico che implichi paura, viltà, ambizione, amore per il falso. Nel secondo libro Alfieri discute del rovesciamento della tirannide in favore di una repubblica costituzionale, rovesciamento reso possibile da una rivolta popolare. Un'altra opera politico-morale è Del Principe e delle Lettere (1786), in cui affronta in tre libri il rapporto tra i letterati e il potere. Panegirico di Plinio a Traiano (scritto nel 1785 e pubblicato 1787): il poeta finge di aver tradotto un manoscritto antico in cui Plinio esorterebbe l’illuminato Traiano ad abdicare al trono assoluto in favore del ripristino delle istituzioni repubblicane; l’intento di quest’opera testimonia la volontà di Alfieri di avanzare effettivamente, nel pieno della Rivoluzione, la propria proposta repubblicana. 5. Le Rime Rime (1789-1804): opera suddivisa in due parti, la prima comprendi i testi stesi dal 1776 e il 1788, arrivando fino ai quarant’anni dell’autore; la seconda parte pubblicata postuma nel 1804 e raccoglie le liriche composte fino a cinquant’anni. Percorso creativo che nel corpo a corpo con la lingua italiana ha conosciuto uno dei suoi snodi fondamentali; sono presenti sonetti in cui è presente un’aspra invettiva contro il malgoverno pontificio e soprattutto contro l’insalubrità del territorio, il clero, il popolo, la nobiltà, descrivendo la città di Roma come il luogo di ogni vizio e corruzione morale. Se è vero che la maggioranza dei componimenti affonda le sue radici in eventi contingenti e autobiografici, è anche vero che notevole è lo sforzo di trasfigurazione del particolare in universale mediante il ricorso all’astrattezza. 6. La Vita scritta da esso La propria autobiografia, Vita, rappresenta il recinto narrativo in cui la distanza dell’autore rispetto il personaggio si sé stesso permette al primo non tanto di autorivelarsi, quanto di costruirsi con il progredire dell’autoanalisi. L’opera è suddivisa in quattro parti: Puerizia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità. Nel corso del processo di correzione e rielaborazione viene messo a punto quel tono medio, caratterizzato da un’escursione continua tra elementi alti e iperletterari ed elementi bassi e colloquiali. Il racconto autobiografico accompagna il lettore lungo le varie tappe che segnano la vita dell’autore, all’interno di un disegno rigorosamente annalistico rivissuto come romanzo dell’io. In questo percorso, la lente dell’autore allarga a dismisura le dimensioni psicologiche del personaggio a discapito delle altre figure incontrate, efficacemente tratteggiate ma mai indagate. 7. La vena comico-satirica Le 17 Satire (1792-1797), pubblicate postume, sono un’aspra ma divertente condanna morale del secolo che si sta chiudendo, condotta guardando al precedente più prossimo, il Parini del Giorno, ma soprattutto al modello satirico per eccellenza Giovenale. Ad essere presi di mira sono di volta in volta i cicisbei, la monarchia, la classe nobiliare, la massa, la borghesia, il sistema legislativo e dell’istruzione. È la liquidazione poetica e pessimistica di un intero sistema retto sull’ipocrisia, liquidazione che però non assume mai le forme dell’invettiva ad personam, assumendo così validità universale. Nel Misagallo, Alfieri si da alla realizzazione di liriche e prose antifrancesi, si ferma nel 1798 e l’ opera non vedrà mai la luce per ragioni di prudenza politica e sarà pubblicato solo postumo nel 1814. Alfieri si dedica anche alla realizzazione di alcune commedie: L’ Uno ( la tirannide), I Pochi (l’ oligarchia), I Troppi ( la democrazia). Strapazzato dal lavoro e di salute ormai inferma Alfieri muore l’ 8 ottobre 1803, le sue spoglie sono conservate a Santa Croce a Firenze. Capitolo 2: Vincenzo Monti 1. Monti abate, cittadino, suddito La biografia del Monti inizia con gli studi seminariali nella terra d’origine e all’approdo nella Roma papalina, dall’esperienza come funzionario della repubblica Cisalpina e storiografo del Regno d’Italia. Monti ogni volta riesce a ricrearsi una situazione favorevole alla creazione letteraria e all’esercizio filologico-linguistico. Campione del Neoclassicismo italiano insieme a Foscolo. media, che si pone tra i due estremi degli analfabeti (“gli ottentoti”) e dei dotti (“i parigini”). Ecco quindi esposto il precetto romantico per cui la solo vera poesia moderna sia quella “popolare”. Silvio Pellico, uscito dalla fucina del “Conciliatore”, diverrà noto per la sua opera principale Le mie prigioni; egli approda nella narrazione memorialistica in ragione delle vicende di cui è stato protagonista: arrestato in seguito ai moti di matrice carbonara del 1821. L’opera si concentra sull’esperienza carceraria di una reclusione tutta interiore a sua volta chiusa concentricamente dentro al perimetro del recinto penitenziario, una reclusione che viene vissuta grazie al sostegno della fede cattolica. La religione permette di sublimare a un livello trascendente gli ideali patriottici di giustizia, di virtù personale e di uguaglianza sociale; una lettura spirituale della lotta politica. Epoca 9 Le Tre Corone e la cultura dell’Ottocento Introduzione 1. Immaginare e costruire la nazione Tra la fine del XVIII secolo e i primi quindici anni del XIX, i sommovimenti politici che sconvolgono l’Italia settentrionale, con la calata di Napoleone e la costituzione delle due repubbliche, la Cisalpina e poi la “Italiana”, fino al Regno d’Italia. Napoleone incarnerà la generazione degli scrittori nati negli anni Settanta e Ottanta, un vero e proprio mito classico, tradotto in forme estetiche neoclassiche; emerge la figura ideale di Napoleone come “padre della patria”, nell’immaginario collettivo, più potente della sua figura storica, fino a celebrarne la morte come farà Manzoni. Parallelamente, le Repubbliche e il Regno diventano occasione storica per iniziare a immaginare politicamente la nazione Italia; di una nazione che si riconosce prima di tutto in una comunità letteraria, in una lunga tradizione culturale: nelle forme varie forme dell’unità quella linguistica segna il punto di partenza. 2. Classicismo, erudizione e patriottismo Foscolo, prima soldato che letterato, vive la rivoluzione dell’ età napoleonica , cercando di conciliare penna con spada. La nazione immaginata da Foscolo ha una dimensione del tutto ideale, è scolpita nelle pietre della chiesa di Santa Croce. Il classicismo di Foscolo è innervato da una concezione vichiana della poesia, affida ad essa il riscatto da un materialismo insufficiente a contenere le nuove istanze spiritualiste, e si proietta nel passato in una vertiginosa comparazione con la più alta e solenne poesia primitiva. Venezia barattata dal Napoleone prima liberatore e poi tiranno, per Foscolo Firenze diventa un approdo salvifico, una patria letteraria che riscatta l’ illusione della nazione. 3. La lingua di una città e la lingua di una nazione La lingua viva, così a lungo e faticosamente cercata da Manzoni per i vent’ anni di lavoro sul romanzo, per i suoi Promessi Sposi. Viene trovato nella sua domestica Emilia Luti che diventa il vocabolario vivente per verificare la regolarità della lingua. 4. Romanticismo europeo: i letterati italiani in dialogo con l’Europa In Italia raggiunge con temp lunghi l’ esperienza europea dello Sturm und Drung. In Italia le posizioni su questa corrente sono molteplici e svariate, basti pensare a Manzoni e Leopardi che pur indipendentemente adottano posizioni opposte. Il dialogo con l’ Europa non è facile, anche per la questione risorgimentale. Nievo, che tracia una strada nuova per il romanzo storico, rinnova la poesia sentimentale, marcando la distanza con i poeti Pratajoli. 5. Verso il moderno: una poesia <<filosofica>> Leopardi comincia il suo percorso intellettuale immaginando una nazione, ma subito la veste nei panni di un’idea non incarnabile nella storia, e dalle parole peregrine di una lingua con cui, se vuole rifondare la poesia al culmine di un era sommamente ipotetica, si deve allontanare dalla forma corrente, farsi lontana, evocatrice e vaga. “ Infinita vanità del tutto” ma anche una strenua, solidale resistenza alle lusinghe del progresso. Una posizione antica e allo stesso tempo modernissima. L’ Operette sono un opera mondo, su cui si fonderà tutta la narrativa metafisica del 900. Lo Zibaldone offre un modello di pensiero filosofico che, prima ancora di prendere forma in mirabili frammenti, si era tradotto in poesia. Capitolo 1: Ugo Foscolo 1. Lo “spirto guerrier” e le “libere carte” Soldato e poeta: in Foscolo le due componenti, quella attiva, militare e passionale, dello <<Spirito guerrier>> da una parte, e quella contemplativa mitopoietica dalle <<Libere carte>> dall’ altra, non sono mai disgiunte, benché la prima rappresenti spesso un ostacolo concreto per la conclusione dei progetti letterari, avviati, interrotti e poi ripresi in diversi tempi e luoghi. “Viaggio sentimentale” che ha inizio a Zante e ha il suo polo positivo nella Firenze patria della linga italiana, da lui scelta e amata. 2. Una formazione policentrica e autonoma Nicolò Ugo Foscolo nasce a Zante (isola greca sotto la dominazione veneziana) il 6 febbraio 1778, figlio di un medico, egli pur essendo di madrelingua greca non padroneggiava l’italiano, idioma che adotta imparando attraverso una rigida disciplina linguistica. Sarà il trasferimento a Venezia che lo porterà ad intraprendere gli studi (Piano di studi, 1796), e sarà appunto presso la città lagunare chenel 1795 incontrerà la figura di Melchiorre Cesarotti da lui identificato come “Poeta della nazione” di cui diverrà allievo seguendo le lezioni. Le turbolenze politiche di quegli anni si riverberano chiaramente nella prima prova tragica, il Tieste del 1795, dove la dicotomia Atreo-Tieste è qui leggibile come contrapposizione tra l’assolutismo dell’ancien régime da un lato e un atteggiamento riformista e di apertura democratica dall’altro. Nell’ aprile del 1797, prende la decisione di arruolarsi a Bologna come cacciatore a cavallo della Repubblica Cispadana; correlativo di questo entusiasmo politico sono le odi, raccolte in Il Parnasso democratico (1801), Ai novelli repubblicani e Bonaparte Liberatore (1797) dedicata alla neo liberata Reggio Emilia, la classica struttura di nove strofe di endecasillabi e settenari si snoda qui ad inseguire la vittoria sui regimi antidemocratici da parte della Libertà, incarnata da “un sol Liberator”. Ma la firma del trattato di Campoformio il 17 ottobre 1797, che sancisce lo smembramento dei territori veneziani tra la Francia, l’Austria e la Repubblica Cisalpina, ridimensiona violentemente figura di Napoleone agli occhi di Foscolo, che deluso lascia Venezia per trasferirsi a Milano. 3. Soldato, giornalista, erudito Il trasferimento a Milano si traduce per Foscolo innanzitutto nella frequentazione del Circolo Costituzionale e nella collaborazione con il “Monitore italiano”. Foscolo commenta in chiave giacobina i testi dei processi delle sessioni del Consiglio dei seniori della Cisalpina. Dopo la chiusura del “Monitore” critico verso il governo cisalpino. Foscolo prosegue la propria attività pubblicistica presso Bologna dal 1798, dove collabora con diversi giornali. Qui pubblica a puntate, Istruzioni politico-morali, un concentrato delle sue posizioni politiche. In questo scritto Foscolo propone una serie di modifiche alla Costituzione repubblicana al fine di ottenere maggiore autonomia nazionale e libertà individuale. Tra il 1798 e il 1801 sono anni di intensa vita militare, il cantiere delle Ultime lettere di Jacopo Ortis viene interrotto, per la presa a servizio come luogotenente della Guardia naionale agli ordini del generale Tripoult. Foscolo partecipa alla presa di Cento e forse alla battaglia di Trebbia. E trascorre quasi un anno al servizio del generale Mcdonald, nella Genova assediata dagli austro- russi. Pubblica un ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e dalla riedizione del Bonaparte liberatore con una nuova dedica proprio a Napoleone, il poeta esorta Napoleone ad agire per la salvezza dell’ Italia in toni tutt’ altro che adulatori, sottolineando l’ errore del trattato di Campoformio. Nel 1801 è a Milano e gli viene commissionato del governo cisalpino un testo celebrativo di Napoleone Orazione a Bonaparte pel congresso di Lione (1802). Fra 1799 e 1802 lavora all’ abbozzo in prosa di un romanzo autobiografico, Il sesto tomo dell’ io con protagonista l’ alterego di Foscolo, Didimo Chierico. 4. Le ultime lettere di Jacopo Ortis la storia testuale di questo romanzo ricalca, per così dire, le orme del suo autore, essendo marcato dai luoghi e dalle situazioni, in cui Fosco si è trovato implicato. Questo libro non è interamente compiuto, ma l’autore è costretto a dargli l’ultima mano anche se non voleva. La prima edizione del 1798 e consta di quarantacinque lettere: Jacopo Ortis, intellettuale disilluso dagli esiti fallimentari del triennio rivoluzionario, espone per via di lettera all’amico Lorenzo i propri stati d’animo in merito alla politica, alla patria e al suo amore per Teresa promessa a Odoardo. L’edizione bolognese e quella apocrifa sono prontamente sconfessate dall’autore, in ragione delle pesanti cesure operate sul corpo ideologicamente vivo nel romanzo e tentativi di compimento operati dall’ editore Marsigli e dal letterato Angelo Sassoli. Nel 1802 Foscolo rimette mano all’opera pubblicandolo per la seconda volta, della trama originale cambiano alcuni aspetti: il triangolo amoroso si conclude tragicamente con il suicidio del protagonista, dopo un viaggio attraverso la penisola, a simbolizzare la disfatta di un’intera generazione di idealisti. L’opera è profondamente ispirata da dei capisaldi del romanzo epistolare, presenti già nel Piano di studi, come Samuel Richardson, Rousseau e naturalmente Goethe; Foscolo dichiarerà di essere “obbligato” a ispirarsi ai Dolori del giovane Werther. Muovendo dalla rimeditazione delle istanze rivoluzionarie del triennio giacobino, il disincanto ortisiano si sviluppa nell’incontro con Giuseppe Parini il quale ricorderà a Jacopo l’inevitabile spargimento di sangue e dei pericoli dell’azione rivoluzionaria. Emerge, pertanto, il senso di Nei soggiorni a Parigi, Manzoni riesce a innestare le grandi idee dell’ Illuminismo e della rivoluzione francese e il riformismo politico e culturale milanese nel nuovo clima romantico che già diffuso in Italia con caratteri propri, troverà in lui uno dei più autorevoli rappresentanti. Riflette su tre temi cardine della sua esperienza letteraria, il vero, l’utile e il bello ovvero “Il vero per oggetto, l’ utile per iscopo, l’ interessante per mezzo”. Manzoni è legato un idea di letteratura educativa per il popolo e formativa per la nazione. La religione ha un ruolo importante nella riflessione letteraria manzoniana. Manzoni indica alla letteratura della nazione una strada diversa, recuperando una tradizione realistica che potremmo far risalire alla letteratura di “cose”, al civismo pariniano, e più indietro alla dialettica “mondoteatro” dell’esperienza goldoniana. Manzoni è ritenuto il primo intellettuale europeo perché si confronta con tale panorama, infatti la sua attività non è affrontata individualmente, ma coralmente, dentro la storia e non più fuori da essa, e in compagnia dei più innovativi pensatori della modernità europea; come per esempio gli inventori del romanzo storico, Richardson e Walter Scott. Il suo primo vero romanzo I promessi sposi è uno specchio che riflette su usi, costumi, abitudini, personaggi, caricature, un intera antropologia nazionale e u a lingua raggiunta dopo una ricerca ventennale. 2. Cattolicesimo brianzolo e illuminismo milanese Manzoni nasce a Milano nel 1785, da Giulia Beccaria (figlia di Cesare) e “ufficialmente” del conte Pietro Manzoni, ma come ormai accertato nato da una relazione avuta da Giulia con il più giovane dei fratelli Verri, Giovanni. Questa relazione porterà la separazione dei coniugi nel 1792. Manzoni appena nato viene messo a balia nel Lecchese dove il conte Manzoni aveva una villa e dei possedimenti. L’ ambientazione manzoniana sarà legata indissolubilmente a questi luoghi frequentati, in solitudine, nella prima giovinezza. Quando i genitori si separano Manzoni ha 6 anni e viene subito messo in collegio prima a Merate poi a Lugano e Milano. A 16 anni entra nell società culturale milanese, mentre la madre segue il nobile Carlo Imbonati a Parigi. Questo ridotto orizzonte affettivo non sarà senza conseguenze per la sua vita. Nelle sue opere, infatti, le figure paterne sono inesistenti. Per il giovane Manzoni la Rivoluzione è un mito positivo, così come gli eroi che vi sono ispirati. Solo dopo il 1805, con l’ improvvisa scomparsa di Carlo Imbonati, Alessandro raggiunge la madre a Parigi, e le dedica Carme in morte di Carlo Imbonati. Che segna una nuova fase della sua produzione lirica, animata anche dall’ affetto ritrovato per la madre. 3. Parigi, Fauriel e la conversione (1805-1810) Dal 1805 al 1810 Manzoni vive stabilmente a Parigi, tornando a Milano in due sole occasioni: per la morte di Pietro nel 1807 e per il matrimonio con la giovane calvinista Enrichetta Blondel conosciuta a Parigi grazie Giulia e sposata nel 1808 con rito protestante. Claude Fauriel, filologo e storico della letteratura medievale e provenzale, diventa il suo principale interlocutore nel processo di avvicinamento al romanzo. L’ amicizia con Fauriel, che durerà fino agli anni 30, diradandosi fino alla scomparsa dell’ amico nel 1844, è stata forse l’ unica di cui ci siano testimonianze, presenta un dialogo talmente intimo da risultare un dialogo con se stesso. Corrispondenza scritta quasi sempre in francese. I due eventi del periodo parigino ovvero la morte del padre e il matrimonio con Enrichetta segnano la sua conversione, questa segna lo spartiacque che orienterà diversamente vita e opera manzoniana, trasformandolo nel campione dell’ ortodossia cattolica. Il momento clou viene individuato nel 2 aprile 1810 durante le nozze di Napoleone con Maria Luisa d’Austria. In quest’ occasione Manzoni perde la moglie tra la folla e disperato si rifugia in una chiesa, la ritrova all’ uscita. Manzoni interpreta questa vicenda come un segno dell’ intervento di Dio. 4. Via Morone e Brusuglio: un quindicennio creativo (1812-1827) Nel 1813 torna a Milano con la madre che morirà nel 1841, con cui istaura quel rapporto che era mancato nei primi anni di vita. Va a vivere in via Morone 1, ha già due figli Giulia (1809) e Pietro Luigi (1813). Nel giro di 15 anni con la moglie Enrichetta ne avrebbe avuti altri 8. Questi 10 parti minano la cagionevole salute di Enrichetta che il 25 dicembre 1833 muore di tubercolosi. A questa dolorosa scomparsa per Manzoni si aggiungono le preoccupazioni per i figli; in particolare a Enrico che dilapida il patrimonio della ricchissima moglie e Filippo che si riempie di debiti a cui lo stesso Manzoni deve fare fronte. La vita di Manzoni è interamente occupata dalla scrittura e dalla passione per la botanica, esercitata nella sua tenuta di Brusiglio. Sulla sua passione scriverà un Saggio di nomenclatura botanica mai pubblicato. Negli anni 1812-13 abiura i testi precedenti la conversione come l’Urania e La Vaccina. In questo periodo scrive gli Inni sacri in cui la poesia deve diventare forma espressiva di contenuti religiosi che possano essere compresi e condivisi da tutti, in forme non solo emotive e sentimentali. Risponde alla volontà di dare espressione letteraria ai contenuti della fede. Manzoni mostra, però anche una precisa volontà di rinnovamento delle forme religiose, per una poesia che sia veicolo di contenuti teologici ortodossi, ma che possa diffonderli attraverso forme metriche di facile assimilazione, con una lingua poetica nuova. Per avvicinare i contenuti religiosi a un pubblico non solo colto e non solo religioso Manzoni agisce sul metro, prima ancora che sulla lingua, scegliendo strofe e versi brevi, derivati dalla poesia cantata settecentesca. Il risultato è un linguaggio nuovo, libero e forte di impatto, ricco di ornati retorici (similitudini, iperbati, inarcature), che contribuiscono a creare un impasto contemporaneamente popolare, autorevole e arcaico. 5. Manzoni romantico? L’adesione di Manzoni alle nuove idee romantiche, che comincia nel primo soggiorno parigino, non è disgiunta dall’influsso del progressismo illuminista, e trova nella conversione religiosa un punto di partenza in sintonia col Romanticismo europeo, intorno alle parole chiave di religione, nazione e lingua. Un primo elemento di rottura con l’Illuminismo è costituito dal prevalere di istanze spirituali sull’analisi razionale e scientifica e dal recupero della dimensione sociale e collettiva di tali istanze, non vissute a livello individuale ma nella loro dimensione storica. La storia diviene così non più soltanto il luogo in cui la razionalità può esprimersi per decifrare i dati della realtà e sottomettere la natura, ma il campo d’azione di una divinità non astratta, ma rivelata nelle Scritture e incarnata nell’uomo. Si intreccia in questo pensiero la vicinanza con le riflessioni di Vico: le conquiste scientifiche avevano dato l’illusione di aver dominato la natura e carpito i sui segreti; posto che la natura è opera divina, l’uomo ha perfetta conoscenza solo della storia che ha attraversato. Pertanto, sostiene Manzoni, se la storia è una “scienza nuova”, e la Provvidenza si manifesta nella storia, la verità rivelata è la legge trascendente che governa la storia stessa. Altri due temi fondamentali nel pensiero romantico manzoniano sono la nazione e la lingua, dove quest’ultima permette la civilizzazione di una società, intesa come l’espressione di una collettività: degli usi, costumi, abitudini di un intero popolo, di una nazione. Scrive, in seguito a un massacro avvenuto a Milano il 21 aprile 1814 ( che lo segna profondamente), dopo l’ abdicazione di Napoleone, Aprile 1814 come primo testo impegnato, scrive sul modello delle grandi canzoni politiche di Petrarca. Nel 1815 Il proclama di Rimini. I due testi sono incompiuti. 6. Riformare il teatro e riscrivere la storia La riforma del teatro, da affrancare dalla tradizione classica e mitografica alfieriana e da avvicinare al modello shakespeariano, in cui vi è una rappresentazione di vicende storiche e introspezione psicologica. Il rispetto del vero porta subito Manzoni a dichiarare l’impossibilità di seguire le unità aristoteliche, rompendo la tradizione teatrale cinquecentesca delle tre unità tempo, luogo e azione mantiene solo quest’ultima. La nuova drammaturgia si basa sull’assunto che lo spettatore, mente esterna al dramma, non può percepirne l’inverosimiglianza a causa della differenza di tempi e di luoghi della tragedia rispetto ai suoi propri, e ne vede, al contrario, l’unità, data dalla coordinata unione delle parti. Solo un’analisi “spassionata” delle passioni permette all’opera di adempiere al fine didascalico e morale dell’arte, e allo spettatore di formarsi un’opinione ponderata dell’azione rappresentata. Il luogo in cui l’autore potrà riservarsi un “cantuccio” per esprimere il proprio punto di vista è il coro, che costituisce il secondo elemento di novità di questa riforma. Il Conte di Carmagnola (1819) si svolge tra la Serenissima e il Ducato di Milano nel primo quarto del XV secolo. Il protagonista Francesco di Bussone, nominato da Filippo Maria Visconti conte di Carmagnola, caduto in disgrazia presso i milanesi, e passato al servizio della Repubblica di Venezia. Gli viene affidata la guida dell’esercito contro gli antichi padroni, la sconfitta del Ducato di Milano nella battaglia di Maclodio non basta a fugare i sospetti di tradimento verso il conte, che si rifiuta di liberare i prigionieri e viene richiamato a Venezia per un processo che ne decreterà la condanna a morte. Le intenzioni didascaliche e civili della nuova tragedia, che piega le vicende storiche, nonostante le dichiarazioni di impersonalità, all’ideologia dell’autore. Nella parte finale del coro la condanna di ogni forma di violenza, indirizzata alle guerre tra milanesi e veneziani. Il Carmagnola non è quindi tanto la tragedia di un capitano di ventura stretto tra verità individuale e ragion di stato ma piuttosto una finzione letteraria costruita su una verità storica, per denunciare l’irrazionalità della guerra fratricida, e l’inevitabile accettazione cristiana di un’ingiusta condanna. Nella Lettera a M. Chauvet Manzoni risponde che partendo dal vero storico e dallo scopo della letteratura, approfondisce il ruolo del poeta e il rapporto tra il vero e il verosimile: “prendere insomma tutto quello che manca, ma in modo che l’invenzione si accordi con la realtà, ecco quel che ragionevolmente può essere definito creare”. Si esprime la possibilità dell’autore di colmare i vuoti di rappresentazione, e dare voce ai protagonisti che non hanno voce, ma che incarnano la parte che è andata perduta della storia stessa. Adelchi (1820): nella scelta del periodo storico Manzoni segue l’interesse romantico per il Medioevo, visto come momento fondativo delle nazioni dei popoli, e individua nello scontro tra longobardi e franchi per il dominio sulle intere popolazioni italiche, lo sfondo storico di una vicenda più articolata della tragedia precedente, ricca di personaggi e sfumature psicologiche. Qui viene affrontato il tema della relazione tra le due popolazioni, longobarda e latina, mai veramente fuse e quindi incapaci di gettare le basi di una vera indipendenza; nessuna libertà verrà dalla vittoria dei franchi. Adelchi è descritto molto riflessivo e astratto, simbolo dell’impossibilità di piegare le ragioni della storia al proprio sentire morale. 7. Un anno cruciale: il 1821 delle due odi civili Il 1821 è l’annus terribilis per la convergenza della crisi politica con quella personale, da cui scaturiscono però le due odi civili e l’inizio del romanzo. sarebbe scaturita la Storia della Colonna infame. La colonna eretta sui resti dell’ abitazione del barbiere Gian Giacomo Mora (abbattuta dopo la sua esecuzione). 10.2 Una lingua nazionale Il confronto con la lingua francese mette Manzoni di fronte alla insufficienza della formula linguistica adottata nella prima stesura, una lingua definita “analogica” e “europeizzante”: ■ “Analogica” perché costruita per analogia, adattando all’italiano le forme e le locuzioni della “lingua” che Manzoni praticava ovvero il milanese. ■ “Europeizzante” perché il meccanismo analogico si estende anche al francese, non solo nel lessico, ma anche nelle costruzioni e in quelle locuzioni fraseologiche che erano necessarie per rendere verosimile il dialogo tra i personaggi. Il dialetto era l’unica lingua che avrebbe permesso all’autore di unire verità ed espressività, ma che avrebbe provocato il fallimento di quell’idea di romanzo popolare e nazionale, che era stato il motore di tutta l’impresa. La ricerca di questa lingua, elegante senza essere estetizzante, naturale senza essere dialettale, viva e vera, eppure non parlata in un luogo preciso, occuperà Manzoni per più di vent’anni. Si ha una nuova fase che si potrebbe definire “milanese-toscana”, in cui Manzoni giustifica la possibilità di una lingua che possa accogliere tutte le forme regionali purché comprese da tutti i lettori, documentata da un grande numero di locuzioni analogiche lombardo-toscane presenti nel testo del primo tomo, viene presto superata dalla maggiore legittimità data al toscano. Una dichiarazione in favore del toscano, che costituisce il versante teorico del lavoro di documentazione sulle fonti che gli potevano testimoniare l’uso del toscano furono i vocabolari e i testi in lingua. La lingua che Manzoni cerca è l’esatto contrario della lingua “pellegrina” e “vaga” teorizzata da Leopardi: lingua che si avvicina alla poesia quanto più si arricchiva di sfumature e di significati antichi. Per Manzoni la lingua è, al contrario, forma espressiva di una realtà tangibile e concreta che deve comunicata al maggior numero di lettori nella forma più chiara, e che deve corrispondere a un idioma praticato, vivo e vero, e non sepolto nelle pieghe di una tradizione secolare, ma avulsa all’uso. 10.3 La stampa del 1825-1827 e il viaggio a Firenze del 1827 Nonostante le numerose correzioni, alla fine del giugno 1824 Manzoni finisce di rivedere i primi dieci capitoli della Seconda minuta, la quale sarà consegnata all’ufficio della censura per essere approvata. La denominazione “Ventisettana” vale perciò in senso estensivo, perché è dal 1825 che possiamo considerare stampato e distribuito il primo tomo. Il lavoro d’ ora in poi che farà Manzoni tomo dopo tomo sarà a blocchi: correzione del manoscritto, copia per i Censori, correzione sulla copia per la censura e sulle bozze per la stampa. In questo modo quando il tomo I è pronto per la stampa, Manzoni deve ancora rivedere parte del secondo tomo, e tutto il terzo. La prima metà del 1825, viene impiegata per la revisione del tomo II, che a ottobre è già stampato e dedica invece il 1826 alla revisione del tomo III, che dura più del previsto anche per la ampia rielaborazione di capitoli sulla peste che impegnano il Manzoni fino ai primi mesi del 1827. E a marzo è ancora alle prese con la revisione degli ultimi capitoli. L’ 11 giugno del 27 è stampato e fa il giro d’ Europa ottenendo un giudizio entusiasta da parte di letterati quali M. Shelly e Goethe. Ottiene un successo inatteso e già da giugno sono esaurite tutte le copie. Nel frattempo, Manzoni è partito con la famiglia per Firenze, viaggio determinante per venire in contatto direttamente con quella lingua toscana cercata nei dizionari e nei testi teatrali, e che darà avvio alla seconda revisione. Sin dai primi riscontri risulta chiaro che la lingua di quel testo così ammirato e apprezzato è lontanissima da quella parlata a Firenze: è una lingua letteraria. E risulta altrettanto chiaro che il modello del toscano letterario era più lontano da una lingua viva di quello analogico del Fermo e Lucia, o di quello milanese-toscano. Manzoni intraprende, con caparbietà e determinazione, la terza e ultima revisione, che lo terrà impegnato per i successivi tredici anni. Gli effetti della “risciacquatura in Arno” sono riconducibili ad alcuni linee correttorie precise, che fanno della lingua della Quarantana la grammatica d’uso dello Stato unitario. Manzoni lavora direttamente su una copia di lavoro della Ventisettana, che viene corretta ma solo negli aspetti linguistici. 11. La Nazione e la storia (1830-1848) Al grande successo seguono anni di gravi lutti familiari, muoiono: Enrichetta a Natale del 1833, la figlia Giulia che aveva sposato Massimo D’ Azeglio. A portare una maggiore serenità è il matrimonio con la vedova Teresa Borri Stampa, nel 1837. Questa unione porta anche vari sconvolgimenti domestici per conflitti tra Teresa e la suocera. Nel 1848 scoppiano le rivolte a Milano, le 5 giornate 18-22 marzo, Manzoni pur non avendo preso posizione viene posto come punto di riferimento ed è costretto a spostarsi a Lesa dove rimarrà fino al 1850, impegnato nei moti anche il figlio Filippo, incarcerato nei primi giorni. Manzoni rifiuta di chiedere una grazia per il figlio. Pubblica Il proclama di Rimini e Marzo 1821. Tra il vero e il verosimile, Manzoni finisce per scegliere il vero e se il romanzo storico non pùò garantirlo, tanto vale seguire solo il vero, e raccontare la storia. E’ quello che farà nella rielaborazione della Storia della colonna infame. La revisione di quest’ appendice storica, processo a Guglielmo Piazza e il barbiere Gian Giacomo Mora; lo occupa fino alla stampa del romanzo nel 1842 attingendo sempre alle storie del Ripamonti, ma si avvale di nuovi documenti e fonti inedite, per dar maggiore sostanza al testo. Mora e Piazza vengono condannati, una condanna che si eleva a simbolo dell’ iniquità a cui giunge l’ uomo quando rifiuta di valutare la realtà secondo coscienza. Scrive sulle vicende delle due rivoluzioni francese e italiana pubblicato incompleto e postumo ne 1889. Diventa un inno civile e politico a quella libertàlegittima. 12.L’ eterno lavoro: uno scrittore alla ricerca della lingua. Gli effetti della “risciacquatura in Arno” sono riconducibili ad alcuni linee correttorie precise, che fanno della lingua della Quarantana la grammatica d’uso dello Stato unitario. Manzoni lavora direttamente su una copia di lavoro della Ventisettana, che viene corretta ma solo negli aspetti linguistici. La forma. Linguistica assunta dalla Quarantana deve il suo successo anche e soprattutto al lavoro costante di de-letterarizzazione svolto da Manzoni su espressioni e locuzioni, che vengono regolarmente sostituite con le corrispondenti del parlato. Nel progettare la nuova edizione, è proprio per non incorrere negli stessi danni, Manzoni escogita quella che definisce una “speculazione”, ma che si rivelerà purtroppo un disastro finanziario: una pubblicazione a dispense, e con illustrazioni, per rendere la contraffazione impossibile ed estendere la lettura a un pubblico più ampio e popolare. Manzoni viene nominato senatore del Regno nel 1860, riconosciuto come uno degli ispiratori del Risorgimento Italiano, a capo della scuola Cattolico-Liberale. Nel 1862 entra a far parte della Commissione per l’ unificazione della lingua. Nel 1868 su invito del ministro all’ istruzione Broglio pubblica dell’ unità della lingua e dei mezzi per diffonderla. A causa di contrasti si dimette. Nel gennaio del 1873 a causa di una caduta le sue condizioni precipitano. Muore il 22 maggio 1873. Capitolo 3: Giacomo Leopardi 1. Storia di un’anima, storia delle anime Bruto, il combattente battuto a Filippi, rappresentato nel tragico monologo pronunciato prima di un teatrale suicidio, è l’alter ego con cui Leopardi si è voluto affidare ai posteri, che, dopo l’Unità, hanno preferito travestirlo dei panni lacrimevoli e malinconici di un pessimista esistenziale, di una << vita strozzata>> dalla crisi del razionalismo illuminista. Ma come avrebbe ricordato Carducci “con Manzoni in chiesa” e con “Leopardi in guerra”. Emerge un Leopardi “progressivo” che è più vicino alla grandezza della propria opera: il poeta che usa l’inesistita giovinezza come innesco di una poesia costruita sul potere immaginativo della memoria, la malattia come formidabile strumento conoscitivo e l’isolamento geografico e politico edi un retrivo borgo dello stato della chiesa come punto di vista privilegiato per riflettere su di sé e sul mondo. Sorprendente paradosso che affiancava all’estraneità al mondo una sperimentata conoscenza dell’animo umano, educata alla lettura dei classici come serbatoio inesauribile di temi, motivi, generi letterari, e di risposte alle grandi domande dell’esistenza. Leopardi consegna all’ 800 un modello di poesia patriottica e civile che animerà il Risorgimento, da Carducci al Pascoli politico e affranca il 900 da una lingua sclerotizzata nei modelli cruscanti, nei generi letterari, negli schemi metrici, rinnovando nel segno di un petrarchismo esistenziale, la grammatica lirica della tradizione italiana. 2. Recanati: erudizione e filologia Giacomo Leopardi, nasce a Recanati il 29 giugno 1798, da una famiglia di nobili natali. Il padre Monaldo per investimenti sbagliati viene interdetto all’ amministrazione della famiglia affidata alla moglie Adelaide Antici, una donna molto fredda nel rapporto con i figli. Giacomo è il primogenito della coppia a cui seguiranno Carlo e Paolina. I giovani fratelli Leopardi, passano la gioventù studiando nelle mura domestiche della biblioteca di Monaldo che vantava numerosissimi volumi, e in continuo ampliamento. La biblioteca paterna che è per Giacomo come un “secondo e diverso ventre materno offerto a un figlio da un padre”, che diventerà anche il campo di battaglia per uno scontro durissimo, con cui Giacomo cercherà di affrancarsi da un affetto prepotente ed esclusivo, fatto di ricatti psicologici, invidie, controlli e sotterfugi, confessioni, fughe, umiliazioni e pentimenti. Le solenne adunanze d’ esame tenute dai figli davanti a familiari e illustri recanatesi. In queste occasione i fratelli dissertano in latino e rispondono alle domande dei precettori. Ci saranno per Giacomo sette anni di “studio disperatissimo”, che fanno di lui l’ intellettuale più colto della sua epoca e rovinano definitivamente la sua fragile salute. Dagli undici anni scrive molte opere erudite, Storia dell’ astronomia 1813, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi 1815. 4.3 Lo Zibaldone Nel corso del 1820, le riflessioni depositate nello Zibaldone di pensieri diventano quasi quotidiane, e riguardano temi eterogenei, di estetica, linguistica, poetica, sviluppati secondo un percorso individuale e asistematico sollecitato dalle osservazioni della realtà. Solo nel 1823 inizierà a organizzare in indici tematici. Ciò che differenzia Leopardi rispetto ai grandi filosofi negativi della modernità (Schopenhauer e Nietzsche) è il ruolo assegnata alla poesia, e quindi alla capacità immaginativa, come portatrice di una forma di conoscenza non inferiore, anzi a volte superiore alla conoscenza scientifica È per questo che la poesia per sua natura cerca il “bello” e la filosofia cerca il “vero”, pertanto, entrambi devono collaborare. Il “vero poeta è predisposto a essere un gran filosofo, e il vero filosofico ad essere un gran poeta”. Nello Zibaldone, dal 12 al 23 luglio, prende corpo la teoria del piacere, secondo cui il desiderio umano di un piacere illimitato provoca una condanna all’insoddisfazione, ma anche una continua tensione a un potenziamento indefinito dell’immaginazione umana, capace di espandere all’ infinito il piacere intellettuale. La vocazione alla felicità, la tenacia nel perseguirla nonostante le continue frustrazioni, e poi, con la svolta rappresentata dal Dialogo tra la Natura e l’Islandese, l’individuazione di un principio impersonale ed esterno responsabile di questa “macchina dell’infelicità”. 5. Estetica e poetica: tra vago e pellegrino 1820-1821 Molto importanti, per l’elaborazione della poetica del “pellegrino” alla base della lingua delle Canzoni, che nell’agosto del 1820, portano a sviluppare una propria “teoria della grazia” basata su ciò che è “fuor dall’uso”. Una poetica non neoclassica, che non consiste nell’equilibrio delle parti, ma in una disarmonia tra i vari elementi. Ne deriva la superiorità, nella lingua, di quei modi lontani dalla lingua corrente che Leopardi chiama “pellegrini” e che occorrono frequentemente alla poesia; alla lingua “pellegrina” si affianchi un'altra forma di nobilitazione della lingua letteraria, non più sotto forme di reinvenzione semantica nella tradizione, ma di dissolvimento dei contorni della poesia stessa, che acquisisce tanta maggiore eleganza quanto più riesce a sfumare, evocare, alludere: una lingua “vaga”. La lingua “vaga” della poesia è in grado, non tanto di rappresentare la realtà, ma di esprimere la sua finzione, alternativa alla realtà e indefinita, sia spaziale che temporale. Riguardare da pag 508 6. “Paura e speranza” nel viaggio a Roma e partenza da Recanati Il 1822 è l’anno del primo viaggio di Leopardi fuori da Recanati, il padre Monaldo acconsentirà il trasferimento di Giacomo presso la Capitale, al seguito dello zio Carlo Antici, con lo scopo di trovargli lavoro nell’ ambiente bibliotecario ed ecclesiastico. In questo periodo abbozza il progetto Inni cristiani anche se ne scrive solo uno l’ Inno ai Patriarchi, o de’ principi del genere umano sembra un inno molto più pagano che cristiano, per l’ esaltazione dello stato di natura. Mal sperimentato nel mondo dei salotti, incapace di quella civile conversazione che era necessaria, Leopardi si trova isolato, inabile a procacciarsi un lavoro; con queste premesse l’insuccesso è sicuro e il ritorno a Recanati inevitabile. Ad aprile Giacomo è di nuovo in famiglia. L’illusione romana è svanita e Leopardi si trova privo di quella spinta interiore che aveva animato il biennio precedente nella formazione di un nuovo libro di poesie la cui nuova lingua che ricerca l’equilibrio tra “vago” e “pellegrino”. A chiudere le Canzoni è Alla sua donna, un capolavoro di poesia e tensione conoscitiva, in cui leopardi riassume i temi fondamentali del suo “sistema” e attinge a Platone, Dante e Petrarca. Non una canzone d’ amore ma un inno d’ amore per c giustificare l’ impossibilità (e inattualità) di una canzone amorosa. Un testo nuovo che abbandona la poetica del “pellegrino”. La stampa del libro delle Canzoni, nel dicembre del 1824, coincide con la chiusura di un anno non più dedicato alla poesia, ma alla prosa. 7. L’ ironia a sistema: le (prime) Operette morali Le Operette morali ( progettate già dal 1820), adempiono a un duplice scopo: dotare la letteratura italiana di una “lingua filosofica” e dare alla filosofia un’opera italiana antifilosofica. Inevitabile la scelta del dialogo, utilizzato storicamente per entrambi i temi: dai Dialoghi filosofici di Platone a quelli linguistici. Le Operette morali vengono composte durante tutto il 1824 al ritmo impressionante di una/quattro al mese; una maratona impressionante per densità di temi e impegno di scrittura, in cui vengono toccati i punti chiave del suo “sistema” già trattati nello Zibaldone. I temi affrontati sono: vizi dei grandi, principi fondamentali delle calamità e della miseria umana, assurdi della politica, morale universale. Dialogo della Natura e di un Islandese (maggio 1824), sviluppa un dialogo serrato tra un islandese in fuga e la Natura, donna gigantesca “bella e terribile”, si sviluppa il tema della rinuncia al conseguimento della felicità, l’impossibilità di sfuggire il dolore, l’estraneità della Natura a questo destino di sofferenza. Il primo tema affrontato è quello della “vanità della vita” e dell’ “infelicità degli uomini” che “combattendo continuamente gli uni contro gli altri per l’ acquisto di piaceri che non diletta no e di beni che non giovano, e tanto più si allontanano dalla felicità tanto più la cercano”. La tenacia dell’Islandese nel cercare strenuamente di procurarsi minore infelicità lo spinge a una ferma misantropia, all’abbandono del consorzio umano per sfuggire ai danni provocati dalla vita collettiva, ma senza risultato. Attraverso la risposta della Natura alla “protesta” dell’Islandese, assurto a emblema di tutto il genere umano, Leopardi espone il terzo elemento cardine della sua riflessione: l’ineluttabilità del male, e anzi la sua necessità. Il mondo non è fatto per l’uomo, la sua felicità o infelicità non sono provocate da azioni volontarie, ma da un principio continuo di produzione e distruzione. 8. Leopardi redattore: Milano e Bologna Nel luglio 1825 l’ editore Stella lo chiama a Milano per dirigere un edizione delle Opere di Cicerone e gli commissiona un commento a Petrarca. Per tutto il 1826 si dedicherà a lavori “redazionali” tra Milano e Bologna, città in cui trova quella dimensione culturale che non aveva trovato a Roma. A Bologna nel 1826 pubblica I Versi, raccoglie la produzione “ extravagante” completando la “storia di un anima” svolta all’ interno delle Canzoni stesse, e presentando ai lettori, con gli Idilli degli anni 10, anche le sperimentazioni precedenti, dai sonetti satirici del 1817 al misogino volgarizzamento della Satira di Simonide sopra le donne del 1823. 9. Il “risorgimento” della poesia: Pisa, Recanati e Firenze Il 1828 è l’anno del “risorgimento poetico” vissuto a Pisa, e il 1829 sotto l’ombra dei “sedici mesi di notte orribile” trascorsi a Recanati; questo periodo presso il “natio borgo selvaggio” coincide con le riflessioni su un accentuato pessimismo, ma da cui sgorga una poesia che, sin dal titolo del libro, rinnova la tradizione letteraria, innestando il “canto” delle origini in una dimensione naturale e popolare. Risorgimento: si mantiene ancora all’interno della canzonetta arcadica, Leopardi intona un Inno profano per un’autobiografia in versi in cui celebrare, con la musicalità di strofe popolari e cantabili, il precipitare dell’animo nella disperazione, e il risorgere in primavera dello spirito che riscatta il dolore nel piacere del ricordo, all’interno di un destino di infelicità. A Silvia: altro celebre canto “pisano-recanatese”, esprime quegli inganni del cuore dove prendono le forme di una illusione amorosa e, dietro un personaggio forse reale, un archetipo della bellezza femminile e della poesia. La nuova disposizione al “canto” si esprime attraverso l’invenzione narrativa di un personaggio delicato e potente, che fornisce a Giacomo un perfetto alter ego della disillusione occorsa, e della morte delle speranze insieme con quella della giovane donna. La riflessione interiore è linfa vitale a quella dimensione memoriale che, svanite le “favole antiche”, diventa l’unica praticabile per la poesia, e l’unico spazio di piacere consentito al poeta. Sono invece scaturiti dal lungo e doloroso soggiorno a Recanati le altre poesie che costituiscono il secondo nucleo dei Canti pisano-recanatesi: La quiete dopo la tempesta e Sabato del villaggio. Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: il canto è il più sconsolato prodotto dal “pensiero poetante” leopardiano, di cui la dimensione metafisica dell’Islandese è riproposta in un deserto dell’Asia e nel dialogo (muto) tra un pastore e la luna; viene rappresentata la vita umana nella corsa senza senso di un “Vecchierel bianco, infermo” che dopo aver sfidato tutti gli elementi naturali finisce in un “Abisso orrido, immenso”, e contrappone alla sua consapevolezza, l’incoscienza della “greggia” indifferente, e la dimensione illusoria di una libertà sconfinata. Nella nuova poetica dei Canti fiorentini, i contenuti filosofici vengono presentati in forme popolari, senza rinunciare alla cantabilità, alla naturalezza dell’espressione. Nella Quiete, Leopardi tenta di presentare l’esistenza del male come una condizione necessaria per poter vincere la noia, e sperimentare il sollievo. Il Sabato del villaggio: il giorno in cui tutta la comunità ferve nell’aspettare la festa, adempie alla stessa funzione nello spazio collettivo del villaggio rurale, e in una dimensione temporale proiettata nel futuro. Il consiglio a chi nel pieno della giovinezza, non vede l’ora che il tempo si affretti, senza sapere che quel sabato che presto diventa giorno di festa, è in realtà la più compiuta felicità che gli sarà concesso ricordare. Ma quando nel 1831 vengono pubblicati i Canti, Leopardi è coinvolto in una passione amorosa, nei confronti di una donna, Fanny Targioni Tozzetti, già sposata e con dei figli la quale non ricambierà il suo amore; la disillusione provata porterà Leopardi a scrivere le più aspre e sentimentali poesie mai composte: il ciclo di Aspasia, dove la poesia riveste nuclei di puro raziocinio nichilista, in un alternarsi di illusione e disillusione. Scrive la novella, La nostra famiglia di campgna. In quest’ opera Nievo da prova di conoscere bene il panorama della letteratura rusticale contemporanea. Si tratta di novelle che rimangono in bilico tra una letteratura per i contadini, rivolta cioè a un pubblico davvero popolare, con funzione di istruzione morale, e una letteratura sui contadini, di materia rusticale ma indirizzata alle classi superiori, con la speranza di sensibilizzare sulle condizioni di vita delle campagne. Nelle sue prove emerge una visione nitida delle condizioni economiche dei ceti più bassi, visione proposta in primo luogo al pubblico di città: un contesto estremamente duro ma ancora indenne dalla decadenza morale delle classi più benestanti. 5. Tre anni frenetici: i primi romanzi Il Conte pecorajo: nel romanzo Nievo intende proseguire la riflessione sul mondo contadino avviata nelle novelle campagnole (ambientazione friulana), la storia narra in terza persona la vicenda di un personaggio femminile, Maria, e la sua personale odissea, passando attraverso la seduzione subita, la nascita e la morte di un figlio, la reintegrazione conclusiva nel suo mondo originario, finale talmente a lieto fine da sembrare in verosimile. Nievo riprende in modo esplicito il precedente di Manzoni, e tenta l’operazione di una “letteratura autenticamente popolare”. Lo stesso Nievo ne coglie i limiti e lo interrompe per la composizione di un romanzo storico, ancora più vicino al modello manzoniano. Nell’ estate del 1855 inizia a scrivere Angelo di bontà, narra di un una prolungata prova di virtù immacolata (di fronte ai costumi e alle tentazioni di Venezia) di Morosina davanti a un vecchio inquisitore. Viene pubblicato nel 1856 a Milano Storia del secolo passato e nel 1857 appare Il conte pecorajo con segnalazione Storia del nostro secolo. Nel 1857, mette mano a un terzo romanzo forse il più felice e più sorprendente. Il Barone di Nicastro, esce a puntate sul “Pungolo” nel 1857, la pubblicazione è poi interrotta e ripresa nel 1859, e infine il romanzo esce nel 1860. Nelle pagine del romanzo umoristico-filosofico, solo apparentemente leggero, fa confluire molti degli elementi del suo bagaglio culturale e insieme fa emergere tracce della storia contemporanea. La storia del Barone che cerca di smentire la solenne dichiarazione di Bruto contro la virtù, a questo scopo il barone si butta in una serei di viaggi e avventure. 6. L’ interpretazione del genere teatrale All’interno del costante programma d’intervento di Nievo nella cultura contemporanea, anche il teatro gioca un ruolo importante, consapevole della forza dello strumento per la trasmissione immediata di ideali e valori su un pubblico allargato. Nievo come scrittore di teatrale esordisce nel 1854, con la messa in scena degli Ultimi giorni di Galileo Galilei, incentrato sulla figura di Galileo come eroe del pensiero, disposto anche al compromesso e all’abiura. Nei due anni successivi scrive Pindaro Pulcinella 1855, I beffeggiatori e Le invasioni moderne 1857. 7. Le memorie di Carlino: Le confessioni di un Italiano 7.1 Composizione La stesura del romanzo Confessioni d’un Italiano si svolge lungo circa nove mesi, dal dicembre del 1857 all’ agosto 1858. Un periodo ridottissimo e sorprendente. L’opera può essere suddivisa in tre momenti (i tre quaderni autografi conservati alla biblioteca comunale di Mantova: 1. il primo (capitoli I-VII), la fine dell’antico regime: la narrazione va dal castello di Fratta e si conclude con la decapitazione di Luigi XVI (1793); 2. il secondo (capitoli VIIXVII), la stagione delle rivoluzioni: la narrazione copregli ultimi anni del Settecento, fino alla caduta della Repubblica partenopea (1799); 3. il terzo (capitoli XVIII-XXIII), l’Ottocento fino al presente: la narrazione si svolge a coprire la prima metà del XIX secolo, fino ad arrivare al 1858 presente della scrittura La struttura rende chiaro l’andamento della narrazione, assai più rapida nella parte conclusiva, in una sorta di dissolvenza che lascia nell’ombra i moti italiani degli ultimi anni. A causa della chiara direzione dell’ opera rimane inedita e pubblicata postuma nel 1867. 7.2 Carlino e Pisana Le Confessioni si snodano quasi per intero seguendo la passione, il legame ambiguo e fortissimo che stringe Carlino Altoviti, il narratore ottuagenario che rievoca la sua esistenza, alla Pisana, la contessina di Fratta. Se Carlino è una figura mediana, un osservatore attento del mondo e della storia, la Pisana è invece è una sorta di geroglifico misterioso tutto da decifrare. Carlino vive tutte le tappe fondamentali del suo percorso al cospetto della Pisana, la quale amerà altri uomini e sposerà un vecchio nobile veneziano. Il Carlino narratore, che rievoca a distanza di anni, nel ricordare accompagna all’amore, ancora intatto, una riflessione prolungata sull’indole della Pisana. Si tratta di una stratificazione che offre una straordinaria ricchezza, perché nella narrazione si alternano liberamente i pensieri e le emozioni di Carlino giovane con i giudizi e le larghe digressioni morali dell’ottuagenario. 7.3 Un percorso verso l’ Unità L’asse sentimentale rappresentato dagli amori di Carlino e Pisana è intrecciato con l’asse ideologico e politico del romanzo, il cammino verso l’Unità, punto di fuga dichiarato nell’incipit: “e morrò per la grazia di Dio italiano”. Carlino attraversa come partecipe le varie tappe della storia recente: il crollo dell’antico regime, con un grande rilievo assegnato al momento della caduta della Repubblica di Venezia, e poi tutte le sconfitte dell’Ottocento. Carlo non perde però mai la fiducia che l’Unità sia un traguardo vicino. In un etica dell’ “attesa e dell’ educazione” che si allontana dagli ideali mazziniani e che assume una posizione più moderata e corale. Lontano da ogni posa eroica, come da ogni elogio delle fiammate rivoluzionarie, Carlino sembra scegliere dunque una prospettiva più lenta, calata sui tempi lunghi della maturazione dei popoli; più che al progetto di una sommossa, la linea che l’ottuagenario propone è dunque quella che mira alla formazione morale di un popolo, in grado di conquistare la propria libertà e la propria nazione. Cruciale l’elemento dell’educazione, la proposta di una legge interiore fondata sul dovere, sulla coscienza, sull’armonica gestione delle passioni. Sarà il rinnovamento morale di ogni cittadino a rappresentare la condizione e la premessa per il rinnovamento civile prima, per il rinnovamento politico dopo, dove Carlino rappresenta il modello per mettersi in cammino verso l’Unità. 7.4 Una scrittura ibrida: lingua, stile, modelli Sin dal titolo le Confessioni di Carlino si ricollegano al romanzo autobiografico settecentesco, e anzi al modello delle Confessions di Rousseau e alla Vita di Alfieri. L’opera contiene dentro di sé: ■ Romanzo di formazione: evidente nell’evoluzione del personaggio di Carlino. ■ Romanzo storico: implicito nel racconto del mondo di Fratta e poi ancora nella resa degli anni convulsi di fine Settecento e quelli di primo Ottocento. ■ Romanzo contemporaneo: che si sviluppa dal lascito del romanzo storico, dove la contemporaneità viene offerta nella forma del romanzo epistolare. Su tutti questi elementi domina il registro umoristico, la tendenza digressiva con la quale Carlino guarda a distanza, con una ironia carica di passione, le vicende narrate. A prevalere nel romanzo è la voce di Carlino che si muove senza ostacoli tra le impennate ispirate e di tono retorico e i tanti scorci di marca colloquiale. Una voce che si muove su un orizzonte antimanzoniano, opponendo alla soluzione monolinguista di Manzoni un plurilinguismo che intreccia forme dialettali e forme derivanti dalla tradizione. I tanti colori linguistici delle Confessioni rappresentano il riflesso di una ideologia complessiva, all’interno di un romanzo che prefigura l’unificazione, e che voleva dunque essere appunto linguisticamente composito, “italiano”. Nievo non solo riprende i testi chiave della tradizione narrativa sette-ottocentesca già citati, da Sterne a Rousseau, Voltaire a Balzac, e soprattutto Foscolo e Leopardi; ma accoglie anche autori più antichi, ripresi e inseriti nelle pieghe degli episodi, come Ariosto e Tasso e con un nuovo ruolo decisivo assegnato a Dante, e innanzitutto al Dante della Vita nuova. Nel suo cammino verso il futuro, verso l’Unità, l’eroe di Nievo si muove dunque conservando solide radici nella tradizione letteraria italiana, in un’operazione che continua a destare sorpresa, ove si pensi alla straordinaria rapidità di composizione del romanzo. 8. La penna e il fucile: gli scritti politici e l’ impresa dei mille Nel 1859 avviene la svolta politica, Nievo decide di arruolarsi con i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi; ma gli accordi di Villafranca tra Napoleone III e gli austriaci faranno cadere Nievo in una profonda delusione. Scrive Gli amori garibaldini, Rivoluzione politica e nazionale, Venezia e la libertà d’ Italia e Storia filosofica dei secoli futuri ( si prefigura un futuro lontano giocando in chiave satirica). Successivamente Nievo si imbarca da Quarto con i Mille e prende parte direttamente alle battaglie. Il 4 marzo 1861 si imbarca su un piroscafo dalla Sicilia verso Napoli con lo scopo di portare importanti documenti a Torino, il 5 marzo il piroscafo si inabissa (forse non accidentalmente) e Nievo perde la vita. Epoca 10 La letteratura della nuova Italia Introduzione 1. I problemi politici e sociali nei primi decenni dell’ unità Nel 1861 viene proclamato il Regno d’Italia, il processo unitario, cui l’élite intellettuale e militare ha in vario modo lavorato dall’inizio del secolo, però non è ancora concluso. Molte sono le resistenze di città e popolazioni che avevano conosciuto per secoli un orizzonte territoriale ristretto, circoscritto dentro aree linguisticamente e culturalmente molto omogenee. Il nuovo Regno mette insieme aree assai diverse tra loro, a partire dagli assetti politici ed economici distinti e dalle conseguenti divergenze dal punto di vista sociale. Molto evidenti appaiono le differenze tra , che investono l’organizzazione amministrativa e l’ impianto economico. letteraria, secondo quello che sarebbe rimasto uno degli elementi di ricchezza e insieme ambiguità degli scapigliati. Ugo Tarchetti, originario del Montefeltro e impegnato nella carriera militare, vive a Milano dal 1864 ed entra in contatto con il clima della generazione scapigliata. Egli cerca di rendere nel romanzo le passioni intime e allo stesso tempo le dinamiche collettive, prefigurando dunque l’oscillazione tra una prospettiva generale, sociale, e le caratteristiche delle parabole individuali, sempre declinate in negativo, in chiave apertamente antiborghese. È il romanzo Paolina, che opera un abbassamento del precedente manzoniano, con una eroina osservata nella sua parabola di rovina. Fosca è un altro testo esemplare di una prima scapigliatura di temi piuttosto che di lingua, realizzata scavando nell’interiorità dei personaggi, per esplorarne le zone più in ombra, percorse da passioni malate. L’autore presenta il testo come la “diagnosi di una malattia”, costituita sull’opposizione tra le due protagoniste, Fosca e Clara, e soprattutto sulla fisionomia orribile di Fosca, oggetto per il protagonista Giorgio di una passione amorosa allo stesso tempo impossibile e inevitabile. Nell’insieme si avverte bene nel romanzo il disegno didascalico di Tarchetti sul fascino esercitato del deforme e dal malato, e si esplicita così il sistema di opposizioni antitetiche che rappresenta la struttura portante di molte prove della prima Scapigliatura. Capitolo 2: Giosuè Carducci 1. Carducci, intellettuale inquieto e “poeta vate” Per Carducci l’analisi della tradizione poetica italiana nelle vesti dello studioso dotato di una straordinaria erudizione, la vivace attività di polemista in qualità di patriota fedele agli ideali risorgimentali e, infine, il suo felice impegno nella composizione poetica sono sempre intesi come declinazione di un medesimo spirito ideologico, rivolto a partecipare con energica convinzione ai destini della nascente Italia. Egli tenterà di ridare vitalità moderna al classicismo, vissuto sin dagli anni giovanili anche come reazione alle pieghe banalizzanti del gusto romantico o alle espressioni della letteratura scapigliata. La fortuna europea di cui godette nel corso della vita, è ben documentata dal Premio Nobel ricevuto nel 1906, ma anche la posizione di “poeta Vate” dell’ Italia della seconda metà dell’ ottocento, la cui eredità sarà contesa dopo di lui da Pascoli e D’Annunzio. La proposta carducciana di una poesia di impronta classica, capace di recuperare tanto le forme della lirica italiana antica, quanto di muoversi in direzioni di nuove soluzioni metriche, orientate a emulare la metrica latina, si deve porre sotto l’insegna dell’incessante sperimentalismo. 2. La prima giovinezza in Toscana Carducci nasce a Valdicastello di Versilia il 27 luglio 1835 e trascorre i primi anni della sua giovinezza nella zona della Maremma. A Firenze compirà studi liceali. Questa prima stagione è condizionata dalla figura del padre, medico di professione con un carattere molto pronunciato e soprattutto patriota appassionato e poeta dilettante. Studia alla Normale di Pisa fino al 1857. Nel 1860 gli viene offerta la cattedra di Eloquenza italiana presso l’ateneo di Bologna, nella quale risiederà per tutta la vita. Carducci pubblica nel 1857 la sua pima raccolta di poesie, Rime, in un momento complesso e difficile sul fronte privato, a causa del suicidio del fratello Dante, che sembrava in qualche modo implicare responsabilità da parte del padre, che con il fratello aveva avuto discussioni violente. Pubblica la raccolta di poesie Juvenilia (1871,1880, 1891), comprendente un centinaio di liriche, divisa in sei sezioni, si vede un peso decisivo dei modelli della tradizione, tanto classica quanto italiana. 3. Il primo soggiorno bolognese, tra impegno critico e poesia L’approdo all’Università di Bologna, alla quale rimane legato fino agli ultimi anni di vita, segna una nuova, felice stagione di studi storico-letterari, testimoniata da numerose edizioni di testi di classici. Un così significativo impegno nello studio della tradizione letteraria italiana, e specie di quella poetica, è guidato da una intenzione scopertamente ideologica, in nome della quale Carducci vuole rivendicare una primazia delle lettere italiane quali eredi dello spirito antico. Levia gravia pubblicato con lo pseudonimo di Enotrio Romano nel 1868 a Pistoia. Nei tre libri che compongono la raccolta si avverte l’ influenza del nuovo clima bolognese, con una presenza di temi civili e di carattere più direttamente politico. Sul fronte più aggressivo si colloca invece Inno a Satana (composto nel 1863), nella poesia Carducci riprende l’idea del persistere, nella tradizione della cultura occidentale, di una dimensione pagana, ribelle e vitale, così da eleggere Satana quale espressione del libero pensiero e di un progresso che rompe i vincoli e i limiti imposti da una cultura miope e conservatrice. Nell’inno si traccia una sorta di storia del pensiero libero, che procede dall’antica mitologia alle diverse religioni, esaltando i campioni del progresso, sino a celebrarne il simbolo moderno per eccellenza, cioè la locomotiva. Grazie al ritmo incalzante, Carducci cerca di ritrarre nei versi la plasticità fonosimbolica della locomotiva in movimento, rappresentata come un “mostro” antropomorfo che “divora” la terra e procede senza timore nell’oscurità. Giambi ed epodi, andata in stampa nel 1881 per i tipi di Zanichelli. Nel titolo Carducci esplicita i due modelli di riferimento principali, rispettivamente il poeta greco Archiloco per i giambi e il poeta latino Orazio per gli epodi. Carducci cerca anche di imitare, senza eccessiva rigidità, il modulo dei metri classici. L’intenzione è apertamente militante, orientata a commentare, in tono polemico e aggressivo, le principali occasioni della realtà sociale e politica italiana; Carducci assume la postura di vero e proprio censore dei costumi e delle decisioni politiche, scagliandosi contro il papa ma anche contro le decisioni del governo. 4. Gli anni 70 e 80: un progressivo mutamento di orizzonti poetici ideologici A partire dagli anni Settanta Carducci comincia ad assumere posizioni diverse, meno radicali, orientate ora a un atteggiamento di maggior ripiegamento interiore sul fronte poetico e di maggiore disponibilità a negoziare una posizione politica che diverrà, con il passare del tempo, sostanzialmente filogovernativa. Episodio simbolico di questo diverso orientamento politico è l’ode Per la regina d’Italia, composta nel 1878 composta in occasione della visita della famiglia reale a Bologna. La monarchia, agli occhi del poeta, era l’unico garante dell’unificazione nazionale. Rime nuove è un opera nella quale il poeta antologizza il suo mondo poetico, articolato e composto tanto per la straordinaria varietà delle soluzioni formali, quanto per la ricchezza esibita dal repertorio tematico, che spazia dalla dimensione lirico-sentimentali alle intense reminiscenze paesaggistiche, sino alla rievocazione storiche e a lunghi momenti di riflessione sulla lingua poetica. Difficile, e forse criticamente poco proficuo, cercare una sintesi d’insieme della raccolta, mentre più fruttuoso sembra osservare la pluralità del mondo poetico carducciano, aperto a percorsi anche significativamente diversi, ma non per questo tra loro contraddittori. Traversando la Maremma toscana, in cui Carducci proietta nei luoghi della sua infanzia toscana, con i quali sente una sorta di affinità caratteriale, un nostalgico e disilluso sguardo, che denuncia la sconsolata sconfitta dei sogni giovanili, sigillata dalla morte incombente; sul finale del sonetto vi è una nota consolatoria e pacificante, capace di illuminare di una superiore saggezza il pensiero dell’io lirico. Odi barbare è il grande cantiere della nuova metrica, il cui suo nuovo stile spazia dal metro che è antico all’assenza della rima. I modelli che Carducci guarda sono i classici, soprattutto Orazio, contrapposto con intenzioni polemiche ai poeti greci, ma anche agli elegiaci latini, non dimenticando gli esperimenti di rilievo già attuati nella tradizione italiana. La metrica è definita barbara perché tali poesie al giudizio dei classici greci e latini suonerebbero fortemente diverse dal loro stile. Il poeta insegue una forma poetica capace di valorizzare l’aspetto tecnico dell’arte e, insieme, di dare così risalto all’impegno intellettuale e di pensiero, in nome di una poesia che intenda ancora essere in grado di esprimere una posizione del soggetto lirico nei confronti del mondo e di dare spazio a una riflessione più intimistica e autobiografica. Alla stazione in una mattina d’autunno, nel componimento si fonde, all’interno di un paesaggio novembrino, grigio e caratterizzato da una luce debole, il ricordo di un incontro con la donna amata, Lidia, in procinto di partire col treno. La stessa immagine del treno, rispetto all’Inno a Satana, è del tutto priva di tratti eroici, lontana dall’esaltazione del progresso trionfante; è solo uno strumento, il cui aspetto cupo e minaccioso quasi da mostro mitologico contrasta con l’immagine eterea e sottile della donna. 5. Gli ultimi anni a Bologna Sul finire degli anni Ottanta Carducci assume sempre più una figura simbolica, “poeta vate” per l’intera penisola, con un conservatorismo filomonarchico sempre più marcato, apparentemente in contraddizione con le scelte giovanili. Carducci può essere considerato un “conservatore sovversivo”, proprio per riconoscere come gli ideali rivoluzionari fossero sempre temperati da una visione politica pragmatica, in nome della quale la monarchia dei Savoia finiva per costituire un elemento unificatori e di garanzia. Capitolo 3: Pedagogia e borghesia 1. La scuola in Italia Il primo compito che i governanti del nuovo Stato dovettero assumere subito dopo il 1860 fu di creare un assetto istituzionale che sviluppasse quella progressiva uniformità culturale necessaria a realizzare un senso d’identità e di appartenenza nazionale comune. Per quanto riguarda l’esercito, dopo una serie di misure provvisorie, nel 1865 vengono infatti realizzate le prime liste di leva. Nel 1861, in occasione del primo censimento nazionale, emerge infatti il dato preoccupante di un analfabetismo diffuso nel 75% della popolazione. Sarà la legge Coppino nel 1877 ad ampliare la durata della scuola elementare a cinque anni e stabilire l’obbligatorietà dei primi tre anni. Ma il sistema scolastico italiano assumerà, ereditando l’assetto istituzionale del Regno sabaudo, un carattere profondamente classista, di stampo militarista ed estremamente anti egualitario. Pertanto, nell’Italia postunitaria il progetto pedagogico è strettamente connesso al progetto di costruire una classe borghese nazionale. L’ingresso nell’ambiente culturale milanese sarà determinato dall’incontro di importanti intellettuali, in particolare Luigi Capuana, scrittore siciliano che rappresenterà il principale interlocutore di Verga sulla strada col Verismo. Allo stesso modo verrà a contatto col genere della Scapigliatura. Forse per la sua originaria alterità, Verga coglie dunque perfettamente i contorni di una modernità dinamica e affollata. Il romanzo Eva, racconta la storia del legame di Enrico Lanti con la protagonista, una ballerina che mano a mano si trasforma in una sorta di eroina del focolare, facendo così sfiorire la passione dell’uomo, dopo la rottura del rapporto, Eva torna alla dimensione di femme fatale, mentre Enrico va incontro a una morte letteraria, seguito di un duello. Su questa storia d’amore si innesca un secondo piano, quello di una riflessione sulla condizione dell’arte nella società contemporanea: con una difesa preventiva sulla presunta immoralità dell’opera, in nome di un’arte che illumina ebrezze e desideri, secondo il consueto timbro della verità. 5. La svolta di Nedda Il romanzo Nedda, composto nel 1874, si allontana dalla materia mondana degli ultimi romanzi (tutti) e torna all’ambiente siciliano. La trama descrive la storia d’amore tra Nedda e Janu. Il meccanismo è quello di una regressione a luoghi originari, a uno stadio primitivo nel quale risaltano le condizioni di Nedda e degli altri personaggi. Lo sguardo del narratore conserva uno tono paternalistico. 6 Da Vita dei Campi ai Malavoglia Nel periodo subito successivo al soggiorno a Catania, tra il 1879 e il 1880 Verga si concentra ancora nella scrittura di novelle e compone i testi che andranno a comporre la raccolta di Vita dei campi. Qui ogni componente idilliaca e nostalgica viene meno nella descrizione delle scene siciliane, a dilagare è il senso di sofferenza e durezza di parabole esistenziali segnate da fatica e dolore. Novella degna di nota è Rosso Malpelo, in cui già a partire dall’inizio della novella, emerge l’assunzione dell’ottica popolare di superstizione e condanna, comincia a intravedersi quella “scomparsa dell’autore” che è diventato man mano l’orizzonte di scrittura di Verga. 7 I primi << Vinti>>: I Malavoglia La bozza dei I Malavoglia è avviata nel 1874, conclusa nel 1880 e stampato nel 1881 presso Treves. Gli elementi chiave del romanzo sono la centralità ossessiva della dimensione economica (la “roba”), che si manifesta nella lotta per la conservazione dei beni che identificano la famiglia; e nell’articolata rete di legami matrimoniali, convenzioni e regole che scandiscono la vita dei personaggi. Caratteristica la cessione di un punto di vista unitario, del narratore, e l’assunzione di uno sguardo collettivo, di una voce nuova e impersonale che Verga riesce a realizzare attraverso l’abbandono di ogni posizione di narratore onnisciente e il ricorso a precisi accorgimenti stilistici. Dall’altra parte decisivo è l’impiego del discorso indiretto libero, attraverso il quale Verga proietta su larghi scorci della narrazione, sui giudizi e sulle considerazioni che accompagnano le diverse vicende, lo sguardo di una intera collettività. Verga osserva contrapporsi in modo silenzioso la logica della roba e del guadagno, la legge dell’interesse e del progresso, e un avanzo di etica arcaica, rappresentata dal senso dell’onore e dall’integrità del vecchio padron ’Ntoni. Si realizza quel meccanismo di sconfitta e di emarginazione che rappresenta il teorema generale del “Ciclo dei Vinti” e che Verga enuncia in modo aperto nella pagina di prefazione che apre il romanzo. Il tutto avviene entro i limiti di una effettiva scomparsa di giudizi d’autore, mettendo in atto quella sperimentazione di oggettività e impersonalità che ha una straordinaria portata simbolica, sul piano estetico e sul piano etico. 9. Il Mastro don Gesualdo Il romanzo Mastro don Gesualdo, segna il definitivo accantonamento di ogni residuo di elegia, il superamento di ogni fascino per gli sconfitti come protagonisti incolpevoli sommersi dalla “fiumana del progresso”; registra invece, con sguardo impassibile, il paradigma di profitto e di sopraffazione che guida le azioni di Gesualdo. Lo spostamento di contesto sociale comporta una diversa e più complessa resa sul piano dello stile, con un dominio ora assegnato al discorso indiretto libero. Il perno del romanzo, Gesualdo, finisce svuotato dal suo cammino e dalla sua condotta, inutilmente teso a governare e orientare a proprio vantaggio le leggi del guadagno e dell’interesse e poi costretto ad assistere alla dispersione del suo piccolo impero a opera del genero. 10. Ritorno in Sicilia Pirandello conia l’ espressione come Verga “scrittore di cose”. Verga muore a Catania il 27 gennaio 1922, per un attacco cerebrale.
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