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Letteratura Italiana - Da Tasso a fine Ottocento (Manuale per studi universitari), Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto del volume "Letteratura Italiana - Da Tasso a fine Ottocento (Manuale per studi universitari)", di Alfano, Italia, Russo, Tomasi. Autori contenuti nel riassunto: da Tasso a Vittorio Alfieri

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 09/01/2020

Hank91
Hank91 🇮🇹

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Scarica Letteratura Italiana - Da Tasso a fine Ottocento (Manuale per studi universitari) e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LA FINE DEL RINASCIMENTO • la fine del Cinquecento è ricca di esperienze di decadenza e smarrimento di sperimentazione che aveva caratterizzato i primi anni. È la figura di Tasso quella più esemplare, e la Liberata è ancora un capolavoro del Rinascimento per i modelli che assume tramite le leggi della Poetica di Aristotele. Non mancano però elementi che parlano della crisi delle corti italiane e delle preoccupazioni religiose. La morte di Tasso (1595) è la data simbolica utilizzata per indicare la fine del Rinascimento. • Guarini rappresenta, dopo la morte del Tasso, la figura di riferimento della nuova generazione di poeti, nella quale sarà Marino a rappresentare il primo quarto del Seicento. In Francia scrive infatti l'Adone, poema simbolo del Barocco italiano, modello di una poesia a base mitologica che si stacca dal modello tassiano per essere un poema di pace che vuole allontanare le tensioni di una stagione di guerre civili europee. • Troviamo inoltre autori in contrasto con la cultura ufficiale che pagano in prima persona. Questi sono ad esempio Giordano Bruno e Galileo Galilei, di cui la condanna del 1633 segna la conclusione di una prima stagione del Barocco italiano: infatti dopo quella data la cultura si ferma su generi più prudenti e la scienza moderna si afferma al di fuori dell'Italia. • Tra le proposte culturali più prudenti si trova Maffeo Barberini, nella ricerca metaforica estrema Claudio Achillini e nel secondo Seicento si assiste a una sintesi tra antico e moderno, classico e nuovo. TORQUATO TASSO • il secondo Cinquecento è definito l'"autunno del Rinascimento", perchè è un momento di crisi attraversato da inquietudini e incertezze. Nelle opere di Tasso, oltre la difficoltà esistenziale, viene inserito e sottolineato il valore della parola letteraria nel più ampio sistema dei saperi. La sua carriera letteraria è da dividere in due fasi: la prima per una letteratura di finzione per coinvolgere ed educare i lettori; la seconda per una poesia eloquente che vuole essere espressione della verità filosofica. Nel primo periodo l'atteggiamento verso il lettore è inclusivo, nel secondo esclusivo. • Nasce a Sorrento l'11 marzo 1544 e segue da subito il padre Bernardo per le diverse corti italiane. Sono esperienze durante le quali viene a conoscenza e studia il pensiero di Aristotele e la Poetica. • A Venezia, nel 1562, viene stampato il poema cavalleresco Rinaldo, che tratta la gioventù dell'eroe in una sorta di prequel romanzo di formazione dell'eroe. A livello compositivo si trova una mediazione tra Aristotele e i moderni. Attinge all'epica classica per il racconto di un'unica vicenda narrativa e per la riduzione al minimo della presenza esplicita del narratore (a differenza di Boiardo ed Ariosto). Sceglie poi di contenere il romanzo in soli dodici canti sul modello dell'Eneide. • Tra il 1562 e il 1564 Tasso si dedica alla composizione dei Discorsi dell'arte poetica, un trattato con la definizione delle regole del nuovo poema epico-cavalleresco, nel quale si concentra sul difficile tentativo di mediare le forme assunte dal poema moderno e le regole della Poetica aristotelica. È articolato in tre libri dedicati alle categorie retoriche dell'inventio, della dispositio e dell'elocutio: nel primo si tratta della scelta del miglior soggetto per un poema eroico; nel secondo le strategie narrative da adottare per la trama di un raccontro drammatico; nel terzo la ricerca di uno stile magnifico. Il principio che secondo Tasso deve guidare la scelta della materia è il verosimile. Il poeta deve trattare cioè un argomento vero, storicamente fondato, ma lontano dalla memoria dei lettori, così da potere innestare inserti di fantasia in una trama che rispetta gli eventi storici. La soluzione è 1 agganciare il meraviglioso ai principi della religione cristiana, così da inserire eventi miracolosi considerati credibili. Tasso adotta la formula detta unità mista, cioè quella di un racconto fortemente centrato su una sola storia, ma che accoglie una serie di diversi episodi. Questa idea di molteplicità viene espressa con l'immagine del microcosmo, del picciolo mondo, che l'autore manovra con le sue mani. Lo stile è quello magnifico che ha lo scopo di coinvolgere il lettore nello spettacolo emotivo e passionale narrato. Tasso immagina che lo stile epico debba assorbire al suo interno elementi retorichi e stilistici molto lontani tra loro, da quelli del linguaggio lirico a quelli del linguaggio grave e tragico. • Le rime giovanili: nel 1561 vengono stampati tredici sonetti tassiani all'interno di un'antologia di diversi autori (Rime di diversi poeti toscani) e, in seguito nel 1567, in una raccolta più ampia di quarantadue testi (Rime de gli Academici Eterei). Da un lato Tasso precisa lo statuto della lirica nel più largo quadro dei generi letterari, dichiarando la fiducia nella base sostanzialmente retorica della poesia, dall'altro lato riconosce nel panorama contemporaneo un ruolo centrale alla figura di Giovanni Della Casa, capace di uno stile grave ma vicino all'ideale armonia della poesia petrarchesca. I testi, di marca amorosa, sono un esile raccontro di una passione per una donna, Lucrezia Bendidio. Si trovano testi anche di matrice petrarchesca. • Alla corte di Ferrara (1565-1579): la corte di Luigi d'Este diviene vero e proprio luogo ideale del suo mondo letterario. Questi anni sono contraddistinti da una straordinaria felicità creativa. • Aminta: nella primavera del 1573 Tasso compone l'Aminta, una favola pastorale messa in scena l'estate stessa. Riesce a dare vita a un significativo rinnovamento della recente tradizione irregimentando il racconto all'interno di ortodosse coordinate aristoteliche di matrice tragica e allargando e complicando il gioco di riferimenti intertestuali con il mondo letterario classico. Così facendo l'autore apre la strada al genere misto, ovvero la tragicommedia. L'ambientazione della favola non è collocata in un mondo pastorale indistinto ma nei boschi della città di Ferrara, ed i personaggi sono maschere di persone della corte. La favola è articolata in cinque atti, ognuno concluso da un coro sulla liceità della passione amorosa, e narra la storia della giovane ninfa Silvia, pronta a difendere la propria verginità, e il pastore Aminta, innamorato e disperato per l'atteggiamento ostile della giovane. Gli altri personaggi sono Tirsi (maschera di Tasso), consigliere maturo e smaliziato di Aminta, e Dafne, esperta di questioni d'amore nutrice di Silvia. La vicenda non è altro che la riscrittura della storia d'amore di Piramo e Tisbe, episodio celebre delle Metamorfosi di Ovidio. Il finale vede Aminta suicidarsi dopo essere venuto a conoscenza della morte di Silvia (cosa non vera) e Silvia fare lo stesso dopo aver saputo del gesto del pastore. Ma Silvia viene a sapere che Aminta si è salvato grazie a dei rami e allora accetta l'amore del pastore, a differenza del finale ovidiano che vede la morte di entrambi i personaggi. Il vero centro dell'opera è il miscuglio dei due diversi generi, la tragedia e la commedia. Il finale lieto ha anche sottili tensioni e conflitti, che disegnano il percorso di formazione sentimentale e l'approdo al mondo adulto dei due giovani. • Gerusalemme liberata: Tasso sembra lavorarci già dal 1559-1560, anche se solo dal 1575 si sa che il poema era compiuto grazie alle Lettere poetiche scritte dal Tasso ai revisori della sua opera. Il poema venne pubblicato dal 1579 in poi grazie ad amici del Tasso, il quale era stato recluso da Alfonso d'Este nell'ospedale di Sant'Anna. Determinante per l'opera è la convinzione che la novità si trovava nel trattamento della materia, nell'orchestrazione in racconto dlla materia storica sapientemente mescolata con tratti finzionali. La scelta del soggetto cade sulla prima crociata, azione illustre con base storica, così da unire il tema della armi a quello religioso. Viene narrato il periodo finale della crociata, quando l'esercito cristiano arriva a Gerusalemme. Si narra la guerra tra bene e male, nell'animo di ogni uomo degli eserciti cristiani e musulmani, tra Dio e le forze del male e tra il Cielo e l'Inferno. 2 Germondo, ma si scopre che Rosmonda in realtà non è la vera sorella, che invece è Alvida. L'amore tra Torrismondo e Alvida è quindi impedito da una situazione di incesto già consumato. I due si suicidano per le colpe commesse. La tragedia si basa su fonti storiche e modelli classici, primo fra tutti l'Edipo re di Sofocle dal tema dell'incesto. • Gerusalemme conquistata: Tasso non modifica il soggetto del poema ma agisce invece sulla struttura narrativa, in particolare le parte dell'eros che vengono cambiate o tagliate (come la mancata riconciliazione di Armida con Rinaldo, che invece viene condannata). Vengono applicate delle aggiunte per imitare l'Iliade omerica, come i canti che passano a ventiquattro e la ripresa delle fonti storiche. Il momento di maggior tensione drammatica (l'intervento di Dio) viene spostato dal canto XIII al XIX come nell'Iliade. Aumenta inoltre l'ambizione filosofica e teologica, al punto che la vicenda narrata diventa sempre più astrattamente metafisica, momento di una storia universale e fuori dal tempo che trova il suo palinsesto nella Bibbia. La parte più interessante è quella del Giudicio, ovvero l'autocommento del poema. • Le rime: l'idea di Tasso è di suddividere le rime in libri monograficamente dedicati ai singoli temi, cioè amoroso, encomiastico e spirituale, invece che un canzoniere. Questo segna una rottura e una nuova influenza perchè si allontana dal canzoniere di Petrarca. Tasso decide inoltre di inserire un autocommento. Saranno pubblicate però solo le Rime amorose e quelle encomiastiche. • Il Mondo creato: viene terminato dall'autore nel 1594 ma pubblicato solo nel 1607 dopo la morte. Il soggetto del poema è il racconto della creazione del mondo, basato sulla Genesi e sugli esameroni (opere che trattano i sei giorni della creazione del mondo). Scritto in endecasillabi sciolti, il poema è articolato in sette giornate in cui si tratta la vicenda della nascita della luce e delle tenebre e del cielo, dell'acqua, della terra, dei pianeti, del sole e della luna, ecc. Scopo della poesia non è farsi narrazione dell'accaduto, ma rivelazione e spiegazione della complessa multiformità del mondo illustrata attraverso la forma della parola. BATTISTA GUARINI • Battista Guarini vive l'ultima corona estense e la rottura della solidarietà del rapporto tra il principe e l'ormai subordinato cortigiano/segretario. La sua vita è un passaggio tra le varie corti perchè ricercatissimo autore di madrigali e rime per musica, scrittore di teatro con competenze scenico-registiche d'eccezione. Le sue opere sono caratterizzate da un'ambiziosa sintesi di riso e patetismo, compassione e terrore, di comico e tragico, con una provvidenziale conclusione felice, una poesia cultissima e raziocinante, affettuosa e sensuale, che narra il messaggio di affidamento alla volontà divina, di rigenerazione morale tramite il rinnovo del singolo e della società, amore e onore, libertà e legge. • Nasce a Ferrara nel 1538 e nel 1557 diventa professore dell'Università cittadina e poeta occasionale di corte. Nel 1564 entra a fare parte dell'Accademia degli Eterei con il nome Costante, esperienza per lui fondante poichè approfondisce i suoi interessi e allaccia rapporti e amicizie di lunga durata. Il suo esordio come poeta lirico avviene con la partecipazione all'antologia di Rime de gli academici Eterei (1567) con 36 testi. Già in queste giovanili liriche amorose viene lodata l'unione di amore e onore e proposto come modello la fedeltà ad un unico amante, i motivi alla base del Pastor Fido. • I dieci anni tra il 1567 e il 1576 vedono Guarini al servizio del duca Alfonso II d'Este che lo nomina cavaliere. Sono dieci anni di schiavitù, dove prima è a Torino, poi a Roma, in Polonia e poi Ferrara. In questo periodo non ha successo la stesura della Musica nova a cinque voci ed è ostacolato dall'attività dell'odiato segretario Nicolucci detto Il Pigna, per il quale Guarini aveva riordinato Il ben divino, un canzoniere amoroso per la cognata Lucrezia 5 Bendidio. • La morte del Pigna (1575) e l'incarcerazione di Tasso lasciano il campo libero a Guarini che diventa il poeta ufficiale di corte degli Este. L'interesse della corte è verso la musica ed il teatro e ciò spinge il poeta verso la lirica e il dramma. Trova il successo in collaborazione con Luzzaschi nel 1582 con il Terzo libro dei madrigali a cinque voci, il Lauro secco e il Lauro Verde. Ciò non diminuisce però l'insofferenza di Guarini per il servizio cortigiano. • Il Pastor Fido (1580-1589): l'opera è il capolavolo poetico di Guarini, una tragicommedia pastorale in cinque atti. È stata scritta tra l'1583 e 1584, ma stampata solo nel 1589 dopo la revisione di Scipione Gonzaga e Lionardo Salviati. Nasce in competizione con l'Aminta e si pone come sintesi della pastorale scenica ferrarese. Infatti ne riprende i personaggi e moltissimi topoi narrativi e spettacolari (la grotta, il satiro, il cane da caccia, il dialogo di un personaggio con l'eco, la scena di sacrificio, il gioco-ballo della moscacieca) rendendo però ogni dettaglio strettamente necessario all'intreccio, costruito con assoluto rigore geometrico, dove i personaggi hanno funzioni ideologiche-narrative. Il protagonista è Mirtillo che rimane fedele all'amore per Amarilli, offrendo la propria vita in cambio di quella della ninfa incolpevole ma condannata a morte per adulterio perchè, promessa sposa a Silvio, è stata sorpresa con Mirtillo in una grotta. Mirtillo, riconosciuto al momento del sacrificio come figlio del sacerdote Montano, discendente di Ercole, può sposare Amarilli, che l'ha amato segretamente ed è discendente di Pan. Così si compie l'oracolo per cui solo il matrimonio di due discendenti di stirpe divina avrebbe posto fine all'annuale sacrificio di una fanciulla a Diana, imposto dalla dea in riparazione della morte del pastore Aminta causata dall'infedeltà della ninfa Lucrina. D'altra parte Silvio, anch'egli figlio di Montano, fanatico devoto a Diana, cederà all'amore di Dorinda solo dopo averla gravemente ferita con una freccia. L'Arcadia non è quindi un luogo perfetto, bensì corrotto da un peccato originale che ha contagiato tutta la società pastorale a cui le leggi non pongono rimedio. Da qui il celebre coro del IV atto, essenziale per comprendere l'ideologia dell'opera. L'onore lodato da Guarini non è nè ambizione nè onorabilità esteriore ed ipocrita, ma il senso profondo della propria dignità, l'interiorizzazione della virtù, la legge della libertà valida per i singoli e per la società. È ciò che apprende Mirtillo che da un amore sensuale e furtivo giunge al matrimonio tramite l'onore e il sacrificio. Solo Amarilli riesce ad accordare amore e onore, pur nella drammatica lacerazione fra legge e libertà dell'Arcadia. Famoso il suo "a solo" in cui palesa la volontaria rinuncia ai propri piaceri in nome dell'onore e della fedeltà. Questa confessione è ascoltata da un'altra ninfa, Corisca, che incarna tutti i vizi della degenerata Arcadia, che, interessata a Mirtillo, provoca il loro incontro nella grotta per far condannare Amarilli. Corisca è il personaggio motore dell'azione narrativa. Il codice biblico-religioso innerva tutto l'intreccio del dramma, facendone tutt'altro che una favola pastorale. • La polemica sul Pastor Fido (1586-1602): Giasone De Nores, professore di retorica a Padova, nega lo statuto di genere regolare alla favola pastorale (inverosimile trasposizione scenica dell'ecloga) e alla tragicommedia (mistione di elementi e generi diversi). Guarini risponde con Il Verrato, Il Verrato Secondo, con il Compendio della poesia tragicomica e con le Annotazioni anonime che accompagnano l'opera. L'obiettivo di questi scritti è quello di legittimare il terzo genere, cioè la irregolare pastorale scenica (non aristotelica) e in particolare la mistione di elementi comici e tragici, che caratterizzano il Pastor Fido. • Nel 1593, dopo un periodo irrequieto causato dal figlio e dal duca Alfonso II, che tornato impedisce a Guarini di stabilirsi a Firenze ed Urbino ed interrompe il suo servizio presso Mantova, sono pubblicate le Lettere ed il dialogo Il Segretario, nel quale viene dimostrato come dalla professione di segretario vengano eliminati i ruoli politici e quello che resta non è altro che un lavoro esclusivamente tecnico. Nel 1595, grazie alla riappacificazione col figlio Alessandro, riottiene il perdono del duca. Nel 1598 la figlia viene assassinata dal marito e dal fratello di lei. Successivamente vengono pubblicate le Rime. 6 • Dal 1599 al 1601 è a Firenze per il granduca Ferdinando I dove compone il Trattato della politica libertà, in cui sostiene la superiorità della tirannide nel garantire la libertà politica dei sudditi. Poi si reca ad Urbino e nel 1605 torna a Ferrara. A Mantova viene rappresentata l'Idropica che però non è un successo e Guarini viene eletto principe dell'Accademia degli Umoristi. La sua ultima opera sono gli intermezzi per l'Alceo di Antonio Ongaro. Muore a venezia nel 1612. GIORDANO BRUNO • Concepisce un nuovo cosmo privo di gerarchie, infinito e infinitamente animato. • Nasce a Nola nel 1548 ed entra nell'ordine domenicano che lo mette sotto inchiesta cominciando così la lunga peregrinatio europea che condiziona la sua vita e la sua scrittura. • Il Candelaio: scritto nel 1582, è una commedia in cui si assiste ad una rielaborazione della tradizione di fronte allo sconvolgimento della realtà. Attraverso tre personaggi descrive le derive inconcludenti della cultura a lui contemporanea. Al paratesto con dedica Alla Signora Morgana B. seguono quattro riflessi deformati del prologo classico che negano il loro ruolo ed il valore della commedia stessa. È un dissacrante meccanismo metateatrale di denuncia dell'impossibilità di operare in una realtà ormai profondamente sconvolta. Il modello negativo è rappresentato da Manfurio, che con i tanti vocaboli latini costituisce una completa distorsione dell'ideale bruniano di comunicazione concettualmente feconda. Al contrario, il pittore Gian Bernardo, è in grado di creare un lessico che rispecchia la realtà e che stabilisce il nesso biunivoco tra parole e cose. Egli è il portavoce del messaggio filosofico più profondo della commedia e nelle sua parole ricorre il tema della vicissitudine universale, l'instancabile ciclo di mutamento attivo dell'universo. La lingua bruniana intende ritrarre la realtà in tutta la sua concretezza. • A Londra stampa una serie di opere di matrice esoterica e sei dialoghi in volgare. Il manifesto della rivoluzione onto-cosmologica bruniana è il dialogo in volgare, pubblicato a Londra nel 1584, De la causa, principio et uno, in cui ad essere scardinata fin dalle sue fondamenta è l'opposizione tradizionale, di matrice aristotelica e neoplatonica, tra la materia/femmina passiva e la forma/maschio attiva, che agisce sul sostrato materiale inerte. La materia è un principio vitale attivo che per giungere a definizione deve attendere un intervento dall'esterno. Essa genera dal suo interno le forme ed è animata da un inesauribile appetito che la induce a produrne sempre di nuove, in un ciclo infinito in cui nessun ente si annulla e tutto viene continuamente trasformato. La materia rappresenta la fonte generativa della vita. Nonostante l'autore ritiene che l'uomo non può assimilarsi a Dio, parte della sua ricerca filosofica è incentrata sull'individualizzazione di nuove vie attraverso le quali l'uomo, pur nella sua finitudine, possa giungere ad intravedere l'infinito. Una delle modalità è l'arte della memoria, la mnemonica. Contraltare del seno della materia infinita è il sinus phantasticus (descritto nell'opera De imaginum compositione), dove vengono combinati creativamente gli elementi provenienti dalla conoscenza sensibile, scomposti e ricomposti per emulare la materia in continuo divenire. Si tratta di una vera e propria combinatoria fantastica. Attraverso le statue mnemoniche, in grado di rappresentare un concetto-base con una costellazione di informazioni secondarie, il filosofo può creare gallerie di immagini metaforiche, costruendole attraverso una successione di traslati, dato che ogni parte della scultura allude analogicamente ad un dato da ricordare, secondo un procedimento affine a quello dei tropi, delle figure retoriche di significato. Un rilievo del quale giova ricordare la profonda portata teorica, dato il nesso inscindibile che viene posto tra parola ed immagine, elaborazione letteraria ed arte della memoria. Il bisogno di un lessico che si faccia immagine spinge l'autore a creare dei neologismi. L'innovazione del pensiero bruniano si basa da un lato sulla speculazione onto-cosmologica sull'infinito, dall'altro sulle considerazioni sui 7 Tito nel 70 d.C. che però non vede la luce negli anni successivi. Si annuncia anche l'Adone e la Strage de gl'Innocenti, in un periodo in cui il poeta viene seguito dall'Inquisizione e in cui avrebbe dovuto realizzare dei disegni per ogni opera (disegni di Castello) per portare una dimensione congiunta di parola e immagine che è una costante nella parabola di Marino e una caratteristica della prima stagione del Barocco italiano. • Nel 1605 si trasferisce a Ravenna. Qui si inserisce in una situazione cortigiana dove compone due testi encomiastici (Il balletto delle Muse e Il letto) per i matrimoni delle due figlie di Carlo Emanuele I di Savoia, un omaggio al duca intitolato "Ritratto del serenissimo Don Carlo Emanuello", omaggio alla casata Savoia e inoltre fa circolare testi parodici contro Gasparo Murtola per scalzarlo dalla posizione di poeta di corte. Nel gennaio del 1609 subisce dal Murtola un agguato per strada dal quale si salva miracolosamente e l'avversario viene arrestato. Marino diventa Cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro. Lascia Ravenna perchè inseguito dall'Inquisizione per aver composto opere oscene ed empie e a Torino scrive dei testi poco riverenti nei confronti del duca e viene quindi rinchiuso in prigione, dove ci rimane un anno e gli vengono sequestrati tutti i manoscritti. • Quando ritorna in libertà pubblica la terza parte delle sue Rime, intitolata la Lira, nella quale raccoglie le liriche composte negli anni successivi al 1602 chiudendo la sua esperienza poetica. La Lira del 1614 presenta una nuova maniera mariniana: conserva una struttura per capi ed offre ora dei testi in cui la ricerca di metafore e la pratica dei concetti in clausola diventano più marcate. Avviene una rielaborazione metaforica potenzialmente inesauribile. Scrive le Dicerie Sacre, che rappresentano un'innovazione inattesa nel campo della prosa sacra. L'autore è convinto che faranno stupire il mondo, legando la materia sacra al suo virtuosismo. L'opera rappresenta il capolavoro decisivo del primo Barocco in Italia. Marino ne pubblica tre: La Pittura (dedicata alla sacra sindone e fondata sul cristo pittore), La Musica (parole pronunciate da cristo sulla croce), Il Cielo (dedicato alla celebrazione della materia celeste come prodotto della Creazione). La struttura della lunga composizione in prosa, fondata su un'unica metafora, consentiva quella ripetizione con mutazione che è procedimento principe del Marino. L'opera è accompagnata da un dossier di citazioni di testi sacri e di Padri della Chiesa e inserisce una dedica al papa Paolo V Borghese, tentativo che non ha esito positivo. Lascia Torino e l'Italia fuggendo dall'Inquisizione verso la Francia. • Si ritrova in Francia alla corte di Maria de' Medici, che avviene comunque sotto gli auspici migliori. I primi anni li passa in pace scrivendo testi encomiastici per la regina e il figlio di lei. Poi nel 1620 pubblica le opere da tempo annunciate: la Galeria e la Sampogna. La Galeria è una raccolta di 624 testi poetici, ciascuno dedicato a un'opera d'arte. È divisa in due sezioni, Pitture e Sculture, e documenta la grande passione mariniana per le arti figurative e il suo voler gareggiare con loro attraverso la parola poetica. La Sampogna è una raccolta di dodici idilli composti in diverse stagioni e raccolti in un'antologia che Marino cura personalmente e che esce a Parigi nel 1620. La materia è soprattutto mitologica con episodi pastorali. Vengono riscritti episodi celebri del patrimonio classico, dalla parabola tragica di Orfeo alla morte di Atteone, dalla storia di Proserpina alla metamorfosi di Dafne in alloro per fuggire gli amori di Apollo. L'opera è soprattutto giocata su uno sfoggio di straordinaria tecnica poetica: negli idilli si alternano sequenze di endecasillabi e settenari variamente rimati, con zone più preziose di versi sdruccioli, o con l'inserto di canzonette e frottole. C'è un'estrema abilità nel gioco dei ritmi. • Fino al 1623 l'Adone rimane un poemetto abbastanza breve, una storia semplice: tre tempi per innamoramento, amori e morte. La svolta avviene nel 1615 quando decide di passare in Francia, quando decide di allargare il pome, che apre con un'invocazione a Venere. Il poema si incentra sull'amore che lega Venere ad Adone, giovinetto bellissimo di stirpe regale: una favola mitologica in opposizione alla materia storica che doveva caratterizzare un poema epico. L'elemento decisivo dell'Adone è però rappresentato dall'ampiezza: la storia dei due 10 amanti, conclusa in poche decine di versi nelle Metamorfosi di Ovidio, diventa la base per il poema più lungo della letteratura italiana. Venti canti, oltre cinquantamila ottave e quarantamila versi. Quest'opera è un distacco dai paradigmi dell'epica, dalla materia di sangue e di guerra, della scelta mariniana indirizzata invece verso quello che viene presentato come un poema di pace. Adone è un atieroe dai tratti femminei che incarna la scelta di Marino di una narrazione sensuale mirata ai piaceri della passione amorosa. L'opera segna la perdita di una narrazione compatta e logicamente coerente. Il suo principio costruttivo è l'aggiunta che prima consolida e sorregge una favola esile che poi finisce imponente. Nel senso di raccolta e rifusione di tradizioni anche lontane, rappresenta davvero il poema simbolo della stagione barocca. Nell'Adone domina un ideale di classicismo esclusivo, la possibilità di trapiantare e trasfigurare ogni cosa nel terreno della letteratura e di celebrare il trionfo della letteratura stessa. Una lucida percezione storica e un'irriverenza intima e prepotente accompagnano la parola poetica di Marino che scandisce gli episodi più belli del poema. • Nel 1623 torna in Italia, dove subisce il divieto della stampa integrale della versione italiana dell'Adone e dove è costretto a una sorta di reclusione ed a una pubblica abiura. Si allontana da Roma e torna a Napoli, dove pensa di costruire una casa museo e sul piano letterario vuole portare a termine il poema sacro dedicato alla Strage de gl'Innocenti. Non riuscirà a stamparla ma quest'opera è un altro capolavoro del Seicento. A Napoli trascorre le ultime settimane in malattia e la leggenda narra che l'autore ha bruciato tutti i suoi manoscritti prima di morire, così da eliminare i suoi trascorsi turbolenti. Nel 1627 l'Adone viene inserito nell'Indice dei libri proibiti. LA POESIA BAROCCA TRA CLASSICISMO E SPERIMENTAZIONE • La stagione della poesia barocca è stata giudicata un'epoca di decadenza, segnata da un eccesso di sperimentazione che sfociava direttamente nel cattivo gusto. • Gabriello Chiabrera: nasce a Savona nel 1552 e muore nel 1638 in piena stagione barocca, dopo essere diventato uno degli autori di riferimento del pontificato di Urbano VIII Barberini. Bravo a gestire i rapporti con i principali signori del tempo ed evitare le polemiche e i contrasti. Nel 1582 avviene il suo esordio con Guerre de' Goti, opera appartenente al genere dell'epica. La sezione più importante della produzione dell'autore riguarda la lirica, con la quale riprende i modelli della tradizione classica che fonde con la sperimentazione dei ritmi e del metro. Di grande successo la raccolta Canzonette del 1591. Le successive stampe sono Maniere di versi toscani, Scherzi, Canzonette morali. In Maniere la ricerca è puramente tecnica, in Scherzi troviamo una leggerezza dai toni fintamente semplici, mentre Canzonette morali offre una riflessione di gusto oraziano. La proposta di Chiabrera è dunque distinta dal concettismo e dall'infittirsi del tessuto metaforico che caratterizza la generazione dei poeti di primo Seicento. Viene chiamato a Roma dove riceve un omaggio dal papa, per il quale compone trenta Canzonette di ambito religioso stampate nel 1625. Gli ultimi anni trascorrono in una posizione di rilievo e scrive una breve ed interessantissima autobiografia. • La prima poesia barocca: gia nel 1601 escono a Roma le prima poesie di Tommaso Stigliani e Gasparo Murtola. È la novità uno dei paradigmi di riferimento della nuova generazione: comune è la spinta a praticare nuovi moduli e nuovi contenuti, con un ricorso marcato allo strumento della metafora, impiegata come chiave per prolungare e ispessire il discorso poetico. Questo movimento trova supporto anche in alcune accademie, come l'Accademia dei Gelati a Bologna con il poeta Girolamo Preti, che manda in stampa nel 1609 Salmace, 11 rielaborazione e amplificazione del racconto di Ovidio, che rappresenta il capolavoro del genere idillico in anticipo della Sampogna di Marino. Negli idilli la tensione metaforica e la ricerca insistita del concetto, di un punto poetico teso a sorprendere e meravigliare il lettore, trovano una sede naturale, come nella grande raccolta poetica di Claudio Achillini. Pubblica le Poesie nel 1632. I suoi testi rappresentano un esempio di Barocco pieno e maturo, anche più avanzato e oltranzista rispetto a quelli che erano gli esiti del Marino. Oltre all'Accademia dei Gelati di Bologna un ruolo di rilievo ha anche Genova con Angelo Grillo (materia sacra e vivissima tensione sperimentale sul piano delle immagini), lo Stato rustico di Giovan Vincenzo Imperiali e la Reina Ester di Ansaldo Cebà. Altro centro importante è Napoli con l'Accademia degli Oziosi con Basile, Giovan Battista Manso e Gian Francesco Maia Materdona, che con l'Utile spavento del peccatore abbandona l'esperienza profana mettendo il lettore di fronte alla precarietà della dimensione umana e alla minaccia della dannazione eterna. Un percorso di normalizzazione che può, in una certa misura, essere considerato come esemplare delle tendenze che si verificheranno alla metà del secolo. Tra le accademie il posto più rilevante però spetta all'Accademia degli Umoristi di Roma, in cui figurano Guarini e Grillo, Tassoni e Maffeo Barberini, Marino e Preti. • Tassoni e l'eroicomico: nella Roma degli Umoristi troviamo Alessandro Tassoni, nato a modena nel 1556, esordisce con le Considerazioni sopra le rime del Petrarca nel 1609. L'opera mostra un atteggiamento non riverente verso uno dei testi cardine della tradizione letteraria e danno origine a una polemica, nella quale Tassoni interviene negli anni successivi con una serie di libelli polemici. Lo stesso atteggiamento anima la grande raccolta dei Pensieri del 1620. L'ultima edizione viene integrata con un libro intestato al Paragone degli ingegni antichi e moderni, nel quale discute i modelli classici al confronto con i modelli contemporanei, anche qui abbandonando ogni deferenza, in nome di una fiduciosa proposta del valore dei moderni. Il nome di Tassoni è però legato soprattutto alla formazione del genere eroicomico: nel 1622 a Parigi appare la Secchia Rapita, poema in ottave di dodici canti. Viene pubblicata insieme al primo canto di un poema epico, l'Oceano, che l'autore lascia incompiuto perchè vuole sperimentare una forma inedita. Il "memorando sdegno" prende il posto dell'ira di Achille dell'Iliade omerica e Elena si trasforma in una secchia. In questo modo l'altezza del dettato epico viene sostituita da una poesia aperta alla materia umile, nella lingua e nei contenuti. La storia racconta dello scontro tra modenesi e bolognesi nel corso dell'opposizione tra guelfi e ghibellini del Trecento italiano, ma mescola particolari e vicende senza troppa attenzione al dato storico. Pone al centro del suo racconto la secchia rubata dai modenesi alla città di Bologna: da questo affronto e dalla successiva reazione muovono una serie di episodi che vedono sfilare personaggi improbabili dietro i quali è possibile Tassoni abbia voluto rappresentare figure della storia contemporanea. L'opera si rivela un'operazione letteraria estremamente raffinata: offre una parodia del genere epico e mostra una tensione sperimentale sul piano dello stile. Va sottolineata l'ambizione di realizzare comunque un poema "regolare", condotto secondo l'arte, e dunque rispettoso dei precetti di poetica. A partire dalla fortuna della Secchia, il genere eroicomico diventa un fenomeno che conosce larga diffusione anche in Europa. Importa la sperimentazione aperta sul fronte della narrazione in versi, su terreni ormai lontani da quell'epica che era stata oggetto di raffinate discussioni teoriche nel corso della stagione rinascimentale. • Contro Marino, la poesia del circolo barberiniano: tra Roma e Bologna troviamo il cardinale Maffeo Barberini. Nel 1617 viene stampato il Discorso intorno all'onestà della poesia, nel quale si condanna la poesia a base mitologica caratterizzata da un ricorso ampio alle lascivie e da contenuti potenzialmente immorali. Il bersaglio del discorso sono Marino e la sua poesia spesso portata a infrangere i confini del decoro. A ispirare questo ritorno a una classicità composta e sorvegliata dunque è proprio il cardinale. Il circolo barberiniano diventa realtà grazie a un passaggio storico decisivo: l'elezione di Barberini a pontefice con 12 baluardo e un esempio di libertà. Nel 1605 lavora ai Ragguagli di Parnaso, testo che conosce una prima circolazione manoscritta tra sodali e protettori, che appare pericoloso per il suo contenuto e contrastato dalla Chiesa di Roma. Nel 1612 è costretto ad abbandonare Roma per i dissapori con la Curia, sia per le amicizie pericolose e si trasferisce a Venezia. Nei Ragguagli, testo in prosa di carattere satirico e dalla forte valenza allegorica, Boccalini immagina di ascendere al monte Parnaso, presentandosi come corrispondente dei letterati e degli uomini virtuosi di ogni età e di discutere sopra i principali argomenti che riguardano la politica, la storia, la scienza, la letteratura. Si tratta di un pretesto con cui l'autore, in una dimensione atemporale e in un contesto lontano da quello storico, satireggia la società coeva, in particolare quella cortigiana, utilizzando il filtro letterario. Quello del "viaggio parnasiano" è un genere diffuso tra la letteratura del Cinquecento di cui Boccalini è il massimo esponente. • Torquato Accetto: ambito napoletano della prima metà del Seicento. L'esperienza poetica di Accetto, senz'altro pregevole, è forte di quella di Petrarca e del petrarchismo di Bembo e Della Casa e al contempo guarda alla scrittura di Tasso e Marino. Nelle Rime si manifesta un bisogno di ricerca del vero, attraverso una serie di immagini di ispirazione neoplatonica che fissano un percorso dove l'ombra costituisce una fase intermedia fra le tenebre e la luce, ed è proprio l'ombra a rappresentare lo stato che tende alla luce. Il lavoro più noto è il trattato Della dissimulazione onesta (1641). Ripartito in venticinque capitoli, il trattatello si colloca nel dibattito sulla "ragion di Stato": nello specifico l'autore affronta la questione relativa al comportamento da tenere in pubblico, contando su una produzione teorica che invitava a fare un saggio uso della prudenza. Lo scritto si rivolge a chi è nobile d'animo. La via intrapresa come soluzione per contrastare la situazione coeva, contraddistinta dalla tirannide, e sopravvivere nel mondo violento, consiste in una difesa della libertà all'insegna della ragione e di un comportamento schermato e segnato dalla prudenza, la "dissimulazione", differente dalla simulazione che ipocrisia e finzione. La verità, in conclusione, resta nell'ombra, coperta da un velo. GALILEO GALILEI • Figura fondamentale nella storia del pensiero scientifico, responsabile di una svolta epistemologica che segna la nascita dell'età moderna, Galileo è autore che caratterizza in modo profondo anche la storia letteraria del suo tempo. Si ritaglia una posizione autonoma ben distinta dagli sperimentatori che si muovono all'ombra del Marino nei primi decenni del Seicento. Le sue opere contengono un rinnovamento delle pratiche letterarie: la formula del dialogo, ripresa da nobili precedenti classici (Platone e Cicerone) e resa efficacemente contemporanea, e soprattutto la scelta del volgare, in una tessitura limpida, segnano il punto più alto della prosa scientifica italiana, e rappresentano un modello che sarà ripreso secoli dopo dal Leopardi delle Operette Morali. Nelle sue pagine tratti di immediatezza colloquiale e spesso piegati in chiave comica o caricaturale, immaginati per destare il gusto del lettore di primo Seicento, convivono con periodi complessi, articolati secondo una ferrea logica di concatenazione dei dati e delle informazioni: pagine che danno prova della lucidità della visione tecnica non meno che della grandezza dello scrittore. • Nasce a Pisa nel 1564. Viene indirizzato dal padre allo studio della medicina, dove verrà a contatto anche con la scienza di impostazione aristotelica. Riceve la cattedra di matematica a Pisa, dove la fisica e le materie scientifiche diventano il centro del suo percorso, anche se dimostra un interesse profondo per le questioni letterarie. Nel 1588 si impegna in un'opera intitolata Figura, sito e grandezza de l'Inferno di Dante, opera tesa a ricreare l'universo fisico della fantasia dantesca. Scrive inoltre una serie di Considerazioni sul Tasso. Nel 1592 si registra un passaggio decisivo con il trasferimento a Padova, sempre presso la cattedra di 15 matematica: inizia così una stagione ricchissima di indagini e esperimenti che si protrarrà fino al 1610. Sempre a Padova parteciperà alla discussione sull'apparizione di una nova nei cieli che fa avvertire nettamente i limiti del sistema aristotelico-copernicano nella spiegazione dei moti e della natura dei corpi celesti. • Galileo è l'inventore del cannocchiale, anche se in realtà opera un miglioramento a un modello preesistente del Nord Europa, lavorando sulla curvatura delle lenti e rendendo così il cannocchiale assai più efficace in termini di potenza della visione. Si accorge così di essere il primo uomo a portare così avanti lo sguardo sui corpi celesti. Galileo osserva una quantità di stelle fisse, fino ad allora ignorate. Analizza i movimenti di Venere e di Mercurio intorno al Sole, scopre i quattro satelliti che ruotano intorno a Giove. Raccoglie le osservazioni in un libretto di poche pagine di portata rivoluzionaria: il Sidereus nuncius, pubblicato a Venezia nel 1610. Le 550 copie sono esaurite in una settimana, anche se poco eleganti, cosa che sottolinea la portata delle sue scoperte. Adotta un latino semplice nel linguaggio e nella sintassi, e persino scarno, tutto mirato a offire la successione delle osservazioni e delle relative argomentazioni. E se in alcuni passaggi il testo annuncia in modo implicito l'adesione al sistema copernicano, il libro ha un impatto enorme proprio per la sua immediatezza e semplicità. Il suo cannocchiale inoltre permette all'uomo di osservare le sue scoperte nei cieli. Passa al servizio del granduca di Toscana con la doppia qualifica di Matematico e di Filosofo. Il passaggio verso i Medici garantisce a Galileo una maggiore libertà negli studi. • Nel 1611 si sposta a Roma ed entra in contatto con gli ambienti legati ai Gesuiti del Collegio di Romano. Entra a far parte dell'Accademia dei Lincei, che rappresenta l'avanguardia della più moderna cultura italiana, con interessi in vari campi scientifici e con un atteggiamento aperto alla sperimentazione. Ritorna poi a Firenze e continuerà a studiare in merito alle nuove osservazioni e scoperte. Dal resoconto della discussione con la granduchessa Cristina di Lorena si nota che il perno fondamentale è la considerazione della Natura come diretta emanazione del magistero divino, di contro alla natura metaforica delle Sacre Scritture, che per farsi intendere dalla totalità degli uomini di ogni estrazione, impiegano un linguaggio figurato che non va inteso come raffigurazione puntuale della realtà. Galileo propone di mantenere ferma la necessità mostrata dai fenomeni naturali e procedere a una migliore interpretazione delle Sacre Scritture, interrogando nuovamente la loro veste metaforica. Le Scritture si concentrato su ciò che pertiene direttamente alla salvezza spirituale degli uomini, mentre Dio ha lasciato agli uomini il cogliere le verità ricavabili dalla Natura attraverso i sensi. Questo è un passaggio argomentativo fondamentale, perchè rivela la posizione fiduciosa assunta da Galileo rispetto alla conoscenza umana, alla possibilità degli uomini di attingere alla verità delle cose. Nell'Istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari, Galileo sviluppa argomenti simili alle "lettere copernicane", dove si spinge su un terreno rischioso, muovendosi con troppa fiducia e poca prudenza, nel momento in cui propone un'autonomia dell'osservazione diretta della Natura rispetto alla teologia, e in cui si spinge a una discussione di brani tratti dalle Sacre Scritture. Così invade il campo dei teologi. Nel 1616 viene promulgato dalla Chiesa il "salutifero editto", con il quale si sancisce la condanna della teoria di Copernico che prevede il movimento della Terra intorno al Sole, proprio in quanto contrastante con la dottrina proposta dalle Scritture. È un segnale anche per Galileo, che deve accettare la prescrizione di non occuparsi più delle teorie copernicane, se non trattandole esplicitamente come semplici ipotesi matematiche. • A ravvivare la discussione sono le tre comete apparse nei cieli nell'autunno del 1618, che osservate coi nuovi strumenti accendono il confronto e i dibattiti tra le diverse teorie. Galileo affida le sue riflessioni a un Discorso sulle comete pubblicato da un allievo. Il Discorso ha toni aggressivi e polemici e sollecita una risposta risentita da parte del fronte gesuitico. Infatti il gesuita Grassi risponde con un'opera intitolata Libra astronomica ac 16 philosophica, polemica diretta a Galileo. Galileo prepara con cura la risposta con la collaborazione dell'Accademia dei Lincei. Nasce così il Saggiatore, che compone nel corso del 1620 e che ha come destinatario Virginio Cesarini, giovane letterato di raffinata cultura da poco entrato nell'Accademia. Quando si sta per procedere alla stampa, viene eletto pontefice Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII, che da sempre è vicino ai Lincei e tra i suoi uomini ci sono sostenitori di Galileo. Il suo libro riprende immagini antiche della Natura, che però diventa patrimonio da interrogare conoscendone a fondo le leggi matematiche, in una prospettiva che supera quindi le contorsioni di un sapere retorico a favore di un'indagine condotta in maniera sperimentale, verificabile sul piano dei sensi. Si respira dunque entusiasmo per la ricerca e per l'indagine, accompagnato da un'interrogazione costante dei fenomeni. • Nel 1624, dopo vari incontri con il pontefice, Galileo decide di riprendere il Discorso del flusso e riflusso del mare, fermo da tempo, e trasformarlo in Dialogo del flusso e riflusso del mare, che presenta ancora il fenomeno delle maree come prova del moto terrestre a supporto del sistema copernicano. Il passaggio da Discorso a Dialogo è un'innovazione strutturale decisiva: rispetto alla struttura più organica e lineare di un trattato scientifico, il dialogo tra diversi interlocutori consente una mobilità di toni e di voci, un continuo passare di argomenti, con la possibilità di digressioni e allontanamenti dall'esposizione principale. L'opera viene inviata a Niccolò Riccardi, maestro del Sacro Palazzo al servizio dell'Inquisizione, che pone delle modifiche al testo come il titolo, che rinvia troppo al movimento terrestre, e dunque il libro viene ribattezzato Dialogo sopra i due massini sistemi del mondo, e si presenta quindi come un confronto tra i due sistemi di Tolomeo e di Copernico, puramente teorico. Viene stampato nel 1632. I protagonisti sono tre, due reali ed uno satirico inventato dall'autore: Giovan Francesco Sagredo (nobile veneziano amico e allievo di Galileo), Filippo Salviati (fiorentino allievo di Galileo) e Simplicio (che richiama un filosofo dell'antichità commentatore di Aristotele). I dialoghi articolati in quattro giornate si svolgono a Venezia nel palazzo Sagredo e le dinamiche vedono le argomentazioni di Salviati opporsi a quelle di Simplicio, le prime a sostegno del sistema copernicano, le seconde a sostegno del sistema tolemaico. Lo sviluppo degli argomenti all'interno delle giornate prevede numerose digressioni. Il principio della vita come variazione e come decadenza, viene considerato preferibile all'immutabilità statica, a una natura sempre uguale a sè stessa, in nome di una concezione dinamica degli uomini che sovverte uno dei cardini del sistema aristotelico-tolemaico, quello dell'inalterabilità-perfezione, assegnato ai corpi celesti e alla Terra in particolare. In questo modo il Dialogo diventa una sorta di summa dell'intera opera galileiana, trattando argomenti già esposti in precedenza e inediti. I tre personaggi avviano una commedia scientifica in cui i fenomeno vengono letti sia in senso tolemaico che copernicano. Simplicio è figura di superbia a favore del sistema tolemaico, un prototipo di dogmatismo e presunzione. Il disegno dell'opera culmina nella quarta giornata, ove il moto delle maree intende offrire la dimostrazione definitiva del movimento terrestre. Il tema delle maree è infatti presentato all'inizio della terza giornata, quando Simplicio arriva in ritardo proprio perchè bloccato con la sua barca dalla marea. Il Dialogo rimane un'opera straordinaria sul piano scientifico ed insieme eccezionale sul piano letterario. La precisione e la chiarezza della prosa e la conquista di uno stile come diretta espressione di un ragionamento rappresentano altri aspetti che fanno dell'opera uno dei capolavori del primo Seicento. Nei lunghi periodi domina l'ipotassi e sono presenti molte subordinate. La coerenza logica sorregge la prosa con grande coesione interna che aiuta il lettore a capire la grande lucidità dell'autore alla base dell'opera. Questo libro, insieme all'Adone e alla Secchia Rapita, rappresenta uno dei testi fondamentali del primo Seicento. • Urbano VIII inaspettatamente lamenta di essere stato raggirato da Galileo e istituisce una commissione d'inchiesta sull'autore e sull'opera. Galileo deve presentarsi a Roma per essere 17 dall'intreccio tra una ricerca accurata volta al passato, mirata a cogliere le origini delle istituzioni e del vivere civile e il ruolo esercitato dalla poesia in queste dinamiche, e le istanze di riforma che animano il presente. Alla base vi è la fiducia in una prospettiva razionale, nella possibilità di conoscere e intervenire sui processi storici, attivando percorsi di riforma e di miglioramento della condizione degli uomini. Giovanni Battista Vico è una figura eccezionale. La sua ricerca filosofica affonda lo sguardo nell'indagine sulle origini e sugli stadi iniziali della civiltà umana, in vista di una conoscenza delle leggi che guidano in ogni tempo la vita delle nazioni, nelle sue opere l'approccio razionalistico e il modello di Cartesio sono duramente criticati, a favore di una indagine mirata all'antica sapienza depositata nei testi poetici, nelle narrazioni poetiche dei miti. • La società letteraria settecentesca viene scossa e scandita da rivalità e polemiche, da contese che avvengono al cospetto di un pubblico che assume il ruolo di importante orizzonte di riferimento. Particolarmente valido per il teatro e per il genere della commedia: l'esperienza di Goldoni ha valore decisivo non solo per il genio della scrittura goldoniana, ma anche per la cortina di dibattiti e discussioni che le sue opere e il loro successo suscitano nei contemporanei e che avviano una riflessione sullo statuto del teatro e sulla sua funzione. C'è un indissolubile legame che l'autore stringe con le diverse fasce sociali che compongono il pubblico dei suoi spettacoli. Il tutto avviene nella cornice dei calendari dei teatri ed entro i vincoli rappresentati dalle condizioni economiche delle compagnie. • Il centro più dinamico e più aperto a una dimensione europea è certo Milano. Il passaggio dalla dominazione spagnola a quella austriaca consente progressivamente alla città di aprirsi al dibattito internazionale. L'Accademia dei Trasformati e le leggendarie riunioni dell'Accademia dei Pugni maturano l'una dopo l'altra. Sono gli stessi anni del Giorno di Parini che segnano l'avvio baldanzoso del più coraggioso progetto letterario del secondo Settecento. Il disegno di un poema sulla giornata di un giovane nobile nasconde un'ambizione di diagnosi, di critica e di riforma degli strati alti della propria società. Parini mette così in luce una ferma convinzione nel valore di intervento civile della poesia, nella possibile calibratura morale dei versi di una satira ambigua. • L'adunanza degli Arcadi viene istituita a Roma nel 1690 e conosce il maggior successo con la guida di Giovan Mario Crescimbeni (fino al 1728). Il ripristino del "buon gusto" implica la rilettura critica del passato e pratiche proposte di riforma letteraria. La storia dell'adunanza è fatta di contrasti e fratture, che vedono lo scisma d'Arcadia (1711) tra la concezione della letteratura come fatto retorico-sociale propria di Crescimbeni e quella filosofico-civile di Gian Vincenzo Gravina. Rimane comunque il gusto tipicamente arcadico per la regolarità formale, la chiarezza e la connessione delle idee, l'evidenza nelle descrizioni di oggetti. • Alla fine del Seicento, anche in Italia, l'idea di una generale diversità della modernità rispetto ai secoli precedenti. La necessità di un rinnovamento e di un rilancio dell'intera produzione poetica e letteraria. • Il 23 dicembre 1655 Cristina Vasa, dopo aver abdicato al trono svedese perchè convertitasi dal luteranesimo al cattolicesimo, compie il suo trionfale ingresso a Roma, dove mette in atto un mecenatismo diffuso e ricostruendo, nel 1674, l'Accademia Reale, già istituita a Stoccolma nel 1653. Nell'opera poetica di questi autori è presente ed eplicitamente tematizzata, l'esigenza di un distacco dalla corruzione del marinismo, di ripristino dell'eleganza formale e della semplicità sentimentale dei classici greci e latini, l'imitazione dei poeti trecenteschi e cinquecenteschi. Inoltre si afferma l'uso di riunirsi e leggere testi all'aperto. • Il gesuita francese Dominique Bouhours pubblica De la maniere de bien penser dans les ouvrages d'esprit (1687), criticando i versi degli italiani per la loro eccessiva ornamentazione retorica e la concomitante mancanza di rispetto per la verità storico- 20 filosofica dei contenuti. Al suo punto di vista si contrappongono gli scritti di vari intellettuali italiani che difendono i diritti della fantasia, del verisimile, del linguaggio della poesia contro quello della prosa. L'occasione polemica, che culmina con le Considerazioni sopra un famoso libro franzese (1703) del marchese bolognese Gian Giuseppe Orsi, che è significativa perchè costringe i letterati italiai a riflettere, criticamente, sulla loro grande tradizione poetica e la sua specificità. • Il 5 ottobre 1690 quattordici letterati, tutti appartenenti all'Accademia Reale e originari di ogni parte d'Italia, si radunano nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio, e istituiscono l'Adunanza degli Arcadi. Il nome evoca insieme un luogo reale e mitico (la regione del Peloponneso abitata dai pastori dediti al canto e alla poesia), un preciso punto di riferimento nella tradizione letteraria (il prosimetro di Sannazaro) e un ideale estetico- morale di innocenza, semplicità e naturalezza da contrapporre alle esagerazioni e agli artifici barocchi. Emblema dell'accademia è il flauto a sette canne di Pan cinto da rami di alloro e pino. "Bosco Parrasio" (mitica selva sacra di Apollo) è detto il giardino in cui si svolgono le sette riunioni annuali. "Serbatorio" è invece il luogo in cui si conserva l'archivio poetico dell'accademia. I mesi sono indicati con i nomi attici: per olimpiadi sono contati gli anni e i giuochi olimpici sono le gare poetiche a forte caratura ideologica con cui viene concluso il quadriennio. L'ispirazione classicista dell'Adunanza è temperata da riferimenti cristiani, infatti l'unico patrono degli Arcadi è identificato in Gesù bambino, adorato per primo proprio dai pastori: in suo onore si decide di fissare a Natale la principale tornata accademica. Primo custode è Alfesibeo Cario alias Giovan Mario Crescimbeni a cui la carica verrà rinnovata fino alla morte. Tutti i più celebri letterati d'Italia chiedono d'essere iscritti all'Arcadia, che apre non solo ai letterati ma anche a nobili, ecclesiastici, donne e stranieri. Indirizzano la produzione poetica verso forme semplici e contenuti facili, allineando la produzione degli Arcadi non tanto agli interessi degli eruditi, quanto a quelli della società e dei salotti contemporanei. Alla diffusione dei principi arcadici contribuisce anche la fondazione di colonie in altre città, cioè nuove succursali. L'Arcadia diviene così una fondamentale infrastruttura culturale, mettendo in comunicazione i letterati d'Italia e d'Europa, sollecitando la formazione di un gusto unitario e unificando gli sforzi di riforma letteraria. Gian Vincenzo Gravina, arcadicamente Opico Erimanteo, stende in latino il decalogo e le due sanzioni che regolano la vita dell'accademia e delle cariche direttive: si stabilisce l'uso del lessico pastorale in ogni attività dell'associazione e viene circoscritto, con un'unica prescrizione negativa, l'esercizio letterario "Non siano letti ad alta voce carmi di cattivo gusto, nè opere infamanti, oscene, irreligiose o empie". La rottura, nell'estate del 1711, è però occasionata dal contrasto sull'interpretazione della legge che regola la sostituzione dei membri del collegio: il tentativo di Paolo Rolli, allievo e sostenitore di Gravina, di sottrarlo al controllo di Crescimbeni attenuando il verticismo che ormai caratterizza il governo dell'Adunanza è respinto ed egli e un gruppo di altri graviniani si staccano fondando la "Arcadia Nuova". Gravina, accusando la vacuità della produzione arcadica e proponendo un classicismo più severo, inaugura un luogo comune della critica all'impostazione di Crescimbeni, il quale però è forte del suo controllo burocratico- amministrativo e della maggiore praticabilità della sua proposta letteraria, ed esce vincitore dal pur traumatico scrisma d'Arcadia. • Crescimbeni giunge a Roma nel 1681 e si inserisce nella vita accademica della città, partecipando all'Accademia Reale e alle riunioni di letterati organizzate dal Leonio. L'opera di Crescimbeni è indissolubilmente legata a quella dell'Adunanza e le fortune di questa alla sua capacità di costruire proficue relazioni clientelari con la curia vaticana, con nobili e regnanti ad essa legati e con la Compagnia di Gesù, valgono come esempio di buon gusto metrico e stilistico e forniscono una base operativa all'attività organizzativa di cui Crescimbeni si fa carico. Egli è anche uno dei primi storici dell'Arcadia: ad ideale pendant 21 delle sillogi di prose e rime degli Arcadi, delle relazioni sullo svolgimento dei giochi olimpici e di avvenimenti significativi della sua custodia, compone le Vite degli Arcadi Illustri, le Notizie istoriche degli Arcadi morti. Anche il romanzo prosimetrico Arcadia risponde alla necessità di fornire una narrazione ufficiale della storia dell'Adunanza. Nell'ottica di Crescimbeni, l'Arcadia è il punto d'arrivo dal quale rileggere tutta la storia della poesia italiana: ripercorrere il passato vale quindi a celebrare il presente e a dargli autorità. Nascono così le sue opere di maggior rilievo come la Istoria della volgar poesia, la Bellezza della volgar poesia e i Commentari intorno alla storia della volgar poesia. L'opera più interessante è sicuramente la Bellezza, in forma di nove dialoghi di finzione intercorsi fra vari poeti ed Arcadi contemporanei. Nei primi tre Crescimbeni illustra, sulla base dei sonetti di Angelo di Costanzo, il criterio per commisurare l'eccellenza poetica, ovvero l'equilibrio fra la bellezza esterna e la bellezza interna della poesia. Il quarto dialogo è dedicato all'imitazione dei greci e delle loro favole mitologico-sapienziali: Crescimbeni la sconsiglia perchè inutile nel contesto presente e fonte di oscurità. I successivi dialoghi trattano della tragedia, della commedia e dell'epica. L'ultimo offre un fondamentale panorama della lirica contemporanea del gusto primo-settecentesco e delle caratteristiche necessarie al poeta che voglia piacere al delicato Settecento. Ciò che il secolo ricerca, per Crescimbeni, è lo stupore non dello strano ma della perfezione formale, dell'originalità nell'imitazione, dell'esattezza del gusto. A questo ideale è ispirata la regolamentazione dello stile del sonetto. Di qui l'invito rivolto ai poeti alla regolarità e perspicuità comunicativa, al decoro. • Giovan Vincenzo Gravina giunge a Roma nel 1689. Diventa professore di diritto alla Sapienza e, grazie ai suoi scritti, un giurista di fama europea. Il ripristino del buon gusto è l'obiettivo che lo accomuna a Crescimbeni nella fondazione dell'Arcadia, ma nel razionalismo di Gravina esso dipende da una concezione non retorico-sociale ma filosofico- civile della poesia: essa è un medium per comunicare verità sapienziali e contribuisce ad attuare una riforma etico-morale fondata sulla fiducia nella capacità della ragione umana di liberarsi da dogmi e pregiudizi per giungere alla verità. Scrive il breve Discorso sopra l'Endimione del Guidi, composto in difesa di un'azione scenica d'argomento mitologico, ispirata da Cristina di Svezia e per lei composta. Ai retori e grammatici che giudicano la poesia sulla base di precetti tratti da pseudo-interpretazioni della poetica d'Aristotele, Gravina contrappone una scienza poetica, una critica filosofico-razionale che nella poesia apprezza la massima vicinanza dell'imitazione alla natura quale essa è, nobile ed ignobile, sia con la favola, sia con le parole e la versificazione. Alla forma infatti spetta il compito di rappresentare alla fantasia le cose imitate in modo evidente. Se completata, la rappresentazione poetica, il vero ammantato di miti, ha una funzione educatrice che è tanto maggiore nelle opere di poeti universali che saziano i sensi del volgo e "pascono di sublimi contemplazioni e di fisiche cognizioni la mente de' saggi": Omero, Dante, Ariosto. La funzione della letteratura di connettivo fra i filosofi e il popolo si esplica soprattutto nell'epica e nel teatro. Di qui l'importanza annessa nella Ragione poetica alla tragedia greca, che Gravina ritiene interamente cantata. Alla riflessione sul teatro dedica La tragedia (1715), un trattato che rende anche ragione delle cinque tragedie d'argomento mitologico o storico, greco o romano, composte nel 1712 in tre mesi, trascurando lo stile ma cercando di dar corpo ai temi etico-civili e religiosi centrali nel suo impegno riformatore. • Giambattista Felice Zappi è uno dei fondatori dell'Arcadia. Le sue rime e quelle della moglie Faustina Maratti presentano la concezione di una poesia come socievole rimedio agli affanni della vita o rispecchiamento delle sue occasioni liete. L'assoluto dominio formale, l'articolazione senza errori del tema nelle unità metriche genera un testo compatto, aggraziato e perspicuo, quanto la facilità melodica che caratterizza la poesia sul piano dello stile e su quello ideologico. Ad essa fa riferimento anche Aglauro Cidonia che tiene ben 22 logocentrico è mosso grazie alle pressanti sollecitazioni della Romanina, per la quale Metastasio compone il suo primo melodramma, nel 1724, al teatro San Bartolomeo di Napoli, trionfa la Didone abbandonata. Il dubbioso ondeggiare fra una ragione e l'altra, fra un affetto e l'altro, moto continuo che porta alla paralisi e mette in questione la propria identità e la propria missione, è un tratto tipico di moltissimi eroi metastasiani, come pure è tipica la contemporanea presenza nell'animo di più istanze e passioni, anche fra sè contrarie. Si fa così poeta delle emozioni e degli stati d'animo, autore di drammi in cui conta il percorso di formazione morale che attraverso il variare costante d'opposti affetti porta al loro contemperamento e alla ragionevole quiete interiore. • Nel 1724-25 Metastasio accompagna i successi della Didone e della Romanina a Roma e Venezia. L'eroica è preponderante in Siroe (1726), Catone in Utica (1727) ed Ezio (1728), di argomento bizantino la prima, romano le altre, l'amorosa invece lo è in Semiramide riconosciuta e soprattutto in Alessandro nelle Indie (1729). Anche in Artaserse (1730) l'amore è centrale, ma si presenta come duplice veste: quella patetica, nel rapporto, ostacolato per ragioni di classe sociale, fra Mandane, figlia di Serse re di Persia, ed Arbace, figlio di Artabano capo delle guardie reali, e quella amicale, che coinvolge Arbace e Artaserse, figlio di Serse e suo successore. Proprio nel rapporto tra i due amici emerge l'idea della regalità come pazienza e clemenza che troverà ampia espressione nei drammi viennesi. Il 31 agosto 1729, Metastasio viene invitato a succedere ad Apostolo Zeno nella carica di poeta imperiale. • Giunto a Vienna il 17 aprile 1730, alloggia in casa del napoletano Antonio Martinez: vi resterà fino al termine della vita, allontanandosi dalla capitale dell'Impero solo poche volte e brevemente. Il cinquantennio austriaco segna il culmine e il lungo declino dell'arte di Metastasio: nel turbarsi degli equilibri politici con la salita al trono di Maria Teresa e le conseguenti guerre di successione austriaca e dei Sette anni, egli si mantiene fedele a un ideale, poetico-politico, di razionalismo e di moderatismo mentre il secolo, in ambito letterario, musicale e politico, procede verso un'enfatizzazione degli eccessi e degli estremismi. Si concentra perciò su una semplificazione dei drammi, poco concedendo alla spettacolarità scenica ma curando attentamente la funzione drammatica della gestualità dei personaggi e l'approfondimento della loro psicologia, e d'altra parte enfatizzando la riflessione sulla regalità in funzione educativa. Tutto ciò è ottenuto con estrema povertà di mezzi: massima semplicità ed essenzialità sono l'ideale cui Metastasio punta per rendere comprensibile, conturbante e convincente il mondo affettivo dei suoi eroi, sacri e profani. Dopo l'esordio quaresimale con l'oratorio La Passione (1730), il primo dramma è Demetrio (1731). Nel 1733 viene alla luce l'Olimpiade, dove troviamo il patetismo amoroso e l'eroismo amicale, nella prima parte, e il momentaneo spavento, nella seconda, che palesemente trae spunti dal Pastor Fido e dall'Aminta. Nel drammatizzare l'incontro tra Megacle e Aristea, Metastasio ripercorre uno ad uno gli anelli delle connessioni logico- sentimentali che dall'euforia conducono alla disperazione e l'aria che conclude la scena X, anzichè cristallizzare il recitativo in un paragone o in una sentenza, prolunga il dramma semplicemente riducendolo alla sua essenzialità. Un'autoanalisi che affronta il rapporto realtà/finzione dal punto di vista dell'emozione dello spettatore e riflettendo sull'effettiva consistenza delle passioni e quindi della vita. Se il coinvolgimento dello spettatore è segno di successo, la commozione del tragico poeta è un errore: nel costante sdoppiamento del suo ruolo diviene spettatore. L'errore però si muta in accusa, non all'arte, la cui funzione ludica ed educativa è implicitamente difesa, nè agli innocenti piaceri del sogno e dell'immaginazione, ma a ritroso, alla vita vera, menzogna: l'io sprofonda quindi in un dubbio senza soluzione, la cui unica ultima speranza di certezza e verità è Cristo, non risultando neppure più sufficiente, di là dal confine della morte, il cogito cartesiano. L'idea di Cristo come principio gnoseologico, farmaco per errori morali e dubbi frutto 25 dell'ignoranza, indica nel razionalismo cristiano una delle dimensioni essenziali della religiosità metastasiana. Al mondo di sogni e favole invece rimanda l'altro capolavolo, però lirico, del 1733: la canzonetta La libertà. La stessa linea eroico-pedagogica e celebrativa dei monarchi austriaci è illustrata in chiave mitologico-allegorica in numerose feste teatrali. È narrata nelle vicende di altri drammi politico-civili e persino simboleggiata nelle vicende bibliche verseggiate in alcuni degli oratori quaresimali composti per Carlo VI. Negli ultimi decenni della sua vita Metastasio si dedica anche a comporre riflessioni teoriche a partire da alcuni fondamentali testi classici. È quindi nella funzione pubblica e sociale dell'opera che risiedono anche le necessità della conclusione felice dei melodrammi e soprattutto l'utilità loro e dell'opera del poeta. Metastasio muore il 21 aprile 1782. CRITICI E STORIOGRAFI DEL SETTECENTO • L'elaborazione culturale della prima metà del XVIII secolo si fonda sulla ricerca storica e sull'erudizione, strumenti necessari alla ricerca della verità, alla ricostruzione del passato in funzione della comprensione del presente e alla fondazione di un'attività speculativa che individui la ratio in virtù della quale si sviluppano il diritto, le istituzioni, i costumi e le forme poetiche. Enorme influenza hanno inoltre la filosofia cartesiana e l'opposta riflessione dell'empirismo inglese culminante nelle scoperte newtoniane. • Nell'opera di Ludovico Antonio Muratori i principi del razionalismo di fine Seicento e inizio Settecento (amore per lo spirito critico e libertà intellettuale, ricerca della verità senza pregiudizi o passioni, partecipazione a una cultura del pacifico ma rigoroso dibattito sulle idee) sono posti al servizio di una riforma rivolta essenzialmente alla cultura italiana da una parte e alla fede cattolica dall'altra. Dopo Milano, rientra a Modena come archivista, bibliotecario di corte e precettore di Francesco III d'Este per il quale compone i Rudimenti di filosofia morale per il Principe (1714). Il suo gusto per una poesia che si oppone al seicentismo grazie a contenuti tratti dalla riflessione morale e dalla pietà religiosa e a una forma lirica e ingegnosa ma severa, trova conferma nel trattato Della perfetta poesia italiana. L'autore si pone come obiettivo il ritrovamento dei primi principi dell'arte e delinea un ideale di medietà tra fantasia (ingegnosità, linguaggio figurato, meraviglia) e ragione (comprensibilità e misura apprese grazie ai precetti della tradizione e l'imitazione dei migliori poeti) realizzabile concretamente in virtù di quel buon gusto, senza cui non si può divenire perfetto poeta. Equilibrio deve esserci anche tra diletto e morale. Nessuno è poeta se non raggiunge il doppio fine della poesia, cioè il dilettare e il giovare altrui in quando subordinata alla filosofia morale o politica. A queste opere si connettono le Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti, nelle quali tratta del buon gusto in universale, intendendo cioè il conoscere e il poter giudicare ciò che sia difettoso o imperfetto o mediocre nelle scienze e nell'arte per guardarsene. Il buon gusto diventa qui capacità di indirizzare la cultura per promuovere e migliorare la condizione degli uomini facendosi comprendere da essi. Diventa anche metodo di ricerca erudita e storica, nella quale ci si deve valere della ragione e non dell'autorità, contrastando i pregiudizi grazie all'esatta ricostruzione dei fatti passati, al recupero di antichi testi e documenti dimenticati e al loro vaglio critico. Gli interessi di Muratori si volgono sempre più verso la storiografia e l'erudizione, iniziati con l'occupazione di Comacchio nel 1708. Scrive il Delle antichità estensi e italiane (1717) che segna anche la sua piena conversione allo studio del Medioevo, età all'epoca disprezzata e negletta ma nella quale egli riconosce l'origine delle istituzioni, dei costumi, della case regnanti dell'Europa contemporanea. Gli anni che seguono sono dedicati quindi alla ricostruzione integrale della storia medievale d'Italia. I materiali che trova vengono riorganizzati nelle Antiquitates italicae medii aevi che descrivono la vita civile, istituzionale, economica e religiosa del Medioevo. La storia d'Italia è poi narrata, 26 anno per anno, negli Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1749. L'erudizione muratoriana, mai fine a sè stessa ma sempre rivolta alla comprensione e alla riforma del presente, mostra così i suoi legami con la riflessione religiosa e spirituale, nella quale Muratori unisce un vivo senso di pratica carità cristiana con un approccio razionale. Dal 1716 al 1734 conduce la parrocchia di Santa Maria in Pomposa, fra le più povere di Modena. Riformismo religioso e politico s'intrecciano nel pensiero di Muratori in vista di un miglioramento delle condizioni sociali, soprattutto delle classi più povere. Il rapporto tra popolo e principe è così fondato su un patto che pone il sovrano-padre alle dipendenze dei suoi molti figli. Fondamentale è quindi l'educazione di questi secondo il principi della ragione e del Vangelo. • Giovan Battista Vico è un autodidatta che dal 1686 al 1695 è precettore dei figli del marchese Domenico Rocca e vive a Vatolla, nel Cilento, approfondendo lo studio della filosofia antica e moderna, dai classici latini ai volgari. Rientrato a Napoli nel 1699 la sua situazione migliora di poco: diventa membro dell'Accademia Palatina, vince il concorso per il posto di lettore d'eloquenza all'università, apre una scuola di eloquenza in casa sua e si sposa con la popolana Teresa Caterina Destito, dalla quale avrà otto figli. Dall'attività universitaria derivano le Orazioni inaugurali. Nel 1709 stampa l'orazione pronunciata nel 1708 col titolo De nostri temporis studiorum ratione: vi critica i metodi educativi ispirati a Cartesio e al suo eccessivo razionalismo che privilegia saperi astratti, accantonando quelli più vicini all'esperienza e impedendo lo sviluppo delle facoltà precipue della mente dei giovinetti. L'importanza del naturale sviluppo morale e intellettivo dei fanciulli e la valorizzazione delle facoltà conoscitive riconosciute come tipiche dell'età giovanile, legate al corpo e alla sensazione, sono già qui finalizzate alla difesa di una formazione umanistica orientata alla vita civile e a una conoscenza globale della realtà e della cultura umana. Nel 1710 pubblica il De antiquissima Italorum sapientia, dove vi prosegue la critica al pensiero cartesiano e cerca di ricostruire la sapienza metafisica dei popoli italici pre-greci. È vero, quindi conoscibile, solo ciò di cui si è causa, ciò che si è prodotto. Solo Dio creatore ha perciò piena conoscenza della realtà naturale in cui l'uomo conosce invece solo la superficie, essendo le matematiche e le altre scienze astratte un prodotto umano e convenzionale, staccato dalla realtà naturale. Divenuto arcade nello scisma d'Arcadia rimane fedele alla linea crescimbeniana, nonostante la vicinanza a Gravina. Pubblica anche opere di stampo giuridico con l'intento di rafforzare la propria posizione al concorso per la cattedra di diritto romano: il posto sarà però assegnato a un candidato meno meritevole ma sostenuto dal vicerè. Alla cocente delusione Vico risponde concependo quella che sarà l'opera della sua vita: già uno dei capitoli del De constantia iurisprudentis ha come titolo Nova scientia tentatur. Ulteriore difesa della sua figura di intellettuale è l'autobiografia: nel 1725 infatti scrive la Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo. Vi descrive in terza persona e con qualche censura relativa alle letture e ai rapporti con gli ateisti, il proprio percorso intellettuale, solitario rispetto alla cultura in voga a Napoli. L'isolamento mette però in luce l'eroismo con cui Vico si dedica alla Scienza nuova che considera il suo capolavoro. La scienza nuova di Vico è la storia; essa è la scienza perchè conosce le leggi eterne del comune divenire storico di tutti i popoli gentili ed è nuova appunto perchè per la prima volta è presentata come scienza, metodologicamente pari e negli esiti superiore a quella della natura. Secondo il principio del verum-factum l'uomo può avere conoscenza solo della storia civile e culturale di cui è artefice. Per ricostruire i fatti storici è quindi necessario conoscerne le cause, risalire alle circostanze spirituali in cui gli uomini li hanno prodotti: la storia è prima di tutto storia dello sviluppo spirituale dell'uomo come singolo e come specie. Risalire alle verità originarie dell'uomo implica indagare le più antiche usanze e forme di espressione, soprattutto linguistica, poetica in particolare. Omero diviene quindi il deposito della antica sapienza greca e dell'espressione della giovinezza dell'umanità. Le età del 27 • Nell'area veneta sono particolarmente attivi i fratelli Gasparo e Carlo Gozzi, che fondano l'Accademia dei Granelleschi, dove si discute su questioni di natura linguistica, caratterizzate da un atteggiamento fortemente conservatore e volte alla difesa della Crusca, di Dante e della lingua trecentesca contro le mode francesizzanti. Gasparo Gozzi si interessa alla drammaturgia, scrivendo commedie e maturando una riflessione su un tentativo di riforma verso un teatro borghese e innervato da istante morali. Con l'immissione di testi tragici nella scena veneziana, Gozzi si prefigge di colmare così una lacuna. Nel 1747 assume la gestione del teatro Sant'Angelo, dove propone un nuovo teatro borghese e sfrutta la presenza di apologhi per deridere e satireggiare i vizi della società coeva. Tra le sue numerose attività si può annoverare anche quella giornalistica. Allestisce la "Gazzetta veneta" e "l'Osservatore veneto". Mostra attenzione verso i classici della tradizione letteraria italiana, tra i quali Dante diviene oggetto di un vero e proprio culto. Oltre ad aver scritto un sommario in terza rima di tutti i canti della Commedia, scrive la Difesa di Dante in risposta alle precedenti accuse di Bettinelli. Altra sua opera è i Sermoni, costituiti da diciotto composizioni in endecasillabi sciolti ed editi in tempi diversi a partire dal 1763. Attraverso una satira moralistica trattano oltre che delle vicende biografiche dell'autore stesso, dei letterati tacciati di ignoranza e della decadenza dei costumi coevi, di quella della classe nobiliare specialmente. • Carlo Gozzi ha un atteggiamento conservatore, rigido e contrario alle idee illuministiche e all'esterofilia. Ha una predilezione per la poesia comica. La sua vocazione polemica si manifesta inizialmente nella Tartana degli influssi per l'anno bisestile 1756, una sorta di lunario attribuito, fittiziamente, a un amico defunto, intriso di linguaggio burchiellesco. Attacca i fenomeni sociali e culturali influenzati dalle idee illuministe: sfruttando le armi della satira, il veneziano avvia una polemica che investe una delle manifestazioni culturali più in voga e al centro dell'interesse, il teatro: più in particolare si scaglia contro Carlo Goldoni, promotore di una riforma che mira a fondare un teatro moderno e Pietro Chiari. I due vengono accusati di produzione eccessiva, di scrittura non curata e perfino di plagio, anche se le vere ragioni dell'attacco appaiono di ordine etico e ideologico: Gozzi è interessato alla restaurazione del teatro, che passa soprattutto attraverso la recita all'improvviso e il recupero della funzione edonistica dello spettacolo, in totale contrasto con la riforma goldoniana. Scrive gli Atti degli Accademici Granelleschi (1761) e le Fiabe teatrali, intrise di elementi magici e meravigliosi. Le Fiabe rappresentano un progetto culturale di Gozzi in opposizione al teatro goldoniano e alla drammaturgia di stampo illuminista: l'introduzione dell'elemento meraviglioso e irrazionale apparterrebbe a una riflessione, più generale, sulla effettiva possibilità di conoscenza del reale. Le Memorie inutili, probabilmente la sua opera più rappresentativa, sono un'autobiografia con funzione autoapologetica. • Saverio Bettinelli incarna lo spirito illuminista settentrionale. Nel 1738 entra nella Compagnia di Gesù. In questo periodo si dedica alla stesura di tragedie gesuitiche di ispirazione francese, a partire dal Gionata. Il suo lavoro più celebre e il punto di svolta della sua produzione letteraria sono le Lettere virgiliane, opera che si compone di dieci missive. Si scaglia qui contro le patrie lettere, colpendo segnatamente la poesia dantesca. Il modello additato ai contemporanei è rappresentato dalle lettere classiche, ossia la poesia latina e greca. A queste si affiancano le Lettere inglesi, nelle quali si finge che un inglese, cioè un osservatore esterno, parli degli usi e delle lettere italiani, criticandoli. Le parole di Bettinelli toccano una questione cruciale e annosa per la storia della politica e della cultura: l'assenza di una unità politca che si riflette in una dispersione della società letteraria, condizione sulla quale ancora all'inizio dell'Ottocento ragioneranno Manzoni e Leopardi. • Giuseppe Baretti è uno dei primi esempi di figura critico militante. Nel 1751 è in Inghilterra, dove rimane fino al 1760. Qui apre una scuola e diventa direttore del teatro italiano. Quando 30 torna in Italia si dedica alla "Frusta letteraria", un periodico da lui stesso fondato nel quale, dietro il nome di Aristarco Scannabue, esprime liberamente giudizi impietosi e polemici nei confronti della letteratura coeva e del cattivo gusto imperante. Il nome Scannabue sta a significare "il critico che scanna gli scrittori buoi e incapaci". Le sue invettive contro le mode diffuse, contro la cultura polverosa magistralmente esemplificativa dell'erudizione settecentesca e la letteratura priva di freschezza e vivacità sono i temi fondanti. Nel 1766 decide di tornare a Londra dove scrive l'Account of the maners and customs of Italy e il Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire. Si spegne a Londra nel 1789. • Ferdinando Galiani si dedica alla stesura del trattato Della Moneta (1751), preceduto dalla dissertazione Sullo stato della moneta ai tempi della guerra Trojana. Il trattato nasce sullo sfondo della situazione economica critica che investe il Regno di Napoli a seguito della pace di Acquisgrana (1748). Si tratta di un'opera organica, articolata in cinque libri, in cui il giovane Galiani offre una disamina molto lucida e rigorosa dell'argomento, con un'ottica originale rispetto ai predecessori. Nel trattato c'è la sua riflessione preliminare sull'utilità dell'introduzione della moneta di contro alle celebrazioni dello stato infelicissimo di natura nel quale la moneta non veniva ancora impiegata. Nel 1759 è a Parigi con l'incarico di segretario d'ambasciata. Galiani mostra un atteggiamento scettico. Tornerà a Napoli dove ricoprirà incarichi pubblici e di prestigio. • Giacomo Casanova: è un uomo dall'esistenza avventurosa, spesso coinvolto in scandali e intrighi in tutta Europa. Vanta una formazione giuridica e una carriera ecclesiastica iniziata e poi abbandonata. Casanova inizia a stendere le sue memorie, genere allora molto in voga, che vanno dal 1725 al 1774. Fughe, incontri, duelli, amori sono il sale della biografia del veneziano: le vicende narrate nelle Histoire sono presentate secondo un principio di giustapposizione, come un debordante accumulo di istantanee. I racconti contengono il fascino romanzesco delle avventure, descritte da un uomo perennemente spinto al vitalismo, curioso del mondo e della ricerca della fortuna, oltre che di protettori. Casanova sceglie consapevolmente il francese, la lingua degli illuministi e dei libertini. Le pagine di Casanova costituiscono uno degli esempi più originali di scrittura memorialistica del Settecento. L'opera si arresta al periodo che precede la decadenza, prima che la fortuna abbandoni definitivamente il giovane avventuriero, e che l'eroe del racconto assuma le fattezze di un uomo anziano. CARLO GOLDONI • Il percorso di Goldoni nella letteratura italiana del Settecento è segnato in primo luogo dalla proposta di una riforma, da un'azione di rinnovamento all'interno del teatro comico maturata nel corso di una stagione decisiva, tra mutamenti sociali e il progressivo diffondersi anche in Italia della riflessione illuministica. Di questa riforma Goldoni è certo l'interprete più significativo ma anche il principale apologeta: in diversi suoi scritti, nelle premesse alle edizioni delle sue commedie, e poi ancora nel racconto reso a posteriori nei Memoires, è infatti proprio Goldoni ad accreditarsi come protagonista di un rinnovamento, di un passaggio di modernizzazione delle pratiche teatrali. In Goldoni la ricerca di riforma convive con una ripresa rispettosa delle convenzioni teatrali e con la pratica del teatro musicale. Il passaggio tra vecchio e nuovo avviene dunque con lentezza e gradualità, persino con un'area di ambigua convivenza tra pratiche teatrali assai differenti. Il ruolo di Goldoni e la sua interpretazione del teatro contemporaneo rimangono uno snodo decisivo. Tutte le opere sono legate in modo diretto o indiretto a una città, Venezia, che rappresenta lo scenario prevalente, il mondo da osservare e proiettare sull'orizzonte ambiguo, spesso carnevalesco del teatro. 31 • Nasce a Venezia nel 1707 e va a Pavia per svolgere gli studi di giurisprudenza, ma viene espulso per aver composto una satira dai toni forti contro le donne. Nello stile concitato del racconto delle Memoires si legge il fascino per un mondo carico di vitalità e di allegria, animato dalle bizzarrie degli attori e da un clima di spensieratezza che Goldoni avverte subito come affascinante. Una brusca torsione arriva nel 1731: costretto in certa misura dalla morte del padre, Goldoni prende infine la laurea in legge e l'anno dopo comincia ad esercitare la professione di avvocato a Venezia. I primi successi sono la tragedia Belisario (1734), il Don Giovanni Tenorio (1736). • Nella seconda metà degli anni Trenta si colloca un periodo decisivo per la formazione teatrale di Goldoni. Tra il 1737 e il 1741 si consolida il rapporto con il San Giovanni Grisostomo, un rapporto che passa attraverso la composizione di drammi seri e giocosi, di cantate e intermezzi. Nel 1738 scrive il Momolo cortesan, che rappresenta da subito una svolta: la mediazione tra una sezione scritta e parti lasciate invece all'improvvisazione degli attori caratterizza anche il Momolo sulla Brenta del 1739 e La bancarotta del 1740. In queste opere la figura di Pantalone perde i tratti più convenzionali e rigidi e assume invece nella scrittura goldoniana toni più seri e meditati, diventando quasi un polo positivo nella rappresentazione della società veneziana. La commedia La donna di garbo invece rappresenta il primo caso di commedia interamente scritta, con battute definite per tutti gli attori. Un'analisi dei testi dimostra come la proposta di una innovazione conviva in Goldoni con una parziale conservazione dei moduli della commedia dell'arte, proprio in ragione del necessario spirito di mediazione con quella che era la pratica degli attori, affermatasi e raffinata nel corso di generazioni. • Goldoni nel 1744 è costretto a lasciare Venezia per ragioni economiche. Si sposta prima a Bologna, poi a Rimini e infine si stabilisce a Pisa dove riprende la professione di avvocato. Continua a comporre a distanza opere per il teatro veneziano, come l'Arlecchino servitore di due padroni, un omaggio al teatro tradizionalmente fondato sul repertorio d'attore. In questo periodo cade anche l'aggregazione all'Arcadia. Il triennio pisano si chiude nel 1748 e segna anche la chiusura della stagione del Goldoni avvocato. Poco dopo il ritorno a Venezia sottoscrive un contratto per cinque anni con l'impresario Girolamo Medebach, e sceglie di perseguire in modo esclusivo la professione teatrale, impegnandosi a comporre per ogni stagione otto commedie e due opere musicali. Del 1749 è La putta onorata. Cominciano così a definirsi, in una lingua diretta espressione della vita veneziana, una rosa di valori, tra i quali sincerità, legami familiari, difesa della reputazione, che dovrebbero garantire una coesione tra le diverse fasce sociali. Naturalmente le simpatie di Goldoni vanno alle classi più operose e alla borghesia, fotografando un panorama che è meglio rimanga immobile. • Nel 1750 realizza il Teatro comico, una riflessione e insieme una rappresentazione della sua riforma. La commedia, di impostazione metateatrale, mette infatti in scena una compagnia di attori che provano una commedia dello stesso Goldoni e che in questo modo, discutendo del testo, mettono in luce le novità dell'esperienza goldoniana. Un'evidente apologia, dunque, espressione di una stagione di grande fiducia, cui Goldoni accosta, nello stesso anno, un'altra pagina decisiva. C'è una curvatura morale che Goldoni imprime nella sua istanza di riforma: in questo modo egli riprende una tenzione a nobilitare la pratica del teatro, collocandola all'interno di una prospettiva alta, pedagogica, tensione che era stata di diversi intellettuali di primo Settecento. Mondo e Teatro, con il corollario di una scrittura prossima alla "Natura", diventano così i due poli che orientano la scrittura, in una combinazione di analisi di costumi e realtà e di abile resa scenica. • Nel 1750 una commedia, L'erede fortunata, va incontro a un brusco insuccesso. Il fiasco spinge Goldoni a un rilancio: si impegna pubblicamente a comporre per la stagione 1750-51 non le otto commedie previste dal suo contratto ma un numero doppio, sedici testi inediti. Un impegno che riesce a rispettare, realizzando la sua definitiva consacrazione. Va ricordata 32 di racchiudervi", rivendicando la necessità di attingere ad altre lingue per arricchire il patrimonio di lessico e di conoscenze dell'italiano. Le idee e le cose devono prevalere sulle parole, la ragione sulle leggi. Nell'articolo Della patria degli Italiani, Carli richiama l'attenzione sulla necessità di superare l'endemica frammentarietà politica, economica e morale della penisola in favore di un'unità civile su scala nazionale. Questo schizzo di ordinamento politico federalista è anche una testimonianza del pluralismo della rivista. • I fratelli Verri, Pietro e Alessandro, sono tra le personalità più rappresentative della Milano dei Lumi. Il primogenito Pietro, dopo l'esperienza dei Pugni e del "Caffè", diviene funzionario asburgico su temi di interesse tributario ed economico. Alessandro dopo esperienze all'estero si stabilisce a Roma. L'ultimo dei fratelli, Giovanni, intreccia una relazione con Giulia Beccaria, figlia di Cesare, da cui nascerà Alessandro Manzoni. Con il viaggio oltremontano di Alessandro ha inizio l'imponente carteggio con il fratello Pietro, più di 3800 lettere scritte tra il 1766 e il 1797: un tavolo di condivisione e di revisione dei propri progetti creativi, ma anche di netta contrapposizione dialettica su temi politici. Sulla carta si fronteggiano infatti due visioni politiche opposte, radicalizzatesi negli anni vissuti dall'uno nella Roma senza tempo delle antichità e del Papato, e dall'altro nella Milano del presente asburgico, tentando di riformare dal didentro l'organismo politico e amministrativo. La stessa matrice illuministica e quasi filopopolare dà vita alle Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri, avviate nel 1760 ma pubblicate con intento polemico nella loro redazione definitiva solo nel 1777. Il moderatismo politico di Alessandro è invece perfettamente illustrato nelle Notti romane al sepolcro degli Scipioni. La scoperta nei pressi dell'Appia del cosiddetto sepolcro degli Scipioni è l'occasione per un percorso nella storia romana in forma di visione, in cui l'autore immagina di incontrare gli spiriti dei romani illustri, capitanati da Cicerone. Nei colloqui con gli spettri si fa il punto sull'importanza della virtù politica e degli studi umanistici, opposti alla violenza conquistatrice. Alla Roma imperialistica e sanguinaria è succeduta la pacificata Roma papalina, una seconda Roma, quasi fenice risorta dalle ceneri sue, un impero nato dalla utilità, cresciuto dal consenso, confermato dalla persuasione. Verri realizza così una compiuta mitografia di Roma, intesa come roccaforte dell'ecumenismo cattolico, nel segno di un orizzonte politico conservatore. • Cesare Beccaria, dopo aver conseguito il dottorato in legge, si converte alla filosofia nel 1761, a causa del folgorante incontro con il Montesquieu delle Lettres persanes (1721). Teresa Blasco darà al filosofo una figlia, Giulia, futura madre di Alessandro Manzoni. Dei delitti e delle pene (1764) resta senza dubbio l'opera più influente prodotta in seno al circolo dei Lumi milanesi. Un saggio di politica legislativa e penitenziaria che ha un impatto decisivo e immediato sul pensiero filosofico europeo in generale, sul diritto penale moderno in particolare. Il libro si presenta diviso in quarantasette capitoli. Beccaria sostiene che gli uomini siano giunti a sottoscrivere il patto volto all'interesse comune mossi da passioni egoistiche: la volontà di evitare il dolore conseguente ai conflitti li ha condotti al consenso civile di limitare l'illimitata libertà originaria. Le leggi sono strumento attivo di questa limitazione, puntando, secondo il criterio dell'utile comune, alla massima felicità divisa nel maggior numero. Dal principio dell'utile discende anche la norma della proporzionalità delle pene che si fonda sul criterio del danno pubblico, norma solitamente disattesa dagli ordinamenti di antico regime. Le leggi inoltre devono essere dichiarate pubblicamente e applicate senza eccezioni. Da questa osservanza discende il garantismo penale, primo argomento avocato contro la pratica della tortura. Gli altri due argomenti a sostegno della tesi sono l'assurdità della tortura come purgazione dell'infamia, in quanto motivata dall'erronea credenza che il dolore, che è una sensazione, purghi l'infamia, che è un mero rapporto morale, e l'inconsistenza della condanna di un torturato sulla base delle contraddizioni verbali in cui può cadere. Uno dei passaggi più significativi del saggio è la discussione sulla legittimità di comminare la pena capitale. La pena capitale non è un diritto, 35 è inutile e dannosa, e va sostituita con la privazione perpetua della libertà, benchè possa essere applicata come "guerra della nazione con un cittadino" quando gli istituti della convivenza civile versino in uno stato di degenerazione, e quando ci sia il pericolo concreto che un singolo possa sovvertirli. Quale che sia il delitto la domanda a monte permane: come prevenire i delitti? Attraverso leggi chiare, semplici, incutendo allo stesso tempo un giusto timore. Il teorema generale che riassume la logica è: "perchè ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a' delitti, dettata dalle leggi". A partire dal gennaio 1769 detta le sue lezioni, edite postume nel 1804 con il titolo di Elementi di economia pubblica. Il problema che sta alla base di questo contributo è quello delle modalità con cui incrementare il piacere, e quindi la felicità. Nelle Ricerche intorno alla natura dello stile, Beccaria riflette invece sul conseguimento e aumento del piacere connesso all'immaginazione, privato e gratuito. Si consacra al lavoro quotidiano e concreto al servizio del bene pubblico, stilando un gran numero di atti di governo che rimangono come testimonianza dello stretto vincolo con cui sono legati, nella sua vita e nella sua opera, pensiero e azione. GIUSEPPE PARINI • Pur facendosi volentieri carico di compiti amministrativi, Parini è per vocazione un poeta e un educatore. La sua estrazione provinciale, povera e plebea è all'origine del particolare punto di vista da cui egli osserva la società e gli uomini, e ne immagina la riforma. Fa attenzione all'ingiustizia della società, dell'immoralità dei privilegi e delle ricchezze di un'aristocrazia neghittosa e corrotta. L'orgogliosa consapevolezza di essere poeta, di far parte di un'aristocrazia spirituale, d'avere in dono l'eternità, lo rende coscientemente diverso dai cenciosi plebei per nascita e per spirito. Sono celebri il vero oro e la vera nobiltà dell'esistenza: la virtù, la libertà, la tenerezza degli affetti. • Giuseppe Parino (poi Parini) nasce a Bosisio nel 1729. Giuseppe si trova in gravi ristrettezze economiche e le privazioni aggravano la congenita zoppia. Nel 1752 dà alle stampe il volumetto Alcune poesie di Ripano Eupilino. L'autoantologia è divisa in due parti: la prima di sonetti seri, la seconda di Poesie piacevoli, cioè sonetti caudati burleschi o satirici. Preoccupano il giovane chierico soprattutto i testi piacevoli e ricorre a un linguaggio scurrile o basso che rappresenta ambienti di un'umanità degradata e critica gli usi sociali. Emergono già qui due tratti di lunga durata del Parini poeta: da un lato l'alta coscienza di sè, della propria poesia e il presentarsi e sentirsi separato dal volgo, dall'altro la propria immagine di poeta plebeo e povero e quindi libero. • L'autoantologia gli apre le porte dell'Accademia dei Trasformati di recente ricostituita. Nellle adunanze gli accademici trattano tematiche serie e giocose, praticano ironia e satira come mezzo di critica ed educazione morale. Parini è ordinato sacerdote nel 1754. Si apre ai testi dell'Illuminismo inglese e francese e si orienta verso un riformismo illuminista spesso interpretato coi toni della polemica o della satira in prosa e in verso. Nel 1756-60 Parini partecipa a due polemiche linguistiche. La prima contro il Dei pregiudizi delle umane lettere del padre Alessandro Bandiera, la seconda contro i dialoghi Della lingua toscana del barnabita Onofrio Branda. Parini difende la legittimazione dell'uso del milanese sia sulla base di un'idea naturalistica delle lingue, sia per l'essere una lingua particolarmente inchinata ad esprimere le cose tali e quali sono. Del 1757 è il Dialogo sopra la nobiltà, in cui Parini sottopone a critica l'insensatezza del vanto di una nobiltà di sangue disgiunta da una personale nobiltà di spirito. La critica alla nobiltà di Parini è indirizzata al singolo e alle sue opinioni, alla società e ai suoi costumi, ma anche alla poesia e in generale alla letteratura, chiamata a recuperare la propria dignità per mostrare la verità. Altra satira delle mode 36 femminili sono le Lettere del Conte N.N., romanzo epistolare incompiuto. La componente didattica della letteratura, implicita nelle prose satiriche, è teorizzata nel Discorso sopra la poesia (1761). La poesia non è il vano intrattenimento di gente oziosa, ma piacere universale. Poichè la poesia produce un vero, reale e fisico diletto, quanto più il poeta riuscirà a rendere sensibilmente percepibile di ciò che imita, tanto più riuscirà a essere persuasivo. Nel Discorso sopra la carità (1762), prolusione al raduno accademico sul tema, Parini torna sui doveri dei poeti e letterati che devono essere chiamati alla scrittura e agli studi dalla Carità dei suoi prossimi, che devono avere per obiettivo l'utilità e il vero. È quindi la carità a fare di dotti e letterati la luce del genere umano. Tra i più importanti testi lunghi in terzine ed endecasillabi ci sono Lo studio (1753) e Il teatro (1754). Il primo vi si affronta il tema della ragione della decadenza degli studi letterari in Italia. Nel secondo il teatro è trattato come il covo notturno di tutte le scelleratezze della classe dominante. Da ricordare il Trionfo della Spilorceria, Sopra la guerra e L'auto da fè. Nei Trasformati Parini trova però anche l'ambiente culturale adatto a cimentarsi in un più ambizioso progetto poetico: la composizione di odi di argomento civile che mettano in piena luce la persona del poeta e affermino esplicitamente i suoi ideali progressisti. La prima ode, La vita rustica (1758), ha il tema tipicamente arcadico della libertà agreste ed è usato per affermare la superiorità morale del produttivo e pacifico ideale fisiocratico, implicitamente contrapposto all'avido e armato mercantilismo e, allo stesso tempo, per presentare una nuova figura di poeta libero dai ricatti del potere e del denato e ad annunciare una nuova poesia. Parini non loda gli otia campestri, ma l'industriosa intelligenza del contadino capace di migliorare le tecniche agricole e di rendere più produttivi i campi, creando quindi valore e ricchezza: l'innovativa scelta del tema si fonda sulla volontà di rifiutare l'adulazione dei potenti e di rendere perenni la virtù e il merito di chi si è reso utile a tutti. Più sperimentale della Vita rustica è La salubrità dell'aria (1758), in cui c'è il contrasto fra città e campagna per affrontare questioni di salute pubblica. La concentrazione espressiva, spesso ardita, e le scelte retoriche e lessicali di Parini piegano il lessico aulico della tradizione letteraria a rappresentare e giudicare la realtà contemporanea nella concretezza e quotidianità di oggetti e problemi, dando luogo a formulazioni. Il tema dell'aria inoltre fa sì che il contrasto città/campagna, l'icastica pittura del vizio, della virtù e dei loro effetti sugli abitanti siano ricondotti all'opposizione profumo/puzzo: l'enfasi sui sensi, lusingati od offesi, si riversa sulla rappresentazione poetica che ricerca l'evidenza per meglio persuadere il lettore mettendo in pratica i principi estetici del sensismo. L'utile indica la capacità del poeta di partecipare e sostenere, con gli specifici mezzi della poesia, le riforme sociali, utili alla comune salute. • Parini dieviene il precettore di Carlo Imbonati. Anche grazie alla spinta interiore datagli dalle ristrettezze in cui versa, egli si dedica per la prima parte del nuovo decennio ai versi che, con le odi, comporranno la sua opera maggiore. Sintesi delle esperienze letterarie fin lì compiute, Il Mattino ha per tema le inattività d'un giovane aristocratico ed offre quindi un giudizio globale sulla nobilità lombarda. Parini introduce però una nuova modalità di intervento e di critica sociale: copre i panni del poeta satirico con quelli del maestro d'eleganza e di divertimento. Abbandona perciò i toni dell'indignazione e della rivendicazione e costruisce il proprio conversevole discorso sull'ironia, sull'uso costante dell'antifrasi e sulla continua celebrazione ed elevazione stilistica di vite e oggetti preziosi ma fatui, che incessantemente rimandano a una realtà sociale di oppressione, sfruttamento e ingiustizia. Il Mattino si apre con l'ironica dedica Alla Moda, la vezzosa dea che governa la nostra brillante gioventù. È in endecasillabi sciolti e la destinazione dell'opera è ai "pacifici altari". Poesia da toilette, ostentatamente disimpegnata e modaiola. Al fondo della critica pariniana sta il tema, già delle odi, del distacco della società aristocratica dalla natura, fonte di vitalità sana e piena. Per questo è emblematico l'inizio vero e proprio della mattina del 37 giornalmente che annulla il passaggio del tempo e lo sviluppo della persona e anestetizza la percezione dell'invecchiamento e dell'appressarsi della morte. Forse proprio nella impossibilità di educare un ceto ormai destinato alla fine sta anche una delle chiavi per comprendere l'incompiutezza a cui Parini abbandona la sua ormai inutile satira. La mattina del 15 agosto 1799 nelle sue stanze di Brera compone il sonetto biblico Predaro i Filistei l'arca di Dio. Nel pomeriggio muore. EPOCA 8 • All'interno della tumultuosa cornice storica di questa fine del secolo germinano e si sviluppano due sensibilità in un certo senso speculari: quella neoclassica e quella romantica. Il Neoclassicismo, con la sua ripresa della classicità in ambito soprattutto pittorico e scultoreo nei termini di un'algida e nobile compostezza, recupera la gloriosa tradizione greco-latina nella prospettiva di una competizione imitativa con la classicità. Viceversa, il Romanticismo guarda sì al passato, ma al passato inesplorato delle saghe medievali, interpretato con originalità dall'artista. • Figura emblematica di questo periodo è Vittorio Alfieri. Il suo Gran Tour gli permette di modellare una teoria politica antitirannica e antirivoluzionaria che riversa direttamente nei trattati e indirettamente nel proprio corpus tragico, i cui vertici estetici sono rappresentati dal Saul e dalla Mirra. Le innovazioni alfieriane si giocano a livello tematico con la rifunzionalizzazione di impronta classicistica del repertorio mitografico e storiografico greco-latino all'interno delle cadenze dell'endecasillabo sciolto, sia a livello strutturale, con lo sfrondamento delle complesse linee drammaturgiche della tradizione barocca, portando in tal modo alle estreme conseguenze tendenze già presenti nelle tragedie illuministiche di Voltaire e riattualizzando l'esempio di Seneca. Ma è la narrazione autobiografica affidata alla Vita scritta da esso il vero sigillo del cambiamento dei tempi: l'autore, attraverso le peripezie e le riflessioni del personaggio, si rivela a sè stesso e agli altri in quanto individuo borghese che trova la propria realizzazione agendo il proprio ruolo all'interno di una rinnovata società civile, seguendo la via già spianata dai suoi più immediati predecessori Montaigne e Rousseau. Il testo rilegge la vita dell'uomo-Alfieri nei termini di un'ambiziosa tensione a costituirsi come drammaturgo d'eccezione nel tempo e nello spazio, a partire dalla conversione letteraria e politica del 1775: da quel momento l'io privato e l'io pubblico si saldano inscindibilmente nel compimento di un curriculum artistico faticosamente ma sapientemente perseguito. • Vincenzo Monti e Ugo Foscolo sono considerati gli esponenti di maggiore spicco del Neoclassicismo italiano. Monti diventa a Milano funzionario della Repubblica Cisalpina e quindi istoriografico del Regno d'Italia sotto Napoleone: per il generale corso sono pensati il poemetto Il Prometeo, La Spada di Federico II, Le api panacridi in Alvisopoli, Il Bardo della Selva Nera, ma soprattutto la traduzione in sciolti dell'Iliade, nella quale tutto l'armamentario retorico-stilistico della poetica neoclassica è dispiegato per celebrare la linea politica imperialistica di Bonaparte. • Se per Alfieri l'italiano è una lingua-obiettivo da inseguire nel solitario lavoro sulla propria opera, all'incirca negli stessi anni il codice linguistico nazionale è al centro di un dibattito che vede impegnati pubblicamente attori autorevoli. Tra il 1806 e il 1811 avviene la ristampa del Vocabolario della Crusca curata dal veronese Antonio Cesari, caposcuola del movimento cosiddetto purista. Questo movimento si propone di incrementare il patrimonio lessicale italiano non prendendo in prestito vocaboli stranieri, bensì, anacronisticamente, attingendo dall'italiano del Trecento. Sulla scia del pensiero cesarottiano è infine Monti a tirare le fila della questione, ponendo all'attenzione dei letterati la necessità di avvalersi in prosa e in poesia di un italiano letterario cinquecentesco di stampo classicista, che guardi ai 40 grandi modelli di Ariosto, Caro e Tasso, ammettendo altresì caute aperture a forestierismi e neologismi. • È ancora nella Milano neo-capitale del Regno Lombardo-Veneto che si fronteggiano finalmente gli esponenti delle due tendenze, quella classicistica e quella romantica. La Polemica è avviata dal celeberrimo articolo di Madame de Stael Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni, in cui la baronessa sollecita i letterati a volgere in italiano le opere straniere in modo da rivitalizzare contenuti e stile della letteratura nazionale. Alla de Stael ribatte con alcuni interventi Pietro Giordani, secondo il quale solo la perfetta padronanza di tutte le corde della tradizione linguistica italiana può servire alla liberazione socioculturale delle masse. È questo l'anello di congiunzione tra il pensiero di Giordani e quello degli intellettuali di fede romantica e di orientamento politico liberale e antiaustriaco. C'è inoltre la comune convinzione che le lettere debbano servire al progresso dell'intero consorzio civile. VITTORIO ALFIERI • La curva descritta da Vittorio Alfieri con la sua biografia e con la sua opera riassume un secolo, il Settecento, che vede compiersi l'ultimo atto delle società di antico regime e il prologo di un'era nuova, l'era borghese. Nasce il 16 gennaio del 1749 ad Asti. Tra il 58 e il 66 intraprende i primi "non studi" presso l'Accademia Reale di Torino, dove conosce il teatro e la musica, che ricopre il ruolo di motore per il concepimento d'idee fantastiche da riversare nella scrittura tragica. Torino è anche teatro di parola. Nel 66 entra come alfiere nell'esercito e compie il primo viaggio in Italia, toccando Milano, Firenze, Roma e Napoli: ovunque si rechi ha modo di conoscere i sovrani del luogo, riportandone un'impressione di tirannia generalizzata. Si muove poi alla volta di Venezia, Genova e Francia, alla corte di Luigi XV, poi in Inghilterra e in Olanda. Questi luoghi concorrono a forgiare la sua inclinazione antitirannica. Riparte per Praga, Dresda, Berlino, dove conosce il tiranno Federico II, poi Svezia, Finlandia, San Pietroburgo, Spagna e Lisbona. Nel 1772 rientra a Torino e diviene il caposcuola di una sorta di accademia culturale formata da alcuni vecchi compagni di collegio, informale ed eterogenea, chiamata Societè des Sansguignons, all'interno della quale matura il dialogo satirico in francese Abbozzo del giudizio universale. In questa parodia filosofico-libertina mette alla berlina, sottoponendoli al giudizio divino, dapprima Carlo Emanuele III di Savoia e la sua corte, poi l'aristocrazia piemontese e quindi la civetteria femminile. Il manoscritto conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze contiene anche il diario intimo noto come Giornali, composto tra il 74 e il 77 in due momenti distinti, nell'uno scrivendo in francese, nell'altro in italiano. In questo testo, prima scrittura dell'io alfieriana, alla cesura costituita dal cambiamento di codice linguistico corrisponde una cesura strutturale e morale: se nella prima parte a dominare il racconto dell'amore tormentato per l'odiosamata signora Gabriella Falletti di Villafalletto, nella seconda il fulcro è invece la gloria letteraria, obiettivo finalmente perseguito con lucidità dopo la rottura del legame amoroso. Con Antonio e Cleopatra, Alfieri si affaccia al primo banco di prova drammaturgico, insieme alla farsetta I poeti. Lo spunto autobiografico è controbilanciato dal tema universale del potere tirannico, personificato dai personaggi di Cleopatra e Augusto è il tema cardine dell'intera, successiva drammaturgia tragica alfieriana. • Dopo i faticosi anni di apprendistato, la conversione letteraria e politica è finalmente posta in essere. Alla ricerca della fama letteraria non è disgiunta quella di una lingua, l'italiano. Il ben dire deve dunque essere perseguito e ottenuto in lingua italiana, non nella spiacevole e meschina lingua francese. Quanto al ben ideare e al ben comporre, sarà utile di nuovo ricorrere alla spiegazione dell'autore stesso del metodo di lavoro dei tre respiri, ideare, stendere, verseggiare. Nel 1775 a Cesana, in val di Susa, riscrive in italiano due tragedie 41 francesi, il Filippo e il Polinice. Il primo è dominato dal sovrano spagnolo eponimo, preda della mania del controllo e chiuso nella propria reggia-prigione, è una tragedia cui Alfieri lavora a più riprese per un totale di quattro versificazioni. Alla lettura della Tebaide è invece collegato il Polinice, tragedia imperniata su due figure negative, il fratello di Polinice e tiranno di Tebe Eteocle, e l'aspirante al trono, lo zio Creonte: diversamente dal modello antico e da quello più recente offerto dal tragediografo francese Racine, la catastrofe finale che vede la morte di entrambi i fratelli non contempla un Polinice vendicativo e pugnace, bensì un Polinice che, nel morire, ribadisce stoicamente la sudditanza al fratello che, morente, lo uccide. Scrive anche l'Antigone, la prima tragedia dell'iter compositivo interamente italiano: materia del serbatoio mitografico tebano, dove l'accento è spostato sulla protagonista femminile, luogo geometrico delle colpe e dei dolori che gravano sulla famiglia di Edipo cui solo la morte può servire da catarsi. Nel 1777 a Siena stende L'Agamennone e l'Oreste, dove il tema portante della prima tragedia è la malsana passione per Clitennestra per il manipolatore Egisto, che la conduce alla rovina, mentre in Agamennone vengono meno i connotati tirannici in favore di quelli positivi di padre. Alfieri dice di aver ottenuto una maggiore essenzialità nella costruzione dei rapporti tra personaggi. A Firenze fa la conoscenza del "degno amore", quello per la contessa Louise Stolberg d'Albany, per la quale dona tutti i beni alla sorella Giulia in cambio di una cospicua rendita: il poeta, "spiemontizzato" e "disvasallato", è così indipendente dal placet sabaudo per quanto riguarda la pubblicazione dei propri scritti. In questo periodo porta a compimento le "tragedie di libertà": la Virginia, la Congiura de' Pazzi e il Timoleone. La prima è una celebrazione della repubblica romana, in cui il popolo, animato da spiriti libertari, è in grado di rovesciare la tirannide di Appio. La seconda si rifà invece a un argomento della storia moderna, la congiura antimedicea ordita dai banchieri Pazzi, nella quale Raimondo viene ad assumere connotati di un "bruto toscano" che si contrappone ai tiranni Giuliano e Lorenzo, per quanto l'autore del Parere ammetta che, data la prossimità dell'evento storico, questo non possa gareggiare in grandezza con un "bruto romano". La terza vede fronteggiarsi Timoleone e Timofane, libertà e tirannia, restituiendo un'idea di eroicità bifronte che può essere ugualmente volta in positivo o in negativo. La fase creativa successiva si concentra sul perfezionamento di motivi e figure delle prime tragedie, inseriti però in più complessi disegni di trama. Questa fase comprende il Don Garzia, che compie idealmente il ciclo antimediceo insieme all'Etruria vendicata, la Maria Stuarda, la Rosmunda, l'Ottavia. Nel 1780 Alfieri segue la Stolberg d'Albany a Roma per poi proseguire per Napoli e tornare poi nel 1782 a Roma: nella capitale pontificia il poeta fa il suo ingresso a pieno titolo nella repubblica delle lettere, entrando a far parte dell'Accademia dell'Arcadia e frequentando il salotto di Maria Pizzelli. A questo 1782 romano appartengono la Merope e il Saul. La prima tragedia mette in scena la passione materna, mentre la seconda è occupata dalla personalità frastagliata del tiranno biblico, Saul: un eroe contraddittorio, tormentato dalla perdita del potere e dall'avvento della vecchiaia, animato da sentimenti contrastanti nei confronti di David e dei figli, un eroe tirannico che attiva tuttavia il meccanismo di identificazione dello spettatore in forza della sua complessità emotiva. Alfieri ripare per un altro giro per la penisola, passando da Siena, Bologna, Ravenna, Venezia, Padova, Milano per poi tornare a Siena. Parte per l'Inghilterra, poi torna a Siena e va in Alsazia dove scrive l'Agide, la Sofonisba e la Mirra. L'Agide indaga il dramma del sovrano innocente ingiustamente condannato a morte, un sovrano giusto che, in virtù della sua appartenenza alla sfera del mito, può ottenere la parificazione dei propri cittadini persino a livello economico. La Sofonisba è un dramma tutto condensato nell'odio politico della protagonista nei confronti dei romani, a scapito di un piano affettivo pressochè assente. Rappresentazione interamente affettiva della passione censurata e negata, dell'innocenza violata dalla potenza dei nuclei passionali nati nel proprio stesso intimo è invece la Mirra: la storia della fanciulla 42
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