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Analisi del primo Atto dell'Adelchi di Alessandro Manzoni, Appunti di Letteratura Italiana

Un'analisi dettagliata del primo atto dell'opera teatrale 'adelchi' di alessandro manzoni. Esso esplora la struttura metrica, il tema del dolore, la fedeltà, la visione sociale e la logica terrena, oltre a fornire informazioni sulla storia e sulle caratteristiche dei personaggi. Utile per chi studia la letteratura italiana, in particolare l'opera di manzoni.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 09/05/2024

CarlottaPi
CarlottaPi 🇮🇹

3 documenti

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Scarica Analisi del primo Atto dell'Adelchi di Alessandro Manzoni e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Letteratura Italiana – Secondo semestre appunti completi Lezione 1 del 14/02/2023 Introduzione Data di inizio della letteratura italiana è il 200 in Sicilia, nonostante non sia esattamente vero. In Sicilia e nel 200 nasce la tradizione letteraria alta della letteratura italiana. Questa tradizione ha un contesto che fa da incubatore e lo fa in maniera centralizzata dall’alto, questo contesto definibile ci permette di creare una data di nascita e di menzionare i nomi dei padri fondatori. Solitamente la storia delle letterature è più incerta e mitica, così non è per quella italiana. Nasce in Sicilia perché è attivo in Sicilia una delle persone più importanti, Federico II. Non fu italiano, infatti, fu tedesco da parte di padre e normanno da madre. È l’iniziatore della cultura italiana, fu l’imperatore del sacro romano impero e ambì ad essere l’imperatore universale. La sua residenza fu nel sud Italia. La nascita della poesia siciliana Nasce quasi come un progetto culturale definito a tavolino, come creazione di una propria letteratura laica di riferimento. Nel medioevo la grande cultura era quella di ambito religioso e latina ma Federico si trovò in conflitto con il papato. Il fatto che nacque a Jesi, nelle marche, lo portò ad essere considerato l’anticristo. Per la cultura medievale invece venne visto come portatore del messaggio di cristo. Inoltre, Federico II era poliglotta e attorno a lui si crea la scuola siciliana che ha il suo apice tra gli anni 20- 30 del XIII secolo e prosegue fino alla morte nel 1250. È una stagione con una forte centratura attorno alla sua figura e vi era un programma comunicativo. Questa stagione poetica può essere considerata come programma politico in contrasto con la cultura religiosa latina della chiesa. Questa poesia siciliana va a recuperare un modello già fornito, infatti, la letteratura siciliana nasce in ritardo rispetto al panorama europeo, non è la primogenita. Lezione 2 del 15/02/2023 La lingua Dal punto di vista linguistico in questo periodo si parla non di italiano, ma di lingue italiane. In Francia, paese di riferimento, troviamo al nord il francese (lingua di Parigi che politicamente si è poi espansa), mentre al sud una lingua differente, la lingua d’oc. Le lingue nel medioevo venivano nominate in base ai diversi modi di dire “si”, ad esempio l’oil, “si” (lingua del nord) e l’oc, “no” (lingua del sud della Francia). La lingua d’oc ha una stagione di poesia lirica creata da figure di poeti detti “trovatori”. Questa stagione lirica è così importante che i primi poeti italiani di lingua alta scrivono in provenzale. Il primo testo alto in italiano viene scritto da un provenzale nel 1190 (circa 100 anni prima che Dante inizi a scrivere), Rambaud de Vaqueiras, un dialogo tra un provenzale che corteggia una donna, la quale risponde in italiano. Somiglianze e differenze I siciliani prendono a modello il sistema provenzale. Il primo testo in siciliano attestato è di Jacopo da Lentini “Madonna dir vi voglio”, una sorta di traduzione di un testo provenzale con adattamenti al nuovo contesto siciliano. La situazione polito-sociale provenzale è ben diversa da quella italiana: è composta da ducati, piccoli stati con la propria corte, ed ogni corte ha la propria stagione poetica, all’interno delle quali sono attivi i trovatori. La poesia provenzale affronta tutti i generi, ad esempio la poesia di guerra ha una grande importanza (si tratta di una società aristocratica che esalta la guerra), così come la poesia d’amore, nella quale il trovatore mette in scena l’amore per la dama (castellana). Questa situazione crea un dislivello sociale tra il poeta e la dama: si tratta spesso di un desiderio frustrato, ma che ha comunque una carnalità. 1 La poesia siciliana recupera soltanto la poesia d’amore, recuperando il poeta ancora sottoposto alla dama. La distanza sociale tra i due viene introiettata, diventa una distanza interiore, insuperabile. Nel 1200 la letteratura alta si formalizza nell’idea di un’irraggiungibilità dell’amore. La Sicilia è un crogiolo culturale e il crocevia degli scambi culturali: ha una secolare tradizione araba ed ebraica, inoltre la filosofia greca arriva tramite i canali di traduttori ebraici ed arabi, quindi in Sicilia c’è un contesto filosofico molto evoluto tanto che questa interiorizzazione dell’amore si sposa con la dimensione filosofica dell’amore stesso (che cos’è, quali sono le sue caratteristiche…). Si tratta di una poesia ricca di pensiero e al tempo stesso di medicina, la quale nasce all’interno della teoria filosofica. Indagare la natura dell’amore significa anche studiarla dal punto di vista medico (come nasce l’amore, che effetti ha sull’anima, sul corpo…). Ci è facile conoscere figure autonome, in primo luogo proprio Jacopo da Lentini, padre della poesia, fondatore della forma metrica del sonetto. La poesia provenzale nasce accompagnata dalla musica. Caratteristica dei poeti della scuola siciliana è che sono funzionari della corte di Federico II, tecnici del diritto, non della letteratura (Jacopo da Lentini è un notaio di corte). In Sicilia si crea una sorta di divorzio tra musica e testo: il testo si stacca dalla dimensione performativa. Quella musicalità affidata alla musica per i provenzali, per i siciliani deve esser recuperata tramite una lingua più strutturata musicalmente, e così le forme metriche (prosodia). Versi e prosodia (materiale a parte) I versi italiani sono su base accentuativa, ossia sono strutturati sulla base degli accenti delle parole. I nomi dei versi contengono il numero delle sillabe (endecasillabo, 11 sillabe; settenario, 7 sillabe…), in realtà si tratta non di sillabe ma di posizioni sillabiche. Le parole italiane sono quasi tutte piane: l’accento cade sulla penultima sillaba. Abbiamo però anche le:  Tronche: accento sull’ultima sillaba  me, però, libertà  Sdrucciole: accetto sulla terzultima sillaba  anima, sdrucciolo, soccorrere  Bisdrucciole: cade sulla quartultima sillaba  liberami 2 Con estrema semplificazione, si possono dare questi casi: 1) I nessi ascendenti sono bisillabici: da dolce vista del beato loco la dol _| ce vi sta del __| be a to lo co 1 2 3 4 5 6 T 8 9 10 1 Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse Ga le ot to full |li bro | chi lo seris | se e 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 2) I nessi discendenti sono monosillabici all’interno del verso e bisillabici in fine di verso. nosillabico] Passa la nave mia colma d'oblio [bisillabico] vs or 7a posto in oblio con quella donna [mo Pas_]sa_ |la_ ]na ]ve |mia ]col_|ma ]do ]bli |o 1 [2 [3 [4 [8 [6 [7 [8 [9 [10 |1 Or |mha [po |stof [ob |blio |con |quel |la_ |don |na n 1 |a |3_ ]4 [58 [6 [7 [8 [9 [10 |u Stade la terra dove nata fasi [bisillabico] vs lo fini di Montefliro, io sen Bonconte [monosillabico] Due vocali contigue all’interno di un verso ma in fine di parola (che dunque dovrebbero contare per un’unica sillaba) però possono essere considerate bisillabiche — specie nella poesia antica. In questo caso si ha dieresi, indicata con due puntini sopra la prima vocale. Lo non Enia, îo non Paolo sono 3) 1 nessi atoni in genere sono bisillabici specie quando all’origine c'è una parola latina con lo stesso nesso (che in latino contava per due sillabe). Questa beatitudine maggiore Que [Sa be |a i |uw |d ]ne | mag [gio |Re 1 2_|3_ ]4_ 5 6_ |7 |8_ [9 io | La scansione ritmica dei versi Posto che l'accento forte (e determinante) di un verso è sempre l’ultimo, nel corpo dei versi si ritrovano ulteriori accenti minoti. L’endecasillabo è il verso con più possibili combinazioni. Le principali sono: a) 4,8,10 mi lr tro |vai |per lu na Sel [vato | scu | Ra 1 2 3 4 s 6 7 8 9 10 11 b) 6,10 Nel mez_| zo del cam | min |di No stra vi Ta 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Ul e) 1,4, 7,10 Don | ne ch'a | ve teNin | tel let to d'a mo | Re 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Il sonetto Lezione 3 del 16/02/2023 Tenzone tra Iacopo Mostacci, Pier della Vigna e Giacomo da Lentini pag 5-7 Il tenzone è uno scambio poetico tra poeti, una discussione filosofica (aspetto importante e non presente per la poesia provenzale) sulla natura dell’amore. L’obiettivo è quello di dare una definizione. Il primo a porre il problema è Iacopo mostacci e nel suo sonetto è presente la rima siciliana. Nel sonetto di giacomo da Lentini si parla di come nasce l’amore e vi è un’eccezione nella rima. I temi presenti sono:  Amore lontano da quello di dante, qui l’amore è fisiologico. Ci si innamora attraverso gli occhi. Per la scuola siciliana vi è un concetto secondo il quale gli occhi sono il verso attraverso il quale le sensazioni si imprimono nel cuore. La donna è un’immagine interna all’uomo e in quanto tale è 6 irraggiungibile. Si distacca dalla visione della poesia provenzale dove la donna è un’immagine fisica, è una castellana.  Contrasto con la poesia provenzale  lui dice che può capitare che l’uomo si innamori senza aver mai visto la donna e semplicemente sentendo gli elogi che fanno su di lei PERO’ lui spiega che l’amore nasce dallo sguardo, quindi qualcosa di fisico.  L’amore produce immagini. La poesia siciliana è una poesia filosofica, concettuale e parla di un amore interno all’uomo. Inoltre, questo amore produce delle immagini nel cuore. La rima siciliana Nel 500 Barbieri, uno studioso, trovò un testo in un manoscritto scritto in siciliano. Questo testo è strano perché vi è una rima siciliana. L’italiano ha 5 vocali, in realtà ha 7 vocali A, E aperta, E chiusa, I, O a/c, U. L’italiano deriva dal latino che ha ancora più vocali e passando dal latino all’italiano cambiano. 7 ci sono le persone che credono che l’anima muoia col corpo inserendoci il padre di Guido Cavalcanti poiché il figlio era ancora in vita). Nella filosofia medica medievale, l’innamoramento passa attraverso gli occhi e vi è un’immagine che si deposita nel cuore. In una dimensione biologica dell’anima, quell’immagine in realtà va a bloccare il funzionamento della mia anima perché se l’anima non esiste separata dal corpo, quell’immagine va a compromettere il funzionamento di tutto me stesso. È una poesia di amore profondamente pessimista, doloroso e negativo. Cavalcanti crea il repertorio di immagini dell’amore doloroso. Inoltre, la sua descrizione dell’amore è ricca di immagini di guerra in quanto l’amore è una guerra che chi ama perde. L’immagine della donna amata che passa attraverso gli occhi produce l’idea del nemico che invade le porte e proprio perché l’anima è un insieme di funzioni lui produce il dibattito interno tra le parti dell’anima e del corpo, produce il dialogo interno. Pag 21 si possono vedere questi elementi, la mente piena di dolore e il cuore dolente. Guido Cavalcanti, chi è questa che vèn, ch’ogni’om la mira pag.20 Concetti e temi:  Immagine della donna che passeggia per strada, tema tipico. Deriva dal cantico dei cantici che è erotico  primo verso ci dà l’idea di sensualità.  Inizio del verso con lo stupore dell’uomo.  Tema dell’effetto che l’osservazione della donna ha sull’uomo. La manifestazione della bellezza.  Verbo sospirare  Le prime due quartine segnate dallo stupore della visione della donna.  La donna non è semplicemente un simulacro, lei camminando si guarda attorno  una vera e propria scena, una donna consapevole della sua bellezza.  Il non rappresenta il limite umano.  Principio di proprietà  concetto filosofico. Lezione 4 del 21/02/2023 Caricate le slide con elementi metrici Rime della vita nuova, Dante – breve riferimento:  Idea della donna che cammina per strada.  Similitudini con Guido Cavalcanti pag.20 con le rime in -ira e -are.  Beatrice come ente angelico venuto sulla terra a mostrare in miracolo, a manifestare l’intervento divino. Donna diversa da quella di Guido.  Abbiamo il saluto  Salus= salute, salvezza  beatrice dona un saluto che è salvezza. Invece, Guido la usa la parola salute per negarla.  Dalle labbra di beatrice, mentre saluta l’anima sospira e va verso l’alto  idea innalzamento dell’uomo. Per Guido i sospiri sono la sconfitta dell’anima. Possiamo dire che lo Stilnovo  gruppo compatto e ristretto di poeti che lavorano sugli stessi temi, ad esempio la donna che passa, attraverso lo stesso lessico ma con significati diversi. Cino da Pistoia Ambito diverso degli stilnovisti fiorentini però lui è profondamente vicino a Dante in quanto suo amico. Dante lo nominò dicendo che il poeta più grande per i sentimenti d’amore fu proprio lui. Cino da Pistoia, Poscia che saziar non posso li occhi miei pag.22 Temi e concetti: 10  Ballata  testo leggero dove vi si ballava sopra. Vi è una ripresa, ritornello, e la strofa.  Riprende la poesia provenzale per il rapporto reale tra uomo e donna.  Mirare riprende guido e Dante.  Contrapposizione della negazione tra lui e guido cavalcanti. Dante Alighieri Rime non sono un’opera di Dante, è un nome che viene dato per raccogliere tutte le poesie di Dante. Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io pag. 32 Temi e concetti:  Sonetto di amicizia  Dimensione magica  Forte connotazione erotica  Donna diversa da beatrice Dante, così nel mio parlar vogli’essere aspro pag. 33 Canzone  parola provenzale, ogni stanza ha esattamente lo stesso schema rimico. 11 Questa canzone fa parte del microciclo delle rime Petrose, ovvero per la donna “Petra” o “Pietra”. Si tratta di una donna il cui nome non ha suoni dolci come il nome di Beatrice, ma suoni duri. Durante il medioevo, il poeta viene definito tale solo se compone in latino, mentre chi rima in volgare veniva definito “rimatore”, innalzando la concezione del poeta latino. Tramite il “De vulgari eloquentia”, un trattato tecnico sul come fare poesia in volgare, Dante si autodefinisce poeta, innalzando la poesia volgare al livello della “poesia alta” (latina). Con questo trattato vuole definire regole nobili scrivendole in latino, cercando di convincere in questo modo i colti del valore della poesia volgare. All’interno del trattato distingue le rime dolci da quelle aspre, rispettivamente con suoni dolci e suoni aspri. Il primo elemento del suono aspro è avere all’interno tante consonanti e in questa stessa canzone ci sono suoni aspri, come CR, GR, TR, le doppie come la TT,CC, ZZ e altri. Dante – così nel mio parlar voglio essere aspro pag.33 Nel “de vulgari eloquentia” dante fa una classifica di poeti italiani e per la poesia d’amore indica Cino da Pistoia. Nel de volugari eloquentia dante lo fa per la poesia provenzale indicando Arnault Daniel come il più grande poeta nella poesia provenzale. La poesia siciliana affronta l’amore in modo diverso da quella provenzale, l’amore è più interiorizzato mentre in quella provenzale l’amore è realizzabile, sono immagini vere. Nella poesia provenzale vi è il desiderio di essere accolti nella camera della donna, tema assente nei siciliani e nella poesia italiana. nella poesia di Arnault Daniel la connotazione erotica è più marcata sempre nel segno della devastante forza dell’amore. Inoltre, aggiunge due tasselli: 1. Il tema invernale  per noi la primavera è il periodo dell’amore, per lui l’inverno perché se persino in inverno con il ghiaccio io brucio in maniera devastante per l’amore, cosa succede in primavera? L’inverno si proietta nelle rime petrose di dante. 2. Crea lo stile aspro, di suono aspri. L’inverno è la stagione del ghiaccio, del ghiaccio che si rompe e vi è la convenientia tra l’immagine gela dell’inverno e il suono che deve esprimere. Noi al fondo dell’inferno dantesco troviamo il ghiaccio perché nel cuore dell’inferno non vi è il fuoco ma il ghiaccio; quando lo descrive utilizza il linguaggio e lo stile di Arnault Daniel  siamo di fronte ad una straordinaria stagione di sperimentalismo poetico. Dante nella commedia parla dell’impatto della letteratura sulla vita delle persone  paolo e francesca che leggono il ciclo di re Artù e cadono nel peccato ma anche con francesca che legittima la propria colpa dicendo che l’amore e il cuor gentile sono un’unica cosa citando al cor gentil rempaira sempre amore di Guinizzelli. Dante nella commedia riflette molto sulla letteratura, alla fine del purgatorio nella cornice dei lussuriosi non incontra i peccatori della storia ma due poeti:  Guinizzelli  ripensa all’ultima stanza di al cor gentil dove lui spiega che quando sarà di fronte a dio lui lo rimprovererà per aver amato una donna piuttosto che lui.  Arnault Daniel  è una poesia erotica. Per dante la lussuria è l’ultimo vizio capitale, quello più vicino a dio perché lusoria vuol dire amare e dio è amore, in un certo senso amare una donna è sbagliato ma è indirizzare alla persona sbagliata quello che è un amore naturale e giusto. Nel purgatorio lui non dice che Arnault è il più grande poeta d’amore ma il più grande autore in lingua volgare di qualsiasi genere. La canzone non ha uno schema fisso, cambia in base al poeta basta che ci siano due piedi (una prima metà ripartita) e una sirna (seconda metà). Modo per scegliere in base alla situazione sociale, in base a cosa ti serve. In questa canzone la donna viene assimilata ad una serie di cose: non è scontato nella poesia delle origini, lo fa Guinizzelli per primo ma questo gioco di similitudini fu criticato dagli altri poeti. Viene assimilata la donna ad una serie di immagini naturali forti, un immaginario aggressivo e duro. Nella seconda sirna viene associata ad un’assassina con un crescendo costante di durezza. 12 fiume, inoltre, è simbolo di ispirazione poetica. Dante individua il modo per parlare di beatrice non scegliendola come destinataria, lui scegli un pubblico di lettrici (cavalcanti si riferisce alla donna con il voi, è una sorta di rimprovero). Parlando di lei rivolgendoci ad altre persona ricreiamo la struttura del vangelo, si parla di lui rivolgendosi ad un pubblico. Le destinatarie sono donne gentili, nobili interiormente e intellettuali. L’incipit della canzone arriva a dante come se la lingua parlasse per sé stessa, qui dante assume la fisionomia del profeta biblico  quando dio dice a Mose di andare dal faraone per chiedere di liberare il popolo Mose rifiuta e dio dice che sarebbe stato sulla sua lingua, idea che la lingua parla perché mossa da dio. Dante si presenta come figura salvatrice e che tutta la sua poesia è guidata da dio. Lui dice che scrive quando l’amore lo ispira, l’ispirazione per un uomo del medioevo contiene la parola spiro, ovvero lo spirito santo. È dio che soffia, Dio detta e lui scrive, si presenta come un autore sacro. Questa canzone, donne c’avete intelletto d’amore, è una canzone sacra. La canzone è strana perché vi sono tutte lettere maiuscole e versi endecasillabi  convenientia, se parlo di cose grandi scrivo in modo grande. Presenta un congedo, l’ultima stanza mostra dante che manda la canzone nel mondo. Non è un congedo, è una stanza come tutte le altre ma ha la funzione di congedo. Parafrasi (poesia p.28) [15] Mie signore che avete conoscenza dell’amore, voglio con voi parlare della mia donna non perché io vorrei che lei portasse a termine la sua lode, ma semplicemente ragionare per sfogare la mente. Io dico che, pensando al suo valore, ( apostolo insufficiente della religione di Beatrice come gli apostoli che hanno paura della reazione di Gesù dopo la sua morte) Lezione 5 del 28/02/2023 Continuazione della parafrasi sul libro Dalla seconda stanza vi è un cambio di ambientazione, siamo in una dimensione paradisiaca e ci mostra come ci sia un collegamento con l’ultima stanza di al cor gentil, che si proietta nella dimensione post mortem quando il poeta si troverà di fronte a dio. Lo ritroviamo anche nel cor gentil, nel vero 41 quando dio risplende di fronte agli angeli che sono le intelligenze angeliche che fanno funzionare il mondo. [18] Un angelo di fronte al dio che è puro intelletto dice: <<Mio re, giù nella terra si vede un miracolo (beatrice) portato a realtà da un’anima (concretizzazione che deriva da un’anima) che risplende fino a quassù.>>. Il cielo, che non ha alcuna mancanza, che lei (beatrice), chiede la grazia di averla a dio e ogni santo del paradiso. Difetto è un termine aristotelico filosofico legato al fatto che il cielo è imperfetto senza beatrice, nella concezione che nel paradiso vi siano i posti numerati e una volta occupato da beatrice (in questo caso ultimo posto), vi sarà la fine del mondo  dimensione apocalittica. [19] Siamo in una dimensione intellettuale soltanto la pietà prende le nostre parti, << Diletti miei per ora sopportate in pace che la vostra speranza sia, per tutto il tempo che mi piace, là dove c’è qualcuno che si aspetta di perderla e nell’inferno qualcuno dice “oh dannati, io vidi la speranza dei beati”>>. Dante ci anticipa che scriverà la divina commedia e rivolgendosi ai dannati dirà di aver visto beatrice che era sperata dai dannati. Un’altra opzione è che alcun sia ogni uomo, destinato ad andare all’inferno, e che potrà dire agli altri dannati di aver visto colei che avrebbe potuto costituire la mia salvezza e non l’ho riconosciuta e sono finito all’inferno. Oppure, dante va all’inferno per non aver sfruttato l’occasione di beatrice e all’inferno dice questo. Sempre l’idea che beatrice sia inviata dal paradiso per portare la beatitudine sulla terra. 15 Dante compone tre trattati, tutti dopo l’esilio e con un orizzonte diverso. Abbandona la dimensione del poeta lirico e si rivolge ai ceti intellettuali. Il primo è Il Convivio. Il convivio Dante non lo finisce, probabilmente venne composto tra il 1304-1307. Il nome Convivio, parola in volgare, poiché l’idea era della tavola della conoscenza imbandita per chi vuole nutrirsi. Incompleto poiché l’idea era quella di riprendere 14 proprie canzoni e auto commentarle. In realtà, ne completò tre molto lunghi. Probabilmente lo interruppe poiché iniziò la Commedia. I commenti sono lunghi poiché il convivio si propone di essere una sorta di trattato enciclopedico. L’enciclopedia contiene tutto il sapere trattato, quando si vuole mostrare o quando si vuole raccogliere e salvare il sapere dalla perdita. Se l’enciclopedia era destinata al sapere era legata ai colti e doveva essere in latino ma dante la compose in volgare, poiché destinata alle persone comuni che non hanno le possibilità di essere più colti e di andare all’università. Le grandi enciclopedia partono già dalla tarda antichità  Isidoro di Siviglia raccolse tutta la conoscenza precedente, salvò il sapere. Se l’enciclopedia era destinata al sapere era legata ai colti e doveva essere in latino ma dante la compose in volgare, poiché destinata alle persone comuni che non hanno le possibilità di essere più colti e di andare all’università. I primi due trattati sono una riscrittura del finale della vita nova ma con un senso diverso. Nella vita nova dante spiega che la donna gentile che dimostra a lui pietà dopo la morte di beatrice è un amore vile, infatti poi tornò verso beatrice. Nel convivio, dante dice che quella donna gentile è la filosofia  vi è un lato negativo nella VN e positivo nel Convivio. Il terzo commento è dedicato al tema della nobiltà legato al tema della poesia d’amore, contestando la concezione dell’aristocrazia di sangue per elogiare la concezione di virtù interiore. Secondo trattato: Il de vulgari eloquentia:  Scritto in latino per gli ambienti colti e destinato agli intellettuali.  Voleva creare un sistema di regole e norme per comporre in volgare.  Probabilmente fu scritto a bologna.  Trattato di linguistica e di filosofia del linguaggio. Racconta la storia della lingua umana partendo dal mito della torre di Babele le varie lingue create dalla volontà di dio sono intese nelle varie categorie di lavoratori che si ritrovavano a parlare diverse lingue e una volta caduta la torre i gruppi si disperdono e la lingua che parlavano originariamente che era divina, immutabile, resta soltanto agli ebrei (coloro che si sono rifiutati di costruire la torre e rimangono con quella lingua). Le altre lingue appartengono alla natura e quindi soggette ai cambiamenti. Gli uomini sentono di avere bisogno di una lingua comune, stabile, perciò creano una lingua artificiale che è immutabile poiché ha una grammatica fissa  questa lingua artificiale è il latino, costruito prendendo il meglio dell’italiano, francese e del provenzale. Il latino è provvisto della grammatica (per dante, se una lingua è naturale non ha la grammatica). Dante con questo vuole dire che anche l’italiano può essere grammaticalizzato  porta il volgare, l’italiano, ad una dimensione letterale alta. Dante reputa il volgare come una luce nuova che illuminerà il mondo Terzo trattato: il De Monarchia  Monarchia= potere di uno solo. Trattato che parla d’impero. Questo trattato è un trattato sul potere universale dell’imperatore. Per lui, il desiderio naturale dell’uomo è quello di conoscere (idea di Aristotele, presente anche nel convivio= banchetto di sapere) ma il mondo terreno è abitato dalla lotta e la violenza per il desiderio di potere e l’imperatore procura la pace e la possibilità per tutti di studiare. 16  Affronta il rapporto tra impero e papato. Il papato dice che l’impero le è subordinato. Dante parla ai giuristi, ai politici, filosofi e rivendica l’indipendenza dell’impero dal papato dicendo che l’uomo è costituito da due parti: una sulla terra e una che spera di andare in cielo e ha bisogno di due guide: la filosofia sulla terra e quella religiosa per il cielo, ovvero l’imperatore e il papa. L’uomo ha diritto a due felicità: terrena e celeste. Questa questione la riprenderà Galileo Galilei, grande dantista e si mise a ricostruire le misure dell’inferno dantesco sulla base delle misure di dante. (Quando napoleone si auto incoronò, il papa fu seduto  messaggio che mostra l’imperatore non subordinato al papa). La Commedia Pag.38-40-47 Non vi è nulla di rivoluzionario, la commedia dantesca appartiene ad un genere letterario di fortuna enorme nel medioevo, quello delle visioni cristiane. Le visioni cristiane sono la storia di un uomo che attraversa l’oltre tomba, in genere un peccatore che o in punto di morte o da morto riceve la possibilità di vedere quello che gli spetterà se non si pente. Vede le pene infernali e la gioia del paradiso, pentendosi. Ci sono casi in cui il peccatore pecca di nuovo e torna all’inferno. Questa commedia è qualcosa che il lettore si aspetta ma una volta aperta il lettore trova qualcosa di diverso. Prima di tutto è in poesia, solitamente erano in prosa. In secondo luogo, è un testo che dialoga con la grande cultura latina, classica, perché nei poemi classici c’è sempre un episodio che si chiama catabasi= discesa agli inferi  grande modello quello di Enea. (già nell’odissea vi era, non letta da dante poiché in greco). Nella tebaide di Stazio vi è il padre di una fanciulla, cieco, che dice di non dire le cose che sanno tutti (topos= luogo comune della poesia), cerca una variazione. È un insieme della visione cristiana e anche una visione di tipo medievale, inoltre è una continuazione del poema classico. Non siamo sicuri che commedia sia il titolo originale, una volta in paradiso chiama il testo “poema sacro”  idea genere classico, poema, e idea della sacralità. Si collega al mondo classico tramite un poema sacro che parla di dio. Dante, quando arriva nel limbo, trova tutti i grandi dell’antichità classica che non possono andare in paradiso poiché non furono battezzati. Li mette nel limbo poiché persone grandi. Il limbo è un problema teologico  cosa faccio con i bambini morti prima del battesimo? La teologia cristiana crea il concetto di limbo, luogo dove non ci sono sofferenze ma vi è l’assenza, l’impossibilità di raggiungere dio. Lui lo riprende per trasformarlo e metterci dentro i grandi poeti e intellettuali del mondo classico, li salva. Nel medioevo era comune l’idea che la poesia classica fosse satanica, dante invece la salva mettendo i poeti nel limbo e ne incontra quattro più Virgilio. Nell’incontro si unisce al gruppo dicendo di esserne il sesto  l’ultimo in sequenza e più vicino a dio, usa il mondo classico come veicolo per la salvezza. Non a caso, si scelse come guida un poeta classico e pagano, Virgilio. Nella chiave cristiana la guida era un angelo o un beato a cui il viaggiatore era devoto. La commedia venne scritta per portare gli uomini alla salvezza, scrive per guidare il mondo  compito dato nel suo viaggio. È una parabola, comincia nella selva oscura da peccatore ma progressivamente ha una comprensione intellettuale dell’inferno, del mondo, del paradiso e alla fine riceve come un profeta moderno l’incarico di guidare gli uomini alla salvezza attraverso la poesia. Dante nella vita nuova si presenta come un profeta della beatrice cristologica. Le visioni cristiane sono un catalogo disordinato di torture atroci senza una vera ripartizione e non c’è un inferno strutturato. L’inferno di dante è rivoluzionario in quanto profondamente strutturato con una topologia dettagliata che corrisponde a una mappa intellettuale filosofica che deriva dall’etica di Aristotele. Infatti, le sue pene, non sono orrende. Importante il ruolo della filosofia, del sapere, dante parla di scienza, fisica  testo enciclopedico come guida del mondo terreno e guida celeste. 17 Il canzoniere Non si chiama così, il vero titolo è “Rerum vulgarium fragmenta” = frammenti di cose volgari. Il titolo è importantissimo perché ci richiama quando (pag.63 v44) francesco parla dei frammenti dell’anima. Questi frammenti sono raccolti nel canzoniere. Si tratta di un macrotesto (come la vita nova), raccolta di testi in cui ogni testo vale per sé ma in sequenza con gli altri produce un senso superiore. Raccoglie all’interno i frammenti dell’anima e insieme compongono l’anima, l’unità. Rerum vulgarium, volgari significa cose scritte in volgare. Importante perché tutta la produzione di Petrarca è in latino. Non a caso, sceglie di dare un titolo in latino e (a differenza di dante di cui abbiamo solo una riga) abbiamo tutte le sue scritture, tutti i suoi manoscritti ci sono arrivati. Pag.57. Nelle sue copie ci sono commenti, affermazioni, tutte scritte in latino, lui pensava in latino. Lui scrive in volgare come atto letterario. Vi era l’idea che i romani non parlassero effettivamente il latino, ma la usassero come lingua della letteratura e in realtà loro parlassero in volgare. È vero che a Roma non parlassero il latino dell’Eneide, era molto più basso e popolare. L’italiano deriva in realtà dal latino popolare e non da quello alto di cicerone o dell’Eneide. Comprende 366 testi, più specificamente 365+1  è un testo per giorno più uno introduttivo. La commedia di dante costituita da numeri perfetti nella struttura, tipica del medioevo e questa caratteristica si riflette in quest’opera. I cento canti di dante sono una progressione lineare in un tempo preciso (settimana santa) e verso un luogo preciso mentre in Petrarca ad ogni anno segue un altro anno, la sua struttura riflette il ritornare ciclico degli anni. Un’idea dell’essere chiusi in un ciclo che ritorna. La figura fondamentale è Laura, si pensa antenata di De Sade. L’incontro con lei avviene il 6 aprile del 1327  aprile è il mese dell’amore, mese della creazione del mondo. Il 6 aprile era il Venerdì Santo e morì nello stesso giorno del suo compleanno. Beatrice è il 9, numero trinità al quadrato. Laura è il numero 6, legato a Venere. Nel nome laura si celano una serie di elementi: aurea  d’oro, come i suoi capelli, immagine dei capelli ondeggianti. L’aura  il vento, qualcosa che passa e non si afferra. Un amore frustato e così come il tempo passa come il vento, precipitando alla morte. L’aurea  mito di dafne e apollo. Dafne fanciulla molto bella è inseguita da apollo e quando lei si rese conto di essere quasi raggiunta chiese agli dèi aiuto e loro la trasformano in una pianta d’alloro. Apollo, coglie la pianta e se lo mette tra i capelli. Dafne rappresenta l’amore irrealizzato. Apollo prendendo l’alloro e rendendolo albero sacro della poesia, significa che la poesia nasce come risarcimento della frustrazione universale. Voi c’ascoltate, il testo introduttivo del canzoniere. Pag. 64 Parafrasi Il testo dà l’impressione di essere scritto in vecchiaia quasi vicino alla morte, lo possiamo percepire dai riferimenti al “riguardare al periodo giovane”. In realtà, venne composto da Petrarca intorno ai 45 anni. Lui, comunque, costruisce l’immagine di una persona anziana che guarda indietro al passato. Voi che ascoltate (riferimento a “voi c’avete intelletto d’amore di dante”, riformula il primo verso. Si passa dal gruppo di donne con dante, a un pubblico indefinito come tutti noi) in rime sparse (sparse come collegamento di petrarca alla fine del secretum, la decisione di raccogliere i frammenti sparsi dell’anima) il suono di quei sospiri (di infelicità, inoltre, nel primo dialogo del secretum si tratta dell’infelicità) di cui nutrivo il cuore all’epoca del mio primo giovanile errore (errore, la commedia di dante comincia con lo smarrimento nella selva oscura) (la vita nova, vita giovanile), quando era un uomo diverso da ciò che sono adesso. Lezione 7 del 02/03/2023 – continuazione parafrasi Nella quartina salta la sintassi, la prima concentra l’attenzione sul lettore mentre la seconda sull’io poetico. È presente l’anacoluto (nella seconda), ovvero la costruzione erroneamente sintattica che produce un effetto stilistico. Petrarca riprende le due personalità interiori, il poeta però è un uomo che resta avvolto nella propria confusione, smarrimento, un uomo sconfitto. Nel verso 11 vi è una ripetizione della lettera m  20 questa allitterazione ha l’intenzione di portare l’attenzione sul sé, ognuno di questi pronomi portano l’attenzione sull’io e portano aspetti diversi della vergogna che l’uomo prova verso sé stesso. Spero di trovare pietà e perdono (chiede pietà a dio o al lettore? Qua si fa riferimento al lettore ma essendo il canzoniere una parabola, al termine chiederà perdono a dio) nel vario stile dei miei testi in cui parlo e vario fra inutili speranze e dolore ove ci sia qualcuno che capisce l’amore (ove ci sia la persona da cui si aspetta il perdono). Ma adesso vedo bene come per tutto il popolo fui una ragione di riso (secretum  pag.61 paragrafo 30: agostino gli dice di pensare a quanto sia vergognoso essere additati e divenire motivo di chiacchere per il borgo, qua Petrarca si presenta come la figura ridicolizzata dal popolo. Pag.60 paragrafo 23  Petrarca parla dell’accidia, introduce l’immagine dell’uomo che si ritrae dalla comunità poiché superiore nel dolore e nell’infelicità, ma anche con la consapevolezza presso il popolo di essere diventato ridicolo) dove fui favola per gran tempo, ove spesso di me stesso mi vergogno. E la vergogna è il frutto del mio vaneggiare, (il vano del cor gentile lo porta in una dimensione cosmica) e il pentirsi (altro termine di ambito religioso, collegato alla pietà e il perdono ma in una dimensione umana) e riconoscere che ciò che il mondo (parola negativa nel linguaggio medievale cristiano, contrapposizione vita religiosa e terrena) cerca è solo un breve sogno. Pag. 68 e 77 (pag. 56 per forme metriche) Pag.65 presenta un algoritmo, passi indietro incrociati. Questa tipologia viene introdotta nella letteratura italiana da dante nelle rime petrose, è un’invenzione da Arnault Daniel. Venne introdotta da dante perché è una forma metrica ossessiva, dà idea di immagini ossessive che si riprendono nella nostra mente, la mente del poeta è ferma nelle immagini ossessivi. Ogni stanza è una declinazione della stessa idea. Ad esempio la seconda stanza presenta un’immagine naturale sempre però immagini infelici. L’idea che di notte si desideri il giorno come viceversa  tema petrarchesco come conflitto degli affanni interiori. Il desiderare qualcosa che sia l’opposto di ciò che è, sempre riprende l’accidia. L’idea di essere nato maledetto, infelice, a causa dell’influsso astrologico  Petrarca nel secretum, idea dell’infelicità come destino. Maledice il giorno della sua nascita. Si nota l’importanza della selva che torna in ogni stanza (anche con dante), richiamo alla selva del peccato in cui si ritrova dante ad inizio percorso. Petrarca la vede come il suo errore giovanile, il suo essersi perso per strada nella selva della vita. Al verso 31 Laura si proietta come nome sull’alloro, mito di dafne fuggitiva, emblema di un amore destinato ad eterna frustrazione. Si vede il desiderio di stare da solo con laura in una notte eterna, una dimensione erotica, con il desiderio che lei non si trasformi nella selva. Il congedo però dice che sarà morto prima che arrivi un giorno simile  conferma il destino di infelicità, non ci sarà mai il congiungimento con Laura. Pag. 68 Erano i capei d’oro a l’aura sparsi Parafrasi È un sonetto costruito sull’immagine, il ricordo, della visione di laura. È l’immagine della passeggiata della donna per strada (cavalcanti, chi è questa che vien), lo capiamo al verso 9 con “non era l’andar suo”. (dante, tanto gentil tanto onesta pare al presente, la contempla) Erano i capelli d’oro sparsi al vento di laura, che li avvolgeva in mille ricci (nodi, idea prigionia) (laura è il vento, nel vento c’è il nome di laura) e in quei bei occhi brillava una luce intensa che ora sono appannati (laura morirà ma non muore senza i segni del tempo. Idea del trapasso del tempo). Mi sembrava, non so se vero o falso, che il suo viso si impietosisse di me (impressioni del poeta, che non sa se fosse vero o meno che lei si fosse impietosita). Io che nel petto avevo l’esca amorosa (=ero pronto ad innamorarmi. L’esca intesa come il materiale che si usa per fare infiammare qualcosa), cosa c’è da stupirsi se subito presi fuoco (al cor gentile rempaira sempre amore, idea del fuoco di guinizzelli. Lui si innamora per il cuore gentile, qua invece perché una debolezza). Il suo andare non era mortale ma di forma angelica e le sue parole avevano un altro suono rispetto alla voce umana, ciò che io vidi era uno spirito celeste, un sole vivo. E se anche 21 adesso non fosse più così, la piaga non si risana soltanto perché la freccia è stata scoccata (idea amore ossessivo, come in pag. 66) (il tempo si proietta sulla figura femminile, non solo sull’io poetico). Nel canzoniere nonostante sia testo d’amore, ci sono anche testi politici e di condanna all’immoralità della chiesa che creano uno sfondo di degenerazione terrena. Pag. 74 La vita fugge Sonetto 272, importante perché nel 263 cade la chiusura della prima parte del canzoniere di petrarca. Il canzoniere è diviso in due parti, dal 1-263 è la parte in vita di madonna laura e poi vi è la parte dopo la morte. I sonetti non sempre coincidono al periodo ma vengono inseriti per motivi stilistici. I primi versi giocano sulla fuga del tempo. La vita fugge e non si arresta un’ora e la morte mi incalza a marce forzate. E le cosi presenti e passate mi danno guerra, e anche le future (riflessione di agostino sul tempo, il passato e il futuro non esistono e il presente è un attimo). E il ricordare e l’aspettare (sempre con agostino, la paura del futuro) mi angoscia. Così che io se non avessi pietà di me avrei già posto fine a questi pensieri (suicidio). Mi ritornano in mente i momenti di dolcezza, se mai questo mio cuore infelice li ha avuti , e poi volgendomi verso il futuro vedo i venti inquieti turbati nel mio navigare e la tempesta in porto e stanco, ormai, il mio nocchiere (colui che tiene il timone della nave, l’anima) e rotti gli alberi e le sartie (corde) e gli occhi che miro sono spenti (occhi di laura come fari che guidano al porto, ma se sono spenti si naufraga). Il sonetto 365, penultimo testo prima dell’ultima che è la preghiera a dio. La commedia di dante finisce con la visione di dio ma l’ultimo canto del paradiso cominciava con una preghiera alla vergine perché concedesse di vedere dio. Petrarca era amico di boccaccio e gli mandò una lettera in cui parlò di dante spiegando di non averlo letto per non farsi influenzare. Contrasto con il primo sonetto dove dichiarava di avere speranza nel lettore per il perdono. Parafrasi Ho impiegato quei miei passati tempi che ho impiegato ad amare qualcosa di mortale, senza levarmi in volo pur avendo io le ali, per fare qualcosa di positivo (potevo volare ma non l’ho fatto  il tema delle ali riprende l’anima che può sollevarsi verso il celo).tu (dio) che vedi i miei mali indegni ed empi, re del cielo invisibile e immortale, soccorri la mia anima disviata e fragile (si rivolge a dio da peccatore e non da uomo riconciliato e chiede l’aiuto all’anima disviata, fuori di via ((dante, la selva e la via)). E colma il mio vuoto con la tua grazia così che se io vissi in guerra e in tempesta possa morire in pace e in porto. e se il mio soggiornare sulla terra è stata inutile, almeno la partenza, la morte sia onesta. E a quel poco di vivere che mi resta, la tua mano si degni di essere pronta, tu sai che non ho speranza in altri. Lezione 8 del 07/03/2023 Boccaccio Il primo grande dantista della storia (divina di commedia da lui), la tradizione delle letture dantesche nasce con boccaccio. Fu protagonista fondamentale della tradizione della commedia. Il Decameron 1348 l’anno della grande peste  il Decameron è ambientato nel 1348. Venne composto dopo la peste, non sappiamo precisamente ma si pensa tra 1349 e 1351. Il 1348 è l’anno della peste, epidemia che arriva dalla Crimea attraverso la navigazione commerciale. L’epidemia arriva nei porti del mediterraneo salendo tutta l’Europa fino all’Inghilterra, Scandinavia e Russia. Milano è risparmiata dalla peste. Boccaccio scrisse immediatamente dopo all’epidemia e scrisse ad un gruppo residuale (tutti hanno subito un lutto). Vediamo una ricostruzione della società e della vita attraverso la letteratura, è la ricostruzione di un mondo spazzato via. Decameron significa 10 giorni. Perché boccaccio scegli un titolo greco, non sapendo il greco e sbagliando il titolo? Questo titolo ha una risonanza religiosa, esiste un’opera di sant’Ambrogio che è 22 si sa perché. Con lui abbiamo la costruzione della novella di intreccio, non abbiamo un nucleo irrazionale e senza creazione psicologica. Hanno caratteri psicologici, una concretezza e una complessità psicologica. Nelle novelle vi è misoginia, non vengono nominate perché sono il male  con boccaccio, partendo dallo stesso sunto crea una novella filogina dove non ci si può contrapporre alla dimensione corporea e so lo fai provochi la morte. Il figlio di filippo si comporta come i giovani che nell’affresco vedono la scala. Pag. 89 novella V, 9 La novella 5,9 degli amori a lieto fine, ultima novella a lieto fine perché tra gli uomini vi è Dioneo (=rimanda a venere, uno dei suoni nomi). Lui è la figura del disordine nel sistema, infatti è colui che, come argomento, chiede di parlare di beffe fatte dalle donne agli uomini, racconta novelle più oscene ed è il personaggio che chiede di essere esentato dal tema della giornata, in cambio parlerà sempre per ultimo. Si riserva la libertà ma dentro dei vincoli narrativi. La novella parla di Ferigo degli Alberighi, Federigo fu un nome che a Firenze non venne più dato in quanto era un ghibellino. Dare il nome Federigo è una sorta di dichiarazione politica. Il nome crea un senso di malinconia in quanto era un mondo finito (ghibellini sconfitti). L’idea della novella è che le donne devono assumere la consapevolezza del proprio ruolo di distributrici di doni dando una misura ai beni della fortuna concedendo la propria bellezza. Boccaccio crea un ulteriore livello inserendo un narratore degli eventi, Coppo di Borghese Domenichi, identificato per la virtù non di sangue ma per la morale. La dimensione aristocratica è presente ma diventa un modello di riferimento a cui guardare: non si tratta di negazione aristocratica, ma si parla di nobiltà solo se moralmente alto, diventando questa una dimensione a cui aspirare. Federico dimostra di avere nobiltà morale, cortese, infatti egli si innamora di Giovanna perché possiede un cuore gentile. Egli spende per lei senza regola, tipico comportamento aristocratico, riducendosi a coltivare un campo per mantenersi e cacciando gli uccelli  “uccellagione”, caccia con il falcone, tipica caccia aristocratica che in epoca medievale diventa anche metafora di corteggiamento; a Federigo rimango dunque il simbolo di nobiltà e il simbolo della propria cortesia. Giovanna, rimasta vedova e con un bambino, si ritira in villeggiatura vicino alla tenuta di Federigo, dove lo stesso bambino, innamoratosi del falcone di Federigo, desidera lo stesso falcone per la propria guarigione. La donna si trova ora in difficoltà, in quanto al gentil uomo non è rimasto altro diletto che il falcone. Per accontentare il bambino chiede a Federigo un pranzo insieme (tema del dono della donna) e l’uomo, non avendo nulla, cucina il proprio falcone. Al termine del pasto, Giovanna chiede lui il falcone per il figlio, il quale non ottenendolo muore. La cortesia di Federigo l’ha portato da annullare la propria dimensione aristocratica e per questo Giovanna riconosce la sua grandezza. Giovanna, i cui fratelli desiderano farla sposare, sostiene di voler sposare un uomo non ricco ma nobile di morale, Federigo, il quale sposandosi, dimostra di diventare un buon amministratore dei propri averi. Contenuti e temi - Il saluto della donna eleva l’uomo  Fedeigo si fa portatore di tale principio teorico della poesia delle origini - La fortuna dona e toglie, ma qui è Federigo a essersi ridotto in povertà, non è colpa della fortuna  nella Commedia Virgilio e Dante discutono di cosa sia la fortuna e il primo sostiene che sia un’entità celeste che, togliendoci beni, ci permette di concentrarci su altre cose, dunque sarebbe non da condannare ma da ingraziare. Federigo non ringrazia la fortuna per il premio concesso dalla donna (il pranzo), venuta da lui troppo tardi. - Tema della crudeltà della donna ( rime pertosse dantesche)  la donna porta l’uomo alla povertà e con presunzione chiede l’ultima cosa che a lui rimane, il falcone - Nella poesia delle origini i bambini non sono presenti, qui invece, in una dimensione borghese, il figlio diventa più importante dell’amore per un uomo - Giovanna portatrice della negazione che sia la ricchezza a fare un uomo nobile (paragrafo 42) - Non si tratta di una novella rosea, in quanto passa attraverso la morte del falcone, del marito di Giovanna, ma anche dell’amato figlio: il tutto nasce da una morte dolorosa. Umanesimo Pag. 101-103 già tematizzate con Petrarca. 25 Petrarca come padre nobile dell’umanesimo, un umanesimo che ha fondamento nella ricerca dei manoscritti antichi e nella ricostruzione filologica del testo originale latino con un’operazione che toglie le incrostazioni medievali (ad esempio edificio medievale che ingloba uno antico classico). Per l’uomo medievale c’è il senso della continuità, mentre l’umanesimo nega il senso della continuità considerando la propria cultura una degenerazione del mondo latino. Tutto ciò nasce con Petrarca: Petrarca recupera l’epistolario di Cicerone. L’epistolario come testo letterario è tardo medievale e umanistico, l’idea di creare un’opera letteraria costruita da lettere. Il fatto che Petrarca abbia trovato le lettere di un uomo importantissimo del mondo latino suscita il desiderio di riprodurre questo genere. La nascita di lettere impostate formalmente con l’idea di usare un linguaggio quotidiano  un latino formale che esprime quotidianità, anche perché è un linguaggio dell’io, autobiografico, che racconta la propria storia personale interiore. La prima lettera dell’epistolario di Petrarca inizia con un lamento dove la vita fugge e la peste ha portato via tutto, inizia con un aggancio autobiografico per trasformarsi su un lamento sull’insicurezza della vita umana. L’epistolario nell’umanesimo è un genere classico che serve per parlare di sé. Inoltre, l’umanesimo crea una serie di nuovi generi letterari diversi dalla tradizione medievale, che sono i generi della tradizione classica  il dialogo, genere del mondo classico prima greco e poi latino; (Platone, cicerone) questi dialoghi sono importanti perché il dialogo è la condizione della conversazione elegante e colta che avviene nelle corti rinascimentale, infatti, il dialogo mette in scena la vita della corte. Vi è una tradizione medievale di dialogo ma è una tradizione di situazione perché la cornice del Decameron è una piccola corte che vive all’insegna della civiltà, buone maniere, rispetto con un linguaggio alto quindi al contempo c’è quel modello che si deposita nei dialoghi umanisti e rinascimentali in volgare. Il dialogo ha un aspetto moderno: un trattato medievale, come quello di dante, è assertorio e dogmatico  c’è una verità che io ti comunico frontalmente ma il dialogo è diverso. Il dialogo è una costruzione cooperativa della verità, teatralizza quel conflitto di prospettive e idee che c’è in ogni cosa. L’umanesimo è meno assertorio del medioevo, ci sono meno verità certe e stabili, perciò, le diverse posizioni vengono espresse dal dialogo che rappresenta le diverse prospettive e cerca un equilibrio, un punto di incontro all’interno della civil conversazione. Da fine 300 e 400 vi sono molti manoscritti antichi che riemergono, ciò che sappiamo del mondo classico è poco superiore di ciò che sapevano gli umanisti. Tra questi testi: il de rerum natura di Lucrezio e l’institutio di Quintiliano. Il de rerum natura di Lucrezio Noto come “la natura delle cose”, è un poema in endecasillabi latini come l’Eneide con una differenza: è un poema filosofico, espone una teoria filosofica dell’epicureismo, scuola filosofica da Epicuro (greco). L’epicureismo è una scuola filosofica materialista, atomista (il mondo è un aggregato di atomi), crede nel disinteresse degli dei verso gli uomini e profondamente negativa perché se tutto è corpo tutto è dolore. L’amore è un fenomeno fisiologico che provoca dolore, perciò, l’epicureismo è una filosofia ascetica  la negazione che punta alla sospensione del dolore. Questo testo è importante perché è ateo in quanto scientifico, materialista però porta l’attenzione sul corpo e sulla vita terrena. Vi è uno scarto abissale rispetto alla tradizione medievale di impronta ascetico cristiana dove vi è un percorso per l’aldilà e la vita terrena è solo uno strumento per conquistare il diritto all’aldilà e viene negato il corpo in quanto la vera dimensione è l’anima e quindi immateriale. Epicureismo invece è materialità, e in quanto materia serve soddisfare il bisogno corporale. L’uomo con questo testo cambia il paradigma con cui osserva il proprio ruolo nella vita, le proprie priorità. L’umanesimo è più attento alla vita attiva, ciò che un uomo deve fare. Institutio di Quintiliano È una sorta di enciclopedia delle tecniche della parola, è un manuale per l’oratore. Nel medioevo si conosceva poco di quest’opera e (pag.104) un’umanista, Poggio Bracciolini, scrive a Guarino Veronese una lettera in latino alto (Petrarca, il latino originale rende la lingua perfetta ma morta. Si perde l’idea del latino 26 per l’uso comune) dove spiega che ha trovato un qualcosa di eccezionale. Nel monastero di san gallo, in svizzera, vi era una biblioteca dove Poggio va a frugare. Poggio quando racconta del ritrovamento la prende larga. Pag.104 la lettera La natura ha dato all’essere umano l’intelletto e la ragione, noi da dante ci aspetteremmo che dio l’abbia data. E sono l’intelletto e la ragiona le guide, non per aspirare al cielo, per vivere bene. La lingua (e non la fede) definisce il mondo, lo comprende e lo comunica  aspetto fondamentale dell’umanesimo, la fiducia dello strumento linguistico come capacità di orientare nel mondo. Bisogna essere grati per gli inventori delle arti liberali, le arti che sono tipiche dell’uomo libero e che lo regolano, e per coloro che con gli studi ci hanno trasmesso queste arti e ci hanno aiutato ad acquisire gli strumenti della lingua. Il più eccellente fu Marco Fabio Quintiliano, fondamento del sapere retorico. Aspetto fondamentale, Quintiliano viene identificato con l’opera e l’opera con il manoscritto che lo porta che a sua volta è identificato con l’essere umano  tutto il resto della lettera gioca sul fatto che ha trovato nelle prigioni di san gallo un uomo moribondo prossimo alla morte e lui l’ha salvato, questo prigioniero è il manoscritto che ha ritrovato. Questo manoscritto non avrebbe sopportato a lungo quella prigionia. Petrarca scrisse una lettera alla posterità (eternità) e un libro delle sue lettere sono rivolte ai grandi intellettuali latini del passato  dialogo attraverso le generazioni, io dialogo con le opere del passato come se queste opere fossero persone reali. Vediamo anche (anche con Bembo e Machiavelli) la separatezza dalla quotidianità perché se io parlo a pari con questi antichi latini, io non parlo con i miei contemporanei, la letteratura sta virando e si aristocratizza. Il rerum volgare fragmenta, nel sonetto d’inizio vediamo segnata la distanza fra sé e il popolo per il quale è stato materia di riso. Firenze umanistica La Firenze medievale è lontana dalla Firenze filosofica di cui pensiamo. Quella di cui pensiamo è quella Medicea, stretta attorno ai medici che non sono i duchi. Diventeranno duchi solo nel 500 inoltrato, fino ad all’ora è una repubblica. I Medici sono dei cittadini ricchi che si sposano con famiglie ricche, riescono a piazzare nelle commissioni comunali che scelgono i candidati i propri parenti e amici e creano una macchina di propaganda come immagine di sé. Questa macchina nasce con cosimo il vecchio, patriarca dei Medici. I Medici non sono di Firenze, furono degli immigrati (dal casentino) disprezzati in quanto tali. Questa macchina di creazione della propria immagine è molto importante per loro. Cosimo, in particolare, crea la pagina fondamentale nella storia dell’umanesimo segnando la storia culturale italiana  nella sua villa di careggi crea un’accademia che finanzia e finanzia la traduzione totale dell’opera di Platone da parte di Marsilio Ficino, umanista. Il modello filosofico del medioevo era Aristotele (per dante il maestro di coloro che sanno), sulla quale creano la base dell’ortodossia cristiana. Con Cosimo diventa Platone, scarto fondamentale. Comincia la letteratura greca e la conoscenza del greco. Dante non conosce il greco, Petrarca nemmeno, boccaccio poco. Il latino non basta più alla ricerca del mondo antico, serve il greco. La grande differenza tra platonismo e aristotelismo è che il platonismo fornisce lo strumento filosofico per una concezione di un universo inconcreto dove vi è un’entità divina ma il mondo deriva per emanazione (neoplatonismo). Da un’entità divina si irradia per emanazione un’energia che si deteriora fino alla materia. Noi uomini viviamo nella forma più deteriorata dell’emanazione e l’anima umana cerca di risalire verso il divino e ricongiursi con lui che è cosmico, è l’anima del mondo (il divino). L’uomo, perciò, è staccato dall’anima del mondo e cerca di tornare da dio. Lo strumento per tornare all’anima del tutto è l’amore, l’uomo amando la donna si solleva e si innesca una serie di progressioni che riportano a dio. Il neoplatonismo serve per rileggere il percorso della poesia d’amore, riproiettata nella nuova epoca con una nuova dimensione  amore neoplatonico. Qui abbiamo l’immagine della donna angelo, con questa nuova interpretazione dove la donna fa risalire al divino. Marsilio Ficino oltre a tradurre, compone un’opera in latino che si chiama “teologia platonica” che spiega che viene messa la teologia cristiana insieme al platonismo. Lorenzo il Magnifico è l’erede che assume la guida di Firenze; all’inizio fu anticlassico in quanto le sue opere iniziali erano ironiche, sessuali e molto basse  compose il Simposio, dialogo 27 varietà  intarsi di tessere creando citazioni varie creando l’impressione che non vi sia una citazione. Crea un’impressione di raffinatezza latina attraverso il mescolamento di elementi linguistici vari. Ferrara Capitale della poesia narrativa, a differenza di Firenze è un ducato guidato dalla famiglia degli Este, nobile famiglia di origine germanica di matrice medievale. Nella loro corte si sviluppa una letteratura che è un proiezione del loro passato mitico cavalleresco. Inoltre, a Ferrara, il ducato è fragile poiché piccolo e schiacciato da altre potenze e anche perché è uno stato ibrido, un’unione di stati. Ferrara è un ducato che è un feudo papale e anche imperiale. La letteratura a Ferrara non è solo intrattenimento ma uno strumento culturale, un momento di autorappresentazione. Orlando Innamorato non è il vero titolo, il vero è “Innamoramento di Orlando” L’autore, Boiardo, è un conte. È il conte di Scandiano, figura importante all’interno dell’aristocrazia ferrarese. È imparentato con gli Este e ha ruoli importanti. Scrisse questo testo per intrattenimento e anche come strumento politico. Boiardo scrive che il suo poma è come un giardino in cui ci sono i gigli e le rose, e come succede nei giardini ognuno può scegliere il fiore che vuole perché lui ha piantato il giardino del suo poema di amore e di battaglia. Perché l’amore piace alle donne e la battaglia agli uomini. Notiamo l’attenzione al lettore, lui sta dicendo che la composizione del testo è fatta pensando alla ricezione e ha messo dentro amore e guerra. Questo titolo è strano perché orlando nella tradizione di Amore non ha nulla, è il tipico poema epico che parla di morte eroica con l’assenza dell’amore. Orlando come figura originariamente è molto diversa dalla nostra percezione. L’originale è sposato e dorme con la spada tra lui e la moglie per preservare la sua castità. Introduciamo un nuovo tema, l’amore, recuperato dalla tradizione letteraria in Oil medievale. Nella tradizione Oil vediamo la chanson de Roland che porta alla nascita di un ciclo carolingio in cui altri autori parlando di altri personaggi della cerchia di carlo magno. Anche il Morgante è un poema che nasce da lì. Successivamente, la cultura d’oil, produce il ciclo arturiano o bretone, che ruota attorno a re Artù. Vediamo magia, amore e guerra. Boiardo sta creando una nuova rimodulazione in cui creiamo dei testi che appartengono al ciclo carolingio ma con temi bretoni/aturiani. Sta intercettando gusti diversi. Boiardo ibrida la materia carolingia da cui recupera la storia e personaggi con il ciclo bretone/arturiano con la dimensione della magia e dell’amore. L’innamoramento di orlando è in tre libri divisi in cantari. Pubblicato nel 1498 perché è la fine del mondo, cambia tutto; carlo VIII re di francia scende in italia per rivendicare il regno di napoli facendo crollare l’intero sistema italiano. Questa condizione impedisce la poesia, nata per intrattenimento non può più farlo con la guerra. Lezione 12 del 14/03/2023 Con la discesa di carlo magno, l’Italia viene vista non più come centro politico ed economico ma come scacchiera di battaglie, diventa un territorio non più primario nel sistema europea. Boiardo conclude l’opera con delle ottave scrivendo che non è più tempo di cantare, per questo venne congedata seppur incompleta. Pag. 131 introduzione All’inizio introduce il contesto: carlo l’imperatore si trova in conflitto con i mori di spagna, da sapere che è inventato, non è veritiero. Si parla delle grandi gesta di orlando che le fa per amore. Parafrasi e analisi 30 Signori e cavalieri che vi radunate per sentire cose dilettose e nuove, state attenti e tranquilli (vediamo la messa in scena di una situazione reale, il pubblico nella stanza sparso mentre vengono chiamati all’attenzione perché sta andando in scena lo spettacolo  questo testo nasce per l’ascolto non per la lettura. Infatti, è composto anche da ottave, forma più sonora) e ascoltate la bella storia che il mio canto racconta. … Non vi deve sembrare strano se vi parlo di un orlando innamorato. La lingua in cui viene scritto è la koinè padana (koinè= lingua comune), una sorta di mescolanza tra le varie lingue greche che viene usata per comunicare tra greci. È una sorta di lingua comune letteraria che mette insieme varie lingue della pianura padana. Ci fa capire che l’innamoramento di orlando è legato al posto, anche per quanto riguarda chi riceve la lettura. Vi è il concetto di amor omnia vincit, un amore che vince su tutto e che è molto profondo. Questo per dire che nonostante orlando sia forte, nessuno può vincere sull’amore. Nell’ottava troviamo l’ironia. Boiardo dice che non si sta inventando nulla ma Turpino non ne ha mai parlato perché pensava che a orlando sarebbe dispiaciuto. Turpino è la figura leggendaria di un testo che parla di orlando che è asettico, santo, forte e non innamorato. Pag. 123 analisi verso 42 Dialogo tra Orlando e Agricane, un moro nemico di orlando. Orlando e Agricane nella scena parlano della vita e di filosofia, una scena poco storica (poco verosimile). Per boiardo sono importanti le interazioni umane. Si trova una situazione simile all’incontro di Morgante e Margutte, con un tono e senso però completamente diverso. I due viaggiano insieme e si sdraiano su un prato. Parlano e vi è la contemplazione dell’universo. Agricane spiega che non si è dedicato al sapere nella sua vita, essendo un cavaliere deve esercitare il corpo, cavalcare e fare esercizi. Agricante ci ricorda Iulio delle stanze della giostra, l’uomo che si nega all’amore e al sapere. Agricante rappresenta il vero cavaliere epico del passato mentre orlando è il modello del nuovo cavaliere, del 400, più raffinato ed intellettuale. Per orlando il sapere è un ornamento per il cavaliere e aiuta a comprendere la maestà divina. Propone un’idea di cavaliere diversa. Agricante a sua volta accetta la sua visione, il suo codice. Agricante dice che è vero, un cavaliere deve amare perché se non ama è vivo ma senza cuore (46,5). Orlando dice che prima anche lui era cavaliere mentre ora è un uomo diverso (48,5). Il testo è costruito sulla tecnica del entrelacement (antrelasmont). È un termine francese che significa intrallacciamento, inventata dagli autori francesi che hanno scritto il ciclo bretone/arturiano. Questa tecnica è la tecnica di incrociare più storie, passando da un personaggio all’altro facendoli anche incrociare. Questa tecnica è molto antica e serve per creare interesse. Boiardo la introduce ma la rende più accentuata, all’origine era un uso abbastanza statico. In questo modo posso portare avanti all’infinito la storia, è un po’ il principio della serie televisiva. Quando boiardo interrompe l’opera, lascia in una situazione di non sapere come andrà a finire la storia. Niccolò Machiavelli pag. 165 Fu un funzionario (segretario della seconda cancelleria) della repubblica di Firenze. Venne considerato una sorta di anima nera dai nemici del signor Soderini, il gonfaloniere (= presidente del consiglio a vita). Lui divenne suo consigliere. Quando carlo VIII re di Francia scese nel 1498 cambiando tutto, fece crollare il sistema italiano; i medici 31 hanno perso potere e sono stati cacciati. A Firenze abbiamo il Soderini e non più loro. Nel 1512 scende in italia un nuovo re francese, ci sono nuove guerre e lui appoggia i medici che riprendono il potere e si impongono a firenze. Machiavelli viene licenziato, arrestato, torturato, rilasciato e mandato al confine. Lui si ritira in un suo possedimento, l’albergaccio. Ha perso tutto, è un uomo che ha perso il senso della sua vita. All’albergaccio comincia a scrivere di politica, cominciando a scrivere come se stesse preparando un portfolio per dimostrare quanto è bravo. Inizia a scrivere per i Medici per dimostrare la sua riconoscenza verso di loro nel caso lo prendessero con loro. Inizia a scrivere opere per presentarsi come esperto di politica. Pag.168 lettera al Vettori Vettori fu ambasciatore a Roma mandato dal papa Leone X (lui stesso capo famiglia dei medici) e si trovava dalla parte dei medici. Lui scrisse una lettera a Machiavelli dove racconta la sua giornata, fatta di cene con cardinali, pranzi con ambasciatori e chiacchierate di un certo livello. Conclude la giornata tornando a casa leggendo libri di storia. Machiavelli dice che va in osteria, gioca a carte, mangia cose povere, insomma fa un controcanto ironico mostrando la sua condizione di povertà. p.171 il racconto di ciò che fa la sera. Lui inizia a studiare, spiegandolo con una metafora: lui non legge i libri, parla con gli antichi uomini che hanno scritto quei libri e che vengono raccontati in quei libri. Petrarca scrive lettere agli autori antichi  inizio umanesimo, nuova dimensione dell’antico. Anche qui come in Petrarca, vi è una nuova dimensione dell’antico, vi è una lettura d’indagine sulla storia. Machiavelli scrive di aver completato un’operetta che tratta dei principati, di come sono fatti, da mandare ai Medici (173). Era rivolta a Giuliano (il più intellettuale), figlio di lorenzo chiamato in onore del fratello morto. Alla morte di Giuliano, dedica lo scritto a lorenzo il giovane. Una volta donato, lorenzo il giovane nemmeno lo guarda. La lettera è datata 10 dicembre 1513. Noi sappiamo che in questa data il Principe (de principatibus) è finito ma nella lettera Machiavelli fa una sorta di indice del libro (172) dove spiega cosa è il principato, di quali specie esiste (una nomenclatura), come si acquistano, mantengono e perdono. La cosa che interessa a Machiavelli è la conquista del potere e la conservazione del potere, in un periodo di grande instabilità dell’Italia. Composto da 26 capitoli, questa parte si adatta alla prima parte (dall’1-11). Per Machiavelli gli stati si conquistano in due modi:  Per virtù e armi proprie  difficile da conquistare ma se riesci questo stato è più solido, metti radici.  Fortuna e armi altrui  facile da conquistare ma non riesci a mettere radici. Questa contrapposizione è importante perché quando Machiavelli scrive il capitolo sullo stato conquistato con la fortuna e armi altrui usa l’esempio del Valentino (figlio del papa) di Cesare Borgia. Cesare Borgia, papa spagnolo. Il figlio valentino uccide il fratello perché si contendevano la sorella Lucrezia che a sua volta si contendeva con il padre. Dicerie, si pensa. Cesare rende cardinale il figlio, successivamente gli crea uno stato nel centro Italia e valentino riesce in pochissimo tempo a conquistare l’intero centro Italia con prossimo obiettivo Firenze. Firenze manda un’ambasciata con dentro machiavelli per capire cosa vuole fare valentino. Machiavelli è entusiasta. Valentino ha conquistato con la fortuna e con le armi altrui (figlio del papa e esercito del re di Francia amico del padre). Machiavelli spiega che si conquista facilmente ma cade facilmente, perciò bisogna fare come ha fatto il valentino rafforzando lo stato come ha fatto lui che ha ucciso gli avversarsi politici, ha mentito e non ha tenuto fede ai patti. In realtà il Valentino ha già perso, quando lo scrive è già stato sconfitto. Lo propone come esempio perfetto, il nemico d’Italia, vuole urtare e sconvolgere. Questo è un esempio che propone ai medici. Se lo stato è conquistato con virtù e armi proprie è più solido. Tra gli esempi Romolo, Teseo, Mosè e Ciro. Coloro che hanno creato lo stato da estrema debolezza e nella difficoltà si possono cambiare le cose. Quando le cose vanno bene nessuno ti permette di cambiare le cose. La virtù è l’intelligenza, la capacità di leggere gli eventi e di essere determinati. 32 fiorentina), ma la lingua che i tre modelli avevano utilizzato, ovvero quella trecentesca. Bembo è profondamene classicista e latinista: in questo senso Bembo dice di parlare una lingua fuori dal tempo, immutabile e di parlare con gli autori del passato, ma anche con i contemporanei e con i futuri, in quanto cristallizza la lingua dei modelli. I fiorentini hanno assimilato la loro lingua dalle persone del popolo: parlano una lingua con errori, con influenze basse; la lingua della letteratura italiana deve invece essere studiata dai testi, così da apprenderla al meglio. La teoria si definisce per questo motivo “classicismo volgare” in quanto proietta i problemi di studio latini sulla lingua volgare. Bembo non guarda a tutti e tre i modelli e esclude Dante, perché ha troppa escursione linguistica: diventa a tratti volgare (plebeo) e a tratti troppo elevato; quindi, non può rappresentare il modello linguistico. Il grande modello poetico è Petrarca, che presenta una lingua media: non ha vette filosofiche e nemmeno termini volgari, un linguaggio adatto alla lingua aristocratica. Per la prosa è preso a modello Boccaccio con la lingua del Decameron, non quella delle novelle (fortemente dialogica e orale), ma quella della cornice, in cui i nobili aristocratici parlano all’insegna dell’educazione, e alla lingua poetica e letteraria della quarta giornata (degli amori infelici). Bembo crea una netta separazione tra la lingua letteraria alta e dei dialetti, nei quali troviamo i temi bassi. Prose della volgar lingua, Bembo (p.143) L’opera ebbe un impatto rivoluzionario. Le Prose della volgar lingua sono interessanti per il modo in cui sono scritte: si presenta come un dialogo che si sviluppa per 3 giorni, ovvero lungo 3 libri in cui nobili aristocratici si confrontano sulla lingua. Il dialogo è la forma del trattato classico: scegliere il dialogo permette di guardare al mondo classico. Questa prosa riprende per complessità ed eleganza la prosa di Cicerone. Tra i personaggi del dialogo troviamo Giuliano (de’ Medici, figlio di Lorenzo il magnifico), che rappresenta la teoria fiorentina; Carlo Bembo (fratello), porta la voce delle idee dell’autore e presenta una vera e propria grammatica, espressa ancora in termini dialogici complessi (non funzionale ad esser strumento). 16-03-23 Lezione 13: Petrarchismo È un fenomeno culturale e sociale che vede l’esplosione della poesia lirica con una forte matrice petrarchesca. Bembo identifica nel modello unico lirico in Petrarca per via del fatto che presenta una medita linguistica purificata linguisticamente, socialmente e tematicamente. Nel ‘500 Petrarca diventa un vero e proprio modello ideologico: assistiamo ad un’esplosione di testi poetici e parodie ispirati a Petrarca sin dalla sua morte, nasce un mito petrarchesco su tutto ciò che lo riguarda. Nel 1530, Bembo (figura fondamentale per questo mito) pubblica un libro di rime profondamente petrarchesche, una sorta d’esempio/applicazione della teoria espressa nella “Prosa della volgar lingua”. Questa data è anche di snodo, perché nello stesso anno viene pubblicato un testo di Sannazaro, grande poeta napoletano che compone un libro di rime sul modello stretto petrarchesco. I due autori, uno del nord e uno del sud, illuminano l’intera scena poetica italiana. Il petrarchismo vede il trionfo dell’unica forma metrica: il sonetto (le canzoni sono invece dei grandi autori) poiché forma metrica standard alla misura di tutti (la canzone è più ampia, più lunga, più complessa). Scrivere un sonetto risulta più semplice che scrivere una novella, in quanto ha strutture formali rigide e memorizzabili: scrivere una poesia diventa esercizio e forma di autorappresentazione; infatti, in questo periodo troviamo un’esplosione di testi per varie ragioni: gli strumenti linguistici e per la stampa, che permette l’acquisto di libri e la diffusione degli stessi. Entrano nel sistema culturale nuove figure, tra cui molte donne poetesse aderenti al petrarchismo (fino ad ora esterne al mondo culturale). Diventa tipica del periodo la forma dell’antologia, spesso pubblicate dai gentiluomini di società autofinanziati. In generale si tratta di testi perlopiù noiosi e ripetitivi. Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura, Pietro Bembo (p.152) Viene utilizzato lo stesso schema petrarchesco poiché questo periodo si utilizzano gli schemi scelti da Petrarca. 35 Concetti e temi  Sonetto di descrizione della bellezza femminile.  Termini ripresi da Petrarca  viene anche ripreso il gioco di parole con il nome “Laura” (l’aura).  Descrizione fisica (rubini e perle=labbra e denti; crin d’oro=capelli biondi) e descrizione morale (somma beltà, somma onestade).  Descrizione di una figura quasi senz’anima, è una figura di corte che rappresenta un modello di comportamento di gentilezza, nobile, buone maniere, ecc.  Nel 500’ abbiamo dei trattati sul comportamento femminili costruiti a partire dai sonetti di Petrarca su Laura. Chiome d’argento fino, irte e attorte, Berni (p.153) Berni fu un autore comico e burlesco del ‘500. Questo testo è una risposta al testo di Bembo ed è una parodia del petrarchismo. Concetti e temi  Ritratto osceno di una donna brutta e vecchia, ribaltando il sonetto precedente.  Non c’è un solo termine che non sia petrarchesco, semplicemente riusati in un senso diverso  crespo (per Petrarca mossi) =rughe della fronte; rari e pellegrini (per Petrarca: eccezionali e meravigliosi)=pochi denti e instabili  parodia dall’interno del sistema petrarchesco, che prevede una matrice dell’amore strettamente neoplatonica. Due casi profondamente diversi tra loro sono Sannazaro e Vittoria Colonna (non in programma): O gelosia, d’amanti orribili freno, Sannazzaro (p.154) Sannazzaro pag.154:  Tema della sofferenza in amore, della gelosia  il poeta presenta una profonda originalità ma sempre con un lessico petrarchesco. La gelosia si contrappone alla bellezza del momento, l’uomo è in contrasto.  Lessico ancora petrarchesco in contrasto con un tema non petrarchesco  orribile freno degli amanti. Poi che’l mio casto amor gran tempo tenne, Vittoria Colonna (p.155): Vittoria Colonna è in stretto legame con Michelangelo che, oltre ad essere artista fu anche autore poetico non petrarchista (fu toscano). Morì prima che l’inquisizione cercasse i documenti che dimostrassero fosse protestante. In genere le poetesse petrarchiste sono medie, ovvero i termini vengono semplicemente rivolti ad un amore per un uomo. Vittoria Colonna diversamente, aveva una matrice religiosa (come Michelangelo), dunque recupera i temi della sofferenza religiosa piuttosto che quelli d’amore. Giovanni della Casa É un religioso di Venezia, autore del primo indice dei libri proibiti e del galateo. Ambisce a diventare cardinale, ma la carriera termina a causa di testi osceni precedenti. Muore nel 1554 e le sue opere vengono pubblicate nel 1558 dal segretario. La grande produzione lirica appartiene agli ultimi anni della sua vita. Rappresenta il tipico caso in cui un fenomeno culturale viene smontato dall’interno: è ancora interno al petrarchismo, ma lo porta ad estremi trasformandolo in qualcos’altro. L’estremo è lo stile tipico del Della casa, ovvero il “gravitas”  l’opposto dello stile di Petrarca leggero per stile, temi, lingua. Assistiamo qui ad un petrarchismo cupo con il senso dell’inutilità della vita umana, il peccato, la sofferenza, temi espressi tramite accorgimenti linguistici quali la tecnica dell’enjambement. Il problema dell’enjambement è la 36 musicalità/sonorità del sonetto, che diventa più aspro e duro producendo la gravitas, eliminando la pausa finale del verso e rendendo più complessa la recitazione del sonetto. Questa vita mortal che’n una o ’n due, Giovanni della Casa (p.156) Nei versi non riusciamo a trovare settenari, cade la musicalità dello stesso.  Termini petrarcheschi: mirar (con petrarca guarda la donna, qui contempla il creato).  Termini della genesi: oscuri, misti. Parole più pesanti e cupe che rimandano ad un testo pesante e difficile: la Bibbia. Parafrasi Questa vita mortale che trapassa in una o due brevi ore notturne, oscura e fredda, aveva fino a qui avvolto la più pira parte di me nelle sue nubi. Ora prendo a guardare con stupefazione le tue tante grazie (riferito a Dio), i frutti i fiori il gelo e l’arsura che tu hai creato (l’immagine della donna viene spostata sulla descrizione della genesi). Tu hai portato quella dolce aria e questa luce, le hai fatte uscire dagli abissi scuri e confusi, e tutto quello che in terra e in cielo risplende, era chiuso dalle tenebre che tu lo apristi, e il giorno e il sole sono opera delle tue mani. Ci troviamo all’esaurimento del Petrarchismo, vengono utilizzati i termini per parlare di altro. Baldassarre Castiglione pag.161 Castiglione fu mantovano e appartenne ad una famiglia aristocratica. Il libro del cortegiano Spiega come essere buoni uomini di corte. Nel ‘500 fu uno tra i testi più fortunati d’Europa. Fu pubblicato nel 1528 e successivamente viene tradotto in tutte le grandi lingue europee. La letteratura italiana è in questo momento la letteratura di riferimento per tutta l’Europa e lo stesso modo di vivere nelle corti italiane diventa modello per quelle estere, così come diventano ispirazione di moda e costumi. Il testo vuole presentare il modello perfetto del cortigiano, ma vediamo come il testo si inserisce appieno nel classicismo in base al quale esiste un modello perfetto a cui avvicinarsi  il 500’ ha una produzione enorme di trattati su come comportarsi; come essere il perfetto scalco, giocatore di pallone, ecc.  tutti con una matrice filosofica in quanto è necessaria una tecnica ma in base alla fortuna di Machiavelli bisogna essere pronti al cambiamento, saper improvvisare adattandoci. È costituito da 4 libri e sono 4 dialoghi (il dialogo è la forma nobile e classica del trattato, ma al contempo un testo mimetico cioè che riproduce una situazione). Vi sono i membri della corte che, discutendo tra loro, descrivono il cortigiano perfetto. La teorizzazione del cortigiano è quindi una sorta di proiezione di sé stessi che vive nei contributi di tutti. La corte in cui è ambientato il dialogo è quella di Urbino nel1508, perché la composizione del libro è durata 20 anni. All’inizio dell’edizione del ’28, Castiglione inserisce una dedica ad un amico e costruisce l’intero proemio sulla tecnica dell’ubi sunt  “dove sono”, formula standard; è lamento sulla fuga del tempo. Nel proemio si chiede dove siano tutte quelle persone di cui tratta nel dialogo (ora morte): propone un modello ideale di un modo che ormai non esiste più, distrutto e passato. E’ un mondo distrutto, è uno sguardo nel passato. L’anno prima, nel 1527, avviene il sacco di Roma, un evento che cambia il modo di pensare. Tra Carlo V e il papato si crea un clima di tensione che culmina con la discesa dei lanzichenecchi a Roma. Castiglione quando pubblica il testo è reduce dal disastro e i dialoghi sono un gioco notturno che viene fatto mentre il duca sta morendo  aspetto particolare, l’ombra della morte che si proietta sulle discussioni. 1. Nel primo libro i cortigiani parlano delle caratteristiche morali, culturali e sociali del cortigiano, il quale è ovviamente aristocratico e deve essere colto. Il primo aspetto del cortigiano è che deve essere 37  [161] perché le cose vadano bene occorre una coincidenza di eventi, perché le cose vadano male basta che se ne verifichi uno; è più probabile che le cose vadano male. Vediamo il ‘500 come una stagione contemporanea, inquieta, che sta entrando in un’epoca nuova con una crisi del sistema e che non ha ottimismo; vede la crisi e riconosce quanto sia difficile confrontarsi con essa. Eppure, l’uomo arriva alla vecchiaia e stupisce Guicciardini. Ludovico Ariosto, l’Orlando furioso Siamo sempre a Ferrara, capitale della poesia narrativa in ottave. Boiardo non ha concluso l’innamoramento di orlando lasciandolo al terzo libro poiché non era il momento della poesia a causa della discesa di carlo VIII  questo suscitò il desiderio di sapere come sarebbe finita. A Ferrara è un fiorire di gionte (= sequel) sull’innamoramento di orlando. Una di queste gionte è l’Orlando furioso che pubblicato all’inizio nel 1516 quando ci fu già la gionta della gionta e questo si attacca al terzo libro di Boiardo. Ariosto non specifica mai che l’Orlando furioso sta continuando l’innamoramento di orlando, è un testo autonomo con presupposti dei libri precedenti. L’innamoramento di orlando finisce con una scena particolare di due fanciulle nel bosco, una della quale innamorata dell’altra che pensa sia un uomo e finisce con chiari ammiccamenti sessuali su ciò che sta per succedere; questo episodio verrà recuperato molto più avanti nell’Orlando furioso, non riprende perciò da dove si è concluso l’innamoramento. L’Orlando furioso inizia con angelica che viene trascinata dal cavallo che non riesce a controllare, ma l’episodio a cui Ariosto si collega era stato lasciato da boiardo parecchi canti prima della conclusione  episodio non vero nell’innamoramento. Ariosto decide di iniziare la sua opera in questo modo perché inizia con una persona smarrita nel bosco  riuso l’immagine di dante con un senso diverso. Non è più uno smarrimento cristiano, ma uno smarrimento nel disordine della vita. La selva rappresenta il disordine. La grande novità è che Orlando non solo è innamorato ma impazzisce. (Il titolo orlando furioso si percorre sul titolo orlando innamorato al posto di l’innamoramento di orlando). La sua follia, data dalla frustrazione eroica data da angelica, non è solo di orlando. In realtà orlando è l’esempio massimo di una follia comune a tutti gli uomini. Il tema della follia nel ‘500 è fondamentale. Si può vedere una riprese dell’elogio della follia di Erasmo da Rotterdam è abbastanza confusionario, non si capisce bene il messaggio. Erasmo però dice che tutti sono folli e generare dei figli è follia. Solo un folle potrebbe generare figli. È solo la follia però che mantiene in vita il mondo, è la macchina propulsiva. Se prendi parte alla vita, anche tu devi partecipare al gioco della follia. La follia è il sale dell’esistenza. In Ariosto la concezione della follia è diversa. I personaggi sono sempre carolingi ma il tema il tema dell’amore, fortuna e magia sono arturiani/bretoni. Un elemento arturiano è la quete (chet), ovvero l’inchiesta. Tutti i personaggi si muovono per cercare qualcosa (l’inchiesta più famosa è il santo Graal). Nell’Orlando furioso tutti spinti dalla follia cercano qualcosa ma la cercano disordinatamente e perdendo contatti con gli altri perché il mondo è una selva dove tutti si smarriscono cercando qualcosa che non possono trovare. Lezione 15 del 22/03/2023 La ricerca da parte di Orlando di Angelica è la forma più evidente della follia. La follia è il negativo del mondo di ordine, perfezione, che abbiamo riconosciuto nel cortegiano di Castiglione. Viene utilizzata la stessa tecnica dell’innamoramento di orlando: l’entrelacement (intrallacciamento). Vi è però una profonda innovazione: boiardo la usa come una tecnica aggiunta, è sempre possibile aggiungere una nuova avventura, episodio e incontro. Questo uso dell’entrelacement permette di andare avanti all’infinito. Ariosto la usa in maniera diversa: la prima metà dell’opera presente una diffusione e dispersione dei personaggi, l’entrelacement serve per spingere i personaggi in tutto il mondo. Però, Ariosto, nella seconda 40 parte, riduce progressivamente le linee narrative; le strade iniziano ad incrociarsi e progressivamente chiude le storie portando il disordine verso l’ordine però al contempo c’è un secondo aspetto: lui usa questa tecnica in realtà per confondere il lettore, per farlo perdere in un labirinto costruito su una base di false prospettive e apparenze  ad un certo punto, Angelica, (che è il motore di tutto, i personaggi si muovono per cercare lei. La dispersione inizia con lei) entra e si smarrisce in un bosco, luogo dove tutti si smarriscono. Nel mentre si imbatte in un moribondo tra due cadaveri; a questo punto con l’entrelacement il narratore abbandona la linea di angelica e segue la storia dell’assedio dei mori a Parigi. A questo punto comincia a seguire questa seconda storia linearmente fino a che ci parla di una spedizione notturna che un condottiero moro fa con due suoi soldati. I franchi, i cristiani, li intercettano, li assaltano e uccidono il re con uno dei suoi soldati; il terzo rimane moribondo tra i due morti e a questo punto arriva angelica che li trova. Il punto è che il lettore si è trovato di fronte ad una scena che nel tempo della lettura non è ancora avvenuta  il lettore rimane smarrito dal punto di vista temporale. Vi è anche un episodio dove angelica si trova su uno scoglio e sta per essere presa dal mostro e lei si lamenta che nessuno può salvarla perché i personaggi sono tutti lontani, invece, noi scopriamo leggendo che è il narratore che li ha fatti sembrare lontani attraverso la dislocazione del racconto ma in realtà erano vicini e la salvano. Al contempo l’entrelacement serve per creare ironia da parte del narratore su sé stesso  Ariosto è ironico sui personaggi e su di sé, infatti, mette in scena un personaggio che lo chiama perché si è dimenticato di trattare di lui. Il narratore si mostra non in grado di gestire la macchina narrativa del furioso. Non è un narratore onnisciente ma fragile, come i suoi personaggi. Il proemio pag.190 [prima ottava]  Il narratore produce un effetto di verosimiglianza storica, ci dice dove siamo, perché viene fatta la guerra, i re carlo e Adamante.  Ariosto comincia con un elenco e finisce con “io canto”  costruzione classica: prima complemento oggetto e poi “io canto” deriva dall’Eneide. Lui guarda la tradizione bassa popolare ma la racconta con una forma classica; è un testo rinascimentale e mostra come cerca di alzare il registro del testo.  Ariosto non menziona orlando e si concentra su un plurale anonimo: le donne e i cavalieri, mentre l’Orlando di boiardo menziona orlando. È una storia plurale della confusione umana.  Ira e furore sono sinonimi di follia, subito dalla prima ottava vediamo come la follia si è già depositata. [seconda ottava]  Nella seconda ottava cita Orlando, conferma come sia un’opera collettiva. Lui entra in scena nell’ottavo canto, una innovazione. Non è il protagonista. Lui entra in scena con un sogno  idea di confusione. Lui sogna che angelica si trova in difficoltà, gli affida la sua verginità affinché la protegga e lui parte. I sogni sono proiezioni di desideri e timori, vi è l’idea che si agisca per pulsioni profonde che non riusciamo a razionalizzare.  Abbiamo orlando che viene in furore e matto  la follia è di tutti. Il lettore percepisce la rivoluzionarietà del personaggio, sia innamorato che matto.  Ariosto produce il proemio su una base classica, l’Eneide. Sappiamo che nel proemio classico vi è l’invocazione alla musa, Ariosto invece non garantisce che riuscirà a parlare di orlando  autoironia e narratore debole. Riuscirà se, ad una condizione, colei che mi ha reso matto quasi come orlando (la donna che amo), mi lascerà ingegno sufficiente per finire il romanzo  dante, le rime petrose. Riprende anche il Decameron quando boccaccio dice che le muse non gli hanno mai ispirato il verso ma le donne sì. L’autoironia mostra il narratore fragile e mostra Orlando come una proiezione di sé stesso: l’Orlando furioso lo possiamo considerare il primo vero romanzo perché il narratore diventa un vero personaggio. [terza ottava] 41  Vi è la dedica al signore Ippolito d’Este, il cardinale. Fu un nobile discendente di Ercole. Ercole tra le cose, divenne matto. Vi è un’opera di Seneca che è l’ercole impazzito, dire discendente di ercole significa dire che in lui scorre la pazzia. Lui litigò con Ippolito ma la dedica la tenette.  Vi è autosvalutazione dell’autore. Rispetto al proemio di boiardo che riproduce la tipica dimensione performativa, riproduce l’idea degli ascoltatori, qua non è presente. In Ariosto viene proiettata l’idea dell’oralità e della scrittura, l’Orlando furioso è la prima opera pensata per essere letta. Ad un certo punto, Ariosto inserisce una novella nel furioso. Questa novella è misogina e molto erotica perciò il narratore si rivolge alle lettrici dicendo che si rende conto che potrebbe essere sgradevole e consiglia di girare pagina. La frase ha senso solo se l’opera è pensata per la lettura. Altro aspetto importante è quando angelica trova il moribondo e i due morti ma il lettore lo capirà dopo chi sono questi. Altro elemento che ci fa capire che l’opera è concepita per la lettura. Ariosto è talmente attento all’aspetto editoriale di stampa dell’opera che si muove in prima persona per avere la carta. [quarta ottava]  Ariosto parla ancora ad Ippolito dicendo che lui sentirà parlare di Ruggero che fu antenato della sua discendenza (nonostante prima si fosse detto ercole). Tradizionalmente gli este erano fatti discendere da Gano di Maganza, il traditore per eccellenza del ciclo di re Artù, colui che organizza l’attacco alla retroguardia di Orlando per cui lui muore. Viene creata la nuova discendenza  Ruggero e Bradamante. Ruggero fu saraceno e Bradamante cristiana; i due a fine dell’opera si sposano. Il romanzo si chiude con un matrimonio, emblema dell’ordine ricostruito e la conversione di Ruggero. Questo innamoramento è solo accennato nell’innamoramento mentre nel furioso sono una vera linea. In boiardo questa coppia è canonica, l’uomo cerca la donna e i due si amano. In Ariosto è Bradamante la cercatrice, la figura costante eroica mentre Ruggero è volubile, fragile e affettivamente costante. nell’Orlando furioso c’è in continuazione l’alternanza filogenia e misoginia e ogni volta il narratore chiede scusa per la misoginia poiché in preda alla follia d’amore. Querele de femme  la questione della donna. Il cuore dell’Orlando furioso è la follia di orlando che scoppia nel cuore dell’opera, sono 46 canti e diventa pazzo alla fine del ventitreesimo canto. È importante che lo diventi alla fine del 23esimo perché ci parla di un romanzo con una struttura vasta ma controllata dall’autore che non sta aggiungendo sempre episodi e storie, l’entrelacement viene usato per articolare la scrittura. Ariosto sa come deve essere articolato il romanzo. La prima metà dell’opera finisce con la follia di orlando, la seconda metà dell’opera inizia così: Orlando furioso XIV canto pag.198  È il proemio al ventiquattresimo canto, ogni canto ha un proemio. Il proemio presenta un riassunto per permette di capire e riallacciarsi. Ariosto invece, sistematizza e amplia  i proemi sono momenti di riflessione del narratore. Il narratore istituisce un rapporto tra il racconto e la contemporaneità; ad esempio boiardo chiude l’opera perché non era più tempo di cantare e crea una separazione tra poesia e vita. Per Ariosto invece nella poesia riconosciamo la vita in quanto la poesia è una proiezione della vita.  Ricomincia il racconto dopo la follia di Orlando facendo una riflessione Parafrasi Chi mette il piede innamora perché il giudizio universale dei savi è che amore non è nient’altro che follia. E anche se non tutti smaniano come orlando, ognuno il suo furore lo mostra per qualche altro segnale. Il segno più evidente di pazzia è perdere sé stesso per volere qualcun altro. Vari sono gli effetti per cui si manifesta la pazzia ma è solo una che li fa uscire. La vita è come una gran selva (in dante era la colpa, il vizio. Qui è la follia) per cui chi ci va deve fallire. Chi su chi giù chi qua che là (i lussuriosi di dante, il loro movimento spinto dal vento. Idea del disordine) va fuori di strada (l’amore è l’effetto più evidente della pazzia). Per 42 che finisce con l’espugnazione della città. La Gerusalemme parla di un assedio ad una città. La scelta dell’evento storico si lega all’Iliade di Omero. Inoltre, la prima crociata è un evento storico e vi sono molte fonti; Aristotele teorizza che la poesia deve seguire il verosimile, un elemento di invenzione che interviene sul vero. Perché questa attenzione sul verosimile? La poesia deve convincere il lettore per Aristotele. Se racconto una storia inventata il lettore mi toglierà il credito, dovrebbe invece essere convinto che sia vero  per questo fare storie sulla magia, orlando, ecc. non funzionano. Però il vero è particolare, se racconto la storia deve riguardare tutti gli uomini. Perché la poesia possa avere un valore universale occorre che il poeta introduca l’invenzione nei luoghi che non vanno a incrinare il vero. Tasso, perciò, fa una cosa nuova: prende episodi delle cronache ma li trasforma in modo che possano parlare a tutti i lettori di ogni epoca. 2. La controriforma: il concilio di Trento  nella prima metà del 500 è esplosa la riforma protestante in Europa creando una spaccatura forte nella società europea e viene convocato il concilio per trovare una soluzione. La conciliazione non viene trovata e si amplia il divario e il concilio viene controllato dai cattolici. Scatta la riforma cattolica, un profondo cambiamento nella vita sociale e della chiesa. Tutto ciò segna uno spirito religioso, di contrapposizione e segna che l’idea che l’arte deve essere organica alla forma. Anche la Gerusalemme liberata sceglie un argomento sacro. È un genere che guarda al mondo classico ma è scritto in maniera moderna, in ottave mentre i greci e i latini scrivevano in esametri. Il padre di tasso, bernardo tasso, sta scrivendo il nuovo orlando furioso chiamandolo “Amadigi”. È un’opera che non scorre ma il padre è un innovatore perché vuole scrivere un poema, perciò lo scrive in endecasillabi sciolti. L’ottava però, suona bene, è ben organizzata, ha una buona cadenza mentre l’endecasillabo è difficile da leggere e da ascoltare. Bernardo Tasso riscrive tutto in ottave  è una grande lezione per Torquato tasso, scrivi perché deve essere letto, perché piaccia. Se lui viene pagato dagli Este per scrivere, deve piacere e perciò scrive in ottave. Che cosa piace ai lettori? La magia, ma ci troviamo nella controriforma, non viene vista bene e vi è la caccia alle streghe. È un periodo in cui si crede in modo ossessivo che il male sta vincendo, perciò non puoi parlarne nella letteratura ma piace. Perciò tasso trasforma la magia in quello che viene chiamato “meraviglioso cristiano”  utilizzi la dimensione del miracolo o dell’attacco demoniaco per creare l’orrore, lo straordinario. Vi è un testo fondamentale nell’estetica occidentale, “l’anonimo del sublime”, che affronta il gusto del sublime cambiando profondamento il gusto. Questa diversa concezione estetica, l’orrore, si adatta ad un mondo di forze demoniache. La Gerusalemme è un’operazione delicata, vi sono molti problemi tra la magia, la forma e il fatto che è pagato dagli Este non deve non essere piaciuto e finire nei libri proibiti. Tasso nel 1575 ha finito l’opera e viene creata una commissione voluta dagli Este con all’interno un teorico della letteratura (sperone speroni) e un teologo (antoniano, fece parte del gruppo del carlo borromeo e diventa cardinale grazie ad un libro su come dare una buona educazione cristiana ai figli  letteratura educativa). Questi due cominciano a sollevare problemi: l’aspetto erotico, l’aspetto relazionale, l’unità di azione che è un principio aristotelico. Se racconto la storia di una crociata ci sono molte azioni e tasso deve giustificare la pluralità dell’azioni dicendo che queste azioni hanno un unico fine. Ad un certo punto, Tasso ha una crisi nervosa, viene rinchiuso in un manicomio criminale e l’opera viene pubblicata in sua assenza. La Gerusalemme liberata non esiste, tutte le edizioni sono un combinato di fasi diverse, alcune ottave sono state completate in casa editrice. La questione del testo è molto complicata, non vi è la volontà dell’autore in quanto non voleva pubblicarlo. Pag.216 Gerusalemme Liberata 1-5. [prima ottava] Canto le armi (pietose, fedeli e che rispondono alla volontà di dio) e il grande capitano che liberò Gerusalemme. (Goffredo di buglione, non fu il capo e tasso forza la storia. Va verso la strategia dell’unità di azione con il modello di enea che pio va a fondare un regno voluto dagli dèi, così Goffredo che è pio, va a fondare Gerusalemme voluta dagli dei). (è l’incipit dell’Eneide, enea è pio  pietas). (Vediamo la contrapposizione tra loro e noi nel positivo e negativo, i musulmani sono il “popolo misto” contrario all’unità di azione. Successivamente entra in ballo l’inferno che nel mondo ariostesco è uno scenario insieme al paradiso, spesso è ironico nei confronti della religione. In tasso la dimensione dell’inferno e del paradiso è molto seria) Molto egli fece con l’intelligenza e l’azione, patì molte sofferenze nella gloriosa conquista e 45 invano l’inferno gli si oppose e invano si armò il popolo misto di asia e di africa. Il paradiso favorì Goffredo e sotto i santi segni ricondusse i suoi compagni erranti. (vanno in giro/cadono nel peccato  dovrebbero conquistare per volere divino Gerusalemme ma abbandonano il campo: peccato nei confronti di dio). [ottava due] (vi è l’invocazione alla musa, che in elicona, monte sacro alle muse non si circonda la fronte di allori) O musa, tu che non ti circondi la fronte di allori destinati a cadere (non sono allori terreni che cadono, è poesia sacra). Ma su nel cielo, tra i cori beati degli angeli e dei santi hai una corona d’oro di stelle immortali (l’iconografia mariana). Tu soffia nel mio petto celesti ardori (Spira= soffiare, lo spirito santo, scrive sotto ispirazione divina. Lui presenta la gerusalemme liberata come testo scritto sotto ispirazione divina come i vangeli). Tu perdona (termine religioso) se introduco degli ornamenti, dell’invenzione. Perdona se adorno in parte le carte, i fogli, di diletti che non sono i tuoi (del vero). [ottava tre] è la spiegazione del perché lui sta tessendo fregio al vero, la ragione è il mondo (termine tipico nel linguaggio religioso per parlare di chi sta fuori alla religione) tu sai che il mondo corre là dove il lusinghiero parnaso (monte delle muse) versa di più le sue dolcezze e tu sai che la verità se viene ornata con dolci versi ha persuaso anche i più schivi allettandoli. (il vero è persuasivo ma occorre la dolcezza della poesia purché funzioni). allo stesso modo noi uomini porgiamo gli orli del vaso cosparsi di miele al fanciullo ammalato; lui ingannato dal miele sparso sull’orlo del bicchiere beve la medicina amara e così viene risanato da fatto di essere ingannato. (La poesia è un inganno, ma è lo stesso usato per la medicina amara da dare al bambino. Questa immagine del miele sparso deriva dal “de rerum natura di Lucrezio”, poema filosofico che vuole insegnare la filosofia epicurea attraverso la poesia. Con questa immagine tasso spiega che il poema è filosofico e salvifico, porta giovamento agli uomini ma è un mondo che viene descritto anche come fragile, ingannabile, come un bambino ammalato). [quarta ottava] dedica ad Alfonso este, il nuovo duca d’este. È l’atto di offerta del dono, è il contrario di ciò che diceva Ariosto al destinatario  Ariosto diceva di accettare l’unica cosa che poteva dare, ovvero le sue parole. Il focus della piccolezza dello scrittore è costante però qua Alfonso è colui che strappa al furore della tempesta (fortuna nel testo. La fortuna ha due significati: tempesta e le difficoltà della fortuna, infelicità e sfortuna). Tu magnanimo Alfonso che strappi al furore della tempesta e guidi in porto me che sono un pellegrino errante e che sono quasi annegato fra gli scogli e sono agitato delle onde, tu accogli queste carte che io porto a te come consacrate in voto. (Tasso si presenta come fragile e disperato, il mondo è fragile ed è colpito anche il narratore. Il narratore è pellegrino (errante, come diceva prima) perché Tasso era bandito, in fuga dal regno di Napoli e su di lui grava la condanna a morte). Gerusalemme liberata verso III: Tasso qua riscrive qualcosa già presente nell’iliade: Priamo, re di troia, chiama Elena (causa della guerra ed achea) al suo fianco e le chiede di dirgli chi sono quei personaggi oltre le mura. È una scena di poco senso, siamo già al decimo anno di guerra e avrebbe dovuto già saperlo. Tasso lo riscrive quando i crociati sono appena arrivati sotto le mura di troia e priamo chiama erminia, una prigioniera saracena dei cristiani e gli chiede di dire chi sono i personaggi. Lei si innamorò di Tancredi, che a sua volta ama Clorinda, e non può dirlo (di amarlo), il discorso di Erminia si basa su due livelli: 1. Parole di odio verso Tancredi 2. Nella poesia lirica sono parole di amore disperato Aspetto importante: l’interiorità dei personaggi. Nel furioso non vi è una psicologia, nella Liberata sì. Inoltre, la parola amore non è presente nella prima ottava (nella prima rima del furioso è presente), Tasso non può mettere l’amore in un poema sacro. L’amore però fa parte del sistema, anche come errore. Vediamo un gioco di prospettive: Erminia guarda dall’alto Tancredi ed esprime amore per lui mentre lui incontra Clorinda, la sua nemica amata. Erminia non lo sa ma Tancredi sta manifestando il suo amore a Clorinda. Tasso lavora sulla psicologia del personaggio di Tancredi. Adone 46 Pubblicata nel 1623 a Parigi da Giovan Battista Marino. Lui diede nome al marinismo  scrivere come marino. Fu l’ultimo grande autore che costituisce un paradigma. La nuova lingua di cultura e riferimento è il francese; infatti, viene pubblicato a Parigi  la conferma della fine della centralità della cultura italiana. L’Adone è l’uomo più bello del mondo. La fonte di marino sono le metamorfosi di Ovidio, un poema in cui ripercorre i miti classici caratterizzati dalla metamorfosi  adone si metamorfizza in fiore. Il mito è quello di adone che giovane bellissimo fece innamorare venere, si sposano e lei gli chiede di non andare mai a caccia ma lui non la ascolta e viene ucciso dal cinghiale. L’adone è un poema in venti libri ed è il poema più grande della storia della letteratura italiana. l’adone è il capolavoro della poesia barocca, della poesia del riempimento, perciò, marino riesce a gonfiare una storia esile con riempimenti, divagazioni, richiami, enfatizzazioni, ecc. La composizione dell’adone è un poema lunghissimo, originariamente doveva essere in tre libri e progressivamente diventa venti inserendo una serie di propri tentativi letterari precedenti, plagi di opere altrui. Troviamo inserti di generi diversi. È un poema di pace  non abbiamo più l’amore, la guerra e segna il contrasto con la Gerusalemme liberata e la tradizione del poema epico. Finirà all’indice per due ragioni: 1. La dimensione sessuale, non oscena. Vi è un libro intitolato “i trastulli”  i libri dell’adone hanno i titoli come un romanzo moderno. Inoltre, poema che parla di scienza, venere porta adone nei giardini dei cinque sensi dove spiega anche il meccanismo delle parti del corpo che percepiscono i sensi. 2. Inoltre, marino costruisce una dimensione cristologica di adone. In una scena adone vince ed è presente la colomba bianca, simbolo del battesimo di Gesù. Pag. 227 l’elogio della rosa Vediamo i tipici riempimenti, spiega che la rosa è bella attraverso diversi appellativi. Venere si è punta con la spina della rosa ed è uscito il sangue che ha reso rosa la rossa e concede venere alla rosa di essere il fiore più bello ed amato. Lezione 17 del 28/03/2023 Il modello non è più l’iliade e l’Eneide (guerra e viaggio), il nuovo modello sono le metamorfosi di Ovidio da cui è tratto l’Adone perché non hanno una struttura lineare ma una complessa fatta di scatole cinesi e di collegamenti analogici. Canto III L’elogio alla rosa poiché causa dell’innamoramento tra venere e adone. È l’incontro tra i due, Venere avvicinandosi ad Adone è stata punta da una rosa e il suo sangue arrossa la rosa. Inizia con l’anafora di rosa, inoltre, vi è la paronomasia/bisticcio  gioco retorico in cui vengono accostate parole dal suono simile ma che non hanno nulla in comune ed è un gioco di effetto. In questa stagione poetica il poeta cerca l’effetto di stupore sul lettore. È una poesia mondana, terrena, erotica che si nutre del linguaggio religioso tipico dell’epoca. Parafrasi Rosa sorriso di Amore, creatura del cielo (fattura termine tipico della poesia religiosa, è una poesia mondana ma che si nutre del linguaggio religioso tipico dell’epoca), rosa resa vermiglia dal mio sangue (venere si è punta), onore del mondo, e cosa di cui la natura si onora (parallelismo)(vi è l’elenco), tu che sei vergine (richiamo a dante e linguaggio religioso. Nella commedia dante si avvia alla visione ultima di dio con una preghiera alla vergine giocata sull’impossibilità) figlia della terra e del sole, tu che sei cosa di interesse di ogni ninfa e pastore, tu che sei l’onore della specie dei fiori (odorifera  termine creativo), tu che trionfi su ogni beltà (palma (pianta del martirio)), donna sublime che sei la donna più alta sopra la massa dei fiori (rosa come regina dei fiori). 47 volgare con una proiezione nobile. Il grande modello è il “riccio rapito” di Pope che narra di quando viene tagliato un ricciolo ad una donna e questo scatena una guerra  gioco parodico sull’iliade in cui la grande guerra nasce a seguito del ratto di Elena. Pag. 259  È il momento della colazione, i termini sono rarefatti e sintatticamente complessi  riprende i versi latini.  Inizialmente si rivolge al giovin signore.  Notiamo enfasi nella descrizione delle bevande, temi bassi. Scegli il caffè o il cioccolato viene costruita con preziosità neoclassica in cui ogni dettaglio è un elemento prezioso. Ci troviamo al preziosismo, estrema delicatezza lessicale. Rimanda alla letteratura alessandrina  letteratura ai tempi di Alessandro magno con poemetti estremamente raffinati e didascalici. Il giorno si presenta come poemetto didascalico che insegna a fare cose.  Prima avevamo scegli ciò che più desideri, ora invece ci troviamo ad una condanna di una serie di eventi. Condanna illuministica dello sfruttamento coloniale e dello sterminio delle popolazioni. Parini è anche autore di una raccolta di lodi, genere tipicamente classico in quanto lirica che non usa le forme tipiche della tradizione italiana ma usa forme metriche che riproducono quelle latine. Parini le usa queste lodi per posizioni sociali, etiche (tra queste una dove sostiene la vaccinazione contro il vaiolo). Ugo Foscolo - Le ultime lettere di Jacopo Ortis pag.284 Jacopo si suicida perché è un assassino, per pagare con la propria vita la violenza del mondo di cui è responsabile. Le ultime lettere sono un romanzo epistolare, un romanzo strutturato su un sistema di lettere. Il romanzo epistolare ha una grande tradizione europea, tra questi i dolori del giovane Werther di Goethe  romanzo epistolare in cui lui alla fine si suicida per il proprio fallimento amoroso. 29-03-23 Lezione 18 È un romanzo epistolare che ha una grande tradizione 700esca europea. Le lettere sono indirizzate all’amico Lorenzo che le raccoglie e ne diventa editore inserendo parti in prosa in cui racconta eventi intermedi tra le lettere (ne crea la cornice). L’Orlando Furioso è l’unico romanzo italiano che ha a disposizione propriamente; infatti, risulta per Foscolo più facile crearne un romanzo epistolare, in cui ogni lettera è autonoma e presenta scarti di stile e di situazioni. In questo modo risolve il problema relativo a mancanze linguistiche relativamente al genere. Trama e contenuti La trama vede l’innamoramento di un uomo (Jacopo) di una fanciulla promessa ad un altro uomo, portando al suicidio del protagonista una volta che viene celebrato il matrimonio. La trama è comune a quella de I dolori del giovane Werther, ma nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis troviamo un’identificazione forte del lettore nei personaggi, immedesimandosi in colui che riceve le lettere. I romanzi epistolari con più scrittori vogliono essere un diverso studio dell’amore e di come viene manifestato; Foscolo crea invece una sensibilità più empatia con i personaggi, i quali non sono solo un singolo caso di studio. All’inizio dell’edizione, propone il ritratto di Jacopo Ortis, un ritratto realistico che crea una sovrapposizione tra sé e l’Ortis diventando rappresentante di una generazione. Goethe risulta profondamente critico ed ironico nei confronti del suo personaggio, il quale è un inetto nei confronti della vita, incapace di viverla. Nel caso dell’Ortis abbiamo un romanzo che non parla di amore ma di morte delle speranze e di colpa: l’intero romanzo segue la “caduta delle speranze” (civili, sociali, ideali, amorose…). Spesso si identifica nello stesso Ortis, 50 Il romanzo comincia dopo l’Editto di Campoformio del 1797, trattato napoleonico che sancisce la pace con gli Austriaci facendosi riconoscere i territori conquistati e cedendo la repubblica di Venezia  ha usato gli ideali italiani per raggiungere obiettivi politici. La donna amata da Ortis (Teresa) ricambia Jacopo, un patriota e perseguitato politico, come lo è anche il padre della donna: l’uomo promesso alla donna permette il raggiungimento di un equilibrio. Fondamentale è che all’interno c’è una densa dimensione filosofica sul senso della storia, della politica, della società, filtrato attraverso Jacopo, il quale vede nei vari casi la sconfitta dell’individuo. Inoltre è presente la dimensione eroica di Jacopo: Werther si suicida sparandosi in testa, un suicidio tradizionale borghese; Jacopo si pugnala al cuore, suicidio dell’eroe tragico: Jacopo viene costruito sull’idea degli eroi tragici tradizionali. È presente anche un aspetto cristologico perché il romanzo comincia con una citazione cristologica relativa alla patria, ma soprattutto Jacopo è un assassino: egli ha ucciso un uomo, di risposta si uccide facendosi carico della violenza del mondo. Allo stesso modo l’Italia è cristologica perché assume su di sé la violenza del mondo ed espia le sue colpe. Edizioni Ci sono più edizioni perché Foscolo scrive il romanzo da giovanissimo mentre è a Bologna nell’esercito napoleonico. La prima edizione è del 1798. Segue il periodo del governo austriaco dalle idee patriottiche in cui il Sassoli pubblica un’edizione dove vengono eliminate le lettere dai temi patriottici, intitolando l’opera “Vera storia di due amanti infelici”, trasformando il romanzo di Foscolo in un melodramma elegiaco. Verrà pubblicato nel 1802 e in seguito alla caduta di Napoleone (1814) inserendo una falsa data i pubblicazione del pieno periodo napoleonico con allegata una lettera contro Napoleone, ponendosi dunque come una sorta di profeta che annuncia la sua prossima caduta. Lettera da Ventimiglia, Ultime lettere di Jacopo Ortis, Foscolo (p.284) È un piccolo trattato che cambia spesso focalizzazione: parla del suicidio con tono contrario inizialmente, poi lo sostiene. Analisi  “Ho io contratto questi debiti…”  troviamo il profilarsi dell’eroe romantico isolato dalla società, che rifiuta la concezione della società di massa.  “Ah que’ filosofi che hanno evangelizzato…”  al contempo c’è una polemica contro una società ipocrita che si rifà a certi ideali ma che rimane violenta  “Dov’io cero ajuto? Non in me…”  immagine del sole nero ripresa dai vangeli, perché alla morte di Cristo il sole si oscura  “Là giù è il Roja….”  immaginario del sublime che si è imposto a fine ‘700 con Kant e Burke, modificando il gusto comune del locus hamenus con una natura aspra e violenta  “Ma poi dico: pare che gli uomini…”  l’Italia subisce la sopraffazione degli altri stati. Si abbraccia una dimensione filosofica e intellettuale materialista: l’universo è concepito come cosmo organico che si controbilancia in quanto organismo vivente. Alcune nazioni necessitano infatti di nutrirsi di altre nazioni: l’Italia sta subendo le violenze degli altri popoli perché nell’equilibrio cosmico sta espiando la violenza che in antichità i romani avevano portato  “Tutte le nazioni hanno la loro età…”  lettura filosofica forte  “Tu, o compassione, sei la sola virtù…”  riconoscimento della debolezza umana  Parte finale della lettera concentrata sulla violenza della società A Zacinto, Poesie, Foscolo (p.292) Pubblicazione del 1802 di una raccolta breve di 12 sonetti (a dispetto invece delle grandi pubblicazioni) seguendo il gusto alessandrino, ovvero della preziosità minuta. Forma 51 Da un punto di vista formale è un sonetto che suscitò polemiche all’epoca perché violava la regola dei punti (in base a cui si doveva finire il periodo alla fine di ogni quartina/terzina, o quantomeno inserire un punto alla fine delle due quartine  la struttura metrica doveva corrispondere alla struttura sintattica). Il periodo comincia al v.1 e termina al v.11, un unico periodo che si estende tra quartine e terzine. Gli 11 versi sono un processo di connessione analogica per cui un’immagine ne riproduce un’altra, sempre per analogia. Foscolo fu conoscitore della letteratura greca, lingua madre, mentre l’italiano è per lui una lingua assimilata con il tempo. Tema È un sonetto dedicato all’isola madre abbandonata per gli studi a Spalato. Parafrasi Non toccherò mai più le sacre rive dove il mio corpo fanciullesco riposò, oh mia Zacinto che ti rifletti sulle onde del mare greco ( iniziano le immagini attraverso perifrasi) da cui purissima nacque Venere ( l’attenzione si sposta dalle coste di Zante all’immagine della nascita di Venere) che rese feconde quelle isole con il suo primo sorriso e, (le onde) da cui cantò le tue limpide nubi e le tue foglie l’opera gloriosa del poeta che narrò il fatale andar per maree il peculiare esilio, attraverso il quale, reso noto dalla fama e dalla sventura, Ulisse baciò la sua rocciosa Itaca ( la perifrasi riguarda il ritorno di Ulisse in patria cantata da Omero). Tu, di tuo figlio, non avrai che il canto, o mia madre terra; per noi il fato ha voluto una sepoltura senza lacrime. Analisi Visualizziamo le immagini prodotte dall’autore attraverso salti temporali partendo dalla nascita di Venere, passando alla storia di Ulisse e al racconto di Omero. Gli stessi verbi rappresentano i salti temporali: il primo verbo è al futuro, si passa al passato remoto, poi ancora il futuro e di nuovo il passato remoto. Anche la terminologia utilizzata riproduce un ritorno di immagini distanti temporalmente: si parte dal giacere del bambino nella madre terra al giacere dell’uomo nella tomba (dalla nascita alla morte dell’individuo). Rime in -onde e -acque —> foneticamente riproducono il mare greco. I sepolcri, Foscolo (p.293) Struttura e genere Il carme (genere della tradizione latina arcaica sacra: rimanda al mondo antico e religioso) è composto da 295 endecasillabi sciolti. La scelta dell’endecasillabo sciolto, come per Parini, rimanda alla poesia classica ed è il genere della traduzione. Foscolo è un fine grecista (e latinista) e nello stesso 1797 pubblica il suo esperimento di traduzione dell’Iliade, edizione che presenta la stessa forma editoriale e redazionale dei Sepolcri, i quali vengono quindi presentati come un’opera classica. In appendice inserisce note di commento come fosse un’opera classica con le note erudite. Temi 1. L’editto Alla base del carme troviamo l’editto napoleonico di Saint-Cloud, il quale vieta tombe che portino personalizzazioni, impone cimiteri esterni ai centri abitati e con vegetazione regolare. Di fatto l’editto mette ordine amministrativo nei cimiteri, ma non dice affatto che le tombe devono essere tutte uguali —> Foscolo ne da’ un’immagine deformata, estremizzata Nasce da una discussione con l’amico Pindemonte, contrario all’editto, mentre Foscolo non prende posizioni solide, risulta indifferente. Per questo viene costruito come un dialogo con l’amico, tanto che comincia come una lettera con allocuzioni a Pindemonte. 2. Guillon e l’analogia foscoliana Nel 1807 esce una recensione di Guillon in cui sostiene che il testo sia confuso, in quanto l’autore effettua salti temporali e passa da un tempo ad un altro. Guillon, di tutta risposta, afferma che sarebbero da prendere a modello i poeti cimiteriali inglesi (Young ad 52  Proiezione del tema della noia che comprende gli uccelli, il gregge e la luna: perdita definitiva dell’illusione Parafrasi Forse, se avessi le ali, se potessi volare sopra le nuvole, contando le stelle una a una, o potessi errare come il tuono, da vetta a vetta, sarei più felice, dolce mio gregge, sarei più contento, o candida luna. Ma no, forse mi sbaglio e il mio pensiero si allontana dalla verità quando guarda alle condizioni degli altri: forse per qualunque forma, in qualsiasi condizione, dentro una tana o in una culla, il giorno della nascita è solo causa di dolore e lutto. Zibaldone Raccolta di idee filosofiche e complesse. La poesia di Leopardi è profondamente filosofica, tra cui il passaggio dal bello al vero Si proietta nei suoi canti tutta la concezione del piacere, tra cui quella del piacere, che nasce da una poesia sensistica:come Foscolo appartiene ad una generazione chimico-materialista, quindi il piacere è ciò che il corpo inevitabilmente cerca, ma in realtà il corpo vive in una ricerca infinita di piacere che no può essere soddisfatta, una ricerca fisiologica che crea dolore. Tutto ciò a cui l’uomo può aspirare è la sospensione del dolore, un’illusione di un futuro piacere. Ciclo di aspasia Ciclo di poesie del ’32-‘34 dedicate alla donna amata (Aspasia, la più nota atera). Il ciclo comporta la caduta dell’ultima illusione, ovvero l’amore, tanto che è caratterizzato da note erotiche piuttosto marcate, proprio perché l’idea è quella della disintegrazione dell’immagine della donna salvifica. Analisi  Settenari ed endecasillabi senza struttura  Iperframmentazione del periodo (al v. 3 abbiamo 3 periodi; abbiamo periodi di due/tre parole)  Enjambement durissimi (per esempio la divisione dell’avverbio dal verbo)  le spezzature vogliono riprodurre un senso di asprezza  Suoni aspri (-ZZ, -UTTO)  V.5 e v.10 costruzione alternata di settenari ed endecasillabi  L’ultimo verso della prima stanza possiamo pronunciarlo senza interruzioni (abbiamo anche termini che rimandano alla concezione delle parole/immaginazione, come “infinita” e” tutto” nella chiave della vanità)  v.15 “brutto potere”  qualcosa di non specificato. Nello stesso periodo compone un testo “Inno ad Ahrimane” (dio della materia dello zoroastrismo)  scrive un inno religioso ad Ahriman riconoscendo un’entità malvagia Operette morali Pubblicate nel 1827 (anno dell’uscita dei Promessi Sposi —> Manzoni guarda alla lingua d’uso; Leopardi guarda alla commedia e al dialogo antico del ‘500), Sun linguaggio iper-letterario) precedentemente ai Canti Pisano-Recanatesi (1828-’30), canti della stagione della rinascita della poesia successiva ad un periodo di incapacità di fare poesia, quindi scrive le Operette. Nelle Operette Morali riscrive un testo su ispirazione del classico Luciano di Samosata, il quale scrive dialoghi profondamente ironici, sarcastici e decostruttivi nei confronti della società a lui contemporanea. Durante il periodo del gelo poetico scrive dialoghi all’apparenza leggeri e comici mai che in realtà ripropongono concetti filosofici decostruttivi sulla società. Essi ironizzano sull’antropocentrismo, sono basati sul bisogno di immaginazione. Qui Leopardi sperimenta generi differenti. Cantico del gallo silvestre, Operette Morali, Leopardi (p.308) Nel primo capoverso Leopardi si immedesima in un filologo che ritrova un antico testo ebraico che tratta di un gallo a metà tra terra e cielo che leva il suo canto all’alba. Qui Leopardi ironizza sulle presentazioni dei filologi. Il canto del gallo è il richiamo alle 55 fatiche della vita, mentre il sonno è la momentanea d’interruzione dalle fatiche della vita: l’uomo viene proiettato in un’immagine naturale, perché anche il sole ogni giorno rinasce così come ogni anno la primavera è la rinascita dall’inverno. Il sonno è diretto alla morte, quindi la vita è stata creata per soddisfare il bisogno di morte dell’universo. Il finale apocalittico della distruzione dell’universo viene concluso da parole poetiche che suscitano l’idea del riecheggiamento e di mistero (infinite, silenzio, la quiete altissima, empieranno, immenso, arcano, universale). Manzoni promessi sposi Contenuti Il romanzo nasce nel mondo alessandrino, dove due giovani innamorati e futuri sposi vengono separati da guerre, predoni, rapimenti, si ricongiungono e trovano la felicità nel matrimonio. Manzoni, prima di pubblicare l’opera, dichiara ad un amico di star scrivendo un romanzo che parla di vigliaccheria e superstizione, di ignoranza e di assurdità delle leggi all’interno dell’epoca del governo spagnolo in Lombardia, senza far accenno alla storia amorosa tra Renzo e Lucia. Manzoni essa la trama più antica del mondo perché vuole esser letto: sa che i lettori vogliono leggere del rapimento di una fanciulla, vogliono il cattivo e vogliono il lieto fine. L’idea è quella di scrivere un testo popolare per parare di altre cose. Il romanzo iene radicalmente condannato in Italia dalla tradizione cattolica, perché suscita desideri amorosi ed erotici. Immagine profondamente negativa del romanzo nel mondo cattolico; nella tradizione italiana il romanzo è un genere vietato/proscritto: non viene teorizzato da Aristotele, è un genere di intrattenimento, popolare, non nobile. A differenza della concezione cattolica, a Milano il romanzo diventa un genere moderno: Manzoni usa il romanzo con un senso profondamente epico, introducendo elementi dal vero (analisi storica degli eventi). La provvidenza non risolve i mali del mondo: la fede in Dio aiuta a sopportare ciò che capita (i promessi sposi termina con i protagonisti esuli e poi con ala storia della colonna infame con una famiglia dispersa e torturata —> due storie diverse all’interno di una grande vicenda di violenza e ignoranza). Modulo C – Adelchi Lezione del 04/04/2023 Lettera del 1928 di Manzoni a Zuccagni È una stroncatura che Manzoni fa al suo stesso Adelchi. Zuccagni Orlandini era il censore del gran ducato di toscana, tra i suoi compiti c’è quello di organizzare la stagione teatrale. Zuccagni scrive a Manzoni chiedendogli la possibilità di portare in scena le sue tragedie con qualche ritocco. Manzoni rifiuta. Quando Manzoni scrive è difficile capire ciò che intende, ha una personalità molto complessa  soffriva di agorafobia, attacchi d’ansia, balbuzia ed è una figura estremamente riservata con tratti autodenigratori e non si capisce quanto sia autoironico per difesa ma quando sia ironico nei confronti degli altri. Analisi opera  Apprensione e avversione  ostilità, ansia e la sua strana personalità.  Le due tragedie povere: carmagnola e Adelchi. Venne insultato per queste tragedie e si consolava che non andassero mai in scena.  Sono tragedie che sono state composte non guardando all’effetto sulla scena. Non sono pensate come opere teatrali. Il grande tragediografo, Alfieri, diceva che le sue tragedie erano composte pensando all’effetto sulla scena.  Elenco dei problemi, cose che dimostrano la non teatrabilità di queste tragedie: vi sono molti personaggi (rottura profonda con alfieri, lui teorizzò che ci dovesse essere una riduzione assoluta dei personaggi a 4), lunghezza esagerata, discorsi lunghissimi difficili da interpretare e insopportabili, variazioni e slegamenti di scene  parla dell’unità d’azione, un principio aristotelico che dice che sulla scena dovrebbe esserci un’azione elitaria. Qua vi sono scene che vanno da un punto all’altro e non sono compatte. L’idea del lento, obliquo e a balzi ci parla dell’evoluzione della psicologia umana che cambia molto lentamente e a balzi. L’Adelchi non è teatralizzabile poiché la vita umana non lo è. 56  È rispettoso, dice che ciò che ha proposto è intelligente.  Manzoni dice che le sue tragedie sono fatte per la lettura, non per la scena. Anche la lettura procede lentamente, a sbalzi e con tempi per la meditazione.  Zuccagni Orlandini aveva sollevato due problemi: 1. le persone ecclesiastiche in scena, lui in quanto censore vorrebbe ometterle  breve riferimento: i promessi sposi sono un testo molto cattolico, alla morte del Manzoni, un giornale “la civiltà cattolica” che è la rivista dei gesuiti fondamentale ne fece un ritratto critico dicendo che i credenti non lo avrebbero mai perdonato per aver inserito la figura di Don Abbondio. Viene visto come uno scrittore anticattolico. La figura di don Abbondio è la figura più negativa dei promessi sposi, non ha mai avuto pentimenti  nell’Adelchi il tema religioso è fondamentale e il censore vuole intervenire. Manzoni dice che se lo avesse scritto per il teatro avrebbe cambiato, essendo scritto per la lettura andava bene  modo per dire che deve rimanere così. L’importanza del teatro e della lettura  il teatro è problematico, è un momento pubblico. Per lui ha un impatto molto più forte sui suoi fruitori. Il testo scritto invece ha filtri e ci sono chiarimenti. 2. Il secondo problema è quello dei cori: Zuccagni dice che i cori non funzionano in scena poiché non pronunciati e serve che qualcuno lo faccia, Manzoni dice che quando li ha scritti non voleva attribuirli a dei personaggi ma volevo esprimere dei sentimenti.  Manzoni dice che anche se si interviene il problema è la materia: il teatro, l’impossibilità di aver il teatro come vorrebbe lui.  Il problema è che se portiamo in scena le due tragedie provocheranno una serie di critiche perché io ho violato delle regole introducendo novità drammatiche che sono vecchie. Queste novità violano delle regole teatrali e portare in scena queste novità potrebbe far ripartire polemiche ed essere di danno ad altri tragediografi. Non vuole per un suo fallimento provocare danni ad altri autori  fa emergere dei tratti dell’Adelchi (tra cui insoddisfazione di Manzoni per il teatro). Cronologia La vita di Manzoni è resa complicata dal suo continuo riscrivere e non finire un testo, lavora in parallelo su tanti testi.  La stagione comincia nel 1814 con un inno sacro chiamato “la passione”. Gli inni sacri sono un tipo di poesia religiosa, la sua idea era comporre una serie di inni (testo cantano a messa) e ognuno riguarda le feste liturgiche. Il protagonista della tragedia dell’Adelchi viene visto come una sorta di figura cristi, una sorta di immagine di cristo che passa attraverso il tradimento e il martirio.  La prima abdicazione di Napoleone nel 1814. È la fine di un mondo cominciato con la Rivoluzione francese.  Due testi: aprile 1814 (abdicazione di napoleone) e Proclama di Rimini. Napoleone creò degli stati fantoccio in tutta Europa. Nel regno di Napoli vi era il generale Murat che parte dal regno di Napoli, sale e arrivato a rimini proclama invitando i patrioti italiani a stringersi con lui in difesa dello straniero; venne poi sconfitto. Manzoni le assorbe queste opposizioni politiche e le rilancia. 1815:  1815 conclusione della Passione.  Pubblica di inni sacri nel 1851. 1816:  Inizia la stesura dei Materiali estetici: appunti personali elaborati con riflessioni sull’estetica e sul teatro.  Nel gennaio del 1816 comincia la prima tragedia: il conte di carmagnola.  Nel gennaio viene pubblicato un testo importante di Mme. De Stael, oppositrice francese di napoleone. Pubblica un articolo chiamato “sulla natura e utilità delle traduzioni” un attacco duro verso la cultura italiana. l’idea è che dovete tradurre ciò che è composti in Europa perché è 57 Un testo fondamentale della storia dell’architettura italiana e teatrale. Uno dei grandi desideri degli uomini di cultura fu il recupero del teatro classico e vi il problema dello spazio teatrale fisso perché in realtà verrà costruito per la prima volta a fine del 1500 a Vicenza. Un’ideale classico è il recupero del teatro greco anche nella sua funzione fisica e statica. Al tempo le rappresentazioni avvenivano all’interno di corti o su impalcature lignee all’aperto, ma una caratteristica rimane la scenografia di tali teatri. Serlio lavora sul testo di Vitruvio “De architectura” e rappresenta nel suo libro delle immagini riguardanti le scene per ogni genere teatrale:  Tragedia  Commedia  Dramma satiresco (genere misto ambientato nella natura) Dunque, abbiamo tre scene:  Nobile palazzo di un re  la tragedia greca mette in scena solo grandi uomini, dunque la sua scena dev’essere regale.  Scena quotidiana con case comuni, negozi, piazza del mercato perciò è una piccola realtà cittadina  la commedia mette in scena persone e attività semplici, comuni.  Bosco del dramma satiresco. Tutte le scene seguono il principio prospettico per dare un senso di verosimiglianza al teatro. Il punto è che queste sono scene fisse: lo spettatore si trova di fronte scene che restano tali dall’inizio alla fine. Ciò è possibile in quanto l’intera rappresenta occupa uno spazio di 24 ore. Nel Conte di Carmagnola abbiamo più scene ambientate in luoghi lontani tra loro, in quanto il tempo di azione è di 6 anni. Lo stesso avviene per l’Adelchi, anche per questo motivo Manzoni non riteneva teatrali le sue opere: non abbiamo più un’unità di spazio, tempo e azione. Nella prefazione Manzoni afferma che:  L’unità di luogo e di tempo non sono regole fondate nella ragione dell’arte, ma sono state volute da un’autorità. Procede cercando di smontare questa convenzione.  L’unità di luogo è nata dal fatto che nelle tragedie greche l’azione avveniva in un solo luogo e in quanto il teatro greco viene concepito come teatro-modello, allora si assume anche questa convenzione.  L’unità di tempo ebbe origine da un passo aristotelico, in cui sosteneva che l’epica fosse in esametri, narrativa e lunga, mentre la tragedia si sforzasse di svilupparsi in un giorno solo, a dispetto invece dell’epica. Qui Aristotele non dice come la tragedia debba esser fatta, ma informa il lettore di una tipicità dell’epoca. Inoltre, Manzoni, ritiene che è assurdo ritenere che l’uomo abbia fatto qualcosa di perfetto perciò il teatro dei greci non è perfetto. Manzoni, affronta l’autoritas  riprende un passo di Aristotele da cui ha origine l’unità di tempo che, come osserva Schlegel, non contiene un precetto ma la notizia di un fatto. Queste sono le note che Manzoni mette nel conto di carmagnola.  Manzoni affronta una delle motivazioni del tempo circa “l’incoerenza” di rappresentare un lungo tempo di azione in un’unica opera. Secondo alcuni era inconcepibile rappresentare qualcosa di così lungo nel tempo perché lo spettatore si sentiva parte dell’azione stessa, ma ovviamente lui non sentiva il passare del tempo come i soggetti dell’azione. Manzoni risponde che la verosimiglianza non è data dall’ambiente in cui lo spettatore si trova, ma dalla coerenza delle scene interne all’opera. Lo spettatore rimane una mente esterna che valuta la coerenza interna. Manzoni riflette poi sulla tragedia: 60  Troviamo l’idea dell’interesse e il carattere umano che si sviluppa e cambia in base a circostanze. Nell’arco di 24 ore l’individuo non muta, bensì si sviluppa in un periodo di tempo ben più dilatato. In questo senso la tragedia greca non è verosimile e non può affascinare l’osservatore  L’interesse per Manzoni è letterario, ovvero dato da veri fatti dietro cui è possibile immaginare il pensiero e le sensazioni dei grandi uomini - Shakespeare è il modello a cui guardare, così come Shiller e Goethe. Le teorie di riferimento per le tragedie sono quelle di Schlegel (Corso di letteratura drammatica), de Stael (De l’Alemagne), Sismondi (Corso di letteratura dei popoli del mezzodì) e Shakespeare letto dal francese Le Tourneur.  Si chiede se il teatro possa essere utile o meno. Nomina le critiche mosse da Nicole, Rousseau e Bossuet, i quali appartengono alla linea cattolica del giansenismo, cupa sul senso della vita umana e che porta proprio per questo motivo una critica al teatro. Molto vicino al giansenismo, Manzoni si sente vicino alla critica mossa. Per Rousseau e Bossuet un’opera, per piacere, dev’essere calda e quindi risulta immorale, spingendo lo spettatore alla replica. In un testo scritto non pubblicato Manzoni sostiene che la poesia deve muovere la rielaborazione sentita (del sentimento). La vera arte è quella che produce la riflessione sentita. 13-04-23 LEZIONE 22 Nel Conte di Carmagnola troviamo l’idea del testo come un componimento misto di verità storica (della guerra e dell’accusa di tradimento del Carmagnola) e argomenti di invenzione. Chiunque si trovi di fronte ad un testo del genere vuole comprendere quali sono i fatti realmente accaduti, perciò, alla prefazione c’è una distinzione tra personaggi storici e ideali, coerente con il bisogno di conoscere la distinzione tra i due mondi. Lo stesso avviene nell’Adelchi: Manzoni fornisce antefatti ed eventi della guerra del 772-774. Poiché Manzoni, nella ricerca del vero storico ha bisogno di affrontare popoli dell’800 in modo tale da non sembrare falsamente moderni ma siano trattati con rispetto per la loro epoca, inserisce spiegazioni su come erano gli usi e i consumi dell’epoca, legando la tragedia alla storia e alle ricerche storiche. Nell’edizione Garzanti dell’Adelchi abbiamo:  Pag. 5  fatti anteriori all’azione della tragedia  Pag. 8  fatti compresi nell’azione della tragedia  Pag. 11  usanze e caratteristiche alle quali si allude nella tragedia  Pag. 13  annotazioni relative  Pag. 17  personaggi Nell’Adelchi non c’è una distinzione tra personaggi storici e d’invenzione, ma c’è una distinzione etnica:  Longobardi  Franchi  Latini Manzoni non rinuncia alla distinzione tra vero e reale, ma in lui prevale l’interesse per la distinzione etnica, dando una chiave di lettura a ciò che segue. Da un punto di vista narrativo non era necessario, però la sua scelta di distinzione dà una chiave di lettura diversa. Una delle sue lettere a Fauriel 61  In una lettera a Fauriel, Manzoni spiega come non voglia fare qualcosa di erudito, ma qualcosa di popolare per parlare al grande pubblico. Nella lettera sul romanticismo a d'Azeglio parla di interessante come mezzo, cercando quindi l’interesse popolare, ossia la caduta del regno dei Longobardi e la dinastia longobarda stessa.  Nella stessa lettera a Fauriel, Manzoni testimonia la sua ricerca storica su usi e costumi dei popoli protagonisti; crede che si debba calare la propria storia negli usi e costumi contemporanei.  La storia dei Longobardi risulta molto interessante per gli uomini romantici, innanzitutto perché è una storia medievale, epoca che viene percepita da loro come autentica, naturale e selvaggia (ai romantici piacciono autori selvaggi come Omero e Shakespeare quindi autori non raffinati), ma anche perché a quest’epoca si fa risalire la nascita delle nazioni moderne e nell’800 si sviluppano moti nazionalistici. Gli storici riconoscono nell’unità d’Italia un elemento di rottura: tutte le nazioni nascono con lo stanziamento di un popolo su un territorio (ad esempio gli anglosassoni in Inghilterra portano alla nascita dell’Inghilterra, i Franchi in Francia). Però, i longobardi non riescono in questa intenzione secondo gli storici perché il papa chiama in soccorso i franchi, che scendono in Italia, sconfiggono i longobardi, impongono il loro potere nel Paese e abortisce sul nascere il potere longobardo. La chiesa per secoli continuerà a impedire l’ascesa di un potere unico. La storia dell’Adelchi ruota proprio attorno all’ascesa francese voluta dal papa contro i longobardi (che per molti italiani intellettuali è la causa della mancata unità di Italia): da un lato Manzoni deve tutelare, da cattolico, il ruolo storico-politico della chiesa e dall’altro lato nega che in Italia sia mai avvenuta l’unione tra l’elemento di substrato e il sovrastato che sono i longobardi. Nell’ottica manzoniana i Longobardi rimangono un popolo dominatore a danno dei latini, antenati degli italiani: la chiesa non ha impedito l’unità d’Italia, ma si è mossa per difendere il popolo italiano contro gli invasori (Longobardi). L’unificazione dei due popoli non c’è stata: i longobardi rimangono oppressori e la chiesa ha difeso gli italiani. Di fatto Manzoni ha torto: tutte le ricerche hanno dimostrato che l’unità delle due etnie è avvenuta realmente. 62  La madre dei due fratelli, Ansa, risulta morta ( nella prefazione Manzoni spiega l’introduzione dei due unici anacronismi e spiega come questo sia un evento in cui egli si sposta dalla realtà, non è vero: nella realtà la madre non è morta ma in esilio. In questo modo, con l’assenza della madre, Ermengarda risulta ancora più sola).  v.41 “memorie acerbe” ( come le memorie di Napoleone in esilio nel 5 Maggio. Idea del grande che viene attaccato dall’onda dei ricordi).  v.42 “anima offesa” ci parla del dolore di Ermengarda ( come nel canto di Paolo e Francesca (“anime offense”). Il lettore dell’epoca proietta questo episodio su Ermengarda: capiamo che lei è ancora innamorata di Carlo, ma che non è più in compagnia (da anime a anima qua) dell’amato e accentua la solitudine). Adelchi dice che vuole andare in modo che una voce amata le medi (mediare) il dolore. Desiderio  Vuole che vada Vermondo che deve dire che loro la aspettano per accoglierla.  v.50 “desiato volto” ( ancora in riferimento a Paolo e Francesca).  Anfrido è il personaggio più fedele della corte.  Devono passare da una via segreta perché non devono essere visti, è l’inominia. Seconda scena: Desiderio, Adelchi Desiderio  In Desiderio è forte il senso superbo della dignità e dell’onore regali, mentre in Adelchi, rimproverato dal padre, si nota un’affettuosa sollecitudine per la sorella. Adelchi viene rimproverato poiché non possono far vedere che hanno subito l’umiliazione perché i nemici ne trarrebbero forza. Lo rimprovera quindi di un atteggiamento ingenuo, per dimostrare affetto alla sorella, rischia di mostrare ai nemici interni (“le parti sostenean di Rachi”) l’umiliazione della dinastia.  Desiderio accenna al tentativo di Rachis di contendergli il trono alla morte del predecessore Astolfo. Dal v. 60  Antefatto: p.6 756 spiega che desiderio dopo la morte del re Astolfo fa un colpo di stato  è un usurpatore. Ratchis, il fratello di Astolfo, rivendica il potere attaccandolo. Desiderio chiede aiuto al papa e il papa fa rientrare Ratchis in convento rinunciando le pretese al trono ma in cambio desiderio deve restituire delle città del papa occupate da Astolfo. È un accordo diplomatico ma i duchi dei territori di Spoleto e di Benevento accettano ma Desiderio riesce a sconfiggerli associando a Adelchi come premio il regno poiché lui fece la compagna militare. 18-04-23 LEZIONE 23  Già a questo punto troviamo una polarizzazione dei due protagonisti: il padre è interamente calato nella dimensione politica e ogni aspetto riguarda la conservazione del potere; ragiona in una mentalità machiavelliana: tutto ciò che incrina il potere deve essere evitato. Adelchi, invece, riconosce l’importanza di una dimensione emotiva umana (e parentale). L’Adelchi ha due redazioni (noi stiamo leggendo quella in stampa, la seconda), ovvero due stesure di scrittura (come, ad esempio, i Promessi Sposi nascono con una redazione differente rispetto a quella che va in stampa: Fermo e Lucia, a cui segue la seconda redazione dei Promessi Sposi e infine una terza redazione e seconda edizione dei Promessi Sposi intervenendo nella forma). Manzoni arriva fino al quinto atto nella prima redazione, dopo di che, nell’autunno del ’21, riscrive interamente l’Adelchi portandolo alla seconda redazione che andrà in stampa. Tra prima e seconda redazione muta innanzitutto l’umore del Manzoni per via dei moti carbonari del ’21, moti che si dimostrano velleitari (falliscono) e vengono repressi senza fatica; lo stesso Manzoni si è esposto con l’ode politica “Marzo 1821”, mai pubblicata nonostante tutti sappiano da che parte sta Manzoni. A questo punto interviene con la seconda redazione cambiando profondamene la prospettiva politica: nella prima redazione il padre mette in guardia il figlio nello stare attento a non dimostrare la debolezza agli italiani  sono gli italiani che guardano ogni cenno di crepa nel potere longobardo (nel periodo dei moti, 65 sembra un’istigazione alla rivolta in quanto gli italiani erano gli oppressi e gli austriaci gli oppressori), nella seconda troviamo un ammonimento di Desiderio a Adelchi perché si ricordi che ci sono i partigiani dell’altro pretendente nel territorio longobardo. Infatti, dopo i moti del ’21, un’affermazione del genere sembra un’istigazione alla violenza contro gli austriaci; quindi, viene modificata in una debolezza interna del popolo longobardo. Tutto ciò contribuisce a modificare il personaggio di Adelchi e l’opera: la tragedia perde di attualità immediata sulla società italiana contemporanea per acquisire un valore universale di riflessione sul potere e sul rapporto di oppressori/oppressi, oltre che di scelta dell’uomo di fronte al proprio ruolo, divenendo più tragica. Nella prima redazione c’è un’analisi più approfondita della politica:  Desiderio risulta portatore del principio machiavelliano (tutto ciò che incrina il potere deve essere evitato)  Contrapposizione tra logica terrena in cui domina la violenza e il cielo, una dimensione differente  Il papa raccoglie il mutuo dolore degli oppressi presentandolo al cielo e facendo da tramite  Gli italiani vengono percepiti più attivi e coesi, con un’identità forte e pronti a insorgere, mentre nella seconda redazione risultano più deboli (per via della paura della censura ma anche per lo sconforto della mancata riuscita dei moti del ’21, una generale sfiducia operativa di Manzoni)  In un passo che verrà poi eliminato nella redazione successiva, Adelchi propone di creare un unico esercito (longobardi e italiani) contro i franchi: il suolo italiano è risultato preda semplice per gli stranieri e lo sarà finché i due popoli saranno divisi. L’idea della fratellanza tra i due popoli viene resa impossibile, un’utopia. Il passo cade per i due motivi sopracitati, ma anche perchè Manzoni si rende conto che tutto ciò non solo non è documentato in alcun modo dalla storia, ma soprattutto risulta incoerente con l’epoca storica, proprio perché utopistico e profetico  pag.11 spiega i fatti inventati relativi ad Adelchi. Manzoni passa dalla tragedia al romanzo per avere più libertà storica. Adelchi  V.65 “O prezzo amaro del regno!”  costo del regnare, ovvero accogliere la propria sorella senza dimostrare sostegno emotivo. Adelchi accetta la logica del potere riconoscendola come causa di sofferenza e si rende conto di non poter uscire da tale logica del potere: è nato re e deve svolgere un compito. L’aspetto tragico riguarda il conflitto tra prezzo amaro del regno e desiderio di dimostrare sentimenti alla sorella. “Amaro” è un termine fondamentale  “O prezzo amaro del regno!”  rimanda all’amaro calice da cui beve Cristo. Vediamo dei tasselli di Adelchi come figura cristologica che è re ma insieme rappresenta l’accettazione e il sacrificio.  Nel v.32 Desiderio augurava a Carlo di cadere tanto in basso da far alzare l’ultimo dei soggetti, mostrando una visione sociale dall’alto; qui Adelchi ci mostra uno sguardo sulla scala sociale dal basso: chi regna ha una condizione più infelice di quella dei soggetti. Adelchi dice che la condizione è infelice se non possiamo alla luce del sole onorare la sventura di una persona cara.  Desiderio utilizza termini sociali di condanna e di marchio (ignominia, onta, macchia) mentre Adelchi utilizza termini di sventura parlando di rendere onore alla sventura. La sventura è un termine fondamentale che non è sociale ma più interiore. Desiderio  Come al v.23, dal v.73 utilizza un linguaggio biblico ponendosi come dio punitore che punisce l’oltraggio con la pena secondo una logica dell’antico testamento. Soltanto quando Carlo sarà stato punito, Ermengarda potrà uscire dall’ombra secondo la logica del potere. Ermengarda entra in scena come la donna che si “posa” nel bosco, è una figura che cerca l’oblio e successivamente si rifugerà in convento. Idea dell’occultamento della debolezza.  v.76 “figlia e sorella” la parentela comporta dei ruoli all’intento della logica del potere, come anche il diritto di esser vendicata.  v.79 “bella di gloria e di vendetta”  rimando a “Ne più mai toccherò le sacre sponde” (a Zacinto) di Foscolo ed è un recupero modificato: Ulisse è bello di fama e di sventura, Adelchi, al v.72 diceva 66 “la sventura onorar”  la sventura cade dalla bocca di Desiderio per depositarsi nelle parole di Adelchi, il quale riconosce che Ermengarda sia bella dalla sventura, la innalza portandola tra gli oppressi mentre Desiderio crede che si sia belli solo per vendetta, per l’esercizio della violenza contro chi ha commesso la colpa.  v.79 “e il giorno lungo non è”  Desiderio utilizza un linguaggio biblico, profetico per anticipare la punizione militare. Si presenta come figura della punizione divina.  v.80 “l’arma io la tengo”  l’arma è uno strumento politico, desiderio ragiona per strumenti del potere  dimensione machiavelliana. Desiderio detiene l’arma della vendetta, un’arma data da Carlo stesso. Desiderio fa riferimento, nei versi successivi, ad un fatto storico (notizie storiche anno 771)  Carlo aveva un fratello, Carlo Manno e, come tipico dei regni romano-barbarici, il regno venne ripartito tra i fratelli. Alla morte di Carlo Manno, la sua parte sarebbe dovuta succedere ai suoi figli (avuti con Gerberga, di cui Desiderio parla nei versi successivi). Carlo Magno, però, si impadronisce della metà del regno del fratello. Gerberga scappa da Desiderio, in Longobardia e l’obiettivo politico di Desiderio è quello di dirigersi a Roma dal papa e creare, all’interno del regno franco, una guerra civile capace di far cadere Carlo Magno. Desiderio è consapevole della propria fragilità interna con i sostenitori di Ratchis; dunque, vuole far insorgere i sostenitori di Carlo Manno provocando un gioco di proiezioni: sia Desiderio sia Carlo Magno sono usurpatori, si sono appropriati di qualcosa che non era loro. Desiderio utilizza la parola “innocenti” per parlare dei nipoti di Carlo Magno, figli di Carlo Manno, termine che si lega a quanto era stato detto all’inizio per Ermengarda al v.36, dove “innocente” è l’ultima parola della battuta di Desiderio. Carlo ha usato l’innocente Ermengarda come strumento politico, allo stesso modo Desiderio vorrebbe usare degli innocenti come strumento politico.  Carlo Magno è “iniquo usurpator” al v.93, esattamente come lo è Desiderio. Adelchi  Interviene e prova a esser la voce del realismo politico, cioè prova ad analizzare la praticabilità del progetto del padre. Pensa che il papa non possa accettare di ungere i nipoti di Carlo Magno in quanto quest’ultimo è legato al papa (Adriano) da un legame reciproco e protetto dallo stesso, Carlo Magno è il protetto della chiesa.  L’aspetto importante è che il papa sarà il canale di comunicazione tra oppressi e Dio, il papa è il veicolo che porta a dio le preghiere degli oppressi ma è un’idea (dei quereli. lamenti) che viene vista ancora in dimensione politica, come un lamento diplomatico e di propaganda.  v.103 “querele”  il papa assorda di lamenti la terra e le chiese Desiderio  Se il papa rifiuta, loro attaccano e si passa alla guerra.  La terminologia muta da “querele” a “lagni”.  Il “brando” (la spada) era già presente nella prima battuta di desiderio.  vv.106-117  nel contesto storico dell’epoca risuona nell’opera la polemica contro il potere temporale: l’immagine è quella di Desiderio che agisce positivamente per la chiesa liberandola dalla dimensione temporale e riconducendola alla dimensione pura perché tonerà ai santi e agli studi. Emerge però una chiave politica e concreta della propria operazione volta a sgombrare il territorio dalle concorrenze.  Manzoni nella lettera a Fauriel dice che l’immagine dei longobardi è sbagliata nella storiografia sin da machiavelli. Machiavelli fu iniziatore dell’idea che fu il pontefice ad impedire l’unità italiana poiché per mantenere il potere temporale ha mirato ad un equilibrio tra tanti potentati impedendo così l’unificazione nazionale. Il passo di desiderio si deposita in questa linea politica machiavelliana. Adelchi 67  v.181  Adelchi ha cominciato indicando come chi regna risulta meno felice del più umile dei suoi sudditi, Desiderio stesso parla dell’inevitabilità delle conseguenze del dominio, ma esser re permette l’esercizio della violenza (contro Carlo)  Desiderio chiarisce come l’unica strada sia quella della spada: la logica terrena richiede la strada  Adelchi controbatte nella battuta successiva. “il mondo è della spada” nel primo atto. Adelchi  v.190: Adelchi, come soluzione diplomatica, propone di sgombrare i territori occupati a Roma dal predecessore. Il problema diplomatico originale viene a galla, Astolfo aveva promesso di sgombrare i territori pontifici e desiderio in cambio della rinuncia di Ratchis aveva promesso di sottrarre i pontifici ma tutti e due i re longobardi non l’hanno fatto. Desiderio  v.192: torna il tema dell’”onta” come rottura del potere e dell’immagine del potere.  “Perire sul trono o nella polve” rimanda al (il perire) Saul di Alfieri, dove questo rappresenta sia tiranno sia vittima: è tiranno di sé stesso e muore dicendo di morire da re  questa famosa battuta la vediamo qui, ritroviamo l'auspicio di Desiderio di morire da re sul trono, prima di accettare l’onta. Si tratta di una profezia al contrario, in quanto Desiderio morirà nella polvere. La polvere è proiettata su carlo come caduta ma rimanda anche napoleone nel 5 maggio, è simbolo della caduta del potere.  Impone al figlio di non riproporre questa sua idea (di ritirarsi dalle terre occupate). Ritorna il rapporto padre-figlio. Scena terza: Desiderio, Adelchi, Ermengarda Ermengarda  Entra in scena e viene accolta da entrambi.  vv.202-203: ringrazia padre e fratello per l’accoglienza e si pone in una dimensione di risarcimento superiore rispetto alle sofferenze terrene, non più in una dimensione politica ma nella sola sofferenza umana. L’intera battuta si compone sul ricordo della madre e sulla costumanza del taglio dei capelli. Adelchi - Desiderio  v.215: “nostro” per Adelchi è compassione umana per il dolore altrui, per Desiderio è la vendetta. Inizia con l’emistichio del verso precedente (=sezione diverso). Ermengarda  Il suo dolore non chiede vendetta ma oblio: in lei è importante il desiderio di scomparire.  Desidera che la sventura che l’ha colpita non sia causa di una guerra e non si estenda quindi ad altri. Desiderio  Chiede se la figlia sia ancora innamorata di Carlo. Ermengarda  Risponde che è ancora innamorata di Carlo, già comprensibile ai riferimenti precedenti al canto dell’Inferno di Paolo e Francesca.  Non nomina Carlo.  v.235 “ghirlanda” fa riferimento alla verginità femminile, immagine della lirica occidentale, in cui è paragonata ad una rosa desiderata da tutti, ma che non appena viene colta decade. Ermengarda non esplicita il collegamento con sé stessa, ma è percepibile. Lo stesso “vagheggiar” è un termine di corteggiamento che rimanda all’idea dell’esser desiderata, in cui si concentra l’idea della seduzione, una dimensione di leggere e di eroicità che si riede anche nel termine “gioco”. È chiaramente un riferimento al fatto di esser usata. 70  v.241: chiede di esser inviata in convento, perché la madre aveva creato un monastero a Brescia, dove è monaca la sorella. L’idea della dimensione monacale come matrimonio con Cristo è assolutamente biblica e si percepisce come lo sposo della sorella (Cristo) non l’abbia mai tradita, al contrario di Carlo. Adelchi  v.248: aspetto tragico della concezione manzoniana. I rei hanno nel loro arbitrio la vita degli uomini. Ermengarda - Desiderio  Esprime il desiderio che mai la suocera avesse proposto il desiderio, e Desiderio risponde con linguaggio biblico Scena quarta: si aggiunge Anfrido Anfrido comunica che è arrivato un ambasciatore proveniente da Roma, ma si tratta dell’ambasciatore di Carlo. Ermengarda si ritira e rimangono gli uomini, i quali parlano di politica. Desiderio  v.279: si rafforza la specularità tra Carlo e Desiderio: il primo istiga alla ribellione, così come il secondo voleva istigare i franchi tramite i figli di Carlo Manno Scena quarta: Desiderio, Adelchi, Albino, fedeli longobardi Albino  ambasciatore di Carlo  v.297 “diletto a Dio”  utilizza una retorica del sostegno divino: Carlo agisce secondo volontà divina Desiderio  v.310 “segreto de’re” arcana imperi, espressione di Tacito che significa “le cose segrete del potere”. Tacito è l’autore storico e politico che dal ‘600 in poi diventa figura di riferimento per la logica e la concezione della politica, ovvero per la ragione di stato (logica su cui si muovono i politici, logica che supera qualsiasi altra ragione)  il bene dello stato legittima qualsiasi azione. Si tratta certamente di un rimando a Machiavelli, ill quale però è all’indice; dunque, non si può citare il suo nome e il suo pensiero  il suo pensiero viene riflesso all’interno delle idee di Tacito. L’arcana imperi, ovvero il segreto dei re, non può esser detto così come è impronunciabile Machiavelli. Albino  Risponde guerra  Carlo viene presentato come campione divino che ha consacrato a Dio il suo braccio, ovvero la sua spada, la quale cadrà sulla testa degli oppositori. Si tratta di un linguaggio biblico, lo stesso con cui si era presentato Desiderio Desiderio  Contesta la retorica divina usata da Carlo. Sostiene che il mondo sia della spada e solo grazie ad essa si riconosce la forza. Adelchi  v.340: si vede uno scarto rispetto al padre: Adelchi non crede alla retorica divina, perché il Dio tanto parlato è quello che ascolta i deboli, quello che garantisce l’adempimento del giuramento oppure la punizione dell’inganno  riferimento biblico e riferimento a Marzo 1821 Scena sesta (che non 71 esiste nella prima redazione): duchi longobardi rimasti “Con questa guerra cade il nostro regno”; l’accordo è quello di ritrovarsi tramite strade diverse a casa di Svarto Scena settima: a casa di Svarto. Svarto  Comincia un soliloquio sulla metafora dell’urna: Svarto si identifica come uno dei tanti, non un aristocratico, in cui riconosciamo gli eventi della Rivoluzione francese. Le grandi figure della Rivoluzione francese che si pongono come massimi uomini d’Europa, sono piccoli borghesi intellettuali (avvocati, giornalisti…) e grazie alla smossa sociale data dalla rivoluzione i loro nomi si diffondono. Chiunque, In questa metafora si rivede anche Napoleone, il quale grazie agli eventi della rivoluzione è potuto diventare imperatore.  v.361 “segreti”  ancora rimando agli arcani imperi: Svarto può scoprirli perché si definisce “il nulla”, in quanto rimane nell’oscurità, ma il suo desiderio è uscirne.  Svarto sarà preso pari ai duchi longobardi: è colui che riesce a dominare eventi e psicologia altrui, plasmandoli e influenzando le loro scelte. Scena settima: Svarto, Adelchi Entrano a casa di Svarto i longobardi Adelchi  v.390: comunque vada la guerra, sostiene che i vinti sono sempre loro se in loro non vi è una decisione precisa.  Desiderio e Adelchi sanno che i duchi non sono amici certi, non possono permettersi una guerra civile e quindi non possono toccarli per via della già presenza della minaccia franca: quando la guerra sarà finita, sarà il turno dei duchi. I duchi, quindi, non possono schierarsi dalla parte di Desiderio e Adelchi, ma nemmeno possono essere neutrali, perciò si schierano dalla parte dei Carlo, più bisognoso di aiuto  essi rispondono alla logica machiavelliana. Svarto  v.407: si propone di contattare direttamente i franchi perché della sua assenza nessuno si accorgerebbe: nessuno si curerà di lui  idea dell’uomo che non conta nulla nella storia, idea che permea l’intero Adelchi, dove le popolazioni non contano nulla. Atto secondo Scena prima: Chiuse della Val di Susa, campo dei Franchi; Carlo, Pietro I franchi sono arrivati alle Chiuse e tentano da tempo di passare, ma sono sempre stati sconfitti di Adelchi. Vediamo in scena Carlo e Pietro, ambasciatore del papa presso i Franchi. Solitamente nel secondo atto entra in scena il tiranno: su Carlo si proietta già un’ombra negativa. Pietro  Ha una visione profondamente politica pur essendo messaggero del papa  Dal v.10: tema del brando (spada) nella guaina Carlo  Non si fa guidare dal suo desiderio quando la necessità ha già mostrato l’essere invece inevitabile: l’Onnipotente è solo Dio, è solo uno, mentre lui non lo è solo Dio può vincere la necessità. Carlo, nella logica cristiana, dovrebbe agire come l’onnipotente, ma lui riconosce il suo limite.  v.32: il varco è chiuso, non si può passare oltre  insiste sull’invalicabilità del varco per la presenza di Adelchi  v.51: i franchi si stanno demoralizzando  Carlo ragiona per propria gloria, non per necessità divina: in una battaglia a campo aperto avrebbe vinto, ma in questa zona montuosa delle Alpi risulta in difficoltà  v.56: Svarto (descritto come fuggitivo e senza nome) ha già nominato i duchi e quindi ha già incontrato Carlo.  v.61 “non se ne parli più”  colloquiale, trasmette disinteresse totale 72  V.227 Come dante viene colto dall’ultima notte ancora prima di raggiungere la cima del monte purgatorio, così succede a lui.  V.235 sulla cima c’è un’ampia pianura folta di erbe mai percorse dall’uomo. È l’immagine del Paradiso terrestre nella divina commedia. Nelle parole di martino la cima sembra tagliare il cielo  l’ascia è un’immagine di guerra riprecipitando in un linguaggio militare. Vi è l’idea del campo visto prolicare.  Rimando ad un passo della fuga di Renzo verso Bergamo poiché rischia la condanna a morte. Ad un certo punto si smarrisce nel bosco che porta all’Adda dove non vi sono tracce dell’uomo. Il viaggio di Renzo è accompagnato dalla paura data dal silenzio. Nella notte riconosce l’Adda. Manzoni costruisce il percorso come uno di salvezza, dallo smarrimento della sua selva oscura come dante dove vi è la paura al ritrovamento della strada fino a vedere Bergamo, la terra promessa per Renzo e lucia. Tutto ciò ricorda il percorso di martino che vede l’accampamento dei franchi come terra promessa.  Al v.117 avevamo incontrato i padiglioni, qui invece (numeri 24) con un linguaggio biblico ritroviamo lo stesso linguaggio applicato ai franchi “tende dove abitate voi israeliti”. Stessa cosa anche nella Gerusalemme Liberata con “tende latine”. Carlo  Carlo si appropria della formulazione di martino e si indentifica come il prescelto. In carlo vi è la convinzione di essere il prescelto e l’operatività strategica. Martino  Dice che la strada è stata creata da dio per gli eserciti.  Contrasto con quello che dice Fra Cristoforo nei promessi sposi: martino come lui si presenta come umile strumento ma con un senso diverso. Fra Cristoforo dice che dio si serve pure di un uomo miserabile come lui per fare bene agli oppressi, qui si parla di un’operazione militare e terrena.  V.270 Martino farà la strada all’indietro con i suoi cavalieri. Martino dice una frase strana, ci aspettiamo un linguaggio più biblico invece lui stesso si cala in una dimensione di contrattazione tra umani, se ti inganno io muoio. Carlo  Dice che se si toglie da queste montagne e riesce a fare quello che vuole ricompenserà martino con il vescovato. Nella prima redazione martino rifiuta dicendo che il suo premio sarà la libertà degli italiani, qui il rifiuto cade. Martino accetta la ricompensa, il che getta un’ombra sullo scambio che è totalmente terreno. Rimane Carlo da solo e vi è un lungo soliloquio, fondamentale.  V.289 nessuno dei mie gli avrebbe fatto cambiare idea mentre gliel’ha fatta cambiare un uomo di pace e straniero.  Colui che gli fa tornare il coraggio non è lui però; martino è l’inviato di dio mandato per mostrare una strada scelta da dio ma non è lui che gli da coraggio.  Nelle parole di carlo si insinua un’immagine persecutrice che gli diceva che non sarebbe mai stato re d’Italia. Vi è una percezione che dio non voglia che lui sia re del posto dove vi era Ermengarda, da lui rifiutata.  V.295 vede il fantasma di Ermengarda che gli si mostra in atto di rimprovero. Vi è una dimensione Shakespeariana: il fantasma. L’Amleto comincia con il fantasma del padre di Amleto, nel Macbeth vi è il banchetto e la moglie lo invita a sedersi al posto libero ma lui vede seduto al posto libero il fantasma di banco che lui ha fatto uccidere completamente insanguinato  scena che porta al delirio di Macbeth.  Idea che carlo è perseguitato dal senso di colpa è consapevole di avere fatto un’ingiustizia. 75  Motivi per cui l’ha ripudiata: -Carlo viene presentato come esecutore della volontà divina, se la famiglia è contaminata vengono interrotti i rapporti. V.304. - A lui piaceva un'altra. V.305.  V.309 il linguaggio è quello che usa anche con Pietro, la dimensione umana che accetta i propri limiti.  V.311 troviamo qualcosa che viene ribaltato da Adelchi in punto di morte. Lui disse che rimane o la violenza provocata o patita  carlo la accetta e la rivendica, è inevitabile. Dice che non può prevedere le conseguenze e i dolori. Nella scena quinta arrivano i conti. Carlo  v.321 dimensione del premio dell’agire umano che è in contrapposizione al premio dell’aldilà. Carlo ragiona internamente all’idea della ricompensa terrena.  V.323 invia Eccardo a guidare i soldati che devono percorrere la strada segreta.  V.337 promette che non ci sarà più il combattimento con i longobardi da lontano ma uno diretto.  V.345 parla del premio, vi è una dimensione predatoria.  I tre giorni che ha fatto martino e che separano ora carlo dalla vittoria.  V.345 descrizione poetica dell’Italia che la presenta come bottino e che Manzoni costruisce sui racconti che i viaggiatori stranieri fanno dell’Italia. Vi è un linguaggio della letteratura di viaggio. “i tempi antichi e gli atri” v.350 sintagma che troviamo nel primo coro dell’Adelchi.  Chiude con il linguaggio religioso, v.369 con contrapposizione che dice che tutto è per noi e l’impresa è per dio. Terzo atto Sono passati tre giorni, i franchi stanno per arrivare alle spalle dei longobardi. Inizia il dialogo tra Adelchi e Anfrido. Adelchi  Lamenta il ritiro dei franchi.  V.15 “il vile” è Carlo.  V.20 desiderio di incontrare carlo in battaglia, viso a viso. Rimando all’idea del duello divino in cui dio sceglie chi ha ragione.  V.25 è consapevole di avere i traditori dalla sua parte.  V.43 ci appare come l’eroe malinconico che sa che i propri desideri terreni sono destinati al fallimento, tipico dell’eroe romantico che sa di agire contro una società vile e inerte. Queste parole rimandano poi a ciò che dice Ermengarda, anche lei un’eroina tragica.  V.50 carlo almeno combatte su un popolo unito.  V.52 “ammenda” citazione dantesca molto forte al purgatorio 9 dove dante parla della dinastia degli angioini. Nel passo dante è ironico nell’elencare ciò che carlo Angiò ha fatto. Qua Adelchi mostra una dinastia francese che costruisce attraverso la violenza il proprio potere.  V.62 Adelchi dice che c’è un’altra impresa che lo spetta, che è facile e sicura: quella di attaccare il pontefice. I longobardi in quel caso saranno compatti. L’arte dei longobardi è la violenza continua  “arte” la vediamo per carlo magno, quando desiderio dice di riconoscere le sue arti che sono l’inganno, carlo ha vinto con l’astuzia e con l’inganno. La volpe vince sul leone (violenza).  V.73 immagine del trionfo dell’inganno e dell’ingiustizia terrena.  “capo dei ladroni” ma uno dei due fu crocifisso. 27-04-23 lezione 26 76 Atto terzo Scena prima: campo dei Longobardi, piazza dinanzi alla tenda di Adelchi; Adelchi, Anfrido Adelchi  v.6: lamenta il ritiro dei Franchi  v.21: desiderio di combattere Carlo faccia a faccia  v.25-26: consapevole di avere nel suo popolo i traditori  v.43: ci appare come l’eroe malinconico che conosce i propri desideri terreni destinati al fallimento, tipico atteggiamento dell’eroe romantico che sa di agire contro una società vile e inerte. Come Ermengarda, cerca qualcosa sulla terra di introvabile (gloria), anche lei eroina tragica  v.50: rispetto ad Adelchi, Carlo combatte su un popolo unito  v.52 “ammenda”  citazione dantesca del purgatosi dove Dante parla della dinastia degli Angioini  v.61: Adelchi dice che c’è un’altra impresa per lui, ovvero attaccare il pontefice  v.73: immagine del trionfo dell’inganno e dell’ingiustizia terrena, bottino che sarà destinato ai vili  vv.84-87: dimensione tragica dell’eroe romantico che trova inconciliabilità tra il proprio desiderio di gloria e il destino alla vita bassa: in questo caso l’uomo non è in grado di esercitare il proprio libero arbitrio. Ancora troviamo riferimento alla via come percorso militare, ma anche come percorso superiore e scelta individuale  chiaro riferimento alle epistole morali (sull’esistenza) di Seneca, autore poi accolto anche nel sistema cristiano all’interno di epistole apocrife con San Paolo.  v.89: il seme divino cade in un mondo che lo costringe ad inaridirsi Scena seconda Anfrido  v.93 “splendida cura”  cura=affanno  accostamento di due termini inconciliabili tra loro (ossimoro)  Nella prima redazione era “splendida croce” maggiore dimensione cristologia di Adelchi, qua attenuata e meno esplicita.  in riferimento alla croce e alla parabola di Cristo, vuol dire “allontanamento della sofferenza”  Ad Adelchi verrà detto “soffri e sii grande”=dimensione dell’eroe romantico sofferente perché grande. In Manzoni però si unisce questo tipo di linguaggio con quello cristologico Desiderio  v.104: stesse idee ma dal punto di vista del padre: riconosciamo l’idea dei una figura cristologia di Adelchi che si sedimenta in queste parole  v.105 “nessun uomo può farti più grande”  ritorno dell’aggettivo “grande”  v.105: ritorno del premio, del guiderdone  vv.114-117 “nobil serto” = corona di alloro  in questa prospettiva la corona rimanda alla corona di spine Adelchi  Si definisce guerriero  “Seguire” Desiderio  Definisce il figlio come tale  “Spingere” Adelchi 77 Il coro è tipico della tragedia greca, suo elemento caratterizzante. Gli atti della tragedia moderna derivano proprio dal coro greco. Nella tragedia moderna, cioè quella 700esca, il coro cade (Alfieri non usa mai i cori), il quale presenta problemi scenici; Manzoni invece lo reintroduce nel Conte di Carmagnola. Nella prefazione del Conte di Carmagnola, Manzoni dice:  Nel teatro greco i cori dividevano gli atti, in lui no (il primo è tra il secondo e il terzo atto, il secondo coro è incluso all’interno di un atto)  Nel teatro greco il coro è identificabile in personaggi (ad esempio cittadini di Atene); in questo caso è anonimo, cioè non si capisce chi lo debba recitare  Il coro manzoniano è avulso dalla trama: nulla di ciò che accade nel coro ha impatto sulla trama (possono essere più fantastici e lirici), rispondendo al vero storico  I cori manzoniani hanno valore artistico, portano alla riflessione  per questi motivi possono esser solo letti, non recitati. I cori sono l’esito ultimo della riflessione manzoniana, sono stati scritti nel gennaio del 22.  Sono in forma metrica del dodecasillabo (due senari, ovvero 6+6).  Lo schema ritmico è: due versi baciati, uno tronco, due versi baciati, ancora uno tronco in rima con il primo (AA, B, CC, B)  rima assolutamente rara ma tipica di Metastasio, autore di melodrammi. Si tratta di versi marziali, duri, ritmati, che danno senso di marcetta (come tutti i parisillabi, mentre gli imparisillabi, ovvero dispari, sono più fluidi in quanto indivisibili). Coro v.4 “volgo disperso”  estetica romantica della rovina antica: gli ambienti italiani di rovina antica simboleggiano lo smarrimento degli italiani, opposto ai franchi v.9: traspare il valore guerriero degli antenati romani quarta strofa: descrizione dei longobardi in fuga, si rifugiano nelle loro città come un animale cacciato torna nella sua tana ( come quando Martino aveva descritto le donne, i vecchi e i bambini nelle città longobarde). I longobardi appaiono sconfitti v.31: l’autore parla agli italiani della conquista franca, ma anche al lettore. 02-05-23 Lezione 27 Questo coro non è l’ultimo elemento della tragedia: qui si sedimentano elementi presenti negli atti precedenti e in quelli successivi (già scritti) e che poi Manzoni ha eliminato: è una sorta di sintesi del senso politico della tragedia, in quanto qui ritroviamo la riflessione già completa sul senso della politica/della storia e 80 dell’uomo di fronte alla storia: troviamo sedimentate le riflessioni, ad esempio, sugli invisibili della storia di fronte ad essa (come i nativi italiani). Nel coro si trova la riflessione che si lega alla concezione che Manzoni elabora nella funzione del coro all’interno della tragedia: la tradizione italiana di inizio ‘800 vede un’esclusione del coro dalla tragedia (come in Alfieri), esclusione dovuta da ragioni sceniche  il coro incrina la ricerca di essenzialità delle contrapposizioni tra personaggi che Alfieri cerca, ossia Alfieri teorizza la massima riduzione dei personaggi perché quanti meno sono i personaggi sulla scena, tanto forti diventano le loro contrapposizioni. Il coro, il quale ha matrice greco-classica, viene introdotto da Manzoni già nel Carmagnola, l’opera veramente rivoluzionaria che produce critiche (di Goethe) e polemiche, in cui inserisce una premessa che giustifica le sue scelte chiarendo come il coro non funzioni sulla scena ma soltanto in lettura. Aspetto fondamentale che si lega alle teorizzazioni di Alfieri è quello per cui il coro non rappresenta dei personaggi. Nel teatro greco esso non è dato da enti astratti ma rappresenta una comunità; dunque, modifica il pensiero e il comportamento dei personaggi. Per Manzoni, come espone nella premessa del Carmagnola, il coro è un momento di riflessione dell’autore totalmente scollegato dallo sviluppo dell’azione, dunque non impatta sui personaggi. L’idea del “cantuccio dell’autore” è l’esito ultimo per cui occorre, in tragedia, il massimo rispetto nei confronti dei personaggi e del vero storico, della verosimiglianza delle idee degli individui ricavabili dai testi storici. In base a questa concezione non sono i personaggi a riflettere le idee e il pensiero dell’autore e ciò ha l’effetto secondo cui i cori non hanno più funzione strutturale: se nella tragedia greca cadevano alla fine di ogni atto, per Manzoni questa struttura non viene rispettata (troviamo nell’Adelchi solo due cori di cui uno non cade nemmeno alla fine di un preciso atto)  i cori compaiono solo quando l’autore vuole proporre una propria riflessione sugli eventi, dunque non sono strutturali. Inoltre, abbiamo visto come l’Adelchi sia in endecasillabi sciolti, come vuole la tradizione italiana (anche in Alfieri). Nella prefazione al Conte di Carmagnola i cori sono momenti lirici per varie ragioni: si staccano dalla dimensione mimetica e narrativa della tragedia e ciò comporta uno scarto mimetico che segna una distanza. La lirica, per la tradizione italiana, indica proprio un momento riflessivo, è momento di soggettività, si parla dell’io. Manzoni esprime l’io ma differentemente: si tratta di una sliricizzazione, ovvero cerca di perdere la dimensione lirica in virtù di un’espressione collettiva, vuole assumere una voce collettiva. Nella cronologia abbiamo visto come Manzoni lavori sugli Inni Sacri (religiosi e cantati dalla collettività, quindi come il coro dell’Adelchi). Essi sono canti lirici collettivi su eventi storici della tradizione cristiana (Natale, Pentecoste, Ognissanti…, feste liturgiche che nella tradizione religiosa hanno valore storico). Non si tratta di una differenza dei cori tragici, in quanto anche in essi troviamo riflessioni relative ad eventi storici in Italia. La metrica non è innovativa: rimanda a certi ritmi metastasiani di canzonette teatrali. Importante è la scansione metrica parisillaba (ogni verso è diviso in due senari).  Il coro si apre con una riflessione paesaggistica che rimanda agli archi dei templi romani e dei fori in rovina, rimandando ad un gusto romantico contemporaneo della rovina. La scena della grandezza romana viene mostrata come caduta, con spostamento poi nei luoghi in cui si manifesta il lavoro dei latini (boschi, aree naturali…) dove questi vengono interrotti dalle loro attività per l’arrivo degli invasori.  v.13-24: gli italici di fronte alla notizia della caduta dei longobardi recuperano l’orgoglio dell’esser discendenti dagli antichi romani  gli italiani sono identificati con i longobardi sconfitti con insistenza sulle figure femminili impaurite per il futuro dei loro figli  collegamento intratestuale ad un elemento già presentato precedentemente, ma che ora assume un altro significato: ci permette di collegare l’evento al momento in cui Martino descriveva a Carlo i longobardi rimasti, ormai deboli, una preannuncia di vittoria (dei franchi) che indica al tempo stesso la sconfitta dei longobardi.  v.25-27: i franchi incalzano i longobardi, come fosse una caccia di bestie selvagge. Questo elemento lo troveremo più avanti con altro significato (più metaforico), ma è anche una ripresa di un passo precedente, ovvero di quando Rutlando si rifiuta di seguire chi fugge.  v.29: gli italici di fronte alla fuga longobarda anticipano l’esito finale dell’evento 81  v.31 “udite”: conferma l’uscita dalla dimensione teatrale: si rivolge agli italici, ma anche al lettore  momento di riflessione sulla storia, quindi sta parlando aa qualsiasi lettore affinchè apprenda ciò che sta descrivendo  v.33-36: comincia il percorso dei franchi dalle loro case/dai loro castelli verso l’Italia, guidati dalla tromba che incita la guerra  percorso di uomini  v.37-38 —> le donne piangono: la funzione bellica ha ceduto il passo ad una funzione lirica; non sono più soldati valorosi che partono per la guerra, ma mariti che abbandonano le mogli, le quali sanno che essi, in buona misura, non torneranno.  v.40-42: vestimento del guerriero che sale su cavallo e oltrepassa il ponte levatoio  v.43-48: ritorna il gusto tipicamente di inizio ‘800 per il fascino medievale. Contrapposizione tra il ritmo militaresco dei primi due versi e il terzo verso che richiama l’abbandono della patria (“dolci castelli”); torna poi un verso spezzato con rime dure (doppie R e doppie T  rime petrose; a cui si aggiungono cuore e amore, di rimando all’umanità dei guerrieri)  v.49-54: rime tra “durar- volar”, i quali indicano la doppia natura dei soldati, i quali devono sopportare la guerra (volare delle frecce), di richiamo alla sestina precedente, dove era sostanziale il richiamo alla guerra e all’amore della patria  v.55: ripresa del guiderdone, del premio, traccia profonda della tragedia (Martino, Svarto, i franchi, i longobardi… tutti vengono premiati con qualcosa di terreno)  inizia la vera riflessione dell’autore proposta agli italici e ai lettori  v.56 “delusi”, ovvero coloro che soffrono scollegati dalla realtà (coloro che precorrono l’evento senza corrispondenza con le leggi storiche)  v.58-60 richiamo all’inizio del coro con la descrizione paesaggistica  l’ultima strofa rappresenta la riflessione più forte, dalla valenza universale, che verte sulla scomparsa degli umili della storia, all’origine dell’interesse di Manzoni per questo argomento (la tragedia verteva maggiormente sugli italici scomparsi dalla storia, così come si vede nella prima redazione dell’Adelchi)  v.65 “campi cruenti”= bagnati di sangue, a differenza di quelli italiani “bagnati di servo sudor"  • v.66 “volgo disperso che nome non ha”  senso metastorico del coro, ovvero una riflessione sul destino: più che ad una contrapposizione etnica si sottolinea quella sociale (i potenti si alleano tra loro per trovare un nuovo equilibrio dei poteri sempre a danno degli oppressi —> prevale la dimensione sociale così come nei Promessi Sposi). Atto quarto Il quarto atto è diviso a metà dal coro. Scena prima Giardino nel monastero di San Salvatore in Brescia. La prima metà si focalizza sul ritorno a Brescia (monastero di San Salvatore) di Ermengarda, la quale viene accompagnata dalla sorella Ansberga, badessa del convento, e da due sorelle. Ermengarda  Le prime parole di fatica segnalano il passaggio dalle scene bellicose del terzo atto a queste più intime  richiamo ad una Bucolica di Virgilio, in cui l’albero citato è il faggio. Qui si contrappone la violenza della storia che sconvolge le vite di tutti e la concezione divina del riposo sotto le chiome del tiglio, ovvero tra la guerra dell’esterno e la pace nel convento  Aggancio al tema profondo dell’Adelchi: gli invasori possono beneficiare dei campi degli italici  Il tiglio è segnale che ci rimanda al Foscolo sepolcrale/funerario: dove Foscolo, rivolto a Parini sepolto in una fossa comune, parla di un tiglio dove l’anziano Parini stesso andava a riposare  è un segnale per Ermengarda della futura morte 82 Ermengarda sviene. Saltiamo al v.130. Seconda suora  V.132 “tanto soffrir” ci collega a quanto era stato detto da Anfrido ad Adelchi  idea della sofferenza terrena come segno di grandezza. Nelle parole di Anfrido era il segno romantico della grandezza dell’uomo nella sofferenza cosa che non è così per Ermengarda che nega la sua grandezza chiedendo anche la tomba modesta. Ermengarda inizia a riprendersi ma inizia il delirio, su ispirazione di Macbeth. La figura delirante si rifà ad una concezione romantica. Altro modello fondamentale è l’Alfieri con il Saul perché Saul nell’Adelchi è una figura straordinaria in quanto anomale  è il tiranno ed è il padre di Davide ma è anche la vittima. La vera vittima non è Davide ma Saul stesso tant’è che nel teatro moderno l’eroe muore in scena  Adelchi morirà in scena, così come Saul. Il fatto che Saul sia tiranno, vittima e vittima di sé stesso porta alfieri a cercare strumenti teatrali per rappresentare questa dualità  lo strumento è il delirio, le visioni e i fantasmi che lui vede. Questa scena avrà una grande fortuna, dopo Ermengarda qualsiasi giovane donna infelice dovrà delirare. Il delirio è l’elemento razionale per eccellenza, ciò che fa riemergere all’uomo ciò che lui nega. Il delirio rende Ermengarda umana. Ansberga  V.138 prendi dio per respingere questi fantasmi. L’idea dei fantasmi è interessante perché ci collega al soliloquio di Carlo dove vede il fantasma di Ermengarda. Lui rispinge il fantasma, lo tratta come una forza disturbativa immotivata, rifiuta il riconoscimento della propria colpa mentre per Ermengarda il fantasma è simbolo di una dichiarazione d’amore.  V.140 il passo più lungo del delirio. Per la prima volta nomina il nome di carlo mentre il delirio glielo fa pronunciare. È il segno dell’inizio del delirio.  Immagine del rapporto tra Carlo, figura forte e Ermengarda come figura debole.  V.143 “turbarmi” insistenza nel verso. Il ricordo di carlo è turbante per lei in più piani.  Il trattino fondamentale di Manzoni fa riemergere il nome di Carlo. È un’assunzione di consapevolezza.  V.147 Idea della gloria terrena fondamentale perché ci richiama alla riflessione di Carlo sulla gloria che è differente, indipendente dal mezzo mentre l’auspicio di Adelchi è di una gloria conquistata con merito e diritto.  V.148 “amor tremendo è il mio…” siamo nell’immersione più violenta, è un amore tremendo che fa paura. Vediamo l’insistenza sulla negazione che c’è stata, della violenza fisica. ???  “gaudio” dimensione della soddisfazione sessuale.  “labbro pudico” e “ebrezza del cuore”, la seconda rimanda all’ubriachezza  amore non controllato e irrazionale.  V.161 “nelle sue braccia…io muoio” duplicità: abbraccio, erotico ma anche quando i suoi famigliari la accolsero.  Scopriamo che non vi è un unico fantasma di carlo, ma vi sono altri. Lo rivedremo con Adelchi ed è una dimensione cristologica che rimanda al calvario. Ermengarda chiama nel delirio Bertrada, madre di carlo magno e mediatrice del matrimonio. Bertrada disapprovava la rottura del matrimonio come scelta politica ma nella rielaborazione manzoniana e nel delirio di Ermengarda diventa forma di affetto per la figlia acquisita. L’invocazione a Bertrada nella costruzione manzoniana è l’invocazione alla madre morta, è una figura sostitutiva. Dante attraverso la preghiera alla vergine gli viene permesso di fare l’ultimo passo, così come Ermengarda sta per andare verso dio. Ermengarda  Trionfo della stanchezza di Ermengarda. 85  Finisce con la parola “oblio”, cosa cercata da lei fin dall’inizio.  V.170 la richiesta di sedersi vicino a Bertrada è una richiesta di entrata in paradiso.  V.172 Tema della possibilità di occultare il proprio viso, annunciato fin dall’inizio. Lei chiese di entrare in convento per essere nascosta e così viene nascosta da desiderio per farla entrare e occultata alla vista dei nemici. L’occultamento è l’immagine di una collocazione fuori dalla vita terrena.  Dice qualcosa che ha detto ad Ansberga all’inizio: l’idea della fine della vita ma anche come ci sia una sequenza femminile nella costruzione del delirio di Ermengarda, dalla sorella, Bertrada e la dimensione ultima femminile  abbiamo tre figure femminili. Il viaggio di dante nell’aldilà comincia perché Maria dal cielo vede lo smarrimento di dante e si rivolge a Lucia che si rivolge a Beatrice  tre elementi femminili che si muovono per la salvezza di dante.  V.170 “ti sovien varcando monti fiumi e foreste” è il ricordo del viaggio fatto con Bertrada che era andata a pavia a chiudere il matrimonio ed era tornata in Francia con Ermengarda.  V.186 chiudiamo il sistema figlia-madre, diverso dal rapporto padre-figlio. Alla fine, avremo un dialogo col padre, sul punto di morte di Adelchi ma con un rapporto diverso.  L’auspicio di Ermengarda è che la vita sia soltanto sogno e nebbia perché in realtà Ermengarda ha un delirio che è nebbia. La vita terrena è sogno e nebbia da cui ci si risveglia con la figura di rassicurazione che garantisce il proprio amore.  Finisce il delirio, al v.202. “dal tristo sogno io mi risveglio”  l’incubo che ha esplicitato la verità mentre era da lucida che lei non era consapevole e si ingannava in un mondo di fantasmi. Il tristo sogno da cui si risveglia non è solo l’incubo ma quello fatto sulla vita terrena, ha preso consapevolezza della verità  si prepara a morire, al vedere nella verità.  Ermengarda sta per morire e viene introdotto il secondo coro. Questo passo dalla cultura medievale diventa parte integrale dell’estetica. Il secondo coro p.96 Sono coppie di stanze di sei versi settenari e sono coppie perché se vediamo il v.6 della prima strofa ci rendiamo conto che è in rima con l’ultimo verso della seconda strofa. Così se vediamo l’ultimo verso della terza con il verso della quarta. I versi 1-3-5 sono rime ritmiche  la rima non è data dal suono ma è data dal ritmo; sono tutte parole sdrucciole con l’accento sulla terzultima sillaba. L’aspetto strano e interessante di questa struttura rimica del coro è che è la stessa del cinque maggio, dell’ode scritta per la morte di Napoleone. Siamo di fronte all’ode per la morte dell’uomo più forte della storia per Manzoni e a quella di Ermengarda  due figure distanti vengono associate dalla sventura che le ha toccate.  All’inizio mostrano la cura verso il neo-cadavere.  È la fine dell’agonia.  “sparsa alle trecce morbide”: accusativo alla greca. Idea dell’agonia dei capelli che si sono scomposti sul petto che ha ansimato nel momento della morte. Le mani sciolte e il viso bianco della morte con il sudore dell’agonia.  Lo sguardo ha cercato il cielo. Lei disse che capì perché l’uomo morendo cerca il sole, passo foscoliano.  L’autore interviene direttamente interagendo con il personaggio morto.  V.21 la negazione  parallelismo con Adelchi.  Rintroduce il tema del ricordo degli ultimi momenti di Ermengarda affaticati dal periodo felice ad Aquisgrana con Carlo  i ricordi di Napoleone.  “ebra” rimando all’ebrezza che Ermengarda aveva enunciato al v.152.  V.40 La caccia l’abbiamo già vista nel terzo atto e nel primo coro. Vista come attacco e inseguimento dei franchi dai longobardi, qui è metafora della violenza e può avere anche una valenza sessuale. 86 Lezione 29 del 04/05/2023  V.61 similitudine del filo d’erba appassito dal sole al quale la rugiada mattutina torna a dare freschezza  la parola di conforto che giunge alla persona sofferente ma poi il sole a mezzogiorno riporta secchezza. La similitudine è duplicemente doppia: dovrebbe esserci “come” e “così”, qua invece è doppia perché vediamo due diversi momenti della giornata: l’alba con la rugiada e il calore del mezzogiorno con il ritorno della sofferenza. Ogni strofa è uno di questi quattro elementi della similitudine doppia. Questa similitudine affronta il passare del tempo e rappresenta la sofferenza umana.  V.66 Vediamo la proiezione su Ermengarda e sull’essere umano sofferente.  Vediamo la concezione dell’amore Manzoniana: l’amore porta alla perdita di controllo dei sentimenti e anche della propria vita.  V.80 Allo stesso modo dal momentaneo oblio delle parole di conforto che avevano permesso di allontanare il dolore  riprende il tema dell’oblio desiderato da Ermengarda. L’immagine della vita terrena dov’è la dimenticanza del dolore è sono temporanea. Il completamento è solo dopo la morte nella prospettiva manzoniana. La vita terrena come ombra, confusione, sofferenza. Il tema delle sviate cela il nome via, costante della tragedia. La strada come scelta del destino, percorso, il tema della via è quello della perdita di se nel dolore.  V.91 L’autore poi torna a rivolgersi al personaggio. Alle donne vedove poiché i mariti sono morti, madri di figli uccisi  raccogliamo l’immagine dei longobardi in fuga come lo abbiamo visto nel primo coro e nel terzo atto e anche l’immagine delle donne franche tornanti all’addio. Nella dimensione femminile Manzoni rimarca la figura della vittima estranea alla storia che non può agire. Soprattutto i due popoli si uniscono nel dolore, elemento unificante.  V.98 Il “te” è appellativo, si riferisce ad Ermengarda. Nelle ultime quattro strofe la dimensione lirica-sentimentale si chiude con un’osservazione politica e metapolitica. Siamo di fronte alla condanna ultima del potere longobardo in Italia ma tutti questi elementi riguardano il sistema politico dei vincitori e li ritroveremo poi nell’ultimo atto nel dialogo tra Carlo e Desiderio.  Il “te” anaforicamente crea parallelismo tra le due strofe, ma la prima è una riflessione sulla politica mentre la seconda introduce un elemento di metastoria, una riflessione ultima sul senso dell’aldilà.  V.104 la tua sventura è stata provvida. Ermengarda era la sventurata sin dall’inizio e anche Adelchi lo diceva. Il mondo si divide in: oppressi e oppressori, non si può scegliere o essere intermedi. Un aspetto che ci lega al cinque maggio: la caduta di napoleone nella prospettiva manzoniana è quella che permette di riconciliarsi con dio. All’inizio del cinque maggio Manzoni dice “io che sono innocente sia dell’elogio dei vivi sia dell’oltraggio vile di chi oltraggia chi è caduto, io ora posso riflettere sul senso della sua vita” —> Nella sconfitta c’è solidarietà tra gli oppressi.  Il coro finisce con la morte al tramonto, infatti, l’ultima strofa si chiude con il sole che si libera dalle nubi e torna la luce  rimanda all’anima che si libera dal corpo.  V.119 “pio colono” = al contadino. Questo intero atto su Ermengarda dove si proiettava sulla dimensione contadina, qualcuno che può coltivare il campo. Nei versi poi ritorna la metafora del campo che da sempre nel linguaggio evangelico rimanda all’attività di dio e del cristiano sulla terra. Il colono, inoltre, deriva da colonia ovvero gli insediamenti dei romani conquistatori nei territori altrui  contrasto con altri conquistatori, non i longobardi che hanno conquistato l’Italia ma con qualcuno che è un pio colono con l’idea di qualcuno che ha raggiunto la terra promessa. Quarto atto Siamo a Pavia dove si è ritirato Desiderio. Entra in scena Guntigi, duca scelto da desiderio nel momento della sconfitta come suo difensore. Qua vedremo il suo tradimento. Ci troviamo sulle mura difensive e dialoga con un altro longobardo. Guntigi prepara il tradimento e verifica la fedeltà del longobardo Amri nei suoi confronti e gli ricorda come nella precedente guerra civile lo aveva salvato. Guntigi 87 Adelchi fuggì a Costantinopoli per da al padre la speranza che lui torni, poiché desiderio è prigioniero. V.137 dialogo tra Carlo e Desiderio. Desiderio chiede di parlare con il vincitore. Carlo continua a considerare la sua vittoria un’emanazione della volontà divina. Carlo  Ripresa del tema delle lamentele di desiderio nei confronti del papa che p veicolo delle lamentale degli oppressi, qui carlo dimostra di essere impermeabile alla sofferenza dell’oppresso che qua diventa un piagnucolare.  V.144 Carlo dice di avere “un gaudio superbo nel cuore”.  V.149 enunciazione della propria vittoria.  V.152 carlo aveva enunciato una massima politica, un re non può guardare la sofferenza altrimenti non più agire. Ci sarà sempre uno sconfitto nella storia a cui rimane il garrire, il rifiuto della voce dell’oppresso.  Desiderio vuole fargli una domanda e Carlo continua a ricordare che solo il vincitore detta la legge e lo sconfitto non ha diritti. Desiderio  V.172 parla di dio e nella domanda che pone smaschera la retorica del potere perché carlo dice di essere sceso in Italia per salvare il papa dall’oppressione. Desiderio dice che l’ha fatto e ormai non ha più nulla da chiedere ora che ha vinto e non agisce più sotto la copertura di dio. Desiderio dice che non vuole imporre una legge e di non mettergli in bocca parole che Carlo può usare contro di lui. Carlo decide come interpretare le sue parole che in realtà sono fatti. Nella richiesta di desiderio c’è l’avere pietà per Adelchi e lasciarlo andare per fare una cosa buona  l’innominato nel romanzo quando libera lucia e dice che almeno a lei fa del bene. Carlo non accetta.  V.118 Usa sempre un linguaggio di punizione, di antico testamento e dice a Carlo di continuare a fare danno ai vinti cosi sarà punito da dio. Carlo risponde “taci tu che sei vinto”. Carlo  V.260 “spini” dalla corona di spine. È l’esito ultimo del linguaggio evangelico perché lui scelto da dio dice che il calice amare non lo vuota lui ma loro  i longobardi e Adelchi diventano le figure cristologico, coloro che bevono il calice amaro. Arriva la notizia che Adelchi è moribondo, lo portano alla tenda e Carlo mostra compassione. Carlo  V.286 la pietà verso chi è morto è una farsa, lo osserva Adelchi. Carlo agisce nel sistema del proprio potere. Desiderio  V.290 desiderio incontra il figlio si considera colpevole della morte. Adelchi  Adelchi riconosce che anche lui ha sparso il male, riconosce la propria colpa.  v.340 riconoscimento ultimo. 90  V.349 nel mondo si può solo fare o patire il torto. C’è una forza violenta, quella della logica terrena, che pretende di prendere il nome di diritto.  “seminò” “coltivata” “messe” linguaggio del nuovo testamento della coltivazione.  V.400 il finale in cui adelchi si rivolge a gesù e come anfrido disse che adelchi è cristologioìco così lui si proietta nella figura di cristo e conclude con una frase sulla stanchezza presente già all’inizio della tragedia. 91
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