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Letteratura Italiana dalle origini al Cinquecento, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Manuale dalle Origini al 500 ( 30\30)

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Letteratura Italiana dalle origini al Cinquecento e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA DALLE ORIGINI AL 500 EPOCA 1 – INTRODUZIONE Primi testi della letteratura italiana  XIII sec. , lento avvio rispetto alle altre tradizioni nazionali Letteratura latina punto di riferimento (da Virgilio a Ovidio , da Orazio agli elegiaci) Nodo centrale della letteratura duecentesca  scrittura in volgare (=popolare, da “volgo”) Primi frammenti della letteratura : - Frammenti di preziosi testi poetici - Lirica di San Francesco - Testimonianze della poesia siciliana Recupero della poesia francese e della lingua d’oc e d’oil tramite opere come la chanson de geste IDEOLOGIA AMOR CORTESE : nasce nella corte di Federico II e si dedica all’esclusiva tematica amorosa sotto un aspetto metrico prodotto da un’elaborazione raffinata Decisiva è la codifica del sonetto: - Attribuita per tradizione a Jacopo Da Lentini - Struttura in versi chiusa - Sufficientemente ampia e duttile da consentire scansioni e articolazioni interne - Metro più complesso e usato fino a Leopardi - Stile alto e illustre GUITTONE D’AREZZO : la lirica si allarga a tematiche non amorose ,specialmente con Guittone D’Arezzo, che tratta tematiche civili, politiche, religiose, fuori dall’ideologia cortese; vengono ricordati anche Iacopone da Todi e Bonsevin de la Riva STIL NOVO : dal modello di Guittone si distaccano i primi esponenti dello Stil Novo, che ha in Guinizzelli il fondatore; la concezione degli stilnovisti è quella di essere una schiera di eletti dell’Amore e per tanto si dedicano unicamente alla tematica amorosa, esaltandola. POESIA COMICO-REALISTICA: è un tipo di poesia proveniente dal versante più umile, spesso mirate ad un contesto comunale Cecco Angiolieri, Rustico Filippi Centralità della retorica  declamazioni come esercizi poetici Prime tracce sempre incorporate in contesti latini, forma non scritta perché cantata da giullari o cantastorie. Sono definite tracce in quanto si ipotizza siano solo un residuo di un fenomeno più ampio  Primo documento in volgare della lingua italiana : l’Indovinello veronese Prime tracce in volgare compaiono circa tre secoli dopo , tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII sono attestati alcuni ritmi con finalità principalmente didattiche : anisollabismo( irregolarità verso);designa argomenti di tipo religioso. Ben rappresentata in questa fase è l’Italia meridionale, ,un’area linguistica che comprende la zona orientale e centro meridionale delle Marche, dell’Umbria e del Lazio dove sono localizzati i due testi più importanti RITMO SUNT ALESSIO RITMO CASSINESE Metro simile RITMO Laurenziano  Toscana  1188 Bellunese  Belluno  1193-96 Lucchese  Lucca  1213 1 Rispetto alla prima fase, nel Duecento, in contemporanea con l’ affermazione del volgare come lingua di comunicazione e di cultura , si assiste al fenomeno della raccolta dei canzonieri , ovvero manoscritti che contengono centinaia di componimenti , il più antico è conservato nella Biblioteca Centrale di Firenze con la segnatura di Banco Rari(217). Tra i più importanti si ricordano anche Vaticano Latino(3793) e il Redi (9). NB  canzonieri NON sono il Canzoniere di Petrarca FASE PREISTORICA DELLA LETTERATURA: la distinzione tra fase preistorica e la fase storica dei canzonieri è importante anche per un altro motivo  chi raccoglieva le poesie di fine Duecento aveva delle preferenze stilistiche precise e quelle preferenze avevano determinato la fisionomia e la consistenza della documentazione LA POESIA SICILIANA E IL PROBLEMA DELLA LINGUA: produzione poetica siciliana nota attraverso i canzonieri  tuttavia testi conosciuti in lingua toscana forma di adattamento nasce rima siciliana rima con ‘e’ ‘i’ ed ‘o’ chiuse = imperfetta LA SCUOLA SICILIANA: Si sviluppa attorno alla corte (Magna curia ) di Federico II di Svevia ed è caratterizzata da un gruppo di poeti che condividono la stessa estrazione sociale, legati ad un contesto politico preciso , vhe aprlano la stessa lingua , siciliano illustre, e che compongono testi fra loro affini  L’idea di una scuola nasce dal progetto politico di Federico, in quanto voleva evitare che i sudditi si recassero a studiare presso Bologna o Parigi  TEMI : l’argomento principale è l’amore, visto nella sua concezione globale e vi sono presenti : il rapporto fra amante e amata; la lode della bellezza della virtù dell’amata ;l’amore come processo di raffinamento dell’individuo attraverso la sofferenza ed il dolore, nei siciliani vi è ,inoltre, interesse per la descrizione fenomenologica amorosa  POETI PIU’ IMPORTANTI: Guittone D’Arezzo e Giacomo Da Lentini GIACOMO DA LENTINI ( 1210-1260 ca) Nato in Sicilia da una famiglia di origini normanne, si identifica con il lavoro di notaio attivo alla corte di Federico II tra gli anni Trenta e Quaranta del XIII secolo. Non c’è dubbio che Giacomo sia stato uno dei primi , se non il primo, poeti della Scuola siciliana e certamente il più influente : per la scelta esclusiva del tema amoroso e per l’invenzione del sonetto. IL DIBATTITO SULL’AMORE: cobla =strofa tenzone = scambio di due o più cobla 2 alla donna e tutto si svolge in una dimensione astratta; i personaggi principali sono l’anima (esistenza del poeta), il cuore(che denota la capacità di provare amore )e gli spiriti, vale a dire la personificazione dei fluidi sottili esalati dal sangue che secondo la fisiologia antica dirigono i flussi vitali. Il fulcro di una poesia come questa è quindi l’interiorità del poeta  c’è una forte tensione comunicativa e la volontà di cercare un contatto diretto con un pubblico . La prima stanza funziona da proemio : il poeta espone la ragione, l’argomento, i destinatari e le modalità del canto: il poeta compone perché una donna glielo chiede e parla d’amore ( che definisce “accidente”), si riferisce a persone nobili d’animo e afferma di voler dimostrare attraverso la filosofia le principali caratteristiche dell’amore. La seconda stanza: il poeta spiega perché l’amore nasce dalla vista dell’oggetto amato e che tutto ciò viene percepito dai sensi. Le stanze successive: Guido affronta questioni ancora più complesse e sancisce la separazione tra amore e ragione=sentimento smisurato e irrefrenabile che priva l’uomo del dominio su se stesso, distogliendolo dalla contemplazione del sommo bene e dall’esercizio della filosofia. CINO DA PISTOIA ( 1270-1336) e LAPO GIANNI ( XIII sec – dopo 1328) Lapo = Lapo Gianni De’ Ricevuti, notaio e giudice fiorentino attivo in Toscana, Bologna e Venezia tra gli anni Novanta del Duecento e il 1328 , è un poeta particolarmente prossimo a Guinizzelli e al Dante di Vita Nova. Cino= Guittoncino De’ Sinibuldi , detto Cino, nasce a Pistoia nel 1270 da una famiglia ricca e nobile e di parte nera, studiò a Bologna per diventare giudice. E’ uno dei più rilevanti giuristi del suo tempo e ricopre importanti incarichi pubblici. Subisce l’esilio in Francia, da cui rientra nel 1306 ed è un grande amico di Dante . Nel 1321 compone una canzone commemorativa a Dante “ Morto Dante, nessun altro potrà salire sull’alto monte del Purgatorio” . LA POESIA COMICO- REALISTICO: La poesia comica è infatti trasmessa negli stessi grandi canzonieri della lirica cortese predantesca e stilnovistica. Accanto ad autori come Da Lentini o Guido delle Colonne c’è , come contrasto, Rosa fresca aulentissima, che può essere considerato in assoluto il primo componimento comico italiano; nello stesso codice è significativa la presenza di Rustico Filippi  primo rimatore a dedicare sul piano allo stile comico esattamente 58 componimenti divisi a metà tra liriche amorose e sonetti comici . La poesia comico realistica presenta due aspetti: 1) La convivenza tra due versanti: l’accostamento di testi tanto diversi entro gli stessi codici testimonia che erano indirizzati ad un medesimo pubblico 2) La poesia comica duecentesca non ha mai conosciuto una tradizione autonoma Il codice comico è nel Duecento una delle possibilità espressive che i poeti hanno insieme a quello politico, religioso, amoroso ecc. Il rapporto della poesia comico- realistica con quella aulica va visto nei termini di due possibilità alternative, ciascuna delle quali riservata alla porzione di mondo che si vuole interpretare ars dictaminis = strumentazione stilistico-retorica codificata Uso della sezione linguistica orientata verso il basso, iperboli, traslati osceni, paradossi. RUSTICO FILIPPI (1230-1290) 5 Fiorentino in contatto con l’ambiente guittoniano, specializzato nel genere dell’inventiva : aggressioni verbali, irrise, lo stile rustico proviene dalle tenzoni occitane CECCO ANGIOLIERI (1230- dopo 1313) Nato nel 1260 a Siena da un agiato borghese guelfo, di lui non si hanno più notizie dopo il 1313, partecipa a diverse iniziative militari senesi, tra cui la battaglia di Campaldino del 1289. Una delle principali novità della poesia di Cecco è che essa ruota attorno a temi costanti su tutto domina una tendenza autobiograficala malinconia della malasorte, il contrasto con il padre POESIA ALLEGORICO-DIDATTICA: In area settentrionale si sviluppa fin dalla metà del XII secolo una poesia di carattere didattico il cui documento più significativo è il manoscritto di Hamilton ,detto anche codice Saibante. La produzione didattica in area settentrionale non si limita ai contenuti del Saibante ; alla descrizione dei mondi ultraterreni si dedica frate Giacomino da Verona in due poemetti De Jerusalem celesti e De Babilonia civitate infernali . In Toscana questo tipo di racconto ha come principale rappresentante il Tesoretto di Brunetto Latini, notaio fiorentino di partizione guelfa . LA POESIA RELIGIOSA: Il cristianesimo rielabora la tradizione poetica greco-latina in funzione della celebrazione di Dio ; è ciò che accade soprattutto con il genere dell’inno  il cristianesimo e la poesia hanno un legame molto stretto (Bibbia scritta in versi) IL CANTICO DELLE CREATURE: in latino Laudes creaturarum Composto negli ultimi anni di vita di S.F. ed è visto come un canto corale è una lode a Dio e a tutto il creato concepita come modello dei salmi biblici Il Cantico si apre con una affermazione profondamente pessimistica all’uomo non è consentito nominare Dio però può lodarlo attraverso gli elementi che come l’uomo sono creati divini, la lode a Dio si associa quindi all’elogio della sofferenza che rende l’uomo degno di beatitudine IACOPONE DA TODI (1230-1306) In rapporto al movimento francescano si sviluppa anche la tradizione della laude, l’autore più rappresentativo è il francescano Iacopone da Todi al quale si attribuiscono circa cento laudi ; la lauda di Iacopone non ha una metrica precisa ,si definisce solo nella pratica della funzione religiosa ed è quasi senza eccezione anonima. LE FORME DI PROSA : Nel Duecento scrivere in prosa significa in larga misura volgarizzazione, cioè trasporre un testo in volgare italiano ; la maggior parte delle opere in prosa sono infatti caratterizzati da fenomeni di ampliamento e riscrittura e sono trasmesse in miscellanei aree di diffusione Firenze e Bologna (nascita della retorica volgare) EPOCA 2: LE TRE CORONE DANTE ALIGHIERI (1265-1321) Assoluta originalitàsperimentalismo e autobiografismo riconoscimento del volgare come lingua nazionale di cultura Nasce nel 1265 a Firenze, la madre muore precocemente ed il padre pochi mesi dopo, i suoi possedimenti gli permettono di poter avere una gioventù decorosa e la frequentazione della 6 nobiltà (benché non fosse di nobili origini; non sappiamo molto dei suoi studi se non che apprende le arti del Trivio. A 9 anni incontra Beatrice, ne rimane ammaliato ( il 9 sarà uno dei numeri sacri a Dante) nel 1287 la rincontra e lei gli rivolge il saluto. Dopo la morte della donna amata, 8 giugno 1290, si rifugia nella filosofia. Di partizione di guelfi bianchi, il 10 marzo 1302, a causa della vittoria dei guelfi neri, viene esiliato e non tornerà mai più a Firenze. Trascorrerà il resto della sua vita, in viaggio, peregrinando tra le corti che lo ospitano . Muore a Ravenna nel 1321. VITA NOVA  Composto nel 1293  Dedicato all’amico Cavalcanti  Narrazione in prosa volgare della storia dell’amore di Dante per Beatrice  Il titolo significa ‘ vita giovanile ‘ rinnovamento interiore che Dante matura sotto il segno di Amore  La prosa assume la funzione di collegare le liriche 31 poesie di cui 23 sonetti 5 canzoni ed 1 ballata  Struttura tripartita : I-XVI  proemio e crisi del “gabbo”; XVII-XXVII incentrata sulla “matera nova” della poesia della lode ; XXVII-XLIImorte di Beatrice e termina con la mirabile visione finale  Curata da Michele Barbi per la società dantesca italiana nel 1907 Storia narrata: Il poesimetro inizia con il primo incontro tra Dante e Beatrice; il poeta aveva nove anni, lei 6 mesi di meno. Già è evidenziata la perfezione di Beatrice con il numero 9, indice di perfezione poiché multiplo di 3 che indica la Trinità. Lei era vestita di rosso (segno di amore) e Dante pure non conoscendo il suo nome pensò subito a Beatrice perché indica perfezione, beatitudine. Il secondo incontro si verificò nove anni dopo, avevano 18 anni; lei era vestita di bianco (segno di purezza). Dante ricevette il suo saluto (Mercede) che gli donò salute. Il bisticcio di parole saluto/salute riprende la poesia provenzale e in sé vede tutti i termini di beatitudine. Dopo l’incontro Dante andò nella sua camera e sognò ad occhi aperti: il Dio amore teneva Beatrice addormentata e con un velo rosso e portava un cuore ardente. Svegliò la fanciulla e la esortò a mangiare il cuore, ma le si rifiutò. Così Dio amore salì piangendo al cielo insieme a lei. Nel commento alla poesia Dante scrisse che quello fu il 1° preavviso della morte di Beatrice. La poesia era stata scritta mentre lei era viva, Dante l’aveva mandata a Cavalcanti descrivendogli il sogno e lui gli aveva risposto con un sonetto nel quale diceva che l’amore per Beatrice era un amore impossibile. Egli racconta che da quel giorno fece di tutto per incontrarla, andava in Chiesa per osservarla. Per salvaguardare l’onore di lei e per non far scoprire questo legame ai malparlieri, Dante fece poesie dedicate alle altre donne (1° e 2° donna dello schermo) che erano nella traiettoria visiva tra lui e Beatrice. Dopo queste poesie Beatrice si indignò e gli tolse il saluto. Dante stette tanto male e probabilmente fu curato dalla sorella o dalla zia. Un giorno incontrò Giovanna (l’amore di Cavalcanti) ed ebbe il presentimento che dopo avrebbe incontrato Beatrice. Così accadde. IL CONVIVIO  Composto durante gli anni dell’esilio  Prosimetro che consiste nell’autocommento alle canzoni composte negli anni precedenti  L’operazione appare, nella sua sostanza, analoga a quella di Vita Nova  Presentato come un’opera della piena maturità di Dante  La scelta di comporre un trattato filosofico in volgare con intento didascalico si spiega bene con la situazione in cui Dante si viene a trovare nei primi anni di esilio quando, ormai escluso dalla politica, vedendosi sempre più isolato e compromesso il proprio nome, cerca di riaccreditarsi  Richiama il De consolatione Philosophiae di Boezio DE VULGARI ELOQUENTIA 7 do Il cosmo dantesco 10 FRANCESCO PETRARCA (1304-1374) Se oggi Francesco Petrarca è considerato una figura fondativa della moderna conoscenza è soprattutto perché è il primo a concepirsi come un nuovo modello di autore  rivendicazione della capacità dell’intellettuale di intervenire sul presente come inserito in un continum storico; ci sono due aspetti di un medesimo problema che Petrarca non smette di porsi: 1) Comprendere la storia nella sua pluralità 2) Affermazione della centralità dell’individuo  I due aspetti per Petrarca sono collegati in quanto lo studio della storia e delle arti per Petrarca non è mai finalizzato alla completa erudizione ELEMENTI FONDAMENTALI PER CAPIRE PETRARCA:  Passione per la conoscenza del mondo classico  L’esaltazione dello studio solitario  Natura del suo rapporto con la nobiltà ,rivendicato di essere stato amato da personaggi potenti  La sua esperienza amorosa , vista come punto di svolta deprecabile ma salvifico perché lo ha indirizzato alla conversione e alla liberazione delle passioni VITA :  Nasce nel 1304 ad Arezzo da genitori di umili origini, successivamente si trasferirà ad Avignone  E’ indirizzato dal padre negli studi giuridici prima a Montpellier e poi a Bologna  Nel 1326, dopo la morta del padre, abbandona gli studi e si trasferisce ad Avignone dove prende le vesti clericali e si abbandona negli studi classici  Il 6 aprile 1327 nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone incontra Laura  Comincia a raccogliere manoscritti preziosi  due scoperte filologiche : Pro Archia di Cicerone e le Confessiones di Sant’Agostino  1337 visita Roma e rimane stupito dalla bellezza delle sue rovine e nello stesso anno si trasferisce in Valchiusa alla ricerca di una solitudine intellettuale  Nel 1340 riceve contemporaneamente due inviti per recarsi a Roma ed essere insignito della laurea poetica : il primo dal re di Napoli, Roberto D’Angiò, e il secondo dallo studium di Parigi  Subito dopo l’incoronazione scrive Africa , poema epico ispirato all’Eneide di Virgilio e giunto incompleto  Alla fine del 1345 Petrarca è di ritorno in Provenza ; in Valchiusa scrive il trattato De vita solitaria  Sugli stessi temi nel 1347 scrive De vita religiosa  Nel 1348 dilaga la peste avvenimento devastante per Petrarca perché molti suoi amici e Laura muoiono  Nel 1350 si reca di nuovo a Roma per il secondo giubileo  Si spegne nel 1374 ad Arquà IL SECRETUM : - Ambientata tra il 1342 e il 1343 ma l’avvio va fatto risalire nel 1347 in Valchiusa - Concepito come una confessione personale - Dialogo fra Petrarca e Sant’Agostino in cui si proietta la realtà biografica del poeta e sugli insegnamenti del Padre della Chiesa - Petrarca sta meditando sulla morte e compaiono in una visione Agostino e la Verità , giunti ad aiutarlo a sconfiggere la malattia che lo affligge. La Verità resterà testimone silenzioso lungo tutto il dialogo, mentre sarà Sant’Agostino a interrogare l’allievo al fine di condurlo alla conoscenza dei mali e si assiste allo sdoppiamento dello scrittore nei due personaggi - Insistenza sul tema del dissidio , che Petrarca intende affrontare i “contradditori turbamenti” FAMILIARES ED EPYSTOLE: - 13 gennaio 1350 datata la lettera proemiale del Familiarum rerum liber indirizzata all’amico musicista fiammingo Ludwig Van Kempen, ribattezzato Socrate - Dello stesso anno la missiva di versi a Barbato da Sulmona che apre il libro delle Epystole metrice LE SENILES E IL DE REMEDIIS: 1) SENILES: - Lettera proemiale all’amico Francesco Nelli 11 - 1361 - Interrotto il libro delle Familiares, Petrarca decide di raccogliere i contenuti dell’epistolario dell’ultima parte della sua vita in un’opera di 17 libri contenenti 127 lettere - La ricombinazione dei testi è lo stesso delle Familiares anche se non mancano lettere di impianto trattatistico su temi politici o polemiche 2) DE REMEDIIS: - Biennio 1366-67 finita - Ultima opera di carattere moralistico - Avviata nel 1354 a Milano - Dedicato sul tema della libertà dell’individuo di esercitare la virtus RERUM VULGARIUM FRAGMENTA: - Grande capolavoro di Petrarca - Comincia a formarsi solo tra il 1347-1350 - 366 e 365 testi che scandiscono la durata simbolica dell’anno: 317 sonetti;29 canzoni;9 sestine; - Testo unitario con due momenti di distribuzione : a priori e a posteri della morte di Laura - Incentrato sull’amore per Laura (tranne che per una trentina di liriche) - Precedente più diretto e modello: Vita Nova di Dante I TRIONFI: - Non si sa di preciso l’inizio - Poema allegorico -narrativo in terza rima ( su modello della Commedia) - L’io narrante riceve sei visioni: 1) TRIUMPHUS CUPIDINIS (in 4 parti): il narratore vede il carro di Amore, vestito come un condottiero romano, dietro al quale trasporta dei prigionieri: gli amanti dell’età classica e del Medioevo. A questo punto appare l’enigmatico personaggio di Laura, di cui l’io narratore si innamora, entrando così anch’egli a far parte della parata di Amore 2) TRIUMPHUS PUDICITIAE :la Pudicizia è impersonata da Laura che trionfa su Amore, costringendolo alla prigionia 3) TRIUMPHUS MORTIS (in 2 parti) : La Morte sopraggiunge per uccidere Laura e dopo la sua morte, la donna appare in sogno all’io dichiarando di averlo sempre amato ma di essere sempre stata costretta a dissimulare questo sentimento per decoro suo e dell’amante 4) TRIUMPHUS FAME ( in 3 parti ) : E’ la parte in cui subentra la Fama, rassicurando gli uomini che è in grado di sconfiggere la morte 5) TRIUMPHUS TEMPORIS : Il Sole, indignato per l’arroganza di Fama, accelera il suo corso del tempo al punto da cancellare ogni cosa e dimostrare che tutto procede inesorabilmente verso la morte 6) TRIUMPHUS ETERNITAS : L’io narratore, di fronte alla consapevolezza della fine a cui la vita e il tutto sono destinati, si chiede a che cosa affidare il proprio spirito e si rende conto che solo Dio può assicurare la pace. GIOVANNI BOCCACCIO (1313-1375) Nasce nel 1313 a Firenze, o più probabilmente a Certaldo, data la sua firma “ Boccaccius de Certaldo”, da padre agente di una compagnia mercantile e madre sconosciuta. Dopo essere stato costretto dal padre ad intraprendere studi giuridici per sei anni, Boccaccio mostra in maniera evidente la passione per la poesia e nel 1327 si trasferisce con il padre a Napoli dove ,nel 1328, diventerà consigliere di Roberto D’Angiò. MATRICE DELLA SUA FORMAZIONE:  Conoscenza diretta del mondo mercantile  Avviamento dello studio al diritto canonico 12  Ridimensionamento e attenuazione dello stile di Boccacciocoordinate ideologiche meno controverse, critica all’ideologia cortese, ambiguità nella morale  Tre principali raccolte trecentesche: il Pecorone di ser Giovanni; il Novelliere di Giovanni Sercambi; Trecento Novelle di Franco Sacchetti  Fenomeno della storiografia come vero e proprio genere letterario EPOCA 3: L’UMANESIMO : L’Umanesimo è innanzitutto la grande stagione del ritrovamento dei manoscritti che conservano le opere dell’antichità classica, rimaste a lungo nascoste nelle biblioteche delle abazie fondamentale è il ritrovamento del De Rerum Natura di Lucrezio a cura di Poggio Bracciolini nel 1417  Apertura verso il mondo della Natura ed il nuovo interesse per i testi scientifici e pratici e si accompagna ad una profonda revisione del mondo della storia, che in pochi decenni conduce alla costituzione della frontiera culturale destinata a distinguere l’età presente dal passato . La frontiera che separa il secolo in cui vivono i nuovi intellettuali dai secoli passati, i cui valori sono nettamente rifiutati. Lo schema temporale che ne emerge è tripartito: A. Età presente (A vs B)  contro B. Medioevo C. Età classica (A <> C)  imitazione Grazie al recupero dei manoscritti antichi e alla loro fedele copiatura, gli umanisti restituiscono dunque l’articolato sistema conoscitivo proveniente dal mondo antico, che andava dal modello pratico a quello teorico. E’ importante non sottovalutare la dimensione pratica, e addirittura pragmatica, dell’Umanesimo, un periodo di ricerca erudita del sapere vengono sempre ricondotti all’intervento effettivo nelle vicende degli uomini i giovani intellettuali assumono il modello di scrittura come quello degli antichi classici e nasce così il concetto di imitazione il problema del corretto rapporto con le fonti della lingua era già stato posto chiarezza da Francesco Petrarca, il quale afferma: “servirsi dell’ingegno e delle culture altrui ma non delle parole”  imitati due principali autori per lo stile: Cicerone per la prosa, Virgilio per i versi. LA SCUOLA DEGLI UMANISTIIl continuo riferimento ai testi antichi impone una conoscenza diretta di questi testi e l’affinazione nella comprensione della cultura latina . Gli umanisti dunque sono degli esperti conoscitori delle lingue e delle letterature classiche ; la stessa parola “umanista” significa “professore di lettere” ed è affibbiata a colui che è affidato all’insegnamento dei testi dal più semplice al complesso. Gli studia humanitatis sono basati sul concreto lavoro di riscoperta e comprensione di un insieme di testi a partire da Cicerone, Livio, Sallustio ecc.  il programma è dunque prevalentemente letterario e si basa sulla ricerca della “perfetta lingua latina”. 15 La relazione pedagogica tra maestro ed allievo è basata sul rispetto reciproco e sulla persuasione. PEDAGOGISTI IMPORTANTI:  Pier Paolo Vergerio – De ingenuis moribus et liberalibus studiis adulescentiae  Leonardo Bruni- De studiis et litteris liber  Leon Battista Alberti – Della famiglia LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472) Leon Battista Alberti incarna l’idea di uomo universale che viene attribuita all’Umanesimo, risulta così uno dei massimi interpreti più consapevoli della cultura umanista che si basa su due aspetti:  La filologia, con il ripristino dei classici  L’intervento pragmatico sulla realtà , che può spaziare dall’iniziativa poetica in lingua volgare alla costruzione di edifici pubblici Nasce a Genova, dove il padre è stato esiliato a causa dei mutamenti politici di Firenze e la sua formazione avviene presso Padova e Bologna, dove si addottora in diritto e prende gli ordini sacri. Nonostante i suoi spostamenti, Firenze rimane sempre il centro della sua riflessione. DE COMMODIS: - 1432 - Dedicato al fratello Carlo - Riflessione sulla figura dell’intellettuale - Lo studio non dà soddisfazioni personali o riconoscimenti pubblici ma è un’attività silenziosa e privata fatta di diligenza e fatica LIBRI DELLA FAMIGLIA: - 1432 - Rapporto fra famiglia e società * famiglia= gruppo di persone e di interessi condivisi - Diviso in quattro libri : 1) L’educazione dei figli 2) Il matrimonio 3) Attività economiche 4) Le relazioni sociali che una famiglia deve saper amministrare per mantenere il suo ruolo pubblico INTERCENALES: - 1440 - Raccolta di dialoghi e narrazioni latine ispirati al modello dello scrittore satirico greco Luciano Samosata - Ideale della solidalidas convivenza colta tra gli uomini di lettere - 11 libri: 1) La virtù 2) La ricchezza 3) La discordia 4) L’invidia e le altre vanità 5) Il matrimonio e i suoi problemi 6) Il fato e la sapienza 7) La necessità di non lasciarsi turbare 8) La concordia politica e le attività civili di carattere no professionale 9) L’amore DE ARCHIA: - 1470 - Ragiona sulla figura del capofamigliaparlando del pater familias ragiona sulla figura del princeps - Prospettiva conservatrice 16 EPOCA 4 : LA CULTURA DELLE CORTI : 1454Pace di Lodi La corte diventa dunque il centro di irradiamento di una nuova cultura che ha il compito di offrire un ritratto idealizzato e splendido delle singole realtà politiche , come anche di proporre paradigmi culturali, etici ed artistici che : la corte diventa soggetto della letteratura e delle diverse forme artistiche che ne descrivono con grande efficacia i valori forme di mecenatismo FIRENZE: di assoluta centralità resta la politica culturale promossa da Lorenzo De’Medici, detto il Magnifico, intelligente politico politico e abile, capace soprattutto di pensare alla letteratura e alle arti come strumenti di affermazione egemonica nei confronti delle altre realtà politiche e culturali all’interno della penisola italiana NAPOLI: una seconda direttrice .convintamente sostenuta da Lorenzo in prima persona, è costituita da una forte letteratura volgare che fa da baricentro da Dante sino ai contemporaneiesempio significativo è la Raccolta aragonese , una antologia manoscritta inviata come omaggio al re di Napoli , nella quale si designa una sorta di storia della letteratura italiana LE ACCADEMIE : Accanto al mondo della corte vi operano altri spazi in cui il letterato opera, le Accademie, cenacoli letterari non sempre rigidamente regolamentati e spesso regolamentati con un diretto rapporto con il potere  Accademia della Crusca LIRICA genere più rilevante 1040Invenzione della stampa da parte del tedesco Johann Gutenberg Bibbi in tedesco diffusione dei libri in ampia scala LORENZO DE’ MEDICI (1449-1492) o Nato a Firenze nel 1449, riceve un’educazione di tipo umanistico o Scrive da adolescente l’ operetta mitologica in terzine Corinto, basato sull’amore non corrisposto o 1469 il padre muore e diventa signore di Firenze o Sapiente politica di alleanze e accordi che rende Lorenzo il perno dell’equilibrio italiano o 26 aprile 1478 – Congiura dei Pazzi  Muore Giuliano o Attività di mecenate o Autore di ballate e carnascialescheCanzone de’ sette pianeti, Canzone di Bacco ed Arianna AMBIENTE FERRARESE : Ferrara è una capitale di un regno abbastanza debole, il suo potere economico è ostacolato dallo strapotere di Venezia ; Casa D’Este lotte di successione  nuovo status  ambizioni politiche e dinastiche estensi; nel corso di questi sviluppi politici nel 1429, con l’arrivo di Guarino Guarini, chiamato da Niccolò III, come professore universitario, la politica subisce una svolta Umanesimo ferrarese. Alle lezioni di Guarini assistono allievi da tutta Europa, richiamati dalla sua persona e dal suo modello basato sulle humanae littarae, che punta ad una formazione graduale dell’uomodai rudimenti della lingua ai testi della filosofia antica. Dall’incontro fra classicismo guariniano e tradizione cortese nasce il peculiare gusto del Rinascimento ferrarese: E’ assecondando anche il gusto e le necessità dinastiche degli Este, che Boiardo, figlio dell’Umanesimo, scrive l’Orlando innamorato. MATTEO MARIA BOIARDO (1441-1494) Matteo Maria Boiardo nasce nel maggio 14441 a Scandiano, lo zio materno è allievo di Guarino , il più importante poeta latino ferrarese del tempo, Dal “blocco politico” formato dagli Strozzi e dai Boiardo, Matteo Maria eredita anche lo strettissimo vincolo di lealtà con gli Este , in particolare con Borso, che aveva donato delle terre al nonno. Nel 1451 perde entrambi i genitori, ma riesce comunque a conseguire un’educazione di tipo umanistico grazie al nonno, allo zio e agli Strozzi, morti anche i primi, ottiene in eredità un feudo che dovrà dividere con il cugino Giovanni, per volontà del nonno, fra il 1461 e 62 si trasferirà alla corte di Ferrara, dove inizierà la sua vita pubblica 17 L’ingresso in Italia delle truppe francesi di Carlo VIII nel 1494 segna un momento di direzione verso un destino di inesorabile decadenza In questo periodo di aperta crisi, il mondo intellettuale si sforza di proporre, quasi come antidoto, una cultura di impronta classicista, capace di mettere a frutti della riflessione umanistica, e insieme di valorizzare, elevandolo a lingua normata, il volgare. QUESTIONE DELLA LINGUA: Soprattutto nei primi anni del Cinquecento si assiste al dibattito sul tema della lingua, sempre ispirato dal poter giungere ad una norma universale condivisa che possa garantire stabilità sovratemporale al volgare. All’idea di una lingua modellata su quella in uso nelle corti italiane, sostenuta da Castiglione nel Cortigiano, si contrapposero diverse posizioni:  Giovan Giorgio Trissino : si muove sul modello del De vulgari eloquentia di Dante “abbiamo bisogno di immaginare una lingua che sappia includere un ampio canone di autori”  Macchiavelli : “ la centralità è quella del fiorentino, in quanto lingua delle Tre Corone”  Pietro Bembo : con il proprio trattato Prose della volgar lingua (1525) “basiamo la grammatica su una campionatura di modelli eccellenti, Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa”  teoria approvata IL MESTIERE DEL LETTERATO: Se nel Quattrocento la posizione del letterato era legato al potere politico e alla figura dell’uomo di corte, nel corso del Cinquecento tale situazione si stabilizza, pur all’interno di un quadro più articolato . Le difficoltà della condizione dell’esercizio dell’intellettuale nel mondo della corte sono documentate nel Cortigiano di Baldassare Castiglione; in questi anni si fa sempre più evidente la volontà di far trasparire attraverso le opere letterarie una sorta di autoritratto nel quale il letterato rivendica una specifica autonomia. Il desiderio di voler vedere riconosciuta una propria specificità si riscontra anche nell’ambito dell’editoria, un ambito nel quale i letterati giocano un ruolo più decisivo ,tanto nelle vesti di autori attenti che una tipografia di dimensioni industriali garantisce, quanto interpretando il ruolo di abili editori di testi altrui. PIETRO BEMBO (1470-1547) Nato a Venezia nel 1470 e appartenente ad una delle più importanti dell’aristocrazia della città, Bembo riceve un’educazione di tipo umanistico, ben presto la vocazione letteraria del giovane diventa totale, tanto da entrare in conflitto con il padre; nel 1469 Bembo manda alla stampa la sua prima opera De Atena Ed offre un’immagine quanto mai eloquente dei suoi interessi, come anche della sua personalità . Il De Atena viene stampato da Aldo Manuzio, editore con il quale Bembo sin dalla prima gioventù stringe un sodalizio importante, contribuendo della grande collana di classici greci e latini che tra la fine del Quattrocento e l’inizio del nuovo secolo andò stampando. Nel 1505 dà alle stampe la sua prima opera, gli Asolani, la cui composizione risale al 1497 , quando si sposta a Ferrara, dove rimane sino al giugno del 1499. ANSOLANI - 1497 - Trattato sul tema amoroso - Organizzato in tre libri: il primo libro: tema sull’amore infelice il secondo libro: tema sull’amore felice il terzo libro: fenomeno amoroso 20 La scelta di Bembo di abbandonare definitivamente la carriera politica al servizio di Venezia, da un lato aumenta i contrasti con il padre e dall’altro consente al letterato veneziano di cercare un’altra sistemazione nel mondo cortigiano e nel 1505 si stabilisce alla corte di Urbino: si inaugura così un periodo segnato da un’intensa attività letteraria legata al mondo cortigiano; un esempio sono i componimenti come le Stanze  50 componimenti in tema amoroso, composte per il carnevale del 1507 o i Motti  distici a rima baciata di carattere gnomico e proverbiale, non esenti da venature erotiche. LE PROSE DELLA VOLGAR LINGUA - 1525 - Questione della lingua - Il dialogo è ambientato a Venezia nel dicembre del 1502 e vede come protagonisti alcuni amici di Bembo, a ciascuno dei quali è affidato un ruolo prestabilito. - All’umanista Ercole Strozzi spetta il compito di ergersi a difensore della supremazia della lingua latina; Giuliano de’ Medici difende la necessità di fondare una grammatica sull’uso fiorentino; Carlo Bembo si fa portavoce delle idee del fratello e individua il modello di Petrarca nella poesia e in Boccaccio la prosa. LE RIME - 1530 - Campione esemplare della nuova lingua poetica - Le prime liriche risalgono infatti al periodo della sua prima formazione, segnate dall’interesse e da una predilezione per il culto della poesia di Petrarca - 60 testi caratterizzati, per ciò che concerne lo stile e le scelte metriche, da una sicura preferenza per il modello petrarchesco LUDOVICO ARIOSTO (1474-1533) ! Primato del fare letterario  celebrazione degli ideali più alti ( la bellezza, la virtù, l’amore)e insieme luogo di disvelamento delle loro cadute, debolezze , infrazioni , limiti dell’agire umano ! Eredita dal prozio la passione per i romanzi cavallereschi ! Instabilità delle passioni Nasce nel 1474 a Reggio Emilia ed è il primo di dieci fratelli, a partire dal 1484 si trasferisce a Ferrara, dove inizia a studiare legge, questi studi si interrompono ben presto ed inizia un apprendistato nel quale si collocano le prime prove poetiche, in latino ed in volgare, ma che è soprattutto segnata dalle lezioni di Gregorio da Spoleto. Già al servizio degli Este nello scorcio finale del Quattrocento, Ariosto vede la sua esistenza mutare profondamente a seguito della morte del padre, avvenuta nel 1500. Nel giugno dello stesso anno, assume il ruolo di capofamiglia e deve orientare le sue scelte pensando al mantenimento di una famiglia ampia, accetta una serie di mansioni, dentro e fuori Ferrara, ed in seguito nel 1503 entra al servizio diretto del cardinale Ippolito d’Este. Sotto il segno di Ippolito e degli Este compone la prima edizione dell’Orlando Furioso, di questo lungo lavoro rimangono poche tracce, note che perlopiù denotano il prezioso lavoro di Ariosto. ORLANDO FURIOSO (I) - 1515 - Ariosto chiede ed ottiene i privilegi di stampa per lo stato pontificio ed i principali Stati italiani - 40 canti in ottave - Equivalenza tra la follia di Orlando e quella del narratore - Rapporto stretto con le vicende contemporanee - incompleto 21 ORLANDO FURIOSO (II) - 1525 - Profonda revisione - 46 canti in ottave - Guerra tra i Franchi di Carlo ed i Saraceni di Agramante; Follia di Orlando; Amore tra Ruggero e Bradamante - Struttura solida che presiede e sorregge tutta la materia narrativa : XII (castello di Atlante) ; XIII ( follia di Orlando); XXXIV (Astolfo sulla luna) - Lo stesso narratore si riserva uno spazio di espressione in apertura di quasi tutti i canti del poema - Instabilità delle passioni - Alternanza di valori e disvalori - Ironia come strumento conoscitivo all’interno della narrazione - Tecnica dell’enjambementnarrazione fluida Prima della battaglia tra i Mori, che assediano Parigi, e i cristiani, Carlo Magno affida Angelica al vecchio Namo di Baviera, per evitare la contesa tra Orlando e Rinaldo che ne sono entrambi innamorati, e la promette a chi si dimostrerà più valoroso in battaglia. I cristiani sono messi in rotta e Angelica ne approfitta per fuggire ancora e incontra un vecchio eremita. Durante il viaggio, il perfido Pinabello scopre che Bradamante appartiene alla casata dei Chiaramontesi, nemica di quelli di Maganza, a cui egli appartiene: allora a tradimento getta la fanciulla in una profonda caverna. Qui però Bradamante è salvata dalla maga Melissa, che la guida alla tomba di Merlino, dove la guerriera viene a conoscere tutta la sua illustre discendenza, la casata estense. Melissa informa Bradamante che, per poter liberare Ruggiero, dovrà impadronirsi dell'anello magico di Angelica, che il re Agramante ha affidato al truffaldino Brunello; l'anello infatti ha un doppio potere: portandolo al dito rende immuni dagli incantesimi, tenendolo in bocca rende invisibili. Orlando, in seguito a un sogno, parte da Parigi alla ricerca di Angelica, seguito dal fedele amico Brandimarte. A sua volta la sposa di questo, dopo un mese, parte alla sua ricerca. Orlando salva Olimpia dagli intrighi di Cimosco, re della Frisia, e libera il suo promesso sposo, Bireno. Il giovane però si innamora della figlia di Cimosco, sua prigioniera, e abbandona Olimpia su una spiaggia deserta. Intanto Ruggiero, che ha appreso da Logistilla a mettere le redini all'ippogrifo, giunge in Occidente, salva Angelica dall'orca ed è affascinato dalla sua bellezza; ma la fanciulla, che è tornata in possesso del suo anello fatato, si dilegua. Orlando giunge anch'egli all'isola di Ebuda e salva Olimpia da una sorte analoga a quella di Angelica. Proseguendo nella ricerca della donna amata, resta prigioniero in un palazzo fatato di Atlante, insieme a Ruggiero, Gradasso, Ferraù, Bradamante. Vi giunge anche Angelica, che libera Sacripante per farsi da lui scortare, ma per errore anche Orlando e Ferraù la inseguono. Mentre questi combattono, Angelica si dilegua portando via l'elmo di Orlando. Il paladino libera la pagana Isabella, che, innamorata del cristiano Zerbino, è stata rapita dai briganti mentre cercava di raggiungerlo. Nel palazzo fatato di Atlante cade prigioniera anche Bradamante, sempre alla ricerca di Ruggiero. Intanto i Mori scatenano l'assalto a Parigi, e il re saraceno Rodomonte riesce a penetrare nella città, compiendo imprese straordinarie. In soccorso a Parigi è giunto Rinaldo con le truppe inglesi e scozzesi, e con l'aiuto dell'arcangelo Michele. Il paladino uccide il re Dardinello; nella notte due giovani guerrieri saraceni, Cloridano e Medoro, cercano il cadavere del loro signore sul campo di battaglia e alfine lo trovano, ma vengono sorpresi dai cristiani; Cloridano rimane ucciso e Medoro è abbandonato gravemente ferito sul terreno, per poi essere trovato e salvato da Angelica, che si innamora di lui, anche se è un umile fante; i due si uniscono in matrimonio e partono per raggiungere il Catai. Orlando intanto ricongiunge Isabella a Zerbino e insegue il re tartaro Mandricardo. Per caso capita sul luogo degli amori di Angelica e Medoro e vede incisi i loro nomi ovunque. Dal pastore 22 credendo di essersi sbarazzato di Bradamante, le ruba il cavallo e va via. La donna però è ancora viva e sul fondo della caverna trova una porta dietro la quale vi è una specie di santuario: qui incontra la maga Melissa, seguace del mago Merlino, nella cui tomba si trovano. Ella rivela a Bradamante una profezia che la riguarda: da lei e Ruggiero nascerà la nobile dinastia degli Estensi. Lo spirito di Merlino le presenta poi tutti i personaggi più illustri di questa dinastia. Dopodiché Melissa si offre di aiutare la guerriera a salvare Ruggiero: ella dovrà rubare un anello da un uomo di nome Brunello, anello che rende immune dagli incantesimi. Quest'oggetto sarà fondamentale nel combattimento con Atlante, mago che tiene Ruggiero nascosto. Giunte presso Bordeaux, le due ragazze si dividono: presso una locanda Bradamante finalmente incontra Brunello. Canto IV La simulazione è biasimevole, ma spesso è necessaria "in questa assai più oscura che serena / vita mortal, tutta d'invidia piena": questa l'amara riflessione che il poeta affida all'ottava proemiale. Brunello è molto abile nel rubare e nel mentire, quindi Bradamante cerca di catturare la sua simpatia mentendo a sua volta. Un negromante terrifica il villaggio in cui i due si trovano: la guerriera si offre di sconfiggerlo e Brunello decide di andare con lei. Giunto il momento di uccidere Brunello e prendersi l'anello, Bradamante si limita a legarlo ad un albero e sfida il negromante. Questi, che poi si rivela essere Atlante, viene facilmente sconfitto dalla ragazza, grazie al potere dell'anello, ma non viene ucciso da questa, che anzi gli chiede di raccontarsi. Quando ella viene a sapere che Atlante sta nascondendo Ruggiero, costringe il negromante a portarla alla rocca e successivamente a liberare tutti i prigionieri e Ruggiero. Ma quando i due amanti stanno per riabbracciarsi, ecco che Atlante manda a Ruggiero un ippogrifo che in poco tempo lo porta tra le nuvole, lontano dal suo destino. Rinaldo, nel frattempo, viene portato dalla tempesta nella Scozia settentrionale, presso una foresta, che inizia ad esplorare. Presso un'abazia gli viene raccontato che la figlia del re del posto, Ginevra, è stata colta in adulterio da un nobile e sarà arsa sul rogo se un campione non sconfiggerà questo nobile in un duello: questa è l'aspra legge di Scozia. Rinaldo immediatamente si offre di salvare la donzella: quindi parte insieme ad uno scudiero che gli mostri la strada da percorrere. Ma dopo poco incontrano una donzella, braccata da due briganti: subito Rinaldo la salva e per guadagnare tempo, ascolta la storia della donzella mentre riprende il cammino. Canto V In "tutti gli altri animai che sono in terra" i sessi convivono pacificamente, è solo nella specie umana che il maschio è violento con la femmina: un comportamento abominevole, contro natura e contro Dio, che Ariosto condanna accoratamente nelle ottave proemiali. La ragazza, che si chiama Dalinda ed è la serva di Ginevra, racconta a Rinaldo e allo scudiero, tutta la storia: ella aveva un amante, Polinesso, il quale le aveva chiesto di fare di tutto per farlo sposare con Ginevra, e diventare re, ma la principessa era già innamorata di un tale Ariodante. Così l'amore di Polinesso per Ginevra si tramuta in odio: con uno stratagemma fa terminare la relazione tra i due amanti, anche con l'aiuto di Dalinda. Ariodante decide di uccidersi gettandosi da una rupe per il troppo dolore; suo fratello Lurcanio vuole allora punire Ginevra e si appella al re. Sentita la storia, Rinaldo parte per Saint Andrews, città dove risiede la corte reale scozzese, e qui fa sospendere dal re un combattimento di Lurcanio con un altro guerriero: narrato tutto l'inganno alla corte, sfida in duello Polinesso e lo uccide, liberando Ginevra dalle accuse. Il re nel premiare Rinaldo chiede anche l'identità dell'altro cavaliere. Canto VI Nel proemio Ariosto afferma che il male commesso si palesa da sé, perché, per quanto il malvagio tenti di occultarla, è lui stesso che inavvedutamente manifesta prima o poi la propria colpa. Per lo stupore di tutti, si scopre che dietro l'elmo vi è Ariodante! Questi infatti si era gettato sì dalla rupe, ma era sopravvissuto e aveva raggiunto a nuoto il lido. Dopo lunghe riflessioni, ospitato a casa di un eremita, aveva poi deciso di difendere l'amata dall'accusa mossa dal suo stesso fratello. Il re, avuta testimonianza dell'amore del ragazzo per sua figlia, decide di farli sposare e, su consiglio di Rinaldo, proscioglie dalle accuse anche la serva Dalinda. Intanto Ruggiero sta volando, rapito dall'ippogrifo di Atlante, che dopo aver viaggiato per molto tempo, atterra in Sicilia, in un boschetto. Ruggiero subito scende e lega l'animale ad un albero di mirto, il quale però si lamenta per il dolore: si tratta di Astolfo, tramutato in albero da Alcina, che lo aveva prima amato, poi rifiutato e quindi trasformato. Ruggiero allora, per 25 salvare quello che è anche il cugino della sua amata Bradamante, si dirige verso il palazzo di Logistilla, sorella ma nemica, di Morgana e Alcina. Lungo la strada viene però attaccato da individui che rappresentano i vizi, i quali lo avrebbero catturato se Bellezza e Leggiadria, uscite dalle mura della città di Alcina, non fossero intervenute, città in cui Ruggiero si reca. Qui regnerebbe un clima di pace e prosperità, se non fosse per la gigantessa Erifilla, personificazione dell'avarizia, che il paladino accetta di affrontare Canto VII Chi va in terra straniera al suo ritorno racconta cose che non son credute dallo “sciocco vulgo”, analogamente qualcuno potrebbe dubitare della verità del racconto ariostesco. Nel proemio il poeta, rivendicando con forza la realtà effettiva di ciò che canta, afferma così antifrasticamente il carattere tutto letterario della narrazione. Dopo che Ruggiero colpisce la gigantessa, essa cade a terra a sancire la vittoria del paladino nel duello: quindi questi e le due personificazioni riprendono il cammino e giungono nel bel palazzo della bella Alcina. Ruggiero inizialmente non si lascia ammaliare dalla bellezza della ragazza solo perché Astolfo lo aveva messo in guardia, ma poi inizia a cedere fin quando addirittura egli e la malvagia maga esplodono in una passionale relazione, che fa totalmente dimenticare al ragazzo tutto il resto della sua vita, compresa Bradamante. Ella, essendosi vista portar via l'amato a pochi metri dall'abbraccio con lui, inizia a cercarlo ovunque le venga in mente, disperata. Ad un tratto incontra la maga Melissa, che le aveva predetto la sua sontuosa progenie, che la informa che Ruggiero ora si trova sull'isola di Alcina. Bradamante moltiplica la sua disperazione, tanto che Melissa le promette che riporterà in poco tempo il suo amato in Francia, ma per battere Alcina ella ha bisogno dell'anello della guerriera. Giunta presso l'isola e assunte le sembianze di Atlante, Melissa rimprovera Ruggiero e gli fa indossare l'anello per farlo tornare in sé e fargli scoprire che la meravigliosa bellezza di Alcina era solo un'illusione. Subito il paladino si mette le armi e, in sella al cavallo che fu dell'Argalia, si dirige senza essere visto verso la casa di Logistilla. Canto VIII Alcina è una “vera” maga, ma incantatori e incantatrici non mancano neanche “tra noi”, solo che non ricorrono agli incantesimi, ma alla simulazione e alla menzogna per legare a sé gli amanti. Alcina, per correre dietro a Ruggiero, lascia il castello incustodito e subito Melissa ne approfitta per sciogliere tutti i sortilegi fatti dalla maga malvagia: distrugge il castello, riporta in forma normale tutti quelli che da lei erano stati trasformati (compreso Astolfo) e li fa volare nei loro paesi d'origine. Dopo aver trovato la lancia d'oro dell'Argalia, Melissa si reca anch'essa da Logistilla, in sella all'ippogrifo di Ruggiero. Rinaldo nel frattempo ha chiesto al re di Scozia di sostenere con truppe la guerra di Carlo in Francia: la richiesta viene accolta con la più assoluta disponibilità; stessa reazione gli viene dal re Ottone I di Inghilterra. Angelica intanto sta scappando, impaurita da Rinaldo, e incontra un eremita, che per godere della bellezza della ragazza si fa aiutare da un demone, il quale si impossessa del cavallo di lei e nuota nell'Atlantico fino ad una costa deserta, dove l'eremita lo aspetta e, fattala addormentare, si corica accanto a lei. Vi era una macabra usanza lì nelle terre d'Irlanda che per calmare un'orca assassina mandata da Proteo, protettore del "gregge" marino, la popolazione ogni giorno doveva darle in pasto una giovane e bella ragazza. Dei marinai trovarono Angelica dormiente su una di quelle coste: catturarono lei e l'eremita e chiusero la ragazza in una torre. Poi lasciarono la ragazza come ultimo sacrificio in omaggio alla sua bellezza, ma venne comunque il suo giorno ed ella viene incatenata ad uno scoglio in attesa dell'orca. Nel frattempo a Parigi, sotto assedio, Orlando durante la notte si dispera per aver perso le tracce dell'amata Angelica: in sogno gli appare la ragazza implorante aiuto e Orlando, senza la minima esitazione, si veste a battaglia e parte, seguito da Brandimarte. Canto IX Orlando non si fa problemi ad abbandonare la battaglia per inseguire Angelica, ma l’autore non lo biasima perché sa per esperienza che grande è la forza dell’amore e lui stesso per causa di esso è stato al proprio “ben languido ed egro, / sano e gagliardo a seguitare il male.” Orlando, giunto presso un fiume invalicabile, trova una donna su una nave diretta in un'isola di Irlanda dove vi era l'usanza di offrire ad un mostro marino una fanciulla al giorno, per aiutare un re vicino a distruggerla, e decide di andare con lei pensando di trovare Angelica sull'isola. Ma il 26 vento sfavorevole porta i due su un'altra costa dove una donna di nome Olimpia, già promessa ad un duca chiamato Bireno, è stata chiesta dal possente Arbante, principe di Frisia, il quale, rifiutato, sta combattendo una guerra contro il regno della ragazza. I suoi consiglieri avevano di nascosto stretto un accordo con Cimosco, re di Frisia e padre di Arbante, per far cessare la guerra in cambio della ragazza, ma questa dopo il matrimonio fa uccidere il principe nel sonno: allora per vendetta il re imprigiona Bireno e dice che ucciderà o lui o la ragazza. Ella vuole allora sacrificarsi, ma chiede ad Orlando la garanzia che poi Bireno sarà mandato in salvo e che questi non faccia la sua stessa fine. Orlando di contro, promette che salverà entrambi: giunti presso la corte di Frisia, chiede di poter sfidare il re a duello. Ma lui si presenta con tutto il suo esercito, il quale viene però sbaragliato dal paladino che, dopo aver inseguito il re, lo uccide con la spada e libera Bireno, per la gioia di Olimpia. Orlando subito salta sulla nave per recarsi a Ebuda per salvare Angelica. Canto X L’amaro caso della fedele Olimpia tradita da Bireno serva da esempio alle donne ad essere più sospettose nei riguardi dei giuramenti degli amanti; è giusto diffidare in particolare dei giovani uomini che si dileguano appena ottenuto quel che vogliono, mentre gli amatori maturi sono più affidabili. Torniamo in Olanda: qui Bireno trova nel trambusto della morte del re, la sua figlioletta quattordicenne e decide di mandarla in sposa al fratello minore. In realtà egli si è innamorato della ragazza e vuole soddisfare la sua passione amorosa. A causa del vento contrario, Olimpia, Bireno, la ragazza e il resto dell'equipaggio sbarcano su un'isola deserta e apparecchiano l'accampamento per ripartire il giorno dopo. Ma durante la notte Bireno scende dal letto e ordina a tutti di lasciare l'isola, lasciando da sola Olimpia al suo destino. Ella infatti, accortasi di essere sola, si dispera per la sorte perfida che le è capitata. Ruggiero nel frattempo si sta dirigendo verso Logistilla, così determinato che supera facilmente tre personificazioni delle tentazioni, dopo le quali salpa verso l'isola della maga con il suo nocchiero. Giunti i due presso il castello incontrano, oltre che Logistilla, anche Astolfo e Melissa: la maga, dopo aver insegnato al ragazzo a manovrare l'ippogrifo, lo lascia volare via per ritornare da Bradamante. Ruggiero così, avendo sorvolato Asia e poi Europa orientale, giunge a Londra, dove le truppe degli stati britannici si stanno preparando per salpare e portare aiuto a Carlo Magno, guidati da Rinaldo. Dopo aver ripreso il volo, Ruggiero scorge, sorvolando l'Irlanda, che Angelica è legata sull'isola di Ebuda, nuda, ad uno scoglio. All'improvviso appare l'orca, che ingaggia una lotta contro l'eroe in sella all'ippogrifo. Dopo aver cercato di colpire l'animale, senza però fargli neanche un graffio, Ruggiero decide di liberare solamente la ragazza e volare via: ma atterra dopo poco su un'altra spiaggia. Canto XI Ruggiero si ritrova tra le mani Angelica nuda, nulla di strano che, come un orso davanti al miele, venga sopraffatto dalla “libidine furiosa” e cerchi di possederla. Il proemio è l’ennesima riflessione del poeta sul potere ineluttabile delle passioni irrazionali sull’essere umano. Ruggiero atterra perché non riesce a resistere alla tentazione di approfittare di Angelica che si ritrova nuda davanti a lui: la ragazza però riesce a sottrarsi mettendo l'anello magico in bocca e quindi diventando invisibile. Fugge quindi in una caverna poco lontano, dove mangia le vivande di un pastore che abita lì e prende un animale per farsi portare di nuovo in oriente, il tutto rimanendo invisibile. Ruggiero, dispiaciuto per aver perso in un colpo la donna e l'anello magico, si rimette in volo e riatterra in una selva. Qui un gigante, che sta per uccidere un cavaliere, gli toglie l'elmo e si scopre che è in realtà Bradamante: allora Ruggiero inizia ad inseguire il gigante che sta portando via la sua amata. Orlando intanto raggiunge finalmente l'isola di Ebuda per salvare Angelica: giunto presso lo scoglio egli trova una fanciulla legata nuda ad esso e trova anche l'orca che la vuole mangiare. Ma lui riesce a ucciderla entrandogli in bocca e usando la spada dall'interno; mentre i popolani si abbattono su Orlando perché questi chieda il perdono al dio Proteo, giunge l'esercito degli Irlandesi, guidato dal re Oberto, che voleva radere al suolo l'isola per la sua macabra usanza. Ciò accade, e nel frattempo Orlando va a liberare la ragazza legata allo scoglio e incredulo scopre che si tratta di Olimpia! Allora le fa raccontare tutta la storia da quando l'aveva lasciata felice in Olanda. Il re Oberto di Irlanda, amico di Orlando, appena vede Olimpia, se ne innamora e dichiara che si occuperà lui della sua situazione: così Orlando si può concentrare sulla ricerca di Angelica. Quindi riparte e trascorre l'inverno seguente senza particolari gesta, fino a quando sente un forte grido proveniente da una selva. 27 salvataggio della sposa del re dopo che questa era stata rapita da un orco feroce. Quando inizia la giostra, Martano, l'amante di Orrigille, si mostra sprezzante e valoroso ma poi perde la sua sicurezza e tenta di scappare davanti al suo avversario; Grifone, coinvolto nella vergogna per questo comportamento di quello che crede essere il fratello della sua amata, inizia a dare spettacolo del suo valore e della sua forza, e sbalordisce il pubblico che sta assistendo alla giostra. Alla fine si scontra con il paladino del re, ma è lo stesso re a fermare lo scontro per non far sì che uno dei due muoia: Grifone vince la giostra, ma comunque non prova orgoglio, per la vergogna che gli ha provocato Martano. Quindi decide che andranno via dalla giostra di nascosto: giunti alla prima locanda, i tre si mettono a letto, ma Orrigille e Martano macchinano di rubare a Grifone cavallo, armatura e vestiti e di presentare Martano davanti a Norandino come Grifone, per farsi attribuire tutti gli onori della vittoria. Una volta sveglio, Grifone si rende conto di essere stato raggirato, non solo quella sera, ma fin dall'inizio, dato che Martano non era il fratello, bensì l'amante di Orrigille. Allora si veste dell'armatura di Martano e ritorna a Damasco: viene preso in giro ancora, stavolta nei panni di Martano, il quale, nelle vesti di Grifone, ottiene da Norandino il premio della giostra e il congedo. Grifone, dopo essere schernito pubblicamente, reagisce e inizia a fare una strage di popolo di quella città. Canto XVIII Tra i molti pregi di Ippolito d'Este, il più apprezzabile è che, pur essendo pronto a porgere orecchio alle lamentele, non è tuttavia disposto a dar credito ad un'accusa senza prima aver udito le ragioni del chiamato in causa. A Parigi in questo momento Carlo e i suoi paladini rimasti lì stanno attaccando Rodomonte, che minaccia la città dall'interno. Il guerriero saracino mette fuori gioco diversi paladini cristiani; ma la presenza del re riaccende gli animi del popolo, che inizia ad armarsi per attaccare lo sterminatore dei propri cittadini. Rodomonte, braccato dalla folla, uccide tante altre persone, ma poi opta per la fuga gettandosi nella Senna e nuotando fuori le mura. Nel frattempo l'angelo Michele che porta Discordia e Superbia verso il campo saracino alle porte di Parigi, incontra anche Gelosia in compagnia di un nano che deve portare a Rodomonte la notizia che la sua amata Doralice è stata rapita da Mandricardo. Il gruppo giunge alla Senna proprio mentre Rodomonte sta uscendo dall'acqua e Gelosia e il nano gli raccontano ciò che è avvenuto ed insinuano in lui l'odio per Mandricardo. Re Carlo, dopo la fuga di Rodomonte, mette in ordine i suoi uomini e li dispone in modo da affrontare meglio le varie compagini nemiche. Lo scontro tra cristiani e saracini è più che mai aperto, soprattutto dopo che un discorso di Dardinello ridà vigore al suo esercito. Il giovane re moro fa strage di nemici, tra cui Lurcanio, che insieme al fratello si era unito da poco alle forze cristiane. Nel frattempo Grifone sta lottando contro il popolo di Norandino, guidato dall'ira per i torti subiti. Il re, vista la strage messa in atto da un uomo che riteneva vile, si ricrede sul suo conto, ritira le truppe e gli concede tutti gli onori. Astolfo e Aquilante intanto stanno cercando proprio Grifone nei pressi di Gerusalemme, dove l'hanno perso. Incontrato lo stesso indovino che aveva informato Grifone, Aquilante capisce subito che il fratello si è recato in Siria per riprendersi la donna amata, quindi decide di partire per andarlo a recuperare e chiede ad Astolfo di tardare il suo rientro in Francia fino al suo arrivo. Prima di entrare a Damasco, Aquilante incontra Orrigille e Martano, li cattura ed inizia a trascinarli dietro al cavallo per farli schernire da tutto il popolo, che ora conosce la versione di Grifone dei fatti. Norandino in onore di Grifone indice una nuova giostra, alla quale vogliono partecipare anche Astolfo e Sansonetto, che quindi si dirigono verso Damasco. Lungo la strada incontrano Marfisa la quale decide di unirsi a loro per misurarsi nella giostra. Lì scopre che quelle in palio per il vincitore sono proprio le sue armi. Allora tenta di prenderle, ma Norandino la fa fermare: nasce uno scontro acceso che si trasforma in strage compiuta dai tre cavalieri. A difesa del re accorrono però sia Grifone che Aquilante. Per fortuna di tutti, dopo poco i toni si acquietano e Marfisa alla fine lascia l'armatura a Grifone come dono. Dopo alcuni giorni di festeggiamenti, i cinque decidono di partire per la Francia dove è ancora richiesto il loro aiuto. A Parigi proseguono i combattimenti: Dardinello trafigge Lurcanio (unitosi all'esercito cristiano con Ariodante) ma viene a sua volta ucciso da Rinaldo. A questa morte i cristiani acquistano un tale vantaggio che costringono Marsilio a ordinare la ritirata, non senza un massacro subito dai saraceni. 30 Cloridano e Medoro, due giovani guerrieri della schiera di Dardinello, decidono di addentrarsi durante la notte nell'accampamento cristiano al fine di recuperare il cadavere del loro re e concedergli una degna sepoltura. Per vendicarsi della sua morte però, fanno strage di nemici addormentati; tra le tante vittime, Alfeo, cortigiano di Carlo Magno, e i due giovani figli del conte di Fiandra, Malindo e Ardalico. Dopo aver preso il corpo di Dardinello i due Mori riescono a fuggire, ma per vie diverse: Medoro, che tiene con sé Dardinello, da una parte, e Cloridano da un'altra. Canto XIX La fedeltà di un soldato nei confronti del suo signore si può riconoscere solo nei momenti difficili. Quando Cloridano torna indietro per cercare Medoro, lo trova circondato da dieci cavalieri a cavallo: trafigge con le frecce due nemici e in tal modo riesce a prendere un po' di tempo. Ma Medoro viene colpito poco dopo da uno dei restanti cavalieri, e Cloridano rimane ucciso nel tentativo di vendicarlo. In realtà Medoro non è morto, e grazie all'incontro con una donna che poi si rivela essere Angelica, riesce a salvarsi. La fanciulla, mossa a pietà, guarisce infatti il ragazzo di cui poi si innamora fortemente; il suo sentimento è ricambiato, quindi nasce una bella e passionale storia d'amore tra i due, confermata dalle nozze. Angelica vuole tornare nel Catai con Medoro per farlo diventare erede al trono del padre. Nel frattempo Marfisa, Astolfo, Aquilante, Grifone e altri stanno lottando contro una tempesta durante il loro viaggio verso la Francia. Dopo quattro giorni per fortuna la tempesta cessa, ma la nave molto malconcia giunge ad una riva della Siria, senza poter ripartire. Vengono a sapere da un vecchio saggio che quella terra è dominata da "femine omicide" che sottoponevano ad alcune prove letali tutti gli uomini che sbarcavano lì. Tutto l'equipaggio vorrebbe tentare di ripartire, ma i cavalieri a bordo non aspettano altro che cimentarsi in queste prove: questi ultimi vincono la contesa e così ormeggiano nel porto della città. Subito vengono presi dalle donne guerriere che sottopongono loro alle due prove: prima bisognava sconfiggere dieci guerrieri contemporaneamente, poi soddisfare a letto dieci donne. I guerrieri fanno a sorte e decretano Marfisa come pretendente per entrambe le sfide, nonostante sia donna. Per la prima prova Marfisa è sfidata da nove cavalieri, che sbaraglia con facilità, e poi da un decimo, vestito di nero, con cui nasce un'accesa ed equilibrata disputa; essa dura fino al calar della sera, quando i due decidono di rimandare lo scontro al giorno dopo. Mentre si presentano, entrambi rimangono sorpresi dalle loro reciproche identità: il primo perché Marfisa è una donna, la seconda perché si avvede che il suo avversario è solo un ragazzino. Canto XX Le donne antiche hanno dato grande prova della loro virtuosità sia nelle armi che nelle lettere. Se in tempi più recenti sono mancate figure femminili eminenti, la colpa è degli scrittori moderni, che, per invidia o ignoranza, non ne hanno tramandato le gesta; anche tra le donne contemporanee all'autore abbondano gli esempi di virtù che meriterebbero di essere immortalati con la scrittura. Il ragazzo si chiama Guidon Selvaggio e rivela di essere parente di Rinaldo e di essersi guadagnato la sua carica di capo dopo aver superato entrambe le prove di quella città. Egli rivela a Marfisa e agli altri cavalieri il motivo per cui le donne comandano quel paese. Parlando con Marfisa, Guidon Selvaggio manifesta il desiderio di andare via da quella città dalle usanze così empie. Allora il gruppo escogita un piano per scappare: arrivati alla piazza, Giudone tenta di scappare, e, fermato dal popolo, dà il via ad una lotta tra i due schieramenti di guerrieri. Nel mezzo della battaglia Astolfo decide di usare il suo corno, facendo così scappare tutti quelli che erano nei dintorni, compresi quelli del suo gruppo. Questi sono corsi sulla nave preparata da una moglie di Guidon, che voleva scappare al pari del marito, e, dopo aver abbandonato Astolfo sul lido, sono giunti velocemente in Francia. Una volta lì, Marfisa si stacca dal gruppo perché ritiene sia poco onorevole, e intraprende un'altra strada. Gli altri giungono presso un castello, il cui padrone, Pinabello di Maganza, li fa imprigionare nel cuore della notte. Marfisa si dirige invece verso Parigi: presso un torrente incontra una donna anziana di nome Gabrina, la aiuta a oltrepassare il torrente e dall'altra parte si trova davanti un cavaliere con un superba donzella a fianco. Marfisa batte il cavaliere e fa vestire la donna anziana con le vesti della ragazza; poi le due partono. Il quarto giorno di cammino incontrano Zerbino, principe di Scozia, e con lui Marfisa ingaggia una giostra dal premio un po' particolare: chi vince, lascia la "bella donzella" all'avversario. Ovviamente Marfisa vince e lascia la vecchia a Zerbino, che solo dopo scopre contro chi ha giostrato. Mentre il ragazzo si dispera, per la perdita della sua 31 Isabella, la vecchia, che l'aveva conosciuta nella grotta quando assisteva dei briganti (canti XII- XIII), rivela al ragazzo solamente che Isabella è in realtà viva ma sta soffrendo molto, poi tace. Zerbino, che non aveva altro desiderio se non quello di cercare la sua fanciulla, deve però seguire la vecchia perché lo ha promesso a Marfisa. Un giorno, mentre vagano nel bosco, si imbattono in un cavaliere. Canto XXI Il cavaliere, che si chiama Ermonide, ha lo scopo di uccidere la vecchia, così come aveva già ucciso il resto della sua famiglia. Zerbino riesce a sconfiggere Ermonide, il quale però, prima di morire, racconta nei dettagli il motivo per cui ha avuto un obiettivo così poco onorevole come quello di uccidere una donna. Dopo il racconto Zerbino inizia a nutrire un profondo odio per la vecchia, la quale nondimeno ricambia il sentimento. Canto XXII Astolfo, rimasto solo, ha iniziato a viaggiare verso ovest ed ha raggiunto Londra in poco tempo. Venuto a sapere che il padre Ottone è andato a Parigi con l'esercito per aiutare il re di Francia Carlo, ritorna subito al porto e si imbarca per raggiungere la città francese. Sbarca a Rouen a causa di una tempesta e continua per terra in sella a Rabicano. Mentre si sta dissetando presso una fonte, un villano gli ruba il cavallo e lo costringe ad inseguirlo di corsa: i due giungono nel palazzo di Atlante, dove erano tenuti prigionieri diversi cavalieri. Resosi presto conto di trovarsi in un luogo incantato, prende subito il libretto che Logistilla gli aveva regalato e cerca un modo per superare quella difficoltà. Ma Atlante gli aizza contro tutti i paladini lì prigionieri (compresi Bradamante e Ruggiero), costringendo Astolfo ad usare il corno: tutti scappano e il cavaliere riesce a riprendersi anche Rabicano. Torna ad utilizzare il libretto e riesce a far scomparire quel palazzo magico. Lui però decide di volare con l'ippogrifo, quindi aspetta di regalare Rabicano al primo passante: Bradamante. Questa era riuscita a trovare Ruggiero e i due si erano riconosciuti solo quando Astolfo aveva rotto l'incantesimo di Atlante. Bradamante aveva però chiesto a Ruggiero di battezzarsi e così il paladino aveva fatto. Per consacrare il loro matrimonio i due amanti si erano recati a Vallombrosa, dove avevano incontrato una ragazza che piangeva per la morte imminente del suo amato (che poi si scoprirà essere Ricciardetto, fratello di Bradamante): i due allora avevano deciso di aiutarla. Scegliendo la via più breve i tre sarebbero dovuti passare per il castello di Pinabello (lo stesso che aveva imprigionato Aquilante, Grifone, Sansonetto e Guidon Selvaggio), dove vigeva una legge, a seguito dell'onta subita per mezzo di Marfisa, secondo la quale ogni cavaliere o donna che fosse passata di lì, avrebbe perso cavallo, armi e gonna. Per difendere l'usanza, Pinabello aveva imposto ai quattro paladini di occuparsi dei passanti: per Marfisa e Ruggiero è proprio il turno di Sansonetto. Questi era stato subito ferito da Ruggiero, mentre Pinabello si era avvicinato a Bradamante per sapere chi egli fosse: ma la donna aveva riconosciuto dalla voce colui che la aveva lanciata nella spelonca della tomba di Merlino! Allora aveva iniziato ad inseguirlo e lo aveva fatto fuggire in una foresta. Ruggiero invece, dopo aver accecato con la lucentezza del suo scudo magico Aquilante, Grifone e Guidon Selvaggio, si era pentito per aver sempre vinto con un aiuto e per aver perso la donna amata e quindi aveva gettato in un pozzo lo scudo di Atlante. Nel frattempo era giunta a Ruggiero e ai tre paladini la notizia che Pinabello era stato ucciso: l'artefice era stata Bradamante, la quale aveva iniziato poi ad errare per il territorio in cerca dell'amato Ruggiero. Canto XXIII Mentre stava cercando Ruggiero, nei pressi del palazzo di Atlante, aveva quindi incontrato Astolfo, il quale ora le porge le redini di Rabicano e può partire con l'ippogrifo. Bradamante pertanto ha il compito di riportare a Montalbano Rabicano e l'armatura di Astolfo, anche se non vede l'ora di cercare Ruggiero a Vallombrosa. Giunta a Montalbano, sua patria natale, la guerriera saluta la sua famiglia, lascia il cavallo ad Ipparca, figlia della sua nutrice d'infanzia e riparte immediatamente verso Vallombrosa. Lungo la sua strada Ippalca incontra Rodomonte con il nano che lo aveva avvisato che Doralice era fuggita con Mandricardo e viene derubata da questi del cavallo. Zerbino intanto, in compagnia di Gabrina, trova il cadavere di Pinabello, tenta di trovare il suo uccisore, ma poi va avanti. Presso Altariva trova il popolo disperato per la morte del loro principe Pinabello: il padre Anselmo promette un premio a chiunque gli dica chi sia il responsabile di questa perdita. Garbina, cogliendo l'occasione, annuncia al re che il colpevole è 32 Intanto Rodomonte si dirige verso il mare con l'intenzione di salpare per l'Africa; calata la sera si ferma in un'osteria, dove gli si offre la possibilità di ascoltare alcune storie sull'infedeltà delle donne. Canto XXVIII Nella locanda Rodomonte ascolta la storia, poi, dopo una notte insonne, decide di salpare, portando Frontino con sé. Seguendo il fiume trova un rudere nelle campagne intorno a Montpellier e lì decide di sistemarsi, abbandonando l'idea di tornare in Africa. Da quelle parti passano dopo poco tempo Isabella, il monaco e la salma di Zerbino, di cui non si parla dal canto XXIV: nonostante ella sia disperata per la morte dell'amato, comunque è talmente bella che Rodomonte dimentica subito le pene subite dal rifiuto di Doralice e pensa adesso solo ad Isabella. Questa però ha promesso al frate che si farà suora, quindi Rodomonte intrattiene un'accesa discussione, non totalmente verbale col chierico. Canto XXIX Rodomonte si libera facilmente del frate scagliandolo lontano; Isabella, vedendosi impotente dinanzi al gigante africano, decide di proporgli la ricetta di una crema magica che rendeva invulnerabili se egli avesse smesso di tentare di violentarla. Una volta pronta la pozione Isabella pensa di morire piuttosto che concedersi ad un uomo come lui: la pozione in realtà è solo un miscuglio di erbe aromatiche, ella lo beve e chiede a Rodomonte di saggiare con la spada se lei è diventata invulnerabile, ma finisce per l'essere da lui uccisa. Il guerriero rimane talmente colpito da questo sacrificio che decide di convertire il suo rifugio in un sepolcro a lei e a Zerbino dedicato. Inoltre fa costruire un piccolo ponte in prossimità del fiume, ponte dove sfiderà chiunque abbia intenzione di passare. Dopo poco passa di lì l'impazzito Orlando: i due si scontrano e cadono insieme nel fiume, ma il paladino, essendo nudo riesce a scappare dal guerriero saracino in armatura. Orlando prosegue poi fino ai Pirenei, dove commette diversi gesti di pazzia. Arrivato presso un litorale spagnolo decide di crearsi lì una capanna per ripararsi dal sole; sfortunatamente giungono sul posto anche Angelica e il suo amato Medoro. Appena Orlando si accorge dei due scatta in piedi e tenta di prendersi la ragazza: questa si mette l'anello magico in bocca, diventando così invisibile. Ma l'anello le cade da bocca perché il cavallo inciampa e la ragazza cade per terra: ciò rappresenta la sua fortuna, perché Orlando si allontana all'inseguimento del cavallo, che poi alla fine uccide. Canto XXX Orlando continua a vagare per le campagne, stavolta intorno Malaga, rubando cavalli, uccidendo pastori e saccheggiando villaggi. Da Gibilterra cerca invano di passare a cavallo lo stretto, fa morire il suo destriero e prosegue il suo cammino lungo la costa. Alla corte di Agramante, dopo il responso in favore di Mandricardo, si tira a sorte per decidere chi debba combattere il prossimo duello: Agramante si dispera perché in ogni caso perderà un prezioso combattente tra Ruggiero e Mandricardo; così come si dispera anche Doralice per l'amato. Inizia lo scontro tra i due guerrieri saracini: Mandricardo sembra avere la meglio, ma alla fine è Ruggiero a dare all'avversario il colpo mortale. Ippalca intanto è tornata a Montealbano da Bradamante e le ha dato la lettera di Ruggiero: la paladina si strugge per l'assenza del suo amato e si ingelosisce perché questi ha viaggiato in compagnia della bella Marfisa. Al castello giunge una sera anche Rinaldo, il quale, dopo aver riabbracciato i familiari, ha intenzione di partire per dare aiuto a Carlo in guerra; con lui partono anche Giucciardo, Alardo, Ricciardetto, Malagigi e Viviano. Canto XXXI Rinaldo e la sua compagnia incontrano un cavaliere che li sfida senza presentazioni: egli sconfigge Ricciardetto, Alardo e Guicciardo, e si dimostra al pari di Rinaldo. Si fa buio e i due sfidanti decidono di rimandare il duello al giorno dopo, ma dopo poco si scopre che il cavaliere misterioso in realtà è suo fratello Guidon Selvaggio (che abbiamo lasciato nel canto XX). Il cavaliere si aggiunge allora a loro nel cammino verso Parigi, dove incontrano i gemelli Grifone e Aquilante. Rinaldo viene a sapere da Fiordiligi, amante di Brandimarte, che Orlando è impazzito e delle vicende di Zerbino e delle armi del paladino. Prima di andare a cercare il cugino, Rinaldo guida le truppe cristiane in un assalto silenzioso nell'accampamento saracino; nel frattempo anche Brandimarte è stato informato dall'amata Fiordiligi, ed è subito partito con essa verso il ponte difeso da Rodomonte, dove la ragazza aveva visto Orlando per l'ultima 35 volta. Qui Brandimarte viene battuto e fatto prigioniero da Rodomonte: Fiordiligi allora decide di tornare a Parigi per chiedere aiuto a qualche paladino di Carlo. Nel campo saraceno intanto si sta diffondendo il panico più totale per l'incursione di Rinaldo: solo Gradasso è contento perché in questo modo potrà conquistare Baiardo, dopo che aveva conquistato Durindana uccidendo Zerbino. Dopo un acceso dialogo Rinaldo e Gradasso si sfidano per il cavallo e la spada. Canto XXXII Data l'invasione di Rinaldo, Agramante scappa ad Arli per salvarsi la vita. Saputo ciò, Marfisa abbandona il suo piano di uccidere Brunello e accorre in aiuto del suo re. Bradamante intanto si sta disperando perché Ruggiero non l'ha raggiunta entro il termine promesso: un cavaliere pagano di passaggio le riferisce la voce che Ruggiero e Marfisa stiano programmando di sposarsi appena Ruggiero si fosse ripreso dalle ferite riportate durante lo scontro con Mandricardo. Bradamante allora decide di correre al fronte per partecipare alla guerra contro i saracini di Ruggiero e Marfisa. Canto XXXIII Rinaldo e Gradasso intanto hanno ripreso la loro lotta, ma mentre stanno duellando vengono distolti dalla vista di un mostro alato che stava lottando con Baiardo. Il cavallo per sfuggire alla sua presa si nasconde in una grotta; i due guerrieri allora si dividono per cercare il cavallo con l'impegno di tornare sul campo di battaglia e concludere il duello, ma Gradasso, trovato Baiardo, decide di fuggire verso il campo saracino. Astolfo nel frattempo sta sorvolando l'Europa e l'Africa in sella all'ippogrifo. Canto XXXIV Astolfo viene ospitato una sera da un re in Egitto e lo salva, con l'aiuto del corno incantato, da alcune infernali arpie che lo stavano rovinando. Nell'inseguire le arpie finisce per entrare in una grotta, ingresso dell'inferno. Qui parla con una dannata ed ascolta la sua storia, ma poi è costretto a volare via per i fumi troppo densi e pesanti. A cavallo dell'ippogrifo Astolfo giunge poi sulla cima di una montagna, dove si scopre essere il Paradiso Terrestre. Il paladino viene subito accolto da San Giovanni Evangelista: questi gli rivela che il senno che Orlando ha perso si trova sulla Luna, quindi gli indica in che modo egli può arrivarci per poi far tornare il folle paladino in sé. Tra le varie cose perse sulla superficie della luna Astolfo finalmente ritrova il senno di Orlando. Canto XXXV Fiordiligi, in cerca di aiuto, incontra Bradamante, che si dirigeva verso Parigi. La ragazza spiega il suo problema e la guerriera subito si offre di aiutarla: entrambe si dirigono dunque al ponte difeso da Rodomonte. Bradamante riesce a sconfiggere il pagano, e quindi ottiene da costui le armi che portava e la liberazione di tutti i prigionieri, i quali erano stati inviati da Rodomonte nel suo regno in Africa. Fiordaligi è intenzionata ad andare incontro a Brandimarte, e Bradamante coglie l'occasione per far riportare alla ragazza il messaggio a Ruggiero col quale la guerriera lo sfidava a duello senza rivelare la sua vera identità. Fiordaligi entra così nel campo saracino, porta il messaggio a Ruggiero e poi prosegue verso il punto d'imbarco per l'Africa. Alla sfida lanciata a Ruggiero rispondono Serpentino, Grandonio, Ferraù, tutti battuti. Canto XXXVI Mentre Ruggiero si sta armando per sfidare il misterioso pretendente, Ferraù gli riferisce che secondo lui si tratta di Bradamante: Marfisa non gli da il tempo di partire, perché già è uscita dalle mura. Inizia allora una feroce lotta tra le due, che si odiano a vicenda ma per motivi diversi. Bradamante, dopo aver battuto anche Marfisa, punta Ruggiero e duella con lui, ma poi il guerriero la implora di smetterla e di lasciargli spiegare. Così si appartano, ma vengono raggiunti di nuovo da Marfisa, la quale credeva che il misterioso cavaliere stesse imprigionando Ruggiero; Bradamante allora la attacca ferocemente: Ruggiero cerca di dividere le due guerriere, ma Marfisa finisce per rivolgere la sua ira verso di lui. Mentre i due stanno lottando, la voce tonante di Atlante rivela che Ruggiero e Marfisa sono in realtà fratelli: il mago aveva iniziato a crescerli insieme, ma poi la ragazza fu rapita da un gruppo di arabi. Allora Ruggiero riconosce Marfisa come sua sorella e si riappacifica con Bradamante. 36 Canto XXXVII Dopo aver vissuto un'avventura insieme, Bradamante e Marfisa tornano all'accampamento, mentre Ruggiero si dirige verso Arli, dove è stanziato l'esercito pagano. Canto XXXVIII Presso la corte di Carlo Marfisa chiede di essere battezzata, ma durante la cerimonia gli astanti vengono distratti dall'arrivo di Astolfo, che porta con sé l'ampolla col senno di Orlando. Dal consiglio di guerra dei pagani viene emessa una proposta al re cristiano: l'intera guerra sarebbe stata decisa da un duello tra Ruggiero e il più valoroso paladino di Carlo. Il re francese accetta la sfida e decide di designare Rinaldo per quell'opera, data l'assenza di Orlando. Lo scontro ha inizio: Ruggiero non sa se cercare di vincere (uccidendo il fratello della donna amata) o lasciarsi sconfiggere (e quindi morire). Canto XXXIX Rinaldo è proteso all'attacco mentre Ruggiero preferisce limitarsi a difendersi per il dubbio che lo opprime. Melissa, la maga che ha predetto a Bradamante la sua gloriosa stirpe, interrompe con un incantesimo il duello: i due schieramenti così si cimentano in una feroce battaglia, mentre Ruggiero e Rinaldo si accordano a rimanere fuori dai giochi fin quando non si sia chiarita la situazione e individuato di quale schieramento sia la colpa del tradimento del giuramento. Astolfo intanto, oltre il senno per Orlando, ha preso dalla luna anche la vista per un re d'Egitto, il quale per ringraziarlo gli affida un nuovo esercito per sostenere la causa cristiana contro Agramante. Una volta sbarcati dall'Africa si ritrovano con Brandimarte e gli altri prigionieri di Rodomonte, con Orlando che sta sbaragliando chiunque gli si ponga innanzi e con Fiordiligi che è corsa in questa direzione per riabbracciare l'amato Brandimarte. Alla vista del selvaggio Orlando, Astolfo e tutti i paladini che sono lì si commuovono per lo stato in cui si trova ora il conte. Allora dopo un diversi tentativi, tutti insieme riescono ad immobilizzare Orlando e a fargli inalare il senno che Astolfo aveva preso sulla luna. L'esercito pagano sta ricevendo una grande sconfitta, quindi Sobrino, Marsilio e Agramante si chiudono all'interno delle mura di Arli, lasciando gran parte del loro esercito a morire sul campo di battaglia e progettando la ritirata. La flotta di Agramante però viene intercettata da l'esercito condotto da Astolfo: viene subito sconfitta da questo. Canto XL Mentre Marsilio fugge verso la Spagna, Sorbino e Agramante fuggono verso l'Africa; intanto i cristiani hanno agevolmente preso Biserta. A causa di una tempesta, il re saracino è costretto ad approdare presso un'isola vicino Lampedusa, dove ritrova Gradasso. I tre decidono inviare un messo a Biserta per sfidare Orlando e altri due paladini in un duello. Orlando accetta perché Gradasso aveva la sua spada e Agramante il suo cavallo: sceglie di partire con Brandimarte e Oliviero. Ruggiero intanto parte verso l'Africa dopo aver promesso di rinnegare il re (Carlo o Agramante) che non ha rispettato il patto di non intervento per il suo duello con Rinaldo. Lungo la strada sente tutti dire che la colpa è stata di Agramante, ma una volta giunto presso di lui, l'abitudine e la vista dei suoi compagni demoralizzati lo portano a riprendere terreno contro i cristiani. Egli in particolare lotta, sempre senza cattiveria, con Dudone, il quale sta comandando l'esercito cristiano stanziato lì. Canto XLI Quando il francese capisce che Ruggiero sta facendo di tutto per non ucciderlo, si dichiara sconfitto e concede al saracino di liberare i re pagani fin a quel momento fatti prigionieri. Appena salpata però, la nave di Ruggiero viene colpita da una violentissima tempesta. La nave viene così ad arenare presso Biserta, proprio mentre Orlando vi stava passando. Questo paladino, insieme a Brandimarte, ritrova nella nave abbandonata Frontino e le armi di Ruggiero. Una volta pronti, i tre cavalieri salpano verso l'isola dove dovrà svolgersi il duello con i tre guerrieri saracini. 37 invaghita, ricambiata. Orlando, convinto che Angelica sia innamorata di lui, pensa che Medoro sia un nome usato da lei per alluderlo. Va in una grotta e trova una poesia scritta dallo stesso Medoro in arabo, lingua che Orlando conosceva benissimo, in cui narrava l'amore per Angelica. Orlando comincia ad avere pensieri sempre più strani, e quando va a chiedere ospitalità per la notte presso un anziano pastore, egli, per alleviare la tristezza di Orlando stesso, gli racconta che sul letto in cui Orlando sta dormendo, Angelica e Medoro hanno consumato la loro passione amorosa dopo essersi innamorati. Quando Orlando vede il bracciale d'oro che Angelica aveva regalato al pastore per ripagare l'ospitalità, essendo lo stesso bracciale regalato alla bella da Orlando stesso l'ultima volta che si erano visti, impazzisce e si mette a distruggere tutto ciò che trova sul suo cammino. Infine si spoglia dell'armatura e dei vestiti e, esausto, si sdraia per terra nel bosco senza dormire e mangiare per tre giorni. Morte di Zerbino e Isabella Zerbino ed Isabella si sono da poco ritrovati, ma Zerbino muore in uno scontro con Mandricardo. Isabella vuole farsi monaca dopo la morte del suo amato, e va da un eremita. Rodomonte, colpito dalla bellezza di Isabella, uccide l'eremita e trascina via la donna. Isabella, che preferisce morire piuttosto che piegarsi alla violenza di Rodomonte, gli chiede di colpirla con la spada sul collo per vedere se una finta bevanda dell'invulnerabilità che ella aveva bevuto funziona. Rodomonte le dà il colpo di spada, Isabella muore pronunciando come ultima parola il nome dell'amato. Rodomonte, intenerito dal gesto di amore estremo, decide di trasformare la chiesetta del villaggio in un monumento funebre in onore di Isabella e Zerbino. Fa costruire anche un ponte senza protezioni e promette di adornare il sepolcro con le armi di tutti i cavalieri che oseranno attraversarlo.[11] Astolfo sulla luna Astolfo, in groppa all'Ippogrifo, vola a Nubia, una città tutta d'oro, dove vive il re Senàpo, vittima di una maledizione (è cieco e tormentato da uccellacci con il volto di donna, le arpie). Astolfo, dopo aver rotto la maledizione contro Senàpo, si reca sulla luna con il carro di Elia, per riprendere l'ampolla che contiene il senno di Orlando, e trova anche l'ampolla contenente il suo. Quindi consegna la boccetta ad Orlando che ne aspira il contenuto; di nuovo padrone di sé, potrà aiutare Carlo Magno a vincere la guerra contro i saraceni. BALDASSARE CASTIGLIONE (1478-1529) Proveniente da una famiglia nobiliare vicina ai Gonza, Castiglione nasce a Casatico , piccolo paese vicino Mantova, il 6 dicembre 1478 e si sposta a Milano, dove avviene la sua formazione umanistica, entro la quale coesiste anche un’attenzione verso il volgare . Nel 1499 perde il padre ed abbandona la corte degli Sforza per entrare al servizio del marchese Francesco Gonza. affascinato dal mondo della corte e dal suo codice IL CORTIGIANO - Gestazione lunga e complessa - Riflessione dell’autore sugli sviluppi storici politici e culturalidrammatica crisi - 1528 - Trattato in forma dialogica ambientato alla corte di Urbino nel 1507dimensione ideale - Rapporto tra principe e cortigiano regolamentazione e riqualificazione del ruolo del cortigiano - Questione della lingua - Mancanza, nonostante gli sforzi dell’autore, di omogeneità ed equilibrio 40 NICCOLO’ MACHIAVELLI ( 1469-1527) ! Riflessione politica realista ! Volontà di modificare l’esistente (virtù)contro l’oscuro insieme delle forze che le si oppongono (fortuna) nacque a Firenze nel 1469 da un famiglia modesta e di buona cultura: il padre Berardo era un uomo di legge, possessore di una biblioteca e autore de I Ricordi famigliari; la madre Bartolomea era autrice di rime sacre. Machiavelli ebbe un’educazione umanistica, ma non apprese il greco. Un documento importante per capire la sua formazione è il De rerum natura di Lucrezio che testimonia il suo interesse all’epicureismo, cultura avversa alla religiosità del tempo di Savonarola. Il suo indirizzo è laico. Nel 1498 concorse alla segreteria della seconda cancelleria del Comune, ma non ottenne il posto finché non morì il candidato del partito savonaroliano che lo aveva superato in graduatoria. In seguito divenne segretario della magistratura dei “Dieci di libertà e pace”. LE VICENDE POLITICHE Aveva molte responsabilità sulle decisioni di politica estera e interna, missioni diplomatiche e una fitta rete di corrispondenze, così ebbe una grande esperienza diretta della realtà politica e militare. Nel 1499 a Pisa riconquistò la città ribelle, nel 1500 considerò la monarchia di Luigi XII un modello da seguire. Nel 1502 compì una missione presso Cesare Borgia, duca Valentino, che con l’appoggio del padre, Papa Alessandro VI, aveva conquistato Urbino. Egli restò colpito da Cesare tanto da citarlo come modello nel Principe: vide la sua capacità politica nel 1503, quando spietatamente uccise i partecipanti di una congiura contro di lui. Colpito, stese una relazione dal titolo Del modo tenuto dal duca Valentino per ammazzare Vitellozzo Vitelli. Nello stesso anno morì Alessandro VI: successivamente avverrà la caduta di Cesare. Intanto Machiavelli scrisse una cronaca delle vicende italiane tra il 1494 e 1504: Decennale primo, dove esponeva la necessità di evitare le milizie mercenarie. Nel 1507 compì un missione in Tirolo con l’amico Francesco Vettori e ammirò la compattezza dell’esercito germanico e scrisse Rapporto delle cose della Magna. Nel 1511 ci fu lo scontro tra Francia, alleata di Firenze, e la Lega Santa del Papa. I Francesi furono sconfitti così anche i Fiorentini e Machiavelli dopo il ritorno dei Medici fu licenziato. Nel 1513 fu accusato di aver preso parte di una congiura e fu torturato e imprigionato, liberato in seguito grazie alla venuta del Papa Leone X. LA COMPOSIZIONE DELLE OPERE PIÙ IMPORTANTI Si dedicò agli studi ad Albergaccio, mantenne però i contatti con la vita politica grazie all’amico Vettori. In questo periodo scrisse il Principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e la commedia Mandragola. Tentò un riavvicinamento alla politica tramite i Medici, dedicando a Lorenzo il Principe, e tramite un gruppo di aristocratici che si riuniva nel giardini del palazzo Rucellai, a due di essi Buondelmonti e Cosimo Rucellai dedicò i Discorsi. Morto Lorenzo, salì al potere Giulio (che divenne poi Papa Clemente VII) che lo incaricò di scrivere la storia di Firenze, ottenne poi incarichi in collaborazione con Guicciardini. Nel 1527 si instaura la Repubblica è per il suo riavvicinamento ai Medici, Machiavelli fu emarginato. Morì improvvisamente il 24 giugno 1527. NICCOLÒ MACHIAVELLI: OPERE Niccolò Machiavelli fu uno scrittore molto prolifico. Ecco le opere più principali dell’autore fiorentino. L’EPISTOLARIO Le lettere ad amici e parenti sono scritte in vista di una pubblicazione (come in Petrarca) anche se scritte con grande immediatezza. Si alternano argomenti e toni vari: riflessioni politiche, analisi sui problemi contemporanei, scherzi e motti in tono beffardo. Egli è 41 consapevole di questa varietà tonale e la giustifica in una lettera a Francesco Vettori (imitata la natura che è varia). Tra le lettere spiccano quelle a Vettori dopo la perdita degli incarichi politici che sono riflessioni e spunti autobiografici. Famosa è quella del 10 dicembre 1513, dove descrive le sue future occupazioni durante il giorno. Ricordiamo Ghiribizzi al Sodernini, epistola indirizzata a un gonfaloniere, contiene alcuni punti fondamentali del suo pensiero. GLI SCRITTI POLITICI DEL PERIODO DELLA SEGRETERIA (1498-1512) Tra gli scritti politici distinguiamo quelli ufficiali, le Legazioni e commissarie, relazioni inviate al governo fiorentino, da esse si può cogliere il pensiero di Machiavelli, con i suoi schemi di analisi delle situazioni storiche e l’affermazione del principio dell’esperienza come fonte di conoscenza. I più interessanti sono quelli riguardanti i momenti salienti della politica del tempo, come la missione presso Cesare Borgia e Luigi XII. Ci sono giunti anche nel periodo della cancelleria altri brevi scritti, quelli meno ufficiali, che davano suggerimenti al governo: Discorso sopra le cose di Pisa, suggeriva di sottomettere la città; Del modo di trattare la Valdichiana ribellata, per cui consiglia di prendere decisioni radicali e non compromessi; Parole da dire sopra la provvisione del danaio, sostiene che la fortezza dello stato sono le armi. Troviamo anche il racconto della strage di Cesare Borgia contro i suoi congiuranti, Del modo tenuto dal duca Valentino per ammazzare Vitellozzo Vitelli. Raccolse poi le riflessioni delle sue missioni in Francia e in Germania (Ritratto della Francia e Rapporto delle cose della Magna), in cui prende come esempio la Francia e critica la Germania debole e disunita. IL PRINCIPE Il 10 dicembre 1513, in esilio in Albergaccio, compose un opuscolo De Principatibus, dove trattava cosa fosse un principato. Ci sono alcuni problemi di datazione, quando sia stato composto e se unitariamente o in fasi diverse e i rapporti che lo legano ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Si colloca la composizione tra luglio e dicembre 1513 in un'unica stesura, posteriormente ci fu la dedica a Lorenzo (1516). La stesura di quest’opera è stata interrotta, per la composizione del Principe, nel punto in cui si parlava della decadenza degli Stati e dei rimedi. Qui infatti si inserisce il Principe, che dà una soluzione a tali problemi. La dedica ai Medici testimonia un tentativo di avvicinamento e di collaborazione. Il trattato non fu stampato e circolò in una cerchia ristretta, fu pubblicato postumo nel 1532, dando molto scalpore. Pur essendo un'opera rivoluzionaria nel pensiero, si collega alla tradizione della trattatistica politica, anche nel medioevo erano diffusi trattati politici chiamati specula princeps, in quanto dovevano fornire al principe lo specchio in cui riflettersi. Se da un lato il Principe di Machiavelli si riallaccia a questa tradizione, da un altro lo rovescia: mentre i trattati davano un’immagine ideale, egli proclama di voler guardare alla verità effettuale della cosa, propone al principe i mezzi per il mantenimento dello Stato, consigliandogli anche la crudeltà e la menzogna quando le esigenze lo impongono. L’opera ha radici anche nei promemoria che venivano inviati al principe. Con il ritorno dei Medici il genere aveva ricevuto uno stimolo. Il Principe è un trattatello breve di 26 capitoli, in forma concisa e incalzante e densa di pensiero. La materia è divisa in diverse sezioni: capitoli 1-9 esaminano i vari tipi di principato e i mezzi per conquistarlo, distingue quelli ereditari (2) e nuovi (3) che possono essere misti (aggiunti come membri allo stato ereditario) o nuovi del tutto (4 e 5), conquistati con le proprie armi (6) o grazie alla fortuna (7), ancora conquistati con scelleratezza (8) e qui distingue la crudeltà bene e male usata (la prima è per necessità, la seconda cresce col tempo per vantaggio del tiranno). Nel capitolo 9 tratta del principato civile, dove i poteri vengono conferiti dai cittadini; nel 10 esamina la misurazione della forza dei principati. I capitoli 12-14 sono dedicati al problema delle milizie, giudicando negativamente quelle mercenarie che combattono per denaro e che sono causa della debolezza dello Stato. I 15-23 trattano i modi di comportarsi del principe con sudditi e amici, Machiavelli invece che consigliare virtù, va dietro alla verità effettuale della cosa perché gli uomini sono malvagi e il principe deve imparare ad essere non buono, guardando al fine. Il 24 esamina le causa della perdita di alcuni stati, l’ignavia. Il 25 il rapporto tra virtù e fortuna. Il 26 è un’esortazione al principe a liberare l’Italia dai barbari. Letteratura nel Rinascimento: caratteristiche e autori della prosa 42 Lo stato costituisce un rimedio alla malvagità dell’uomo: essa può essere ordinata nella repubblica, il cui fine è la cosa pubblica: la durezza del principe deve avere per fine questo bene pubblico. Sono indispensabili perciò patriottismo, solidarietà e onestà, ma gli uomini non essendo buoni hanno anche bisogno di precise istituzioni: la religione, le leggi, le milizie. Machiavelli non è interessato alla religione concettualmente, ma solo in quanto strumento di governo: essa infatti obbliga al rispetto reciproco, o almeno questa era la sua funzione per i Romani, oltre che indurre al coraggio. Nei Discorsi Machiavelli rimprovera la religione di aver indotto gli uomini alla mitezza. Le milizie sono invece il fondamento dello Stato e devono essere composte da cittadini fedeli alla loro patria: ciò rinsalderebbe i legami fra cittadini e patria. La forma di governo migliore è la repubblica e il principato è un’eccezione provvisoria; la repubblica non si basa sulle doti di uno solo ma su istituzioni stabile, questa è la sua forza. NICCOLÒ MACHIAVELLI: PENSIERO FILOSOFICO Il pensiero filosofico di Machiavelli si snoda lungo alcune direttrici. Ecco i temi principali. VIRTÙ E FORTUNA Machiavelli ha due concezioni di virtù: quella eccezionale del singolo e quella del buon cittadino. Ha inoltre una visione eroica dell’agire umano: ha fiducia nella forza dell’uomo ma sa che ha precisi limiti che non dipendono dalla sua volontà ma dalla fortuna (come in Boccaccio). Egli ritiene che l’uomo possa fronteggiare la fortuna, essa infatti è arbitra solo della metà delle cose umane e lascia regolare l’altra metà agli uomini. Vi sono vari modi, secondo Machiavelli, per combattere la fortuna: 1. cogliendo l’occasione: il politico deve trovare l’occasione adatta e approfittarne; 2. avendo la capacità di porre riparo, cioè prevedere possibili rovesci e predisporre i ripari. La virtù è un complesso di varie qualità: la perfetta conoscenza delle leggi politiche ricavate dall’esperienza o dalle lezioni antiche, la capacità di applicarle e la decisione nel metterle in pratica. La virtù è una sintesi di doti intellettuali e pratiche; 3. adattandosi alle situazioni: in certi casi si deve avere la forza di un leone e in altri l’astuzia della volpe. Troviamo però un pessimismo in quanto questo duttilità non si ritrova quasi mai negli uomini, perché se hanno avuto sempre buon esito comportandosi in un certo modo difficilmente sanno adattarsi diversamente. Egli reintroduce la casualità che sfugge al controllo dell’uomo. REALISMO SCIENTIFICO E UTOPIA PROFETICA Il sistema logico della politica di Machiavelli è un vero sistema scientifico, la cui origine è data dall’urgenza di una soluzione pratica che da lo stimolo alla formazione del pensiero scientifico, che induce ad aderire alla verità effettuale introducendo pure una componente passionale. In lui l’impeto eroico gli da lo slancio volontaristico, non fermandosi al puro calcolo scientifico. Nell’ultimo capitolo del Principe la situazione disperata dell’Italia diviene la situazione ideale per un principe di mettere in atto le sue capacità; il popolo aspetta il suo messia. In questo capitolo, all’analisi scientifica si sostituisce un atteggiamento profetico e passionale. La sfasatura tra l’utopia di un principe e la verità effettuale mette in luce una profonda sfasature tra il pensiero machiavelliano e il contesto storico: egli costruisce le basi per uno Stato moderno ma le condizioni per ciò non esistevano più in Italia. LA LINGUA E LO STILE In Machiavelli troviamo uno stile originale: egli rifiuta lo stile aulico ciceroniano del genere trattatistico rinascimentale. Questa scelta deriva dal rapporto che l’opera vuole avere con la realtà: per incidere sul reale non servono ornamentazioni, ma occorre una prosa chiara e immediata. Lo stile è secco e conciso, il periodare è energico e incalzante, il lessico è libero e vario, dove si mescolano latinismi e parole comuni. Una funzione essenziale è data dai paragoni e dalle metafore. 45 FRANCESCO GUCCIARDINI (1483-1540) Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo 1483, membro di una importante famiglia borghese impegnata nell'attività politica della città: ebbe una prima educazione umanistica, affidata a precettori privati, poi intraprese gli studi giuridici, dapprima allo Studio fiorentino e poi a Ferrara e a Padova, città dove rimase sino al 1505 e dove conseguì il titolo di dottore in legge. Tale formazione giuridica ebbe grande importanza sia nella sua produzione letteraria, cui iniziò presto a dedicarsi, sia nell'attività politica, in cui si impegnò al suo rientro a Firenze ottenendo la nomina ad ambasciatore presso il re di Spagna (1511). Guicciardini rimase nel Paese iberico sino al 1514, mentre nel frattempo a Firenze la Repubblica era stata rovesciata ed erano tornati i Medici (1512); rientrato in Italia, egli fu bene accolto dai nuovi signori della città per via degli ottimi rapporti che avevano con la sua famiglia e ottenne da loro alcuni incarichi politici nel governo cittadino. Guicciardini, che aveva lavorato per la Repubblica e che preferiva il regime repubblicano a quello sostanzialmente monarchico imposto dai Medici, fu comunque fedele servitore dei nuovi padroni di Firenze e scrisse nel 1516 un'operetta intitolata Del modo di assicurare lo Stato ai Medici, in cui consigliava ai signori fiorentini di usare anche la forza per mantenere il potere sulla città (mostrando quindi una certa vicinanza alle idee espresse da Machiavelli nel Principe pochi anni prima). Guicciardini conobbe l'ex- segretario fiorentino che era stato, diversamente da lui, allontanato dal governo della città e divenne suo amico, anche se su molte questioni i due avranno opinioni contrastanti (sul punto si veda oltre). Nel 1516 Guicciardini passò la servizio del cardinale Giovanni de' Medici, nel frattempo divenuto papa col nome di Leone X: ottenne anzitutto il governatorato di Modena, che faceva parte dei domini della Chiesa, poi nel 1521 fu nominato commissario generale dell'esercito pontificio, nell'ambito della guerra che in quel momento il papa intendeva condurre contro i Francesi. Guicciardini affiancò dunque all'attività politica e diplomatica anche quella militare, di cui si ha un riflesso in alcuni suoi scritti, e tale esperienza gli consentì di maturare alcune considerazioni sul modo di organizzare le soldatesche che lo fecero dissentire da quanto affermato da Machiavelli nelle sue opere (sul punto si veda oltre). Guicciardini difese con successo Parma dall'assedio delle truppe francesi e quando nel 1523 divenne papa Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, se ne rallegrò sperando di ottenere nuovi incarichi; fu in effetti poi nominato governatore della Romagna, mentre nel 1526 si trasferì a Roma dove divenne consigliere del papa. In seguito alla conclusione della Lega di Cognac, di cui lui era stato appassionato promotore, Guicciardini diventò luogotenente dell'esercito pontificio e prese parte ad alcune operazioni militari contro le truppe imperiali, anche se la situazione precipitò e, anche in seguito alla drammatica uccisione del capitano Giovanni de' Medici (più noto come Giovanni dalle Bande Nere), i lanzichenecchi giunsero a saccheggiare Roma nel 1527. Tra le ripercussioni di tali fatti ci fu la cacciata dei Medici da Firenze e il momentaneo ritorno della Repubblica, che accusò Guicciardini di concussione e lo processò in contumacia (l'accusa era probabilmente pretestuosa e frutto del risentimento per il suo servizio ai Medici); in ogni caso l'uomo politico preferì ritirarsi a vita privata in una sua residenza di campagna, dove si dedicò alla produzione letteraria (specie dei Ricordi) e dove rimase sino al 1530, quando a Firenze tornarono i Medici. Medici Dopo il rientro dei Medici a Firenze, nel 1530, Guicciardini fu inviato dal papa Clemente VII a "riformarla" ed egli assunse alcuni importanti incarichi politici, avvicinandosi al nuovo duca Alessandro: il suo compito era di riportare l'ordine in città dopo il periodo repubblicano e Guicciardini vi si dedicò con particolare zelo, comminando pesanti condanne e guadagnandosi l'odio di molti concittadini, che lo soprannominarono "Ser Cerrettieri" (da Cerrettieri Visdomini, l'antico aguzzino del duca d'Atene nel XIV sec.). Ottenne in seguito dal papa il governo di Bologna e continuò il suo servizio a Clemente VII sino al 1534, quando il pontefice morì; il successore Paolo III tolse a Guicciardini il governo di Bologna ed egli tornò a Firenze, 46 dove fu tra i più stretti collaboratori del duca Alessandro. Quando il duca venne assassinato (5 gennaio 1537) Guicciardini venne emarginato dal governo cittadino, al punto che si ritirò dalla vita pubblica e riparò in sua villa ad Arcetri, dove si dedicò alla stesura di alcune opere (specie la Storia d'Italia), anche se conservava alcune magistrature cittadine prive di reale importanza. Ad Arcetri il Guicciardini morì il 22 maggio 1540, venendo poi seppellito nella tomba di famiglia, ai piedi dell'altare maggiore della chiesa di S. Felicita. La visione del mondo e della politica Guicciardini fu soprattutto un uomo politico impegnato nel governo dello Stato, per il quale l'attività letteraria rivestì un carattere occasionale e fu un momento di riflessione a posteriori: ne è una prova il fatto che egli non pubblicò mentre era in vita nessuna delle sue opere principali e specialmente i Ricordi furono concepiti come una raccolta di massime sentenziose, come le considerazioni finali sulla sua precedente esperienza di vita (il testo venne del resto più volte rimaneggiato). In ciò sta la principale differenza rispetto all'amico Machiavelli, poiché l'ex-segretario scriveva le sue opere nel tentativo di influire direttamente sul governo di Firenze (soprattutto con il Principe, che dedicò ai Medici come una sorta di manuale di istruzioni per monarchi), mentre Guicciardini, che pure nutre un maggiore ottimismo sulla natura umana e non condivide il crudo realismo politico del suo concittadino, tuttavia appare più disincantato e meno fiducioso nella possibilità di opporsi con l'azione di governo alla travolgente azione della fortuna. Guicciardini teorizza nella sua riflessione soprattutto due concetti, ovvero la "discrezione" (la capacità dell'uomo politico di sapersi adattare alle diverse circostanze della vita, senza confidare in massime generali) e il "particulare" (l'insieme degli interessi privati e personali che guidano le azioni di ciascuno, incluso l'autore che in nome di esso è stato al servizio dei papi pur detestando la corruzione della Chiesa). Questa particolare visione dell'esistenza e della prassi politica emerge specialmente nei Ricordi e segna la grande distanza tra lui e Machiavelli, poiché Guicciardini ritiene illusorio fissare delle regole di validità universale che possano guidare l'azione di governo e, in particolare, non condivide l'abitudine del suo amico a proporre modelli cui ispirarsi, men che meno quelli dell'antica Roma che secondo lui sono del tutto impraticabili nella realtà contemporanea (sul punto si veda oltre). Va detto che questo carattere disincantato e incline al pessimismo di Guicciardini è stato oggetto di critiche da parte degli intellettuali moderni, che spesso gli hanno preferito un Machiavelli più speranzoso e, talvolta, persino visionario nell'immaginare il riscatto dell'Italia dal dominio degli stranieri, anche se l'autore della Storia d'Italia sembra più realistico nell'analizzare le cause del declino della Penisola e nell'ipotizzare soluzioni, e soprattutto come storico dimostra di essere più oggettivo e lontano da ogni intento encomiastico che, invece, aveva portato Machiavelli a deformare molto spesso gli eventi (cfr. ad es. le Istorie fiorentine). Si può ricordare, infine, che entrambi hanno sostanzialmente fallito di fronte alla grave crisi scatenatasi nel 1527 e, se la morte precoce impedì a Machiavelli di riflettere sulle ragioni di quel disastro, Guicciardini ebbe invece il tempo di "metabolizzare" la sconfitta e di ciò si ha traccia nella sua opera più tarda, vale a dire le tre orazioni in cui finge di difendersi dalle accuse di non aver saputo evitare il sacco di Roma (anche su questo, si veda oltre). I Ricordi politici e civili considerata l'opera principale di Guicciardini e una delle più originali del Cinquecento, se non altro per la distanza dai modelli rinascimentali che in quel periodo erano stati fissati: si tratta di una raccolta di 221 pensieri o aforismi, scritta in diversi momenti della vita dell'autore (principalmente tra 1527 e 1530, poi più volte rimaneggiata), pubblicata postuma nel 1576 col titolo non d'autore Consigli e avvertimenti in materia di repubblica e di privato e successivamente col titolo, poi diventato tradizionale, di Ricordi politici e civili. Nel testo i pensieri si succedono senza un ordine prestabilito e privi di qualsiasi divisione interna, per cui l'opera ha carattere frammentario ed è lontanissima dal modello di trattato rinascimentale in voga in quegli anni, tanto che gli studiosi moderni hanno parlato di "anti-trattato". Il genere degli aforismi, ovvero brevi massime di tono moraleggiante o di commento su aneddoti di vicende storiche o di vita vissuta, conosce altri esempi nella letteratura moderna (cfr. il dialogo Della famiglia di Leon Battista Alberti) e tuttavia Guicciardini è il primo a cimentarsi in un'opera interamente formata da massime sentenziose, non molto imitato da altri scrittori 47 finse di mettersi sotto accusa e di difendersi di fronte alle magistrature fiorentine per le sue responsabilità nel disastro della Lega di Cognac, di cui lui era stato acceso promotore e che aveva condotto all'evento traumatico del sacco di Roma da parte delle truppe imperiali. Mentre l'Accusatoria ha uno stile declamatorio e populista, con un immaginario accusatore che fa una requisitoria di tutte le colpe che gli possono essere attribuite, nella Defensoria lo stile è più pacato e razionale e le accuse vengono smontate una ad una, anche se è evidente che la sconfitta subita brucia all'ex-funzionario dei Medici e il "colpo" non è stato pianamente riassorbito (giova ricordare che anche Machiavelli provò lo stesso senso di frustrazione per quel disastro e ne morì forse prematuramente). Lingua e stile Le scelte linguistiche di Guicciardini in tutte le sue opere sono conformi a quelle dell'amico Machiavelli, poiché anch'egli rifiuta il modello proposto da Bembo e basato sul fiorentino "aureo" del XIV sec. e usa invece quello parlato nel XV-XVI sec., opzione poi non seguita dalla maggior parte degli scrittori del Cinquecento: l'autore dei Ricordi, anzi, lesse e commentò le Prose della volgar lingua e ne trasse spunti per i suoi dubbi linguistici, che tuttavia risolse a favore dell'uso corrente contro il modello "arcaizzante". Prevalgono comunque i tratti del fiorentino parlato, ad es. nelle forme del plurale ("le provisione", "le cose ragionevole"), nell'articolo determinativo maschile ("el segreto", "e prìncipi"), in alcune forme verbali ("potrebbono", "fussi"), accanto a formule latine o latineggianti proprie del linguaggio cancelleresco e presenti ampiamente anche in Machiavelli ("etiam", "verbigrazia", ecc.). Secondo gli studiosi moderni la lingua di Guicciardini subì un'evoluzione nel corso degli anni e rispetto alle opere giovanili, in cui le forme popolari e gergali sono più numerose, si passa a un linguaggio più elaborato e letterario, per cui nelle Storie fiorentine si leggono ancora espressioni quali "dare del capo nel muro" o "tenere e panni a chi voleva annegarsi", così come nei Ricordi sono normali le forme pronominali "lui", "lei", "loro" come soggetto, mentre nelle opere più tarde (Storia d'Italia, Dialogo) certe forme proprie del parlato scompaiono e vengono ridotte anche quelle latineggianti del linguaggio giuridico, prima invece più numerose. Specie nella Storia d'Italia la sintassi si fa più complessa e più simile all'architettura del periodo latino, con ampio uso di frasi infinitive che elevano di molto lo stile, sicché quest'opera in particolare viene considerata il capolavoro della maturità dell'autore e anche un bell'esempio di uso del volgare nel genere storiografico, con un'innovazione che anticipa quella compiuta più tardi da Galileo nella prosa scientifica (anche lo scienziato pisano, infatti, userà un volgare corrente per affrontare temi di grande importanza). CINQUECENTO IL TEATRO:  progressiva definizione delle norme del testo teatrale  sacre rappresentazioniRappresentazione San Giovanni e Paolo di Lorenzo de’ Medici 1491  legato al potere politico strumento di governo  teatro umanistico: pratica didattica per conservare le conoscenze della lingua latina e per apprendere i rudimenti della retorica che assegna all’actio un’importanza cruciale 50  i testi di Plauto e Terenzio sono tradotti in volgare  Leon Battista Alberti propone una delle prime opere teoriche sulla scenografia  Funzione prevalentemente moralistica LA POESIA :  La poesia rinascimentale si pone sotto il segno di Petrarca  Radicale ripensamento del canone letterario  Luigi Alamanniriprende modelli greci e latini  Seconda metà del secolo: lirica spiritualeoccasione di preghiera per via lirica  Raccolta di liriche femminili Tullia D’Aragona, Vittoria Colonna, Chiara Matraini… LA PROSA:  Novella come intrattenimento della società cortigiana  Il dialogo rimonta alla cultura greca con impostazione filosofica  Il dialogo mette in scena due o più punti di vista di vivace contrasto  Pietro Aretino  Matteo Bandello 51
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