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Letteratura italiana: il secondo Cinquecento, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti approfonditi sulla storia del secondo Cinquecento. Spiegazione di Classicismo e Manierismo con autori vari

Tipologia: Appunti

2017/2018

In vendita dal 06/11/2018

Carola.C01
Carola.C01 🇮🇹

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Scarica Letteratura italiana: il secondo Cinquecento e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL SECONDO CINQUECENTO L’età del pieno e tardo cinquecento non ha goduto fino a tempi recenti di buona reputazione, essendo costituita da una letteratura che senza essere ancora barocca, non è più rinascimentale. Per l’Italia sono anni di crisi, anni in cui il mondo del Rinascimento il suo modo di rappresentarsi entrano in crisi. È inoltre l’età in cui si consolida il potere spagnolo in Italia e si afferma la controriforma. Storia: Il sacco di Roma del 1527 aveva assegnato la sottomissione dell’Italia a Carlo V d’Asburgo. Quando nel 1556 Carlo V abdicò rinunciò al suo disegno imperiale universalistico e spartì i domini fra il figlio Filippo II (corona spagnola, territori americani, i Paesi Bassi e le conquiste italiane) e il fratello Ferdinando (il titolo da imperatore, la Germania nei possedimenti della casa d’Austria). Con il trattato di Cateau- Cambrésis del 1559 per l’Italia cominciava l’epoca della dominazione spagnola, che assumeva il controllo diretto di gran parte dell’Italia e controllava indirettamente tutti gli Stati formalmente indipendenti. In questi anni il Papa, causa della riforma, si impegnava nella riconquista cattolica (con la speranza di stringere alleanza con la potenza di Filippo II, difensore del cattolicesimo controriformista). Il dominio straniero carente all’Italia un lunghissimo periodo di pace, ma Filippo II non cessa di male armate e consumare risorse finanziarie su fronti disseminati in tutta Europa. A causa di ciao, si avviava verso la bancarotta trascinando con se gli altri Stati, tra cui l’Italia. Ciò nonostante il secondo 500 rappresenta per la penisola un periodo di reale seppur effimera prosperità. La debolezza dell’economia italiana era la sua incapacità a rinnovarsi: il sistema economico faticava a devolvere in senso capitalistico perché in quegli anni era in atto un generalizzato processo di rifeudalizzazione (le classi abbienti tornavano a investire sulla proprietà fondiari e li radicavano il loro potere). Così facendo l’organismo sociale si riferiva, cresceva il divario tra ricchi e poveri... questa involuzione sociale ebbe conseguenze anche sulla vita intellettuale, poiché interruppe quella dialettica che era stata fondamentale per la fioritura delle civiltà del Rinascimento tra la corte e le forze emergenti dal contesto cittadino. Per Controriforma ci si riferisce all’imponente opera di riorganizzazione dottrinaria, ideologica e politica che la Chiesa romana avviò a partire dal Concilio di Trento per frenare la diffusione del Protestantesimo, che nel frattempo aveva conquistato buona parte dell’Europa centro settentrionale. Il Concilio venne convocato dal Papa Paolo III nel 1543, ma si riunì soltanto due anni dopo. L’intenzione era quella di mettere a confronto e conciliare le due opposte confessioni: di fatto i luterani si rifiutarono di partecipare ad un’assemblea posta sotto l’autorità del pontefice romano e nei 18 anni che durò il concilio, fino al 1563, fecero solo una breve comparsa. Così il concilio fu una cosa interamente cattolica e strumento fondativo della controriforma. I padri conciliari affrontarono essenzialmente due ordini di questioni: la ridefinizione dell’impianto dottrinario e la riorganizzazione del corpo istituzionale della Chiesa (venne proibito l’accumulo delle cariche ecclesiastiche, il rispetto della missione pastorale...). In generale si procedeva a una opera di moralizzazione della Chiesa al suo richiamo alle responsabilità di ordine spirituale; al contempo si rafforzavano i sistemi per vigilare sull’ortodossia religiosa e ottenere il massimo controllo sociale. Venivano combattute aspramente le eresie, anche con repressioni, da parte di entrambi gli orientamenti. La chiesa cattolica si dotò di un’arma, la Compagnia di Gesù, una milizia spirituale cristiana, votata al servizio della Chiesa e legata al pontefice con vincolo di obbedienza assoluta. Spiritualmente i Gesuiti erano invitati all’imitazione di Cristo, mentre fuori dalle mura erano impegnati in una attività di apostolato e di conversione. In questi anni la chiesa attua una dura repressione e un severo controllo su ogni aspetto sociale della vita del cittadino, indirizzandolo verso una prospettiva rigorosamente cristianizzata ed edificante terrorismo intellettuale. Questa situazione provocò la fuga di numerosi intellettuali non conformisti e pose un freno allo sviluppo della libera ricerca filosofica e scientifica.ad essere particolarmente colpito fu il naturalismo e molti dei suoi persecutori (Giordano Bruno, Bernardino Telesio… pg 13). In particolare, Giordano Bruno sostenne la teoria copernicana dell’eliocentrismo, ipotizzando l’idea di un universo aperto, contenente infiniti sistemi planetari. A causa di ciò, venne processato e condannato a morte per eresia. Nel secondo 500 i principali luoghi dell’elaborazione culturale rimasero la corte e la chiesa, nonostante le cose fossero un po’ cambiate: la vita dell’uomo di lettere perse un po’ del suo lustro ed il rapporto tra gli intellettuali e i mecenati si andava squalificando, mentre ancora non si profilavano modi diversi di esercitare la professione intellettuale. Anche la Chiesa rappresenta una porta chiusa per chi non avesse intenzione di convertirsi in intellettuale militante. Ciò avviene anche nelle corti, dove i principi sono sempre meno disposti a comportarsi da mecenati generosi e disinteressati: vigilano sugli intellettuali che gli servono, mortificando le destinazioni, prediligono la letteratura dell’intrattenimento, o quella smaccatamente adulatrice. Delusi dalla corte ed esclusi dalla Chiesa, alcuni letterati tentarono di inventarsi un inedito profilo professionale, lavorando in collaborazione con l’industria tipografica. Questa strada non si rivelò abbastanza remunerativa da sostituire lo stipendio cortigiano o il beneficio ecclesiastico. Per trovare quell’ambiente confortevole e gratificante che le istituzioni civili ed ecclesiastiche sembravano negare, gli intellettuali del tardo 500 riportarono invita una modalità di aggregazione nata nell’ambito dell’umanesimo quattrocentesco: l’accademia. Grazie ad essa, in breve tempo l’Italia si riempì di cenacoli politici, artistici, filosofici, eccetera. A differenza di quelli quattrocenteschi, le accademie di questo periodo furono vere proprie istituzioni dotate di leggi interne, ove i principi filosofico ideologici, gli scopi, gli argomenti di cui scrivere discutere eccetera erano codificati nei minimi particolari all’insegna di un’accentuata ritualità. Nella seconda metà del secolo il dibattito intorno a quale lingua dovesse essere usata dagli scrittori non si esaurì. La reazione fiorentina all’egemonia bembista non fu molto positiva. Negli anni 50 l’accademia fiorentina promosse vari progetti editoriali per rilanciare il fiorentino vivo, ma senza alcun successo. Colei che impose la svolta definitiva alla questione della lingua fu l’Accademia della Crusca. Fondata nel 1582 come cenacolo letterario disimpegnato, essa prese il suo definitivo indirizzo filologico lessicografico con Lionardo Salviati. Conigli si affermava il purismo, fondato sull’appartenenza di un certo uso linguistico alla Firenze trecentesca. L’accademia della Crusca compose un dizionario a carattere normativo, che indicava cioè agli scrittori un modello perfetto immobile di lingua, il solo corretto, cui era obbligo conformarsi per meritare il nome di autore italiano. Classicismo e Manierismo: Intorno alla metà del secolo il fascino degli antichi a poco poco si degrada, lo spirito dell’Umanesimo si affievolisce e ridimensiona le ambizioni degli intellettuali: lo spirito di emulazione si irrigidisce E il facile degli antichi a poco a poco si degrada. Gli uomini del 500 sperimentano un’inedita situazione di disagio e una visione del mondo smarrita e cupa. La crisi dell’umanesimo è segnata anche dalla fine del bilinguismo latino-italiano e dal pieno trionfo della letteratura volgare. Nasce la nuova figura dell’intellettuale divulgatore, che metti i classici a disposizione dei grandi pubblico con volgarizzamenti e promuove la letteratura volgare a bene di consumo. A questo punto nascono due tendenze tipiche di questi anni: 1. Classicismo: ci si applica a codificare, sistematizzare, istituzionalizzare il bagaglio di idee e soluzioni formali messe assieme dai predecessori. 2. Manierismo: si rivisita in modo più o meno originale ed eccentrico lo stesso repertorio, ma variandolo, rielaborandolo, esasperandolo. 1. Classicismo In questi anni il classicismo volgare sente il bisogno di analizzare con rigore i risultati, di organizzarsi in istituzioni, di darsi fondamenti teorici precisi e coerenti. Il rapporto con i modelli eccellenti si fa problematico e si incrina il principio umanistico dell’imitazione: i classici non vengono più imitati intuitivamente ma se mi studiano le segrete regole compositive e se ne ricava un sistema di precetti rigorosi. L’evento determinante che influì sulle nuove teorie politiche e condizionò la produzione letteraria fu la riscoperta della Poetica di Aristotele, un testo del IV secolo a.C. Esso monopolizza il dibattito letterario e divenne il manuale indiscusso del classicismo, forniva le regole fondamentali della perfetta poesia desunte dai modelli classici greci. L’errore che gli Argomento suggerito dal vescovo di Sessa, Galeazzo Florimonte, è un breve trattato sulla buona creanza, nel quale si finge che un vecchio gen tiluomo ammaestri un giovane in procinto di entrare in società, intorno alle regole della civile convivenza (il modello letterario di riferimento più prossimo è il Cortegiano di Castiglione). Dalla sua pubblicazione l’opera godette di grande fortuna. Alla sua affermazione contribuì in modo decisivo la sua prosa elegante e schietta, fedele ai dettami del Bembo, che ne ha fatto un testo di lingua. Ciononostante grazie a recenti studi si è scoperto che il testo non corrisponde alla volontà dell’autore ma è il frutto di un pesante intervento con refettorio operato dei due curatori. Della Casa utilizza una lingua sovraregionale e non connotata in senso toscano, una sintassi disinvolta e una costruzione del discorso asistematica, vicina al parlato e quasi improvvisata. Inoltre egli affrontò il tema della buona creanza con spirito ironico, senza risparmiarsi punte di sarcasmo per la società che andava dipingendo. La lirica: Dopo il 1540 la lirica vive di rendita dagli anni precedenti. Il petrarchismo rimane il sistema di riferimento di motivi e forme espressive, ma al suo interno avvengono radicali metamorfosi. Il modello codificato dal Bembo va in crisi: I poeti cominciano a muoversi con maggiore autonomia, per esprimere nuovi contenuti e ricercare soluzioni stilistico espressive inedite i poeti si interpretano il petrarchismo in modo soggettivo. In particolare i poeti trovano difficile e addirittura sconveniente seguire i concetti di piacevolezza e gravità: si evita di mescolare in un unico componimento i registri stilistici opposti. Inoltre, nei canzonieri del secondo cinquecento le liriche non sono più disposte alla petrarchesca, con un organico che delinei la storia dell’anima, m sono suddivise in compartimenti per argomento, genere e destinazione: rime amorose, rime pastorali, rime giocose… ecc In generale la crisi del petrarchismo ortodosso bembiano si dirama in due diverse concezioni politiche ed estetiche: 1. Una si sviluppa all’insegna del gravitas, dedicandosi alla riflessione morale, ai temi spirituali e religiosi oppure all’elogio dei grandi uomini, uno stile sostenuto, austero, più fedele alla tradizione classicista. Questa linea fa capo a Giovanni Della Casa, insieme al Tasso, le cui Rime vennero riunite e pubblicate nel 1558. Anche egli esordì con un esercizio di imitazione secondo le direttive di Bembo, ma progressivamente maturò una voce personale di ispirazione seria e pensosa, caratterizzata da uno stile solenne, teso e drammatico (declinazione grave). Partendo da qui si allarga a 1+ varia meditazione esistenziale incentrata sui casi e la psicologia d’amore. I temi da lui trattati sono di una rivisitazione autobiografica che mette a nudo i sentimenti del poeta con un’intensità e una sincerità sconosciute alle stilizzazioni degli altri petrarchisti. La particolarità di questo poeta è che riesce a condensare i pensieri e gli stati d’animo in poche figure di straordinaria forza espressiva (le ore brevi, l’oscurità incipiente…). Il lessico è scelto, ricco di figure di pensiero (metafore, ossimori, personificazione) e di parola (allitterazione, ripetizioni, iperbati). Fa uso dell’enjambement. 2. La lirica dell’artificio: l’altra si caratterizza per il suo edonismo di fondo. Si tratta di una lirica incentrata sugli artifici formali, sperimentale e manieristicamente autoreferenziale. I manieristi non fanno altro che esasperare l’arte della variazione e della combinazione proposte da Bembo, sviluppandone le possibilità e finendo con loro snaturare completamente il modello originale. Seppure senza consapevolezza polemica lirici manieristi rinnegano I canoni estetici del classicismo: alla naturalezza oppongono l’artificiosità, alla sprezzatura il virtuosismo ostentato, alla ricerca del pathos il gusto per il cerebralismo e la sottigliezza, all’alta eloquenza allo sfoggio di concetti pellegrini, alla memorabilità delle immagini il rigoglio verbale. I loro versi sono colmi di figure retoriche che mirano alla complicazione: in particolare utilizzano quelle che enfatizzano la disposizione delle parole del verso, come la ripetizione, l’accumulazione, il chiasmo, il climax, le antitesi; e quelle che conferiscono al verso una musicalità contorta e innaturale: allitterazione, anafora, bisticcio, figura etimologica. A tutto ciò si aggiungono a volte artifici estranei al mondo della poesia E più pertinenti a quello dell’enigmistica (come nei centoni, nei tautogrammi, nell’anaciclo). Il contenuto è ridotto a puro pretesto: il segno linguistico vale come significante è sempre meno come portatore di significato. C’è quindi una prevalenza per l’unità metrica, fonica, timbrica, ma non di contenuti, i quali appaiono disimpegnati e bizzarri. I centri di diffusione di questo tipo di lirica sono Napoli e Venezia. Da ricordare è un’altra tendenza che concorre allo sgretolamento del petrarchismo classico: il madrigale. Dalla sua origine era un breve testo per musica, nel 1500 l’originaria struttura poli strofetta viene semplificata e ridotta a una sola stanza di endecasillabi e settenari liberamente e non necessariamente rimati, chiusa da un distico baciato. Solitamente i temi sono leggeri, come brevi impressioni paesistici e sentimentali, lo stile è disimpegnato, agile e musicale. La novellistica: I testi più interessanti della novellistica di pieno 500 sono quelli di Bandello, Straparola e Grazzini. La loro eredità viene raccolta da autori che tentano di correggere il genere della novella di ispirazione boccaccesca e di adeguarlo nei contenuti e nello spirito moderno decoro e serietà. La novella è toccata solo marginalmente dal processo di regolarizzazione classica di questo periodo, anche perché la Poetica di Aristotele non forniva indicazioni dirette riguardo essa. Dopo il concilio di Trento si cerca di intervenire sui testi per espungerne ogni sconvenienza morale: l’erotismo, la beffa o l’astuzia crudele vengono presentati come momenti negativi dell’esperienza umana, da condannare. La novella si propone come strumento ideologico, che giudica e chiede al lettore di giudicare. Il tradizionale rapporto della novella con il comico tende a spezzarsi: temi, personaggi, intrecci di tipo tragico o eroico prendono il sopravvento su temi, personaggi e intrecci di tipo comico. Si parla di un mondo tormentato da una casualità crudele e dalla cieca violenza degli uomini. Un’altra caratteristica è la propensione per l’immaginario truculento. Dal punto di vista della struttura in cui racchiudere le novelle, il modello di riferimento continua a essere quello del Decameron, con la sua cornice e la brigata di novellatori, utilizzati perlopiù come elemento decorativo e pretesto di esordio. Un’eccezione è rappresentata da GIAMBATTISTA GIRALDI CINZIO “Ecatommiti” La raccolta di novelle più importante di questa metà del secolo. Essi ricalcano nella struttura il modello del Decameron: 100 novelle racchiuse dentro una cornice e raccontate in 10 giornate da un gruppo di uomini e di donne in fuga dalla loro città perduta nel caos. Anche gli argomenti delle deche sono in parte ispirati al Boccaccio: la prima giornata è attiva libero, la seconda tratta di amori con lieto o infelice fine… Aldilà di ciò, però, l’opera interpreta i valori ideologici ed estetici della cultura contro riformista. Lo scenario è la Roma del 1527, messa a sacco dai lanzichenecchi è fatta teatro di uno scontro tra il bene, rappresentato dal Papa, e il male, rappresentato dai tedeschi. Capo degli invasori è Carlo V. La brigata dei fuggitivi è composta da maturi gentiluomini, donne sposate o vedove e anziani, e, imbarcati su due navi dirette a Marsiglia, impiegano il tempo narrando novelle edificanti, il cui filo conduttore è l’esaltazione delle virtù cristiane e la condanna dei vizi. A questo spirito moralistico l’autore associa l’estetica dell’orrore: alcune scene di violenza sono descritte con teatrale ferocia. Grazie all’utilizzo di questo registro retorico l’autore persegue un fine pedagogico, mirando a suscitare nel lettore un sentimento di condanna del male. In poche parole la novella giraldiana intende riprodurre in versione cristianizzata il processo della catarsi della tragedia classica, ossia la liberazione dell’anima dalle passioni negative. Accanto a quest’opera si ricordano Le sei giornate di Sebastiano Erizzo del 1567. Sostanzialmente egli mira a un ideale di novella edificante, ma in chiave non è etico- religiosa, bensì etico-politica. Scompaiono le figure femminili, i personaggi ecclesiastici, e la satira. Narrano invece le vicende di virtuosi personaggi antichi, celebrando l’alleanza tra ordine morale e ordine sociale. Il teatro: Tragedia: dopo il fallimentare tentativo di applicare i precetti aristotelici in campo teatrale, un’importante svolta la si ha con l’opera di Giambattista Giraldi Cinzio, che cerco di avvicinare la tragedia alla sensibilità moderna. Con Orbecche del 1541 inaugurato il teatro dell’orrore di imitazione salernitana, caratterizzato da toni violenti e dalla descrizione di scene atroci. Nelle opere successive aprile la tragedia alle peripezie del romanzesco E ne modulo il tono introducendo effetti patetici e melodrammatici. Nonostante ciò la tragedia classi cistica in Italia non riuscì mai a sfondare. Commedia: per quanto riguarda il teatro comico continua la fortuna della commedia regolare a imitazione dei modelli latini di Plauto e Terenzio. La commedia gode di maggior vivacità, attingendo personaggi, intrecci e lingua alla vita quotidiana. Anche per quanto riguarda la commedia, come fa Annibal Caro con Gli Straccioni del 1544, si ricerca un maggiore aggancio con la realtà contemporanea. Le critiche aristoteliche, per le quali la commedia doveva perseguire un fine educativo delle istanze morali religiosi della chiesa, contribuiscono alla scomparsa gli elementi plebei divertenti il nome di una comicità onesta che metta alla berlina i vizi al fine di condannarli che fare leggete di divertimento e riso: quindi anche la commedia sacrifica il diretto all’edificazione morale. A questo proposito anche il registro cambia, sostituito dal patetico-romanzesco da dramma sentimentale. L’autore più rappresentativo di questo gusto è il napoletano Giovan Battista della Porta. Un caso a sé è il Candelaio di Giordano Bruno, stampato nel 1582 a Parigi. L’opera è una commedia in cui si uniscono in modo straordinario intrigo e invenzione linguistica. È ambientata in una Napoli allucinata, nella quale i personaggi alti non sono nemmeno squallidi dei truffatori, dei ladri e delle prostitute che mi circondano. L’intreccio l’unione di tre diverse vicende di cupidigia che si concludono a fallimento. Il linguaggio di tutti personaggi è eccessivo, violentissimo nel registro plebeo e ammanierato con inventiva grottesca nel registro aulicheggiante e pedantesco. Nel teatro sempre più importanza acquisirono gli elementi spettacolari: cominciano a crearsi scenografie, macchine e musiche spettacolari. A questo proposito emblematico è il caso del teatro fiorentino nel quale nacque la figura the architetto e scenografo di Bernardo Buontalenti. Il teatro era una festa per i sensi, una macchina spettacolare. (teatro rappresentativo) In questi anni nasce il professionismo, ossia la commedia dell’arte. Si formano delle compagnie stabili di professionisti, con un repertorio e una tournée. Il centro propulsore della svolta fu l’area padano-veneta. Questi professionisti utilizzar le maschere, le quali toglievano al personaggio qualunque individualità, trasformandolo in un tipo comico fisso immediatamente riconoscibile. Nacquero così le maschere dei vecchi: il mercante Pantalone e il pedante Graziano; dei servi: Arlecchino, Brighella, Frittellino; dei soldati fanfaroni: Capitan Spavento, Fracassa, Scaramuccia. Accanto alle maschere agivano a volto scoperto le servette Colombina o Rosetta, e la coppia di giovani innamorati, gli unici a ricoprire parti “serie”. Con la commedia dell’arte i testi dei poeti vennero sostituiti con dei canovacci o scenari redatti dagli stessi capocomici, in cui erano fissate le entrate e le uscite dei personaggi ed era indicato a grandi linee che cosa dovesse succedere di scena in scena. Agli attori spettava improvvisare l’azione e il dialogo facendo ricorso all’improvvisazione del momento, al repertorio collaudato di lazzi, situazioni comiche e scambi di battute, che ciascun comico usava annotare su un proprio libro, chiamato generico o zibaldone.
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