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Letteratura Italiana Unipd 2017 professoressa Gallo, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti di letteratura Italiana delle lezioni ministrate dalla professoressa Gallo. 2017

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 01/03/2021

Nanda.Martins
Nanda.Martins 🇮🇹

4.5

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Scarica Letteratura Italiana Unipd 2017 professoressa Gallo e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Lezione Valentina Gallo martedì 28 febbraio 2017 Non esiste un autografo della Divina commedia bensì moltissime copie (800 mss.) tardive, post 1334; Petrocchi ha fatto una collazione dei migliori ms. ed è riuscito ha costruire un testo affidabile ancora oggi ciò non vuol dire che sia il testo aurorale della Divina Commedia, è un testo ricostruito filologicamente la maniera simili si comportò Antonio Lanza che segui il principio del buon manoscritto, del Codex optimum, scelse un codice in base ad una serie di raffronti testuali ritiene il più affidabile e lo trascrisse. Lanza nel scegliere il manoscritto operò una serie di scelte che non sempre possiamo condividere in fatti nulla ci dice che il ms. prescelto, cioè il Trivulziano, sia il Codex optimum. Un’operazione diversa ha compiuto Languinetti nel 2011ha fatto una ulteriore collazione di tutti i mss. che conosciamo e ha scelto che l’Urbinante Lat. 366, così denominato per la biblioteca dove è conservato, ad Urbino, avesse buone possibilità di essere un testimone affidabile, il problema è che l’urbinate Lat. è di provenienza lombarda che ha una veste linguistica non fiorentina e che quindi veicola un testo diverso da quello che doveva essere quello scritto da Dante stesso. In tempi più recenti è arrivato Giorgio Inglese, un filologo romano, che ha di fatto restaurato con alcune precisazioni e con alcune correzioni il testo di Petrocchi. Bellomo ritorna in maniera ancora più fedele a Petrocchi, che segue senza alterare di alcuna forma è u ritorno all’indietro ma è anche un arrendere di fronte da quella che è l’insondabile perplessità di questa tradizione manoscritta. Leggiamo il testo per l’edizione nazionale messo appunto dal Petrocchi. Canto XXVI - Inferno - Organizzazione del canto: la lettura del testo e la sua comprensione Il primo grande problema di questo canto è Ulisse perché la tradizione di Ulisse arriva a Dante come una tradizione complessa variegata diversificata. Dante non conosceva il greco e quindi non conosceva l’Odissea, non conosceva i poemi omerici, non conosceva tutta la tradizione greca, la sua conoscenza è quella mediata sempre della letteratura latina. Dell’Odissea conosceva 9 versi che sono quelli citati nella Ars poetica di Orazio, in cui Orazio riferisce che Omero canta le avventure di Ulisse come un eroe che ha molto viaggiato, e poi altri 8 versi che leggeva in Cicerone. A figura di Ulisse nel passaggio dalla cultura pagana, greca, a quella latina è sottoposta ad una profonda riflessione che mette in discussione l’immagine di un eroe, del magnanimo la comprime in quelle che sono le categorie etiche e morali del cristianesimo e ne offre completamente un’altra immagine. La difficoltà di questo canto è quella di fare combaciare quelle che sono due etiche: quella aristotelica, che viene convertita in cristiana da San Tommaso e appunto l’etica cristiana. È facile reinterpretare Enea perché lui è il più già molto prossimo a quelli che sono I valori della cristianità non così Odisseo, Ulisse e la cultura greca devono passare attraverso questo filtro che ne altera i lineamenti. Conoscenze extra testuali: - Il canto si apre con invettiva contro Firenze versi 1- 12: contiene al suo interno una profezia su una prossima sventura che accadrà Firenze; È una profezia post-factum, molto ricorrente nella divina commedia. - Presentazione dell'ottava bolgia versi 13-28: uno dei 10 gironi di qui si compone il male bolge. Racchiude una precisa categoria di peccatori, che sono i fraudolenti. Non siamo sicuri che siano consiglieri fraudolenti, Dante non parla mai di consiglieri fraudolenti a proposito di Ulisse e Guido da Montefeltro, descrivi anche la loro pena che noi siamo abituati chiamare pena del contrappasso. • Terza sessione del canto dove si presentano Ulisse e Diomede versi 49- 84: I due eroi greci dell’Iliade, che si presentano a volte in una fiamma. Anche su questo tipo di pena rifletteremo cercheremo di capire che senso ha. • L'ultima parte, e anche la più celebre, è il resoconto da parte di Ulisse di cosa che è successo quest'ultimo viaggio, versi 85 -142, la forse provocatrice di questo personaggio è tale che attraversa tutta la nostra letteratura fino a Pascoli, a D’Annunzio, uno dei poemi di Pascoli si intitola l'ultimo viaggio e da come protagonista Ulisse. Questa partizione potrebbe sollevare da nostra parte un dubbio rispetto alla coerenza di questo canto e della sua armonia. C'è un tema strettissimo che legga questo canto dall'inizio alla fine che è il tema della patria, che lega i Dante stesso a Firenze, anche Odisseo è un esule è colui che viaggia per tornare alla sua patria. La figura di Ulisse, e la sua pena è sottoposta interpretazione molto diverse tra di loro. • Storia di Eliseo ed Elia libro dei 2Re (bibbia) che sono due profeti Dante le alludi in una similitudine molto bella. Eliseo è il discepolo di Elia di cui la storia dente leggeva nel secondo libro dei Re nella Bibbia. Eliseo segue Elia E nonostante sia profetizzato che lo perderà, infatti Dio rapisce Elia agli occhi di Eliseo salendo su un carro di fuoco Elia avverte Eliseo dicendole tu conserverai una parte di mio spirito se riuscirai a vedermi anche quando ci sarò lontano ed Eliseo concentra la propria vista per cercare di vedere questa si fiamma che piano piano si allontana. Questo episodio biblico vieni rapito in cielo da un carro di fuoco dal punto di vista iconografico non può che essere un doppio realistico di ciò che Dante vede nella bolgia, queste anime a volte da un fuoco. Ma è anche un episodio biblico molto complesso misterioso e che aggiunge complessità questo canto, si vede la fiamma di Elia ma anche Dante vede la fiamma di Odisseo. Che cosa c’è dietro questa similitudine? È una similitudine dettata soltanto da un gusto miniaturistico o c’è una corrispondesse più profonda. • Eteocle e Polinice I figli di Edipo, presenti nella Tebaide di Stazio, in cui si narrano le guerre di Eteocle Polinice per ottenere il governo di Tebe. Entrambi lottano per il potere su Tebe occorre una guerra fratricida cui i due muoiono I corpi vengono riuniti in una pira a funebri ma le fiamme si dividono invece che unirsi anche dopo la morte cioè due fratelli cui l'odio brutale dura anche dopo la morte. Dante utilizza questa immagine per descrivere la fiamma cui sono avvolti Ulisse e Diomede. Anche cui una similitudine che solleva qualche problema, Eteocle e Polinice si sono odiati fino alla fine ed è per questo che la loro fiamma È divisa con due corni, ma Ulisse Diomede sono stati fedeli amici fino alla fine, hanno combattuto insieme, molto amici. Quando dante chiede a Virgilio ci vieni punito in quella fiamma due corni Virgilio risponde che punito con lui che tra le altre cose ha tradito e rubò la statua di Pallade. • Achille e Siro, presenti nell’Achilleide di Spazio. La madre mettere al sicuro il proprio figlio per proteggerlo dal rischio della profezia che diceva che lui sarebbe morto in battaglia, lo confino all'isola di Sciro. Achille vestito da ragazza di innamorò dalla principessa E sarebbe rimasto accanto a lei se non fossi arrivato Ulisse che ha svelato la sua vera identità quando ha portato delle armi e dei gioielli le donne ci sono rivolti ai gioielli ma Achille si è rivolta alle armi. queste due sillogi Wilkins utilizza il termine forma, per indicare una raccolta che non ha ancora una struttura organica definitiva. A partire dal 1356-1358: nasce quella che è la ,terza redazione, la redazione Correggio fatta per Azzo da Correggio, trascritta da Girolamo che secondo Wilkins sarebbe composta da componimenti 1,-142, 264-292. Wilkins pone già all’altezza della redazione Correggio una struttura bipartita: rima in vita e rima in morte di madonna Laura. Il primo manoscritto che c’è tutto è il ms. Chiggiano (1359-1362) molto importante perché trascritto da Boccaccio. Possiamo che rispetto al ms. Correggio questa è seconda edizione, il ms. Chiggiano è sta pubblicato. È la quarta redazione il manoscritto che ci è giunto è il Chiggiano L. 176, +143, 156,159, 165,169, 173... Lo scarto significativo è rappresentato dalla quinta e poi dalla sesta redazione (1366- 1367), che è dato su un codice preziosissimo che è il vat. Lat. 3195 su questo codice Petrarca fa trascrivere in bella coppia i propri componimenti da Giovanni Malpaghini, un copista ravennate di professione, ed è importante perché per la prima volta abbiamo, e soprattutto nella seta redazione, Malpaghini improvvisamente si licenzia da Petrarca e deve ritornare in Francia, ed il poeta a continuare la trascrizione avviata dal copista cosicché il Vat. Lat. 3195 è scritto, vergato, in parte da Malpaghini e da Petrarca. In questa redazione il canzoniere è specificamente bipartito, perché Petrarca lascia dei fogli bianchi tra l’ultimo componimento della prima parte e il primo della seconda, ma soprattutto presenta per la prima volta la canzone ‘La vergine’ RVF 366 che è il componimento che ancora oggi chiude i frammenta. Non che abbia smesso di lavorare, nel 1376 anno di sua morte trascrive i frammenta in un altro codice che invia a Pandolfo Malatesta. Post 1367: sesta redazione: Vat. Lat. 3195 (trascritta da Petrarca 1373: settima forma: Laur. XLI. 17 (Panolo Malatesta) Un’ulteriore forma dei frammenti è un manoscritto bresciano (1373) della quiriniana, Ottava forma, Quiriniana in cui toglie Donna mi viene, che è una ballata, e la sostituisce con il madrigale 121. Infine la nonna forma (1373) ancora il codice Vat. Lat. 3195, ma qui Petrarca ha aggiunto dei testi il numero 243, 244, 263 e ha rimunerato l’ultima sequenza, lasciando tuttavia come ultimo ancora la canzone alla Vergine. Questa serie di copie, di riordinamento dei componimenti da parte del poeta presuppone un grande lavoro su il macro-testo ed è questa volontà di costruzione dei testi in unico organismo è la ragione per cui Petrarca è diventato un classico della nostra tradizione e ha inaugurato un nuovo modo di fare poesia che ha una tradizione importantissima nel ‘500 e nel ‘600, ma che ancora nel ‘900 continua ad esercitare, fino agli anni ’60 del ‘900, un forte richiamo formale. Ricostruzione fatta da Santagata Stile puramente filologico. Il 06 aprile 1348 in quel giorno Petrarca a di fronte a se un manoscritto è un codice di Virgilio (Virgilio ambrogiano) su questo ms., bellissimo, miniato e vergato su pergamena, un’opera d’arte, mette una postile 06.04 1348 oggi è morta Laura, e pone di sua mano su un bellissimo ms. Chi sia Laura, la sua realtà biografica è importante, forse, non è determinante, ma è Claro che Lara diventa nella vita poetica, creativa dell’autore un simbolo, un oggetto poetico. La sua esistenza biografica, per noi, può essere semplicemente messa tra parentesi, possiamo supporre che sia semplicemente un nome: Laura come alloro, come gloria poetica. Tuttaviaa Petrarca segna questa data perché è importante per la sua costruzione poetica. Santagata parte da questo momento, è l’anno della peste nera di Firenze, l’anno in cui è ambientato il Decameron di Boccaccio e che rappresenta una forte rottura nella vita di un uomo del ‘300. In quegli anni Petrarca accusa una serie di luti amici e parente, persone a lui molto vicine che muoiono. questo incalzare della morte nella vita di un cristiano, qual era Petrarca, attiva quella che è passata alla storia come la mutatio anni cioè una vera e propria conversine di Petrarca maturata certamente negli anni precedenti e testimoniata dal secretum che è il dialogo che Petrarca immagina di svolgersi tra due sue proiezioni: Franciscus e Agostino, al cospetto della divinità.I questo dialogo Agostino individua e indulge Franciscus a riconoscere quelli che sono i suoi più grandi peccati, ciò che gli impedisce di affrancarsi dai beni terreni, l’amore di Laura e l’amore per la gloria, e voltarsi interamente al sommo bene che è Dio per Petrarca. Il secreto si chiude con l’invito della parte di Agostino a Franciscus a raccogliere i suoi frammenti sparsi e ricomporre l’unità del io. È un progetto esistenziale e poetico che Petrarca traduce immediatamente dopo con la costruzione dei frammenta e la ricomposizione di frammenti poetici nel canzoniere e con la ricomposizione delle sue lettere latine nelle Familiaris, senili e sinenomine. Per Santagata questo è un evento catalizzatore 1348 la morte di Laura, solo a partire da questo punto noi possiamo individuare l’attenzione verso la forma di libro, prima di quella data secondo Santagata non esiste il canzoniere, esistono sillogi e queste si compongono di componimenti che ritroviamo nel canzoniere. E il lavoro di questo giovane poeta sarà quello di raccogliere i suoi componimenti ante il 1348 e poi pian piano seguire la costruzione del testo. Per Santagata possiamo parlare di prima redazione del canzoniere solo per il Correggio. Prima di quella data abbiamo delle raccolte che sono tenute insieme per un motivo tematico, ma che non sono sostenute da un progetto biografico. Il Rerum vulgari frammenta sono un libro inquinato presuppongono questo progetto biografico, le raccolte precedente erano raccolte tematica che declinavano l’amore per Laura, Laura alloro. Questa reazione Correggio secondo Santagata e a dispetto della ricostruzione di Wilkins non era un libro bipartito perché la distinzione delle rime in vita ed in morte di Laura sarebbe successiva e risale alla prima forma documentata ciò il ms. Chiggiano. Santagata individua un secondo momento forte nella stesura del Vat. Lat. 3195, e poi nell’ultima redazione. La ricostruzione de Santagata non parte da una prospettiva filologica ma di conoscere nel 1348 lo spartiacque la data a partire della quale le raccolte di rime di Petrarca si trasforma in progetto biografico che racconta la propria mutatio anni, la propria conversione da un amore terreno ad un amore verso Dio. - La silloge del 1342, non abbiamo un ms. di questa silloge tuttavia si crede che era composta dai frammenti 34,36,35,44,60,46,41,43,45,49,69,64,58. Questa silloge inizia per il: RFV 34. che è una invocazione ad Apollo come dio della poesia (un modo classico, anche pagano di scrivere da parate di Petrarca), che secondo il mito si innamorò di Daphne. Questa prima silloge anteriore al 1342 è una raccolta tematica incentrata sul mito daphneo che era una ninfa voltata alla castità e per sottrarsi all’amore di Apollo è stata mutata in pianta per non essere sedotta da Apollo, così si trasformò in alloro che non per nulla è simbolo della poesia. Petrarca gioca sui segnali, il valore allusivo del nome Laura ad alloro e su questa assimilazione Laura/alloro pianta della poesia con cui vengono incuranti i poeti e la stessa pianta di qui è stata fatta la sua corona di poeta che ha ricevuto in Campidoglio tra gli anni 1341/42. Questo componimento è una preghiera ad Apollo a allontanare da Laura una malattia o una infermità, in virtù di questa speranza amorosa che ti sostiene in vita durante le tue pene amorose sgombra, pulisce l’aria dalle impression (è un termine tecnico medico per indicare le esalazione insalubre). Questo è un termine tecnico, medico, che Petrarca utilizza per indicare questa malattia. Oltre ad essere il dio della poesia Apollo è il dio della medicina. Il secondo componimento della silloge del 42 è quello che oggi occupa il posto 36, un’invocazione alla morte, l’io poetico invoca la morte perché è disperato d’amore, l’idea di che con il suicidio si può mettere fine al scorrimento d’amore è contraria al pensiero cristiano. Ci sono due interpretazione di questo testo una interpretazione cristiana, cioè il timore che il suicidio non comporta altro che un inasprire del dolore. Ma c’è anche un’altra interpretazione che è quella forse più coerente con il contenuto di questo sonetto che quella di amore fa dell’altro e quella di diamante infelice una interpretazione gentile, mitologia, pagana, in cui i timore non è cristiano ma quello di inasprire il proprio dolore con la morte stessa. Il terzo componimento, oggi il RFV 35, allude al eroe omerico. Un componimento che rivela la condizione del malato d’amore, l’amore nel medioevo era una malattia. Un componimento estremamente riuscito sia per la serie di assonanze interne per esempio deserti /campi /tardi e lenti assommano a chiasmo le due vocali toniche (i) di deserti si rispecchia a (i) lenti così come campi si rispecchi nelle vocali di tardi, anche la prosodia di questo componimenti un ritmo estremamente lento scandito da una serie di accenti portanti solo e pensoso in più deserti e campi… Una pronuncia scandita dall’accento di prima e di quarta ma anche da un accento che non è metrico ma un accento tonico. Questa scansione del verso così densa di pause comporta anche mima dal punto di vista fisico quello che è il vagare dell’amante dai luoghi remoti i più deserti campi. C’è una litote ‘nei miei gesti privi di allegria, di gioia si legge come io vada avanti, una bellissima metafora dell’innamorato come un libro aperto sul quale è scritto la sua pena il suo dolore, immagine dell’amore persecutorio, che diventa un pensiero dominate. In questo componimento c’è una precisa concessione di amore come una passiamo che rende l’uomo non più utile al consorzio civile, che sottrae l’uomo al suo posto nella società, e può essere una condanna laica e civile non c’è una aspirazione religiosa, non c’è pentimento. Nell’ultimo verso c’è una struttura a chiasmo che comprende due entità l’amore e l’io non c’è altro, la condanna se c’è condanna in questo amore è terrena, tutta civile, l’innamorato no può adempire ai proprio compiti nella vita del comune. Componimento RVF 60, è importante perché nella seconda redazione del canzoniere a questo componimento segue un altro che ha una struttura e un significato assolutamente antitetici. Questo componimento si definisce un’invettiva, cioè una forte maledizione che l’amante rifiutato scaglia contro l’amata. Ancora una volta un’allusione al mito daphneo Laura/alloro; Una maledizione “nessun poeta si orni delle sue fronde, giovani la disprezzi e il sole l’abbia a sdegno tanto che le sue verdi foglie si secchi”, è addirittura una invocazione di morte contro l’amata. Anche in questo sonetto c’è una concessione pagana l’amore rende migliore l’uomo, più colto, più nobile. Termine tecnico “le mie nuove poesie d’amore”, la vera e propria maledizione viene alla fine ‘che questo alloro secchi’ è una invocazione di morte contro l’amata. La prima redazione che secondo Santagata è la redazione Correggio datata dal 1349 (subito dopo la morte di Laura) non era ancora bipartita. vedremo il primo sonetto di questa redazione e dobbiamo ricordare che prima della morte di Laura il primo componimento era una invocazione ad Apollo co nessuna prospettiva scatologica o ad altra vita et a piú belle imprese, sí ch' avendo le reti indarno tese, il mio duro adversario se ne scorni. Or volge, Signor mio, l' undecimo anno ch' i' fui sommesso al dispietato giogo che sopra i piú soggetti è piú feroce. Miserere del mio non degno affanno; reduci i pensier' vaghi a miglior luogo; ramenta lor come oggi fusti in croce. È il primo componimento con un forte afflato religioso. È un componimento di anniversario che adesso con forte discontinuità rispetto al precedente,61, avvia questo processo penitenziario che è un processo che continuamente Petrarca riafronta, questa preghiera Padre del cielo avrà poi una grande fortuna nella lirica cinquecentesca e segna questa richiesta a Dio di convergere il suo amore da un’oggetto terreno ad un oggetto più alto, ma non c’è ancora condanna di questo amore. Vediamo la redazione Correggio (perché stavamo parlando della redazione che Petrarca cominciò a comporre intorno al 1349 e si conclude tra il 56/58 quando invia questo manoscritto a Asso da Correggio. La prima parte secondo Wilkins, o comunque un punto di rivolta importante in questo componimento era rappresentata dalla sestina 142. (La sestina è un genere lirico provenzale composto di stanze di 6 endecasillabi che presentano le stesse parole in rima.) Le parole in rima di questa sestina sono: frondi, lume, cielo, poggi, tempo, rami, e si ripetono anche se in posizione variate in ogni stanza di sei versi. La stanza 2 ripropone: rami, frondi, tempo, lume, poggi e cielo; la stanza 3 ripropone cielo, rami, poggi, frondi, lume e tempo, ecc.. è un componimento la cui gabbia formale è molto forte, è un componimento tecnico difficile che viene assunto quasi come una forma di stile da parte del poeta. la sestina è un genere in bravura, è un cavallo di battaglia di un poeta. RFV 142: A la dolce ombra de le belle frondi corsi fuggendo un dispietato lume che 'nfin qua giú m' ardea dal terzo cielo; et disgombrava già di neve i poggi l' aura amorosa che rinova il tempo, et fiorian per le piagge l' erbe e i rami. Non vide il mondo sí leggiadri rami, né mosse il vento mai sí verdi frondi come a me si mostrâr quel primo tempo: tal che, temendo de l' ardente lume, non volsi al mio refugio ombra di poggi, ma de la pianta piú gradita in cielo. Un lauro mi difese allor dal cielo, onde piú volte vago de' bei rami da po' son gito per selve et per poggi; né già mai ritrovai tronco né frondi tanto honorate dal superno lume che non mutasser qualitate a tempo. Però piú fermo ognor di tempo in tempo, seguendo ove chiamar m' udia dal cielo e scorto d' un soave et chiaro lume, tornai sempre devoto ai primi rami et quando a terra son sparte le frondi et quando il sol fa verdeggiare i poggi. Selve, sassi, campagne, fiumi et poggi, quanto è creato, vince et cangia il tempo: ond' io cheggio perdono a queste frondi, se rivolgendo poi molt' anni il cielo fuggir disposi gl' invescati rami tosto ch' incominciai di veder lume. Tanto mi piacque prima il dolce lume ch' i' passai con diletto assai gran poggi per poter appressar gli amati rami: ora la vita breve e 'l loco e 'l tempo mostranmi altro sentier di gire al cielo et di far frutto, non pur fior' et frondi. Altr' amor, altre frondi et altro lume, altro salir al ciel per altri poggi cerco, ché n' è ben tempo, et altri rami. Questo componimento si apre con ‘alla dolce ombra..’ dove Petrarca allude a un influsso astrale che lo faceva sottoposto agli influssi di venire, cioè ad amore, e per fuggire a questo influsso si è rifugiato sotto l’ombra protettiva di una pianta, l’alloro/ Laura, che lo ha protetto da quella che poteva essere la perdizione qualora avesse seguito il proprio influsso, il proprio destino dandosi del tutto ai piaceri sensuali. L’alloro secondo il mito aveva ottenuto da Apollo di essere sempre verdi e qui Petrarca gioca con questo mito, dice che l’alloro è sempre verde e non cambia le sue frondi ragione per cui io scelse Laura. Qui abbiamo una ulteriore metamorfosi quella che porta Petrarca ad accantonare l’amore per Laura per un amore più alto, quello per Dio. In questa redazione Correggio questo componimento precedeva il successivo che adesso è la la canzone 264, che inizia con un forte richiamo alle frodi ai rami, ma questa canzone allude ad un’altro ramo, ad un’altro albero: quello della crocifissione. è una canzone molto bella perché inscena un dialogo con se stesso, e il poeta immagina che un pensiero venga da ribalta e si rivolga a lui spronandolo a convertirsi a Dio e d’un altro pensiero però si ricorda dell’amore per Laura e la dolcezza di questo amore. In questa canzone l’amore per Laura non è un stacco ma è un camino che porta verso l‘amore Dio. Nella redazione Correggio che si chiudeva con il componimento 292 l’amore per Laura non è ancora peccato, RVF 292: Gli occhi di ch' io parlai sí caldamente, et le braccia et le mani e i piedi e 'l viso, che m' avean fatto sí da me stesso diviso, et fatto singular da l' altra gente; le crespe chiome d' òr puro lucente e 'l lampeggiar de l' angelico riso, che solean fare in terra un paradiso, poca polvere son, che nulla sente. Et io pur vivo, onde mi doglio et sdegno, rimaso senza 'l lume ch' amai tanto, in gran fortuna e 'n disarmato legno. Or sia qui fine al mio amoroso canto: secca è la vena de l' usato ingegno, et la cetera mia rivolta in pianto. È un riferimento a Laura morta e trasfigurata in cielo, questo è l’ultimo componimento della redazione Correggio. Nella redazione del Vat. Lat. 3195 l’ultimo componimento è la canzone alla Vergine, in cui Petrarca ricorda Laura come medusa, come colei che lo ha pietrificato. Col tempo la struttura e i significati di questo libro cambiano molto perché Petrarca veicola attraverso il macrotesto. Nel 1356/58 quando questo testo giunge al compimento della redazione Correggio Laura è trasfigurata in cielo ed è un mezzo attraverso il quale lui giunge a Dio. RVF: 366 La sesta redazione è quella successiva al 1366, cui c’e un evento Petrarca conclude la vicenda personale mette la parola fine al testo, ma non alla storia, continua a lavorare, aggiunge, integra ma dice che questa storia della sua anima si vede concludere alla vergine con l’invocazione alla madonna, e con il pentimento dell’amore terreno per Laura. È chiaramente una canzone allusiva a quella che San Bernardo intona nell’ultimo canto del paradiso. Alla lode per Laura si sostituisce alla lode per la Madonna. Questa canzone conclude la vicenda esistenziale dell’amore di Petrarca ma non conclude il testo, negli anni successivi Petrarca continua ad scrivere, i componimenti di questa stagione sono una sequenza stretta di apparizioni in sogno di Laura che occupano i componimenti intorno al 1323. Sono una serie di sonetti che rendono conto delle apparizioni notturne di Laura in sogno. Se Petrarca pone fine alla sua storia letteraria e poetica con la canzone alla vergine, la vicenda della poesia di Petrarca non si concludono con questo libro, è come se egli avesse costruito un romanzo autobiografico, ma la sua vita va oltre e non trova pace in questo prologo scatologico, in questa preghiera alla vergine, è questi uno degli aspetti più interessanti di Petrarca cioè quella continua dialettica tra l’attaccamento ai beni terreni: la gloria e Laura, e invece la prospettiva di una intera vocazione a Dio, non si conclude se non nella finzione autobiografica del canzoniere, perché egli continua fino allo sfinimento a rivedere, riscrivere e ordinare questo testo senza riuscire ad staccarsi e come riesci a farlo da un amore così forte per la poesia. Lezione persa 15/03 spiegazione e quadro del Famialiares di Petrarca. Vedi testo. Gallo 28 marzo 17 Boccaccio assume la forma della tradizione canterina orale e la normalizza nel Teseida. Boccaccio è un grande filologo straordinario l’ultima parte lo vediamo impegnato a Firenze per l’apertura di una cattedra di greco e un attento lettore di Dante e generoso riutilizzatore di elementi e personaggi e stilemi della Commedia. Le fonti sono importante per la produzione di nuove forme attraverso il rapporto della intellettualità senza la quale la letteratura non è possibile. Anche per il Decameron la datazione della nascita del testo non è un dato pacifico. Sappiamo che nell’inverno tra 1341/42: Boccaccio lascia Napoli e ritorna a Firenze, ha trascorso la giovinezza presso la corte napoletana e si era averierato di una cultura cortese praticando tutti i genere ettari della cultura cortese, arrivano a Firenze e il dubbio nel progetto del Decameron ma anche la conversione dalla cultura napoletana porta con sé dei generi letterari che sono dei generi mercantile che sono espressione della società fiorentina del ‘300 quindi non ci sono dubbi che il progetto del Decameron non può essere nato che nel contesto fiorentino. Sappiamo ancora che: -1341/42: commedia delle Ninfe -42: Amorosa Visione: che è il primo tentativo di reinterpretare la struttura retorica della Divina commedia, l’Amorosa visione è per l’appunto una visione che adotta il metodo dantesco ma che deroga dal modello per quanto riguardano i contenuti anche qui troviamo un percorso ideologicamente ascensionale. -1343/44: tenta la strada del romanzo psicologico con l’Elegia di Madonna Fiammetta, Le rubriche (da ruber venivano indicate in rosso nei manoscritti) sono una guida alla lettura che Boccaccio utilizza di una forma molto intelligente. Nella Rubrica della sua Novella, al contrario di quanto occorre nel novellino, il soggetto della novella non è la donna di Guascogna ma il re di Cipro che traffico da una donna di Guascogna da cattivo valoroso divenne. Da cattivo il re diventa valoroso, è una struttura fondata sul parallelismo cattivo buono, cattivo valoroso. Se prendiamo il re di Cipro come un modello negativo e la donna di Guascogna come colei che fa rivedere il re allora abbiamo sin dalla rubrica una struttura sintetica, condensata, di quello che è il fondamento narrativo ed epico di questa novella. Questa prima parte contiene tutta la cornice della novella all’interno del Decameron. Mordere: termine tecnico vale in senso di rimproverare con le parole. Al testo di Boccaccio ci accorgiamo dell’elemento macroscopico la cornice dal fatto che la novella raccontata viene introdotta da una riflessione di tipo morale che fa in modo che la novella diventi dimostrazione di una verità annunciata in testa alla novella stessa. Il valore della parola è quello di correggere i costumi con la parola in questa novella ed è più efficace di molte punizione e rimproveri fatti coscientemente. Dico dunque… vediamo il realismo Boccacciano di colorare le novelle in un tempo nella Storia. Il re di Cipro non è una persona qualsiasi ma il primo qui l’autore si riferisce a Guido di Lusignano re di Gerusalemme e di Cipro, è un vile che non mantiene la parola data a Saladino e così fu costretto a ritirarsi, non valoroso in battaglia, vigliacco e traditore, per l'appunto di cattivo valore. Boccaccio da anche una identità sociale alla guasta del novellino dice che era una peregrina. Allora a partire dal anno 300 d. C. si sviluppa questa pratica del pellegrinaggio in Terra Santa che era un viaggio penitenziale che il cristiano intraprendeva e per il quale si spogliava di tutti i suoi avere e indossava un abito logoro e povero e viaggiava per il più con mezzi di fortuna senza fermarsi mai di una volta in una locanda cioè in condizione di estrema precarietà per spiare i propri peccati e giungeva così a Gerusalemme. Quando dice che la donna è gentil si riferisce a gentilezza, virtù d’animo e allora si è questo il senso acquista anche un altro significato quello della morale introduttiva di Elissa che dice “le parole buone sono sempre produttive anche quando a proferirle è una persona di umili origini” come la donna di Guascogna, la peregrina che si confronta con il re di Cipro. Così funziona il realismo boccacciano contesto storico ( il regno di Cipro dopo la riconquista da parte dei crociati), il realismo sociale il confronto tra un re e una donna di umile origine ma di grandezza d’animo. Una struttura dicotomica, antitetica che gioca proprio sul rovesciamento di quelli che sono i modelli sociali. Realismo storico ma anche realismo sociale. Il novellino lasciava indeterminato il motivo per cui questa donna era a Cipro. Livello linguistico del significante della frase vita, vituperio, viltà la risonanza che questo fonema “vi” ha nel giro di poche parole crea una catena semantica che fa riverberare sulla vita del re di Cipri vituperevole degno di vituperio, di infamia, di biasimo e di viltà, cioè le cose che un re non deve avere. L’equivalenza tra nobiltà d’animo e registro stilistico: il re di Guascogna non parla, non ha diritto di parola, chi può parlare è la pia cristiana a cui Boccaccio riconosce grandezza d’animo, e il discorso della peregrina è costruzione sintattica focalizza questo momento, è un tour de force subordinate con un incipit che è una negazione un artefice retorico, chiede al re di insegnarle l’etica della subordinazione cristiana ma l’etica reale del re non è quella del buon cristiano è quella di chi esercita la giustizia. L’ammaestramento del re che subisce una mutazione d’animo a partire dall’intervento di questa donna. Se guardiamo nel Novellino vediamo come questa traccia è stata riempita di contenuti storici, sociologici, morali e una ricerca sciistica che si poggia su l’equivalenza tra capacità di usare la parola e nobiltà d’animo. Novella 73ª del Novellino: La storia del Giudeo che il sultano avendo bisogno di denaro vuole dubitare a un ebreo; Boccaccio: Novella di Melchisedech Novella: 3 della 1ª giornata La prima cosa che Boccaccio fa è ritematizzare la novella, nel novellino è il soldano il protagonista e il giudeo non ha nome. Boccaccio per prima cosa mette come protagonista il giudeo e lo da un nome. Questo rientramento della trama narrativa ha delle conseguenze ben precise. Questione: termine che deriva dal latino questio che era la forma argomentativi classica della scolastica e di qualsiasi discussione teologica, cioè la discussione in materia religiosa o giuridica aveva la forma della questio. La novella di Melchisedec si proietta dunque su uno sfondo che è quello di un dibattito teologico, niente di tutto questo incontriamo nel novellino. Se pensiamo alla mise en page del Hamiltoniano 90 l’allusione, forse, da parte di Boccaccio a un diverso livello di lettura del testo in cui è vero ci sono novelle di beffe, novelle salaci, nel ‘500 il Decameron fu sottoposto ad un’opera di censura che espunse, lo purgò delle novelle più divertenti che avevano un argomento licenzioso troppo spinto o che prendevano di mira i religiosi e questo Decameron espurgato e corretto ebbe lunga fortuna. Una questione che si pone subito sullo sfondo del dibattito teologico. Ci troviamo qui nel contesto della novella parabola, dimostrativa. Il modello è costruito con una serie di scatole cinesi: livello di enunciazione 1°: la cornice e prima ancora il narratore, 2° livello di enunciazione l’introduzione, 3° livello è la novella all’interno della quale c’è un’altra novella. Boccaccio storicizza la novella il soldano non è uno qualsiasi ma è Saladino un uomo di grande valore militare e saggezza anche nel rapporto con i cristiani. In effetti Dante colloca il Saladino nel limbo riconoscendoli uno statuto di saggezza e lo isola glidedica un unico verso in cui scrive in parte proprio per la sua grandezza d’animo. 29 marzo 17 Contesto geografico preciso Alessandria capitale del impero di Saladino. Questo testo assume il ruolo di novella parabola, Boccaccio usa come strategia dare contesto storico e geografico nel testo e giustificazioni economiche per le azioni del Saladino. Contesto preciso Alessandria e Babilonia, il giudeo guadagna una identità certa, anche se il nome è generico viene specificato il suo lavoro. L’iniziativa intellettuale è attribuita al soldano. Viene aggiunta anche una terza fede, la religione cristiana oltre l’ebrea e la fede musulmana. Le ripetizioni in Boccaccio non sono mai casuali. Una grande differenza del novellino alla novella boccacciana è l’ingegno, la capacità di usare perfettamente l’intelletto, tanto il sultano, per tendere la trappola come il giudeo per liberarsi. Nel novellino non c’è prospettiva storica, Boccaccio invece introduce una prospettiva storica l’anello viene tramandato nelle generazioni. Valente uomo: colui che ha donato gli anelli viene attribuito la stessa qualità che ha Saladino ‘uomo di valore’. Novelletta è un termine usato anche da Filomena. Produrre: è un termine giuridico cioè esibire una una prova. Ripetizione: “rimase in pendente” e “ancora pende”; parallelismo lessicale “ancora ne prende la questione” che contribuisce a risaldare il livello tra questi due gradi di lettura storico e allegorico, attraverso la novella Melchisedec ha voluto dimostrare che è impossibile stabilire quali degli anelli sia l’originale è impossibile stabilire quali delle fede sia quella autentica. Se è impossibile stabilire quali degli anelli sia il vero anche le fede è impossibile sapere quale è la migliore. Nel novellino questa storia si conclude con la difesa del giudeo che riesce a liberarsi della trappola tesa gli dal soldano. 1Nella novella di Boccaccio Saladino che è saggio e generoso d’animo riconoscendo la grandezza del suo avversario gli racconta al giudeo qual era la sua intenzione e così il giudeo gli dispone tutto quel che aveva bisogno. Il giudeo da avaro diventa liberale e dopo il Saladino lo ha ripagato tutto oltre a diventare suo amico, con una prospettiva laica nuova e inedita rispetto al novellino, già che stavolta l’impossibilità di stabilire quale sia la fede autentica riguarda anche quella cristiana. La spregiudicatezza di Boccaccio è talmente grande che gli consueti di relativizzare i propri valori, di riconoscere la grandezza del sultano e la valentia e grandezza di questo giudeo. Novella 1 giornata 6 La fonte di questa novella è stata riconosciuta nel primo libro delle metamorfosi di Apuleio in cui il protagonista ringrazia il suo compagno di viaggio perché attraverso il racconto di una storia hanno reso l’itinerario meno gravoso. La sesta giornata è dedicata ai morti alle battute, e in torno a un detto si organizza questa novella. La novella di Boccaccio assume il finale cioè l’equivalenza tra il piacere dell’ascoltare una storia racconta e il sollievo della fatica del viaggio e rovescia la situazione, in primo luogo la novella che viene raccontata a madonna Loretta nel Decameron non sappiamo nulla oltretutto è del tutto fallito perché il narratore di questa storia è pessimo a raccontare le storie. Il narratore sottolinea che dal momento che alle donne si adisce la modestia e dunque non essere loquace il parlar breve a loro è quanto mai adeguato; Boccaccio avverte che rivela il nome di questa donna per il suo valore confermando che la conosceva quindi collocazione in contesto storico preciso, in un presente prossimo. Questo consente a Boccaccio di dare forza e avvalorare il modello di virtù linguistica appresentato da madonna Loretta in quanto più vicina e notta alle sue ascoltatrici è quanto più imitabile. Attraverso tutta una serie di espedienti Boccaccio raggiunga l’obbiettivo di avvicinare il modello femminile di Madonna Loretta a quello delle giovani. Il cavaliere si offre di raccontare una storia a questa donna lui con una eccessiva sicurezza nelle proprie dotte di raccontatore di storie, fa anche allusione a una novella delle metamorfosi di Apuleio e dopo comincia a raccontare la novella, che ci viene omessa; questa è una nota sociologica che ci avverte che il Decameron, è l’epopea del mercante, anche se non tutto il libro. Allora il cavaliere che è un uomo di spada e appartiene a un rango superiore a quello del mercante perché è un nobile o un proprietario terriero, innanzitutto deve esibire una qualità che non è quella del coraggio e della prodezza in battaglia quanto la capacità di novellare di sapere essere eloquente, questa non è una dotte di un cavaliere ma di una società civile dove la parola rappresenta un alto valore. In questa novella Boccaccio sta approntando un galateo di come si racconta una novella. Il cavaliere non raccontava bene la novella perché ripeteva le parole, sbagliava i nomi dei personaggi e non rispettava la linearità dei fatti della novella. Pecoreggio: unica attestazione è in Boccaccio, che vuol dire entrare in totale confusione, ma può essere rozzo, cadere i un comportamento da pecoraio, volano. della scrittura epistolare è la lettera ciceroniana e anche per questo autore che affrontiamo. Bracciolini, l’autore che leggiamo, rappresenta nell’umanesimo una figura un po’ irregolare anche se non è uno degli autori più antologizzati. Un umanista che viaggia vive 6 anni in Inghilterra, partecipa al Concilio di Costanza, attraversa tutta l’Italia, parte della Francia e Germania. I suoi viaggi sono sempre illuminati dalla curiosità intellettuale di visitare gli scrittori, i monasteri uno dei più infallibile scopritori di codici antichi. Attraverso la sua ricerca riemerge il testimone più importanti del Satiricom di Petronio, parte delle orazioni di Cicerone, Silvio Italico, una parte delle Argonautiche è un umanista che una capacità di analisi del codice manoscritto latino ammirabile. Nato a Val d’Arno, trasferitosi a Firenze è stato segnalato per la sua calligrafia elegante e prosa latina piacevole tanto che Colucio Salutavio, già vecchio, lo raccomandò alla corte di Roma presso la quale si recò e ottiene un incarico presso la cancelleria pontificia. Cancelleria: ufficio della corte inputato alla scrittura delle lettere. La cancelleria pontificia si organizzava in lettere minute e lettere grosse. Lettera scritta da Costanza Nel 1378, pochi anni dopo la morte di Petrarca stiamo assistendo a un passaggio di testimone, era stato eletto a Roma Urbano VI. Tuttavia l’elezione di questo pontefice era stata impugnata da una parte del collegio cardinalizio del conclave perché avvenuta sotto la pressione del popolo romano che avrebbe alterato il risultato elettorale tanto che parte del conclave si ritirò a Fondi e qui elesse un antipapa che è Clemente VII che trasferì la propria corte ad Avignone creando di fatto un scisma cioè l’obbedienza romana faceva capo ad Urbano VI e l’obbedienza avignonese all’antipapa Clemente VII. Le cose si complicarono ulteriormente nel 1409 quando per cercare di sollevare e di comporre questo scisma un terzo conclave si riunì a Pisa, Giovanni XXIII un terzo papa e secondo anti-papa. A partire dal 1409 l’occidente era governato da 3 pontefici diversi. Dal punto di vista di un cristiano vissuto all’inizio del ‘400 questa situazione era destabilizzante e comportava anche un indebolimento della autorità pontificia. Per cercare di comporre il scisma l’imperatore Sigismundo di Ungheria mise in pratica la teoria conciliare che prevedeva che il concilio, l’insieme dei cardinali, poteva correggere la volontà del papa in casi particolari come nei casi in cui il concilio sia unanime e concorde. Sigismundo convocò un concilio a Costanza tra i territori svizzeri e tedeschi, lui era un elettore paladino, imperatore dei romani una figura di grande carisma in quel momento e riesce a convocare tutti i cardinali. Alla fine del Concilio di Costanza vengono spodestati tutti i pontefici, Giovanni XXIII, a cui al servizio nel fra tempo era entrato Poggio Bracciolini, fugge perché non vuole deporre l’autorità imperiale e viene arrestato e imprigionato. Nel 1414 viene indetto il Concilio di costanza che si concluderà nel 1418. Nonostante la corte di Giovanni XXIII viene dissolta Poggio Bracciolini che era al servizio di questo papa rimase a Costanza e si trasferisce a Baden e scrive una lettera a Niccolò Niccoli è una lettera datata dal 1416 ed è interessante perché ci consenti di entrare attraverso lo sguardo di un umanista in un territorio esotico, nel ‘400. Poggio saluta il suo amico all’inizio della lettera che leggiamo la traduzione dal latino. Poggio Bracciolini è un autore irregolare dell’umanesimo, noto anche per la raccolta di una serie di aneddoti, e per questa ironia così mordace e anche un po’ licenziosa. Gli studi del greco consentirono a Bracciolini di esaminare e confrontarsi con quelli che sono le teorie e pratiche traduttorie compiute da San Girolamo nella traduzione della Bibbia. La questione non è da poco, fino al Concilio Vaticano secondo la bibbia è in latino solo in tempi recenti viene autorizzata una traduzione in volgare, cosa che non avviene nei paesi protestanti dove la bibbia viene presto tradotta in tedesco ed in altre lingue. La traduzione della parola divina a una lingua volgare è un passaggio molto importante e che segna la messa in discussione del valore del verbo divino. Nel momento in cui avviene questa traduzione ci troviamo davanti a una relativizzazione del valore sacrale della singola parola e subentra una teoria della traduzione che non si basa più su una traduzione parola per parola ma che vuole salvaguardare il senso lo spirito e non la lettera del testo. Scrivere per descrivere le bellezze di Baden. Nella descrizione di Baden e dei suoi abitanti Bracciolini attua una serie di filtri che sono letterari, le donne che si bagnano in questi pozzi di acqua calda evocano in lui l’immagine di Venere, le feste che gli abitanti fanno attorno a questi bacini termali evocano a lui il ricordo dei nubi floreali festività tipicamente latina. Valentina Gallo 10 maggio 17 Poggio Bracciolini Scrive per descrivere le bellezze di Baden. Nella descrizione di Baden (bagno) e dei suoi abitanti Bracciolini attua una serie di filtri che sono letterari: Primo filtro: le donne che si bagnano in questi bagni pubblici che evocano in lui l’immagine di Venere, le feste che gli abitanti fanno attorno a questi bacini termali evocano a lui il ricordo delle nubi floreali festività tipicamente latina. Gli abitanti mentre fanno il bagno organizzano delle mense ma lui non si mette a tavola perché non parla la loro lingua e per questo si sentirebbe a disaggio però lascia chiaro che il problema non è per una questione moralista di pudore ma di ordine puramente linguistico. L’incapacità di comunicare, il non poter attingere a una lingua comune è per Bracciolini uno scaltro insormontabile. Il secondo riferimento mitologico: lui nel bagno si serviva di un interprete. Quando entrano nel bagno delle donne vede che loro usano un pezzo di telo per coprirsi come gli uomini il riferimento qui è una scena delle Nupcias di Terenzio in cui Kerea entra travestito da eunuco nel bagno delle divinità per vedere la sua amata e possederla; Una cultura, quella di Bracciolini, che non seleziona gli autori canonici, ma che seleziona dei classici, di un classicismo controcorrente chi non si aspetterebbe da uno umanista come lui. Terzo filtro: queste popolazioni gli appaiono come gli abitanti della repubblica di Platone, seguaci di Epicuro, perché sono pronti a condividere tutto. Queste donne che bagnandosi le veste vengono sollevate sull’acqua che gli ricorda una specie di venere alata. Citazioni di Terenzio. Bracciolini allontana da sé un moralismo esagerato. Essendo lui umano dichiara che niente di umano gli è strano. Lo scacco che ritorna di non potere conversare, non sa la loro lingua. Racconta come dietro la città c’era una radura protetta da molti alberi dove si fanno giochi diversi; Un sincretismo disarmante per cui questi epicurei potrebbero essere gli abitanti del giardino dell’Eden. Ricorda la virtù fecondatrice di queste acque, le donne si recavano a questi bagni per favorire la loro fertilità. Conclusione moralistica: gli eventi che ha descritto stimolano in lui una riflessione di ordine filosofico morale che non ha niente di austero anzi che non rinuncia per questo a trasformare l’occasione vissuta in momento di riflessione dove lui dice che lì si sta costruendo una società diversa da quella cortigiana all’insegna della condivisione della tranquillità. Ricordiamo che Bracciolini è stato segretario di Giovanni XXIII antipapa ci troviamo di fronte ad un contesto molto teso. Bracciolini pratica oltre a genero epistolare un genero trattatistico in particolare ricordiamo due trattati ai qualli fa riferimento qui il De Avarizia e il Contra ippocritus e il De varietate e fortuna. 3 trattati latini che rimangono sullo sfondo di questa epistola ma ai qualli chiaramente attinge per costruire questa sua moralità finale. Angelo Poliziano: è stato la star della Firenze di Lorenzo dei Medici. Generalmente considerato il maggiore tra i poeti italiani del XV secolo, membro e fulcro del circolo di intellettuali radunatosi attorno al signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico, fu autore di opere in latino, in greco e in volgare, e raggiunse un'ampia competenza filologica e un'ammirevole perfezione formale dello stile. Grazie alla protezione di Lorenzo il Magnifico, Poliziano poté dedicare l'intera vita agli studi umanistici e alla produzione letteraria, senza occuparsi in attività politiche o diplomatiche, rivestendo incarichi di alto prestigio quali quelli di precettore della famiglia dei Medici, segretario personale del Magnifico e professore presso lo Studio Fiorentino. Doveva essere una persona piuttosto squallida per le sue invettive contro colleghi e anche contro coloro che lo aveva aiutato quando arrivò a Firenze, giovani e inesperto, sono il segno non soltanto di ingratitudine ma anche la conseguenza di una fortissima competizione interna allo Studio fiorentino e alla corte medicea. Lettera di Angelo Poliziano a Paolo Una lettera celeberrima perché indirizzata a Paolo Cortese sull’imitazione. Paolo Cortese era un autore e i alcuni dei suoi scritti hanno portato a dei comportamenti sulla figura del cardinale, e a lui indirizza questa carta dopo aver letto i suoi mensili il giudizio di Poliziano è lapidario. Accusa Paolo di una imitazione non originale di Cicerone. Poliziano invece propone un altro modello di rimeditazione dei classici e di composizione stilistica che è capace di sussumere le sue fonti e i suoi modelli per creare qualcosa di nuovo. Il modello di Poliziano respinge l’idea di un autore ottimo e invece persegue una composizione che sia capace di sussumere i diversi stili per creare qualcosa di originale. La favola di Orfeo Angelo Poliziano Non sappiamo la datazione neanche per questa opera dovrebbe essere 1479 e 1480, sono anni cruciali questi nel 1478 la famiglia de’ Pazzi ha organizzato una congiura contro i Medici la cosiddetta ‘Congiura dei Pazzi’ per uccidere Lorenzo che attraverso una politica avidissima aveva svuotato le forme repubblicane di governo egli aveva sostituito con una forma principesca, aveva trasformato il comune di Firenze in una signoria, con questa amministrazione centralizzata e con questa figura di principe, con i mercenari, geloso con le arti e generoso con gli artisti e benemerito verso la città ma aveva comunque svuotato le organizzazioni aristocratiche. La famiglia de’ Pazzi insorge e ordisce questa congiura nella quale rimane ucciso Giuliano de’ Medici e Lorenzo rimane ferito ma riesci a salvarsi. In seguito alla congiura dei Pazzi Poliziano lascia Firenze prudentemente perché è stato fedele ai Medici, è un allontanamento prudenziale probabilmente è andato in Italia settentrionale e non escluso che questa favola la La favola di Orfeo sia composta a Ferrara dove c’era una forte tradizione teatrale. La Favola di Orfeo è infatti il primo testo teatrale in volgare della tradizione Italia, oltretutto è un testo da un messaggio ideologico molto forte. Secondo il mito Orfeo è un poeta, cantore tragico dotato di una virtù poetica capace di poter assoggettare tutti gli elementi della terra, ammansa le belve ecc. Ed in questa canterina anche se suo poema è un romanzo. Vv. 5-6 schiacciano l’acceleratore su questa componente meravigliosa questa capacità di vendere la propria storia è tipico della tradizione canterina. Il secondo elemento brettone, la prima ottava re Carlo imperatore e il franco orlando e i suoi cavalieri seconda strofa la materia elemento brettone, e qui l’elemento amoroso erotico originale che viene introdotto come colui che sotto il topos di che tutto vince amore, anche i cavalieri, questa divinità di amore superiore a re Carlo e i suoi paladini. 3°: Turpino viene evocato nella tradizione come un depositario, fonte, della storia che Boiardo e Ariosto riutilizzano. Turpino ha nascosto la novella dove si parla di Orlando innamorato perché credeva che non facesse onore al cavaliere, è una strategia che permette al poeta di scostare dalla fonte ogni qualvolta che questa non possa essere ritenuta vera. In questa ottava il rapporto tra metro e sintassi: l’ottava ariostesca è estremamente regolare composta da 4 +4 versi da un periodo sintattico che si conclude nei primi 4 versi e un secondo periodo sintattico che si conclude nei secondi 4 versi questo è un tipo di ottava molto frequente in Ariosto e altrettanto ricorrente è quel tipo di ottava che possiamo scandire in 6 +2 un periodo sintattico che si articolano in 6 versi e una clausola in rima baciata cioè un periodo sintattico che isola i due ultimi versi. Questa ottava 3 (O.I.) è un’ottava zoppicante perché abbiamo un lunghissimo periodo che si conclude al verso settimo e un verso ottavo che rimane orfano, l’ultimo verso che sembra ed è una zeppa metrica, laddove l’armonia ariostesca risiede nella capacità di giocare sapientemente sul rapporto tra metro e sintassi ipermetria. 4ª strofa periodo più regolare e più completo sintatticamente, più coeso. Qui manca un elemento che in Ariosto è centrale, manca la dedica, non c’è un riferimento né a un dedicatario né a Boiardo ad una libertà economica che gli permette di sovraesporre 25min; manca l’invocazione alla dea e qui è un elemento di modernità il fato che manchi in questa posizione rilevata non vuol dire che il motivo encomiastico sia assente. 5ª: Gradasso, questo re orientale, è presentato come un re superbo che ha tale fiducia nella sua forza da non temere il confronto con nessuno, ma soprattuto insaziabile vuole sempre quello che non può, che è più difficile da ottenere. L’assenza di un motivo encomiastico è compensata, sottolineata da una critica interna quella che è l’immagine potenzialmente degenerata del re, del potente che vuole quello che è più difficile da ottenere. Come accade spesso ai signori potenti, i re che vogliono quello che non possono avere e tanto maggiore sono le difficoltà mettono il popolo e il regno in pericolo questo e né pertanto riescono ad ottenere ciò che vogliono. Re gagliardo vuole Durindana (la spada di Orlando) e Baiardo (il cavalo di Rinaldo) così raduna un esercito e sfida Carlo imperatore. 6: Per acquistare i due oggetti di desiderio il re fa assemblare la gente per tutto il suo gran territorio, in un esercito. Perché sapeva che per moneta non avrebbe mai potuto acquistare la spada e il cavallo perché i due mercanti che le vendevano vendevano merci troppo care. 7ª: Nonostante Gagliardo voglia 150 mila soldati vuole sfidare da solo re Carlo e i suoi cavalieri; 8ª: Lo stilema narrativo tipico della costruzione dei cantari tre quattrocentesco “lasciamo e ritorniamo; lasciamo e ripigliamo” segna il trapasso da una storia (quella di Gradasso e il suo esercito) e dall’altra parte lo spostamento della narrazione su le vicende di Francia e Carlo Magno e i suoi paladini. Pasqua rosata: pentecoste in questa occasione era tradizione che si facesse una giostra per provare il valore dei cavalieri di Carlo Magno. 9ª: Alla corte di Carlo convergono tutti i paladini per onorare la festa, c’erano molti saraceni perché era una giostra sancita dal re e tutti possono partecipare al patto che non siano traditori o rinegati. 10: Il cast di questo innamoramento è quello stesso di Ariosto i personaggi sono i medesimi ma anche la struttura narrativa, quella dell’elenco si trova anche nel Furioso. 11: Abbiamo visto l’incipit di questo poema cavalleresco abbiamo innanzitutto sottolineato il forte legame con la tradizione canterina, visto la stabilità dell’ottava boiardesca e sottolineato come rispetto al Furioso troviamo l’apertura con l’indirizzo agli ascoltatori non ai lettori, l’assenza della dedica e della invocazione alle muse, specificando tuttavia che nella assenza della dedicatoria comporta una disattenzione del motivo encomiastico dall’altra parte l’assenza della invocazione può essere inputata da Boiardo come un elemento di poca modernità perché la poesia canterina alla quale Boiardo segna un grande smarcamento era invece caratterizzata da un tipo di invocazione che Boiardo rimuove ma era una invocazione tutta cristiana a Maria o a Cristo, o Dio, ed è questo elemento moralistico cristiano che Boiardo elimina nel nome di una lecita tutta umanistica. COSA SUCEDE AL ROMANZO DOPO ARIOSTO: lo sviluppo della narrativa in ottava è fortemente condizionata da quello che è un movimento più grande di fondazione dei modelli. A partire dagli anni 40assistiamo ad un irrigidirsi nella cultura italiana delle forme soprattutto come conseguenza viene la discussione della trattativa aristotelica, la scoperta della poetica di Aristotele e la sua graduale esegesi prima attraverso l’edizione in greco poi le prime tradizioni e i comenti portano alla ribalta un testo che diventa presto normativo per la letteratura italiana del ‘500 e in questo test, si ricorda che le forme più alte della gerarchia aristotelica siano la tragedia e il poema sui dei quali si costruisce dunque l’altezza di una civiltà e anche la maestria dell’autore. Questa riscoperta di Aristotele e la sua traduzione in termini normativi si accompagna dall’altra parte ad un al movimento più ampio che un po’ impropriamente è stato etichettato con il nome di controriforma. Un irrigidirsi nella cultura italiana del ‘500 come risposta a quella che fu la riforma luterana, un irrigidirsi della morale ed un restringimento della libertà del poeta ed anche degli intellettuali in genere che si accompagna con la ricerca di una regolarità ed è quello che fanno i commentatori di Aristotele cioè costruiscono nel commento di questo testo un universo fatto di regole rassicuranti che vanno rispettate. Uno dei personaggi più interessanti di questo periodo è Giovan Giorgio Trissino, proveniente da una famiglia nobiliare, dall’alto vicentino è un protagonista assunto della cultura italiana del ‘500 perché è uno dei principali artefici della rinascita tragica nella Italia del primo ‘500 con la Sofonisba da alla tradizione italiana la prima tragedia in volgar. È una tragedia inspirata alla storia di Livio che assume come argomento un elemento storico e di ramo mitologico e ciò nonostante l’assunzione di un argomento legato alla storia latina e in veduta di un’ammirazione verso le forme e non curante le finalità della tragedia per come era interpretata dai greci, quindi ci troviamo di fronte ad un tentativo con la Sofonisba di costruire la tragedia strutturalmente coerente con quelle che sono le regole normative aristotelica da una parte ed i modelli tragici dall’altra ma che assume come materia la storia romana non è un caso che la Sofonisba fu concepita in circolo già noto cioè quello degli autori del circolo degli Orti che si aggira in torno alla figura di Giovani e Bernardo Rucellai che rappresenta un momento di forte dissidenza contro il potere di Laurenziano e in questo contesto la repressione delle forme di governo e la figura del tiranno e su i suoi rapporti con l’aristocrazia assume un ruolo centrale, per esempio Rucellai compone la Rosamunda una tragedia truculenta un po’ senecana ambientata nell’età longobarda in cui viene raffigurata un tirano estremamente crudele; in questo contesto viene concepita anche la Tullia di Martelli, la Antigone di Alamanni, stiamo attraversando quelli che sono i capolavori della tragedia italiana del ‘500.Trissino partecipa a questa riscoperta del teatro tragico attraverso la critica fatta all’opera di Aristotele e al commento di Aristotele si dedica poi più tardi negli anni 40 del 500 in felice congiuntura con il tentativo di elaborare una poesia narrativa alternativa al romanzo ariostesco. Sul romanzo, sull’opera di Ariosto, pesa l’assenza di una legittimazione aristotelica. Il Furioso è un ‘mostrum’ dal punto di vista della prospettiva aristotelica, intanto perché non rispetta né l’unita di luogo né l’unità di azione perché non c’è un unico protagonista ma racconta molte storie di molti è vero che la centralità è Orlando furioso ma è vero altresì che gli episodi lavorano sul Orlando Furioso in maniera da disgregare l’unità dell’opera e per l’appunt0 il tentativo successivo al successo di questo romanzo è quello di irreggimentare la fantasia sbrigliata questo organismo incontenibile del romanzo, irreggimentare una norma che possa trovare legittimazione nella poetica aristotelica. E questa forma non può che essere derivata dai modelli classici cioè Virgilio più ancora che Omero. Nella seconda metà del ‘500 assistiamo ad una serie di tentativi, perlopiù falliti, di ridare vita ad un modello classico e quindi di sostituire al poema cavalleresco, al Furioso, un poema regolare, che rispettasse le regole aristoteliche ci prova Giraldi Cinzio, sempre a Ferrara. Anche Giovani Battista Giraldi, Victor Cinzio. Giraldi Cinzio segretario estense anch’egli impegnato nella rinascita classica scrive l’Orbetti, anch’essa una tragedia senecana, uno dei capolavori avvincente. Giraldi Cinzio volendo riprendere il modello del poema classico Aristotelico compone un poema mitologico, non ancora un poema epico, incentrato su Ercole di cui capiremo bene dal momento in cui a Ferrara il duca è Ercole II possiamo cogliere da subito l’implicazione encomiastica. Questo poema mitologico di Giraldi è una biografia della figura di Ercole che guarda con compiacenza verso Ercole II e verso il suo stato Ferrarese, ma questo poema non ha avuto un particolare successo. Giangiorgio Trissino: L’Italia liberata da Gotthi del Trissino opera fondamentale per quello che è lo sviluppo del poema post ariostesco ma che rappresenta uno dei tanti fallimenti. Edizione cinquecentesca: anche dal punto di vista della stampa e dell’alfabeto che adotta il modello vocalico che desume dall’alfabeto greco fondato dal 7 vocali distinguendo l’accento grave e acuto per la -e lo stesso per la -o. La dedica è molto importante perché è dedicata a imperatore Quinto Carlo Massimo una dedica imperiale. Nel sistema politico di potere nella Repubblica di Venezia viene per efficienza sempre rappresentato una fronda contro i poteri ducali e questa fronda si basava sulle pretese della nobiltà vicentina da una discendenza diretta dall’imperatore. Trissino si fa interprete di questa tradizione. L’aristotelismo 500centesco trova corrispondenza sul piano politico nella forma di governo imperiale, cioè la ricerca di una unità poetica di una unità di azione di una forma più organica sembra avere una precisa corrispondenza sul piano politico su una forma di governo centralizzata, per l’appunto quella imperale per questo Trissino fa questa dedica e si contraddistingue per i modello delle vocali così complesso. 31.10min. Riferimento a una nuova crociata contro i turchi che preoccupa e interessa è un tema ricorrente nella politica del ‘500 5: Riferimento a una Europa in conflitto e divisa da problemi politici ma soprattutto religiosi; 6: Inizio della narrazione del poema, dopo 5 ottave introduttive. 7: Il momento epico 33-34 min. della prima crociata sta già nel termine e attende il sopraggiungere dell’inverno; immagine del padre eterno 34 min. 8: Un Dio cristiano che rivolge dal punto più alto del cielo lo sguardo sulla terra abbracciando tutto che vede.35+ 9: Diverso dettaglio che utilizza per la figura di Buglione una intera ottava e poi un minor spazio riservato alle altre figure. 37 min. -39 Vano amore di radice petrarchesca 10: è il primo personaggio inventato che serve a Tasso per dare luogo alla linea encomiastica cantato come progenitore della casa d’Este figura centrale nel poema è grazie a lui che le armi cristiane riusciranno a liberare il sepolcro 40:20-41min. 11: Il re del mondo chiama l’angelo Gabriele è una figura che ha un precedente intelligente nell’Italia liberata dai Gotthi (l’angelo Palladio); Gabriele è un ponte tra Dio e gli uomini. Nelle ottave iniziali del poema l'autore propone anzitutto la "protasi", l'enunciazione della materia epica con anticipazione della vittoriosa conclusione della Crociata e la presentazione del "capitano" Goffredo, poi invoca la Musa che è da intendersi come personificazione dell'ispirazione divina e alla quale giustifica la scelta artistica di inserire intermezzi romanzeschi nella trama propriamente storica, per allettare il pubblico e divulgare la materia dell'opera. Non manca l'elemento encomiastico, con la dedica del poema ad Alfonso II d'Este che, auspica Tasso, potrà assumere il comando di una nuova, futura Crociata per liberare il Santo Sepolcro. Interpretazione complessiva (internet)  La prima ottava corrisponde alla "protasi", ovvero l'enunciazione del tema affrontato nel poema, e il primo verso rappresenta una voluta imitazione di quello iniziale dell'Eneide (Arma virumque cano Troiaeque qui primus ab oris) con la presentazione dell'eroe al centro dell'opera, il "capitano" Goffredo di Buglione le cui "arme" sono "pietose" in quanto devote alla fede cristiana e alla guerra santa della Crociata, anche qui con ripresa dell'aggettivo pius attribuito ad Enea che era sottomesso alla volontà del fato. L'impresa compiuta da Goffredo è celebrata come "glorioso acquisto", dal momento che il condottiero ha riconquistato il "gran sepolcro" di Cristo (gli aggettivi sottolineano la grandezza dell'opera militare) ed egli ha operato con saggezza e con ardimento militare, soffrendo molto nel fare fino in fondo il proprio dovere. Goffredo è dunque presentato sin dall'inizio come guerriero perfetto, non soggetto al turbamento delle passioni che invece svieranno i suoi "compagni erranti" dalla centralità della loro missione, e infatti a lui spetterà il compito di riportarli sotto le insegne dei Crociati, anticipando uno dei temi fondamentali del poema e cioè il contrasto fra dovere e allettamento dei sensi, tra guerra e amore. Viene anche prefigurato l'intervento del soprannaturale nelle vicende militari, poiché il Cielo ha dato il suo favore all'impresa di Goffredo e ha vanificato il tentativo delle forze infernali di opporsi all'inevitabile caduta di Gerusalemme, così come vana sarà l'unione tra l'esercito musulmano di Terrasanta e quello proveniente dall'Egitto (dalla "Libia", intesa genericamente come il Nordafrica), per cui si può dire che l'ottava proemiale riassume in modo sintetico tutti gli aspetti fondamentali del poema, così come l'ultima (XX.144) avrà ancora protagonista Goffredo, che "vince" ed entra in Gerusalemme adorando il "gran Sepolcro" (l'inizio e la fine dell'opera si rimandano con un riferimento "circolare").  Nell'invocazione alla Musa (ott. 2-3) Tasso intende rivolgersi all'ispirazione divina e il poeta chiarisce subito che non si tratta della divinità pagana, che è incoronata sul monte Elicona di allori destinati a sfiorire perché legati a una poesia mortale, bensì di una Musa celeste che ha una corona dorata di stelle e risiede in paradiso, quindi l'autore dovrà essere assistito direttamente da Dio nel comporre un'opera di profondo significato religioso, molto diversa dai poemi di intrattenimento dell'epica cavalleresca. Tasso giustifica anche la scelta di mescolare vero e invenzione romanzesca (i "fregi" con i quali abbellisce il vero storico), poiché i lettori si rivolgono più volentieri a un'opera con elementi piacevoli e attrattivi e in tal modo egli potrà più facilmente trasmettere il messaggio religioso ed edificante del poema, che costituisce la più interessante novità letteraria rispetto alla tradizione epica precedente. L'autore ricorre alla similitudine del bambino malato che deve bere un'amara medicina e che viene ingannato facendolo bere da un "vaso" i cui bordi siano stati cosparsi con "soavi licor", poiché da questo inganno egli riceve la guarigione e la vita: fuor di metafora i "succhi amari" sono gli insegnamenti morali dell'opera, mentre le sostanze dolci sono appunto i "diletti" poetici inseriti nella materia propriamente epica, ovvero gli intermezzi idillici che apparentemente potevano stonare in un poema dedicato a un'impresa santa come la Crociata che aveva portato alla riconquista di Gerusalemme. Tasso trae la similitudine da Lucrezio (De rerum natura, I.936-942), che usa un'immagine molto simile per giustificare anch'egli la scelta di affrontare la materia filosofica dell'epicureismo musaeo dulci... melle ("col dolce miele proprio delle Muse"), onde evitare che il volgo, restio al linguaggio del sapere, se ne allontani come disgustato.  Le ott. 4-5 anticipano il motivo encomiastico al centro del poema, dedicato ad Alfonso II d'Este (all'epoca protettore di Tasso e signore di Ferrara) che viene ringraziato dal poeta in quanto lo ha generosamente accolto nella propria corte, lui che era "peregrino errante" in quanto privo di una patria, esule come il padre Bernardo che aveva seguito nell'infanzia: l'autore usa la consueta metafora del viaggio in mare, che per lui è stato difficile perché fiaccato dal fortunale (un vento tempestoso) e rischiava di venire inghiottito dalle onde, finché Alfonso lo ha sottratto alla burrasca e lo ha condotto in porto, dal momento che gli anni della composizione del poema a Ferrara furono in effetti i più sereni nella vita personale di Tasso. Il poeta auspica addirittura che Alfonso possa assumere il comando di un'ipotetica futura Crociata volta a riconquistare la Terrasanta, per cui il signore di Ferrara viene chiamato "emulo di Goffredo" e a lui il poema è offerto come un "voto", come un dono consacrato per il suo contenuto religioso. Il tema encomiastico verrà sviluppato soprattutto con il personaggio di Rinaldo, leggendario capostipite degli Este e figura analoga al Ruggiero del Furioso, specie nel canto XVII in cui il mago di Ascalona farà la rassegna degli illustri antenati del guerriero e profetizzerà la venuta di Alfonso, "primo in virtù ma in titolo secondo". Nella Conquistata la celebrazione degli Este ovviamente verrà meno, in seguito alla prigionia di Tasso nell'ospedale di Sant'Anna e alla rottura dei rapporti con Alfonso, e il secondo poema sarà dedicato al cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote del papa Clemente VIII e protettore del poeta negli ultimi anni.  L'accenno al "buon popol di Cristo" per cui Tasso auspica una pacificazione interna, necessaria premessa a una successiva Crociata in Terrasanta, rimanda alla rottura dell'unità del mondo cristiano in seguito alla Riforma e chiarisce fin dall'inizio che la lotta contro gli "infedeli" musulmani nasconde in controluce quella contro gli scismatici e i predicatori che avevano sconvolto l'assetto religioso dell'Europa del XVI sec., contro i quali da più parti si invocava una "crociata" per estirpare la loro eresia (questo clima di contrapposizione preannuncia le guerre di religione che divamperanno nel XVII sec.;
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