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Letteratura Russa - Simbolismo, Cechov, Blok, Appunti di Letteratura Russa

Appunti completi sul Simbolismo, su Cechov (Le tre sorelle, Il giardino dei ciliegi, Reparto n°6 e altre opere minori) e su Blok (I dodici, La baracchetta dei saltimbanchi, La sconosciuta e altre opere minori).

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 21/09/2022

_Diana_.
_Diana_. 🇮🇹

4.4

(6)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura Russa - Simbolismo, Cechov, Blok e più Appunti in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! LETTERATURA RUSSA III (Programma Aletto: Čechov, simbolisti, Blok) Lezione 1 - 04.10.21 Alessandro II: zar delle grandi riforme abolizione della servitù della gleba del 1861 (ultimo paese nel mondo ad abolire il servaggio); muore assassinato. Alessandro II sale al trono nel 1855, succede al padre Nikola I. Censura di Nikola I: soprattutto su Puškin, il quale quando si sposa viene riammesso a corte con la carica di gentiluomo da camera (solitamente attribuita ai 15enni) umiliazione per il poeta. “Morte del poeta” accusa aperta contro lo zar. Puškin muore per mano di Dantés in duello per difendere la moglie; secondo Lermontov è stato lo zar e la sua corte ad uccidere il poeta, attraverso la calunnia e l’invidia. Nikola I, conservatore, chiuso ai cambiamenti. Alessandro II, “zar liberatore” (suo tutore era Čukovskij, punto di riferimento di Puškin), in realtà fu bravo ad intercettare i problemi del regno, capiva che non si poteva tornare indietro e quindi bisognava andare avanti non si è scagliato direttamente contro il cambiamento. “Regno delle grandi riforme”, ha come unico precedente il regno di Pietro il Grande. Servo della gleba = крепасной кристинин Già nel XVII si era iniziato ad abolirla nel resto del mondo. Turgenev, attraverso “Memorie di un cacciatore” illustra bene questa situazione della servitù della gleba. Turgenev ci dà l’idea di una classe variegata, con all’interno ruoli diversi: contadino, servo, fattore, cacciatore; i proprietari terrieri non si occupavano del territorio, erano ovviamente i contadini a farlo. Tolstoj, era un nobile, decide di impartire un’istruzione ai propri servi (abecedari, favole, raccolte di testi brevi). Non è che l’abolizione cambia tutto repentinamente. Come nasce la riforma? Alessandro sale al trono e c’è il malcontento (guerra di Crimea: Russia contro l’impero ottomano, Francia e Austria la Russia non ne ricava niente. La Crimea era una zona strategica, nella parte meridionale sul mar Nero. Costantinopoli e Rus’ di Kiev = cuore dell’Ortodossia. Nonostante i vasti territoti della Russia, l’arretratezza era forte e la ricchezza la si andava a prendere al sud. La guerra di Crimea si conclude con la possibilità di navigare in un territorio neutrale; ma si ha una perdita enorme di uomini. Tolstoj ”Racconti di Sebastopoli” = racconto sulla guerra di Crimea nella quale combatte anche lui = bozzetti sulla guerra. La servitù della gleba era un problema da tempo in discussione, quando si vendeva la terra si vendevano con essa anche i servi/contadini, erano diventati troppo costosi; la nobiltà affondava nei debiti, sulle spalle dei contadini. Lo zar si rende conto che bisognava fare qualcosa. In più i contadini cominciarono a riunirsi e creare sollevazioni, ribellandosi: dal 1773 al 1775, la più grande rivolta di Pugačëv. Quando si ribellavano, i servi se ne andavano lontano, spesso nel Caucaso (dove si combatteva contro i ribelli), si arruolavano (anche se rimanevano servi anche lì, ma erano fondamentali) vasti e numerosi campi rimanevano così svuotati e incolti. Ne derivava un problema economico, ma anche morale. 1825, i decabristi tentano la ribellione. Puškin e Lermontov, attraverso le loro opere ci presentano questo mondo. Lezione 2 - 11.10.21 1861 = abolizione della servitù della gleba. La questione era stata sollevata anche dagli autori, dagli artisti: Turgenev “Le memorie di un cacciatore” (una massa composta da tante figure diverse dalla grande umanità, ma anche contadini rudi e dediti solo ed unicamente al lavoro; ma c’erano varie figure che si distinguevano gli uni dagli altri), Puskin, Gogol’ (anche se Belinski si era arrabbiato con lui perché aveva mancato di raffigurare bene questo ceto). Alessandro II decise che, per cambiare la situazione, era necessario intervenire dall’alto, per evitare che il cambiamento avvenisse dal basso, attraverso la sommossa popolare. Cominciò a discutere dell’emancipazione con la classe nobiliare e decise di istituire dei comitati (che avevano le province). I proprietari terrieri si erano resi conto dell’esigenza di una riforma, ma essendo loro nobili e proprietari, la riforma doveva essere a loro vantaggio. C’era una distinzione tra nobili della Russia settentrionale e nobili della Russia meridionale. I Meridionali terre fertili, altamente produttive era importante conservare al massimo la proprietà, preferendola al risarcimento in denaro (la proposta dello stato era che i servi vengono liberati e in cambio risarcivano in denaro i proprietari). I Settentrionali invece terre meno fertili; la ricchezza si basava sulle tasse, sui tributi che pagavano gli stessi contadini, oltre a dover lavorare la terra, per loro quindi a dover essere mantenuto era il lavoro servile più che la terra; questi quindi chiedevano allo stato un fortissimo indennizzo per la perdita del lavoro servile. Durante tutta la complessa formazione e accettazione della riforma, promulgata finalmente il 19 febbraio del 1861, i liberali sono quelli che con entusiasmo accolgono i passi dell’imperatore; in particolare da Герцен, ispiratore delle idee progressiste mandato in esilio. Delle disposizioni provvisorie fecero in modo di prolungare il lavoro servile, i contadini dovevano pagare una tassa pro capite: la loro libertà aveva un rezzo. Ai contadini che già avevano un appezzamento di terra, li venne affidata la metà (l’altra metà rimaneva al proprietario terriero), però dovevano continuare a pagare le tasse su questa metà di terra, e dovevano pagare anche un tacito indennizzo al proprietario terriero per risarcirlo della perdita del lavoro. Ma spesso i contadini non avevano i mezzi e lo stato si prendevano l’incarico di pagare queste tasse per loro il proprietario, ma lo stato obbligava i contadini a pagare una tassa dilazionata per 49 anni. Alcuni contadini si accontentavano di un quarto di terreno, invece che della metà, e in questo caso non dovevano pagare nulla; ma un quarto di terreno significava non sopravvivere, non bastava per assicurare loro il benessere anche minimo. Quindi spesso questi contadini si mettevano insieme e creavano le cosiddette Общини, ovvero delle comunità rurali. Avevano delle assemblee comunitarie in cui si preoccupavano di risolvere i problemi relativi agli obblighi amministrativi o militari (anche se liberati, cosa sono i servi davanti allo stato? Quali diritti e doveri possono assumere o meno?). La riforma fu sicuramente un qualcosa di epocale, vennero liberati 52 milioni di contadini, ma al tempo stesso venne fortemente criticata. Quadro di Борис Кустодев, un pittore, che si chiama “Чтение манифеста (Освобождение крестьян)” [“Lettura del manifesto (Liberazione dei contadini”)]. Questo è il momento in cui viene letto ai contadini della loro liberazione. I contadini non sembrano particolarmente entusiasti, è un cambiamento epocale, ma la condizione dei servi non cambia, almeno non repentinamente, continuano a vivere nell’arretratezza. I contadini formano una massa, sono uniti dalla povertà, dalla stessa condizione che condividono. Liberazione finale = 1905 la situazione era finalmente cambiata dopo più di 40 anni. Le общине contribuirono a dare un sostegno ai contadini, ma non essendo guidate da persone capaci, spesso erano loro stessi a perpetrare la condizione di povertà. Ma come mai, nonostante fosse avvenuto un cambiamento così importante, continuavano le ondate di ribellione? Perché l’emancipazione comunque deluse il popolo, e anche quella classe chiamata Интелигенция; gli интелигенты erano delle voci di intellettuali e scrittori che rappresentano le idee liberali, la cultura, che sostengono l’importanza dell’istruzione, di un percorso che si discosti dall’autoritarismo; cominciano ad apparire negli anni 60 dell’800. Un’altra importante riforma di Alessandro II fu quella della земство (da земля, terra, ma anche il paese e il popolo distinti dal governo centrale, con земля si identificava anche il народ, il popolo che abitava queste terre), è praticamente un organo di autogoverno: sappiamo che l’amministrazione della provincia era un punto molto delicato, già da Caterina II, perché le province che distavano chilometri da Pietroburgo erano difficili da amministrare, perciò il governo mandava i revisori, che però non erano personaggi onesti, erano estremamente discutibili moralmente, si facevano corrompere facilmente, ma ovviamente anche i rappresentanti del popolo locale erano ben pronti ad offrire i propri servigi e a pagare questo revisore per nascondere tutti i malfunzionamenti della propria provincia. Alessandro II si rese conto di questo e, per cercare di limitare l’influenza dei nobili (erano loro che avevano il maggior numero di rappresentanti perché chi aveva più terra aveva maggior diritto di eleggere), cerca di democratizzare il sistema di questi governi locali, per esempio, non facendo distinzione tra nobili e non nobili (non erano solo i nobili a possedere le terre, erano anche i ceti medi) e introduce addirittura le comunità rurali, c’erano quindi anche i contadini a poter prendere parte all’amministrazione. Il racconto è breve quindi lo sono anche i tempi, sono concisi, traspare la chiarezza, anche se è un autore estremamente complesso; è abile a rendere interessante qualsiasi cosa. -nel 1884 si accorge che qualcosa non va perché trova nei suoi fazzoletti delle macchioline di sangue: ha la tubercolosi (viveva in ambienti freddi fin da piccolissimo). Lezione 4 - 18.10.21 Čechov si pone a cavallo tra l’800 e il 900 perché muore nel 1904, la sua opera è peculiare anche perché si inserisce in un periodo di transizione, di passaggio. La cittadina portuale dove era nato ed in cui viveva aveva le insegne con errori ortografici, gli abitanti avevano la mente chiusa, erano rozzi. Tangarog, essendo città portuale, accoglieva tante figure diverse, tanti tipi, quindi alla povertà di stimoli e alla grettezza della vita dura, perché Anton era costretto a lavorare a lungo nella bottega del padre, era costretto a cantare nel coro della chiesa (più che un uomo religioso, il padre era più un fanatico, costringendo i suoi figli a fare delle prove estenuanti presso la chiesa), compensa Čechov con un interesse per l’umanità, ne deriva un’empatia per gli esseri umani. Con il suo perspicace spirito di osservazione comincia ad osservare con interesse questi tipi umani che incontra. Comincia a scrivere le sue impressioni su tutto ciò che vede su dei pezzi di carta (non ne abbiamo testimonianze), questo succede da un lato per svagarsi, dall’altro lato c’è un talento, un dono di base. Lui si accorge di averlo anche se dovremmo ancora aspettare. Čechov in realtà affronta una vera e propria gavetta: Strada fa capire che gli esordi letterari di Čechov sono diversi da quelli di Dostoevskij e Tolstoj. Per quanto riguarda D., il suo esordio letterario è legato alla figura di Belinskij (il più grande critico letterario dell’800) che lo tiene a battesimo, quindi è un esordio supportato da una figura notevole; Tolstoj era un nobile, un conte, e da aristocratico entra nel mondo della letteratura pietroburghese, il suo esordio letterario è segnato da una collaborazione con il Sovremenik (la rivista fondata da Puškin), ha avuto quindi a disposizione i mezzi e il tempo per scrivere. Strada evidenzia questa differenza. L’esordio di Čechov è dal basso, intraprende un duro cammino per apprendere il mestiere dello scrittore. Lui lavora in maniera tenace e dubita continuamente delle sue capacità. Abbiamo detto che Čechov all’inizio si firma con uno pseudonimo, questo perché <<la medicina è mia moglie, la letteratura è la mia amante>>. Čechov diceva che quando scriverà articoli di medicina, allora utilizzerà il suo vero nome. Lo pseudonimo che più usava era Antoš Čechantev, ma utilizzava anche Brat Moevo Brata, Čelovek bez tselezonki (uomo senza fegato). Čechov inizia a scrivere per mantenersi e per mantenere la famiglia. Veniva pagato 7 copechi a riga e i racconti dovevano essere lunghi 20 righe, non di più. Questo giovane doveva occuparsi durante il giorno dello studio e delle visite ai pazienti, quindi scriveva di sera oppure durante la notte; lui dice che lavora macchinamente ai racconti per non più di un giorno. Questo tipo di riviste erano per lo umoristiche: erano delle pubblicazioni “usa e getta”, il cui scopo era sostanzialmente quello di far divertire il lettore (possiamo immaginare che la media degli scrittori di queste riviste non fossero particolarmente talentuosi, anzi per uno scrittore talentuoso era quasi un’offesa vedere le proprie opere pubblicate su questo tipo di riviste). A scoprire il talento di Čechov non sono i committenti di queste riviste, ma è uno scrittore, un intellettuale allora particolarmente famoso (oggi non più), che si chiama Dimitrij Grigarovič. Nel 1884 Čechov pubblica Le fiabe di Melpomene: le pubblica ancora sotto pseudonimo e sono una raccolta di questi racconti che aveva scritto per varie riviste. Dimitrij Grigarovič gli scrive dicendogli: <<Caro Čechonte, basta con quello stupido pseudonimo, basta con le storielle da 20 righe, lei ha un grande talento, non lo sprechi in idiozie, è ora di crescere, di fare cose più serie.>> Ricevendo questa lettera, Anton è da un lato stupito, da un lato confuso, ma è anche lusingato, e gli risponde: <<La sua lettera, mio buono, mio amatissimo nunzio di gioia, mi ha colpito come un fulmine, mi ha sconvolto. Se è vero che in me c’è un dono che va rispettato, confesso che fino ad oggi non l’ho rispettato. Sentivo di possederlo ma ero abituato a considerarlo di poco conto. Tutti i miei hanno sempre considerato con disprezzo la mia attività letteraria, hanno insistito perché non abbandonassi la mia vera professione di medico per fare l’imbratta carte. È vero, finora ho trattato il mio lavoro letterario con estrema leggerezza, negligenza e disattenzione […].>> La necessità pratica è legata anche alla forma letteraria čechoviana, racconti brevi, perché non ha tempo di scrivere. Quindi da un lato i redattori non si accorgono del talento di Čechov (letteratura usa e getta); dall’altro Čechov ha già un pubblico che lo segue, questo dà dignità e merito allo pseudonimo. Pian piano la letteratura comincia a guadagnare sempre più spazio. Sugorin lo prende sotto la propria ala e Čechov è contento e ha la possibilità di confrontarsi con un intellettuale che gli dà consigli, anche di vita. Quelle di Dostoevskij e Tolstoj sono opere di grande respiro, dense e soprattutto sono portatori di idee, di ideologie. T. è monologico (scrittura basata sulla narrazione; T. è il demiurgo, è la lingua monologica dell’autore stesso) mentre D. è dialogico (scrittura basata sul dialogo; ci sono tante voci diverse). C. e T. sono contemporanei; Tolstoj legge Čechov e di lui dice: <<Čechov scriverebbe meglio se non fosse un medico>>. Colpisce la sua mancanza di presa di posizione (i suoi autori contemporanei riconoscono il suo talento, ma Čechov sembra un autore indifferente; Čechov stesso ribadisce che lui è un medico, quindi pima ancora di dare la cura, presenta la diagnosi. Lui si limita a mostrare il male e i problemi ma non è suo compito, da autore, dare una soluzione). Čechov scrive una lettera a Sugorin e dice a proposito della perplessità dei suoi contemporanei: <<Compito del narratore è soltanto descrivere chi, come e in quali circostanze […], l’artista non deve essere giudice dei personaggi né di quello che dicono, ma solo testimone spassionato, io devo cercare solo di avere talento, di saper distinguere gli indizi importanti da quelli che non lo sono (medico deve essere capace di distinguere quelle che sono avvisaglie importanti da quelle che non lo sono)>>. Il riferimento agli indizi è anche indicativo di uno dei primi racconti non destinati alle riviste, Drama caccia, che è un detective, un giallo, in cui egli si serve dello schema tradizionale del romanzo giallo. Anche Sugorin gli rimprovera la sua mancanza di idee, la sua “indifferenza”. Čechov rappresenta la vita com’è; i giudici esistono già. Viene criticato per la mancanza di intrecci/trame solidi, ma Čechov non ne ha bisogno: bisogna scrivere di cose che accadono realmente nella vita. Ci sono molti autori a lui contemporanei, ma Čechov lascia il segno, è l’unico che si distingue maggiormente. L’attività teatrale appartiene all’ultima fase della produzione čechoviana. I protagonisti dei racconti di Čechov lasciano sbigottiti i lettori, perché quado gli si pone un problema, loro non sanno rispondere. [Joyce e Woolf si ispirano a Čechov; Woolf rimane sconcertata dall’opera di Čechov La signora col cagnolino (uno dei racconti più famosi di Čechov), c’è qualcosa di anomalo, non c’è un vero finale.] Formalisti = movimento importantissimo per la critica letteraria non solo russa, sono gli anticipatori degli strutturalistisono loro che decidono di guardare all’opera in sé (non alla biografia e al contesto). Sono importanti per la critica letteraria. In Russia, accanto ai movimenti letterari, cominciano a nascere dei movimenti formati da studiosi che si dedicano allo studio della struttura dell’opera C’è una certa musicalità nelle opere di Čechov che è più sfuggente. Simbolisti = critici, aprono questa strada (ma in maniera formale sono i formalisti a farlo). In Čechov non ci sono scenate, teatralità, litigi, tragedie… Nelle sue opere i dettagli e i particolari sono importantissimi. Con I racconti variopinti diventa famoso, si compra una villa, mantiene tranquillamente la sua famiglia (ma non abbandona la medicina). Čechov stravolge la gerarchia dei dettagli racconto miniaturizzato (si concentra sulle piccolezze, sulle cose che per tutti sono banali, come una mosca, una rondine, un suicida). Lui può scrivere di qualsiasi cosa. Stanislavskij attore delle opere teatrali di Čechov, con il quale si scontra, ma pone molta attenzione alla scena. Majakovski, futurista, dice: <<Čechov ha portato nella letteratura i rozzi nomi dei rozzi oggetti. È stato il primo a usare per ogni passo della vita la sua propria espressione verbale.>> Majakovski vede in Čechov un’innovazione (il termine “rozzi” non lo utilizza in maniera offensiva). Gli oggetti, la concretezza sono importanti al pari delle ideologie. L’opera čechoviana è testimone del cambiamenti del tempo, del periodo storico, dagli attentati alla rivoluzione. Con lui vediamo un sacco di professioni diverse, personaggi del ceto medio. In realtà Čechov ce l’ha un’ideologia. [Gogol’ aveva l’obiettivo di mostrare il male e sconfiggerlo.] L’idea di Čechov è un ideale civile: di rispetto verso il prossimo, verso le minoranze, di una società che include, consapevole delle debolezze. Nel 1888 Čechov (con la sua salute malferma) va in Siberia, nell’estremo orientale, nell’isola di Sachalin, poco sopra Giappone, dove c’era una delle colonie penali più dure, dove lui lavora come medico, mettendo da parte la letteratura. Scrive tantissimo in questo periodo, ma elabora migliaia di pagine di relazione sulle condizioni di questi detenuti e trova una situazione indescrivibile. Al suo ritorno pubblicherà il volume L’isola di Sachalin. Lui non accetta la realtà circostante, per essere andato in Siberia vuol dire che è una persona non indifferente e cerca di combattere questa realtà con la sua letteratura; la sua presa di posizione è non prendere posizione. Non c’è un unto di vista, ma ce ne sono tanti, poi spetta al lettore ragionare. Čechov è un autore difficile perché richiede il nostro intervento nella lettura e la nostra riflessione: ci invita a pensare. [Čechov viaggia in Europa, va spesso a Nizza e altre località sempre marittime, per la sua condizione di salute, ma si sente costantemente in colpa perché si sente un “privilegiato”, dato che non lavora non produce.] Čechov prende posizione, ma è con i fatti che lui agisce, non attraverso una presa di posizione plateale letteraria. Era estremamente critico rispetto a quello che faceva Tolstoj, il quale ad un certo punto per la sua tenuta decise di fondare una scuola e di scrivere abecedari (Tolstoj venne scomunicato dal papa). Dopo esser tornato dall’isola di Sachalin e dopo l’uscita dell’omonimo volume, nel 1892 pubblica Reparto n° 6 (Palata nomer 6). È un racconto abbastanza lungo ambientato in un ospedale di provincia. Čechov era particolarmente interessato ai malati mentali; in questo ospedale c’è un reparto, il reparto n°6 dedicato ai malati mentali. Il protagonista, un professore prossimo alla pensione, ha condotto la sua esistenza di uomo e di medico tra le mura di questo ospedale e praticamente non si è mai occupato di questo reparto, se non il minimo necessario. È un reparto che versa in condizioni orribili: i malati vengono insultati e maltrattati, vivono nella sporcizia. Inoltre, oltre ai malati veri, ci sono anche persone ritenute malate (prima era difficile distinguere tra un malato mentale reale e chi aveva esigenze risolvibili in altri modi, ma faceva comodo alla società etichettarli come tali). Il medico si accorge dell’incredibile degrado di questo reparto e lo aiuta nella realizzazione di quanto accade uno dei malati che si trova lì da poco ed è un giovane particolarmente intelligente, ma molto violento e aggressivo. Prima il medico non visitava mai questo reparto, ma poi man mano le visite diventano più frequenti anche grazie a questo giovane, con cui aveva delle conversazioni, prima pacifiche e poi sempre più violente; perché questo giovane non accetta la sua condizione. [Čechov, dietro al medico, non condanna questo ragazzo, non è chiaro se è veramente malato o se è solo un ragazzo arrabbiato. Sta al lettore decidere.] Il rapporto con questo ragazzo colpisce talmente tanto il medico che a un certo punto comincia anche lui a dare segni di squilibrio, a diventare violento e a maltrattare il guardiano del reparto, tant’è che anche lui verrà rinchiuso nel reparto. Anche qui abbiamo uno sfondo di denuncia. Lezione 5 – 19.10.21 Bulevarnaja literatura = è una letteratura che punta a far divertire; da boulevard (strade ampie frequentate, al centro, c’è tanto movimento, i locali). Čechov scriveva su inserti del quotidiano (letteratura usa e getta). Più o meno dal 1883/84, a 23 anni (inizia a scrivere per i giornali a 21), è ancora uno studente di medicina, scrive inizialmente per 5 copechi, poi per 7. Il lavoro di Čechov è un apprendistato, un’acquisizione di fiducia in se stesso gradualmente. Nel 1884 escono Le favole di Melpomene, e si firma ancora con lo pseudonimo, ma qui già era Antoša Čechantev. Lo pseudonimo era diffuso già dai tempi di Caterina II; lo pseudonimo è funzionale agli scopi poetici, perché oltre ad essere una storpiatura anche fonetica del nome dell’autore, l’uso dello pseudonimo è una protezione, dà una seconda identità, è un’affermazione di sé diversa dal nome e cognome reali. Dava la possibilità di spaziare la tipologia di scrittura, di sperimentare vari generi senza correre troppi rischi. ЖАЛОБНАЯ КНИГА (Žalobnaja kniga) da žalet’ = lamentarsi “Libro dei reclami” del 1884. É un libro che raccoglie tutte le lamentele di una žalobnaja kniga che si trova in una stazione di posta; è un testo breve. È fortemente sperimentale questo tipo di testo; questo testo è creato con l’assemblamento di brevi frasi fortemente condensate e ovviamente c’è di tutto. Žizn’ v voprosach i vosklicanija ”Vita in domande ed esclamazioni” del 1882 È un libro costituito interamente da segni di interpunzione, punti interrogativi e punti esclamativi. Al termine di ogni frase c’è o un punto interrogativo o esclamativo o più di uno. Si suddivide in infanzia, adolescenza/pubertà, giovinezza, tra i 20 e i 30 anni, tra i 30 e i 52, vecchiaia. [Un altro scrittore che aveva descritto le fasi della vita è Tolstoj] È umoristico, ma ci fa anche riflettere, quanto sia stereotipato il modo di vivere. Čechov rifiutò in un certo senso molte delle sue opere della prima fase lavorativa. Lo pseudonimo è anche un abbassamento, è una parodia, una degradazione (prende interi generi letterari e li parodizza). Tolstoj anche aveva scritto sull’infanzia, l’adolescenza, ecc., quindi questo di Čechov è una parodia del testo di Tolstoj. Racconto miniaturizzato una miniatura, forma dettata dalla necessità di vita di Čechov e anche dal bisogno di rinnovare il genere; per rinnovarlo, Čechov prende il genere e lo parodizza. La questione dell’impiegato lo ritroviamo in Puškin, in Gogol’, in Dostoevskij, sono tematiche frequenti. Ci sono delle costanti in Čechov. Lui ci dà degli stimoli di riflessione, da cui costruiamo il nostro pensiero. Čechov rende dei cliché (fantasma, impiegato) e li ribalta in qualche modo. [Bachtin ha teorizzato il cronotopo (spazio-tempo) e il linguaggio carnevalesco, ovvero travestimento, quindi c’è un ribaltamento totale delle gerarchie, quindi lode e ingiuria si mescolano, così come fa la parodia. Onegin stesso è una parodia, dell’eroe romantico, di Byron.] Il punto di vista in Čechov è quasi uno stato d’animo e cambia rapidamente anche a seconda dei personaggi. La sua è una scrittura intensiva, romanzo miniaturizzato, romanzo novellistico; è difficile definire il genere, perché comunque il nucleo è maggiore e ampio e più complesso. Čechov non si avvicinò mai ai circoli letterari. 1892: Reparto n° 6 (Palata nomer 6) Čechov ormai si è affermato e ha vinto il premio Puškin con il suo racconto più lungo, Step; è il premio più importante che un letterario possa ricevere (anche se Čechov pensa di non meritarlo). Il tema fondamentale è quello della follia (questo tema parte da Puškin con Il cavaliere di bronzo e La donna di picche, sviluppato poi da Gogol’ in Diario di un pazzo e altre opere). Trama: Ragin è il dottore protagonista e conduce da quasi 40 anni alla direzione di questo ospedale tristemente noto per il reparto psichiatrico. Vedremo questo Ragin nella sua vita ordinaria. Questo reparto era totalmente nel degrado, i malati venivano picchiati, vivevano nella sporcizia, non gli vengono assicurate le cure mediche. L’unico che può uscire da questo reparto è un ebreo (perché gli ebrei di strato più basso possono chiedere l’elemosina). Ragin viene presentato come un inteligent, nel suo tempo libero legge i libri classici (come lo stesso Čechov che amava molto Marco Aurelio). Lezione 7 – 26.10.21 “Il punto esclamativo: racconto di Natale” Life-motif: c’è uno sguardo al panorama russo di quell’epoca perché troviamo la figura di questo giovane che sì, è saccente, ma è anche consapevole e cosciente delle proprie capacità. Troviamo anche la figura della donna che finalmente inizia a studiare. C’è un abbassamento parodico anche in questo racconto; anche qui molto è lasciato sottinteso, come nella parte finale dove non c’è una vera e propria presa di coscienza del personaggio, un cambiamento. Il giovane critico è anonimo perché rappresenta una categoria, non un singolo. Nella commedia dell’arte ci sono i tipi, delle maschere, personaggi con qualità universali: il giovane critico è un tipo (giovane, istruito, figlio di un consigliere di stato). Il giovane critico lo troviamo poi nel sogno del protagonista come fantasma, è quasi come una sorta di agente esterno, una entità. È presente il tema del Natale: periodo di passaggio (tra fittizio e realtà), è un periodo magico, pieno di significati. La sera è un momento particolare della giornata; durante la notte è in uno stato di dormiveglia (tra sogno e realtà), è uno stato di passaggio, spesso rivelatore ed autentico. È presente anche il concetto di свой / чужой (molto presente in Gogol’: villaggio di Dikanka e la città di Pietroburgo). I russi sentono molto forte questa differenza; è una costante culturale. (Пространства = spazio) Lo spazio può essere anche interiore, quindi il чужой di Prokladin è il sogno. Lo spazio casalingo: la stanza di Prekladin è calorosa, si sente che c’è la mano di una donna (una donna evidentemente sensibile, risponde dolcemente al marito e gli dà una risposta diretta alla domanda di Prekladin). Čechov viene definito impressionista della letteratura dai critici, perché è realista ma allo stesso tempo non delimita e non impone la sua storia, siamo noi a farci l’idea finale (gli impressionisti dipingono a piccole pennellate, non usano i contorni, quindi la figura non è delineata, guardando complessivamente da una certa distanza ci danno un’impressione, alla fine è una visione soggettiva); i suoi racconti non hanno un contorno, non sono delineati, richiede l’intervento del lettore. Il dettaglio: quello che aveva reo perplessi i primi lettori critici è il fatto che elementi che tradizionalmente venivano considerati secondari diventassero primari, principali. In questo racconto il dettaglio è il modo onomatopeico di parlare di Prekladin (questi “hm”, “mm”), è un dettaglio sonoro. Un altro dettaglio è la punteggiatura, è quasi la protagonista. Reparto n°6 È conclusa la fase dei racconti umoristici, lo pseudonimo Antoša Čechantev scompare, lasciando spazio solo ad Aton Čechov. Dopo aver vinto il “premio Puškin” acquista una villa nei dintorni di Mosca, a Milikova, e ci mette tutta la famiglia. Milikova è un luogo molto frequentato, qui Čechov lavorava come medico, e nel frattempo scrive; ci sono tante lettere in cui si lamenta di non riuscire a lavorare, perché non ha tempo; si fa costruire una sorta di veranda tutta per sé dove lui si rifugia a lavorare. Lavorare e scrivere richiede una forza di volontà notevole, nonostante la salute cagionevole. Čechov è particolarmente interessato alla malattia psichiatrica, lo affascina molto, e soprattutto si rende conto che non è trattata adeguatamente in Russia. Il Reparto n°6 non è un racconto di accusa diretta e aggressiva nei confronti del sistema. Anche la differenza tra ciò che è la follia e ciò che è la normalità è molto molto sottile. Trama: Il protagonista è Ragin, un medico anziano che è alla direzione di questo ospedale da 40 anni. Non ha mai, fino a quel momento, nell’ultima fase della sua carriera, preso decisioni risolutive per migliorare la condizione di questo ospedale, nonostante sia un uomo colto. Viene presentato come un uomo buono, un uomo che legge moltissimo vari generi di libri. Questo Ragin comincia ad avere un rapporto di dialogo con uno degli internati del reparto n°6 dell’ospedale, un giovane che si chiama Ivan Dimitrivič Gromov. È un ragazzo che aveva avuto la possibilità di studiare all’università ma che poi ha dovuto interrompere gli studi perché il padre era morto e aveva lasciato molti debiti alla famiglia; Gramov si era ritrovato quindi senza mezzi e deve per forza abbandonare l’università. Inizialmente, come impiego comincia ad insegnare nelle scuole dei villaggi, però è un tipo di occupazione che non gli piace, è sempre insoddisfatto, non è contento e quindi comincia a cercare altrove. Poiché ha studiato legge, comincia a fare l’usciere nel tribunale (porta i documenti, redige delle comunicazioni di servizio), ma non è una carica altisonante. Ad un certo punto Gromov comincia a convincersi di aver commesso un reato: un giorno portano un carcerato in catene in prigione e questa visione gli rimane così impressa nella mente che gli risveglia qualcosa; si convince da quel giorno che qualcuno lo sta cercando e che ha commesso un reato e che la polizia vuole metterlo in prigione. È una paranoia sostanzialmente, perché si basa sul nulla. Comincia a nascondersi nella cantina della casa in cui vive, ma la padrona di casa, non vedendolo più, lo va a cercare nelle cantine e lui pensa di essere stato finalmente scoperto: comincia a correre per la città messo nudo; in quel momento decidono che bisogna internarlo. Inizialmente viene internato nella parte dei malati meno gravi, ma Gromov ogni tanto va in escandescenza, alterna momenti di lucidità a momenti in cui diventa molto aggressivo, quindi viene lo mettono insieme agli altri malati (dementi, anziani, persone che non parlano, aggressivi con la camicia di forza). Da questo reparto può uscire solo un anziano ebreo che può andare al massimo a chiedere l’elemosina, ma tutto ciò che riesce a racimolare (dolci, vino, pane, soldini), ogni volta che torna lo deve consegnare a Nikita. Nikita è un usciere tremendo, è un energumeno che non fa che picchiarli perché è così che vengono calmati i malati quando hanno le crisi. Nikita è la violenza bruta, senza senso, totalmente opposto al dottor Ragin. Facendo i suoi giri all’interno dell’ospedale, Ragin rimane impressionato da Gromov che sembra ragionare in maniera cristallina sul perché si trovi là dentro, sul perché la sua vita ha preso quella piega. Quindi Ragin comincia a chiedersi del perché quel uomo sta lì dentro e se è giusto il modo in cui gli altri malati vengono “curati”. Però questo non porta ad un cambiamento, anche Ragin ad un certo unto comincia ad andare in escandescenza, comincia a urlare (evidentemente anche lui aveva della violenza repressa). Nikita in questo senso è un interlocutore, è rabbia e violenza all’estremo. Anche Ragin viene internato e muore. Finisce così. Il riferimento alla morte ci permette di fare un collegamento con un’altra opera: “La morte di Ivan Ilič”. Dopo una banale caduta, il protagonista Ivan Ilič si accorge di avere dei dolori sempre più intensi al fianco; questi problemi ai reni si rivelano essere una vera e propria malattia. Alla fine della vita di questo Ivan Ilič, che è un giudice, un uomo molto importante, rispettato, un uomo di successo… Ivan Ilič è molto triste di essersi ammalato, però comincia una vera e propria presa di coscienza, rivelazione; si rende conto che la famiglia, il lavoro, la carriera, è un’enorme ipocrisia nella quale è vissuto: la famiglia comincia a guardarlo come un peso, un fastidio (c’è solo un figlio, il più piccolino, che mostra pietà per il padre, è l’unico); i colleghi non lo vanno quasi più a trovare. Prima c’è il trauma e la rivelazione dell’ipocrisia in cui è vissuto Ivan Ilič, ma quando si avvicina alla morte, attraverso il monologo interiore, ci accorgiamo che Ivan Ilič si libera di un peso. Tolstoj è fortemente cristiano, quindi il momento della morte è il momento di riconciliazione. È come se Ivan Ilič riconoscesse i propri sbagli, guarda alla sua vita in un altro modo. Questo succede anche in Čechov, ma in lui non c’è la visione religiosa, è quasi la visione di un demente quella di Ragin (uomo acculturato, uomo di scienza). La morte la vede solo come un momento in cui finiranno le percosse. In Čechov non c’è consolazione, non c’è sollievo (può essere visto quasi come un pessimista); però è così, non sempre c’è il riconoscimento, la luce, la rivelazione: c’è anche questo, c’è anche il bisogno che è tutto umano, fisico, il desiderio che finalmente finisca il dolore semplicemente (la prima volta che Ragin venne picchiano si rende conto che questi malati per anni hanno dovuto tutti i giorni subire questo e lui non ha mai detto niente). Quindi Ragin è un uomo buono o è un uomo indifferente? Ci sono tanti punti di vista, e Čechov lascia a noi se condannarlo o no. L’apertura di questo racconto è abbastanza tradizionale: la descrizione dell’ambientazione, la descrizione del passato dei personaggi, da presentazione dei personaggi, spesso c’è pure il rivolgersi all’autore (gli autori che spesso dialogano con il lettore: Puškin, Gogol’). In Čechov troviamo tante descrizioni botaniche, è un esperto, ci sono tanti riferimenti alle piante. C’è anche questa opposizione tra l’ambiente esterno e l’ambiente interno. L’ospedale all’esterno è più curato, mentre l’interno è più abbandonato a se stesso. Nikita è un uomo minuto, ma in realtà è un uomo che usa la violenza. Gramov è gentile. Ragin è un tipo trascurato nell’aspetto e nei modi, ma anche molto gentile, che non sa dare ordini. Lezione 8 – 2.11.21 La struttura del racconto Reparto n°6 è abbastanza canonica, tradizionale; dei personaggi sappiamo il loro passato, ci vengono presentati (questo è tipico delle convenzioni del romanzo dell’800); abbiamo letto dei passaggi in cui il narratore chiede al lettore di accompagnarlo nell’esplorazione dell’ospedale (questo stratagemma del rivolgersi al lettore). È suddiviso in capitoli molto brevi, dei personaggi principali, Ragin e Gromov, conosciamo anche l’evoluzione. [Persona epicurea = persona che ha fede materialista, dedita ai piaceri della vita, non crede nelle cose astratte.] Secondo Ragin la condizione più alta di piacere si può trarre dalla lettura, lui non fa altro. Vive da recluso, da 20 anni dirige questo ospedale, nel quale passa la maggior parte del suo temo, il resto del tempo lo trascorre in casa sua con la donna che si occupa della casa e con il direttore delle poste, un altro medico, che è totalmente diverso da lui. È un uomo che vive nell’inerzia; Ragin ci sembra un uomo buono, ma è comunque inerte, non fa nulla per cambiare lo stato del suo ospedale. Nikita è il suo opposto, è la violenza ceca, l’ignoranza pura (l’opposto dell’epicureo); è un uomo dalla grande forza (è in grado di gestire in maniera fisica tanti malati) ma è mingherlino. Čechov non dà mai nulla per scontato, deve essere una sorpresa per il lettore; questo perché c’è sempre una pluralità di punti di vista. Non c’è mai un personaggio tratteggiato a tutto tondo, ogni personaggio ha tante sfaccettature anche contraddittorie tra di loro, che poi evolve, cambia. Nell’ultima fase della sua vita Čechov lega molto con Maksim Gorki. Gorki è uno dei numi tutelari del realismo socialista, l’unico tipo di approccio letterario che poteva esistere durante il periodo sovietico. [Dopo la stagione delle avanguardie, dopo l’esplosione sperimentale, dopo la grandissima libertà creativa degli anni 10 e 20 (con i futuristi, con i cubofuturisti, la centrifuga), vengono sciolti questi gruppi letterari perché soltanto un tipo di letteratura poteva essere accettata e possibile, la letteratura del proletariato. Questa è una letteratura incentrata su temi concreti, legati alla vita dell’unione sovietica, alla costruzione del socialismo Realismo socialista. Tra gli esponenti più noti e influenti c’è Maksim Gorki (che aveva anche un peso politico non indifferente).] Gorki era però vicino anche a questi dell’avanguardia, a Čechov. Lui a Čechov diceva <<Lei uccide il realismo>>; perché nonostante il racconto di Čechov sia impostato in maniera tradizionale, non è un racconto naturalistico perché la situazione descritta è una situazione simbolica; la ritroveremo anche ne Le tre sorelle e ne Il giardino dei ciliegi. È per questo che Čechov è molto caro ai simbolisti, perché già ci sono i simboli nella sua opera; l’ospedale, il padiglione, il sogno, l’interiorità di Ragin, le riflessioni di Gromov… da un lato ci appaiono come una descrizione scientifica, minuta (Čechov era un medico ed era interessato alla condizione di infermità mentale), ma non è solo questo. Quello di Čechov è un atteggiamento antidogmatico, qui non ci sono grandi idee (come quelle di Tolstoj in Ivan Ilič); c’è più che altro rassegnazione, che però non ha meno dignità rispetto alla visione illuminata, è solo un’altra prospettiva. La prosa di Čechov è ricca di silenzi, i personaggi fanno spesso pause. Questo perché le pause danno la possibilità allo spettatore di riflettere. Oltre a ricevere ciò che gli viene dato dagli attori, deve anche a sua volta partecipare, è una cosa che avviene a livello del nostro inconscio. Lo spazio: Il bosco, ci dà una sensazione di spazio aperto, verde, rigoglioso, che viene poi contrapposto dalla descrizione dell’edificio. La decadenza esterna ci dice già la condizione interna. Questo è uno spazio simbolico. Quando il dottor Ragin è in fin di vita, ha una visione molto bella, vede un branco di cervi. Potrebbe essere anche vera perché l’ospedale è circondato dal bosco, ma poi Čechov aggiunge <<di cui aveva letto ieri sera>>; allora questa visione è uno spazio di libertà, ma non sappiamo se è una visione reale o se è una sua proiezione mentale. Anche le visioni dello spazio esterno non necessariamente sono positive e non necessariamente controbilanciano, sono visioni simboliche che possono rappresentare la realtà concreta oppure no. Tra un atto e l’altro passano anni e nell’ultimo atto Nina la scopriamo attrice non di grande successo, però perlopiù di provincia, gira abbastanza e scopriamo che ha avuto un figlio da Trigorin; tra loro però è già finita, è stato un amore infelice. Ritorna quindi il teatro: i personaggi lavorano in questo campo e dunque inevitabilmente troviamo discorsi sull’arte e sul teatro, però Čechov si posiziona tra l’800 e il 900 quindi è un’opera di transizione, di passaggio. Dopo Čechov verrà il simbolismo. Čechov era particolarmente amato dai simbolisti e già con Čechov dobbiamo cominciare a fare un discorso sui simboli. In Collucci: “l’arte è una circostanza oggettiva”; un pretesto per far sì che i personaggi si rivelino in qualche modo (questo perché Čechov non è un autore che programmaticamente dichiara le sue posizioni; Il gabbiano non è un manifesto della drammaturgia čechoviana). Perché questo titolo? Il gabbiano simboleggia la libertà, ma il gabbiano di Čechov è incagliato/impagliato: Treplev, inizialmente, per sbaglio o intenzionalmente, mentre a caccia, spara ad un gabbiano e lo sottopone a Nina, che ne rimane spaventata e turbata. Verremmo a sapere alla fine del dramma che il gabbiano è stato impagliato per volere di Trigorin. Stanislavskij volle fortemente che questo gabbiano impagliato fosse presente in scena dall’inizio alla fine, anche se Čechov non era molto d’accordo con questa scelta; ogni personaggio de Il gabbiano può proiettare su quel gabbiano impagliato il proprio sé: tutti sono in qualche modo bloccati, la loro esistenza è impagliata, quindi non è concesso loro di alzarsi in volo. L’arte è qui segno anche di uomo della scrittura čechoviana. È il primo lavoro drammaturgico importante di Čechov perché è il primo della tetralogia ed è un linguaggio che sta rinnovando, un linguaggio su cui sta lavorando. In Strada: “l’arte è un segnale”; Čechov sta cercando di indagare la propria arte, è una metodologia di cui Čechov è in cerca. Il gabbiano è solo il primo di una serie di oggetti: questa è una delle tante innovazioni che apporta Čechov, perché sono fortemente simbolici. Lo stesso Čechov definisce questo dramma un “dramma con poche azioni”; questi intricati rapporti tra i personaggi vanno a controbilanciare un dramma che non ha grandi stravolgimenti nella trama, grande azione; questo porta a una spiegazione dell’insuccesso iniziale del dramma. Ci si deve concentrare quindi sul linguaggio, sui dialoghi, sull’espressione del corpo. La gamma emozionale in Čechov è altissima e complessa, quindi gli attori dovevano essere bravissimi e in grado di tirare fuori questa gamma di emozioni. Cominciano ad avere importanza le pause, i silenzi dei personaggi; alla mancanza di azione, di suspance, di colpi di scena, di stratagemmi del teatro tradizionale che siano in grado di catturare l’attenzione dello spettatore, si controbilancia il ritmo delle battute dei personaggi. Ci sono pause e silenzi che non sono tempi morti, non sono da giudicare come semplicemente spazi tra una battuta e l’altra: danno ritmo al dramma. Il tempo dell’attesa e dei ricordi è fondamentale in Le tre sorelle. Zio Vanja (Дядя Ваня) 1896 Abbiamo di nuovo il protagonista nel titolo. Ivan Boinickij è uno scapolo, innamorato di Ilena Andreevna, moglie di Serebrjakov, un professore universitario. Serebrjakov è il cognato di Ivan, vedovo della sorella, con cui ebbe la figlia Sonja. Zio Vanja vive in campagna con la nipote Sonja. Per mantenere e affrontare le spese delle tenute di campagna ci doveva essere qualcuno che se ne occupasse continuamente. Per poter viaggiare, Serebrjakov prende i soldi dalla tenuta di campagna, che viene amministrata da Vanja insieme a Sonja. Quindi Vanja dedica sostanzialmente la sua vita a questa amministrazione per mandare il denaro necessario alla vita che conduce Serebrjakov; ma lo fanno con gioia e quasi lo idolatrano Vanja e Sonja vivono in un’illusione perché Serebrjakov è un altro pallone gonfiato, che fa la vita agiata a Pietroburgo e non si occupa della figlia Sonja. Ad un certo punto Serebrjakov rende noto a Sonja e Vanja che vuole vendere la tenuta per saldare i suoi debiti e per comprarsi una casetta in Finlandia. Questa decisione manda totalmente in crisi i due, che hanno dedicato tutto il loro tempo a questa tenuta. Nelle battute vediamo che man mano l’illusione diventa disillusione. Questa proposta però non va in porto: Serebrjakov non insiste e va via. [Questa situazione era molto frequente in Russia, queste tenute venivano vendute o lottizzate.] Vanja cerca di uccidere Serebrjakov, gli spara due volte ma lo manca; questa scena mette perplessità nello spettatore. Il fatto che l’abbia mancato indica che o è goffo ed “incapace” o non voleva realmente ucciderlo. Alla fine, dopo tutti gli avvenimenti, sostanzialmente non cambia nulla, è come se l’azione fosse ciclica, si ritorna al punto di partenza. Quindi nonostante abbiano capito quale sia la vera natura di Serebrjakov, i due comunque decidono di continuare a condurre la vita di prima. Sonja, personaggio mite, fa un discorso sul futuro (che è una costante dei drammi čechoviani). Questo passo di Sonja viene interpretato in chiave religiosa, perché lei è credente. Per la critica sovietica, Čechov venne interpretato come uno scrittore rivoluzionario, questo perché il lavoro viene inserito in un contesto quasi celestiale (questo per Sonja, non necessariamente per Čechov): il lavoro e la rassegnazione al continuare con la vita precedente è legato all’innovazione di Čechov, non è un colpo di scena. L’innovazione è nella rassegnazione dei personaggi. La dignità di Vanja e Sonja è data dal lavoro. Le tre sorelle (Три сестры) 1900 La data di composizione è emblematica. Questo dramma è stato proprio pensato per il Teatro dell’Arte di Mosca. Čechov aveva in mente i personaggi e la scena. Čechov, finora scapolo, nel 1902 si sposa con una delle attrici del Teatro dell’Arte, Olga Knipper, che aveva interpretato Maša, una delle tre sorelle. Čechov instaura un rapporto particolare con i registi e con la troupe di questo teatro. Sono stati due anni di matrimonio, ma è un rapporto per lo più a distanza perché Čechov era malato e per curarsi andava a Jalta dove aveva un villa oppure all’estero. Questo dramma lo scrisse mentre era a Nizza e lo inviò a distanza a Stanislavskij. Questo dramma pose non pochi problemi agli attori e ai registi, i quali accusarono Čechov di “ascenicità”; i due registi dicevano a Čechov <<i suoi drammi sono irrappresentabili>> o comunque <<è difficilissimo veicolare sulla scena quello che lei ha scritto sulla carta>>. Da un lato Čechov è uno scrittore/narratore e quindi non è da escludere che quando lui scrive, scrive pensando a un lettore, a qualcuno che si ritroverà davanti la pagina scritta in primis, e poi ci sarà uno spettatore che guarderà i personaggi muoversi sulla scena. In effetti però, soprattutto nelle didascalie, nelle imitazioni sceniche, noi troviamo delle informazioni che pongono in grande difficoltà chiunque voglia rappresentarle, informazioni che possono apparire superflue, informazioni che parlano perlopiù al lettore del dramma. Le tre sorelle sono Olga, Maša e Irina, che hanno un fratello, Andrej. Sono la famiglia Prozorov. Abitano in campagna in un capoluogo di provincia, ma le tre sorelle in realtà sono originarie di Mosca però quando ancora adolescenti si trasferiscono qui per seguire il padre, un generale di brigata. Però all’inizio del dramma li vediamo già orfani, hanno perduto già in precedenza la madre e da un anno il padre. Olga lavora, insegna in un ginnasio femminile, è sposata con un collega, professore di latino. Irina, la più piccola, ancora non sa bene cosa fare della propria vita. Mosca è onnipresente perché è costantemente nominata e soprattutto evocata dalle tre sorelle e Veršinin, il nuovo comandante, che conosceva le sorelle quando erano piccole. Andrej lo vediamo all’inizio ancora non sposato, ma fidanzato con Nataša, la quale va ancora un po’ dietro al suo ex, Protopopov, che non appare nell’elenco dei personaggi ma è sempre e solo nominato. Noi però sappiamo chi è: è a capo della земьства (oppure comitato provinciale nella traduzione; è un organo governativo a livello provinciale in cui chi possedeva la proprietà più ampia e maggiori anime, aveva più esponente all’interno) ed è un borghese. Anche Nataša è una borghese, anzi la borghesuccia (viene così appellata dalle tre sorelle). Tutto sommato le tre sorelle non sono aristocratiche, tuttavia, pur appartenendo alla stessa classe, si ben differenziano: sono altro rispetto a questa Nataša. Andrej inizialmente è solo invaghito di questa donna, poi però sappiamo che si sposano e hanno anche un figlio. Questa donna che inizialmente non è invadente, non la vediamo al centro della scena, man mano acquisirà sempre più potere su di loro e sulla proprietà; ad un certo punto addirittura fa in modo di liberare una delle stanze in cui sta una delle sorelle per concederla a suo figlio, e tradisce Andrej con Protopopov. La classe borghese a quel tempo prende sempre più potere, però è una borghesia volgare, che si differenzia dai valori che invece sono fondamentali per le tre sorelle. Andrej aspira alla carriera universitaria: lo vediamo suonare il violino, sta sempre a studiare, è uno che ha dei sogni all’inizio, man mano però abbandona qualsiasi aspirazione a causa di questo matrimonio. La famiglia delle sorelle è una famiglia colta. I suoni che vengono dalla loro casa è il violino, il pianoforte, la chitarra, ci sono sempre libri sparsi intorno, vediamo sesso le sorelle leggere, Olga che corregge i compiti. Questo è un altro tipo di classe nella classe, che non c’è più. Lezione 10 – 9.11.21 Tra un atto e un altro passano diversi anni, quindi evolvono i rapporti e le relazioni tra i protagonisti; questo è un qualcosa che sbilancia l’unità di tempo tra i 4 atti, l’unità di spazio è rispettata invece (perché ci troviamo sempre all’interno della tenuta). È proprio necessario al procedere dell’azione che passino diversi anni; è necessario e fondamentale, non tanto perché a livello d’azione succede qualcosa di plateale… L’azione non è esteriore, è interiore, il tempo è quello dei personaggi, del ricordo, dell’attesa. [Veršinin, il comandante di brigata di cui innamora Maša, ricambiata, ama molto la provincia, si differenzia un po’ da loro, è un personaggio poetico] Ad un certo punto Veršinin deve abbandonare la casa delle tre sorelle perché gli arriva la notizia che la moglie si è appena avvelenata; ma neanche il suicidio costituisce un colpo di scena in Čechov. Gli eventi sono rappresentati nella loro banalità; Čechov voleva il massimo realismo in scena, non ci doveva essere nulla in scena che dovesse apparire costruito, artificiale, ci doveva essere poca teatralità. Allo stesso tempo, il sottotesto de Le tre sorelle, ma anche de Il giardino dei ciliegi, è estremamente complesso e simbolico, ci sono tantissimi simboli; gli oggetti che stanno sulla scena e i dettagli dell’abbigliamento, dell’arredamento, rimandano a qualcosa. C’è un’ambivalenza di fondo tra una rappresentazione di eventi estremamente limpida, realistica, e una complessità nel sottotesto che ognuno di noi deve cogliere ed interpretare a modo suo. Ремарки = didascalie  danno indicazioni concrete di ciò che deve essere sulla scena, servono anche per aiutare il regista di scena e gli attori; ci sono didascalie che descrivono il linguaggio del corpo, l’emotività dei personaggi, possono essere più o meno legate alle battute, i suoni (spesso diventano anche degli highlight), silenzi, pause, o può completamente contrastare. La didascalia ci aiuta a capire anche qual è il quadro sonoro e visuale dell’intero dramma. Anche nell’uso della didascalia Čechov è davvero rivoluzionario perché l’uso sapiente di questa tradisce l’abilità del drammaturgo nel saper gestire ogni più piccolo elemento del proprio dramma, avere una visione d’insieme che però è fatta di dettagli sapientemente gestiti. Ci sono didascalie che sono difficili o impossibili da rappresentare, didascalie più utili all’attore che al lettore, però le didascalie creano quell’atmosfera in cui il dramma è immerso. Gli <<a parte>> in Čechov praticamente non esistono: l’interiorità dei personaggi è riversata all’esterno; anche questa è un’innovazione. [Negli <<a parte>> ci sono per lo più i monologhi: rivelazioni, riflessioni, anticipazioni di eventi futuri] Il dramma è aperto proprio da una didascalia: [В доме Прозоровых. Гостиная с колоннами, за которыми виден большой зал. Полдень; на дворе солнечно, весело. В зале накрывают стол для завтрака.] <<In casa Prozorov. Salotto con colonne dietro le quali appare un salone. Mezzogiorno: fuori c’è il sole, è allegro. In salone stanno apparecchiando la tavola per il pranzo.>> [Ольга в синем форменном платье учительницы женской гимназии, все время поправляет ученические тетрадки, стоя и на ходу; Маша в черном платье, со шляпкой на коленях сидит и читает книжку, Ирина в белом платье стоит задумавшись.] <<Ol’ga in uniforme blu di professoressa del ginnasio femminile che (tutto il tempo) corregge i compiti delle scolare, in piedi e passeggiando; Maša, vestita di nero, col cappellino sulle ginocchia, è seduta e legge un libro. Irina, vestita di bianco, è in piedi, sovrappensiero.>> Queste didascalie: -ci danno l’idea di dove si svolge la scena, informazione spaziale e temporale (mezzogiorno: molta luce; questa didascalia si spiega e si completa poi con la battuta successiva di Irina) -ci presentano i personaggi -richiama al dramma tradizionale -ci si prepara per un qualcosa (si apparecchia la tavola) La didascalia è un elemento autonomo del dramma, però non può essere del tutto indipendente dalle battute e dallo svolgimento degli eventi, si completano gli uni con gli altri. -la sala non si deve vedere direttamente, ci sono le colonne davanti -gli abiti sono descritti in maniera veloce, attraverso i colori: Olga in uniforme blu (persona che si dedica alla sua professione, seria, professionale); Irina in bianco (colore candido, è la sorella più piccola, innocente, buona); Maša in nero (lo sarà sempre, dice che la sua vita è sempre una sventura, pur sposata con Kulygin, un professore di latino, è molto infelice; anche per portare avanti il lutto del padre). Olga è una donna severa con se stessa, il blu è un colore freddo, come quello di Maša, che si contrappongono a Irina, vestita di bianco, simbolo di purezza, ingenuità. Olga è la più pragmatica tra le tre (essendo orfane, una deve per forza prendere in mano la responsabilità). Irina è quella più saggia (il bianco è anche il colore della sapienza). condanna, doveva suscitare per Čechov la risata, è assurdo quasi che questa donna non si renda conto della situazione in cui è, è assurdo che lasci mance così spropositate a chiunque. Un altro elemento comico: Gaev che ha un tic, un’idea fissa con il biliardo, quindi anche a sproposito, anche in situazioni e dialoghi dove non c’entra assolutamente nulla, pronuncia battute come palla al centro, palla e carambola… questo doveva far ridere. Invece Stanislavskij lo interpreta on maniera tragica per far capire che il personaggio, così come la sorella, non si rende conto della situazione in cui è, e quindi cerca in qualsiasi modo di distogliere l’attenzione dai problemi concreti. Di questa situazione Lopakin ne è estremamente consapevole, anche se ci sembra uno incolto, tuttavia sa il fatto suo, è un abile commerciante. La sua situazione è completamente diversa da quella dei proprietari, Gaev e Ljubov’, che invece vivono proprio altrove, anche dal punto di vista mentale: anche la figlia Anja (<<ripianteremo un altro giardino>>). Queste sono delle assurdità e le assurdità spesso fanno ridere. Anche Firs, il servo sordo, pronuncia delle battute: non sentendo fa ripetere ai personaggi la stessa cosa, risponde prendendo un’altra traiettoria. Anche questo doveva destare il riso. Ci sono tante contaminazioni del boudeville e dovevano essere molto presenti nella rappresentazione, ma non possiamo neanche dire che Stanislavskij abbia sbagliato, è ovvio che questo dovesse succedere perché in Čechov, tra le innovazioni, troviamo proprio l’abbattimento, la rottura del confine tra la tragedia e la commedia: di fatto, Il giardino dei ciliegi è una tragicommedia, e dobbiamo sforzarci di leggerla anche noi così. Questo perché è la vita che è tragicomica, non è mai tutto nero o tutto bianco. La complessità umana sta tutta dentro Čechov, per questo è uno scrittore straordinario, è realistico fino alla simbolizzazione. L’opera è simile a quelli precedenti, però ci sono meno eventi che disturbano, che cambiano; per la prima volta non ci sono colpi di pistola. L’azione manca totalmente, tutto è scandito dalla memoria, dai discorsi sul passato. Il protagonista di quest’opera è il tempo, ci sono tantissimi riferimenti agli anni (<<5 anni sono passati…>>) e al tempo. C’è una volontà dei personaggi di attaccarsi a qualcosa di concreto come il tempo, ma il tempo è anche una categoria astratta. L’unico che ricorda costantemente ai personaggi che il tempo sta per finire è Lopachin, il mercante / “contabile”. Lo chiamano 99 disgrazie perché gliene capita sempre una, si lamenta continuamente… Dopo l’abolizione del servaggio, dopo l’entusiasmo iniziale, i problemi sono continuati, i contadini continuavano a ribellarsi; Firs è emblematico di questo atteggiamento. Firs ha 87 anni, per lui non è cambiato assolutamente nulla, ha continuato a servire. È tragicomico anche lui, alla fine viene lasciato completamente da solo, dimenticato da tutti, letteralmente e simbolicamente chiuso a chiave dentro la proprietà. Questo dramma ha una struttura circolare: inizia con l’arrivo di Ljubov’ Andreevna e finisce con la sua partenza. Lopachin invece cambia qualcosa: ha comprato la proprietà (rivendicando ciò che il defunto padre, servo della gleba che aveva lavorato tutta la sua vita in quella proprietà, non aveva potuto fare). Lopachin però non riesce a fare una cosa, quindi anche lui è un po’ un inietto: non riesce a dichiararsi e chiedere la mano a Varja. Недотёпа = buono a nulla È una parola che ricorre in tutto il dramma. È l’ultima parola del dramma e Firs lo usa in riferimento a se stesso, ma noi lo possiamo estendere anche agli altri personaggi, e anche alla condizione čechoviana. È una condizione che rispecchia quello che era lo stato russo alla fine dell’800 e inizio 900: si cercherà di trovare un punto di svolta nella rivoluzione del 1905, ma anche quella fallisce, e già questo fallimento è come prefigurato da Čechov. Anche Trofimov è un inietto: è l’eterno studente, non riesce a portare a termine i suoi studi (anche se è un uomo molto intelligente). Anja anche è un’inietto, avverte il cambiamento ma anche lei vive in mere illusioni, si sente attratta da Trofimov, ma anche qui non c’è uno sviluppo decisivo. Quella un po’ più concreta è Varja, ma anche qui non abbiamo conoscenza del suo destino. Čechov ci lascia tutto in sospeso. Il dramma finisce con il suono della <<corda che si spezza, un suono triste, moribondo. Poi in lontananza, dal giardino, la scure che picchia sull’albero>>. È emblematico questo suono alla fine del dramma. La corda che si spezza: va interpretata, ma Čechov ci dà un’idea di morte. La corda che si spezza potrebbe rappresentare la vita che si spezza, potrebbe essere una corda di uno strumento musicale, una fune che si spezza. Come può fare un regista a rappresentare questa didascalia? Il giardino è descritto tramite didascalie, sempre attraverso la finestra che è chiusa Il giardino in Russia ha una valenza come simbolo, come mitologema (ovvero ciò da cui origina il mito; può essere un elemento che con l’alternarsi delle epoche si carica di significati; la casa, la proprietà, usatba=la dimora signorile). Lezione 12 – 16.11.21 Tutto si svolge all’interno dell’usadba, la casa signorile, circondata dal giardino di ciliegi (che in realtà sono visciole; i viscioli hanno i fiori bianchi, mentre i ciliegi hanno i fiori rosa). Čechov cerca di smaterializzare il riferimento economico e concreto della parola visciola per renderla più aulica; togliendo l’attributo materialistico, è come se lo elevasse, lo estetizza. Questo si ricollega a tutto il discorso sul giardino, che sta nel titolo. Abbiamo detto che si può già partire dal titolo, che è un elemento paratestuale (ovvero che sta intorno al testo, come l’epigrafe, la prefazione), possiamo analizzare e scoprire il sottotesto delle opere stesse; è evidente che il giardino sta al centro di tutto perché dà il titolo alla commedia/dramma e sta al centro anche delle vite dei personaggi. Ogni personaggio ha il suo punto di vista sul giardino: per Lopachin è un profitto (ci vede già i villeggianti: membri della classe media). Il giardino è il simbolo più importante, è un simbolo stratificato. La didascalia iniziale: <<Комната, которая до сих пор называется детскою. Одна из дверей ведет в комнату Ани. Рассвет, скоро взойдет солнце. Уже май, цветут вишневые деревья, но в саду холодно, утренник. Окна в комнате закрыты.>> <<La camera che una volta si chiamava dei bambini, e il nome le è rimasto tuttora. Una delle porte conduce alla camera di Anja. Prima luci dell’alba, fra poco sorgerà il sole. È già maggio, i ciliegi sono in fiore, ma in giardino fa freddo, c’è la brina. Le finestre della camera sono chiuse.>> Dal punto di vista scenico e teatrale, questa didascalia è problematica perché è complessa (ci sono diversi piani con diverse profondità che devono essere simultaneamente date allo spettatore). <<La camera che una volta si chiamava dei bambini>> è la prima frase con cui inizia il dramma, ma come si fa a rendere un’informazione del genere? Questa informazione diventa vitale una volta che il dramma è cominciato e attraverso i discorsi dei personaggi, che la menzionano più volte, questa stanza comincia ad acquisire importanza con il procedere del dramma. Ogni mobile della casa rappresenta un ricordo. Mentre è più facile far vedere che gli alberi del giardino sono in fiore (un ramo che si vede dalla finestra magari), è più difficile dare l’idea dell’alba, del fatto che c’è la brina, o che sia maggio. Queste didascalie sono prevalentemente per la lettura e vitali per il regista, perché contribuiscono a dare l’atmosfera e il tono motivazionale. I riferimenti al tempo: anni, stagioni, anche minuti, sono disseminati per tutto il dramma e l’immagine del giardino che chiude il dramma rappresenta l’autunno. Il giardino quindi ci presenta il susseguirsi delle stagioni e questo ci dà l’idea del cambiamento. L’autunno del giardino rappresenta l’autunno della vita, difatti è Firs l’ultimo personaggio, che rappresenta la vecchiaia. La didascalia che apre il secondo atto è molto lunga: <<Поле. Старая, покривившаяся, давно заброшенная часовенка, возле нее колодец, большие камни, когда-то бывшие, по-видимому, могильными плитами, и старая скамья. Видна дорога в усадьбу Гаева. В стороне, возвышаясь, темнеют тополи: там начинается вишневый сад. Вдали ряд телеграфных столбов, и далеко-далеко на горизонте неясно обозначается большой город, который бывает виден только в очень хорошую, ясную погоду. Скоро сядет солнце. Шарлотта, Яша и Дуняша сидят на скамье; Епиходов стоит возле и играет на гитаре; все сидят задумавшись. Шарлотта в старой фуражке; она сняла с плеч ружье и поправляет пряжку на ремне.>> <<In campagna. Una vecchia cappella sbilenca, da molto tempo abbandonata; accanto ad essa un pozzo, grandi pietre, che una volta dovevano essere, evidentemente, delle lastre tombali, e una vecchia panchina. Si vede una strada che conduce alla proprietà di Gaev. Da una parte, slanciate, le sagome scure di alcuni pioppi: lì comincia il giardino dei ciliegi. Lontano una fila di pali telegrafici, e lontanissimo, all’orizzonte, s’indovina una grande città, visibile distintamente solo nei giorni belli e sereni. Fra poco calerà il sole. Šarlotta, Jaša e Duniaša siedono sulla panchina. Epichodov, in piedi, vicino, suona la chitarra; gli altri sono immersi nei loro pensieri. Šarlotta ha un vecchio berretto da uomo con visiera; s’è tolta dalle spalle un fucile, e sta aggiustando la fibbia della cinghia>> Questo tipo di didascalia è molto difficile da rappresentare. La città che si vede vagamente è in contrapposizione con la tenuta e il giardino, è quasi un luogo estraneo; la città è un qualcosa che sta lì, è presente, però è vaga, indeterminata, sembra quasi una fantasmagoria, un luogo quasi irreale, è ben lontana. Più vicino ci sono i pioppi e i pali telegrafici, i quali rappresentano la modernità, il progresso. La presenza dei pali non è superflua, ci deve essere perché rimanda a tutta una serie di significati, rispetto alla città sono un elemento concreto e ben visibile. Dalle parole del proprietario terriero che frequenta la tenuta di Gaev, noi già sappiamo che lui stesso ha cominciato a vendere appezzamenti del proprio terreno per l’ampliamento della ferrovia, dei cantieri. Questa campagna è il segno del progresso, segno del tempo che sta cambiando. La corda che si spezza si sente anche durante il dramma, sempre legato a Firs, ed è la corda dei cantieri, quindi anche questa legata al progresso; il suo suono moribondo è un presagio. Ci sono tanti elementi sparsi all’interno delle didascalie e disseminati nelle parole dei personaggi che sono dei veri e propri presagi della sventura o comunque del cambiamento che sta per avvenire. La didascalia del secondo atto rimanda a quella che era la tradizione dell’usadba, di come era originariamente fino alla fine dell’800, perché poi inizia la decadenza (vecchia panchina, pietre che erano lastre tombali; sono segni della decadenza). Questo è da ricollegare al giardino. Inizialmente (nel medioevo), chi aveva un giardino, chi se ne occupava e chi coltivava e lo curava erano i monaci; all’interno dei monasteri c’era sempre l’orto sconclusos, dove si coltivava, ed era una riproduzione dell’Eden: non era esattamente uno svago, era un modo per pregare e dedicare quel tempo a Dio, era un luogo di meditazione. Il giardino, come luogo di meditazione, poi comincia a diffondersi alle proprietà nobiliari. In Russia il giardino era presente ma non curato, usato solo per le raccolte. Ad introdurre questo costume di avere un giardino per il passeggio, come evento sociale, fu Pietro il Grande, che fa costruire il Giardino d’Estate (ci sono passeggi, statue, fontane, piante esotiche). A livello linguistico semplifica l’alfabeto, inoltre, a scopo didattico ed educativo, cerca di introdurre le opere classiche di autori grechi e altri, perché i nobili che potevano studiare non utilizzassero soltanto i libri religiosi; comincia la stampa laica. Ecco che introduce nel giardino d’estate statue come divinità greche e mitiche. Queste statue avevano delle targhe con stralci estratti soprattutto dalle favole di Esopo, quindi passeggiare in questo giardino aveva anche uno scopo educativo. Qui c’era la residenza estiva di Pietro. Da qui cominciano nelle opere a comparire i primi paralleli tra lo zar e il giardino; spesso troviamo nelle odi l’associazione lo zar giardiniere. Lui ha posto i semi per la nascita di una nuova Russia; il rinnovamento è stato molteplice sotto tanti punti di vista. Anche Caterina, la grande erede della cultura di Pietro, viene associata alla divinità Flora, anche lei si serve della costruzione e cura del giardino d’estate per rafforzare la sua autorità, introducendo dei serragli (piccoli zoo) con all’interno animali esotici. È un qualcosa che appare nell’arco del 700 ed il giardino è un cronotopo del potere, viene utilizzato dagli imperatori per celebrare la potenza dell’impero. Lomonosov dedica tante odi a Caterina definendola Flora. Sentimentalismo, a partire dalla metà del 700: è il proto-romanticismo. Dal punto di vista letterario, i componimenti cominciano ad avere una protagonista diverso, comincia ad esserci sempre più in primo piano l’io del poeta e i suoi sentimenti. Nell’800, con il romanticismo (Puškin, Lermontov), c’è l’io del poeta con il suo rapporto conflittuale con la società che lo circonda, con il desiderio di avvicinarsi alla natura e la consapevolezza di non poter penetrare nella stessa. Nel romanticismo il giardino comincia ad apparire come luogo chiave di numerose opere letterarie. Puškin, Evgenij Onegin: nel giardino Tatiana si incontra con Evgenij, ma qui viene rifiutata e rimproverata, avviene la spiegazione tra i due e la cocente delusione per lei. Il giardino in generale per Tatiana, anima fortemente romantica, è un luogo che ama molto, dove si immerge nella sua lettura. Quindi il giardino comincia a riflettere la natura dei personaggi. Invece il giardino della casa di Evgenij è non vissuto, è un luogo rigoglioso, estraneo, lasciato a se stesso, questo perché la psicologia di Evgenij è completamente diversa. Gogol’, Le anime morte: giardino caotico, rigoglioso, lasciato a se stesso, bellissimo, il giardino di Pljuškin (uomo avarissimo che vive in una tenuta trascurata e decadente). Se il giardino riflette la psicologia del personaggio, ci fa dire che tutto sommato quest’uomo non è così taccagno, scortese; ci sono delle caratteristiche positive, Pljuškin prima di diventare così era un uomo che aveva cura della condizione della sua proprietà e dei propri servi, era un uomo che voleva molto bene alla propria famiglia. Diventa così dopo la morte della moglie. Turgenev è uno degli autori che in maniera più straordinaria ha descritto la natura, la campagna russa: gli eventi cruciali che danno la svolta al dramma avvengono proprio nel giardino delle proprietà. Il giardino delle proprietà quindi diventa luogo di meditazione, ma laica. Il fatto che ci fosse una cappella e le lastre tombali rispecchia quella che era la configurazione delle proprietà: molto spesso queste ville avevano adiacente un cimitero dove erano seppelliti gli antenati dei proprietari. Durante l’800 erano tutti luoghi vitali, non decadenti; invece qui con Čechov li vediamo abbandonati, si è ormai persa memoria anche dei morti. I servi che stanno nella casa di Gaev, pochi, sono deprivati di tutto: i debiti vengono “imposti” anche a i servi, li vengono chiesti dei sacrifici. La decadenza quindi investe tutto, dal numero dei servi al paesaggio che circonda la tenuta. Il concetto di usadba comincia a declinare come istituzione. Già uno dei personaggi vede questo luogo come uno dove lavorare (Anja ripete che bisogna lavorare). Questa decadenza viene vanamente perpetrata da Gaev e dalla sorella: non aprono l’argomento, Gaev si attacca all’illusione di lavorare in banca, etc… La vendita della proprietà in loti viene considerato volgare e questo è un retaggio dell’aristocrazia: tutto ciò che ha a che vedere con il denaro, paradossalmente, è volgare, quindi non si parla nemmeno di queste cose “basse”. I servi vengono affamati, mangiano solo piselli o zuppe, invece Gaev mangia continuamente le caramelle d’orzo. primo momento, quello del padre, è il momento dell’unità statica indifferenziata; il secondo, quello del figlio, è l’individuazione e la differenziazione di questa unità; infine, il momento del raggiungimento dell’unità assoluta. Concetto di sofia=sapienza, è l’unità libera e differenziata, è l’anima del mondo; si è staccata dal logos divino e si identifica con l’umanità ideale (deo umanità). Nella sofia Solov’ëv vedeva l’eterno femminino, ovvero la parte femminile di Dio. Ma ha più le caratteristiche di un androgeno; è una differenziazione che però raccoglie i tratti del maschile e i tratti del femminile. È l’uomo trasfigurato, è l’uomo nel suo aspetto divino. I suoi seguaci (e poi anche i simbolisti) erano convinti che l’uomo potesse veramente entrare a contatto con il divino, attraverso la teurgia (la convinzione per la quale attraverso l’arte, l’esperienza artistica, è possibile realizzare l’unione con il divino). Il discorso uomo-donna è importante anche per Solov’ëv, il quale scrive sull’amore carnale, su che cosa rappresenta la relazione uomo-donna. Questa relazione uomo-donna è importante per lui e per i simbolisti perché inizialmente la donna viene percepita come angelicata, come un essere superiore, che viene da un altro mondo e deve essere venerata: questa è la prima fase del simbolismo. Secondo Solov’ëv l’atto sessuale, la creazione, non era un qualcosa di blasfemo dal punto di vista religioso, perché l’idea di unione/di sintesi è fondamentale per lui; attraverso la reciprocità asimmetrica (ovvero l’altro è in relazione reciproca con me: io e l’altro siamo allo stesso livello in relazione; l’altro rimane altro), come risultato c’è il figlio, l’altro. In Russia manca totalmente la tradizione della poesia cortese (la donna angelicata); Solov’ëv è il primo che dà lo stimolo a questo tipo di poesia. Lui scrive negli anni 90 dell’800 e muore proprio nel 1900: il suo pensiero dà un grandissimo impulso al simbolismo. Oltre alla teurgia, era un grandissimo sostenitore anche della teocrazia (il potere spirituale e il potere amministrativo doveva essere sotto una sola e stessa figura/rappresentante; quindi sotto il patriarca): secondo lui il potere spirituale lo doveva tenere il papa, che doveva essere a capo di tutte le religioni cristiane unite. Idealmente, secondo Solov’ëv, secondo la libera teocrazia, il papa doveva designare il potere spirituale e lo zar quello politico. Allora c’era papa Leone XIII e questo tipo di idea arriva alle sue orecchie e dice che sarebbe una bella idea ma impossibile, se non un miracolo. Solov’ëv si occupa anche dei problemi dell’arte, dedica i suoi scritti anche ai problemi estetici, su cosa dovesse essere l’arte, la quale è vista come forza teurgica, come mezzo per comunicare con il mondo trascendente. Secondo lui, in arte il bello non poteva essere distinto dal buono e dal vero. Dostoevskij è visto come un profeta da Solov’ëv (<<la bellezza salverà il mondo>>), profeta di quello che sarà l’arte nuova, la religione nuova. Anche se Solov’ëv muore molto giovane, a 47 anni, lascia moltissimi scritti. Vive in assoluta povertà perché questo tipo di posizione gli crea moltissimi problemi: da una parte era in vis agli slavofili perché lui era fautore di un pensiero che si aprisse totalmente all’occidente; dall’altra, pur essendo ortodosso, prende la comunione da un prete cattolico e questo crea uno scandalo. Si prende le antipatie degli slavofili e degli ortodossi, è una figura controversa, ma dal punto di vista letterario è una figura importante: soprattutto l’idea dell’eterno femminino e della forza teurgica dell’arte è un qualcosa da cui i simbolisti prendono a pieni mani. Eppure Solov’ëv non amava i simbolisti, li reputava del ciarpame decadente… Il simbolismo russo si fonda sulle credenze religiose, è il tratto peculiare che lo differenzia da quello europeo. È difficile stabilire una periodizzazione del simbolismo: convenzionalmente la nascita del simbolismo si fa risalire al 1894, l’anno in cui compare la prima di tre raccolte pubblicate da Valerij Brjusov (uno dei simbolisti della prima fase) a Mosca, intitolate Russkij simbolism (tutte e tre le raccolte vengono derise da Solov’ëv, che proprio per questa occasione li definisce ciarpame decadente). Queste raccolte presentano componimenti poetici dello stesso Brjusov e traduzioni dai simbolisti francesi. Il nome del movimento è chiaramente mutuato dal francese e sicuramente caratterizza i simbolisti della prima fase e il loro credo; i simbolisti francesi avevano il gusto per l’arte (l’arte per l’arte), per loro l’artista è in grado di stabilire un contatto con il divino quindi non può integrarsi e stare a contatto con gli altri, lui è in grado di riconoscere cosa sta dietro al simbolo (un qualcosa che ci svela, che rimanda ad altro, un’epifania, che ci invita a soffermarci anche su altri tipi di significato; fa affidamento anche sulla qualità sonora della parola). La prima raccolta sui simbolisti russi del 1894 è la prima data a cui si fa risalire la nascita del movimento, però è una data convenzionale, perché già nel 1893 Dimitrij Merežkovskij (poeta e uno dei teorici del simbolismo) scrive un articolo intitolato Sulle cause della decadenza e sulle nuove correnti letterarie; quindi già prima ci si comincia ad interrogare su quello che fosse lo stato dell’arte, già cominciano ad essere poste le basi del simbolismo. All’interno del movimento, convenzionalmente, si distinguono due fasi: la prima generazione dei simbolisti e la seconda generazione dei simbolisti. È un movimento estremamente fluido perché i membri al suo interno, a parte che erano animati da una volontà di mettere continuamente in discussione quello che erano i presupposti del movimento, le loro convenzioni (è un movimento che sta in crisi permanente), sono anche in opposizione tra di loro, e sesso si trovano in posizioni solidali; si riunivano in circo; a San Pietroburgo c’era la torre di Ivanov, uno dei simbolisti, che muore a Roma, sepolto a Piramide, aveva lavorato nel Vaticano. A Mosca invece c’erano gli argonauti (desiderio di ritrovarsi, di discutere, discussione elitaria dell’arte). Con l’avvento del potere sovietico, il simbolismo più o meno venne tollerato (Blok è uno che aderisce inizialmente alla rivoluzione), perché alla fine, verso il ’17, vediamo pronunciarsi in maniera sempre più accentuata la questione dell’etnismo dei simbolismi. L’etnismo è la convenzione che la propria “razza”, la propria etnia, sia superiore alle altre: i russi erano invasati soprattutto dagli sciiti (una popolazione barbarica dai quali si era convinti che discendesse il popolo russo), stanziati in Siberia, che vengono esaltati soprattutto in un periodo in cui si era in guerra con i “gialli” (i giapponesi); quindi durante l’instaurarsi del potere sovietico i simbolisti vennero tollerati proprio in virtù di questa caratteristica che marca l’ultimo periodo del movimento. È un movimento estremamente fluido e le personalità al suo interno sono anche difficilmente catalogabili perché durante il loro percorso e produzione artistica cambiano le loro posizioni. Una data che più o meno mette tutti d’accordo è il periodo in cui il movimento entra in crisi. 1910 = l’anno in cui il simbolismo entra in crisi, ma è anche periodo del suo massimo splendore. Il movimento entra in crisi perché scoppia una sorta di controversia su che cosa sia il simbolo, su che cosa sia e rappresenti il simbolismo, su cosa sia e rappresenti l’arte, su quale sia la posizione dell’artista, su quale sia la religione da abbracciare. I simbolismi si mettono a tradurre una delle saghe epico-religiose più importanti della religione induista; si mettono a studiare il buddismo, l’esoterismo in generale. Questo è il periodo in cui spopola ed è famosissima in Russia ma anche in tutta l’Europa Madame Lavatckij: si era convinti che questa donna (che viveva in esilio) potesse parlare coni defunti. È una delle fondatrici della teosofia. I simbolisti sentono il bisogno di interrogarsi su tutte queste questioni e vengono pubblicati come degli articoli di botta e risposta tra di loro. Blok, anche dal punto di vista biografico, con Belij, ha non pochi problemi (la moglie di Blok era al centro dei simbolisti e in particolare di Belij). 1 generazione: sono i simbolisti che dal 1894 cominciano a far uscire le raccolte e cominciano soprattutto un’attività di traduzione dai simbolisti francesi. Sono: Brjusov, Bal’mont e Sologub sono i cosiddetti simbolisti “decadenti”. -l’arte per l’arte e individualismo: l’artista è un privilegiato, si distingue e si isola dal resto della società (individualismo assoluto); -etnismo: elevano la propria etnia sopra le altre (in chiave anti-occidentale); -pessimismo shopenhaueriano: Shopenhauer era convinto che la felicità fosse effimera e che l’esistenza dell’uomo fosse improntata al dolore. Velo di Maya: l’uomo vive nell’illusione, il velo ci impedisce di vedere la realtà così com’è; il momento di risveglio è quando questo velo viene squarciato. Secondo i simbolisti l’artista è l’unico in grado di squarciare questo “velo”. Le opere di Sologub sono racconti in cui i personaggi è come se vivessero in una mostruosa allucinazione costante; con lui si parla dell’estetica dell’aido (il laido è tutto ciò che è sporco, deviato, terribile, blasfemo). La blasfemia è ciò che accomuna Sologub con Brjusov perché l’individualismo assoluto più sfrenato, il sentirsi onnipotente, è il sentirsi superiore anche a Dio (cosa blasfema). Tolstoj diceva di loro che fossero dei blasfemi, dei decadenti; lui, da uomo molto religioso, non poteva accettare questo individualismo assoluto sfrenato. Questa idea della realtà associata all’incubo, all’inferno, all’allucinazione, alla deviazione anche umana, la ritroviamo anche in Blok. In lui di solito è associata alle visioni urbane. È un periodo estremamente tragico per la storia della Russia: censura, terrorismo, attentati, condanne a morte senza fondamento. La città è diventata un luogo infernale, è il luogo degli incubi, in particolare San Pietroburgo. San Pietroburgo è la città dell’acqua e l’acqua non è più lo specchio della Neva ma è come se fosse tornata ad essere una palude. C’è quindi anche la volontà di sfuggire a questa realtà isolamento. Il simbolo più fondamentale per i simbolisti è probabilmente la musica (la musica si basa sul ritmo, sull’armonia, sull’unione di diversi suoni), che, attraverso i nostri 5 sensi, ci permette di astrarci. La parola in sé è musicale, è in qualche modo un organismo vivente. Skreabin era considerato una sorta di ispiratore per i simbolisti; lui era un compositore famosissimo che aveva inventato la tastiera a luci colorate. Questo non è altro che la sinestesia. Sinestesia: percezione multisensoriale, è una figura retorica; attraverso essa possiamo associare i 5 sensi tra loro, percepirli in simultanea. [L’oracolo leggeva e interpretava segni e presagi, anche attraverso il bere o comunque in uno stato di allucinazione] I simbolisti si mettono a tradurre i componimenti francesi o opere dell’epoca classica greca, inglese, induista, orientale, anche scritti fino a loro contemporanei; spesso se ne appropriavano (non traducevano letteralmente ma traducevano secondo il loro pensiero); conoscevano diverse lingue. 2 generazione: Ivanov, Belyj, Blok -si spostano le tematiche da individualismo verso tematiche propriamente religiose; quindi il pensiero religioso ha estrema importanza per la seconda generazione; -cambiano anche i presupposti generali del simbolismo, soprattutto la figura della donna (cosa è e cosa rappresenta il femminile, la donna) Soprattutto tra Belyj e Blok, a causa di intercorsi biografici, viene rimesso in discussione che cos’è l’eterno femminino, cos’è la sofia. - li vediamo molto impegnati a livello teorico. I simbolisti sono particolari perché non solo si dedicano alla propria produzione artistica ma riflettono anche sulla loro arte, ed è molto difficile stabilire un confine tra quello che è l’opera stessa e quello che è il discorso critico, perché l’una è specchio dell’altra. Poesia e critica si riflettono l’una nell’altra. C’è un grande sforzo nel mettere per iscritto quello che erano le loro opinioni. Il simbolismo ha vita breve: occupa l’età d’argento, che viene collocata nell’ultimo decennio dell’800 e finisce nel 1910. È un periodo in cui si scrive anche liberamente: ci sono tante case editrici che nascono in questo momento sotto leggi mecenati, che hanno un ruolo nella diffusione di queste riviste sulle quali scrivevano i simbolisti. Questo è il periodo dell’art nouveau: abbiamo un’interazione tra l’elemento grafico e l’illustrazione. L’età d’argento richiama l’età d’oro: è l’età di Puškin, di Lermontov, la prima metà dell’800. Classe sociale: c’erano i mecenati che davano ai simbolisti la possibilità di pubblicare e divulgare i propri scritti, erano ricchi mercanti o anche aristocratici, ma per lo più appartenenti alla borghesia, così i simbolisti. Sologub era un dirigente scolastico, Blok era figlio di un professore universitario, quindi il ceto medio. Ormai l’artista non è soltanto colui che proviene dal ceto alto: l’artista è un borghese. Lezione 14 – 23.11.21 Pericolo giallo = così venivano chiamati i giapponesi. I simbolisti strizzano l’occhio ai radicali, ma dopo il fallimento della rivoluzione del 1905 si rifugiano in un anarchismo mistico, si distaccano dai populisti, dagli episodi violenti. Tre incontri è opera di Solov’ëv in cui immagina tra incontri con la Sofia: durante l’infanzia, nel deserto d’Oriente, durante la giovinezza. L’incontro mistico, l’attesa dell’appuntamento, è un richiamo alla poesia cortese (Dante e Petrarca che aspettano la donna angelica). I simbolisti della seconda generazione vedono l’eterno femminino incarnato nella moglie di Blok, in un primo momento, perché poi la percezione cambia. I circoli: i simbolisti si incontravano a San Pietroburgo e a Mosca. A Pietroburgo si incontravano nella Torre (bašnja) di Ivanov, di notte, fino all’alba, quando recitavano i versi (quasi come se fosse una setta). C’era una donna che si chiamava Zinaida Gippus (moglie di Merežkovskij), si vestiva anche da uomo, era gay, si innamorava di donne, professava l’amore libero, si vestiva in abiti orientali. Era tutto quello che poi le correnti successive criticavano, una setta di folli, distaccati da quelli che erano i problemi comuni. Si incontravano di notte anche esponenti del clero, filosofi, giovani poeti, radicali: era un centro della vita culturale all’epoca la torre di Ivanov. L’intellettuale nella sua torre d’avorio = modo di dire = isolarsi, distinguersi, giudicare dall’alto quello che avviene nel resto della società, nel basso; ma c’è anche una comunità che lega tra loro questi simbolisti, che avevano vedute anche divergenti: Ivanov era convinto che il simbolo dovesse essere affratellante; Brjusov invece professava l’individualismo assoluto. Sobornost’ = conciliazione, unione: secondo Ivanov attraverso questa è possibile portare l’ordine nel caos. <<Ad realibus a realiora>> (definizione di Ivanov) = dalle cose reali a quelle ancora più reali. formule magiche. Era qualcosa negli interessi degli studi dei simbolisti (Brjusov raccoglie tutti i riti incantatori universali, non solo russi). Вхожу я è un’inversione e l’inversione le troviamo spesso, qui assume la funzione di conferire un ritmo cantatorio della poesia Il ritmo dell’incantesimo, delle ripetizioni, dell’inversione, è la parola divina. Come sono affettuose le candele: sinestesia, avviciniamo la vista al tatto. Il linguaggio non è elevato, il poeta si sente vicino alla dama, non è una presenza così lontana. я верю: io credo (si dice il credo durante una funzione religiosa), però qui è io credo in te, quindi un po’ di blasfemia sotterranea. Componimento ad anello: la poesia finisce con Ты, che si riferisce alla dama; Дамы, ultima parola del terzo verso della prima strofa. Varcare la soglia ha un valore significativo: attraversamento di un confine tra un mondo e l’altro. Vista: scintillio delle lampade; udito: cigolare delle porte. I suoni non sono ben definibili, né vediamo chiaramente: è una visione mistica. Colori: il rosso delle lampade, l’oro delle icone, l’aura giallognola delle fiamme delle candele. C’è un richiamo all’incontro spirituale [avevamo detto che Solov’ov scrive di tre incontri con l’eterno femminino], che è preparato da un’attesa, da un compimento di un rituale disadorno, individuale, che appartiene solo al poeta, è una cerimonia povera. Siamo in un periodo pre-rivoluzionario, Blok si sente totalmente escluso dalla realtà che lo circonda; ma con l’avanzare del cambiamento, cambiano anche le posizioni di Blok nei confronti dei suoi compagni simbolisti. Ad un certo punto Blok vede i suoi compagni come completamente distaccati dalla realtà, inconsapevoli di ciò che succede intono a loro, impegnati solo in riti e sortilegi privi di senso, in un paesaggio urbano vessato dalle continue proteste e attentati. L’incubo urbano Blok lo sente molto forte. Diavoletti palustri (riferimento a San Pietroburgo e ai simbolisti; 1905) Io ti ho incalzato con la frusta nel meriggio attraverso i cespugli, per aspettare con te in questo luogo il placido vuoto. Ed ecco sediamo sul muschio in mezzo alle paludi. Un terzo – la luna lassù – ha scontorto la bocca. Come te sono figlio dei querceti il mio ambiente è anch’esso cancellato. È più silenzioso delle acque e più base delle erbe un diavolo decaduto. Sul berretto da buffone i sonagli dei distacchi, alle spalle – in lontananza – una rete di meandri fluviali… E sediamo, noi stolti, - spiriti impuri, malsania delle acque. Verdeggiano i nostri berretti calcati alla rovescia. Pestilenziale sapore dell’acqua, ruggine dell’onda… Siamo le tracce smarrite d’un misterioso abisso. Il paesaggio della natura inizialmente dipinto in ante lucem, bella, rigogliosa, sempre un po’ indefinita, adesso si trasforma; Pietroburgo, lo vediamo già dal titolo, si trasforma, diventa una palude. noi stolti, - spiriti impuri, malsania delle acque: qui rievoca l’ambiente dei simbolisti, le notti nella torre di Ivanov, gli incontri degli argonauti a Mosca; da sacerdoti che conservano un sapere antico sono diventati dei diavoli decaduti, palustri (incagliati nelle acque stagne degli acquitrini). Il motivo dell’acqua ristagnante, delle paludi, non sono fiumi il corso è lineare, ma pieno di deviazioni. Cominciano ad apparire nella poesia di Blok queste immagini: immagini in cui la città è già presente ma emerge soprattutto quella della palude. Blok amava passeggiare nella periferia di Pietroburgo, qui c’erano ancora ambienti malsani. Questo elemento di città sulfurea, demoniaca, paludosa viene fissata da Puškin, la troviamo qui in Blok, e continua in altri autori. Già è presente la visione buffonesca dei simbolisti: Sul berretto da buffone. Lezione 15 – 29.11.21 Caratteristiche e costanti della poesia di Blok: poesie ad anello, 4 quartine e distici antitetici (alto-basso), è il poeta dell’attesa, avverte il presagio del cambiamento, i colori sono impregnati di significati simbolici. Ci sono metafore alogiche, linguaggio scuro e mistico, magico, divino. Il linguaggio dei simbolisti è il crittogramma dell’ineffabile (un gioco in cui si devono decifrare intere frasi con l’aiuto di alcune lettere): un qualcosa che non si può afferrare, toccare. Il loro tentativo è proprio quello di cogliere, attraverso la teurgia (la parola che tenta di avvicinarsi al divino), quello che è più reale. I simbolisti erano interessati alle formule magiche, dei riti (oracolo di Delfi; non a caso la mitologia classico sta al centro). Dà un ritmo solenne, magico, ripetitivo. Però il linguaggio è abbastanza chiaro, nitido, ma anche potente perché racchiude in sé una serie di significati, di rimandi, che ad un occhio non attento è difficile da cogliere ed interpretare. La fabbrica (1903) Appartiene al terzo ciclo che si chiama Rasputja (Crocicchi) Nella casa vicina sono gialle le finestre. Ogni sera – ogni sera pensierose scricchiano le sbarre, si avvicinano gli uomini al portone. E il portone massiccio è sprangato, ma sul muro – sul muro qualcuno immobile, nero, qualcuno gli uomini conta in silenzio. Io sento tutto dalla mia altitudine: con la voce di bronzo egli sollecita la gente che di sotto s’è raccolta a curvare la schiena travagliata. Essi entreranno e si disperderanno, caricandosi i sacchi sul dorso. E alle gialle finestre rideranno d’avere abbindolato questi poveri. В соседнем доме окна жолты. По вечерам — по вечерам Скрипят задумчивые болты, Подходят люди к воротам. И глухо заперты ворота, А на стене — а на стене Недвижный кто-то, черный кто-то Людей считает в тишине. Я слышу всё с моей вершины: Он медным голосом зовет Согнуть измученные спины Внизу собравшийся народ. Они войдут и разбредутся, Навалят на спины кули. И в желтых окнах засмеются, Что этих нищих провели. Blok viveva nei quartieri operai, quindi vive direttamente o indirettamente la condizione degli operai. La rima ha schema A-B-A-B, C-D-E-D Il verso è il giambo (alternanza all’interno dello stesso verso tra sillaba breve-sillaba lunga, sillaba accentata-sillaba non accentata), però la struttura viene da un verso popolare che si chiama чястушка. È un genere popolare che affonda le proprie radici nel folklore; di solito veniva accompagnata dal suono della balalaika o altri strumenti a corda, il tono era sempre ironico, scherzoso ed è una struttura semplice: rima alternata e cambia soltanto la seconda (strofa). All’interno dello stesso verso, nella чястушка, c’erano delle anafore (По вечерам — по вечерам; А на стене — а на стене). La чястушка diventa popolare un’altra volta subito prima e durante la rivoluzione d’Ottobre: diventano i canti di protesta degli operai, delle fabbriche, sono i canti che accompagnano le manifestazioni di piazza. Blok riprende questo tema, lo inserisce all’interno della stessa tradizione a cui lui appartiene. Qui ci sono gli operai, anche se non c’è esattamente la parola, li riconosciamo, sono questi люди к воротам: sono le persone che stanno al portone che Подходят, si avvicinano al portone. нищих провели: нищии люди sono i poveri, hanno condotto qui questi poveri. Anello: люди к воротам sono i нищии che sono stati condotti. Parti del corpo, sineddoche (figura retorica: una parte per il tutto): la schiena rimanda alla fatica, al lavoro duro, Он медным голосом зовет (медным, bronzo; cavaliere di bronzo di Puškin), con una voce di bronzo sollecita; questa voce appartiene al guardiano che fa entrare questi нищии люди e li chiama a raccolta, oppure una campanella che dà inizio al turno. Colori: giallo, associato alle finestre; il nero, associato a qualcuno di indefinito, di incerto. Questo strumento stilistico “кто-то” e simili è molto usato da Blok soprattutto nel ciclo della Bellissima Dama, appunto perché è difficile stabilire i contorni della donna. È implicita anche qui l’attesa; è come se avvertissimo che qualcuno sta arrivando, non siamo sicuri di chi stia per arrivare, cosa stia per accadere. Qui è qualcuno di nero. черный кто-то людей считает в тишине: nero qualcuno gli uomini conta in silenzio: probabilmente è quello lì che ha la voce metallica (il guardiano). Grado per grado cominciamo a capire e ad immergerci sempre più nella situazione, e capiamo anche chi sta dietro queste finestre gialle: И в желтых окнах засмеются, что этих нищих провели - E alle gialle finestre rideranno d’avere abbindolato questi poveriè una forma impersonale, ridono del fatto che hanno condotto da loro, qui, questi poveri. Struttura: opposizione alto (Io sento tutto dalla mia altitudine; poeta superiore, distaccato) e basso (la gente che di sotto s’è raccolta, gli operai); ma in alto si trova anche chi, dietro le finestre gialle, ride e ha condotto lì i poveri: quindi il padrone, il capo. Siamo nel 1903, però ci sono già i segni di quello che poi esploderà (nella domenica di sangue dove viene sparato sulla folla, costituita da operai, sacerdoti, civili, studenti). Il giallo è un colore caldo, il sole, la luminosità; però il giallo è un colore particolare perché a esso è collegata la follia, e anche qualcosa di strano, non prettamente positive, è un colore un po’ disgustoso, che può essere legato alla pipì, alla decomposizione. Il giallo qui, associato a queste finestre dietro le quali i padroni ridono, è un colore negativo; associato al nero degli uomini che contano. Inoltre è buio, perché sera, evidentemente questi operai fanno il turno di notte (il turno più duro). Accoppiamento alogico: le sbarre pensierose (un oggetto che prende vita e pensa). Più che religioso, qui il tema è proto-rivoluzionario: qui non c’è la bellissima dama e questo ci fa capire come già sta mutando il pensiero di Blok; anche se anche qui il tutto è avvolto in un’atmosfera indeterminata. Провели: è una parola ambigua perché vuol dire sia condurre, sia abbindolare, prendere in giro. Titolo = Crocicchio (crocevia): trovarsi di fronte a due scelte, trovarsi sulla soglia, che genera personalmente uno stato di agitazione. Solitamente i crocevia stanno in città, difficilmente si trovano in campagna. Già questa poesia ci dice che siamo in città. La maggior parte di queste poesie è ambientata in città, e la città per Blok ha caratteristiche demoniache; questo perché allora c’erano i regolamenti provvisori, c’era un clima di terrore. La città schiacciava l’individuo, che viveva in uno stato di polizia, dove avvenivano gli attentati (ai politici, ma spesso venivano coinvolti indirettamente anche civili innocenti). Già qui vediamo l’incubo della città moderna. Questi motivi vengono accentuati nel ciclo successivo, che si chiama Пузыри земли (Bolle di terra) del 1905-1905. Ciclo nato negli anni della prima rivoluzione. Il titolo è una citazione shakespeariana (i simbolisti lo amavano in modo particolare) dal dramma Macbeth (una tragedia sulla follia, i personaggi sono tenebrosi, ci sono le streghe). La città compare, ma di passaggio, di solito ci si ritrova tra le paludi. Il poeta io lirico, dalla periferia della città (che Blok conosceva molto bene), passeggiando, si ritrovava in campagna, che rifletteva il paesaggio originario di Pietroburgo, che è stata una palude. Quindi sono paesaggi palustri abitati da esseri un po’ strani, demoniaci (diavoletti palustri), sono spiritelli che al posto degli arti hanno i rami o le foglie al posto delle dita, ma vegetazione marcia, muffa. Di questo ciclo abbiamo già visto Diavoletti palustri. Ma c’è anche un poema, che non è incluso nel ciclo ma è fortemente legato, che si chiama Ночная фиалка (Violetta notturna), degli stessi anni, è un poema lungo. In Diavoletti palustri c’è sia я che мы: “noi stolti” sono i simbolisti, il poeta si include in tutto questo; qui i diavoletti palustri indossano i berretti del buffone alla rovescia. [Questo ce lo dobbiamo ricordare perché protagonista di La baracchetta dei saltimbanchi è Pierrot, c’è arlecchino.] Violetta notturna è importante perché è un’ulteriore metamorfosi della Bellissima Dama. In questo componimento l’io lirico si addentra nelle zone paludose che stanno subito dopo il confine della periferia con la città (quindi il poeta varca un’altra soglia), è una terra affascinante perché nasconde quella che è l’origine di Pietroburgo, è abitata da diversi strani spiriti; qui trova una capanna (un altro personaggio che entra in una capanna nel suo sogno era Tatiana), ma tutta in sfacelo. Appena entra vede degli strani personaggi, immobili, vede una serie di guerrieri che stanno di fronte a un boccale di birra vuoto e sembrano addormentati, hanno delle armature ora arrugginite (perché immersi nell’umidità della palude), hanno caratteristiche vegetali, sembrano delle piante. Sembra che questi guardiani facciano la guardia ad una coppia di sovrani anziani, un re e una regina, anche loro con vestiti belli e sontuosi ma invasi dai rami e dalle foglie, e le corone si vedono a malapena perché hanno dei riccioli verdi, anche loro sono seduti immobili, come instupiditi (ci fanno quasi tenerezza). In un angolo della capanna, vicino ai sovrani, sta una ragazza intenta a filare in silenzio, anche lei ha una corona, anche lei ha i capelli verdi ma c’è anche tanto viola in lei, è la violetta notturna. Di questa ragazza l’io lirico riesce soltanto a percepire gli occhi scintillanti. È l’unica impegnata in un movimento, che sembra eterno. Di fronte a lei c’è un altro personaggio, uno scaldo, il poeta della corte scandinave, che la fissa (anche qui non sappiamo se è da un minuto o da un’eternità). Tutti sono impietriti tranne lei, la violetta notturna; la violetta notturna è velenosa, mentre fila emana un profumo paralizzante, è un fiore e profumo che affascina perché attira a sé per l’eternità questo scaldo che non può fare che osservarla nell’immobilità. Questa donna ha uno strascico, anche questo è strano perché la Vergine Maria non ha lo strascico (lo strascico lo porta una sposa o una sovrana laica, temporale). La dimensione terrena è attribuita alla Bellissima Dama che smette di essere una presenza vaga e indeterminata, si è palesata concretamente. Questa sovrana ha a seguito di cavalieri che sospirano, i quali potrebbero rimandare ai mistici/simbolisti. La sistina con i versi liberi, dove sta al centro e parla il pagliaccio con tutti punti esclamativi, agitato: questa immagine è molto chapliniana; è un pagliaccio che subisce, è ferito; è lamentoso, mai felice. Ha un saio, un cencio, con un elmo di cartone, con la spada di legno (diverso quindi dai cavalieri che accompagnano la regina). [Anche il Pierrot del dramma omonimo può essere considerato un proto-Charlie Chaplin: le situazioni sono sempre tragicomiche, tragicità iperbolizzata.] Il succo dei mirtilli appare due volte, ma perché non sangue? Questo succo lo ritroveremo anche nel dramma e diventa proverbiale, non solo per le altre opere di Mejerchol’d, ma proprio per il teatro dell’epoca. Il teatro dell’epoca, dei simbolisti, era ben diverso da quello che avevamo iniziato a conoscere con Čechov. Il teatro di Čechov era il teatro di Stanislavskij (il regista che ha portato avanti la scuola di pensiero del переживание, dell’immedesimazione). I simbolisti cominciano a rifiutare questo tipo di approccio perché il teatro è semplicemente teatro, non è la vita reale, l’arte è la vita per la prima generazione (Brjusov, Valmont, Sologub); ma per la seconda generazione una cosa è l’arte e una cosa è la vita. Il succo di mirtillo è un trucco palesato, non è il sangue reale; l’elmo è di cartone, non di acciaio: è un personaggio convenzionale. Ma più il personaggio è convenzionale più diventa una maschera: sono tipi, maschere, che incarnano i vizi molto più ampi in cui possiamo anche più o meno riconoscerci. Seppur convenzionale, in questo personaggio è sottolineato il fatto che sia ferito, sta soffrendo. Nell’ultima strofa, il distico con la rima baciata (che dovrebbe essere il più allegro perché la rima è semplice, rima per bambini), il contenuto non coincide con la convenzione della rima: i bambini si mettono a piangere, probabilmente perché sono rattristati da quello che sta succedendo al pagliaccio; nella peggiore delle ipotesi, il pagliaccio muore (sta perdendo molto “sangue”). Anche la morte, in un teatro baraccone, può essere messa in scena. Romanticismo. Drammi lirici. Esplicitamente Blok parla comunque di un’immaginazione romantica alla base dei suoi drammi: la lirica non appartiene a quei settori artistici che insegnavano la vita. <<Nella lirica vengono fissate le emozioni dell’anima, che nella nostra epoca di necessità è isolata. Tali emozioni sono solitamente complesse, caotiche; ma anche chi ha capito qualcosa delle complesse emozioni dell’anima, non può vantarsi di battere un terreno sicuro>> l’indeterminato, l’indefinito Blok ripete che al centro delle sue opere ci sono le emozioni, non c’è intento moralistico. Prima i drammi vennero rappresentati, vedendo che ebbero successo, Blok decise di pubblicarli. Anche in Blok troviamo didascalie difficili da rappresentare, però lui ha bene in mente la presenza di un lettore. Lui vede la propria opera in maniera critica, imperfetta. Lui fu contento fino ad un certo punto della messa in scena di Mejerchol’d, perché i suoi drammi non sono divisi in atti ma ci sono delle separazioni temporali ben scandite, sono drammi complicatissimi (soprattutto La sconosciuta che è divisa in apparizioni) che richiedevano l’intervento anche di un drammaturgo rivoluzionario per l’epoca. [Questi sono anche gli anni del cinema muto, del cinema di Georges Méliès (Il viaggio sulla luna), regista francese, importante perché in Russia nei primi del 900 c’è già in cinema. Blok amava molto il cinema.] [Lo scrittore romantico parla dell’io del poeta che si confronta con la natura e con il mondo circostante.] Dramma: Il piccolo baraccone Tra i personaggi presentati c’è anche l’autore, la sua presenza è un segnale dell’ascendente romantico di questo dramma; solitamente l’autore non si lamenta ed è contento della sua opera, ma qui l’autore è molto pirandelliano, completamente scontento. Lui però non emerge mai completamente, è sempre un po’ nascosto. Lezione 17 – 6.12.21 Terminiamo la lezione con il 1918, I dodici di Blok è scritto nel febbraio di quest’anno. Nonostante sia breve, è un poemetto molto complesso; la lingua di Blok nasconde sotto una patina di semplicità tutta una serie di livelli, di piani tematici, di riferimenti e allusioni molto complessi. Prima abbiamo analizzato la lirica Il piccolo baraccone, ora analizziamo il dramma. Ci sono dei motivi che sono stati sviluppati a partire dalla lirica: pagliaccio colpito con la spada di legno che perde sangue- mirtillo. Nel dramma c’è il ballo in maschera, nella lirica c’è una schiera di fiammelle che accompagnano questa figura femminile avvolta nella nebbia (l’incarnazione della Bellissima Dama); questa regina nel dramma si rispecchia in Colombina. [Somov era un illustratore molto amato dai simbolisti; era, accanto a Vrjubel’, uno degli artisti attorno ai quali ruotavano i poeti simbolisti] È un dramma pierrotico, Pierrot, che rispecchia il pagliaccio della lirica, ma è triste, è differente rispetto alla figura di Arlecchino. Arlecchino ha dei sonagli addosso, si sente quando arriva, mentre Pierrot viene rappresentato per contrasto come un personaggio molto triste. Colombina inizialmente appare in scena come rappresentante della morte motivo fondamentale, il pastiche linguistico su quale si basa tutto il dramma. Mejerchol’d ha messo il tavolo, attorno al quale sono seduti i mistici, frontale rispetto al pubblico (pensiamo all’Ultima cena). I mistici vestiti di nero, in finanziera, sono quasi seduti come su un trono e c’è il presidente (l’individuo fra loro più importante), che si può individuare con Solov’ëv fratello (quello del circolo degli argonauti). Il tavolo è rivestito di panno nero, la scena è illuminata soltanto da candele. Mejerchol’d fa in modo che il suggeritore, vestito di abiti bizzarri, quindi ben visibile, entrasse in scena e man mano accendesse tutte le candele, che poi si calava dentro la buca agli occhi del pubblico; già questo è manifesto esplicito dell’artificio, del trucco, la teatralità è davanti agli occhi. I mistici sono vestiti di finanziera, ma queste sono fatte di cartapesta; una rappresentazione del genere dà una sensazione Una delle indicazioni sceniche che dà Blok riguarda il movimento delle mani: i mistici, che pronunciano all’inizio parole di solennità e di attesa (aspettano la Bellissima Dama), man mano che si avvicina questa figura pallida, cominciano ad essere terrorizzati e cominciano a muovere le mani. Mejerchol’d dà delle indicazioni precise: come se un lurido topo stesse correndo sul tavolo. Cominciano a muovere in modo sconnesso le mani, ritirano il volto all’interno di quelle imbracature di finanziera fino a che non spariscono completamente, rimane solo metà viso. Questo perché, anziché vedere la Bellissima dama, riconoscono in Colombina la morte, si crea un equivoco. Pierrot, che ha un modo di parlare e di esprimersi molto diverso dai mistici, triste e frustrato, sa che la sua fidanzata è probabilmente ad un ballo e lui è destinato ad attenderla, in un cerchio di ripetizione eterno. Pierrot riconosce la propria fidanzata, quindi è finalmente felice. Il tutto si basa su un bisticcio di parole. [In russo c’è una parola, коса, che significa sia treccia sia falce: tutto è basato su questo bisticcio: i mistici vedono la falce, mentre Pierrot vede la treccia.] I mistici fanno in modo di persuadere Pierrot dal suo convincimento, ma lui non demorde: per lui è arrivata Colombina. Pierrot le va incontro e lo spettatore può vedere, attraverso dei trucchi teatrali, la trasformazione della morte in Colombina. Ma entra in scena un altro personaggio: Arlecchino, introdotto attraverso il suono dei suoi sonagli. [Tutto questo sta accadendo in un atto unico, è chiaro che ci sono dei cambi di scena, e questo mise in difficoltà Mejerchol’d nel rappresentare in un atto unico ambienti diversi.] Colombina non si oppone ad Arlecchino che cerca immediatamente di attirarla a sé, abbandona subito Pierrot (lei non ha carattere). Se ne va con Arlecchino, su una slitta avvolti in un turbine di neve (ci sono quindi delle scene esterne: figura circolare), il quale cerca di abbracciarla (movimento centrico), ma non ci riesce perché Colombina (che parla con parole singole, sembra una marionetta) cade e sulla neve Arlecchino può constatare che non è altro che una bambola di cartone (c’è una trasformazione). Ancora una volta troviamo la carta. Arlecchino, disperato, per distrarsi da questa perdita, va ad un ballo in maschera: qui ci sono delle life motif che si ripetono. Ci sono tre coppie di innamorati che ricorrono in diverse scene. Arlecchino, anche intristito dalla visione della felicità altrui, siccome sta per arrivare l’aurora, decide di gettarsi dalla finestra, per raggiungere l’aria aperta (per allontanarsi dal luogo di falsità: il ballo in maschera è dove non si è se stessi), ma a gambe all’aria squarcia il fondale di carta della scena. I mistici indossano la cartapesta, Colombina è fatta di carta, il fondale/il fuori è di carta. Un pagliaccio litiga con uno degli innamorati, che lo colpisce con una spada di legno ed esce succo di mirtillo (elemento che ci dà l’idea dell’artificiosità, del mondo fittizio della realtà). Questo succo di mirtillo è diventato una sorta di emblema per tutto il teatro dell’epoca, è una reazione al naturalismo, ci dà anche l’idea della valenza dei simboli. Il succo di mirtillo è un simbolo, non è sangue reale. Lo spettatore può comunque vedere che c’è qualcosa dietro il fondale di carta. Si sta facendo giorno e di nuovo si può vedere che qualcuno si sta avvicinando: di nuovo si avvicina la morte, riconosciuta dai mistici. Pierrot rimane sempre sulla scena, in un angolo, e di nuovo la morte si tramuta ulteriormente in Colombina, ma questa volta Pierrot non è contento. Come protagonista della commedia dell’arte è destinato all’infelicità. In tutto questo, c’è il life motif del cerchio. Il cerchio lo abbiamo visto come elemento strutturale dei componimenti lirici di Blok; è un tipo di costruzione che via via Blok abbandonerà in favore di un pathos/clima più accentuato nella parte finale dei componimenti. Durante il ballo in maschera, ballando, formano dei cerchi concentrici; il movimento dei mantelli è circolare; riferimenti agli anelli sono nel monologo di Pierrot (<<perché dietro l’ultima coppia non c’è dato d’entrare nel cerchio designato>>); il cerchio è presente nei mulinelli (la neve con il vento forma dei mulinelli d’aria). [Quando Blok scrive La sconosciuta, è innamorato di un’attrice, Valochnaja, non corrisposto; spesso lui descrive questa donna come una maschera fatta di neve cinta da cristalli di neve. Il cerchio e la neve ricorrono proprio nel discorso dell’amore] Il cerchio fa pensare all’unione, al cerchio della vita, è un’immagine positiva e felice, un qualcosa che non può avere interruzioni, è immagine di completezza, è un simbolo ancestrale. In Blok il cerchio è caricato di positività e di felicità, che a Pierrot è negata. I colori: il bianco ricorre, della morte/Colombina, di Pierrot (il suo trucco convenzionale), della neve e della carta (sensazioni gelide, di brivido); il rosso del succo di mirtilli; azzurro e rosa degli abiti della coppia al ballo in maschera. La neve non è sempre bianca, è anche azzurra. Questo perché la neve viene dai cieli, in particolare è azzurra quando cade, scintilla quando atterra di notte (è un qualcosa che viene a noi dall’alto. In essa c’è la traccia di quel mondo altro che per i simbolisti è il mondo vero. Questo colore ha una simbologia (colore amatissimo dai simbolisti), racchiude una serie di sensi dai più metafisici ai più terreni. In La sconosciuta c’è proprio un personaggio che si chiama Azzurro, che si interfaccia con l’astrologo; dice di essere diventato azzurro perché ha guardato troppo a lungo il cielo: questo nasconde uno degli “obiettivi” dei simbolisti, ovvero cercare costantemente una dimensione altra nei cieli. L’azzurro è il colore delle sfere celesti, di una dimensione altra. La neve e le bufere ricorrono anche ne I dodici. Il triangolo anche è una costante (lo ritroviamo anche nei Dodici); ne Il piccolo baraccone il triangolo è costituito da Pierrot, Colombina e Arlecchino; lo troviamo anche in La sconosciuta. La sconosciuta è un dramma molto complesso, suddiviso in visioni (ce ne sono tre) e si riflettono, si specchiano, si ripetono: personaggi, battute, singole parole, azioni. C’è il poeta che si rispecchia nell’Azzurro; c’è la sconosciuta che è Maria. Il triangolo poi ricorre nei Dodici, ma in modo più cruento. [I dodici è un poemetto, quindi non destinato alla rappresentazione teatrale, ma è stato interpretato da molti: Carmelo Bene (uno degli attori italiani più importanti del 20esimo secolo) amava particolarmente la poesia russa e c’è una sua interpretazione dei Dodici. Comunque il poemetto si presta bene alla rappresentazione orale.] In Il piccolo baraccone c’è l’autore tra i personaggi. L’autore entra in scena, è un personaggio ambivalente perché fa ridere: <<io non ho scritto queste parole>>, <<io non ho pensato in questo modo il mio dramma>>, non riesce a finire il suo discorso che qualcuno da dietro lo trascina via afferrandolo per la finanziera. L’attore/autore compare e scompare più volte sulla/dalla scena questo è un fattore straordinario, anticipatore (di nuovo connessa con l’anticonvenzionalità di questo tipo di teatro). L’autore si rivolge direttamente al pubblico, quindi cade la quarta parete (invisibile). Blok ebbe problemi perché nei mistici si riconobbero i simbolisti; il triangolo, è chiaro che i protagonisti possono essere identificati con Blok, la moglie Ljubov’ e Belyj. Blok satirizza la sua situazione, il suo percorso (lui ci sta dentro a quella situazione); Blok mette alla berlina anche il suo passato e il suo presente. Il piccolo baraccone è una spia dell’avvicinamento della rottura, della crisi del 1910. Blok è molto critico nei confronti dei suoi “colleghi”, lo abbiamo già visto in Diavoletti palustri (berretto da buffone con i sonagli). Entrambi i drammi sono difficili perché lirici, il lirismo è forte, la lingua estremamente poetica. La parola è ambivalente perché essa stessa è un simbolo. C’è tanto di cinematico in Blok, soprattutto nel La sconosciuta. Anche questo dramma parte da una lirica omonima. Già dal titolo è chiaro il rimando.
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