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Letteratura spagnola 2 lezioni, Appunti di Letteratura Spagnola

tutte le lezioni del corso di letteratura spagnola II con Sarmati

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 07/02/2020

margherita-momoli
margherita-momoli 🇮🇹

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Scarica Letteratura spagnola 2 lezioni e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Programma→ fondamenti di filologia linguistica romanza (manuale)+ il latino e la formazione delle lingue romanze Esame→ esonero scritto che verte sul manuale dopo la fine delle lezioni + esame orale solo su “il latino…” 1° Ottobre 2019. • Concetto di Filologia. La parola filologia è un termine che appartiene al lessico occidentale intellettuale. Questa deriva dal Greco attraverso il latino. In greco, se andiamo a studiare la parti che compongono la parola abbiamo due basi “logos” ossia “discorso/parola” e “filein” ossia “amare/prendersi cura”. Noi potremmo parafrasare la parola filologia con l’espressione cura o amore della parola. In genere quando si parla di filologia o linguistica romanza facciamo riferimento a quel ramo che si occupa delle lingue romanze (spagnolo, francese, rumeno…). Questo aggettivo “romanza” ha una collocazione linguistica ossia si intende la filologia e la linguistica delle lingue derivate dal latino. Nell’uso accademico troviamo spesso la parola filologia seguita da una grande varietà di aggettivi. La filologia è qualcosa di per se a prescindere dalla famiglia linguistica a cui si fa riferimento. Quando si tratta di sola filologia si parla d filologia testuale ossia quella orientata sui testi. La parola filologia indica in realtà un metodo che può essere applicato a tanti settori differenti. Questo metodo ha come obbiettivo la cura dei testi e l’amore per questi stessi. Cura dei testi significa fare le edizioni dei testi. Che cos’è l’edizione di un testo, perché si fa…? La cosa più importante che un filologo fa è proprio l’edizione di un testo. Definizione di Ferdinand De Saussure→ la filologia è la disciplina che vuole fissare, interpretare, commentare i testi. La linguistica studia i fatti di lingua e ne cerca una legge interpretativa. Le parole chiave→ per filologia: testi/per linguistica: lingua I testi sono in lingua a i testi stessi non sono la lingua. La filologia necessita un testo per esistere mentre la linguistica esiste se esistono le lingue ma le lingue sono fenomeni storico-naturali. Nella filologia i testi hanno una natura diversa in quanto sono fatti storici, non c’è nulla di naturale nei testi. Ciò determina una grande differenza tra le due materie. “fissare, interpretare e commentare”→ quando si dice “fissare un testo” si intende che il filologo dà l’edizione di un testo attraverso un lavoro molto complesso. Il filologo prima di commentare si deve preoccupare di dare l’edizione ossia occuparsi di identificare nel gran numero di manoscritti di quello specifico testo quale tra quelli rispecchia le volontà dell’autore. Fissare un testo significa rendere il testo leggibile ad un pubblico vasto rispettando la volontà dell’autore. La filologia moderna affonda le proprie radici nel lessico umanistico. Quando si parla di consecutio textus l’azione che il filologo fa è consegnare il testo secondo le volontà dell’autore. La filologia nasce come un significato che non è quello che oggi assegniamo a questo termine. Nasce in un’epoca molto molto antica e con un significato più ampio. Nasce in epoca alessandrina nel corso del terzo secolo avanti cristo. L’incontro con il mondo orientale ha portato svariati cambiamenti nella tradizione occidentale. La cultura alessandrina è la cultura di lingua greca che si radica in luoghi lontani dalla Grecia. Dobbiamo quindi spostarci ad Alessandria d’Egitto dove fu fondata la biblioteca di Alessandria nel terzo secolo. È stata l’istituzione più importante del mondo antico in quanto fu la più ricca delle biblioteche antiche. {Il libro come lo vediamo noi oggi si chiama codice mentre prima non esisteva questa forma e veniva formata in rotulus (rotulo).} La biblioteca nasce come deposito di libri collegato al museo alessandrino. All’epoca il museo era un tempio, un luogo di culto dedicato alle muse (divinità figlie di Zeus e della memoria→mnemosiune e avevano il compito di proteggere una ogni forma d’arte). La dinastia dei Tolomei ingrandì e finanziò la biblioteca di Alessandria. La filologia nasce in relazione alla cura del testo omerico. Questi filologi alessandrini hanno a disposizione molti rotuli della biblioteca e lavorando sull’iliade e l’odissea si rendono conto che le copie delle opere se confrontate presentavano problemi per stabilire quella che era la volontà d’autore. Moroncini→ filologo dei canti di leopardi Che cos’è un autografo? L’autografo è il testo copiato a mano dall’autore stesso. Rapporto tra filologia e linguistica→ Significato di romanza→ 3/10/19 FILOLOGIA ROMANZA: Il termine filologia ha diversi significati come qualunque lemma di qualsiasi lessico che sono polisemici. 1. Disciplina che mediante l’analisi linguistica e la critica testuale mira alla ricostruzione della corretta interpretazione dei testi o dei documenti scritti. (dei testi non sono legittime tutte le interpretazioni, esiste una corretta interpretazione); Nella nomenclatura universitaria è la disciplina che studia l’origine e la struttura di una lingua sulla base di documenti letterari; 2. L'insieme degli studi filologici e dei filologi di un determinato periodo o aria culturale: la filologia alessandrina, la filologia tedesca dell’800. Come la filologia viene applicata in determinati contesti culturali; 3. Complesso degli studi fondati sull’esame critico delle fonti, documenti e testimonianza che si propone di fornire una esatta interpretazione di fenomeni storico- artistici. La critica testuale ci porta a capire la nascita del testo e l’autore. Un altro problema infatti è l’attribuzione del testo a chi davvero ha prodotto le opere Il campo di lavoro della filologia è il testo (letterari, documentari, orali ecc.). Diversamente dalla linguistica, la filologia si occupa sempre dei testi. Analizziamo 2 casi: Leopardi e Commedia. LEOPARDI: Nel caso di Leopardi siamo davanti a una tradizione a stampa. In filologia una tradizione è l’insieme di tutte le testimonianze che possediamo che ci trasmettono un certo testo. Possono essere anche di tipi diversi. Nel caso di Leopardi abbiamo sia testimonianze manoscritte che a stampa. Altre testimonianze in casi diversi possono essere delle traduzioni. Moroncini è stato il primo editore critico dei canti di Lopardi. Lui porta a compimento nel 1927 l’edizione critica dei canti di Leopardi. dopo il 1321 hanno cominciato ad avere una diffusione copie manoscritte contenenti tutte e tre le cantiche. Il paradiso circola più tardi delle prime due perché completato dopo. Dante era interessato a far conoscere la commedia ecco perché la diffonde ancor prima della sua conclusione. Della prima edizione completa della Commedia si occupa il figlio di Dante. nasce poi il fenomeno dei copisti danteschi. La commedia sicuramente comincia ad essere copiata per essere venduta, perché esisteva all’epoca il mercato del libro nelle grandi città dell’Italia dell’epoca. Ma ci sono anche questi fenomeni di coloro che copiano la commedia per avere la propria copia. Persone che quindi avevano una competenza scrittoria e quindi si mettono a copiare piano piano il loro libro. Questo tipo di fenomeno, chiamato dei COPISTI PER PASSIONE, è stato studiato ed esiste anche nella tradizione delle opere di Boccaccio. Il copista in genere è una figura professionale che per mestiere copia i libri. Lavora in determinati contesti che si chiamano ATELEIER DI COPIA. Ci sono però che dei copisti per passione. I luoghi nei quali si copiano dei libri nel corso dei secoli e dell’alto medioevo (7-8-9 secolo d.C) anche nei contesti delle corti dove circolano i libri e ci sono figure che sanno leggere e scrivere, talvolta i libri che arrivano sono prodotti nelle scriptoria monastici. • Abbiamo gli scriptoria, in ambito monastico: producono libri per le corti. • Ateliers di copia nei centri urbani: Il mercato dei libri e quindi la produzione a livello proto-industriale (primitiva di una produzione in serie del libro) nasce nel 12 secolo. Secolo importante per la cultura europea. Siamo ormai nel Basso Medioevo (12 13 secolo) in alcune grandi città europee e sedi di università nasce il mercato librario. Qui ci sono degli scribi pagati che hanno quella competenza professionale. Si producono in questi luoghi sia i libri per universitari, sia libri di letteratura in generale; esiste quindi un collegamento molto stretto tra la nascita delle università e lo sviluppo della produzione libraria. Si ha la necessità di superare il particolarismo grafico, quindi produrre opere che siano leggibili a tanta gente. A quest’epoca si fa risalire la nascita della scrittura cosiddetta GOTICA. Si chiama specificamente LICTERA TESTUALIS, lettera usata per scrivere testi. Ha una scrittura che ha un alto grado di leggibilità per gli standard dell’epoca. Dalla 2a metà del 13 secolo, la stragrande maggioranza dei libri scritti in EUROPA viene copiata in Gotica. [prima della gotica si era tentato un suPeramento del particolarismo grafico con la minuscola carolina] 08/10: FILOLOGIA ROMANZA La critica testuale: parliamo dei problemi inerenti in caso di edizione critica di un testo con tradizione pluritestimoniale. Il testo in questione è la Commedia dantesca. [Non ci sono né autografi né idiografi (manoscritto non copiato dalla mano dell’autore ma che l’autore ha potuto ricontrollare)]. Queste sono opere che appartengono a epoche nelle quali non si hanno canoni ortografici di riferimento, cioè una norma ortografica secondo la quale una lingua deve essere correttamente scritta. È l’esistenza di un canone ortografico al quale tutti gli scriventi appartenenti alla stessa comunità si attengono che è possibile l’intercomprensione. Noi capiamo i testi scritti che usiamo perché tutti quanti fanno riferimento ad una corretta norma ortografica che vale per quella lingua. Per quanto riguarda il problema editoriale die testi che stiamo analizzando, in particolare la commedia, si pone questo problema. I manoscritti ma molto spesso anche i volumi a stampa, non fanno riferimento alla norma ortografica condivisa dalla comunità di persone che leggono testi in quella lingua. In linea di massima per ciascuna lingua europea la norma ortografica è stata elaborata da accademie che nascono intorno al 500 che si pongono il problema della corretta scrizione della lingua e che poi fissano un canone ortografico che crea un rapporto biunivoco tra i segni ortografici che servono per scrivere una lingua e i fonemi, suoni che i parlanti producono quando parlano quella lingua. Ci deve essere rispetto di questo rapporto affinché i testi che leggiamo siano compresi. Partiamo quindi da una situazione ella quale in epoca medievale (si fa riferimento alla commedia quindi parliamo di Italia, ma vale per tutte le altre lingue romanze) siamo in una situazione che definiremo “di particolarismo grafico” e di assenza di una norma ortografica condivisa, cioè le parole di una determinata lingua possono essere scritte seguendo e utilizzando grafie diverse. Queste risentono della regione di provenienza del parlante o scrivente. ES: //MIGLIORE//; //MEGLIOR//. Spesso queste grafie introducevano nella copia scritta dei tratti fonologici. Potevano rispecchiare la provenienza geolinguistica dello scrivente. Siamo in un’epoca di prolificazione di varianti grafico formali. Altro problema importante è anche il particolarismo grafico. Dal tardo antico, dai primi secoli dell’alto medioevo (8/9 sec) in Europa troviamo tante scritture diverse. Ciascun luogo geografico, regione, utilizza la scrittura ma facendo riferimento a una scrittura propria e particolare, che ha diffusione solo in quella regione. Questo si lega al fatto che gli scambi e le vie di comunicazione non erano molto sviluppato e i territori vivono in condizione di chiusura. Esistono pochi centri nelle zone dove si pratica la scrittura. (la scrittura SOPRAVVIVE nei monasteri. Perché sopravvive? Perché con il crollo dell’impero romano si ha davvero la fine di una civiltà, di un mondo che era fatto di tante diverse componenti. Una delle quali era il sistema scolastico grazie al quale il latino ea diventato sovrannazionale. Questo accade grazie al fatto che il sistema scolastico diffuso in modo abbastanza capillare, insegnasse in latino. Nel momento in cui crolla l’impero romano si inizia una fase complessa perché avvengono delle catastrofi. Il sistema scolastico viene a collassare e le scuole non esistono più nel giro di pochi decenni. Questo fatto crea le condizioni perché l’analfabetismo cresca. Milioni di persone diventano analfabete nel giro di pochi decenni. La scrittura si conserva dunque dentro gruppi elitari e c'è una fase, altomedievale (6/7 sec D.C) in cui i popoli in Europa sono analfabeti. I pochi che hanno competenze sono i chierici e i monasteri sono i luoghi dove vive la scrittura. Questo porta alla nascita di diverse tradizioni grafiche. Nei territori dove la gran parte di persone sono analfabete, i pochi che sanno scrivere usano una scrittura di un determinato territorio. Questo crea un grande particolarismo grafico]. Uno dei luoghi più importanti dell’Italia centro meridionale dove si mantiene viva la scrittura e il luogo di copia di importanti scritti è il monastero di Monte Cassino [scrittura beneventana]. Una prima fase di superamento di questo particolarismo grafico si ha con Carlo Magno. Siamo quindi agli inizia dell’8/9 secolo d.C. All’epoca di Carlo capisce che per poter governare un impero vasto e plurilingue come il suo (francese, lingue germaniche, parlate italiane ecc.) lui e un circolo di intellettuali che ebbero un ruolo fondamentale nella creazione dell’Europa e che sono presenti nella corte di Aquisgrana. Qui accoglie questi intellettuali che venivano da tutta Europa. Lui si rende quindi conto che per governare l’impero era necessario unificare linguisticamente l’impero. Si poteva sfruttare una lingua che avrebbe avuto una funzione veicolare: il latino. Il latino poteva essere la lingua che avrebbe unificato almeno i gruppi dirigenti che avevano il compito di amministrare il territorio. Su queste basi si inizia una riforma e in collegamento ad essa assistiamo ad un primo momento di omogenizzazione delle tradizioni grafiche: si crea una scrittura facile che abbia forma grafia sufficientemente chiara e facile in modo da poter essere letta in tutti i territori dell’impero. Questa è la scrittura MINUSCOLA CAROLINA. Un secondo momento molto importante si ha con la fondazione delle università in Europa, quindi nella seconda metà del 12 secolo. Le più antiche sono Oxford, Cambridge e Sorbona. Nascono da scuole cattedrali che erano gestite da vescovi delle città quindi religiose. Queste producono dei maestri, professori e volti che ad un certo punto si staccano dalle scuole di provenienza e fondano le università laiche che diventano il segmento più alto dell’istruzione in Europa. Con la nascita delle università nasce anche un mercato librario. Questi luoghi che iniziano a produrre i libri anche in forme industriali in maniera seriale si hanno nelle città universitarie e nei grandi centri europei che hanno rapporti stretti con le università. In questa fase assistiamo ad un secondo momento di superamento dei particolarismi grafici. Viene inventata una scrittura leggibile in tutte le università di Europa: la GOTICA o LITERA TEXTUALIS. Si dice molto posata, non ha tratti corsivi. È una struttura la cui forma è canonica, fissa e regolare che può essere riprodotta anche in larga scala. La copia a mano produce varianti. Queste varianti modificano il testo. Possono modificarlo a livello anche solo formale, ma anche a livello sostanziale, nel contenuto. Abbiamo almeno due grandi tipi di varianti: una varianza che si lega all’assenza di una norma grafica condivisa. Questo provoca prolificazione di stratificazione linguistica dei manoscritti. Si produce una varianza di tipo grafico linguistico. Questo c’è sempre anche nel 1 e 2 secolo di esistenza della stampa. L’altro livello di produzione di varianti sono quelle che derivano dai guasti materiali. Copiando un testo viene modificato, un testo può essere anche profondamente modificato involontariamente da chi copia. Quali sono i guasti di tipo materiale? - Le lacune: quando manca un pezzo di testo (cosa che può accadere per varie ragioni).; - Errori nella copia: che possono avvenire involontariamente – un modo che produce spesso delle lacune nel corso della copia è il cosiddetto SAUT DU MEME AU MEME- salto dallo stesso allo stesso. Questo è un tipico errore dei copisti medievali. Lo si trova molto spesso ed è anche facilmente sanabile. - L’aplorografia: altro tipico errore meccanico. È l’omissione di uno o più elementi quando seguono un elemento uguale. Quando scriviamo “tragico- comico” co-co sono a contatto. Un errore tipico è la scrittura di “tragicomico”. Si è ridotta la lunghezza delle parole perché c’è quel confliggere di due sillabe uguale. - La dittografia: errata ripetizione di una parola o di un gruppo di lettere; - La mancata trascrizione di segni diacritici: essendo il lavoro dei copisti molto difficile e svolto in condizioni piuttosto precarie, altro fattore che genera varianti è la mancata trascrizione dei segni diacritici. All’epoca non erano gli stessi di oggi, però ne avevano alcuni (titulus- una lineetta posta sulle parole dove era contenuta una nasale). Altre particelle molto spesso abbreviate erano particelle come il QUE congiunzione o anche il QUE francese o il QUI. Scrivevano solo una Q. se nella copia questi piccoli segni si perdevano, quel luogo del testo poteva non essere capito; - Mancata trascrizione dei monosillabi: talvolta le parole molto brevi vengono saltati ma alle volte sono fondamentali; - Tutti gli altri fraintendimenti: Tutte varianti che si inseriscono nel testo in maniera involontaria; Per capire meglio questi aspetti della trasmissione delle opere – analizziamo i primi 6 vv del canto del Purgatorio dell’edizione Petrocchi (anni ’60 del ‘900): In quest’edizione c’è una zona della pagina dove c’è il testo. La parte sotto è il cosiddetto apparato nel quale si mettono alcuni materiali della tradizione che permettono di capire come è stato costituito/elaborato il testo. [Varia lexio: varietà delle varianti. Una stessa parola può essere scritta in tanti modi diversi] In apparato abbiamo una scelta di varianti. ci sono delle sigle, sigle dei manoscritti. Per correr miglior acque alza le vele Omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro sé mar sì crudele; e canterò di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa regno. Perché la lezione corretta- la lezione autentica di Dante- è percorrer e non quel che scrive il manoscritto di BO “percorra”? perché non dà senso. È un errore. Lavoro di COLLAZIONE: di correzione. È uno dei passaggi importanti per arrivare alla costituzione di un testo critico. vv. 4: e canterò di quel secondo regno… . Il manoscritto Rb si ha DI QUELLO, che potrebbe essere un errore ma anche non esserlo. Non può essere però quello perché sennò non sarebbe un verso endecasillabo, cosa impossibile data la maestria di Dante. Viceversa quando troviamo SPIRITO. I due manoscritti Mad- Rb hanno “spirto”. La lezione corretta non può che essere Spirito per le ragioni metriche sopra riportate. [LOCI CRITICI: punti critici che quindi rappresentano un punto di difficoltà per il filologo]. copie sono una in relazione all’altra è studiare gli errori che collegano le copie stesse. [distinguiamo quindi tra errori isolati e invece ricorrenti in più manoscritti]. Errore poligenetico: si può essere facilmente prodotto anche in testi diversi e lontani, quindi non ci dice niente sull’eventuale parentela e copia di A da B. Errori monogenetici: è difficile che possano essersi prodotti in maniera indipendente in A e B. se invece trovo un errore complesso in più testi, quell’errore diventa un errore monogenetico con unica origine che rivela una parentela tra i testimoni. Quando siamo di fronte a tradizioni cospicue come quelle della Commedia, è un lavoro di grande complessità. Gli stemmi sono dei diagrammi che mostrano come può essersi svolta una tradizione e ne mostrano il rapporto. Un errore monogenetico che ha la medesima origine si dice congiuntivo, congiuntore di più manoscritti: hanno preso lo stesso errore da un testo che era già sbagliato. 17 Ottobre 2019. La filologia e la linguistica romanza studiano l’evoluzione delle parlate romanze a partire dal latino. Questa evoluzione è un continuum ossia queste lingue hanno una loro dinamica evolutiva moderna che è oggetto di studio della diacronia. Dal punto di vista linguistico non esiste differenza tra lingua e dialetto che invece hanno differenze socioculturali. I dialetti infatti sono lingue derivate dal latino che però sono circoscritte in una determinata località. Anche i dialetti hanno una tradizione letteraria. La linguistica romanza nasce grazie all’affermazione di un nuovo modo di intendere la linguistica, questo rinnovamento degli studi linguistici si ha in epoca romantica (fine 1700 inizio 1800). È proprio in epoca romantica che nasce un nuovo modo di studiare le lingue (paradigma storico-comparativo e fa nascere anche la linguistica storica. Il romanticismo ha luogo in Germania ed è proprio qui che si fanno i primi studi di modifica della linguistica. Franz Bopp è uno degli studiosi che per primo si interessa degli studi delle lingue, la sua idea è quella di studiare le lingue nella loro struttura grammaticale e confrontarle con altre lingue cercando caratteristiche affini che permettano una riunione di lingue in famiglie. Questo studio comparativo venne applicato anche alle lingue romanze. Il metodo storico-comparativo ha come interesse lo studio delle lingue nel loro divenire/trasformarsi. Non si interessa degli aspetti sincronici ma delle trasformazioni. Uno dei temi più trattati d studiosi che applicano il metodo storico-comparativo è appunto la trasformazione dal latino alle lingue romanze. Grazie al confronto tra le diverse lingue si scoprono parentele tra le diverse lingue/dialetti: • Gruppo italo romanzo→ area italiana (sardo, friuliano, ladino) • Gruppo gallo romanzo→area francese • Gruppo ibero romanzo→ area della penisola iberica • Romeno Franz Bopp è uno dei fondatori della linguistica storica poiché applica alle lingue germaniche e all’indoeuropeo una serie di ricerche che già in precedenze Grimm aveva messo in pratica. Questo nuovo modo di studiare le lingue viene originariamente applicato alle lingue romanze da Friedrich Diez (il fondatore della linguistica romanza). Importanza rapporto filologia e linguistica→ senza filologia non c’è linguistica Il concetto di scripta→ uso scrittorio, il modo che gli scriventi hanno di rappresentare i fonemi, le pronunce. La storia della parola “ROMANZO”: l’aggettivo “romanzo” deriva dal latino ROMANICUS, ROMANICA, ROMANICUM. Romanicus in latino era un aggettivo a sua volta derivato dall’aggettivo ROMANUS. Agli arbori della sua storia il latino è stato parlato da una cerchia molto ristretta. A loro volta romanus e romanicus derivano dal toponimo ROMA, toponimo probabilmente proveniente dalla lingua etrusca. Nome gentilizio→ nome che si trova nelle iscrizioni etrusche RUMA e RUMON (tevere) spiegatoci da Servio critico dell’eneide. Qual era il significato di “romanus” all’inizio della sua storia? Questo termine aveva un significato etnico ossia si riferiva ad un popolo. Concetto di isoglosse→ la linea che, in un atlante linguistico, segna i confini di un’area in cui è presente uno stesso fenomeno linguistico ME SO STUFATA DE PRENDE APPUNTI. CIAO MARGHERITA MOMOLI NON SEI VENUTA A LEZIONE, VERGOGNA! BECCATE QUESTO: MERDA MERA MERDA MERDA MERDA MERDA MERDA MERDA MERDA. M E R D A BUUUUUUUUUUUUUUU! Filologia romanza, 31 ottobre Latinizzazione: come si è passati da un'unità linguistica che ha riguardato tutti i territori dell'impero alle lingue romanze (che hanno la matrice del LATINO PARLATO). L'origine delle lingue romanze non è il latino, ma il latino parlato, dell'oralità. Concetto di indoeuropeo: Migrazioni che arrivano da un'enorme regione di confine tra Europa ed Asia, sia verso occidente che oriente. Con indoeuropeo si fa riferimento all'origine preistorica comune delle fasi più antiche delle lingue indoeuropee (che sono molte oggi). Questa fase la collochiamo tra il III e II millennio a.C. > l'enorme territorio di confine è la regione indouralica (che dagli Urali arriva fino al nord india). I linguisti che hanno per primi lavorato su questo concetto e l'hanno descritto sono stati Bopp e Schlegel e Rask. Paradigma storico-comparativo: un approccio, che a fine 800 un movimento che produce un cambio degli studi filologici. Questo metodo porta a diverse ricadute e risultati completi in particolare sull'indoeuropeistica. I primi studiosi che si sono occupati del tema indoeuropeo sono dei germanisti: Franz Bopp, Friedrich Schlegel e il danese Rasmus Rask (Che aveva iniziato a confrontare le lingue germaniche). Questi studiosi usano un metodo comparativo. Comparano da un lato il sistema fonomorfologico (morfologia, fonologia e grammatica) ma comparano anche il lessico. Grazie a ciò notano delle parentele tra le lingue germaniche, ed estendendo questo confronto a lingue romanze e slave, le affinità e parentele sono più vaste. Il settore che comincia a dare i primi risultati è il lessico. In particolare i numeri e i nomi di parentela, oltre ai pronomi personali, parti del corpo, nomi di animali ed altri settori (che riguardano soprattutto utensili e strumenti per la vita quotidiana). Ad esempio: - forma indoeuropea (ricostruita) *PəTER - MATER - italiano PADRE - MADRE - greco PATÉR- MÉTER - latino PATER - MATER - gotico FADAR - *KNEWA - inglese FATHER - MOTHER - antico indiano PITAR - antico irlandese ATHIR - tocario B PACER Derivano tutte da una stessa forma. Un lessico basico, fondamentale per qualsiasi lingua. L'indoeuropeo è un grande gruppo che al suo interno classifica molte famiglie. Gruppi: - celtico (parlato anticamente in un'area nord-occidentale dell'impero romano, poi latinizzata, l'attuale Francia ed Italia Nord). Oggi sopravvivono in Francia, in Bretagna e in Galles, Scozia e Irlanda. - germanico (tedesco, inglese, danese, islandese, neerlandese, norvegese ecc) - italico o osco-umbro (ovviamente nella fase preromana, nell'area appenninica) sopraffatto prima dal greco nel sud e poi dal latino - latino siculo, forse presente in Italia già dal II millennio a.C., esteso dall'Italia centrale alla Sicilia, nel quale è compreso il latino che continua nelle lingue romanze. Il latino faceva parte all'inizio di un gruppo latino siculo. - illirico, vivente oggi solo nell'albanese - greco, rappresentato dal greco e attestato già nel XVI-XV sec a.C. dalle tavolette nella cosiddetta "Lineare B". - baltico (lituano, lettone) documentate solo dal tardo medioevo - slavo, distiniti in un sottogruppo meridionale (bulgaro, serbo, croato e sloveno) e uno occidentale (polacco, ceco e slovacco) e uno orientale (ucraino e russo) - ittito (lingua insediata anticamente in Turchia documentata dal XX-XIII secolo a.C.). - armeno - indo-iranico, comprende due rami: iranico e indiano costituito da varietà antiche (sancito e vedico) e moderne (hindi, urdu, bengali, farsi ecc) - tocario, la più orientale delle lingue indoeuropee, parlata anticamente nella regione che oggi è il Turkestan cinese. Il latino assieme alle lingue italiche e celtiche è una parlata marginale dell'estremo occidentale indoeuropeo, è un'area laterale. Se infatti il contatto linguistico mette le lingue in interazione e reciproco influssi diventa anche un fattore che incide sulla variazione linguistica. I diversi tipi di variazione linguistica riguardano qualsiasi lingua storico-naturale. Variazioni: - diacronica: nel tempo - diatopica: relativa allo spazio - diafasica: relativa a stile (che ognuno sceglie per esprimersi) o registro - diastratica: relativa a condizione socioculturale - diamesica: parlato / scritto Quando si studia l'evoluzione dal latino alle lingue romanze, dobbiamo tenere presente che questo mutamento è la somma complessa di tutte queste variazioni. Il latino ha vissuto tutti questi tipi di variazione. Questi fattori operavano tutti insieme e si influenzavano reciprocamente, e nonostante l'esistenza di tanti fattori di variazione linguistica, il latino rimane un'entità salda e unitaria almeno fino al II - III - IV d.C. Forse i territori dell'impero si frammentano linguisticamente dal VI-VII d.C. La formazione delle lingue romanze dal latino è anche il racconto della catastrofe del crollo della civiltà romana. Un sistema di vita, una forma mentis, un modo di vivere e valori crolla e viene sostituito da qualcosa di completamente diverso. Il V secolo è un secolo drammatico e di svolta per l'evoluzione linguistica. Nel mondo antico ad esempio non esistevano i media, che sono degli strumenti di omogeneizzazione linguistica. Tendono non solo a ridurre la variazione linguistica ma propongono anche innovazioni linguistiche. Ciò non vale per epoche storiche dove l'unico fattore di omogeneizzazione linguistica era il sistema scolastico e l'unità politica. Fino a quando l'impero romano è un impero e dà un'identità a tanti territori diversi, il latino regge. Dopo ovviamente non regge. Nel III-IV secolo l'intercomprensione tra i parlanti dell'impero era garantita. Allo stesso tempo però esistevano caratteristiche che rendevano diverso il latino di queste persone. Il formarsi di lingue che derivano dal latino lo datiamo dal VI-VII d.C. ma dopo questa fase è verosimile che ormai i popoli parlino lingue derivanti dal latino ma profondamente diverse. Questa fase (VII-VIII) viene definita fasse sommersa delle lingue romanze perché non abbiamo documenti scritti. Variazione diamesica nel latino: legata alla trasmissione parlata o scritta. Nella scrittura la lingua tende ad essere più aderente ad una norma, maggior stabilità, precisione, formalizzazione e adesione alla norma grammaticale. Questo tipo di differenza tra scritto e parlato è particolarmente forte in latino. Nell'idea dei romani, di come dovesse essere usata la lingua, aveva un posto importante la retorica (insieme di norme, regole che dovrebbero regolare l'uso della lingua). La retorica era insegnata a scuola già dal mondo greco, e coloro che andavano a scuola nel mondo greco romano appendevano che la lingua dovesse usarsi sono in relazione ad un apparato normativo. Regole che devono organizzare il discorso sotto un profilo artistico. La lingua dev'essere scritta seguendo regole che innalzano e migliorano l'espressione. Ogni tipo di discorso è sostanzialmente regolato da prescrizioni che ne garantiscono l'espressione più efficacia. Ad esempio c'era la retorica giudiziaria. Questo tipo di retorica si usava non solo nello scritto ma anche nell'oralità (discorso pubblico che doveva fare risaltare la cultura e la bravura di chi lo faceva, nascevano come testi destinati all'oralità, ma andando a leggere quei testi l'autore fa riferimento ad un apparato di strumentazione espressiva che vale anche per l'oralità). L'uso della lingua orale, dunque, non sta solo ad indicare un linguaggio basico. In quella situazione la differenza tra scritto ed orale era molto forte, tant'è vero che siamo quasi sicuri che i latinofoni usavano nell'oralità non siano mai state messe per iscritto. Se confrontiamo le lingue romanze capiamo che c'è una forma latina, ma quella forma latina non è attestata > ciò vuol dire che quella forma era usata solo nell'oralità e per alcune ragioni non venivano scritte. Ad esempio: il verbo essere in tutte le lingue romanze viene da una forma ESSERE (uguale all'italiano) orale. Però noi nei testi scritti degli autori latini, le cui opere sono tramandate (i classici) non troviamo mai ESSERE come infinito del verbo essere, ma ESSE. Il verbo essere in latino ha un paradigma irregolare, l'infinito è ESSE. Questa forma ESSE non è stata tramandata nel parlato in nessuna lingua romanza. Tutte le forme romanze vengono da una forma ESSERE* (ricostruita dalla comparazione per quanto riguarda il latino orale) che non veniva messa per iscritto. Ad esempio: il concetto di bello nei latini classici "PULCHER". Nel latino parlato invece FORMŌSUS oppure BĚLLUS. Le aree centrali continuano le forme da BELLUS (francese beau, italiano bello) mentre le aree laterali proseguono la forma FORMŌSUS (spagnolo hermoso, Il portoghese formoso, e il rumeno frumos). Diatopica perché c'è il sistema delle aree centrali laterali e diamesica perché PULCHER nell'oralità si suppone non venisse usato. Altro esempio (sempre allo stesso tempo variazione diamesica e diatopica): nei classici 'mangiare': EDĚRE Nel parlato invece: COMEDERE (originariamente mangiare insieme) e MANDUCARE (in origine masticare dimenando le mascelle, usato spesso nel teatro) Nessuna lingua romanza continua EDERE, abbiamo in francese MANGER che deriva da COMEDERE. L'italiano deriva dal francese (nell'italiano antico invece MANICARE deriva da MANDUCARE). In spagnolo e portoghese comer deriva da COMEDERE. Una parola più lunga ha più chances di permanere, ecco perché EDERE non ha avuto successo. A noi interessa di più però il latino dell'oralità perché da questo derivano le lingue romanze, che sono la sua continuazione. Filologia romanza, 12 novembre Concetto di latino volgare: latino dell'oralità. Dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a questa varietà di latino, perché è da questa varietà che evolvono le lingue romanze. -DAL LATINO VOLGARE CHE PROVENGONO LE LINGUE ROMANZE. Queste lingue romanze sono la CONTINUAZIONE del latino VOLGARE. Questa espressione vuol dire più precisamente LATINO ORALE. L'espressione "latino volgare" non è l'espressione più precisa alla quale possiamo fare riferimento. È "latino orale" l'espressione più chiara. L'etichetta 'latino volgare' traduce l'espressione LATINA “SERMO VULGARIS” usata da Cicerone, per intendere il parlato spontaneo, la lingua usata nella quotidianità; contrapposto (nel testo ciceroniano) alla varietà del latino SCRITTO (varietà stabile, più alta, perché ha come punto di riferimento la grammatica e la retorica). Quindi con questa espressione latina intendiamo latino parlato da tutte le classi sociali, DA TUTTO IL POPOLO, “popolare” (vulgus vuol dire popolo). In questo senso il termine volgare infatti non ha alcuna accezione negativa. Il filologo romanzo va a scoprire quali possono essere le caratteristiche dell’oralità che si nascondono in questo latino (giunto a noi come lingua scritta)> scoprire quali sono i tratti dell'oralità che stanno in questa lingua che conosciamo come lingua scritta. In linea di massimo ci interessano molto le innovazioni, le forme scorrette, GLI ERRORI (perché è nell'errore che si nascondono abitudini nuove, non accettabile dal punto di vista grammaticale ma proprio in quanto errore rifletteva un aspetto del parlato). VOLGARISMI O ROMANISMI (fanno riferimento alle innovazioni romanze) che diventeranno TIPICHE delle lingue romanze (errori, forme scorrette.. ATTESTANO L’EMERGERE DEL CAMBIAMENTO LINGUISTICO). Abbiamo, come detto, alcuni testi letterari (Plauto, Petronio ecc) nei quali troviamo riflessi della lingua parlata, ma abbiamo anche TESTI NON LETTERARI (di tipo pratico), che ci danno informazioni su come poteva essere il latino parlato e poi esiste anche un'altra possibilità di entrare in questo mondo che era il latino parlato, ossia la comparazione tra le diverse lingue romanze> se noi confrontiamo le diverse lingue romanze, confrontiamo varie forme di queste lingue ne possiamo ricostruire ipoteticamente delle forme più antiche, che non troviamo messe per iscritto, ma che sono sicuramente esistite nel parlato. Il concetto di latino parlato è anche di tipo ricostruttivo: LO SI PUO’ RICOSTRUIRE IN VIA IPOTETICA, grazie alla COMPARAZIONE TRA LE DIVERSE LINGUE ROMANZE. Es: IL VERBO POTERE, in latino era POSSE (non era un infinito regolare perché le 4 terminazioni dell’infinito erano ARE, ĒRE, ĚRE, IRE). POSSE forma IRREGOLARE, destinata a morire e a diventare qualcosa di diverso (come quasi tutte le forme irregolari del latino). Ciò perché nella lingua agisce il principio DELL' ANALOGIA: il parlante tende a omologare LE FORME, cioè ad applicare una certa terminazione che gli è consueta anche alla forme irregolari perciò, questo posse è diventato nel parlato POTERE. I parlanti potevano scegliere la forma POTERE è la forma del latino parlato che si è generalizzata mentre POSSE si è persa > In nessuna lingua romanza infatti abbiamo un infinito che deriva da POSSE, ma tutti da POTERE (in italiano è uguale e ci attesta che sia esistito); in rumeno PUTERE, in francese POUVOIR, in spagnolo e portoghese PODER tutti vengono da POTERE* con asterisco perché è una forma ricostruita (cioè non abbiamo testi latini nei quali troviamo attestata la forma potere) Potere è UNA FORMA DI INFINITO ANALOGICO IN LATINO; perché ha preso la terminazione in Ere, tipica classe dell' infinito in ere del latino. Stessa cosa con infinito con ESSE (sum es fui esse) paradigma essere. ESSE soppiantato da ESSERE che è diventato dominante (italiano identico); in francese ÊTRE(con una dentale sorda T aggiunta) ; spagnolo e portoghese SER> ALTRA FORMA RICOSTRUITA DALLA COMPARAZIONE DELLE LINGUE ROMANZE. Questo ci fa capire che nel tesaurus lessicale (REPERTORIO DI PAROLE CHE FA PARTE DI UNA CERTA LINGUA) dell'italiano ci sono molte parole sostanzialmente identiche a quelle stesse parole del latino parlato. L’ARTICOLO, nelle lingue romanze SI> è un'innovazione panromanza. Il latino non l’ha mai avuto (come la lingua greca, prima di Omero). Se andiamo a studiare come sono utilizzati i DEITTICI in questo testo, cioè ILLE (quello) e IPSE (quello stesso), vediamo che sono utilizzati in una maniera molto vicina all’ARTICOLO, quasi come fossero articoli, cioè hanno perso il loro valore deittici. Infatti più che indicare servono alle funzioni che poi assume l’articolo, che sono diverse. L'articolo nelle lingue romanze si divide in indeterminativo e determinativo. L’articolo indeterminativo non indica una categoria precisa al contrario quello determinativo. Quest’ultimo deriva dal deittico. Altro Settore:opere dei grammatici e lessicografi/lessicologi che ci segnalano forme scorrette e vocaboli ignorati della lingua scritta. Questi sono ERRORI INDISPENSABILI perché ci fanno vedere tendenze del parlato (che i grammatici ci mostrano come "cose da non fare"). Vediamo trascrizione del testo: VIRGO (giusta) e non VYRGO (scorretta). Questo testo si chiama APPENDIX PROBI, ossia è sostanzialmente un’appendice/lista di parole;e mette accanto l'una all'altra, la forma corretta e quella scorretta. L’autore di questo testo è un ANONIMO, e questo testo si trova alla fine di una grammatica che è stata in passato attribuita a Probo, ma Probo non ha scritto anche questa appendice. Forse l'autore era un maestro di scuola che voleva segnalare ai proprio alunni gli errori che facevano a scuola. È un OPUSCOLO di tipo ortografico e prescrittivo. Una lista di prescrizioni ( si fa così, non si fa così) che dà forme sia corrette che sbagliate. Opuscolo che riguarda l’ortografia, ma sebbene riguardi l'ortografia, andando a studiare le forme correte e scorrette notiamo come queste grafie sbagliate svelano un modo di parlare. Vediamo : OCCASIO e non OCCANSIO (abbiamo info anche FONOLOGICA), UNA è nasalizzata e una NO. Occansio è un ipercorrettismo, un errore che veniva compiuto su quelli che erano incerti su quale fosse la pronuncia corretta e mettono la nasale dove non era richiesta. Questi parlanti reagiscono ad un altro problema, un'altra tendenza della lingua. Nel latino di quel periodo MESE ->MENSES (si mette la nasale dove non ci va, errore di ipercorrettismo di chi ha un dubbio). A fronte di una tendenza linguistica di eliminare nasale+sibilante si reagisce con un iper correttismo, mettendo la nasale dove non ci va. Oppure CALIGO e non CALLIGO, raddoppiamento della laterale; TEREBRA e non TELEBRA, la prima con due vibranti vicine, nell'altra la prima si trasforma in una laterale (fenomeno di dissimilazione nel parlato). EFFEMINATUS (debole) vs INFIMENATUS (forma del parlato). TABULA (giusto) non TABLA > tabla che ci fa pensare al francese. Qui la vocale atona intercorsonantica è particolarmente debole e tende a cadere. TESTO di 227 prescrizioni, indicazioni relative all’ortografia, dalle possiamo ricavare elementi che ci fanno capire come si parlava, RIFLETTE FENOMENI DEL LATINO PARLATO DEL V sec d.C. Un caso vicino a quello commentato è CALIDA non CALDA, caduta vocale atona tra due consonanti. VETULUS non VECLUS, che si diceva nel V secolo. Veclus è un diminutivo di vecchio. TUL dà luogo al gruppo CL. L'italiano vecchio deriva da Veclus, perché il suono palatale CC (palatale+jod) italiano deriva dal CL (velare+laterale). Il fenomeno che fa cadere la vocale atona è la sincope. Un altro fenomeno è la caduta della nasale sorda davanti alla sibilante (fenomeno antico). Un altro fenomeno è la caduta della nasale sonora M in posizione finale, fenomeno molto antico, già nei graffiti di Pompei. IDEM non IDE, MESE non MENSEM. Questo fenomeno provoca la perdita dell'accusativo, visto che la M finale indicava l'accusativo. Poi abbiamo la tendenza alla formazione di DIMINUTIVI (il diminutivo si desemantizza e vuole avere un altro obiettivo > parole corte tendono ad assottigliarsi e quella parola, se ne sente il bisogno, viene rafforzata con l'aggiunta di un suffisso), AURIS non ORICLA-> viene da AURICULA cioè AURIS più un suffisso diminutivo. Francese oreille e italiano orecchio viene da ORICLA e non da AURIS. Inoltre il dittongo AU latino tende a chiudersi in O, in alcune lingue romanze. Poi abbiamo CONFUSIONE VOCALICA, u al posto della o (columna non colomna). -ALTRO TIPO DI TESTI: GLOSSA o GLOSSARI. Glossa viene dal greco e vuol dire lingua, ma nel nostro caso Una glossa è o una parola o espressione molto breve che funziona come spiegazione di una parola. GLOSSE che spiegano parole incomprensibili (da non confondere le glosse relative al latino parlato con quelle delle LINGUE ROMANZE!, Perché ad esempio alcuni documenti più antichi in spagnolo sono glosse, si trovano in testi latini. Queste glosse sono un'altra cosa). Il PRIMO GLOSSARIO è quello di REICHENAU, fatto nella FRANCIA SETTENTRIONALE, alla fine dell’ ottavo secolo a.c. Spiega parole alla VULGATA ormai difficili da capire. FEGATO in latino era IECUR ma evidentemente nell’8 secolo, in questo territorio, nessuno più capiva questa parola ma tutti dicevano nel parlato FICATUS dal quale abbiamo le forme romanze (italiana, spagnola, francese) che è la variante bassa del lemma IECUR. VISCERA si diceva nel parlato INTRALIA. CLIVIUM (montagna) nel parlato MONTANIA. Altro glossario: GLOSSARIO DI KASSEL, libriccino per germanofoni: abbiamo parole del latino parlato e accanto parole germaniche, in particolare del bavarese. Ad esempio, "CASA" era DOMUS, ma nel latino parlato era CASA, e nel germanico era US. Oppure invece del lemma EQUUS, abbiamo CABALLUS, e il germanico ROS. Sono parole in questo caso glossate con parole germaniche, perché questo libro serviva per germanofoni che invece volevano parlare latino. -CITATIAMO ALTRE FONTI : ISCRIZIONI e GRAFFITI. Iscrizione spontanee o graffiti molto spesso nelle tombe. Iscrizioni hanno sempre una forma di formalità, ufficialità che devono avere un contenuto che deve informare di qualcosa, riflettono l’oralità in maniera più mediata, rispetto ai graffiti. Vediamo dei reperti archeologici: i calchi DELLE DEFIXIONUM TABELLE > calchi fatti per poter recuperare la scrittura. Sono laminette di metallo che le persone del popolo utilizzavano per scrivere dei messaggi. In genere in queste tabelle scrivevano delle maledizioni, quindi in genere c'era l'invocazione della divinità e attorno ad essa era scritta la maledizione, per lanciarla contro qualcuno. Queste scritte contengono molti errori perché gli autori sono semicolti o incolti che sapevano a malapena scrivere, e scrivono riflettendo il parlato. Tabelle di maledizione, per noi preziose perché rispecchiano il PARLATO SPONTANEO, e quindi la lingua dell'oralità. Un altro corpus importante sono lettere di persone non di grande cultura (come i soldati, che stavano molto tempo lontano dalle famiglie) che scrivevano ai familiari. Erano i soldati stessi che scrivevano o dettavano le proprie lettere. Per quanto riguarda le fonti del latino parlato, queste appena esposte sono le più importanti (APPENDIX, PEREGRINATIO sono le + impo). Grazie a queste fonti vediamo il latino dell’oralità, grazie allo studio delle scorrettezze. (questo è il punto da RICORDARE, non tutte le date etc). Vediamo tendenze evolutive che si trasformano in innovazioni. Il latino orale si presenta con alcune tendenze evolutive. La prima innovazione e una delle più importanti è quella della FLESSIONE NOMINALE, la flessione del NOME che cambia profondamento dal latino alle lingue romanze. Vediamo gli aspetti che cambiano nel passaggio dal latino alle lingue romanze, però lo vediamo la prossima volta. 13/11: letteratura spagnola Mester de Clerecìa: è una scuola poetica o un genere letterario. Le due cose non coincidono. È difficile far coincidere le due dualità di definizioni. Questo genere va sotto il nome di MESTER DE CLERECìA. La nascita di quest’ultimo è fortemente vincolata alla rinascita culturale del 13° secolo in spagna. Nel resto di Europa di parla di rinascita culturale già a partire dal 12° secolo. Con questa espressione si intende (in Spagna a partire dal 13°) la fioritura, una nuova fioritura della cultura e quindi il risveglio delle arti e delle lettere- un primo rinascimento dopo quelli che sono considerati i secoli bui dell’alto medioevo. Cosa determina in Spagna questo risveglio culturale? Sostanzialmente una stasi della riconquista. Dopo le infinite guerre di frontiera tra i popoli cristiani e Al Andalus, arriviamo intorno al 1200 con un’organizzazione territoriale che vede una Spagna centro settentrionale ormai articolata in una serie di regni (Portogallo, Leon, Castiglia, Navarra e Aragona). La riconquista cristiana si è spinta molto oltre la linea di confine che segnava la metà del territorio e comincia ad acquisire posizioni anche a Sud, favoriti dallo smembramento del califfato andaluso in una serie di piccoli staterelli che in quanto frazioni sono molto meno forti di prima. La rinascita culturale si fa coincidere con la battaglia de las navas de Tolosa, fragorosa sconfitta che gli eserciti cristiani segnano contro gli arabi. In realtà qui dobbiamo parlare degli ALMOADI nuova ondata di invasione degli arabi verso il sud della Spagna. In questa battaglia tutti i regni cristiani del Nord insieme al Portogallo, ma anche l’Europa spinta dal papa Innocenzo 3 che riconosce a questa guerra la qualità di crociata cristiana, i cristiani riescono a penetrare nel cuore dell’Andalusia e da questo momento in poi gli almoidi vivono un progressivo declino tanto che a partire dal 1236 cade Cordoba, nel 1243 viene conquistata Murzia dai cristiani. Dopo solo 3 anni Jaen e nel 1248 Siviglia. Arriviamo quindi nella seconda metà del 13° secolo che sostanzialmente la Castiglia de juso che si trova in basso). Sono nativo/nato di Berceo dove è nato anche santo emiliano”. Sappiamo quindi che fu educato in questo monastero. Forse era un chierico, forse no. Seppure data la particolarità della sua produzione, sulla sua formazione si è molto discusso. Cosa fa Gonzalo nelle sue opere? Tutte le opere portano nomi di santi e monasteri. Lui celebra la vita e parla di santi locali facendo un’opera di proselitismo. Il monastero di san Millan come gli altri, diventano le tappe del cammino di Santiago. Queste narrazioni forse erano destinate non solo al popolo locale ma anche ai pellegrini. Berceo lavora sempre con un codice latino, traduce da codici latini: “arrivò lì un ceco, da quale parte arrivava il pergamino, il codice non chiarisce molto bene perché è scritto male e in un latino difficile, non sono riuscito a capirlo, per san martino!”. Questo è molto importante perché è chiaro che questi letterati hanno una forte consapevolezza dell’importanza delle fonti e lavorano con le fonti come fanno oggi i filologi. La stessa cosa avviene in un’altra quartina di Vida de San Domingo de Silos nella quale dice “non so come è andata a finire perché nel codice a cui lavoravo non si dice”: “come finì la storia non ve lo dico, perché si è perso un quaderno ma non per colpa mia e scriverlo a caso sarebbe una sciocchezza”. L’opera di Berceo è un’opera a carattere devoto. quella che noi leggeremo è la sua opera più famosa “I milagros de nuestra senora”, che parlano della vergine Maria. Anche in questo caso i miracoli che lui ci narrerà sono 25 miracoli. 25 racconti che lui traduce da un codice latino “miracula beate mariae virginis”. In questo codice latino che ne contiene 49, su questi 49 berceo ne sceglie 24. Un 25° molto interessante perché ambientato nella stessa epoca e geografia di berceo, non è presente nel codice latino e potremmo supporre che si originale (“el milagro de la iglesia robada”). La tradizione mariana è una tradizione antichissima e che nei pellegrinaggi lungo questi cammini che rappresentavano i cammini devozionali di epoca medievale, questi codici attraverso questi cammini si diffondono molto. In spagna la devozione mariana ha un culto molto più importante rispetto al resto di Europa. Le origini del culto mariano in Spagna sembra che stiano dall’essersi incrociate in area spagnola una serie di tradizioni che sono poi tutte coinvolgiate nell’esaltazione della figura di Maria. Questi sono la liturgia mozarabe, nelle quali la vergine svolgeva una funzione molto importante. A queste liturgei si sommano i sermoni di berando di chiaravalle e poi anche la letteratura cortese. Non vi è dubbio che la figura di maria sia estremamente umanizzata in questi sermoni perché serve per avvicinare il popolino. Maria quindi diventa mediatrice nei suoi caratteri principali di donna, madre e moglie. Nel primo miracolo si ha l’idea di come maria sia disegnata da berceo come una giunone infuriata perché colpita da gelosia”. Filologia romanza, 19 novembre Lezione divisa in due parti: - 1) innovazioni di lingue romanze nel passaggio da latino a lingue romanze (morfologia e ordine delle parole nella frase) e l'articolo - 2) parte più focalizzata su aspetti sociolinguistici e culturali, inerenti alla perdita dell'unità latinofona e alla formazione delle lingue romanze. Abbiamo già parlato dell'innovazione che riguarda la flessione nominale (nel manuale c'è anche la flessione verbale > da fare bene). I sostantivi in latino sono gestiti dalla competenza del parlante grazie all'esistenza di tre generi: neutro, maschile e femminile. E anche grazie a 5 declinazioni che organizzano le uscite, le desinenze dei nomi in relazione a sei casi (nominativo, genitivo, vocativo, accusativo, ablativo e dativo). Sono diventati sei nel latino preclassico (nelle più antiche attestazioni latine ne abbiamo 8, perché i casi sono un'eredità dell'indoeuropeo e mano a mano che si va avanti questo sistema di impoverisce, tanto che nelle lingue romanze i casi o si perdono o vengono semplificati ancora). Ma cosa sono questi casi e a che servono? Se non sappiamo a che servono infatti non sappiamo chi e come li rimpiazza. I casi sono le forme che assume il nome/ aggettivo/ participio (tutte le parti declinabili) per esprimere una funzione sintattica, dentro lingue che proprio perché hanno i casi si definiscono flessive e agglutinanti. I casi indicano la funzione di quella parola nella frase (se quella parola è soggetto, complemento di vario genere ecc). Le lingue romanze, ad eccezione del rumeno, hanno perso l'uso dei casi. In ciò si differenziano non solo dal latino ma anche da lingue europee più conservatrici come il russo (6 casi) o tedesco (4 casi, solo negli articoli e negli aggettivi attributivi). L'uso dei casi permette una grande flessibilità nella costruzione della frase, perché per definire la funzione grammaticale delle parole non è importante l'ordine delle parole stesse. Si ha maggior libertà nel posizionare le parole nella frase. Se una lingua ha i casi, la parola può essere messa dove ci pare, e capiamo lo stesso la sua funzione logica nella frase perché è la desinenza del caso a farcelo capire. Se invece i casi non ci sono più si ha bisogno di altri elementi per favorire l'intercomprensione; questi elementi o sono nuovi o sono l'ordine delle parole. Nel latino classico si poteva mettere il verbo a fine frase, era possibile separare le preposizioni dai complementi e i sostantivi dagli attributi. "ET NOBIS IDEM ALCIMEDON DUO POCULA FECIT/ ET MOLLI CIRCUM EST ANSAS AMPLEXUS ACANTHO" Qui notiamo soggetto + oggetto + verbo, mentre nelle lingue romanze spesso è SVO (italiano ad esempio). Qui addirittura si anticipa l'ausiliare e il participio passato a lui collegato viene dopo alcune parole. Distanza tra ACANTHO e aggettivo MOLLI. Le lingue romanze non possono godere di questa libertà posizionale proprio perché non hanno i casi. Sei casi e cinque declinazioni. Queste declinazioni si perdono : tutto il sistema si semplifica. 1° DECLINAZIONE: conteneva nomi maschili e soprattutto femminili. Uscivano in A al nominativo e in E al genitivo (ROSA-ROSAE) 2° DECLINAZIONE: conteneva nomi soprattutto maschili e femminili. I nomi di pianti ne fanno parte. Aveva un'uscita in US al nominativo singolare e I al genitivo singolare (LUPUS-LUPI). In questa declinazione aveva anche i neutri in UM al nominativo e in I al genitivo (REGNUM-REGNI) Un'altra classe di nomi usciva in -ER al nominativo e al genitivo in I (LIBER-LIBRI). 3° DECLINAZIONE: nomi che potevano essere maschili, femminili e neutri. Quale che fosse la terminazione del nominativo, il genitivo era sempre in IS. (DOLOR-DOLORIS, AMOR-AMORIS) 4° DECLINAZIONE: con nomi maschili e femminili. Avevano stessa terminazione in US per nominativo e genitivo, mentre i nomi neutri uscivano in -U e al genitivo in -US. 5° DECLINAZIONE: nomi maggiormente femminili con un nominativo in ES e un genitivo in EI. Queste declinazioni erano più o meno popolate. In questa cambiamento che sconvolge la flessione nominale notiamo l'analogia. Quando nella lingua i parlanti producono dei cambiamenti, questi cambiamenti agiscono sulla base di una tendenza analogica, una tendenza che rende più simili le strutture. Questo perché in generale il nostro modo di produrre la lingua segue la legge del minimo sforzo: ottenere il massimo della possibilità espressiva della lingua col minimo sforzo. Quindi per sforzarsi di meno i parlanti tendono a cambiare la lingua cercando di produrre delle classi analogiche, che rispondono agli stessi principi. Ad esempio: se queste declinazioni si riducono, quelle che condizionano maggiormente il sistema sono quelle costituite dai nomi che hanno le desinenze più frequenti e diffuse. La quarta e la quinta declinazione, che aveva pochi nomi, sono assorbite rispettivamente dalla seconda (che aveva nomi maschili > FRUCTUS- FRUCTUS (4°) > FRUCTUS - FRUCTI) e dalla prima (che aveva nomi femminili > FACIES-FACIEI => FACIA- FACIAE) Questo passaggio di chiama metaplasmo di declinazione: passaggi da una declinazione all'altra. Da questo sistema a 5, quindi, si passa a un sistema semplificato a tre e ora si parla di categorie nominali, non più di declinazioni. Queste tre categorie sono alla base di tutte le lingue romanze. Quindi: - una grande categoria di nomi maschili ha la U alla fine > LUPU - femminili in A (con un piccolo gruppo di maschili in A) - maschili e femminili in E (CANE, VOLPE) Allo stesso tempo abbiamo anche una riduzione dei generi, da tre a due: eliminato il neutro. In linea di massima nel passaggio alle lingue romanze, tranne in rumeno, le parole appartenenti al neutro sono ricodificate come maschili (metaplasmo di genere) questo perché gran parte dei neutri aveva terminazioni più vicini al maschile che al femminile, quasi si confondevano. > DONUM > dono, don (FR), don (SP) Alcuni neutri plurali però sono interpretati come plurali collettivi e ricodificati come femminili e come singolari > FOLIA > foglia, feuille (FR), hoja (SP). Quasi tutti i nomi delle piante in latino erano femminili, anche se uscivano in US, e in US diventano maschili: • PINUS > le pins, il pino, el pino • ARBOR > l'arbre, l'albero, El árbol L'ARTICOLO Un'altra importante innovazione delle lingue romanze, che le distingue dal latino, è la presenza dell'articolo. Il latino non ce l'aveva (il greco sì, che lo sviluppa dopo Omero, sviluppando maschile, femminile e neutro, declinati nei vari casi). Le lingue romanze li hanno sviluppati a un certo punto. Articolo indeterminativo: in realtà non indica una classe precisa di elementi perché è appunto indeterminato. Nelle lingue romanze deriva dall'aggettivo numerale del latino parlato "unus", che aveva talvolta un valore assimilabile all'articolo indeterminativo italiano. Articolo determinativo: nel latino tardo laghetto dimostrativo (o deittico) ille/illa/illud ebbe in alcuni casi, un valore simile al nostro articolo determinativo. Determinativo > che indica una precisa classe di oggetti, qualcosa di specifico. L'articolo si è sviluppato probabilmente nelle lingue romanze e germaniche tra VIII e X secolo. La formazione dell'articolo è avvenuta gradualmente. Nella gran parte delle lingue romanze deriva dal dimostrativo latino ILLE. Il sardo, parte del catalano,e anticamente altri dialetti della Romània hanno continuato non ille ma IPSE, che ha più o meno la stessa funzione di indicare una funzione precisa. Più complesse sono le innovazioni che riguardano i verbi. Innovazioni più importanti da studiare: ciò che accade nel passaggio tra latino e lingue romanze per ciò che riguarda il futuro e condizionale ; la formazione del passivo nelle lingue romanze (che è diverso da come si forma il passivo in latino, poiché ha forme sintetiche e non analitiche) ; vedere se ci sono tempi, modi nuovi nelle lingue romanze rispetto al latino. 21/11: Filologia romanza Un cambiamento linguistico di dimensioni così straordinarie come quello che riguarda il passaggio dal latino alle lingue romanze, si può comprendere solo a partire da dinamiche sociolinguistiche e socioculturali perché le lingue sono meccanismi non solo naturali linguistici ma anche storici. Per affrontare questo tema specifico si parte dal riassumere brevemente delle coordinate di tipo cronologico: possiamo affermare che i secoli nei quali questo passaggio dal latino alle lingue romanze acquisisce un ritmo più rapido sono 5°-8° secolo d .C, 3 secoli nei quali si produce una crisi di dimensioni straordinarie che segna la fine di una civiltà: quella di Roma, diffusa in un territorio molto vasto. Questo ha una ricaduta importante sulle vicende linguistiche. Quale è l’evento più importante ed essenziale per potere interpretare questa crisi? Le invasioni barbariche, un movimento storico che porta alla perdita di alcuni tratti importanti che caratterizzavano la civiltà romana. Quali sono gli elementi storici che si perdono con queste invasioni? Si perde l’unità territoriale e politica dell’Impero Romano. A una perdita di unità linguistica corrisponde una perdita di unità politica e territoriale; non esiste più un’organizzazione amministrativa efficiente e unitaria che portava ad un’unità delle norme e della legge di Roma. Si regionalizza il diritto: non esiste più la legge di Roma e nemmeno la cittadinanza romana. La cittadinanza romana era una cittadinanza he non badava alla provenienza etnica ma che riuniva tutti coloro che abitavano a Roma. Questo concetto garantisce a Roma una visione interetnica e interraziale. Il venir meno di questi aspetti ha una ricaduta molto importante su quella che è la storia della lingua latina. “invasioni barbariche” è un’etichetta usata negli studi storici. Questa implica un pensiero. Soprattutto nel corso degli anni ’80-’90 del 20° secolo, una corrente storiografica ha riletto le invasioni barbariche. Gli storici utilizzano quindi piuttosto il termine migrazioni, etichetta più benevola ed oggettiva. BARBARI era il nome che i romani davano a tutti i popoli che vivevano all’infuori del confine dell’impero romano. Così era anche per i greci, che chiamavano barbari tuti coloro che vivevano all’infuori dei confini della Grecia, zona dove si parla il greco. Quindi la lingua assume un’importanza fondamentale. Barbaro è un grecismo e l’origine di questa parola è un’onomatopea. La parola viene da questo balbettare di qualcuno che da il punto di vista di un’altra persona non sa parlare BA-BA. Non sono quindi simili a loro non parlando il greco. Per i romani vale lo stesso concetto e rimane importante la connotazione identitaria affidata alla lingua. Il confine dell’impero romano è sempre stato una linea che si muoveva, di norma accadeva che questo ampliamento dei confini fosse condotto si attraverso guerre ma molto spesso accanto alle guerre i romani stabilivano contatti di tipo economico e sociale. Inglobavano quindi delle popolazioni che assumevano il titolo di popoli federati, normati tramite dei patti. Nel corso dei secoli fino a quando Roma ha avuto il potere di sostenere il proprio esercito- quando non ce la fa più, comincia a prevalere la forza di queste popolazioni nomadi, che vengono sostanzialmente dalle pianure dell’Europa centrale alcune da pianure ancora più orientali. Queste popolazioni cercano pascoli perché praticano la pastorizia e quindi si spostano in genere mandando avanti delle avanguardie di cavalieri che combattono. Questi popoli hanno nomi diversi e origini diverse, hanno lingue diverse. Alcuni popoli parlano lingue germaniche. I popoli parlanti lingue slave in realtà rimangono più attestati a oriente, ma queste invasioni penetrano molto profondamente nell’impero. I Visigoti, popolazione di origine germanica che veniva dalle pianure dell’Europa centrale, attraversano tutta l’Europa centrale, tutta la penisola iberica e valicando lo stretto di Gibilterra, vanno anche in Africa dove combattono i romani. a un certo punto diventano tanto potenti da creare un regno in Spagna che anche nel 7° secolo durava. I franchi erano suddivisi in diversi gruppi e tutti parlanti diverse lingue germaniche. Erano stanziati a oriente del fiume Reno per poi spostarsi a occidente, stanziandosi in quei territori oggi denominati FRANCIA quindi al nord della Loira. I franchi non scendono più a sud della Loira, on a caso abbiamo un confine linguistico diverso che passa lungo la Loira. A sud della Francia si parla l’occitano per esempio. 376 dopo Cristo -> i Goti entrano in massa entro i confini dell’impero e si spostano a loro volta perché incalzati da altre popolazioni nomadi che venivano da Oriente in cerca di altri territori da sfruttare. I Goti quindi spinti dagli unni, vano entro i confini dell’impero e questo e uno dei primi momenti che denunciano la fragilità dell’impero. Due anni dopo l’imperatore Valente cerca di organizzare una resistenza armata e si scontra (378) contro i visigoti ad Adrianopoli, città dell’Europa orientale. I romani perdono la battaglia e questo è il momento che segna la china discendente. Nel 395 muore Teodosio e a quel punto viene stabilita una divisione dell’impero: IMPERO ROMANI D’ORIENTE (Grecia, Turchia, parte dei Balcani); L’impero romani d’oriente diviene quella entità territoriale identificata dal greco come lingua e poi con l’idea di Roma. Viene scelta ed edificata una capitale, Bisanzio. Perché viene scisso il territorio dell’impero? Per tentare di fare fronte in qualche modo alla situazione storica. L’impero bizantino, che raccoglie l’eredità dell’idea di Roma, è delle due parti dell’impero quello che permane nei secoli, fino al ‘500 quando soccombe sotto un nuovo nemico che saranno i turchi di religione musulmana. L’impero bizantino poi si proporrà come difensore della cristianità contro le invasioni turche. A occidente la situazione è diversa: l’impero di occidente si frantuma e queste popolazioni barbariche riescono a costituire delle entità di piccoli stati creando un sistema di tanti stati non molto estesi denominati dalla storiografia come regni romano barbarici. Perché? Perché i regni rappresentano una sintesi tra elemento barbarico (costituito dai conquistatori che sono il più delle volte meno dei conquistati ma che riescono ad avere un potere soprattutto militare che fa sì che questi conquistatori rappresentino il livello più alto della società dell’epoca) e romano (costituito dagli autoctoni invasi e conquistati). Questa situazione si traduce in un bilinguismo. Perché? Perché queste classi dirigenti, militari, assumono il potere in questi regni. Queste élite dirigenti normalmente parlano lingue germaniche accanto al latino che apprendono e più spesso imparano la lingua del popolo conquistato. Queste masse analfabete conquistate parlano una lingua materna che deriva dal latino e che sta diventando una lingua romanza. Questo tipo di plurilinguismo e bilinguismo è importante perché ha anche una connotazione di tipo sociologico. Perché se le lingue di questi popoli sono per lo più germaniche non assistiamo a una germanizzazione delle lingue locali? Perché numericamente questi invasori erano in minoranza. Non a caso però la lingua francese è la lingua romanza ad avere uno dei più alti tassi di parole provenienti dal lessico germanico. Non a caso tutta la terminologia della guerra proviene dalle lingue germanici, perché i ceti dominanti erano i signori della guerra. La parte occidentale dell’impero di scinde in tante unità territoriali minori. Altro evento molto importante è il fatto che un imperatore (Onorio) nel 402 d. C, sposta la capitale dell’impero di Occidente da Roma a Ravenna perché all’imperatore Onorio e ai suoi fidati governatori interessava lo sbocco sul mare adriatico e quindi una città che fosse sul mare in quanto asse di contatto tra Oriente e Occidente. Questo comporta un’inevitabile decadenza della città di Roma, sguarnita dell’esercito, dell’apparato burocratico e anche colpita da forte un crollo demografico. Questa città rimane anche esposta alle invasioni dei barbari che avevano tra i loro obbiettivi di gloria maggiore la presa di Roma. 406/415: si hanno una serie di incursioni barbariche violente entro i confini dell’impero, soprattutto nelle Gallie, in Spagna e in Italia. La situazione diventa tanto complessa da gestire che i romani abbandonano la Britannia definitivamente (407). Nel 410 a conferma del processo di decadenza prima menzionato, i visigoti mettono a sacco Roma guidati da Alarico. Percorrono poi tutta l’Italia meridionale, arrivando poi fino in CALABRIA DOVE SAREBBE apparentemente scomparso. Il sacco di Roma è un fatto storio che generò grande impressione nei popoli dell’epoca che non ritenevano possibile che una città di così grande potenza potesse venire sbaragliata da un popolo di barbari proveniente da Oriente. 476: caduta dell’impero romano. Ci si arriva attraverso una serie di eventi concatenati che disgregano l’impero. Le conseguenze sono uno stato di guerra semipermanente, soprattutto l’Italia quindi non vedrà più un periodo di pace duraturo. Questo perché da una parte ci sono queste invasioni e la costituzione dei regni romano barbarici, e dall’altra parte i bizantini cercano di riprendere Roma causando delle guerre sanguinarie. Altra conseguenza è un notevole crollo demografico e un forte abbassamento della natalità in seguito all’abbassamento della condizione di vita. Tutto questo sfocia in una crisi economica messa a rischio anche dalla poca sicurezza delle vie di comunicazione. Le attività economiche non hanno più ragion d’essere. Ne consegue un impoverimento generale la decadenza dei centri urbani che cessano di essere dei centri propulsivi culturalmente ed economicamente. Abbiamo una perdita generalizzata di vivibilità e cultura. Tutto questo accade nell’arco di 150 anni. Le città decadono, le vie di comunicazione sono poco sicure, l’economia viene meno. Uno dei processi più culturalmente densi di conseguenze è la ruralizzazione della vita sociale. Durante i secoli 1,2,3° dell’impero romano molte città avevano avuto una vita florida attraendo dalle campagne molto persone. Si assiste quindi a una migrazione dalle campagne alle città che comporta un’acculturazione dei migranti. Quando accade il contrario so produce una semplificazione delle necessità economiche. La terra fornisce quanto basta alla sussistenza e quindi si tratta di un’economia semplicissima che può arrivare a risolversi in una situazione di semplice baratto. Il ritorno in massa alla terra è un segno di impoverimento e segna un ulteriore impoverimento perché si torna ad un’economia basica. Si produce poi un crollo delle relazioni umane, perché in un contesto cittadino ampio si incontrano le diversità ma in un contesto ristretto i meccanismi di identificazione identitari posso essere più ristretti. Si ha poi una perdita di cultura perché vivere in città richiede agli abitanti un livello di cultura più alto e una cultura più articolata, cosa che non è richiesta a chi vive in un contesto di campagna. Questa ruralizzazione della vita sociale quando comporta lo spostamento di milioni di persone significa un cambiamento enorme dal punto di vista culturale. Sotto questo profilo altro Alcuni autori si rendono conto di queste differenze: Cicerone, Quintiliano collegano il latino parlato a Roma al concetto di Urbanitas che si differenzia dalla rusticitas o dalla rustica Vox dei provinciali. Ciononostante, l'esistenza di questa divaricazione non mette in crisi l'unità linguistica. Quando invece entra in crisi questo sistema? Diglossia: si ha quando, di una stessa lingua, i parlanti possono scegliere un livello più alto (formale, lingua alta) e più basso (informale, lingua bassa). Questa diglossia esiste anche in latino: livelli aulico (rispettoso della grammatica, complesso, anche nel parlato) e un livello più basso, più o meno legato al rispetto della norma grammaticale, che può subire in modo maggiore o minore l'influenza della grammatica. Fino a quando le masse vanno a scuola, per quanto esistano diversi livelli, non si arriva al bilinguismo. È la scuola che garantisce questa unità culturale. Nel momento in cui la scuola non esiste più il parlato comincia a farsi più autonomo, allontanandosi dallo scritto e dal parlato colto. Nel libro di Varvaro: concetto di latino sommerso e substandard. Dobbiamo immaginare uno standard linguistico: un latino parlato, medio, da tutti quelli che non erano analfabeti ma avevano avuto una formazione scolastica. Esisteva una classe media in tutti i territori imperiali. Costoro, di cultura media, medio-alta, adottavano uno standard linguistico, ossia una varietà media alla quale anche gli analfabeti potessero uniformarsi. Per spiegare la frammentazione linguistica e alcuni fenomeni di evoluzione di alcune lingue romanze dobbiamo anche postulare l'esistenza di un latino substandard, un livello inferiore rispetto allo standard. Un livello parlato dove non arrivava l'influenza della norma grammaticale, più aperto all'evoluzione pura del parlato: un livello di una grande massa, degli incolti (o che a scuola non erano mai andati, o talmente poco che quei pochi rudimenti li avevano dimenticati). Varvaro, sulla scia di altri studiosi, ci parla anche di latino sommerso. Sommerso perché dal momento che i parlanti di questo latino sono incolti, analfabeti (non sanno scriverlo) non può essere emerso secondo la nostra conoscenza (perché noi conosciamo solo ciò che è emerso> ciò che è finito per iscritto). In quella massa di parlanti, non conoscendo grammatica né potendo leggere, si parla una lingua sempre più aperta a un cambiamento (sempre più rapido). Quando spieghiamo questo fenomeno dobbiamo ricordarci di questi due fattori: da un lato la divaricazione tra scritto e parlato e poi la contrazione dell'uso scritto. Come questa crisi economico-sociale e culturale, porta alla fine di una civiltà. In questa dinamica il cristianesimo ha un ruolo fondamentale. Affermazione del Cristianesimo: - epoca delle persecuzioni: 64 d.C. Nerone e 303-305 d.C. Diocleziano All'inizio è una religione perseguitata, non tanto per contenuti teologici ( il sistema romano infatti prevedeva l'esistenza di vari culti diversi), ma ciò che non andava bene era non rispettare il culto dell'imperatore. A un certo punto si produce un mutamento repentino tanto che: - fine delle persecuzioni - Cristianesimo religione dell'impero: 313 d.C. Editto di Milano (Costantino) e 380 d.C. Editto di Tessalonica (Teodosio). Costantino si converte e il cristianesimo diverrà in breve tempo la religione ufficiale dell'impero. La gerarchia cattolica si collega strettamente al potere imperiale e alla gestione del potere. Proprio in questa fase si creano i presupposti per l'affermazione del potere temporale del papa. Effetti del cristianesimo sulla situazione linguistica: - sul lessico - sul modo di considerare la lingua e l'accessibilità di tutti, anche degli incolti, alla lingua della Chiesa > il cristianesimo deve portare a sé masse ingenti di persone, che sono incolte. Le classi più alte infatti rimarranno a lungo pagane. Il Cristianesimo si diffonde soprattutto verso le classi popolari, gli umili e dunque, dovendo fare proselitismo, i ministri della chiesa si devono rivolgere adottando un linguaggio di basso livello. Un latino parlato che non dà alcuna importanza a una piena competenza linguistica. Una competenza linguistica che declini i registri più complessi della lingua. - ideale del sermo humilis (nuova estetica cristiana) > quest'idea sdogana l'idea di lingua corretta. L'importante è fare passare il messaggio, non è importante la purezza della lingua - il cristianesimo e la scuola (e la cultura pagana)- da Girolamo a Sant'Agostino Il Cristianesimo inaugura un modo di comunicare molto diverso. Si adottano certi usi linguistici per manipolare, per portare a sé > il clero che voleva diffondere la propria religione. Fattori importanti di cambiamento: origini popolari della nuova religione. - apertura alle masse - il clero cristiano, per diffondere il messaggio del Vangelo presso le masse incolte, è costretto ad adottare nuovi modi di comunicazione. Questo grande successo però non deriva solo da questo, ma anche perché il cristianesimo dava risposte su questioni universali. Per avere successo, una religione deve dare risposte. A livello di valori della società romana tutto ciò significa una rinuncia alle tradizioni della scuola, una rinuncia alla cultura alta (che comincia ad essere sempre più difficile, elitaria e dunque in qualche modo poco utile). La chiesa, inevitabilmente, adotta politiche volte alla.promozione delle lingue volgari. Una volta che la chiesa si accorge che le masse non parlano più latino, ma lingue diverse, promuove le lingue romanze, sebbene al contempo, mantiene il latino per determinati usi. Continua a gestire ed avere la gestione del latino, perché non tutti gli usi linguistici della chiesa possono essere assolti dalle lingue romanze. La predica ad esempio, in volgare, o la paraliturgia (per farsi capire e coinvolgere il popolo), ma la liturgia rimane in lingua latina fino agli anni '60 del 1900 > formule speciali dove si esprime il dogma cristiano. Solo il celebrante deve essere in grado di pronunciarle, capirle. Sarà Paolo VI, col concilio Vaticano II, a stabilire che la messa non doveva più celebrarsi in latino in gran parte del tempo, ma in volgare (nelle lingue dei popoli cristiani). Diglossia nel VI-VII secolo: anche qui troviamo questa situazione. Compresenza nello stesso territorio linguistico, di due sistemi linguistici gerarchicamente ordinati, ossia uno serve per i livelli superiori della comunicazione (quelli formali, politici ecc) e un altro che serve ai livelli più bassi, soprattutto informali e familiari. Comincia a crearsi una situazione diversa da quella della diglossia di due secoli prima. Il livello più basso infatti non è più latino parlato, ma lingua romanza, che è la lingua che evolve dal cambiamento del latino parlato. In questa nuova situazione il livello alto è sempre il latino, perché i colti, nelle situazioni formali lo usano. Il latino rimane come lingua di cultura, con tanti usi sociali, ma fino al 1700. In questo sistema possono esserci parlanti che posseggono entrambi i livelli (che in famiglia parlano lingua romanza e in altri contesti usano il latino), o altri che dominano solo il livello più basso (maggioranza dei casi). Un altro fattore importante sull'evoluzione dal latino alle lingue romanze è l'incidenza del superstrato (altre lingue che si andranno a trovare in contatto con ex territori dell'impero) e nella maggior parte dei casi sono superstrato germanico. Franchi in Gallia, Longobardi in Italia (dal 568 d.C.), Visigoti in Spagna. Questa è una fase di bilinguismo romano-germanico. Le lingue dei popoli germanici si sono sovrapposte al latino che si stava già trasformando nelle lingue romanze, ma senza mai soppiantarlo > rapporto di superstrato. Ciò accade perché le lingue germaniche erano parlate solo da una minoranza (non sono mai la maggioranza nei territori dell'ex impero) e per la mancanza di una tradizione culturale consolidata e di un uso corrente della scrittura. Inoltre perché c'era una separazione tra germani e romani e per l'azione della chiesa (che promuove sempre la lingua romanza, materna del popolo, non quella germanica di questi gruppi sentiti come invasori). Difficilmente si raggiunge un osmosi tra dominati e dominatori. Ciononostante le lingue romanze vengono condizionate. Il lessico è il settore che ci aiuta di più a capire questo condizionamento. 3/12: Filologia romanza A questa fase sommersa delle lingue romanze è una fase che si data al 6 7 secolo d c nella quale i popoli ormai in massa non parlavano più latino ma non abbiamo ancora attestazioni scritte. Le lingue romanze erano solo parlate. Se qualcuno doveva scrivere si rivolgeva al latino. abbiamo una testimonianza abbastanza importante del fatto che alcuni nella società prendono coscienza di questa trasformazione linguistica e questa testimonianza è la 17° deliberazione del concilio di Pour. Tour è una città nella Francia situata nel Patà regione centrale della francia intorno al bacino della Loira, regione abbastanza ampia che arrivava al confine linguistico di quello che all’epoca era il nascente francese. Confine linguistico che a ovest vedeva i territori francofoni e a est i territori germanofoni. Nel 813 d.C si riunisce a Tour un concilio di vescovi. Interessante è la 17° deliberazione che ha come oggetto una prescrizione di grande validità linguistica- testimonianza della politica linguistica portata avanti dalla chiesa. Siamo pochi decenni prima della data del più antico documento scritto in lingua romanza. Le lingue romanze cominciano ad avere una rilevanza tale che ereditano una porzione dell’impero: una porzione orientale, centrale e una parte occidentale. Tutti questi territori racchiudono un plurilinguismo perché abbiamo più verso oriente delle parlate tedesche (lingua tiotisca). Anche questi territori germanofoni parlavano varie varietà di tedesco. C’è poi una zona di confine linguistico tra francese e tedesco. Più verso occidente Francia centrale ecc. abbiamo territori romanzi che parlano lingue romanze (porzione centrale dell’impero ereditata da Lotario comprende anche italia sett e italia centrale in parte- è un territorio germanofono, francofono e le parlate dialettali italiane) nei territori più orientale abbiamo anche qui un sistema linguistico variegato (occitano e d’oc). All’epoca in cui questi territori rappresentano queste 3 macro-aree (prima metà del 9 secolo) si parlano lingue romanze qui. L’unico testo scritto giunto sono i giuramenti di Strasburgo in francese. Una situazione abbiamo detto di plurilinguismo. Le varietà dialettali parlato dai popoli e il latino parlato dai popoli. Questa è la situazione che Carlo magno si trova salendo al trono. Carlo aveva bisogno di una lingua che posse veicolare per tutto l’impero. Con alcuni intellettuali della sua corte, pensa a come risolvere il problema e dotare l’impero di questa lingua parlata dalla classe diligente. Doveva essere il latino. si creava così un’unità amministrativa dell’impero sopra- regionale. Carlo magno era quindi appartenente a una stirpe di lignaggio franco, e quindi i Franchi parlavano un dialetto germanio chiamato francone renano, varietà della zona del Reno. Lui vive però in un contesto internazionale. Nella sua corte si erano riuniti e vivevano persone da tutto il mondo (italia francia, germania, altri da Inghilterra). Tutte queste figure di cultura avevano diverse lingue madri. Il latino gli era stato insegnato (a Carlo) da un italiano e poi la sua formazione era stata affidata a tale Arquinio da Inghilterra. Tutti parlavano in corte in latino. questi uomini di cultura che conoscevano molto bene il latino si rendono conto che per promuovere il latino come lingua veicolare bisognava promuovere una politica di restaurazione della lingua latina, promuovere il suo insegnamento e sostenerlo. QUESTA Riforma dell’insegnamento del latino si chiama RINASCITA CAROLINA, una riforma dell’insegnamento del latino il cui scopo era quello di migliorare la conoscenza del latino solo nei parlanti colti e che avrebbero assunto poi un ruolo nella gestione del potere e dei territori dell’impero carolingio. La rinascita fu portata avanti formando dei maestri, insegando a questi un migliore latino. si può studiare l’effetto positivo che questa riforma ha sortito. Abbiamo dei testi che ci aiutano in questo senso. Sono stati studiati da Giovanni Orlandi. Ha studiato gli annali del regno dei franchi, annali scritti in latino. gli annali sono un genere della storiografia che esistevano già in epoca romana. Sono testi che seguono la progressione cronologica. Anno dopo anno raccontano i principali avvenimenti che riguardano un regno, un monastero ecc. questi annali regni francorum mostrano che l’effetto della riforma carolina si percepisce perché da una certa data (810 in avanti circa), il latino è molto più corretto. Le porzioni di testo più antiche contengono molti volgarismi (prima del 810); i volgarismi vanno a diminuire nelle porzioni di testo successive a questa data. [legge un esempio]. AESTULFO REGAE è il soggetto che però è in ablativo. Mai un soggetto in latino si sarebbe scritto in questo caso. Errori di questo tipo ci mostrano che ormai la confusione dei casi che era una delle principali innovazioni che portano che lingue romanze […]. La riforma carolingia ha un effetto positivo. Il gruppo degli scriventi e dei parlanti in latino migliorano la loro competenza linguistica. Questo ci interessa anche dal punto di vista di chi osserva la situazione linguistica e se ne fa un’idea. Anche grazie a questa rinascita, i vescovi che si riuniscono a Tour capiscono che la lingua latina era ormai un’altra cosa. Politica linguistica della chiesa: se vogliamo dare in generale le somme delle situazioni diverse che abbiamo introdotto inerenti alle politiche della chiesa, conviene avere presenti che queste politiche non sono univoche- non possono essere valutate secondo un’ottica unica. La chiesa adotta politiche diverse a seconda del raggiungimento degli obbiettivi da perseguire. Da un lato vediamo che le lingue romanze parlate dai popoli sono promosse dalla chiesa. Allo stesso tempo la chiesa protegge anche il latino perché non poteva essere del tutto abbandonato essendo una delle lingue sacre del mondo antico. C’è una doppia politica linguistica da parte della chiesa: laddove è necessario veicolare un messaggio nelle masse, si prende la lingua delle masse. Viene protetto però e mantenuto il latino. è interessante ricordate un episodio capitato nel 1080. Il duca di Boemia (Europa orientale ì- territorio non romanzo) chiede al papa Gregorio VII il permesso di celebrare la messa nella lingua locale, una lingua slava. La risposta è no: non tutta la messa può essere detta in lingua locale ma solo la predica. La liturgia esprimendo i dogmi della chiesa deve rimanere in latino. se quei dogmi fossero stati tradotti in lingua volgare, questo avrebbe significato per il papa una sottrazione di valore a quei contenuti. Non tutto il popolo cristiano deve conoscere e capire quei contenuti. Il ruolo di mediatore del clero rimane salvaguardato. Esiste anche un altro problema legato alla traduzione della bibbia e del vangelo: chi si assume l’onere di tradurre il testo sacro? Il testo sacro venendo tradotto può accogliere delle traduzioni inaccettabili dal punto di vista della chiesa. Il momento di rottura importante ci sarà con Lutero. [la bibbia deve essere tradotta così da poter essere letta dal fedele senza la mediazione del clero]. Questo non vuol dire che prima di Lutero non circolassero traduzioni dei testi sacri. Nel corso del 5/& secolo compaiono nelle regioni germaniche e anche in Irlanda delle traduzioni nelle lingue locali della Bibbia. Nei paesi di lingua germanica proprio perché era più distante dal latino, si pensa così precocemente di preparare traduzioni. Nei territori romanzi cominciano a circolare molto più tardi le traduzioni della bibbia in lingua romanza. Da un lato si avverte meglio lo stacco con il latino, ma poi anche successivamente perché si aveva paura delle eresie che la chiesa puniva. Non è un caso che sono proprio alcune comunità di eretici che producono i testi sacri nelle proprie lingue (es. I valdesi). In area francese le più antiche traduzioni della bibbia risalgono al 12 secolo: alcune sopravvissute altre distrutte. Si arriva ad avere una traduzione integrale solo sotto il controllo di teologi che lavoravano all’università di Parigi. Mentre nella predicazione in volgare viaggia incontrastato ed è scelta e ampliamente praticata per far sì che il popolo comprendesse, a livello di liturgia e testo sacro nei paesi cattolici e non dell’area germanica la chiesa si mostra diffidente e contrasta la produzione di traduzioni del testo biblico. Il volgare dunque rimane importante per la formazione dei fedeli. [quando parla dei volgari si intende i volgari romanzi]. 05/12: filologia romanza I Giuramenti di Strasburgo: Più antico testo tramandato in lingua romanza, il francese. Il francese è la lingua romanza della quale abbiamo la più antica testimonianza. L’area francese è un’area molto precoce sia perché nel 813 abbiamo il concilio di Tour grazie al quale siamo informati del fatto che in epoca carolingia le popolazioni di questi territori erano ormai territori nei quali si parlavano lingue romanze e non più il latino in massa. Cosa sono? Sono i testi di un giuramento, si tratta di una formula che viene pronunciata nel corso di una cerimonia pubblicata, di un incontro politico nel quale due sovrani rinnovano un loro patto di alleanza. I due sovrani sono Carlo il calvo e Ludovico il germanico, nipoti di Carlo Magno. Questi due sovrani fratelli si erano alleati contro un terzo fratello, Lotario. La guerra si scatena per ragioni di eredità, in questo caso dell’impero. Carlo il calvo regna sui territori della parte francofona, dove si parlano le lingue romanze, antico francese e occitano. Lotario regnava su tutte le regioni centrali dell’impero, dal mare del nord fino all’Italia. Quando si svolge la cerimonia? Si svolge questa cerimonia il 14 febbraio del 842 nei pressi di Strasburgo, ecco il perché del nome. I due re giurano di rinnovare la loro alleanza, essere fedeli l’un l’altro e non rompere l’alleanza per unirsi al fratello Lotario. I due sovrani hanno giurato il testo del giuramento davanti i loro eserciti. Era importante che gli eserciti di entrambi i re capissero le parole di questo giuramento, perché i soldati dovevano accettare l’alleanza per poi sostenere in guerra i re. Il giuramento per questo si svolge in 2 lingue diverse: francese e varietà tedesca. Sono quindi un documento bilingue. In realtà esiste anche una versione latina (ne parla dopo). Si organizzano così: Ludovico il germanico, che come indica l’appellativo regna sul territorio germanofilo, giura in francese- lingua dei soldati del fratello per far si che la fedeltà del suo patto venga capita dagli alleati. Carlo il calvo re del territorio francofono, giura in tedesco rivolgendosi all’esercito del fratello proveniente da territori germanofoni. Una volta svolta la cerimonia del giuramento, giurano anche i capi di questi eserciti, i generali che guidavano gli eserciti, ma ciascuno giura nella propria lingua perché era importanti per tutti i sottoposti che gli eserciti dei sovrani capissero l giuramento dell’altro sovrano. Deve essere stata una cerimonia solenne, all’epoca questi tipi di cerimonie erano Il problema di come deve essere stata pronunciata la formula è un grande problema. Per sapere come è stata pronunciata dovremmo conoscere la corrispondenza di ogni grafema con il suo valore fonologico. Abbiamo qui però dei segni grafici che appartengono all’alfabeto latino che vengono adoperati per scrivere una formula in lingua romanza. Per altro, all’epoca non esisteva un sistema grafico adatto alla scrittura del francese. Esista quindi il problema della resa grafica dei fonemi. Possiamo dare subito qualche spunto di ragionamento. È un testo che colpisce perché ricco di formule latine o latineggianti. Ad esempio, pro deo è usato come sintagma ma è una formula tipica del latino. il nunquam è una negazione tipica del latino. perché questo testo anche essendo francese è così pregno di formule latine? Perché probabilmente nasce in latino, e perché viene inteso come testo giuridico e la lingua del diritto era il latino. Nel latino giuridico e nel lessico cancelleresco il latino ha un peso molto grande anche oggi. Commento: DEO esprime e ci fa vedere che in quest’epoca ma poi anche successivamente, il francese ha una declinazione bicasuale (fino almeno al 200 il francese conserva una declinazione a due casi, uno per il soggetto e uno per tutti gli altri complementi). Abbiamo qui pro dues (soggetto nominativo) e dues (caso obliquo che serve come complemento). Deus viene dal nominativo e deo viene dall’accusativo. La maggior parte delle parole vengono dall’accusativo perché erano per la maggior parte in parisillabe, soprattutto quelle della 3° declinazione. Nel caso di DEUS si può individuare una derivazione diretta dal nominativo perché era molto impiegato anche nell’oralità. CRISTIAN POBLO: il popolo cristiano, anche questo caso obliquo. Poblo viene da popolum. Quali fenomeni si sono prodotti in questo passaggio? La caduta della nasale sonora alla fine della parola ‘M’ (in fine di parole si pronuncia raramente già nel latino del ½ sec d.c e questa perdita è una delle cause che porta ad una modificazione della lingua e alla perdita dei casi). Altro caso da tenere presente è POPOUM: la vocale atona tende a cadere, abbiamo infatti qui POBLO dove il nesso consonantico di BL viene da un altro nesso consonantico che era POPLO solo che la P è sorda e la B è sonora. Altro problema è quello della vocale alla fine. L’italiano, o meglio il toscano che è base dell’italiano standard, tende a mantenere bene le vocali in fine di parola così come in italiano. Nel testo francese non ci sono preposizioni. È una costruzione arcaica dove il nome viene posposto. Questo tipo di formule rimane poi nell’antico francese. (amur dopo Deo). Altra cosa da notare è che non è mai presente l’articolo nel giuramento. Sicuramente è un fatto arcaico che potrebbe collegarsi al forte peso del latino. all’epoca possiamo essere certi che l’articolo esistesse nel francese parlato dell’epoca perché già in altri testi più antichi dei Giuramenti come la Peregrinatio Egerie, troviamo l’aggettivo dimostrativo ILLE ecc usato come articolo. È abbastanza chiaro che nel passaggio da latino a lingua romanza, si sviluppa subito un articolo. AMUR- base latina= amorem. Perdita consonale bilabbiale sonora nasale alla fine. La u in realtà è un fatto grafico che mostra una evoluzione verso una chiusura di questa vocale latina che era una O breve in latino. altro fenomeno da osservare è la perdita della vocale atona della sillaba finale. Questo accade in francese per tutte le vocali diverse da A. quanto nella sillaba finale abbiamo una vocale che non è la A, la si perde. CHRISTIAN- viene dal latino CHRISTIANUM con perdita della parte finale. COMMUN. Anche qui perdita parte finale. C’è anche la velarizzazione della U che diventa vocale velare. Su alcuni fonemi bisogna fare delle ipotesi. AVANT da AB Vante: c’è la sonorizzazione dell’occlusiva bilabbiale. AB-AB. In casi come QUANTUM non siamo assolutamente certi di quale fosse il valore fonologico del nesso iniziale (labiovelare Q+U) che si semplifica in altri casi e diventa QANT. Qui ancora non si mostra la perdita della componente velare. Savir e PODIR= due forme molto interessanti. Abbiamo la I che è la rappresentazione in grafia del latino merovingico (precedente a carlo magno, più arcaica). Nel latino merovingico la e era trascritta come I. è posibbile che qui queste forme stiano per saber e poder. Saber viene da SAVERE. Rispetto al latino, il latino volgare SAVERE aveva prodotto uno spostamento di accento che nel latino classico era sulla vocale A (sApere). Questi verbi trisillabi nel latino parlato spesso presentano uno spostamento nell’accento. Si è prodotto questo solito fenomeno dall’occlusiva sorda P si produce una occlusiva sonora che poi diventa una fricativa. PODIR da POTERE altra forma analogica (nel latino non esisteva in quello classico la forma POTERE ma POSSE/possum/podes aveva un infinito che era lo stesso di ESSE. Questi infiniti irregolari vengono rifatti.) da POTERE. DREICT- directum: cade la vocale atona e si crea il nesso tra la dentale sonora e la vibrante. La E latina lunga dittonga, fenomeno avvenuto in maniera connessa ad un altro fenomeno che riguarda il nesso CT. Il nesso di velare sorda più dentale sorda produce in francese un suono che è formalo da una semi vocale e da una dentale CT-> T. DIFT da DEBET-> abbiamo una chiusura della E che ci da una I, c’è stata poi in realtà una caduta della E tra i due nessi consonantici e una produzione del nesso DIFT. PLAID dal latino PLACIDUM. Ci sono dei fenomeni che ritroviamo sempre in molte lingue romanze e in particolare nel francese. Succede qui che cade la vocale interconsonantica che è atona perché l’accento cade sulla A. il nesso iniziale PL si conserva e poi però c’è un nesso di velare sorda più la dentale che però si sonorizza perché l’elemento dentale viene mantenuto. Questo perché potrebbe esserci stato un mutamento legato alla fase iniziale. RIASSUME: 10/12: Filologia romanza [parla sempre dei giuramenti] Lenizione romanza, Christian riproduce in maniera abbastanza fedele la base latina CHRISTIANUM con caduta di sillaba finale. In poblum che viene da POPOLUM osserviamo la caduta della sillaba finale e la caduta della vocale atona nel nesso della occlusiva bilabiale sorda e della laterale. Altro tratto che si riscontra è il complemento di specificazione senza preposizione. Si tratta di complementi che sono in forma arcaica. Abbiamo poi altro tipo di costruzione con il nome posposto: PRO DEO AMUR, costruzione di tipo arcaico che rimane nel francese antico. Già dal 1 sec a.C la consonante M non è più pronunciata e allora ci chiediamo, cosa accade alla vocale della sillaba finale? Se è atona si perde, abbiamo tante forme a dimostrazione nei giuramenti come AVANT da AD VANTEM QUANT da QUANTUM SABIR da SABERE la e finale è scomparsa. Lo stesso accade negli altri infiniti PODIR PODER(E). partiamo dalla forma di POBLO da POBOLUM: in realtà notiamo che qui c’è la vocale finale POBLO, che si chiama vocale di appoggio (c’è stata una perdita della U ma nella pronuncia si è sentita la necessità di inserire la vocale di appoggio perché il nesso di bilabiale sonora e laterale è percepito impronunciabile ai lati della parola. Anche NOSTRO è la stessa cosa: deve sostenere il nesso. Altro caso CARLO. Sempre analizzando parola per parola il testo si nota il lemma FRADRE ma anche FRADRA, lemma che appare con due vocali finali diverse. La base latina è FRATREM. La e finale latina è una e che va a scomparire. La presenza di questa E o della A mostra un’incertezza dello scrivente a riprova che la sillaba finale della parola viene pronunciata con incertezza. In alcune parole come queste che hanno la e alla fine o la A, in questa fase della storia del francese quella vocale diventa una E muta, una E che ha una sua valenza grafica e viene scritta come E ma potrebbe essere scritta come A, ha un pieno valore di sillaba ma anche questa è una specie di vocale si appoggio. il nesso consonantico è formato da dentale sonora e vibrante. Questo nesso deriva da FRATREM. È accaduto quindi che quella che era in latino una dentale sorda T è DIVENTATA SONORA D. fenomeno tipico di tutte le lingue romanze, LENIZIONE ROMANZA* il suono consonantico passa da una fase sorda ad una sonora, in alcuni casi in fasi fricative e poi sparire. Se pensiamo all’evoluzione successiva del lemma FRERE si è prodotto il dileguo della dentale che esisteva in latino, che ha passato una fase di sonorità fino a sparire. Rimane solo la vibrante. Nell’esito moderno abbiamo un altro fenomeno. FRADRE la A è ancora presente nel francese antico ma che poi si palatalizza in E. (palatalizzazione A= la a diventa e). quanto la A è atona nella sillaba finale del latino, s riduce ad una E muta. Quindi in molti casi abbiamo altri lemmi nei quali la grafia A potrbbe rappresentare una E muta. Uno di questi è ADIUDA con la A che potrebbe rappresentare una vocale muta. Altro caso COSA da CAUSA. In questo lemma è importante anche altro aspetto: base latina CAUSA con dittongo AU. Tra le isoglosse del francese abbiamo la chiusura del dittongo AU che diventa O. il dittongo AU rimane tale in catalano e occitano. La O è isoglossa anche in toscano. Nei giuramenti troviamo quindi già la chiusura di questo dittongo in una O. un problema importate di questo testo come di altri è la resa grafica perché questi primi testi scritti nelle diverse lingue romanze sono messi per iscritto ricorrendo al sistema grafico del latino, non adattato ancora a tutti i nuovi fonemi delle lingue romanze. Possono avere anche delle grafie di tipo conservativo, nei giuramenti sono di tipo merovingico. La E di tipo stretto per esempio viene segnata con il segno della I. se quel copista non avesse fato ricorso delle grafie merOVingiche avremmo trovato SAVER PODER infinito analogico- infinito del latino parlato che avevano modificato alcune forme dell’infinito latino che però erano irregolari. L’infinito che il latino ha è POSSE infinito irregolare come ESSE. Gli infiniti Analogiche SONO PODERE IN LUOGO DI posse E ESSERE IN LUOGO DI ESSE. Hanno un’uscita in ere. (infiniti). Fenomeni che riguardano il vocalismo, il vocalismo è l’insieme dei fenomeni che riguardano i suoni vocalici. Ci sono molte novità e cambiamenti che riguardano la trasformazione dei suoni vocalici dal latino alle lingue romanze (quantitativo_ qualitativo). In antico francese la I breve latina e la E lunga quando sono toniche si fondono e hanno un esito che è lo stesso e questo esito è questa E di timbro stretto. Questo è un tipo di evoluzione che troviamo in tutte le forme dei giuramenti che hanno a monte una base latina con una I breve o una E lunga. La E di timbro stretto, tonica, quando si trova in sillaba libera (non è chiusa da una consonante) quindi in finale di sillaba, dittonga: EI. Il latino volgare era SAPERE, abbiamo nei giuramenti SAVIR. L’ulteriore evoluzione che si colloca dopo un po' di tempo quel SAVER diventa SAVEI perché si è prodotto un dittongamento. La forma moderna SAVOIR dove notiamo una grafia OI che è molto conservativa e antica ma la pronuncia è UA che è moderna in realtà pare diffusa con la rivoluzione francese. Questo dittongo OI si alterna nelle grafie più antiche del francese. Molto spesso troviamo anche una grafia OE. Tutte queste varianti ci fanno capire che è in evoluzione ma in origine è sempre la e tonica in timbro stretto in sillaba aperta. Per fare comparazione, il castigliano è diverso perché fa dittongare anche quelle vocali latine che si trovano in sillaba impedita (TIERRA). Abbiamo DREIT da DIRECTUM: la bilabiale sonora alla fine cade; la u finale si perde; c’è il nesso di velare sorda C più dentale sorda T con esito particolare che comporta la perdita del suono velare. Abbiamo come esito la forma DREIT nella quale è anche caduta la I, vocale atona interconsonantica, perché la forma latina DIRECTUM CADEVA SULLA E. il dittongo ei in dreict è però l’esito di velare sorda e dentale sorda. occitano. A questo punto arriviamo ad una conclusione che può valere per i giuramenti: siamo d’accordo con gli studiosi che dicono che la lingua dei giuramenti non possa essere ulteriormente descritta e precisata/riferita ad un dominio regionale specifico. Non è possibile. Si tratta di una varietà del francese che quasi non presenta tratti dialettali proprio perché si tratta di una koiné. Come dicono Andreosi e Renzi, ci limitiamo a sottolineare che benchè si tratti di un testo romanzo non solo la lingua è molto diversa dal francese moderno, ma è anche molto diverso dal francese antico di testi di poco posteriori come la sentenza di Sant’Eulaia. Questo aspetto così conservativo della lingua dei giuramenti non riflette la lingua parlata all’epoca nella quale i giuramenti non stati essi per iscritto. A quell’epoca quindi la lingua parlata doveva essere molto diversa rispetto la lingua di questo documento. È un documento conservativo soprattutto nella sua veste grafica. In questa fase nel momento in cui manca una tradizione grafica della lingua romanza, le grafie sono quelle antiche utilizzate per il latino merovingico. Mentre in verità siamo ragionevolmente sicuri da molti altri elementi che il francese parlato nel 982 d.C era un francese pieno di dittonghi e trittonghi derivati dal passaggio delle vocali latine da lunghe a brevi e con articoli. 12/12: filologia romanza Sequenza di S. Eulalia: Una lingua senza dubbio molto più nitida ed evidente nei sui tratti romanzi di quanto non accada nei giuramenti perché i giuramenti hanno una patina latineggiante molto più evidente che quasi mette sottotono e nasconde il portato romanzo della lingua. Questo è molto meno evidente nel caso della sequenza di santa Eulalia. In questo caso possiamo individuare qualche elemento più chiaro rispetto la localizzazione in fatto dialettale. Questi tratti ci portano verso la Vallonia, regione storica e anche attuale del dominio linguistico francese che coincide oggi con la parte francofona del Belgio ma anche dei territori che appartengono alla Francia attualmente ma vicini ai confini con il Belgio. Il Belgio è in parte francofono e in parte di lingua fiamminga. Cos’è la sequenza di S. Eulalia? È un poemetto dedicato ad una santa che fu martirizzata, Eulalia. La tradizione racconta che si trattasse di una bambina martirizzata a 12 da un pagano che si chiama Massimiano. La tradizione agiografica su di lei colloca la vita di questa martire nel 3° secolo d. c. è esistita prima della sequenza di s. Eulalia scritta in lingua francese tutta una tradizione scritta in latino che narra della santa e del suo martirio. Il culto di questa santa si diffonde in Spagna prima poi in Francia e in particolare a una sorta di revival perché proprio nel secolo al quale appartiene il testo (878 d.C.) a Barcellona fu scoperta la presunta tomba della santa. Intanto erano sorte delle chiese, dei luoghi di culto, dedicate alla santa sia in Spagna che nella Francia meridionale. Dopo il ritrovamento, le reliquie furono portate in un monastero femminile nel nord della Francia vicino ai confini con il Belgio. Questo monastero era collocato nei pressi di un altro monastero vicino a Lille, il monastero di Saint-Amand, molto importante all’epoca e fondato intorno al 570 d.C. e poi aveva avuto un momento di grande sviluppo con Carlo magno diventando un importante centro scrittorio. Perché è importante per noi? Perché era assai probabile che il manoscritto sul quale è stata copiata la sequenza provenga da questo monastero. Attualmente il manoscritto ha la signatura 150. La sequenza è copiata nella carta 141 verso. La prima riga dice “Buona pulcella fut Eulalia…” che è proprio il primo distico del testo. La scrittura era una minuscola carolina chiara e che non presente grandi difficoltà. L’esame coticologico rivela che il nostro poema scritto in francese è copiato in una carta che inizialmente non era stata usata ed evidentemente questo manoscritto era stato copiato, conteneva dei testi, rimane una carta bianca e ad un certo punto un copista copia questo testo. Nel manoscritto abbiamo però altri testi in latino e uno in lingua tedesca “il canto di Ludovico”. Lo stesso copista dunque che copia il poema copie anche questo poema germanico. Questo è interessante perché ancora una volta uno dei testi più antichi nella lingua romanza (francese) compare dentro un manoscritto nel quale ci sono altre lingue: latina e germanica cosa che già accadeva nei giuramenti. Siamo quindi ancora una volta davanti a un manufatto trilingue. Questo perché questo manoscritto proviene da un ambiente trilingue e una zona di confine. La regione di cui parliamo è Lotaringia. I tre fratelli impegnati nel conflitto dal quale poi scaturiscono i giuramenti sono Carlo il calvo, Ludovico il germanico e Lotario. Carlo e Ludovico si alleano contro Lotario. Questo Lotario era quello dei 3 che aveva ereditato i territori centrali dell’impero, che quindi erano situati lungo il confine linguistico franco tedesco. La Lotaringia che esiste durante il medioevo prende il nome da lui. È un’area a confine con molte zone linguistiche: la zona romanza francese, quella fiamminga e quella tedesca. Anche il monastero di SAINT AMAND p situato in questo territorio non molto lontano da Cambrais e questo manoscritto viene da quella zona. Cosa si intende per sequenza? Una sequenza è un poema liturgico destinato al canto e dobbiamo immaginare quindi che questo testo fosse destinato al canto nel corso di un ciclo di preghiere in onore della santa. È esistita quindi una melodia associata a questo testo. La sequenza ha una sua struttura molto tipica. Il testo è costituito da versicoli, periodi che si chiamano versicoli, ognuno associato a una melodia. Questi hanno una loro simmetria. Se andiamo a leggere il testo c’è una numerazione doppia prima del testo. Cosa significa? Che i numeri 1,2,3,4,5,6, accanto ai versi sono la numerazione dei versicoli e invece 1-12 2,34. Sono coppe di versicoli organizzati secondo una simmetria. Andando a guardare anche il manoscritto lo si vede anche lì. Ci sono poi dei puntini a distinguere i due versicoli. La sequenza è un tipo di canto liturgico che nasce nei monasteri proprio nel periodo al quale risale la sequenza della santa. Come nasce? Questo tipo di canto nasce da una serie di vocalizzi che i monaci potevano associare alla sillaba finale dell’alleluhia. Fut <terza persona singolare del verbo essere ‘fuit’ che viene palatalizzato in francese in ‘fut’ che sarebbe imputabile al suo stato celtico. Nel latino francese abbiamo diverse grafie che sono oscillanti. Belle < bellum ossia perdita sillaba finale e scempiamento della laterale. Le lingue romanze più ad est usano non bellum ma formosum che sostituiscono il latino classico pulchram. Auret è terza persona del passato del verbo avere. La base dal cui partire è abuerat ossia un arretramento dell’accento. La velare u che troviamo in auret viene dalla bilabiale sonora che viene da abuerat che può trasformarsi in una vocale velare. Questa a si palatalizza. Corps < corpus. Conservazione del corpo fonico, solo perdita della vocale a fine parola. Non sappiamo se questa conservazione più sibilante sia un fatto grafico. 17/12: Filologia Romanza SEQUENZA DI SANT’EULALIA (Analizza un testo): riprende dall’analisi linguistica. Anche per quanto riguarda questo testo, spiega alcuni tratti della lingua quelli che hanno una valenza generale. Analisi: avevamo parlato del problema che troviamo al verso 15. Qui è dental nel testo e nell’edizione interpretativo è lentatudem [..]. qui nell’edizione troviamo adunet ma il copista scrive aduret. Successivamente o lo stesso o un atro copista che corregge, modifica questa lettera aduRet e lo fa diventare aduNet. Se vediamo sotto c’è un numero 7 con un puntina con R toccata in N in un secondo tempo. Non aveva messo sePte ma o otto o 15. La questione che si pone è: quale è la lezione corretta? Entrambe. Entrambe danno un senso. Nel caso di aduret vuol dire rafforza (ella rafforza il proprio spirito perché deve affrontare un martirio) se accogliamo l’altra variante è accoglie. Noi interessa che quello è l’unico punto rilevante sotto il profilo della critica testuale. Vediamo dei tratti linguistici: giovedì aveva parlato dei tratti grafici conservativi. Esistono grafie conservative, arcaiche che danno una patina arcaizzante al testo. Nel testo troviamo queste a seguire: sono sostanzialmente i segni grafici che indicano una consonante geminata: PULCELLA POLLE DONISELLE VENNEISUR. Siamo sicuri che questi segni grafici siano delle grafie conservative e che quindi dobbiamo ipotizzare che già a quest’epoca la laterale era scempia. POLLE DONISELLE non erano doppie le laterali. Vediamo poi il trattamento di a tonica libera. È importante perché il trattamento di A tonica libera è una delle isoglosse in francese. La A tonica latina libera, che si trova in chiusura di sillaba, diventa una E aperta. Il suono si chiude poi in e chiusa ma si riapre poi nel 18° secolo. Cosa succede a questa E quando è preceduta da un suolo palatale? Diventa IE. In questo sistema (mostra schema) è sintetizzato il trattamento di A tonica libera in quanto isoglossa. Qui abbiamo le diverse parlate del dominio franco germanico. Il franco provenzale è un sistema di dialetti che va collocato a oriente al confine con la svizzera intorno alla zona di Lione e quindi ha dei tratti più meridionali e altri settentrionali. L’occitanico è un sistema di dialetti romanzi diversi dal francese. Altra zona è quella vicino alla Loira con centro Poitiers. La A quindi in alcune varietà viene mantenuta (occitanico e franco provenzale) mentre in francese e pittanino (??) diventa E. avremo quindi in provenzale e occitanico MAR da MARE in francese invece MER. questo è il trattamento che la vocale tonica subisce in tutte le parole. In quest’altra parte dello schema si vede l’esito dell’evoluzione della A tonica libera quando la A latina è preceduta da una palatale. Dittonga in francese e rimane A in occitanico. In franco provenzale c’è più dittongamento e invece il pittanino rimane il fonema E. il lemma CARA vuol dire faccia in latino. abbiamo CIER con dittongamento, CARA in occitanico, CIER in franco p. e CIER in pittanino. [che brutta cera che hai -> cera= cara= faccia è un francesismo). Nel caso di TAGLIER abbiamo TAGLIER (francese TAGLIAR in occitanico TAGLIER sia in franco pro che in pittanino. Abbiamo però il dittongamento in franco pro TAGLIER. In questo caso la forma palatale come si produce? Abbiamo una laterale L questa I è una semiconsonante ed è un suono palatale primario o secondario. Essendo un suono palatale produce dittongamento. Talvolta la semiconsonante IOD si produce nel corso del passaggio dal latino alla lingua romanza. Vediamo ora il trattamento di A tonica libera nel testo: TESTO Al verso 11 PRESENTETE la a diventa e da PRESENTATAM. Al verso 14 CHRISTIEN da CHRISTIUANUM: la differenza qual è qui? Qui abbiamo CHRISTIEN nei giuramenti abbiamo CHRISTIAN. C’è una differenza grafica. Questa forma con la E è una forma più avanzata che mostra la palatalizzazione ancora non presente nei giuramenti. In realtà poi è molto difficile individuare con precisione quali siano i fonemi rappresentati da quelle grafie. Non dobbiamo escludere che il CHRISTIANUM dei giuramenti fosse pronunciato con la E. l’evoluzione della parola è con il dittongamento e con la E- e rispetto alle forme antiche è venuto meno il nesso della sibilante più dentale ST: CHRETIENNE (pronuncia). Abbiamo poi al verso 17 la forma ONESTED che viene da HONESTATEM. Anche quì quella A è divenuta E. Questa forma è peraltro latineggiante con mantenimento di H all’inizio di parola. In latina la H ha avuto un suono consonantico fino più o meno al 1° secolo d.C. questo suono probabilmente aveva in latino un valore laringale di aspirazione. Rimane solo come pura grafia in latino. quando troviamo la H in posizione iniziale in parole di origine germanica, in quel caso ha valore fonologico. Altro lemma interessante è STED che viene da una forma del latino volgare STATAM. È un lemma del latino parlato non presente nel latino scritto. Notiamo il fenomeno della lenizione romanza- da una dentale sorda T viene una dentale sonora D: stede. [IN ITALIANO SAREBBE STATA]. Altre parole dove il trattamento di A tonica libera è condizionale da una palatale: verso 8 REQUIEL da regalem. Qui l’influenza della palatale viene dal fatto che la palatale che subisce questa velare che viene ad evolvere verso un suono palatale quindi REGALEM in latino e poi REQUIEL ?? non so come si scrive. poi verso 9 PLEQUIER da PLICARE dove c’è anche da notare altro fenomeno. C’è qui una velare sorda intervocalica. Questa si dilegua in francese. In italiano noi abbiamo PIEGARE e quindi la lenizione romanza si è fermata ad un 2° livello perché la velare sorda del latino si è fermata. Già nel francese antico della sequenza di s. Eulalia si è fermata. MAXIMIEN dalla forme MAXIMIA(iod)mum CHE PROVOCA poi il dittongo. Verso 12 PAGHIENS da PAGANUS il dittongamento c’è ancora. La forma latina poi di CAPUT diventa CHIEF dove la bilabiale P scompare; troviamo invece ad esempio in occitanico CAPO. C’è una bilabiale sonora che poi diventa fricativa; poi la velare ha subito un intacco palatale e la A prima è diventata E e poi IE. Segnala poi una grafia particolare: LACZIER- da latino lacsare. Una velare sorda più una sibilante in questa rappresentazione grafica abbiamo una sibilante e poi una consonante che non è più velare ma palatale. Qui forse è possibile che la pronuncia fosse LAZIER. Mostra poi 2 aspetti importanti: diversamente dai giuramenti di Strasburgo troviamo qui l’articolo: il tipo di articolo che troviamo lo usiamo come normalmente è usato nelle lingue romanze. Verso 3 <<LI DEO NIMI (??)>> VERSO 5 E VERSO 10 << LA POLLE>>. L’articolo è presente si, ma non sempre. Ci sono anche dei casi in cui ci aspetteremo la presenza dell’articolo: verso 2 BELLO EBBE IL CORPO ci aspetteremo, ma l’articolo non c’è. Anche Più BELLA L’ANIMA manca LA. Anche al verso 4 “volle farle servire il diavolo” ma diavolo non ha articolo. Al 25: “ in figura di colomba volà a(l) cielo” c’è la prep ma non articolo. Possiamo dire che diversamente dai giuramneti l’articolo c’è ma non tutte le volte che sarebbe richiesto secondo la sintassi della lingua romanza. Anche la presenza oscillante dell’articolo è forse dovuta ad una patina latineggiante. Non è così forte l’incidenza del latino in questo testo come nei giuramenti ma anche qui si fa sentire. La S. Eulalia era un testo paraliturgico ed è stata ricavata dalla legenda della santa, l’agiografia della santa. Vediamo i tratti regionali del testo: bisogna anche qui fare un confronto con i giuramenti dove nonostante le varie teorie degli studiosi, tutte le ipotesi sono adattabili. Rispetto ai giuramenti è molto difficile identificare dei tratti linguistici che ci permettano di individuare quale sia la parlata regionale del testo. Abbiamo concluso dicendo che la lingua dei giuramenti è una lingua KOINEè che smussa i vari tratti regionali. Nonostante la difficolta della S. EULALIA rispetto all’interpretazione delle grafie, abbiamo dei tratti in questo testo che ci portano in un’area linguistica che è la Vallonia. Abbiamo le Fiandre e poi questa regione che è una regione attualmente al confine tra Fra e Belgio che è la VALLONIA con dialetto VALLONE. È a questo territorio che fanno riferimento questi tratti dialettali del francese. La forma DIAULE per esempio al verso 4. Diaule viene dal latino DIABOLUM; in latino era un grecismo. La parole DIAULE reca un tratto dialettale della vallonia, ossia la vocalizzazione della B bilabiale sonora davanti una laterale L. la O di diabolum deve essere caduta essendo atona tra due consonanti. Si crea un nesso da DIABOLUM daiable diaule. È una vocalizzazione. È un tipo di esito che troviamo in altre parlate romanze ma che però nel sistema francese troviamo solo nel Vallone. Altro tratto dialettale è il passaggio di EN in AN in posizione atona. Abbiamo una nasale che condiziona la vocale che precede. Questa EN che è segno di una maggiore nasalizzazione è tipica della vallonia (REMEIED). Altro tratto è il fatto che ci siano pochi dittonghi nel testo (se fosse stato scritto in zona più meridionale ne avrebbe avuti di più); abbiamo la desinenza di prima persona plurale al verso 26: TUTTI PREGHIAMO CHE PER NOI SI DEGNI DI PREGARE CHE CRISTO… quell’HORAM è una prima persona plurale CHE NOI PREGHIAMO. Questa forma con questa desinenza AM per la 1° persona plurale è un tratto di quella regione perché l’antico francese aveva già come desinenza ON o ONS. Altro tratto è quello che ci diceva prima: la grafia DS che rappresenta un tratto interemedio tra fricativa dentale sorda e sonora. Infine altro tratto vallone è la mancanza della sibilante o meglio della E che si chiama e cosmetica davanti una “complicata”. SPARTAM il nesso SP è una S complicata da pronunciare. Prima della P si metteva una e chiamata e cosmetica, quindi non etimologica. Molto spesso il francese mette prima di questo nesso sp una E la E postetica che non è etimologica. Viene messa per facilitare la pronuncia : esempio étoile = stella , è una E postetica. Questi sono i tratti regionali che possono essere rocondotti alla Vallonia e che contribuiscono a localizzare linguisticamente il testo. Altre notazioni linguistiche sul testo Sant’Eulalia: A propostito di latinismi “idolis servir” è una forma volgare ricalcata sul latino biblico in opposizione all’altra forma del latino “Latino domino” ad esempio Deo onimi, il nemico di Dio per eccellenza il diavolo. Al verso 2 la parola Anna è una parola latina perché in francese antico la parola anima da un altro esito. La grafia poteva essere Anm o An. Latinismo sintattico all’inzio del testo “Perfetta fanciulla fu Eulalia bello è bel corpo, più bella l’anima...” dove più bella è un comparativo di maggioranza. Nelle lingue romanze il comprativo di maggioranza si ottiene con una forma analitica (‘plus omagis’+ aggettivo) il latino non era così: si prendeva l’aggettivo e si aggiungeva il suffisso ior per il maschile ed iur per il neutro. “Belle sur” cioé più bella = è un comparativo nella forma antica del latino. Viene da bella tiorem = aggettivo bella+ suffisso ‘Ior’ + em desinenza dell’accusativo. Le lingue romanze rispetto al latino sostituiscono con forme analitiche le parti del discorso. Grenior < grandiorem è in realtà un compartivo di maggioranza sintetico che sarebbe in italiano ‘maggiore’ ma noi lo percepiamo come un accrescitivo. Minor < menor. Questo tipo di comparativi sintetici si sono mantenuti nelle lingue romanze anche se, la forma dominante deriva dalla forma del latino analitica. Verso 7: quell’ or viene dal latino aurum dove abbiamo la monottongazione del dittongo latino au che distingue la monottongazione di au del francese ed occitano . testimonianze che riguardano ancora l’aspetto più di carattere generalmente artistico. Le testimonianze sono LA DAMA DE ELCHE (effige femminili), in origine policrome di piccole dimensioni, su cui si sono enumerate molte ipotesi. Probabilmente era un mezzo busto a carattere funerario anche perché il retro è aperto da un foro che poteva stare a indicare il luogo dover erano depositate le ceneri, o che fosse una divinità e quel foro fosse il luogo dove erano lasciati i donativi. La cultura centibera in spagna ci da testimonianze molto simili di figure femminili di dimensioni ridotte con caratteristiche comuni: la capigliatura con le 2 ruote ai lati del viso, la struttura a mezzo busto, l’incavo posteriore. Quale influenza hanno esercitato sul latino queste popolazioni? Pochissime. Molti sono i TOPONIMI (tra cui FIUME EBRO), e alcuni caratteri che oggi contraddistinguono la lingua spagnola. Grazie anche al contributo del popolo basco che visse per secoli senza contatti con le popolazioni iberiche e europee, Le caratteristiche linguistiche di questi popoli sono: La mancanza della f iniziale latina, la mancanza del suono labiovelare V, la trasformazione di alcuni nessi consonantici come per esempio CT (noctem) che in spagnolo produce quel caratteristico suono che è la CH (noche). Quando si da la dominazione romana? La ragione in Spagna sta nell’espansione dell’impero romano. I romani arrivano in spagna in occasione delle guerre puniche, quindi per un discorso di supremazia coloniale, nel 2 secolo a.C. la romanizzazione del territorio iberico è lenta e difficile. Rapida sulle coste presso quelle popolazioni che già avevano conosciuti per scambi commerciale altri popoli. Molto difficile all’interno dove la resistenza centibera fu strema al punto da produrre nella storia rimasta anche a livello epico, il ricordo narrato anche da STRABONE, della città di Nomanzia (roccaforte iberica) che piuttosto che consegnarsi al nemico diede fuoco a tutta la città. Tuttavia Roma contribuì molto alla urbanizzazione della colonia spagnola (acquedotto di Segovia ecc.); a creare arterie viarie importanti e la Spagna a sua volta diede a Roma grnadi figure di letterati (Seneca, Quintiliano, Marziale o anche Adriano); la dominazione fu lunga, meno di quella araba. Dal 2 secolo a.c al 2 o 3 secolo d.C. dopo la dominazione romana la Spagna è interessata da invasioni di popoli dle Nord che la vulgata storica definisce i barbari, che destabilizzarono l’impero e lo misero in crisi. I poopoli che invasero la penisola furono: intorno al 5 secolo GLI SVESI, GLI ALANI e i VANDALI (etimologicamente forse la regione dell’andalusia il toponimo fosse derivato dalla dominazione VANDALICA, VANDALICE si doveva chiamare). Questi barbari diciamo furono poi scansati dai visigoti, altro popolo del nord che arrivava in Spagna già romanizzato e come esercito federato di Roma. L'invasione dei visigoti non fu una vera e propria invasione. Scacciarono i popoli che avevano occupato la provincia e si insediarono come alleati di Roma. Questa invasione ebbe una importanza fondamentale perché in realtà rappresenta un principio identitario che ogni volta che si è voluto ricercare un’origine della storia- i visigoti arrivando in spagna già cristianizzati (ariani) e poi aderirono completamente al cristianesimo nel 556 sotto il re RECALEDO. Costituiscono non solo un popolo dominatore ma anche un’origine religiosa da contrapporre poi all’invasione dell’Islam. I visigoti furono circa 250 mila persona che però vennero a costituire nobiltà e aristocrazia locale. Poco assimilati con le civiltà preesistenti, disposero la loro capitale a Toledo (prima capitale spagnola) e il loro regno durò fino all’8 secolo. Cadde per via dell’invasione islamica, favorita dalle lotte intestine che si erano create tra i diversi caudillos, la nobiltà visigota nell’avvicendamento al regno. in particolae sulla fine del regno visigoto circolano varie leggende, alcune registrate dalla letteratura e in particolare da quel genere letterario noto come il ROMANCERO, sorta di ballate di carattere epico lirico che raccontano appunto episodi tratti dalla storia della Spgna. Alcuni di questi episodi sono quelli che ricordano la fine del regno dei Visigoti e la penetrazione in Spagna del Arabi. Di queste leggende due sono passate alla storia: la prima narra del tradimento del re RODORICO che usurpa il trono al sovrano legittimo BITIZA e che violenta la figlia di un generale dell’esercito EL CONDE JULIAN e che per rappresaglia il conte JUlian […] La seconda leggenda narra sempre del conte Rodorico che divenuto re visigoto non rispetta una tradizione: doveva porre alla porta di una casa un chiavistello. Rodorico mosso da avarizia e curiosità pensa che in questa casa ci sia un grande tesoro, non mette il lucchetto ma la fa aprire. Apre un’urna e trova delle figure minacciose con grandi turbanti: presagio dell’invasione araba. Il testo che analizziamo appartiene ai ROMANCES: sono componimenti astrofici (non sono divisi in strofe), una sequenza ininterrotta di 8 sillabi che assonanzano nei versi pari. Il tema è sempre di carattere epico lirico, c’è una storia remota rivisitata con caratteri lirici. Il re pensando che la casa racchiuda qualcosa di prezioso che gli viene negato, entra ed è causa della sua stessa sventura. COMMENTO: Perché ASSOANZA e non consonanza? E perché questa serie di rime costruite con infinitivo? Perché i romances appartengono a quella lirica anonima e non d’autore e che a un certo punto approdano al testo scritto ma che appartengono all’oralità. Il romance corrisponde alle ballate nord europee. Nei romance la storia comincia in MEDIAS RES e lo scioglimento tutto sommato rimane in sospeso. Questo romance proprio perché appartiene alla tradizione orale presenta passaggi equivoci, registra solo l’avidità del re. La spagna di perde perché il re avido non rispetta la tradizione. Il romance sembra essere la risultanza della contrapposizione di due testi diversi in cui questo sembra essere più sentimentale. C'è questa torsione al finale: lei per aver confessato al padre la violenza subita il padre per vendicarsi chiama in Spagna gli arabi. INVASIONE ARABA: 1:00:00 La loro invasione fu facilitata dalla crisi dei Visigoti che videro nell’invasione araba la sostituzione di una invasione con un’altra. Tarik, capo dei Berberi, diede il nome allo stretto di Gibilterra attraversandolo. Entrando in Spagna con il suo esercitò non trovò resistenza alcuna. L'avanzata degli arabi all’inizio fu rapidissima. Arrivano fino ai Pirenei. Progressivamente scesero mano a mano che i capi crisitiani si riorganizzarono dietro le cordigliere e i iniziarono le guerre di riconquista per poi assestarsi intorno al 1200 in quella regione conosciuta come Andalusia. Si trovarono a dominare la metà del territorio spagnolo. Quando parliamo di AL ANDALUS parliamo di un territorio di dimensioni diverse a seconda del periodo storico. Nel 1492 AL ANDALUS sarà soltanto il regno di Granada, che pi verrà conquistato dai re cattolici nel 1492. Gli arabi dominarono per 7 secoli che determinano degli scambi linguistici e culturali molto importanti che danno vita anche alle origini della poesia. 09/10: Letteratura Spagnola [antologia= dalle origini al XVI secolo]. Invasione dominazione araba dal 711-8 sec D.C. La necessità di ricostruire questo panorama è legato a precisare gli elementi linguistici che in termini di sostrato e di superstrato condizionano la formazione di diversi dialetti romanzi che si creano in territorio iberico. Alle sue origini, all’interno del territorio dell’attuale Spagna, si crearono diversi dialetti romanzi; il navarro aragonese, l’asturiano leonese (che prendono nome dalle regioni), il castigliano e primo fra tutti il dialetto mozarabico che sarà poi l’oggetto dello studio della letteratura delle origini. Queste diverse lingue a un certo punto subirono la supremazia culturale, politica e poi linguistica del castigliano, che si irradia anche grazie a una fiorente letteratura, e diventa la lingua nazionale. Per poter chiamare spagnolo quello che in origine era il castigliano, dobbiamo aspettare il 15 secolo. La Castiglia alle sue origini fu una contea piccola e decisamente marginale che nasce a ridosso del confine tra la Spagna cristiana e Al Andalus. Da regno marginale, politicamente e linguisticamente, poi diventerà invece grazie alla sua espansione e poi a una serie di politiche matrimoniale, diventerà poi la attuale spagna. Questo nel 1492 con il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona. In questo excursus fatto la settimana scorsa, abbiamo enumerato una serie di popoli che hanno stanziato nella penisola: i celti che arrivarono dal centro Europa in tempi remotissimi, e gli Iberi popolazione di origine africana probabilmente che occupavano la zona orientale della penisola con un primo stanziamento introno all’ebro. Da queste 2 prime popolazioni a loro volta costituite da molte tribù, ebbe origine poi la popolazione nota come Centibera. Di antiche lingue paleoiberiche, oltre alle celtiberiche ricordiamo il basco che ancora oggi fa parte di quei regimi di bilinguismo in Spagna. Lingua dalle caratteristiche proprie che si formò a ridosso tra le cordigliere del nord e il mar cantabrico e la cui origine è definito paleoinderuopea. Tra i diversi apporto del substrato ricordiamo quelli greci e fenici. Gli apporti di questi popoli sul latino sono pochissimi più che altro legati alla toponomastica. Molta della toponomastica iberica ha origini molto antiche e i romani la recuperarono e la utilizzarono. La stessa parola IBERIA è una parola di origine centibera e trova la sua origine nel nome del fiume iber. [toponomastica: apporti di carattere lessicale]. Le caratteristiche fonetiche che esercitano sul latino, lo specifico della caduta della f iniziale in certe condizioni tipico dello spagnolo e del castigliano (filium – hijo); l’assenza della labio velare V (la pronuncia è sempre bilabbiale), la pronuncia della vibrante R è molto più fote. Il latino si diffonde nella penisola a partire dal 2 secolo a.C con l’espansione romana. (espansione= dal 2 al 3 sec a.C). l’espansione avviene con difficoltà a causa della resistenza locale, ma avviene in profondità. La cultura viene rafforzata dalla componente goto-germanica. Tra i diversi popoli arabi che all’altezza del 5 sec d.C invasero la penisola, il popolo visigoto arrivò in Spagna in realtà come esercito federato di Roma per cacciare gli altri popoli germanici e arrivava già romanizzato, e a un certo punto convertito anche al cristianesimo. Con il termine superstrato si intendono quegli apporti linguistici che vengono dopo la romanizzazione. L’apporto goto visigoto è irrilevante. Le parole germaniche presenti nei dialetti romanici della penisola iberica erano già presenti in latino (lessico relativo alla guerra ecc). di grande rilevanza come contributo del super strato fu l’influenza della lingua araba. Dato storico: All’inizio del 8 secolo la monarchia visigota p dilaniata da lotte intestine che vedono il confronto e lo scontro tra due fazioni opposte: quella legittima e quella usurpatrice del re Rodordico. Approfittano della debolezza dello stato una serie di tribù berbere. I berberi stanziano nelle coste Nord Occidentali dell’Africa e sotto la guida del comandante Tarik attraversano lo stretto di Gibilterra. Con questa invasione inizia la storia di Al Andalus, nome della Spagna araba cos’ come SEFARAD è il nome della Spagna ebraica. [ebrei sefarditi- ebrei spagnoli]. Sull’etimologia di Al Andalus ci sono molte ipotesi- sembrerebbe che abbiamo recuperato questo nome da un toponimo già presente- vandalice – al andalus. Al ndalus è un concetto molto mobile. Agli inizia della conquista, penetrarono rapidamente fino al nord senza incontrare resistenze. Non entrano in Francia perché vengono sconfitti nel 732 da Carlo Martello (Chanson de Roland). Si fermano quindi ai Pirenei. In origine nel 8 secolo al Andalus era quasi tutti il territorio spagnolo tranne le coste del Nord. Rapidamente si organizza una reconquista cristiana e gli stati del nord si vengono configurando e riacquisendo parte del territorio di al andalus. Fino ad arrivare nel 13 secolo quando abbiamo una Spagna divisa a metà: a nord la spagna cristiana e a sud al andalus. La convivenza in Al Andalus della cultura araba invasore e di quella cristiana e ebraica fu nei primi secoli molto armoniosa, tanto che anche questo è andato ad alimentare il mito della spagna medievale come la spagna delle 3 culture. Come si potè realizzare questo clima di convivenza pacifica? Intanto quando gli arabi arrivano in Spagna non incontrano resistenza. I Visigoti erano un manipolo di nobili e soldati che non si erano mai assimilati con i locali. Da tempi remoti in Spagna esisteva un nucleo di cultura e popolazione ebraica e anche in questo caso gli ebrei avevano vissuti da parte della nobiltà visigota, sopraffazioni e persecuzioni. Quando arrivano i musulmani sia la popolazione locale sia gli ebrei guardano con favore i nuovi invasori. Allo stesso tempo gli arabi seguendo il precetto del corano, ritennero di non poter convertire dei popoli //la gente del libro// la cui religione si basa su un libro sacro. C’è il rispetto per le altre culture e le altre religioni. I cristiani e gli ebrei vissero in Al Andalus rispettati nel loro culto e nelle loro lingue e proprietà. Questa convivenza pacifica era però dipesa dalla loro condizione di DIMNI. Chi erano i dimni? Erano la popolazione locale che accettava di vivere in Al Andalus in una condizione di tolleranza e pace, e che però dovevano pagare all’emiro o al califfo una dimna- un’imposta. Questo rapporto di pagamento di tributi in cambio di una convivenza pacifica non sarà solo proprio dello stato arabo ma governerà anche i rapporti tra i cristiani e gli arabi. Sulle origini della letteratura spagnola le ipotesi vigenti fino alla metà del 900 in realtà non riconoscevano la presenza di una lirica spagnola antica ma facevano nascere la letteratura spagnola con fa caso alla serie delle rime si nota una struttura molto ben congeniata. AA BBB AA CCC AA DDD AA EEE. Abbiamo quindi distico che si ripete a ogni fine strofa e invece un tristico AAA BBB CCC DDD EEE monorimo che cambia però la rima ad ogni strofa. Il distico rimane sempre con la stessa rima. (SEDA TENGAN- NIEGA ATORMENTA- ECC); cambia invece la rima dei tre versi iniziali della strofa (costituita da 5 versi in questo caso). Notiamo anche che tra il tristico e il distico a livello tematico cambia anche il registro. Diciamo che all’interno della muwassaha i primi tre versi sono destinati alla lode dell’amato, mentre i versi del ritornello sono di carattere narrativo. il tristico in spagnolo si chiama MODANZA, perché è una variazione. Le due strofette finali di ogni strofa si chiamano VUELTA quindi ritorno (in italiano ritornello); l’ultimo ritornello è la JARCHA. Siccome la stessa jarcha è stata trovata in muwassahe diverse, cosa possiamo dedurre? Possiamo suppore la preesistenza della jarcha prima di tutto (1). Una conseguenza di carattere formale è che tutto il sistema rimico della muwassaha dipende dalla jarcha. La rima AA parte da SACRELLA e AMBRELLA. Su quelle rime il poeta costruisce il sitema rimico delle vuelas e del preludio. 14/10: Letteratura Spagnola Mozarabe: i mozarabes erano i cristiani, una comunità- che vivevano in Al Andalus senza essersi convertiti all’Islam e quindi parlavano una lingua romanza. La lingua romanza dei testi- jarchas- prima manifestazione lirica almeno europea. In realtà dopo la dominazione araba, data la permanenza nel territorio di cristiani al sud e di arabi nel nord, si vengono a formare altri tipi di comunità definite ETNICO- RELIGIOSE, con un taglio culturale molto specifico. In Al Andalus oltre ai mozarabes esisto anche i muladì, parola con la quale invece ci si riferisce ai cristiani di Al Andalus che si convertono. La conversione o la non conversione all’Islam comportava il pagamento di una tassa. I mozarabes potevano permanere ma dovevano pagare al califfato una tassa. Si ebbe quindi un fenomeno massiccio di conversione e i cristiani convertiti erano per gli arabi (mori per la terminologia mauri) muladì, per i cristiani erano i rinnegati. La stessa cosa succede nelle regioni cristiane. Presenza di arabi non convertiti che mantengono la loro religione e presenza di arabi che si convertono al cristianesimo. Questo fu possibile per gli arabi fino al 1600. Per i cristiani fino al 1492, fino all’inquisizione. Dopo diciamo che tanto gli ebrei che gli arabi dovettero forzatamente convertirsi. Abbiamo poi le categorie dei Mudéjares. Arte mudejara caratterizzata da una mescolanza di elementi occidentali e orientali. La parola mudejar letteralmente vuol dire “adottato”, chi può permanere in territorio cristiano pagando anche qui una tassa. Mentra attraverso il fenomeno delle conversioni si forma la comunità dei moriscos, convertiti al cristianesimo. La comunità dei mozarabes o arabizzati è quella più importante dal punto di vista letterario. Introduciamo un altro lettere: letteratura aljamiada. Cosa vuol dire? Nella penisola iberica l’aljamia vuol dire “ghetto” in quanto che in alcuni casi gli ebrei e gli arabi nei territori cristiani e di al andalus vivevano fuori delle mura della città, in veri e propri ghetti. In principio i ghetti erano semplicemente i quartieri arabi o ebraici. Aljamiados sono i testi in una lingua romanza come il mozarabe, ma scritti in caratteri arabi o ebraici. Le jarchas sono letteratura aljamiada, perché come abbiamo visto si presenta con caratteri ebraici o arabi che celano una lingua invece di carattere romanzo- proveniente dal latino con presenze lessicali o fonetiche prestate dall’arabo. Le jarchas furono adottate poi anche dai musulmani, da chi parlava l’arabo e vivendo in una condizione di contatto con la lingua romanza, la impara. Abbiamo jarchas scritte al 90% in lingua romanza e in 10% in arabo e viceversa. Caratteristiche jarchas e muwassaha: la muwassaha è una composizione in lingua araba che nasce in Al Andalus. I conquistatori una volta stanziati in Spagna, producono una nuova forma di lirica diversa dalla Quasida della loro terra madre. La muwassaha è quindi una creazione autoctona in lingua araba. Comporta rispetto la poesia tradizionale araba delle novità: è una poesia di carattere qualitativo e non quantitativo (quantitativo= una poesia il cui ritmo si basa sulla quantità delle vocali che possono essere brevi o lunghe- la poesia qualitativa invece si basa sull’alternanza di vocali accentuate o no- toniche o atone). La seconda variazione è che la muwassaha è composta da versi brevi (la quasida 24-28 versi) ed è di carattere strofico. È organizzata in 4-5-6 strofe. Altre caratteristiche di questo testo in lingua araba è che può insistere su qualsiasi tema. Viene certamente privilegiata la tematica amorosa, ma può essere anche una poesia in lode, un panegirico, un’elegia e quindi si apre ad un ventaglio di temi. Una caratteristica specifica è che l’io lirico è sempre maschile e che il linguaggio impegnato è un registro alto, colto. La jarcha invece, che viene collocata alla fine della muwassaha, stabilisce con questa un bel contrasto in tutti i livelli. A livello linguistico prima di tutto in quanto si tratta di una lingua romanza; il secondo contrasto è legato al registro: la muwassaha adotta un registro colto mentre la jarcha presenta un registro popolare; [la lingua di una giovane fanciulla del popolo che piange per amore]; nella jarcha poi l’io lirico è sempre femminile; come e perché questi due testi entrano in contatto? Come è possibile congeniare il passaggio da un testo come la muwassaha con tutte le sue caratteristiche ad uno come la jarcha? Da un punto di vista strutturale, la sintesi avviene nei versi di transizione. In ogni jarcha nell’ultima strofa ci sono questi versi di transizione che permettono il passaggio da un tipo di testo all’altro. Le jarcha sono testimonianza di una poesia in lingua romanza di carattere orale probabilmente. Sono testimonianza di canti popolari in lingua romanza che esistevano in spagna da temi remotissimi (addirittura precedenti a quel 9 secolo al quale noi facciamo risalire le origini delle jarchas). Quando arrivarono gli arabi in spagna provenienti da una cultura superiore, apprezzano moltissimo queste canzoni e quindi le prendono come base di carattere rimico perché la jarcha stabilisce le basi delle rime che poi passeranno alla muwassaha. Da questo possiamo concludere che non sarebbe esistita la muwassaha se non fosse esistita la jarcha. Nel resto di Europa non ci fu una civiltà che si sovrappone all’incipiente formazione delle lingue europee, non ci fu una civiltà che si conservò. [però nel resto di Europa c’erano delle manifestazioni letterarie analoghe]. Riprendiamo l’analisi della muwassaha della scorsa volta: la composizione è un panegirico scritto in lode di una figura maschile. Potrebbe essere un testo di carattere omofilo o da attribuirsi una donna. Nel 1790 fu pubblicata una raccolta a cura di maria jesus rubiera amada che mette insieme una raccolta di poesie al femminile: poesia feminina ispano arabe. Si trattava di poetesse di Al Andalus che probabilmente lavorarono presso le corti del califfato e dell’emirato. Poetesse che come menestrelli cantavano le loro poesie, spesso in lode di personaggi nobili, in cambio di compenso. In questa poesia attraverso l’elogio della bellezza maschile, possiamo dire che nella cultura araba esistevano un amore platonico (udrì) e un amore più sensuale (ibaì). Questo tipo di sentimento per niente platonico è quello che caratterizza le jarchas. La muwassaha della volta scorsa inizia con un preludio, che indica il ritornello iniziale. Il grande teorico IBM SANA AL MULK spiega il significato della parola muwassaha e anche nel significato si capisce come la dimensione metaforica è molto forte: vuole dire o un doppio filo di perle o una collana dal doppio filo. Cosa indica questa duplicità? Metaforicamente rimanda alla costruzione rimica del testo che si alterna. Una di queste sequenze rimane sempre uguale (le rime iniziate dal preludio AA) […]. La prima strofa esordisce con la lode della bellezza maschile (tema estraneo alla cultura occidentale quasi fino ai giorni nostri). Notiamo che questa bellezza è descritta con dei canoni che sorprendono. La fanciulla o l’innamorato rompe con lo stereotipo orientale: l’uomo in causa è biondo e dall’incarnato chiaro. Si tratta di ricorrere a metafore per descrivere la bellezza, dimensione consueta (denti= perle; guance= rose); i capelli sono foglie d’oro- biondi, che scaturiscono da rami d’argento: fa riferimento all’incarnato. In termini realistici la spiegazione di questa bellezza così poco orientale sta nei conquistatori berberi che nell’iconografia corrente appaiono con capelli biondi e occhi azzurri. Il ritornello si modula su un linguaggio più mediato. Nella seconda strofa continua la lode dell’innamorato, ma questa volta se nella prima strofa procedeva per paragona con il mondo minerale, questa volta si passa al mondo vegetale. Quì abbiamo gigli, papaveri, la corniola. Bianco e di nuovo rosso. La serie degli elementi minerali e vegetali alludono a questo effetto coloristico di contrasto tra bianco e rosso. Nella vuelta non ci deve stupire che ci si riferisca all’innamorato con il termine gazella. Nella lirica araba questo termine indica una caratteristica della bellezza, eleganza e sinuosità. Qui si affaccia una delle componenti più frequenti di questa lirica la figura del censore, che si riferisce al controllo sociale. L’amore ovunque nasce è sempre un amore illecito che porta la possibilità dello scandalo e quindi la fanciulla lamenta la figura del censore e dei mormorii che possono nascere da chi si accorge di questa relazione. Aloje e algaria (scirocco-vento dal deserto e zibecco- profumo animale) elementi erotici ed esotici. Si passa dalle percezioni visive a percezioni di carattere olfattivo. La descrizione della bellezza si limita al volto e procede dall’alto verso il basso. Nella strofa successiva compare il nome dell’amato AJMED, nome parlante perché significa “colui che è degno di lode” e contiene dentro di sé le qualità del personaggio stesso. Si continua a esaltarne la bellezza, lo sguardo le ciglia folte che feriscono come frecce. È presente una delle metafore più frequenti del linguaggio amoroso: la ferita d’amore. Nella strofa quarta si passa da questo tipo di stereotipo ad un altro tema ricorrente in cui si parla di amore come malattia. L’amato è medico perché può curare ricambiando l’amore e l’innamorato invece è il paziente perché soffre d’amore. Nei ritornelli rispetto alle strofe, ai tristici monorimi, è presente la dimensione narrativa del testo. Nelle mudanzas si evidenzia la dimensione lirica. La quinta strofa costituisce la strofa di transizione. Qui termina la celebrazione della beltà maschile, questa esaltazione della sua bellezza e arriva una fanciulla. Qui usciamo totalmente dal campo metaforico. A partire da questo momento la jarcha- ??. la jarcha si articola come una semplice e pura esclamazione “madre, che bellezza sotto la zazzera bionda il collo bianco e la boccuccia rossa!” una semplice esternazione della giovane bambina che si rivolge alla madre. La caratteristica della jarcha spesso è quella di costruirsi come un’apostrofe, sempre rivolta ad un tu. Spesso è la madre, o le sorelline alle quali si rivolge con domanda, esclamativa alle quali non c’è mai risposta. Analisi testo pag 16 antologia: sequenza di 5 strofe con preludio; i versi sono scritti in successione e non in forma strofica tradizionale. Il preludio in questo caso ha effettivamente una costruzione di carattere tradizionale. Interrogativa retorica di un io lirico maschile che si lamenta di non essere ricambiato o essere stato abbandonato dalla fanciulla. Troviamo ancora la fauna esotica (la gazella); CHI MI RESTITUIRA’ LA MIA GAZZELLA CHE I LENI CACCIANO NEI CANNETI? MIA DEBITRICE QUANDO IO ASPETTAVO DA LEI CHE MI RESTITUISSE I FAVORI”: La costruzione è molto metaforica. L’amante che lamenta l’abbandono o l’irriconoscenza della fanciulla in un contesto in cui il signore non è ricambiato dalla gazella esclava. Nella strofa 1 si descrive la condizione dell’amante prostrato, arreso di fronte a colei che non lo ricambia. In un certo senso la donna in questa composizione corrisponde alla figura dell’innamorata tiranna che nella lirica provenzale viene definita la bella dama poco gentile. La strofa uno recita così: “per quello che la riguarda affidai il mio destino nell’altalenanza della speranza e del desiderio” l’amante che si arrende a un desiderio che lo sopraffà e che lo confina psicologicamente in una condizione di sperare e desiderare “Non ho manifestato la mia disperazione quando lei prolungò l’ingiustizia (di non ricambiarlo) ma mi sono detto cuore mio proteggila da un cattivo pensiero e tu anima rasserenati. Tu che rimandi il tuo ritorno […]. “c’è un’alternanza di interlocutori. La donna amata, l’amore ecc. la condizione qui descritta è quindi di una totale resa. Nelle strofe 2 e 3 si descrivono le caratteristiche dell’amore e del sentimento amoroso. Queste avvengono attraverso uno stereotipo frequente: considerare l’amore come il luogo dove coincidono tutti i contrati lirica popolare senza però esserlo. Anche qui per capire in cosa si differenzia la lirica popolareggiante da quella popolare dobbiamo ragionare sulla genesi. Se la genesi della jarchas vive nell’anonimato, la lirica popolareggiante è sempre d’autore. Come è trasmessa? È trasmessa da codici scritti. Se parliamo di codici scritti parliamo di manoscritti, in alcuni casi autografi e in altri casi copie. Il fatto che un testo sia fissato sullo scritto comporta che tendenzialmente non viva in varianti come quello orale. Se noi diciamo che le cantigas de amigo sono lirica popolareggiante, che imita la poetica popolare, dobbiamo definire le caratteristiche le caratteristiche di questa poetica. È necessario dire che non esiste una poetica formalizzata, non abbiamo un trattato di poeti musulmani o mozarabi che ci descrivano le caratteristiche di questi testi. [Per i poeti di Al Andalus la jarcha era il cuore della composizione: sal, ambar y azucar] Jarcha n.2 pag. 20: Oh Madre mia dulce Al rayo de la manana Viene Abu l hayay Con su cara d auore. O mamma mia dolce al far del mattino arriva Abu … con il suo volto di aurora!. Anche qui ritroviamo il personaggio della madre al quale la fanciulla si rivolge, e l’esclamativa AY. Riconosciamo quindi l’abbondanza di esclamative che danno l’impressione di un sentimento immediato. A livello di contenuti il sentimento di amore espresso nelle jarchas non è sottoposto a un’analisi di tipo introspettivo. Sono poi (jarchas) sempre testi in cui è presente sempre un confidente: questa figura dell’apostrofe che individua un destinatario ideale collocato all’interno del testo si struttura in una serie di confidenti (mamma in questo caso). Si dice che le jarcha sono espressione di un ambiente urbano nella sua domesticità: apostrofe alla madre. Subito dopo segue una brevissima narrazione. In particolare questa jarcha appartiene a quella serie che anche nella lirica poi galego portoghese veniva definita Albas o Alboradas che descrivono un incontro d’amore sul far dell’alba o la separazione dei due amanti sul far dell’alba. Senza subbio ci troviamo in questo tipo di contesto: “ Al rayo de la manana”. Anche qui compare il nome dell’amante. Molto più frequentemente l’innamorato viene chiamato HABIBI (il signore ma molto spesso viene chiamato anche con il suo nome proprio. Abbiamo poi il paragone tra il volto dell’amato e il volto del sole. Si tratta di una dimensione testuale molto incisiva e molto concentrata. A queste caratteristiche di concentrazione e incisività di messaggio, coincidono delle scelte. L’inizio ex abruto: il testo ci viene narrato senza antefatti e non segue scioglimento alcuno. È un frammento di vita, brevissimo. Questa poesia popolare vive nella sintesi, di un sentimento molto semplice manifestato con un linguaggio altrettanto semplice composto di alcuni sostantivi, una scarsissima aggettivazione e tutto modulato sul registro colloquiale pertinente a una giovane fanciulla. A livello formale di nuovo tutto si svolge nella manifestazione testuale estremamente breve: la quartina, cuarteto. [si chiama così perché è composto da versi di arte meno, in italiano abbiamo quartina femminile mentre in spagnolo indichiamo maschile se sono di arte minore e cuarteta se i versi sono di arte mayor]. Jarcha n. III: Tanto amar, tanto amar, amigo, tanto amar, ojos sanos quedaron enfermos y ahora duelen tanto: tanto amare tanto amare amico tanto amare, gli occhi sano si ammalarono e mi fanno tanto male. La metafora qui è quella della malattia d’amore. Notiamo qui un’altra caratteristica della lirica popolare: la ripetizione. In questo caso la figura della ripetizione è un parallelismo. Anche qui troviamo il confidente che non è la mamma ma è il habibi, l’amigu della lirica galego portoghese che poi sta per amato. Segue la descrizione della malattia d’amore. Anche in questo caso siamo di fronte a un cuarteto. Jarcha n.4: di nuovo troviamo il cnfidente che in questo caso sono le sorelline. Sempre il nucleo familiare, un’apostrofe di tipo plurale anzi in questo caso si rivolge alle sorelline con due interrogative retoriche. È un’interrogativa retorica evasa dal testo. Se l’interlocutore è richiamato più volte nel testo vuol dire che è un interlocutore silente. La seconda domanda è indiretta e lasciata aperta. Anche questa è una quartina dalle rime alterne. Sono tutti ottosillabi però. C’è quindi maggiore reolarità. 14/10: Letteratura Spagnola Mozarabe: i mozarabes erano i cristiani, una comunità- che vivevano in Al Andalus senza essersi convertiti all’Islam e quindi parlavano una lingua romanza. La lingua romanza dei testi- jarchas- prima manifestazione lirica almeno europea. In realtà dopo la dominazione araba, data la permanenza nel territorio di cristiani al sud e di arabi nel nord, si vengono a formare altri tipi di comunità definite ETNICO- RELIGIOSE, con un taglio culturale molto specifico. In Al Andalus oltre ai mozarabes esisto anche i muladì, parola con la quale invece ci si riferisce ai cristiani di Al Andalus che si convertono. La conversione o la non conversione all’Islam comportava il pagamento di una tassa. I mozarabes potevano permanere ma dovevano pagare al califfato una tassa. Si ebbe quindi un fenomeno massiccio di conversione e i cristiani convertiti erano per gli arabi (mori per la terminologia mauri) muladì, per i cristiani erano i rinnegati. La stessa cosa succede nelle regioni cristiane. Presenza di arabi non convertiti che mantengono la loro religione e presenza di arabi che si convertono al cristianesimo. Questo fu possibile per gli arabi fino al 1600. Per i cristiani fino al 1492, fino all’inquisizione. Dopo diciamo che tanto gli ebrei che gli arabi dovettero forzatamente convertirsi. Abbiamo poi le categorie dei Mudéjares. Arte mudejara caratterizzata da una mescolanza di elementi occidentali e orientali. La parola mudejar letteralmente vuol dire “adottato”, chi può permanere in territorio cristiano pagando anche qui una tassa. Mentra attraverso il fenomeno delle conversioni si forma la comunità dei moriscos, convertiti al cristianesimo. La comunità dei mozarabes o arabizzati è quella più importante dal punto di vista letterario. Introduciamo un altro lettere: letteratura aljamiada. Cosa vuol dire? Nella penisola iberica l’aljamia vuol dire “ghetto” in quanto che in alcuni casi gli ebrei e gli arabi nei territori cristiani e di al andalus vivevano fuori delle mura della città, in veri e propri ghetti. In principio i ghetti erano semplicemente i quartieri arabi o ebraici. Aljamiados sono i testi in una lingua romanza come il mozarabe, ma scritti in caratteri arabi o ebraici. Le jarchas sono letteratura aljamiada, perché come abbiamo visto si presenta con caratteri ebraici o arabi che celano una lingua invece di carattere romanzo- proveniente dal latino con presenze lessicali o fonetiche prestate dall’arabo. Le jarchas furono adottate poi anche dai musulmani, da chi parlava l’arabo e vivendo in una condizione di contatto con la lingua romanza, la impara. Abbiamo jarchas scritte al 90% in lingua romanza e in 10% in arabo e viceversa. Caratteristiche jarchas e muwassaha: la muwassaha è una composizione in lingua araba che nasce in Al Andalus. I conquistatori una volta stanziati in Spagna, producono una nuova forma di lirica diversa dalla Quasida della loro terra madre. La muwassaha è quindi una creazione autoctona in lingua araba. Comporta rispetto la poesia tradizionale araba delle novità: è una poesia di carattere qualitativo e non quantitativo (quantitativo= una poesia il cui ritmo si basa sulla quantità delle vocali che possono essere brevi o lunghe- la poesia qualitativa invece si basa sull’alternanza di vocali accentuate o no- toniche o atone). La seconda variazione è che la muwassaha è composta da versi brevi (la quasida 24-28 versi) ed è di carattere strofico. È organizzata in 4-5-6 strofe. Altre caratteristiche di questo testo in lingua araba è che può insistere su qualsiasi tema. Viene certamente privilegiata la tematica amorosa, ma può essere anche una poesia in lode, un panegirico, un’elegia e quindi si apre ad un ventaglio di temi. Una caratteristica specifica è che l’io lirico è sempre maschile e che il linguaggio impegnato è un registro alto, colto. La jarcha invece, che viene collocata alla fine della muwassaha, stabilisce con questa un bel contrasto in tutti i livelli. A livello linguistico prima di tutto in quanto si tratta di una lingua romanza; il secondo contrasto è legato al registro: la muwassaha adotta un registro colto mentre la jarcha presenta un registro popolare; [la lingua di una giovane fanciulla del popolo che piange per amore]; nella jarcha poi l’io lirico è sempre femminile; come e perché questi due testi entrano in contatto? Come è possibile congeniare il passaggio da un testo come la muwassaha con tutte le sue caratteristiche ad uno come la jarcha? Da un punto di vista strutturale, la sintesi avviene nei versi di transizione. In ogni jarcha nell’ultima strofa ci sono questi versi di transizione che permettono il passaggio da un tipo di testo all’altro. Le jarcha sono testimonianza di una poesia in lingua romanza di carattere orale probabilmente. Sono testimonianza di canti popolari in lingua romanza che esistevano in spagna da temi remotissimi (addirittura precedenti a quel 9 secolo al quale noi facciamo risalire le origini delle jarchas). Quando arrivarono gli arabi in spagna provenienti da una cultura superiore, apprezzano moltissimo queste canzoni e quindi le prendono come base di carattere rimico perché la jarcha stabilisce le basi delle rime che poi passeranno alla muwassaha. Da questo possiamo concludere che non sarebbe esistita la muwassaha se non fosse esistita la jarcha. Nel resto di Europa non ci fu una civiltà che si sovrappone all’incipiente formazione delle lingue europee, non ci fu una civiltà che si conservò. [però nel resto di Europa c’erano delle manifestazioni letterarie analoghe]. Riprendiamo l’analisi della muwassaha della scorsa volta: la composizione è un panegirico scritto in lode di una figura maschile. Potrebbe essere un testo di carattere omofilo o da attribuirsi una donna. Nel 1790 fu pubblicata una raccolta a cura di maria jesus rubiera amada che mette insieme una raccolta di poesie al femminile: poesia feminina ispano arabe. Si trattava di poetesse di Al Andalus che probabilmente lavorarono presso le corti del califfato e dell’emirato. Poetesse che come menestrelli cantavano le loro poesie, spesso in lode di personaggi nobili, in cambio di compenso. In questa poesia attraverso l’elogio della bellezza maschile, possiamo dire che nella cultura araba esistevano un amore platonico (udrì) e un amore più sensuale (ibaì). Questo tipo di sentimento per niente platonico è quello che caratterizza le jarchas. La muwassaha della volta scorsa inizia con un preludio, che indica il ritornello iniziale. Il grande teorico IBM SANA AL MULK spiega il significato della parola muwassaha e anche nel significato si capisce come la dimensione metaforica è molto forte: vuole dire o un doppio filo di perle o una collana dal doppio filo. Cosa indica questa duplicità? Metaforicamente rimanda alla costruzione rimica del testo che si alterna. Una di queste sequenze rimane sempre uguale (le rime iniziate dal preludio AA) […]. La prima strofa esordisce con la lode della bellezza maschile (tema estraneo alla cultura occidentale quasi fino ai giorni nostri). Notiamo che questa bellezza è descritta con dei canoni che sorprendono. La fanciulla o l’innamorato rompe con lo stereotipo orientale: l’uomo in causa è biondo e dall’incarnato chiaro. Si tratta di ricorrere a metafore per descrivere la bellezza, dimensione consueta (denti= perle; guance= rose); i capelli sono foglie d’oro- biondi, che scaturiscono da rami d’argento: fa riferimento all’incarnato. In termini realistici la spiegazione di questa bellezza così poco orientale sta nei conquistatori berberi che nell’iconografia corrente appaiono con capelli biondi e occhi azzurri. Il ritornello si modula su un linguaggio più mediato. Nella seconda strofa continua la lode dell’innamorato, ma questa volta se nella prima strofa procedeva per paragona con il mondo minerale, questa volta si passa al mondo vegetale. Quì abbiamo gigli, papaveri, la corniola. Bianco e di nuovo rosso. La serie degli elementi minerali e vegetali alludono a questo effetto coloristico di contrasto tra bianco e rosso. Nella vuelta non ci deve stupire che ci si riferisca all’innamorato con il termine gazella. Nella lirica araba questo termine indica una caratteristica della bellezza, eleganza e sinuosità. Qui si affaccia una delle componenti più frequenti di questa lirica la figura del censore, che si riferisce al controllo sociale. L’amore ovunque nasce è sempre un amore illecito che porta la possibilità dello scandalo e quindi la fanciulla lamenta la figura del censore e dei mormorii che possono nascere da chi si accorge di questa relazione. Aloje e algaria (scirocco-vento dal deserto e zibecco- profumo animale) elementi erotici ed esotici. Si passa dalle percezioni Nella Spagna Nord Orientale si sviluppa la lirica in lingua catalana. È strettamente legata alla letteratura occitanica. In un primo momento addirittura in quella regione a nord confinante con la catalogna francese si esprime in lingua d’oc. Il periodo di tempo è a cavallo tra il 13-14 secolo. Molto più complesso è il sistema lirico galego portoghese. In questo caso non parliamo tanto di lingua quanto di coinè linguistica. Il galego portoghese nasce in quella regione estrema settentrionale della spagna che è la Galizia e nel nord del portogallo, ma in realtà in questa lingua si espressero anche molti trovatori castigliani. Quando quindi noi ne parliamo ne parliamo in quanto fu la lingua in cui si espresse la lirica colta castigliana. Fu adottata subito dai poeti della corte di Alfonso X il sabio (1221 1285), dai poeti della corte di suo figlio che regna fino al 1296 e da una serie di poeti di corte insieme agli stessi re. È importante sapere quindi che lo stesso re Alfonso X scrisse le sue cantigas de Santa Maria, un codice letterario di poesia che come dice il nome è poesia sacra in lode della vergine e dei suoi miracoli, in lingua galego portoghese detta anche lingua galizano portoghese. Da questo ne deriva che non possiamo parlare di lingua strettamente ma di una coinè linguistica, lingua artificiale e letteraria che ha certo origine in certe regioni ma che poi si diffonde come lingua colta. Nasce a partire dal 13 secolo con dei canzonieri che la raccolgono ma anche più tardivi. Questa lingua e la sua letteratura convivono con un’altra espressione lirica che sono i VILLANCICOS, brevi canzoncine nel dialetto castigliano. I villancicos sono costruiti imitando la poesia popolare. Questi due generi corrispondono per certi versi al genere colto e popolare. Le prime attestazioni di questo genere risalgono al 15 secolo. Il fatto che ci siano pervenute così tardi, non vuol dire che non abbiano avuto una vita precedenze. Possiamo ipotizzare anche qui un periodo di latenza, ma i famosi canzonieri sono del 15 secolo. È importante ragionare su questi generi perché hanno moltissime caratteristiche in comune. Il fatto che questi 3 generi abbiano tante caratteristiche in comune cosa ha fatto supporre hai filologi e agli studiosi? (Pelayo, Pidal ecc) Ha fatto supporre una origine genetica in comune. Ramon M. De Pidal coniò questa espressione: disse che le jarchas, la lirica galego portoghese nelle sue cantigas de amigo e i villancicos sono tres ramas de un mismo tronco. con questa espressione il tronco immaginato da Pidal vuol dire una precedente cultura, lirica presente nella penisola iberica prima delle jarchas che informò seppure in periodi diversi (subito recepita dai poeti musulmani e tardivamente apprezzata nelle corti castigliane e quindi trascritta) che ha trovato espressione in questi 3 diversi filoni. Una lirica nella quale una fanciulla appenata per sofferenze amorose intona un canto non è specifica solo dell’area iberica ma appartiene all’intera Europa e addirittura di alcune zone orientale dell’antico Egitto. Questo sta a significare che probabilmente la genesi della poesia è in generale affidata al canto e che la prima espressione di questo canto è quello femminile. È molto importante distinguere due concetti a proposito della lirica analizzata: una lirica di tipo popolare e una lirica di tipo popolareggiante. In cosa si differenzia una lirica popolare (jarchas) da una popolareggiante (cantigas de amigo)? Si distinguono soprattutto per due aspetti. Il primo è quello della genesi e il secondo è quello della trasmissione. Per la lirica popolare le jarchas sono un genere anonimo, che non vuol dire che non ci sia stato un autore, ma i filologi tedeschi pararono di “nature poesie” ovvero quella lirica per la quale dobbiamo comunque presuppore un’origine di autore il quale però si oggettivizza nel testo. Il testo prodotto viene subito affidato alla comunità che ne diventa l’unico vero proprietario. Questo influenza il testo che a quel punto vive in varianti testuali, essendo cantato e quindi soggetto a tante modifiche quanti sono gli interpreti. Influenza però anche la trasmissione che è orale. Il termine più adatto per parlare di trasmissione è “tradizionale”, che vive nella tradizione. Si parla quindi di testi tradizionali. Se noi ragioniamo invece sulla lirica popolareggiante, soprattutto le cantigas de amigo, ci chiediamo intanto cosa vuol dire popolareggiante: vuol dire che imita la lirica popolare senza però esserlo. Anche qui per capire in cosa si differenzia la lirica popolareggiante da quella popolare dobbiamo ragionare sulla genesi. Se la genesi della jarchas vive nell’anonimato, la lirica popolareggiante è sempre d’autore. Come è trasmessa? È trasmessa da codici scritti. Se parliamo di codici scritti parliamo di manoscritti, in alcuni casi autografi e in altri casi copie. Il fatto che un testo sia fissato sullo scritto comporta che tendenzialmente non viva in varianti come quello orale. Se noi diciamo che le cantigas de amigo sono lirica popolareggiante, che imita la poetica popolare, dobbiamo definire le caratteristiche le caratteristiche di questa poetica. È necessario dire che non esiste una poetica formalizzata, non abbiamo un trattato di poeti musulmani o mozarabi che ci descrivano le caratteristiche di questi testi. [Per i poeti di Al Andalus la jarcha era il cuore della composizione: sal, ambar y azucar] Jarcha n.2 pag. 20: Oh Madre mia dulce Al rayo de la manana Viene Abu l hayay Con su cara d auore. O mamma mia dolce al far del mattino arriva Abu … con il suo volto di aurora!. Anche qui ritroviamo il personaggio della madre al quale la fanciulla si rivolge, e l’esclamativa AY. Riconosciamo quindi l’abbondanza di esclamative che danno l’impressione di un sentimento immediato. A livello di contenuti il sentimento di amore espresso nelle jarchas non è sottoposto a un’analisi di tipo introspettivo. Sono poi (jarchas) sempre testi in cui è presente sempre un confidente: questa figura dell’apostrofe che individua un destinatario ideale collocato all’interno del testo si struttura in una serie di confidenti (mamma in questo caso). Si dice che le jarcha sono espressione di un ambiente urbano nella sua domesticità: apostrofe alla madre. Subito dopo segue una brevissima narrazione. In particolare questa jarcha appartiene a quella serie che anche nella lirica poi galego portoghese veniva definita Albas o Alboradas che descrivono un incontro d’amore sul far dell’alba o la separazione dei due amanti sul far dell’alba. Senza subbio ci troviamo in questo tipo di contesto: “ Al rayo de la manana”. Anche qui compare il nome dell’amante. Molto più frequentemente l’innamorato viene chiamato HABIBI (il signore ma molto spesso viene chiamato anche con il suo nome proprio. Abbiamo poi il paragone tra il volto dell’amato e il volto del sole. Si tratta di una dimensione testuale molto incisiva e molto concentrata. A queste caratteristiche di concentrazione e incisività di messaggio, coincidono delle scelte. L’inizio ex abruto: il testo ci viene narrato senza antefatti e non segue scioglimento alcuno. È un frammento di vita, brevissimo. Questa poesia popolare vive nella sintesi, di un sentimento molto semplice manifestato con un linguaggio altrettanto semplice composto di alcuni sostantivi, una scarsissima aggettivazione e tutto modulato sul registro colloquiale pertinente a una giovane fanciulla. A livello formale di nuovo tutto si svolge nella manifestazione testuale estremamente breve: la quartina, cuarteto. [si chiama così perché è composto da versi di arte meno, in italiano abbiamo quartina femminile mentre in spagnolo indichiamo maschile se sono di arte minore e cuarteta se i versi sono di arte mayor]. Jarcha n. III: Tanto amar, tanto amar, amigo, tanto amar, ojos sanos quedaron enfermos y ahora duelen tanto: tanto amare tanto amare amico tanto amare, gli occhi sano si ammalarono e mi fanno tanto male. La metafora qui è quella della malattia d’amore. Notiamo qui un’altra caratteristica della lirica popolare: la ripetizione. In questo caso la figura della ripetizione è un parallelismo. Anche qui troviamo il confidente che non è la mamma ma è il habibi, l’amigu della lirica galego portoghese che poi sta per amato. Segue la descrizione della malattia d’amore. Anche in questo caso siamo di fronte a un cuarteto. Jarcha n.4: di nuovo troviamo il confidente che in questo caso sono le sorelline. Sempre il nucleo familiare, un’apostrofe di tipo plurale anzi in questo caso si rivolge alle sorelline con due interrogative retoriche. È un’interrogativa retorica evasa dal testo. Se l’interlocutore è richiamato più volte nel testo vuol dire che è un interlocutore silente. La seconda domanda è indiretta e lasciata aperta. Anche questa è una quartina dalle rime alterne. Sono tutti ottosillabi però. C’è quindi maggiore regolarità. Jarcha n5: Un termine arabo che sta per il nome di Dio: Allah in questo caso. Questo oh signore o Dio” indica un interlocutore superiore. Una invocazione del tutto astratta in questo caso. Jarcha n6-7: Qui ci troviamo davvero in una costruzione in cui il concetto di sintesi e di poetica della brevità è evidente. Entrambi i testi sono dei distici. Il termine distico nella lingua spagnola si dice PAREADO. Sono due jarcha costruiti con due pareados con rima baciata. La prima si invoca alla mamma con una interrogativa retorica. Incertezza legata anche alla giovane età. Nella seconda forse si tratta di un io lirico più esperto perché dice FOME SE FOSSI TU UNO STRANIERO NON DORMIRÒ PIÙ SUL MIO LETTO. Qui l’interlocutore è l’habibi, non presente concretamente. Legge ora un testo per poter apprezzare quali sono gli elementi che visti qui sono presenti anche in una cantina de amigo. Questa volta la lingua sarà il galego portoghese. (Pag. ) Martin Corrads fu uno dei primi a scrivere le cantigas de amigo. Quali sono le caratteristiche in comune tra jarcha e cantiga? O Dio se sapesse ora il mio AMICO come io sola sono amico. Oddio se sapesse ora il mio amato come io AMICO sola rimango e sono innamorata. Come io sola sono amico e nessuna guardia e con me che sono innamorata. Come io amico sola rimango e nessuna guardia con me ho e sono innamorata. E nessuna guardia con me ho se non gli occhi che piangono e sono innamorata. Gli elementi in comune sono molti. Intanto di nuovo si tratta di un canto posto in bocca ad una fanciulla che si lamenta di essere sola, quindi che il suo amato(amico) non c’è. Qui anche non sappiamo chi lui sia, dove sia e perché non ci sia. Anche in questo senso non abbiamo antefatto ed epilogo. Altro elemento comune è quel OH DIO. Qui anche c’è un interlocutore ideale. Anche questa cantiga si costruisce come una apostrofe. Ovviamente questo testo dal punto di vista dell’elaborazione formale è molto diverso. E più elaborato rispetto alle jarchas: sono sei strofe con estribillo. Ci sono poi delle strutture retoriche di ripetizione piú complesse. Da questo capiamo che questo testo non nasce nell’oralità ma nella scrittura e infatti ci è stato tramandato da codici scritto. Nonostante sia più elaborato mantiene quelle qualità di lirica popolare come ad esempio per il lessico. Un lessico minimo e di carattere ripetitivo. Se noi dovessimo quindi fare un bilancio tra costanti e varianti diremmo che il 90% del testo è affidato alla ripetizione. Certamente con una costruzione formale e narrativa diversa. Questo contenuto è delle sue prime strofe: sono sola vorrei farglielo sapere. Poi ci sono le strofe 3 e 4 che suppongono un’altra riformazione della struttura narrativa e dice che ha dei guardiani. Già nelle muwassaha avevamo notato perché c’erano dei censori. Dice sono sola e non ci sono i guardiani per dire che sarebbe veramente un momento molto propizio. Per finire questa esile linea della narrazione cosa succede? Lui viene o no? Lei piange nelle ultime strofe: “ma sono sola ed ho solo i miei occhi che piangono con me.” L’amato tanto desiderato non viene. Quindi è un testo molto ripetitivo, basato su una narrazione molto esile come quella della jarcha però costruito su una dimensione testuale più complessa, che per certi versi ricorda quella delle muwassha (ogni strofa si chiude con un estribillo) perché? Perché anche le cantigas erano destinate al canto e al ballo e si basavano sull’alternanza di 2 voci: LA PRIMA ERA QUELLA DELLA strofa e ad essa si sovrapponeva un passo di danza e la seconda cantava il ritornello. Dal punto di vista formale notiamo molte figure della ripetizione, molti parallelismi (ahi deus se sabora meu amigu … vv. 1 della seconda strofa)- una struttura fortemente parallelistica con una semplice variazione che avviene nella parola rima, estremamente frequente nella cantiagas de amigu. Altri parallelismi presenti si incontrano per esempio nel 1 vv della 3 e 4 strofa: como [..] sono parallelismi con un’inversione di termini. Oltre a questi tipi di ripetizione, nelle cantigas de amigu si stabilisce un tipo di gioco tra i versi che nella retorica delle cantigas di chiama LEISC A REN (in italiano LASCIA E PRENDI). Cosa si lascia e cosa si perde? Le strofe 3 e 4 sono costruite in questo modo: si lascia il primo verso della prima strofa e nella strofa 3 si ripete il 2 verso della prima strofa: COME EU SEIGNERA ESTOY EN VIGU (?). poi il primo verso della 4: SI LASCIA IL PRIMO verso della 2 strofa e si prende il primo verso della 2 strofa. Nella quarta strofa succede la stessa cosa. La seconda strofa lascia il 1 verso della seconda e ripete il secondo verso della seconda strofa che per un gioco di parole diventa primo verso della 4 strofa. Succede la stessa cosa nelle strofe 5 e 6? Si. Quindi possiamo concludere dicendo che è una struttura a intreccio. Altra informazione importante rigaurda come queste opere ci sono arrivate: ci sono giunte attraverso 5 canzonieri, in portoghese cancioneiros. I canzonieri in area iberica, sono delle raccolte per lo più collettaneo, che raccoglievano in codici le poesie del tempo. In realtà a parte per alcuni canzoniere che sono coevi nella maggior parte dei casi i canzonieri che abbiamo sono copie di copie. Il più antico di questi 5 canzonieri risale al 1280 ed è il canzoniere del Ajuda. Prendono il nome dei luoghi in cui sono conservati- è importantissimo perché è il primo anche se vi sono presenti solo cantigas de amor. Di cantigas de amigo ne troviamo in due canzonieri successivi, del 16 secolo che però in confrotno con il primo canzoniere raccolgono poesie del 13 secolo. Questi sono il canzoniere COLOCCI e BRANCUTI. Si chiama coloci perché fu allestito nel 1500 da un famoso umanista italiano che si chiama Angelo Colocci. Nel 19 secolo passò ad appartenere al conte Paolo Brancuti, il quale a sua volta lo vendette a un famoso filologo italiano Ernesto Monaci. In questo canzoniere sono contenuti tutti e 3 i generi. Nel terzo canzoniere è quello della biblioteca vaticana, canzoniere conservato nella biblioteca vaticana e scoperto solo nel 1898 da un famoso filologo Fernando Wolfe. Oltre a queste tre opere collettanee, sono stati scoperti dei canzonieri individuali. Il primo è la pergamena Vindel, che era un libraio che scopre casualmente nei primi anni dl 900 che un’edizione del de officis di cicerone che presentava una copertina, quando la toglie scopre che era stata fatta con una pergamena che era un canzoniere di un poeta galego potroghese. La sua particolarità è di essere l’unico ad avere una annotazione musicale. È l’unico ad averlo ed è molto importante dato che nascevano per essere in musica. La sequenza delle 7 cantgas di Martin Codax è uguale in tutti e tre i codici prima citati. Questo è importante: probabilmente queste 7 cantigas nel cui stesso ordine compaiono i canzonieri, erano pensate per un tipo di esecuzione essendo la pergamena una sorta di copione che si usava nei mometni della recita. Ci illuminano anche sulla produzione di altri trovatori: possiamo anche dedurre che la produzione di altri trovatori potesse anchenel loro caso rispondere a un’organizzazione relativa a un’unica esecuzione. Nel 1990 viene scoperto un nuovo pergamino: pergamino SHARRER perché rinvenuto da LEO SHARRER. Egli ritrova in una biblioteca portoghese di nuovo in dei codici notarili in una copertina che salvaguardava un’altra pergamena di cantigas firmate da Don Dinish. L’importanza di queste due pergamene è che ci conferma una certa informazione sulla loro trasimissione: quelle che nella letteratura portoghese si chiamano pliegos, che indica un codice di piccole dimensioni, de cordel. Il cordel è una cordina- probabilmente nelle piazze forse proprio quando avveniva l’esecuzione si appendevano le pergamene che veicolavano una trasmissione anche popolare- una circolazione più ampia. Ci testimoniano il tipo di tradizione che avviene con il pliegos de cordel. MARTIN CODAX: non abbiamo nessuna fonte documentale. Quello che sappiamo di lui lo sappiamo attraverso la lettura dei suoi testi. Gli studiosi si comportarono leggendo questi testi e da questi desumere alcune informazioni di carattere biografico. Altro elemento a loro disposizione era la calligrafia. Viene collocato nei primi decenni del secolo 15° . PAGINA 32: I: è una pena di amore irrisolta. Le informazioni biografiche che potremmo trarre quali sono? - È presente una città: Vigo. Siccome la città di Vigo è molto presente nelle cantigas di Martin Codax, si potrebbe supporre che lui provenisse da lì. È molto importante sapere che le cantigas de amigo si dividono in: - Barcarolas o Marineiras dove il contesto è marino; - Cantigas de Romerias, dove il romero è il pellegrino. In questo genere è sempre presente il luogo della chiesa, il pellegrinaggio. - Albas: indicano un contesto cronologico, l’incontro o la separazione degli amanti sul far dell’alba. Se per le jarchas si parla di poesia urbana che nasce nei centri cittadini, questo non vale per le cantigas caratterizzate da questo contesto bucolico agreste. II: Si ripetono gli stessi versi. Questa percezione di ripetizione continua si basa sull’uso di due strategie retoriche: (1) il parallelismo, che nelle cantigas si distingue in perfetto (1° verso 2° strofa: “quantas sabedes amar amadu”- ripetizone degli stessi termini, non solo della stessa struttura sintattica, con la variazione magari della parola rima) e imperfetto. A un certo punto al parallelismo perfetto si sostituisce la tecnica del lascia e prendi, che consiste nell’aprire la terza strofa con il 2° verso della 1° strofa e poi aprire la 4° strofa con il secondo verso della 2° strofa. Le cantigas hanno 8 versi, che sono divisi in distici seguiti da un ritornello. La cantiga costruita con distici a rima baciata o pareados più ritornello è l’unica coltivata da martin codax. Insieme all’analisi scritturale, insieme a queste informazioni e alle rime arcaiche I-O o A-O. nel caso di martn coadax non dovremmo parlare di trovatore ma di GIULLARE, perché nella lirica galego portoghese si differenziano trovatore, interprete di ceto nobile, e giullare, che appartiene ai non nobili. III: non è una cantiga marinara ma l’ambientazione è comunque bucolico; Analisi: Troviamo quasi le stesse strutture con delle varianti interessanti. Ogni sezione è forata da 2 strofe: le prime due sono accomunate dallo stesso tipo di racconto. La caratteristica della 1° strofa è che è femminile e quella della 2° è che è maschile. Questo comporta anche rime femminili nella prima strofa e rime maschili nella 2°- l’io lirico anche qui è una fanciulla che descrive un contesto bucolico, con i cervi. I cervi e le cerve simboleggiano i due amati. C’è una trasposizione metaforica: una cerva e un cervo che corrono come se fossero due innamorati. Nelle strofe 3° e 4° c’è il tema della fonte e del lavaggio dei capelli. Sono riti di carattere afrodisiaco e legati alla fertilità (acqua, fontana,). I capelli sciolti indicano la verginità della fanciulla. Anche qui le coppie stano insieme: rime maschili e femminili. Le figure di ripetizione rimandano a una volontà di ripetizione del testo. Le strofe 5° e 6° sono ancora formata da coppie una maschile e femminile. Sempre si parla di capigliatura e pettinatura. Nelle strofe femminili ancora maschile e femminile. Qui si introducono due nuovi artifici linguistici delle ripetizioni. Incontriamo il lascia e prendi che lega le strofe 5-6-7-8. Le prime 4 strofe sono libere, le seconde 4 sono legate perché il secondo verso della 5° strofa divente il 1° della 7 e il secondo verso della 6° diventa il primo dell’8°. È presente anche una nuova costruzione di ripetizione che è il polittoto, quando una stessa parola è presente declinata in modo diverso: lier, liara- aspirei asperara. 23/10: letteratura spagnola Martin Codax appartiene alla fase più iniziale (13 secolo) e l’altro a una fase mi maggiore maturazione. Questo si deduce sia dai loro testi (quelle di martin coda hanno tutte la stessa struttura che si ripete per tutte le 7 cantigas); altro elemento di arcaicità è la presenza di rime piuttosto convenzionale, per esempio una di queste rime è IO e AO (amIgO amAdO); le cantigas di Pedro Meogu hanno un grado di elaborazione più alto. Se dovessimo collocarlo cronologicamente, lo possiamo collocare durante gli anni del Re Don Dionigi Re trovatore portoghese che produceva in proprio cantigas e aveva raccolto intorno a sé una corte di trovatori. La presenza del trovatore alla corte di don dinisce è anche testimoniata da una cantigas de seguir, che già dal titolo indica una cantiga scritta in risposta o a completamento di una cantiga di Pedro Meogu. La cantiga di quest’ultimo “levantous a beida??” riceve in risposta la cantiga del re Don Dionigi. Le cantigas di Pedro introducono una maggiore varietà di rime. Questo mostra una maggiore ricchezza e maggiore elaborazione. Abbiamo constatato come la dimensione simbolica delle sue cantigas è più alta: intanto la presenza del cervo, ricorrente nelle sue cantigas tanto da venire considerato tratto caratteristico dei suoi testi. La presenza del cervo ha ascendenze estremamente remote: nella cultura celtica è un animale dai significati simbolici molto densi e carica su di sé sia la figura dell’innamorato come dell’uomo bello perché agile e snello. In realtà il cervo è presente anche nella cultura ebraica e della Bibbia (Cantico dei Cantici: l’innamorato è raffigurato come un cerbiatto). La cantiga alterna strofe maschili e femminili, cervi e cerve, e poi rappresenta nelle strofe 3 e 4 una fanciulla che lava i capelli in una fontana, trecce e capelli sinonimi che ripetendo lo stesso concetto creano una gradevole variazione linguistica e rimica. La stessa cosa succede nelle strofe successive. La novità è che pure nella presenza del lascia e prendi a partire dalla strofa 5, l’autore introduce nuove figure retoriche come per esempio il poliptoto che indica la coniugazione del verso in diversi modi e tempi o la declinazione di una parola in diversi casi. Nel testo le figure che lo riguardano e che ricreano una ripetizione nella variazione, sono LIEI (vv. 2 della 5 e 6 strofa) LAVIEI LAVIARA – ASPEREI ASPERARA. Nella lingua medievale i tempi verbali hanno ancora una oscillazione molto forte dal punto della referenza temporale. CANTIGA N° 4: è una cantiga interessante perché introduce una nuova modalità: in questa cantiga non c’è sono la fanciulla che rivolendosi a un confidente piange per un amore non corrisposto, c ‘è anche la risposta del confidente. Ci troviamo in una ulteriore variazione. Per questo si può definire una cantiga a carattere dialogico. Non è l’unica- pag 128 cantiga del re Dionigi dove l’innamorata di rivolge ai fiori e questi a partire dal verso 5 le rispondono. Nella cantiga 4 ci sono questa volta la fanciulla e la mamma: IV: il dialogo tra la mamma e la fanciulla si basa su una dimensione di esperienza. La fanciulla innamorata e appassionata che con ingenuità soffre perché crede che il suo innamorato a sua volta soffra di amore.. la risposta di sua madre invece è di essere prudente. La mamma confidente che interviene per sostenere ed aiutare la fanciulla. Il dialogo è costruito in modo simmetrico. Alla fanciulla sono attribuite 3 strofe: la strofa no 3 non p collegata ad altre- le strofe 4 e 5 dove avviene l’avvertimento sono a carico della madre. Il filo narrativo c’è ma è molto tenue. La cantiga non presenta la consueta struttura di distico a rima baciata ma è organizzata in quartine, non c‘è il ritornello ma ha una struttura innovativa. Pidal considera queste tre manifestazioni della lirica primitiva di area iberica originate da un patrimonio lirico precedente che ha costituito la base per questi 3 filoni. L’ultimo è quello più tardivo cronologicamente ed è quello dei VILLANICOS. Se noi collochiamo la lirico arabo andaluso al 9 secolo, quella galego portoghese ai secoli 13 e 14 per arrivare a delle testimonianze scritte dobbiamo arrivare a ben avviato secolo 15°. Il fatto che cronologicamente i canzonieri che conservano i villancicos risalgono al 5° secolo non vuol dire che questi nascano nel 15° secolo. Nascono infatti in un periodo molto anteriore, addirittura intorno all’epoca precedente a quella delle jarchas. Se in Al Andalus la cultura araba di carattere alto e raffinato si rivela molto sensibile nei confronti delle jarchas recuperandole e conservandole, per i villancicos questo non successe. Hanno vissuto nell’oralità nel corso di molti secoli fino ad arrivare nel secolo 15° quando una cultura cortigiana li apprezza e ne lancia la moda. Nella lettura di queste composizioni che sono musicali, ci accorgiamo di testi che sono presenti nella tradizione orale e di testi costruiti sul modello del villancicos tradizionale ma di autore. Nel caso di questo genere convivono la lirica popolare e popolareggiante. Quando nasce nel 15° secolo la moda dei vilancicos, non solo vengono recuperati attraverso l’oralità e vengono trasritti, ma nel secolo 15 16 e 17 anche poeti di grande importanza come Gongora e Quevedo scrivono villancicos alla maniera popolare o recuperano queste strofette popolari e le completano. Come distinguiamo un villancico tradizionale da uno di autore dove l’autore imita quello stile? Li distinguiamo dalla cura con la quale il testo ci viene presentato. Laddove un villancico presenta fenomeni di anisosillabismo (irregolarità nella misura versale) e anche una struttura testuale frammentaria ci troviamo di fronte a un villancico tradizionale. Laddove il villancico che leggiamo rispecchia la misura versale, sceglie rime consonanti, probabilmente ci troviamo davanti a un villancico di autore. C’è anche un 3° caso di un villancico tradizionale che nel momento in cui viene trascritto in queste sillogi poetiche subisce una modifica. La parola villancico testimonia la loro origine. la traduzione italiana potrebbe essere “la villanella, quindi vincola questi canti a una dimensione sociale e a una cultura agreste. Effettivamente da questo possiamo dedurre che questi canti accompagnassero la vita dei lavoratori della terra e quindi sono canti che insistono sui temi delle stagioni, sull’arrivo della primavera (“las Mayas”) ma sono anche canti che accompagnano la vita della gente nelle loro festività. Canti natalizi, della pasqua, della festa di S. Giovanni e molto legati alla vita quotidiana. Oggi la 04/11: Letteratura spagnola: Cantar de Mio cid: Genere che si colloca nella categoria che si denomina sotto il nome di Mester de Juglarìa. La sua trasmissione fu essenzialmente orale a carico di juglares (giullari, menestrelli, pardi o aedi). Siamo sempre nell’ambito di una letteratura di produzione orale e trasmissione orale che in quanto tale è soggetta a forti irregolarità di ogni tipo. A partire dal 13° secolo cominceremo a confrontarci con una letteratura colta, a base scritta e di autore invece di una letteratura popolare, orale e anonima. Questo tipo di letteratura la riconosceremo sotto il titolo di un altro genere: mester de Juglarìa. Il genere epico è il primo genere poetico a carattere narrativo. Questo vuol dire che racconta una storia. Questa definizione è già inclusa nell’etimologia stessa della parola: epica. Epos= parla, narrazione. È un genere presente nella maggior parte delle letterature. L’epica italiana è un’epica colta e rinascimentale che conserva alcune caratteristiche dell’epica medievale alla quale risale il cantar de mio Cid. Quali sono le caratteristiche basilari della poesia epica? Per capirlo bisogna prima di tutto ragionare sui contesti. L’epica al contrario della lirica nasce con propositi ben precisi, di solito di carattere informativo. L’epica è sempre legata a un momento storico che si propone di raccontare e proprio perché racconta degli eventi storici ne discende che le caratteristiche essenziali sono una certa oggettività (il canto epico è un canto che tende all’oggettività, quindi alla descrizione veristica dei fatti succeduti non come il canto lirico che racconta un’emozione), ha un forte carattere assertivo o aproblematico: nell’epica non si contestano delle situazioni, dei valori presenti e non si presentano valori nuovi. Nell’epica che viene incarnata da un eroe. Questi incarna i valori di un gruppo sociale unanimemente riconosciuti. Li incarna e li esprime, in un certo senso l’eroe diventa rappresentante al più alto grado di un collettivo. Ha quindi una funzione dal punto di visto del popolo identitaria. Ogni popolo distingue, ha individuato in tempi remoti, un proprio periodo eroico. La letteratura che ci è più nota da questo punto di vista è quella francese, che individua la chanson de Roland come suo periodo eroico. (8 (778) secolo questo perché è l’espressione della monarchia carolingia). La chanson de Roland è però datata 11° secolo. Cosa succede tra evento e testo e a causa di questa distanza di secoli 9-10-11°, cosa succede alla leggenda epica? L’epica spagnola è essenzialmente il cantar de mio cid, perché quest’opera è l’unico poema epico ad esserci arrivato in modo quasi completo. Non completo, mancano complessivamente 150 versi. Per il resto l’epica spagnola è molto poco abbondante. Mio Cid che in realtà fuori da questo epiteto epico si chiamava Rodrgio Diaz De Vivar, storicamente esistito. (InFa ??). il poema nazionale epico spagnolo, quindi Il Mio Cid, è la biografia di Rodrigo Diaz de Vivar, nato nel 1040 e morto nel 1099. Si tratta quindi dell’11° secolo. Il poema si incentra quindi sulla sua vita ma l’ultima parte della sua vita. Ci troviamo di fronte a un eroe molto maturo: ha 40 anni. Il manoscritto di cui noi oggi disponiamo (conservato nella biblioteca nacional de Madrid) sulla datazione di apre un dibattito infinito: oggi siamo tutti più o meno d’accordo nel dire che fu scritto tra il 1190 e il 1200. (dante antequem e postquem che si usano quando non si possono indicare con chiarezza le date). Quali sono le conseguenze che possiamo intuitivamente far discendere con l’epica francese? S noi paragoniamo l’epica francese a quella spagnola ci accorgiamo che è un esto di taglio fantastico. C’è grande presenza di sovrannaturale. Il poema spagnolo risulta invece molto diverso. Il poema del mio cid è fortemente realista, anzi non è presente affatto questa fuga verso una dimensione meravigliosa e fantastica. Tutto quello che è narrato è certamente nel 90% dei casi vero e per il resto è verosimile. L’unica dimensione fantastica è l’arcangelo Gabriele che poco dopo che il Cid ha lasciato la sua città gli compare in sogno e gli predice grandi fortune. Quanto più un poema è lontano dalla storia che celebra, tanto più i fatti narrati saranno frutto di fantasia perché la storia si è persa e viene quindi rielaborata. Quali ideali incara il Cid? Lo dice dopo- Quando in Spagna si parla di origine dell’epica incorriamo nelle stesse categorie delle origini della lirica. Le ipotesi sono tane e girano intorno alle stesse questioni. L’epica spagnola da quale altra epica discende? Secondo Pidal l’epica spagnola discende dall’epica gota. Lui ritiene che come molti costumi e usanze dei visigoti si trasferirono nella cultura iberica, all’origine dei canti spagnoli ci sono i loro canti. Queste congetture si basano sul riconoscimento di caratteri comuni. Nell’epica spagnola è presente come in quella germanica il motivo del combattimento tra due campioni per dirimere una questione. Altro motivo ricorrente è quello del vassallo che va in esilio con la sua compagnia (mesnada). Altro motivo più specifico, è un atto di sottomissione che il vassallo compie nei confronti del re. Nel Cid quando Rodrigo Diaz già all’altezza del primo cantar a seguito di alcuni successi che ha riesce a riappacificarsi con il suo signore e lo riesce a incontrare, compie un gesto di sottomissione. Si inchina e morde l’erba del prato. Pidal che ha studiato l’epica gota ha notato che questa consuetudine rappresentata attraverso questa immagine è presente anche nell’epica gota. Altra ipotesi è quella francese, ipotesi molto discussa con sostenitori e detrattori. Il motivo per cui si ipotizzerebbe questa discendenza è nel fatto che l’epica francese nasca prima e per questo verrebbe spontaneo pensare che dall’una discenda l’altra. Hanno però ben poco in comune: epica francese regolare- epica spagnola irregolare. Ciò che è vero è che a un certo punto ci fu tardivamente un contatto perché entrarono i temi epici francesi in spagna ma molto tardivamente. La terza ipotesi è quella araba. Ci sono degli studiosi che senza avere dei dati affidabili dicono che l’epica spagnola ha origine da quella araba perché così accadde con la lirica. Nel cantar de mio cid ci sono si elementi arabi, ma questo perché la Spagna visse 7 secoli sotto gli arabi. Il primo elemento che salta agli occhi è che il Cid è un eroe della riconquista eppure si chiama Cid che in arabo vuol dire signore. È curioso che il campione cristiano della riconquista abbia un appellativo di origine araba. Oltre a questo, ci sono una serie di usanze che fanno pensare a una conoscenza di alcuni temi come quello della divisione del bottino di guerra in un quinto. Si dice però che probabilmente sono vere tutte le testi. Alle origini dell’epica spagnola si pone anche un’altra questione. C’è un corpus abbondanti di romances incentrati sulle vicende del cid, ma non quelle narrate nel poema. lo ritraggono più giovane e intraprendente. In alcuni dei questi si narrava le vicende del Cid legate al re Don Sancho: il cid come cavaliere nasce alla corte di Sancho II, uno dei tre figli maschi di Fernando I (1035-1065) che già in quegli anni aveva riunito sotto il suo dominio Galizia, Castiglia e Aragona. Quando muore ha tre figli maschi e il regno di smembra. A uno dei figli che si chiama Garcìa dalla Galizia a un altro dei figli che è Sancho Dalla Galizia e poi a un altro re che è Alfonso VI (sarà il re del Poema). succede che il Cid che appartiene ala piccola nobiltà Nella genesi dell’epica in Spagna non dobbiamo ragionare solo in base a quale epica discende ma [..] e quindi la faceva discendere da queste narrazioni più breve di carattere epico o lirico. Quando abbiamo supposto l’esistenza probabile di un cantar de sancho 2 lo abbiamo fatto anche perché un'altra importante testimonianza di un’epica molto ricca in Spagna è il fatto che i poemi epici venivano usati nelle cronache storiche come fonti. Quanto si cominciarono a scrivere le cronache storiche i cronisti usavano come fonti le canzoni di gesta, curiosamente noi abbiamo all’interno delle cronache riportati stralci in versi di vecchi cantares oramai perduti. Ipotizziamo quindi il cantar de Sancho II e tutta una serie di poemi sulle figure dei primi conti di Castiglia. Certamente l’epica in Spagna fu un genere fortunato e di grande importanza ma le testimonianze che abbiamo sono molto poche. Il poema del mio cid è certamente il monumento dell’epica nazionale ma non fu il primo. Per una serie di fortunate coincidenze a un certo punto questo testo approdò a un codice scritto ma anche per l’epica come per la lirica dobbiamo presupporre l’esistenza di tutta una serie di testi precedenti a questo che non ci sono pervenuti ma che esistettero. Possiamo sostenere quest’ipotesi perché nelle cronache abbiamo riportato fasi di questo cantare precedenti al mio Cid. IL CANTAR DE MIO CID: Il codice del Cantar risale al 14° secolo. Questa ipotesi viene stabilita in base all’analisi della scrittura che noi definiamo analisi paleografica. Questa era però una copia, ma per capire copia di cosa dobbiamo fare riferimento alle copie finali. Nei manoscritti queste indicavano spesso il nome di chi aveva scritto il codice e in che anni era stato scritto, queste due rubriche sono l’EXPLICIT parola che deriva da EXPLEMENTUM che vuol dire conclusione, e il COLOFON rubrica finale. Nelle nostre edizioni moderne se io guardo le ultime pagine trovo dove e in che anno è stato stampato. Sono quindi informazioni di carattere editoriale. In questi versi ci viene data un’informazione interessante relativa alla datazione. (Legge la fotocopia) - L’autore: Chi scrisse questo libro che il signore lo protegga, lo premi, lo scrisse per Abt nel mese di maggio nell’era di 1245. In realtà questa edizione traduce in 1245 la cifra scritta in numeri romani ??. il primo punto è chi scrisse questo libro? La parola escribir nella lingua medievale non voleva dire comporre ma copiare. Questo porta già a supporre che questo Per Abat non fosse l’autore ma il copista. Quindi lui stava copiando da un codice precedente. Il manoscritto presente nella biblioteca nazionale è copia di questa copia probabilmente. Chi è Per Abat? Potrebbe essere tradotto come l’Abate Pietro, quindi un giullare di origine monastica oppure Pedro ABAD quindi cognome del copista, cognome di origine monastica. - La data: “en la era de 1245.” Su questa che sembrerebbe essere una traduzione pacifica, alcuni studiosi notarono che (Pidal) gli anni scritti in cifre romane si creava uno spazio tra le centinaia e il 45 e nei numeri romani non è possibile separarle cifre tra i numeri. Pidal aveva notato che tra il 100 e il 10 notava delle raspature e supponeva che fossero fatte per cancellare o che fossero state determinate dal deterioramento delle copie e che quindi risalisse a un’epoca più tarda. Era poi necessario ragionare sulla parola ERA. Nelle culture remote si partiva da certi fatti. In spagna la era spagnola faceva iniziare i fatti dal 1 gennaio del 38 a.c perché era l’anno d’origine della colonizzazione romana in spagna. La datazione che dobbiamo dare del manoscritto è o 1207 o 1307. Dobbiamo levare 38. Oggi si preferisce la prima data. Questo non vuol dire che il poema fu scritto in questa data perché nella stessa fotocopia noi abbiamo i versi dal 3724 al 3730 e sono i versi finali. Il poema del mio cid si compone di 3700 versi. “hoy los reyes [..]” oggi i re di Spagna sono suoi parenti (del Cid) – la storia ci dice che a un certo punto i discendenti del Cid e in particolare una pronipote che si chiama bianca de Navarra si sposò con Sancho III re di Spagna. Quindi la dinastia del Cid a un certo punto diventa reale. Questo avvenimento fu più o meno intorno al 1140. Questo ci porta a dire che il poema arrivò al codice scritto in questa data (1140). L’ipotesi di datazione è a partire del 1140. A queste considerazioni bisogna poi aggiungere che se il poema termina dicendo così, è probabile che il poema nasca da questo: la figura del Cid che viene celebrata ed esaltata sia stata recuperata in questi anni (fine 12° secolo) perché è il momento in cui la dinasta reale si imparenta con discendenti Cidiani. Non tanto quindi per dare sfoggio e descrivere l’eroe della riconquista. - Come ci arriva il codice? Abbastanza deteriorato anche perché per poterlo leggere meglio furono utilizzati dei solventi che lo hanno molto rovinato. Questa stessa lettura di questa data ci crea dei problemi. È un codice mutilo, mancano delle cose. Manca la pagina iniziale. Non si conosce il titolo quindi. Prevale il fatto di chiamarlo cantar e non poema perché la parola poema non figura nel testo mentre all’altezza del verso 2276 dice “las cordas de este cantar aqui vas acabando”- saremmo quindi indirizzati a chiamarlo cantar. Cantar equivale a chanson- erano recitati ritmicamente. È più probabile che contenesse dei versi che sono andati perduti. Questi 150 versi mancanti sono distribuiti con un primo foglio all’inizio e due fogli che mancherebbero all’interno. È un codice prezioso, confezionato in laboratori reali ed è scritto senza soluzione di continuità. Questi 7000 e passa versi sono scritti in modo continuo. È proprio delle edizioni moderne pubblicare il testo in strofe (è convenzione pubblicare il testo in LASSE) e diviso in microstrutture e macro-sezioni che sono 3 cantares. Quesa divisione è opera degli editori moderni che si sono basati sul fatto che cambino le rime. A cambiamento di rima cambia la lassa. La possibilità di dividerlo in 3 cantari diversi ce la offre lo stesso autore. Il verso 2276 dove è presente la parola cantare, vuol dire che finisce un cantar. Ci sono quindi delle frasi in cui l’autore dice qui finisce il primo cantar ecc. si evince che quindi il poema venisse cantato in 3 atti. Queste tre unità erano tre momenti recitativi, però questa è una deduzione a posteriori. I LASSA: commento: aldilà dei tecnicismi (alcandaras)i falchi e gli astori sono uccelli della pigna, che si utilizzavano nello sport della caccia. Questo continuo ripetere del SIN fa riferimento a un profondo- è una risorsa retorica- a un sentimento che si vuole comunicare al lettore che è quello di un senso di profonda privazione. Al cid è stato tolto tutto, tutti i beni immobili. Questo inizio del poema sta subito a rimarcare la simpatia del giullare che narra nei confronti del personaggio, già a descriverlo come piangente perché sopraffatto dalla nostalgia di quello che ha perso e poi insistere su tutto quello che gli è stato tolto che crea una sorta di alleanza tra l’ascoltatore e il personaggio. Non deve stupire il pianto dell’eroe perché nella mentalità cavalleresco medievale il pianto dell’eroe era sinonimo di capacità di provare sentimenti profondi o un’emozione profonda. Anche nella chanson de Roland ci sono momenti in cui l’eroe piange. Anche questa infatti è una di quelle similitudine che ha fatto ipotizzare una sorellanza tra le due epiche. Questa simpatia che si crea intorno all’eroe con quello tipo di presentazione viene suggellata nel verso quando l’autore gli attribuisce un nome: << Sospirò il Mio Cid>>. Il Cid è suo nel senso che rappresenta i valori di quella collettività, l’eroe nei poemi epici non è un cavaliere che si muove perseguendo un destino individuale ma un esponente dei sentimenti e dei valori e dell’ideologia di una collettività. << il Cid sospira perché soffriva molto>> La costruzione è molto parallelistica. Le frasi ripetono la stessa struttura con alcuni cambiamenti. Il Cid prima sospira e poi parla in modo misurato. Quindi si introduce una delle qualità principali dell’eroe. La misura. Cosa si intende per misura? Si dice che la misura cidiana sia la somma delle 4 virtù cardinali che costituiscono i principi della morale cristiane e la morale stoica. Sono prudenza giustizia fortezza e temperanza. È un eroe che difficilmente perde la compostezza ma sa sempre reagire all’altezza della situazione, facendosi forza e parlando in modo composto e contenuto. Cosa dice? “ti sono grato signore che sei così in alto. Questo mi hanno fatto i miei nemici”. Noi sappiamo quindi che qualcosa gli è stato fatto. Il cid più volte si scaglierà contro questi enemigos malos ma mai avrà cattive parole nei confronti del re. Questo perché nel contesto della narrazione l’ira del cid viene spostata dal re ai nobili che hanno lavorato con il re per il suo discredito. Nell’opera noi troviamo “mis enemigos malos” o “i calunniatori”: la prima lassa ci presenta la condizione dell’eroe, le sue principali caratteristiche ma nella seconda già entra la capacità di farsi forza e reagire. Il cid che i è voltato a vedere i suoi beni e ha lasciato alle sue spalle Vivar e nella lassa II si dirige a burgos. In realtà il codice non presenta divisioni, si presenta come una sequenza ininterrotta di versi. Le edizioni moderne hanno però ritenuto di dividerlo in 3 cantares divisi a loro volta in altre micro unità che sono le lasse. Per quanto riguarda la divisione MACROSTRUTTURALE, i tre cantari sono divisi in base a informazioni interne. Da questa informazione noi capiamo che il testo era diviso in 3 sequenza più o meno di 1000 versi e si sa oggi anche grazie allo studio dell’epica moderna (Jugoslavia ancora ha poesia epica che ancora recita), che le sessioni di canto recitative difficilemnte possono andare avanti più di 1000 versi. Questi 3 canatres vengono titolati in base a argomenti principali: 1 = cantar del destierro. 2= cantar de las bodas; 3= cantar de la afrenta de corpes (cantar dell’affronto di Corpes centro nel quale avviene un oltraggio compiuto sulle figlie del cid). Per quanto riguarda le micro-strutture, lasse o tiradas, come hanno potuto dividere il poema in tante porzioni? La differenza delle lasse ha un fondamento più tecnico che sta nelle rime che sono assonanze. Guardando la parte finale dei versi della prima lassa, notiamo che c’è un’assonanza in A-O. (ando-ando-ados- atos-ados-ados-ado-alto-ados). Se invece passiamo alla lassa successiva, c’è un cambio di rima: qui abbiamo un’altra assonanza in E A (yendas, yestra, yestra, ecc). ovviamente le due cose sono legate nel senso che il giullare, chi cantava, cambiava rima quando cambiava tema. Era una strategia a priori. Per spiegare bene la struttura metrica del cantar de mio Cid anche in relazione ai romances (romances: una sequenza di 8 sillabi assonanzati nei versi pari. Alcuni studiosi ritengono che i romances siano brani dei cantares de gesta estrapolati e pubblicati come sequenza di 8 sillabi perché la sequenza è la stessa); ci troviamo al confronto con dei versi lunghi di base 16, che però si compongono di 2 emistichi di base 8. Dire che il cantar è composto di versi di 16 sillabe che assonanzano tutti e la stessa cosa di dire che è composto da 8 sillabi che assonanzano in versi pari. È una convenzione tipografica. Le lasse in ogni caso si compongono di un numero di versi variabili di base 16 con enorme irregolarità ma sempre con una cesura a metà. Quindi ogni verso si compone di emistichi. Una delle ipotesi che ha fatto supporre che il cantar de mio cid non fosse opera di un solo giullare ma di più giullari si basa su molte cose: il primo è più ostile nei confronti del re, l’altro è più rispettoso ecc. altro elemento di carattere più concreto è che nel primo cantar noi troviamo una grande varietà di assonanze ogni strofa ne sperimenta una variante diversa; gli altri 2 cantari sono molto più monotoni sotto questo punto di vista. 11/11: letteratura spagnola Tripartizione dell’opera: si supponeva che le tre parti circolassero in modo autonomo; altra ipotesi è che le tre parti fossero opera di 3 interpreti diversi successivamente unite. Oggi sull’unitarietà del cantare non si hanno dubbi seppure è stata possibile constatare una differenza tra i primi 500 versi e il resto: questo in base al sistema rimico (per i primi versi molto più vario) e in base alla lingua, più arcaica nei primi 500 versi. Ogni cantar si compone di un migliaio di versi circa- 1° cantar: inizia con l’esilio del cid. Il cid lascia vivar, lascia poi anche la cittadina di Burgos e quindi si trova con un drappello all’inizio di pochi compagni letteralmente lui dirà “sessanta pennoni” (sineddoche)- questa shcierà andrà poi aumentando, testimoniando le conquiste, la fortuna e la capacità del Cid di superare una serie di prove. Uscito da Burgos, al cid si impone di trovare le ricchezze sufficienti al sostentamento della sua compagnia sia per poter intraprendere delle azioni di conquista. Si inserisce qui un episodio che è stato molto analizzato in quanto indica una qualità del cid che sino ad ora non si era posta in evidenzia e perché dimostra la presenza degli ebrei in Spagna: EPISODIO DI RAQUEL ??. Il Cid insieme al suo compago si presenta tra gli ebrei consegnando loro una cassa all’esterno molto preziosa riempita però di sabbia. Dice loro che è piena di oro e gliela lascia in pegno in cambio di 600 marchi con i quali il Cid potrà continuare la sua opera di conquista del territorio. [qualità= astuzia, furbizia ricorda Ulisse). L’episodio è indizio di quell’antisemitismo che sfocerà poi a fine 300 e finirano in una serie di rappresaglie; testimonia poi anche il grado di inserimento degli ebreinella società spagnola. Con qusto bottino quindi il cid si spingerà verso le caifas arabe al confine con il regno castigliano. (caifsa= staterelli che si formarono come conseguenza dello smembramento di al andalus). Il cid fa le prme incursioni in Aragona ma combatterà tanto contro i mori che contro i cristiani. Grazia all’abilita sua e della sua compagnia, otterrà brillanti vittorie e manderà al suo re una serie di doni. Qui termina il primo cantare che è stato convenzionamelnetne IL CANTAR DEL DESTIERRO, che testimonia in quella narrazine anche di carattere folclorico la prima fase: la disgrazia dell’eroe accusato di malversazione e il suo recupero della onra. 2°: Inizia al verso 1085. Il cid mira a conquistare Valencia (il territorio sulla costa orientale della spagna che si affaccia sul mediterraneo). Prima ha lasciato sua moglie dona jimena e le sue figlie (tutti personaggi storici ma con nomi diverse) presso il monastero di s. Pedro de Jardena alle cure di un vescovo: Don Sancho (nella realtà chiamato SiSeguto) , considerato ancora oggi il cuore della cultura e delle leggende cidiane. Questo monastero è anche una delle tappe più importanti del cammino di Santiago. Il motivo per il quale le lasciò lì non è narrata nel cantare ma lo possiamo dedurre dalla storia: la condanna aveva probabilmente sottratto al Cid la patria podestà. [le figliole e la moglie sembra vennero imprigionate dal re e non gli fu mai permesso il ricongiungimento]. Alla fine del cantare la posizione sociale e economica del cid notevolmente accresciuta determina la cupidigia e l’invidia dell’aristocrazia della corte. La storia del cantare è anche la storia del confitto in epoca di riconquista tra la piccola nobiltà e l’aristocrazia. Questo episodio ne è testimonianza: gli infantes de carriòn (i veri antagonisti del Cid) che appartengono all’aristocrazia castigliana chiedono in sposo le figlie del Cid. In un famoso verso il cid che sospetta un matrimonio di interesse ma non può ostacolarlo in quanto è proposto dal re, dice “la mano delle mie figlie gliela darete voi perché io non la darò”. CANTAR DE LAS BODAS. 3°: i due infanti effettivamente dimostrano, rampolli dell’aristocrazia e poco avvezzi alle guerre di conquista, dimostrano la loro infigardagine. Un epidosio chiave è quando i s trovano a Valenzia e un leone esce da una gabbia e gli infanti spaventati si nascondono sotto il baco sul quale il cid era sdraiato a riposare. Il cid si alza prende il leone e lo riaccompagna nella gabbia. Il secondo episodio è quando il cid viene attaccato da un re arabo e gli infanti invece di partecipare agli scontri, rimangono nella retroguardia. Questa serie di fallimenti portano gli infanti a provare sempre più raconre e invidia per il cid e decidono di proporre al cid di potere andare insieme in Castiglia con le loro mogli. Lungo il viaggio si liberano dei loro accompagnatori e nel bosco di Corves le picchiano lasciandole in fin di vita. Le figlie no muoiono e vengono salvate da alcuni compagni del cid. A quel punto l’eroe misurato non si lascia andare all’ira ma interpella al re e chiede delle Cortes. La soluzione di questo conflitto che minaccia l’onore personale del Cid, verrà risolto dalle cortes che darà ragione al cid e punirà gli infanti facendo restituire al cid la dote e le spade del Cid. Successivamente li obbliga a uno scontro tra campioni (elemento del quale avevamo parlato parlando della possibile derivazione dell’epica spagnola da quella gota). Gli infanti vengono sbaragiati dal cid. Il poema finisce con le nozze tra la nipote del cid e sancho III. EVENTO CHE AVVIENE POSTERIORMENTE E CHE PROBABILMENTE DETERMINA l’origine del cantare celebrando la figura del cid si celebravano le nozze della casa reale. COMMENTO TESTO: SCENA INIZIALE: SI VUOL COMMUNICARE AL LETTORE LA CONDIZIONE UMANA DELL’EROE. IL SUO PIANTO IN QUANTO ESILIATO. SSUCCESSIVAMENTE GIRA LA TESTA E LO SGUARDO si rivolge verso l’esterno, costatando i suoi palazzi devastati. Qui anche l’uso del polisindeto, quindi l’uso ripetuto e insistito della congiunzione I che per qualche maniera (forse anche per la recitazione) – questa figura presuppone un rallentamento del ritmo narrativo e che vuole quindi ben insistere sull’enumerazione di tutti i danni che il cid subisce dal suo re e che quindi rende il senso di perdita e di provazione. È un costrutto di carattere fortemente parallelistico (e….sin”. Iperbato- polisindeto- costruzione parallelistica. A partire dal verso 6 il cid sospira e poi parla. Si impone quindi- si ricompone e ne viene enunciata la sua qualità principale: la misura. Ovviamente questa misura, il fatto che il cid non si lasci quasi mai andare, è anche coerente con la narrazione storica che è al presente e può prendersela con i suoi nemici, con i nobili che ne hanno determinato la sventura, ma non può prendersela con il suo re. “grado a ti senor padre que estas en alto”: si possono dedurre o la grande cristianità dell’eroe. Dall’altro alto da questo ringraziamento dsi è voluto vedere un gesto di stizza e un espressione di sarcasmo. Nell’ultimo emistichio vengono presentati quei nemici contro i quali il cid si staglia e costituiscono un buono schermo per proteggiere la sua ira dalla figura del monarca. Neella seconda lassa (6 versi) il cid lascia Vivar: questa costruzione è di carattere parallelistico e anche sinonimo che vuole semplicemente dire che il Cid comincia il suo viaggio. Il viaggio inizia sotto dei presagi: uno fausto e uno infausto, che vengono detti nei versi 11-12. “escono da burgos e sentono una cornacchia sulla destra, entrano a burgos e la sentono a sinistra” nei commenti del poema questi versi sono origine di spiegazioni diverse la ma la cornacchia a destra sembrerebbe un presagio positivo: annunciare al cid un futuro eroico; la cornacchia a sinistra anticiperebbe la mancata accoglienza dei cittadini di burgos, che saranno costretti a non accoglierlo. Il cid scuote quindi le spalle e la testa pronunciando dei versi piuttosto complessi: “ALBRICIA: espressione di giubilo, di gioia //evviva!- che buona notizia!. Espressione esclamativa che l a maggior parte dei traduttori rendono con coraggio!. Nel primo caso evviva che buona notizia starebbe a marcare il segno di una dolorosa sopresa: la cornacchia a sinistra la interpreta come segno di male augurio. “evviva siamo stati cacciati dalla nostra terra” una forma di litote per dire il contrario. Il verso 15 è scritto in corsivo perché non fa parte del cantare ma è stato aggiunto da Pidal. Il cid ritiene che da quel momento in poi la sua condizione potrà solo migliorare e che potrà tornare nella sua patria di nuovo rispettato. Ricordiamo che se il poema termina con l’ascesa del cid per cui appunto la sua pronipote può sposare il figlio di un re, nella storia il cid rimarrà un infanzon e non migliorerà la sua condizione. Era una poetica diffusa che nasce intorno a dei centri culturali. Queste escluelas generales sono delle istituzioni volte all’insegnamento che nascono intorno ai monasteri e alle scuole cattedralizie. Nelle cattedrali e nei monasteri erano conservate le biblioteche e intorno a queste entità di carattere religioso, nascono le prime escuelas generales che con gli anni si laicizzerano. La escuela de palencia la ricordiamo perché probabilmente lì studio de Berceo. Anche la universidad de Salamanca era molto importante. La università de Palencia durò pochi anni e fu trasferita. Questa breve introduzione ci aiuta a capire chi fossero los clerigos. La parola clerigo fa riferimento all’uomo di chiesa, ma in mester di clerecia ha poco a che vedere con questo tipo di accezione. Il clerigo era uomo di chiesa in quanto studiava presso quei luoghi che erano i centri dove si conservava, si copiava e si trasmetteva il sapere medievale. Nela letteratura medievale il chierico è l’uomo di studi, chi sa scrivere. Tanto che sempre più all’interno di alcuni poemetti medievali, alla figura del chierico come uomo di scienza, con tendenza speculativa, si contrappone il cavaliere come uomo di armi, con tendenza pratica e attiva. Ci sono molti poemetti medievali che confrontano questi 2 personaggi. Quando fu coniata questa espressione e dove? Perché è stato possibile collocare una produzione sotto questa etichetta? Questa etichetta compare in un’opera chiamata “el libro de Alexandre” che nella sua copla (strofa) 2 annuncia per certi versi una poetica programmatica. Questa strofa è un manifesto di poetica. Questo poema di quasi 3000 versi, non solo annuncia a livello della 2 strofa le caratteristiche del mester, ma anche le incarna. è una strofa meta-poetica. Ci aiuta a capire la filosofica che è dietro questa nuova produzione letteraria l’autore che parla in prima persona, annuncia di impiegare una nuova pratica poetica: “Mester traigo fermoso- no es de joglaria- Mester es sino pecado, ca es de clerezìa- fablar curso rimado- por la cuaderna via- a silabas contadas- ca es grant maestri” Io vi presento un’arte bella perché non è quella giullaresca, è un’arte senza peccato perché è di celrecia. Parlerò in rima attraverso la quaderna via (la metrica della) contando le sillabe e questa è una grande abilità”: quello che percepiamo intanto è una sensazione di grande orgoglio e autocompiacimento, sentendosi portatori di una modalità poetica considerata di grande pregio. La qualità di questa bellezza non ci viene dettagliata ma viene esplicitata in una contrapposizione: non è l’arte giullaresca. Il mester de juglaria e di clerecia si attagliano proprio su alcune qualità di carattere contrapposto. Il mester de juglaria: anonimo, orale, fortemente irregolare. – mester de clerecìa: dichiarazione autore (sempre più ci confrontiamo con dei profili biografici auto-reali), codici scritti, metrica regolare- isosillabismo, consonanza. La parola mester deriva dal latino MINISTERIUM, lemma che indica il lavoro in senso traslado, il compito e l’ufficio che ognuno di noi svolge. Nel verso 2, di questa arte si sottolinea una qualità: quella di essere sin pecado. Questa espressione non va letta in modo stringente pensando che si tratti di opere a carattere devoto. questo è vero per Gonzalo de Berceo ma non vale per molte altre opere. La critica legge l’espressione “sin pecado” non solo in senso più generale quindi come opere con una forte tensione di carattere didattico e morale, ma anche dal punto di vista della loro dimensione formale. Dal punto di vista formale sono perfette, regolari, con precisa misura sintattica. Nelle due strofe successive il poeta entra meglio nel merito della struttura formale. Qui potremmo dire che concretamente il mester de clerecìa è la quaderna via. Queste due parole in un certo senso coincidono. Il poeta dice che parlerà attraverso il curso rimado, il cursus nella prosa latina era una clausola in quanto un sintagma che pur appartenendo alla prosa rispettava una certa propensione ritmica. È una poesia di tipo narrativo. Lui dice che parlerà in rima ed esattamente nella cuaderna via, una quartina con 4 versi congegnati in modo particolare molto elaborato. Per questo l’autore vanta la sua grande perizia. questi 4 versi sono organizzati in modo mono rimante. Lui dice poi “a silabas contadas”- isosillabici. In realtà la quaderna via detta anche tetra strofo monorimo dal greco. Oltre a queste regole, vanno menzionati altri chiarimenti. Di quante sillabe? Il verso del mester di clerecia è il verso alessandrino che prende il nome proprio dal poema francese “livre de alexandre” scritto in alessandrini. Questo verso misura 14 sillabe. Siamo all’interno di quei versi di arte mayor, che qualificano una produzione più scritta che orale. Questi alessandrini però sono spezzati a meta perchè nel mester de clerecia si prevede una forte cesura centrale che spezzi il verso in due emistichi rigorosamente di 7 sillabe. Altre regole sono intanto che è vietato l’enjambement. Anche tra un emistichio e l’altra non ci deve essere un nesso di tipo sintattico. Ogni emistichio e ogni verso hanno un senso compiuto. Nel mester de clerecia c’è sempre l’obbligo della dialefe (figura metrica contrario della sinalefe: licenza poetica laddove un poema che debba scrivere un endecasillabo può contare come una sola sillaba due vocali a contatto di due parole diverse “grande amore EA sono a contatto e le posso contare come una sola sillaba). Vietare la sinalefe è di nuovo una difficoltà in più: la dialefe è l’impossibilità di contare come una sola due sillabe che finiscono in vocale e sono a contatto. Sempre nel libro di aleixandre , la cui storia è quella di Alessandro Magno, la parola clerecia viene poi spiegata. In qeusto libro alessandro viene educato da aristotele e in un verso lui dice “maestro tu mi hai educato e grazie a te conosco la clerecìa”. Nei versi dopo si spiega meglio cosa sia questa clerecia: sintemi delle arti del trivium (prime arti che venivano imparate degli scolare, arti del linguaggio quindi grammatica, retorica e dialettica) e del quatrivium (arti superiori: aritmetica, geometrica, astronomia e musica) nelle escuelas generales oltre tutte questa materie si studiavano filosofica e teologia. Lo scibile del sapere dell’uomo di cultura comprendeva tutte queste conoscenze. Questo libro è una buona esemplificazione di tutti questi saperi perché intorno la biografia di alessandro si innestano moltissime digressioni. È un poema che esibisce anche tutto lo scibile alla portata e proprio dell’uomo colto medievale. Il mester de clerecia è una poetica che riguarda tanto il 13 che il 14° secolo. Le caratteristiche enunciate prima vengono rispettate nella produzione del 13° secolo e nel 14° secolo queste opere si presentano in modo meno rigido, si mescolano versi colti ma anche popolari. Il grande autore del mester è gonzalo de berceo, unico che effettivamente ci è noto grazie a quello che ci dice all’interno delle sue opere. Insieme alle sue opere, il mester de clerecia si compone di diversi poemi di carattere diverso ma accomunati dalla stessa struttura formale e dal loro carattere didascalico. Il mester de clerecia trasferisce nella lingua volgare una serie di temi e opere del mondo classico e fa un’operazione di divulgazione. Il volgare si andava affermando e c’era la necessità di portare la cultura classica in questa nuova lingua. Potremmo anche dire che le opere del mester sono anche dei volgarizzamenti. Il libro di alexandre prende spunto da quell’opera latina e la riadatta nella lingua castigliana. Così succede anche per il LIBRO DE APOLLONIO e nel POEMA DE FERNAN GONZALEZ. Si tratta di testi molto diversi per tema, perché le opere di Berceo sono religiose, il libro di alexandre tratta una materia classica, il libro di apollonio parla di avventura e il libro di fernan gonzalez è epico. Tutte queste opere sono accomunate dalla stessa intenzione didascalica e dalla loro veste formale. L’espressione MESTER DE JUGLARIA nasce successivamente in contrapposizione a questa scuola poetica i cui interpreti dimostrano un altissimo grado di consapevolezza dell’arte che stanno impiegando. Gonzalo de berceo è l’autore meglio noto intanto perché ci ha lasciato molte opere agiografiche [vida de SAN Millan DE LA Cogolla- monastero in Rioja, regione collocata nell’alto Ebro. Il monastero di san Millan è di un santo locale.) In questa quartina il poeta si presenta e parla di sé “Il nome di chi ha scritto questo poema è Gonzalvo. Sono stato educato nel monastero di SAN MILLAN DE SUSO (si trova nella parte alta quindi SU SO- c’è anche quelo de juso che si trova in basso). Sono nativo/nato di Berceo dove è nato anche santo emiliano”. Sappiamo quindi che fu educato in questo monastero. Forse era un chierico, forse no. Seppure data la particolarità della sua produzione, sulla sua formazione si è molto discusso. Cosa fa Gonzalo nelle sue opere? Tutte le opere portano nomi di santi e monasteri. Lui celebra la vita e parla di santi locali facendo un’opera di proselitismo. Il monastero di san Millan come gli altri, diventano le tappe del cammino di Santiago. Queste narrazioni forse erano destinate non solo al popolo locale ma anche ai pellegrini. Berceo lavora sempre con un codice latino, traduce da codici latini: “arrivò lì un ceco, da quale parte arrivava il pergamino, il codice non chiarisce molto bene perché è scritto male e in un latino difficile, non sono riuscito a capirlo, per san martino!”. Questo è molto importante perché è chiaro che questi letterati hanno una forte consapevolezza dell’importanza delle fonti e lavorano con le fonti come fanno oggi i filologi. La stessa cosa avviene in un’altra quartina di Vida de San Domingo de Silos nella quale dice “non so come è andata a finire perché nel codice a cui lavoravo non si dice”: “come finì la storia non ve lo dico, perché si è perso un quaderno ma non per colpa mia e scriverlo a caso sarebbe una sciocchezza”. L’opera di Berceo è un’opera a carattere devoto. quella che noi leggeremo è la sua opera più famosa “I milagros de nuestra senora”, che parlano della vergine Maria. Anche in questo caso i miracoli che lui ci narrerà sono 25 miracoli. 25 racconti che lui traduce da un codice latino “miracula beate mariae virginis”. In questo codice latino che ne contiene 49, su questi 49 berceo ne sceglie 24. Un 25° molto interessante perché ambientato nella stessa epoca e geografia di berceo, non è presente nel codice latino e potremmo supporre che si originale (“el milagro de la iglesia robada”). La tradizione mariana è una tradizione antichissima e che nei pellegrinaggi lungo questi cammini che rappresentavano i cammini devozionali di epoca medievale, questi codici attraverso questi cammini si diffondono molto. In spagna la devozione mariana ha un culto molto più importante rispetto al resto di Europa. Le origini del culto mariano in Spagna sembra che stiano dall’essersi incrociate in area spagnola una serie di tradizioni che sono poi tutte coinvolgiate nell’esaltazione della figura di Maria. Questi sono la liturgia mozarabe, nelle quali la vergine svolgeva una funzione molto importante. A queste liturgei si sommano i sermoni di berando di chiaravalle e poi anche la letteratura cortese. Non vi è dubbio che la figura di maria sia estremamente umanizzata in questi sermoni perché serve per avvicinare il popolino. Maria quindi diventa mediatrice nei suoi caratteri principali di donna, madre e moglie. Nel primo miracolo si ha l’idea di come maria sia disegnata da berceo come una giunone infuriata perché colpita da gelosia”. 18/11: letteratura spagnola Mester de Clerecìa: da una parte si può definire una scuola poetica, dall’altra un macro-genere letterario. Differenza? Nel considerare una scuola poetica dovremmo ammettere che ci sia un centro propulsore, dove questi autori si formarono ed elaborarono una poetica comune. Ovviamente di questo non abbiamo alcuna certezza ma chi propende per considerare il mester de clerecia come una storia, riconosce come centro propulsore l’università di Palencia. Il libro di Aleixandre in versione francese circolava in spagna da molti decenni e che nell’università di Palencia avesse avuto una sua ragion d’essere. La famosa quartina è molto importante e va conosciuta bene in tutte le sue dichiarazioni essendo una sorta di manifesto poetico, tanto per ciò che dice ma anche per quello che rappresenta. “MESTER TRAIGO FERMOSO [..]”. [ripete cose dell’altra volta]. I versi nel mester sono nominati ABC. - *Cursus: andamento prosa latina che rispettava una certa prosodia, un andamento ritmato. FALBAR CURSO RIMADO: scrivo rispettando il cursus*. - A *sillabas contadas: versi di 14 sillabe. Per *contarle dobbiamo fare riferimento ad alcune regole metriche. La DIALEFE (figura metrica). Quali sono le opere che nel 13 secolo includiamo nel mester de clerecia? sono opere molto diverse. Intanto tutta la produzione del Juglar De Dios”, Golnzalvo de Berceo. Quel che sappiamo di lui lo sappiamo grazie a lui. All’interno delle sue opere ci offre alcune indicazioni di carattere biografico. Una delle caratteristiche/tendenza del mester è quella di non produrre opere anonime. Proprio perché nasce in un
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