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letteratura spagnola 2 Sarmati, Appunti di Letteratura Spagnola

appunti dettagliati su quanto detto in classe

Tipologia: Appunti

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claudia17455
claudia17455 🇮🇹

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Scarica letteratura spagnola 2 Sarmati e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! 7 ottobre 2019 seconda lezione LATENZA: Le prime manifestazioni letterarie (che avvengono nella dimensione della oralità e del folclore) , non basandosi su codici concretamente reperibili e databili, possiamo dare un’indicazione generale ma dobbiamo ammettere che questi stessi testi probabilmente hanno origini più remote. AL ANDALUS: concetto storico territoriale. La letteratura medievale è vincolata da questo territorio difficile da delimitare. Indica quella porzione del territorio iberico colonizzata dagli arabi. LA SPAGNA DELLE ORIGINI: Quali sono state le lingue del sostrato che hanno condizionato le mutazioni fonetiche di suoni, l’apporto lessicale del volgare spagnolo? Con il termine VOLGARE andremo a indicare non una sola lingua o dialetto, bensì una serie di dialetti che si vanno formando agli inizi, in concorrenza tra loro, sui quali dominerà poi il castillano. (fin quando il castillano diventerà sinonimo di lingua spagnola). La zatter adi pietra: attraverso la zattera saramago elabora una metafora: la condizione attraverso la quale le civiltà si sono sviluppate all’interno della penisola. La spagna solo geograficamente si è sviluppata per secoli pur partecipando di certi fenomeni come invasioni barbariche, dando le spalle all’Europa. Questa è una ragione meramente geografica: l’estremo occidentale del continente è separato dallo stesso continente dal Mar Mediterraneo e i Pirenei. La sua collocazione geografica ne ha determinato la storia così sui generis rispetto al resto di Europa. I primi popoli che costituendo il sostrato della lingua hanno abitato la penisola iberica NON ABBIAMO MOLTE NOZIONI O REPERTI A RIGUARDO. Certo è che la penisola fu abitata in tempi primordiali e ne è testimonianza la famosa arte rupestre costituita dalle QUEVAS DE ALTAMIRA. In realtà si parla della QUEVA (grotta) di alta mira. Cosa nascondno queste grotte situate nel nord della spagna nei pressi di santillana del mar? Sono una preziosa testimonianza del fatto che la penisola fosse abitata in tempi remoti e che fosse abitata da una civiltà evoluta al punto tale da lasciare una testimonianza. Questo sistema di 8 grotte fu scoperto in realtà nel 1876 del tutto casualmente. In una battuta di caccia, un cane da caccia si intrufolò in un pertugio e nel riandarlo a riprendere si scoprirono le grotte con questi soffitti istoriati tanto da elementi di animali sia di figure antropomorfe. Queste grotte si sono mantenute molto bene grazie a ragioni naturali. Disegnate sulla roccia sfruttando le protuberanze della roccia, adattando le protuberando all’immagine, gli animali e anche gli uomini sembrano quasi muoversi ed essere proiettati in una dimensione di movimento. La bellezza di questa scoperta portò molti archeologi a dubitare della effettiva autenticità e che si trattasse di un’operazione di molto successiva. Alla scoperta della grotta, susseguirono a breve tempo nel sud della Francia la scoperta di grotte analoghe. Per questo oggi si parla di un sistema di grotte franco cantabrico, una civiltà che popolò entrambe le zone e lasciò queste testimonianze. a quali popoli possiamo attribuire questa produzione culturale? I primi due popoli che stanziarono la penisola iberica sono i CELTI che provenivano dal centro dell’Europa e che sembrerebbe arrivarono in Spagna verso il 6 secolo a.C. uno stanziamento di un popolo forse proveniente dall’Africa che sono gli Iberi. La regione spagnola nord occidentale costituita da tribù celtiche e la parte più del levante proiettata verso il mediterraneo popolata da una popolazione autoctona riconosciuta come IBERI (prendono il loro nome dal fiume IBER o EBRO che attraverso la spagna tra la Catalogna e la Castiglia). Le due popolazioni formarono quel particolare HUMUS della cultura CENTIBERA alle origini di una serie di altre testimonianze che riguardano ancora l’aspetto più di carattere generalmente artistico. Le testimonianze sono LA DAMA DE ELCHE (effige femminili), in origine policrome di piccole dimensioni, su cui si sono enumerate molte ipotesi. Probabilmente era un mezzo busto a carattere funerario anche perché il retro è aperto da un foro che poteva stare a indicare il luogo dover erano depositate le ceneri, o che fosse una divinità e quel foro fosse il luogo dove erano lasciati i donativi. La cultura centibera in spagna ci da testimonianze molto simili di figure femminili di dimensioni ridotte con caratteristiche comuni: la capigliatura con le 2 ruote ai lati del viso, la struttura a mezzo busto, l’incavo posteriore. Quale influenza hanno esercitato sul latino queste popolazioni? Pochissime. Molti sono i TOPONIMI (tra cui FIUME EBRO), e alcuni caratteri che oggi contraddistinguono la lingua spagnola. Grazie anche al contributo del popolo basco che visse per secoli senza contatti con le popolazioni iberiche e europee, Le caratteristiche linguistiche di questi popoli sono: La mancanza della f iniziale latina, la mancanza del suono labiovelare V, la trasformazione di alcuni nessi consonantici come per esempio CT (noctem) che in spagnolo produce quel caratteristico suono che è la CH (noche). Quando si da la dominazione romana? La ragione in Spagna sta nell’espansione dell’impero romano. I romani arrivano in spagna in occasione delle guerre puniche, quindi per un discorso di supremazia coloniale, nel 2 secolo a.C. la romanizzazione del territorio iberico è lenta e difficile. Rapida sulle coste presso quelle popolazioni che già avevano conosciuti per scambi commerciale altri popoli. Molto difficile all’interno dove la resistenza centibera fu strema al punto da produrre nella storia rimasta anche a livello epico, il ricordo narrato anche da STRABONE, della città di Nomanzia (roccaforte iberica) che piuttosto che consegnarsi al nemico diede fuoco a tutta la città. Tuttavia Roma contribuì molto alla urbanizzazione della colonia spagnola (acquedotto di Segovia ecc.); a creare arterie viarie importanti e la Spagna a sua volta diede a Roma grnadi figure di letterati (Seneca, Quintiliano, Marziale o anche Adriano); la dominazione fu lunga, meno di quella araba. Dal 2 secolo a.c al 2 o 3 secolo d.C. dopo la dominazione romana la Spagna è interessata da invasioni di popoli dle Nord che la vulgata storica definisce i barbari, che destabilizzarono l’impero e lo misero in crisi. I poopoli che invasero la penisola furono: intorno al 5 secolo GLI SVESI, GLI ALANI e i VANDALI (etimologicamente forse la regione dell’andalusia il toponimo fosse derivato dalla dominazione VANDALICA, VANDALICE si doveva chiamare). Questi barbari diciamo furono poi scansati dai visigoti, altro popolo del nord che arrivava in Spagna già romanizzato e come esercito federato di Roma. L'invasione dei visigoti non fu una vera e propria invasione. Scacciarono i popoli che avevano occupato la provincia e si insediarono come alleati di Roma. Questa invasione ebbe una importanza fondamentale perché in realtà rappresenta un principio identitario che ogni volta che si è voluto ricercare un’origine della storia- i visigoti arrivando in spagna già cristianizzati (ariani) e poi aderirono completamente al cristianesimo nel 556 sotto il re RECALEDO. Costituiscono non solo un popolo dominatore ma anche un’origine religiosa da contrapporre poi all’invasione dell’Islam. I visigoti furono circa 250 mila persona che però vennero a costituire nobiltà e aristocrazia locale. Poco assimilati con le civiltà preesistenti, disposero la loro capitale a Toledo (prima capitale spagnola) e il loro regno durò fino all’8 secolo. Cadde per via dell’invasione islamica, favorita dalle lotte intestine che si erano create tra i diversi caudillos, la nobiltà visigota nell’avvicendamento al regno. in particolae sulla fine del regno visigoto circolano varie leggende, alcune registrate dalla letteratura e in particolare da quel genere letterario noto come il ROMANCERO, sorta di ballate di carattere epico lirico che raccontano appunto episodi tratti dalla storia della Spgna. Alcuni di questi episodi sono quelli che ricordano la fine del regno dei Visigoti e la penetrazione in Spagna del Arabi. Di queste leggende due sono passate alla storia: la prima narra del tradimento del re RODORICO che usurpa il trono al sovrano legittimo BITIZA e che violenta la figlia di un generale dell’esercito EL CONDE JULIAN e che per rappresaglia il conte JUlian […] centibera e trova la sua origine nel nome del fiume iber. [toponomastica: apporti di carattere lessicale]. Le caratteristiche fonetiche che esercitano sul latino, lo specifico della caduta della f iniziale in certe condizioni tipico dello spagnolo e del castigliano (filium – hijo); l’assenza della labio velare V (la pronuncia è sempre bilabbiale), la pronuncia della vibrante R è molto più fote. Il latino si diffonde nella penisola a partire dal 2 secolo a.C con l’espansione romana. (espansione= dal 2 al 3 sec a.C). l’espansione avviene con difficoltà a causa della resistenza locale, ma avviene in profondità. La cultura viene rafforzata dalla componente goto-germanica. Tra i diversi popoli arabi che all’altezza del 5 sec d.C invasero la penisola, il popolo visigoto arrivò in Spagna in realtà come esercito federato di Roma per cacciare gli altri popoli germanici e arrivava già romanizzato, e a un certo punto convertito anche al cristianesimo. Con il termine superstrato si intendono quegli apporti linguistici che vengono dopo la romanizzazione. L’apporto goto visigoto è irrilevante. Le parole germaniche presenti nei dialetti romanici della penisola iberica erano già presenti in latino (lessico relativo alla guerra ecc). di grande rilevanza come contributo del super strato fu l’influenza della lingua araba. Dato storico: All’inizio del 8 secolo la monarchia visigota p dilaniata da lotte intestine che vedono il confronto e lo scontro tra due fazioni opposte: quella legittima e quella usurpatrice del re Rodordico. Approfittano della debolezza dello stato una serie di tribù berbere. I berberi stanziano nelle coste Nord Occidentali dell’Africa e sotto la guida del comandante Tarik attraversano lo stretto di Gibilterra. Con questa invasione inizia la storia di Al Andalus, nome della Spagna araba cos’ come SEFARAD è il nome della Spagna ebraica. [ebrei sefarditi- ebrei spagnoli]. Sull’etimologia di Al Andalus ci sono molte ipotesi- sembrerebbe che abbiamo recuperato questo nome da un toponimo già presente- vandalice – al andalus. Al ndalus è un concetto molto mobile. Agli inizia della conquista, penetrarono rapidamente fino al nord senza incontrare resistenze. Non entrano in Francia perché vengono sconfitti nel 732 da Carlo Martello (Chanson de Roland). Si fermano quindi ai Pirenei. In origine nel 8 secolo al Andalus era quasi tutti il territorio spagnolo tranne le coste del Nord. Rapidamente si organizza una reconquista cristiana e gli stati del nord si vengono configurando e riacquisendo parte del territorio di al andalus. Fino ad arrivare nel 13 secolo quando abbiamo una Spagna divisa a metà: a nord la spagna cristiana e a sud al andalus. La convivenza in Al Andalus della cultura araba invasore e di quella cristiana e ebraica fu nei primi secoli molto armoniosa, tanto che anche questo è andato ad alimentare il mito della spagna medievale come la spagna delle 3 culture. Come si potè realizzare questo clima di convivenza pacifica? Intanto quando gli arabi arrivano in Spagna non incontrano resistenza. I Visigoti erano un manipolo di nobili e soldati che non si erano mai assimilati con i locali. Da tempi remoti in Spagna esisteva un nucleo di cultura e popolazione ebraica e anche in questo caso gli ebrei avevano vissuti da parte della nobiltà visigota, sopraffazioni e persecuzioni. Quando arrivano i musulmani sia la popolazione locale sia gli ebrei guardano con favore i nuovi invasori. Allo stesso tempo gli arabi seguendo il precetto del corano, ritennero di non poter convertire dei popoli // la gente del libro// la cui religione si basa su un libro sacro. C’è il rispetto per le altre culture e le altre religioni. I cristiani e gli ebrei vissero in Al Andalus rispettati nel loro culto e nelle loro lingue e proprietà. Questa convivenza pacifica era però dipesa dalla loro condizione di DIMNI. Chi erano i dimni? Erano la popolazione locale che accettava di vivere in Al Andalus in una condizione di tolleranza e pace, e che però dovevano pagare all’emiro o al califfo una dimna- un’imposta. Questo rapporto di pagamento di tributi in cambio di una convivenza pacifica non sarà solo proprio dello stato arabo ma governerà anche i rapporti tra i cristiani e gli arabi. Sulle origini della letteratura spagnola le ipotesi vigenti fino alla metà del 900 in realtà non riconoscevano la presenza di una lirica spagnola antica ma facevano nascere la letteratura spagnola con il cantar de mio Cid (ipotesi di datazione più remota è 1140). Addirittura – Marcelino Menendez Pelayo [1856 1921] in una sua famosa opera “Antologia de poetas liricos castellano …”, negava la possibilità che in Spagna fosse esistita prima dell’epica altra poesia. Lo negava con una riflessione: la lirica si è sviluppata molto più tardi dell’epica; questa appare già nei tempi eroici ma questa (la lirica) ha bisogno di arrivare a epoche più colte e riflessive)”. Cancioneros: codici che raccoglievano liriche di taglio amoroso cortese. Stando a queste testimonianze, pelao riflette sul fatto che la poesia nasca con l’epica nei tempi eroici, quindi degli eroi nazionali, da quelle canzoni che cantavano le gesta degli eroi. La lirica per nascere ha bisogno di epoche più colte e riflessive. Questa riflessione trovava conforto nei dati fino ad all’ora disponibili. PRIMA CHE le jarchas fossero rinvenute, Julian Ribera aveva già prospettato nel suo discorso di ingresso nella RAS, dopo aver dato la possibilità che anche l’epica in spagna avesse origini arabe, su una serie di deduzioni affermava che anche la lirica probabilmente presentava origini analoghe. Questa scoperta si basava su studi di carattere comparativo ed ebbe dei grandi sostenitori a livello teorico: Pidal, Gomez. QUESTE IPOTESI trovarono poi una dimostrazione concreta nella scoperta che nel 1948 fa Stern, un orientalista di origine ungherese studioso della cultura ebraica. Nel 1948 pubblica un saggio nel quale dice di aver ritrovato celate da caratteri ebraici a conclusione di testi in lingua ebraica delle strofette, 20 strofette in tutto, nascoste da caratteri ebraici ma che traslitterate, rivelano una lingua romanza. Come mai le jarchas furono rinvenute in epoca così tarda? Per poter leggere dietro questi caratteri una lingua diversa dal’ebraico era necessario uno studioso ebraista in questo caso per le jarchas scritte con caratteri ebraici, e un arabista per le jarchas scritte in caratteri ebraici. Nel 1950 Emilio Garcìa Gomez ne scopre altre 24 in caratteri arabi. Tutta la letteratura romanza scritta con caratteri diversi da quelli romanzi nella letteratura spagnola si chiama letteratura ALJAMIADA, una letteratura scritta con caratteri diversi rispetto a quelli della lingua rappresentata. Perché comporta problemi? Perché i testi che leggiamo sono frutto di una traslitterazione e siccome le lingue semitiche si scrivono senza vocali, al momento di traslitterare, a volte di una stessa jarcha gli studiosi hanno proposto traslitterazioni diverse. È importante anche ricordare che la parola Jarcha è la traslitterazione in spagnolo. Una volta traslitterare, con quale dialetto iberico ci confrontiamo? Il dialetto che queste jarcha nascondono sotto questi caratteri è il dialetto mozarabico. Cos’è? Da chi era parlato? Chi erano i mozarabes? Erano i cristiani che vivevano in Al Andalus e rimasero a vivere lì durante la dominazione. Nei primi tempi della dominazione araba, i mozarabes erano il 90% della popolazione. Con il passare del tempo si ridussero. Erano quindi i cristiani che non si convertirono e che parlavano una loro lingua romanza che però in quella condizione di contatto linguistico con gli arabi si andava imparcendo di termini lessicali arabi e con un’evoluzione fonetica diversa dagli altri dialetti. Se dovessimo riassumerne le caratteristiche potremmo dire che è un dialetto romanzo di tipo arcaico. Quando si dice ARCAICO stiamo indicando che è un dialetto molto vicino al latino per cui certi fenomeni che noi troviamo nel castellano qui ancora non li troviamo. Se è una lingua arcaica mantiene delle caratteristiche del latino che nello spagnolo si perdono. [ES: nella lingua castigliana i gruppi consonantici iniziali CL, FL, PL danno il suono LL. pluvia – lluvia (1); mancata lenizione delle consonanti sorde intervocaliche: T- D; P-B; C-G: amicUm - amiGo(2); Mancata palatalizzazione del gruppo latino -CT-: noctem – noche.] Lingua di carattere conservatrice. Dimensione testuale: 1 testo: traslitterazione di una jarcha in caratteri arabi. “Ya fatin, a fatin” è collaccata alla fine di una MOVASASCA ed è legata al testo anteriore da alcuni versi di transizione. Il testo è certaente pronunciato nella finzione narrativa. L’enunciatore è una donna, una fnaciulla e qu veniamo ad uno degli elementi caratterizzanti di queste previ strofette: l’io lirico è sempre al femminile ed ansi è un io lirico incarnato dal una giovanissima fanciulla che pronuncia un lamento di amore. Si percepisce subito una mescitanza di temrmini paleoromanzi e arabi. Fatin: o seduttore, o uomo di grande bellezza o guerriero ( da FITNA- guerra); Ya: esclamativo. Testo molto semplice e ricco di esclamative. Questa è una protesta interpretata in diversi modi: la fanciulla lamenta il fatto che il suo amante debba partire per la guerra. L’ha quindi sedotta e abbandonata. Nelle jarchas le bambine si lamentano perché il loro amore non c’è più. Sono tutti lamenti di amore in cui una bambina si rivolge al tuo (amante) e protesta per una sua assenza. Uno degli ultimi studiosi delle jarchas, Federico Corriente, afferma che non stia in realtà parlando di un guerriero ma stia usando una metafora amorosa della guerra d’amore. Il guerriero non sta affrontando una battaglia legata alle imprese militari ma piuttosto una schermaglia amorosa. Il testo di questa jarchas è l’ultima strofa di una composizione in lingua araba. Tra i due testi c’è una grande differenziazione dal punto di vista linguistico, quasi una giustapposizione: ogni jarcha serve a concludere un testo precedente. Il termine JARCHA ha il significato di USCITA, FINALE. Quale è il rapporto tra il testo che precede e ingloba e la Jarcha? Il testo che precede si chiama MUWASSAHA . se gli arabi in al andalus non avessero apprezzato queste canzoncine in lingua romanza e non le avessero per queste inserite nei loro testi scritti (mentre le jarchas erano in forma cantata). Grazie alla cultura raffinata degli arabi questi testi ci vengono consegnati. Gli studiosi sono ormai d’accordo nel ritenere che anche se la prima jarcha databile risale al 1040, in realtà questa è testimonianza di canzoni antiche romanze, anonime e folcloriche. Come vengono salvate? Cosa offrono al testo di partenza? Leggiamo la MUWASSAHA: [questo tipo di lirica non era presente solo in Spagna. La poesia, la lirica nacque in generale come canto di amore di una fanciulla innamorata. In tedesco si chiamano FRAUEN LIDER, in francese LES CHANSONS D’ETOILES. La condizione eccezionale che si verifica in questa parte di Europa è che questi testi sono giunti a noi per via della procedura prima spiegata]. La jarcha che analizziamo è un testo di grande bellezza ma piuttosto singolare. Secondo il teorico della muwassaha, scrittore arabo del 12 secolo AL MULC, la muwassaha può incentrarsi su qualsiasi tematica: può essere d’amore, panegirico, elegia o satira. I temi sono molto diversi, mentre quelli della jarcha sono sempre lirico amoroso. In altri casi, la congiunzione della jarcha a chiusura della muwassaha può risultare forzata seppure gli ultimi versi di transizione aiutano a inserire il secondo testo nel primo. COMMENTO: elementi naturali; il testo come ogni muwassaha con la jarcha finale presenta delle complessità. In questa per lo meno coincidono l’io lirico del primo e del secondo testo. È difficile stabilire se questo io lirico sia femminile anche nella muwassaha. Potremmo immaginare la prima parte del testo come dichiarazione di amore omofilo. Normalmente l’io lirico della muwassaha è maschile e nella jarcha è femminile. C’è un’alternanza di voci che è data anche da un’alternanza di rime. In questo caso potremmo immaginare per entrambi i testi un io lirico femminile. In questo caso pensiamo a un panegirico (in lode alla bellezza di Hajmed). Potremmo anche presuppore una dichiarazione di tipo omofilo. Dobbiamo anche dire che la società di al andalus era una società dai costumi aperti e liberi, tanto che noi abbiamo una raccolta di poesie femminili di carattere erotico. Esistevano in al andalus delle poetesse che producevano dei testi di taglio amoroso centrati su figure di califfi e composta da versi brevi (la quasida 24-28 versi) ed è di carattere strofico. È organizzata in 4-5-6 strofe. Altre caratteristiche di questo testo in lingua araba è che può insistere su qualsiasi tema. Viene certamente privilegiata la tematica amorosa, ma può essere anche una poesia in lode, un panegirico, un’elegia e quindi si apre ad un ventaglio di temi. Una caratteristica specifica è che l’io lirico è sempre maschile e che il linguaggio impegnato è un registro alto, colto. La jarcha invece, che viene collocata alla fine della muwassaha, stabilisce con questa un bel contrasto in tutti i livelli. A livello linguistico prima di tutto in quanto si tratta di una lingua romanza; il secondo contrasto è legato al registro: la muwassaha adotta un registro colto mentre la jarcha presenta un registro popolare; [la lingua di una giovane fanciulla del popolo che piange per amore]; nella jarcha poi l’io lirico è sempre femminile; come e perché questi due testi entrano in contatto? Come è possibile congeniare il passaggio da un testo come la muwassaha con tutte le sue caratteristiche ad uno come la jarcha? Da un punto di vista strutturale, la sintesi avviene nei versi di transizione. In ogni jarcha nell’ultima strofa ci sono questi versi di transizione che permettono il passaggio da un tipo di testo all’altro. Le jarcha sono testimonianza di una poesia in lingua romanza di carattere orale probabilmente. Sono testimonianza di canti popolari in lingua romanza che esistevano in spagna da temi remotissimi (addirittura precedenti a quel 9 secolo al quale noi facciamo risalire le origini delle jarchas). Quando arrivarono gli arabi in spagna provenienti da una cultura superiore, apprezzano moltissimo queste canzoni e quindi le prendono come base di carattere rimico perché la jarcha stabilisce le basi delle rime che poi passeranno alla muwassaha. Da questo possiamo concludere che non sarebbe esistita la muwassaha se non fosse esistita la jarcha. Nel resto di Europa non ci fu una civiltà che si sovrappone all’incipiente formazione delle lingue europee, non ci fu una civiltà che si conservò. [però nel resto di Europa c’erano delle manifestazioni letterarie analoghe]. Riprendiamo l’analisi della muwassaha della scorsa volta: la composizione è un panegirico scritto in lode di una figura maschile. Potrebbe essere un testo di carattere omofilo o da attribuirsi una donna. Nel 1790 fu pubblicata una raccolta a cura di maria jesus rubiera amada che mette insieme una raccolta di poesie al femminile: poesia feminina ispano arabe. Si trattava di poetesse di Al Andalus che probabilmente lavorarono presso le corti del califfato e dell’emirato. Poetesse che come menestrelli cantavano le loro poesie, spesso in lode di personaggi nobili, in cambio di compenso. In questa poesia attraverso l’elogio della bellezza maschile, possiamo dire che nella cultura araba esistevano un amore platonico (udrì) e un amore più sensuale (ibaì). Questo tipo di sentimento per niente platonico è quello che caratterizza le jarchas. La muwassaha della volta scorsa inizia con un preludio, che indica il ritornello iniziale. Il grande teorico IBM SANA AL MULK spiega il significato della parola muwassaha e anche nel significato si capisce come la dimensione metaforica è molto forte: vuole dire o un doppio filo di perle o una collana dal doppio filo. Cosa indica questa duplicità? Metaforicamente rimanda alla costruzione rimica del testo che si alterna. Una di queste sequenze rimane sempre uguale (le rime iniziate dal preludio AA) […]. La prima strofa esordisce con la lode della bellezza maschile (tema estraneo alla cultura occidentale quasi fino ai giorni nostri). Notiamo che questa bellezza è descritta con dei canoni che sorprendono. La fanciulla o l’innamorato rompe con lo stereotipo orientale: l’uomo in causa è biondo e dall’incarnato chiaro. Si tratta di ricorrere a metafore per descrivere la bellezza, dimensione consueta (denti= perle; guance= rose); i capelli sono foglie d’oro- biondi, che scaturiscono da rami d’argento: fa riferimento all’incarnato. In termini realistici la spiegazione di questa bellezza così poco orientale sta nei conquistatori berberi che nell’iconografia corrente appaiono con capelli biondi e occhi azzurri. Il ritornello si modula su un linguaggio più mediato. Nella seconda strofa continua la lode dell’innamorato, ma questa volta se nella prima strofa procedeva per paragona con il mondo minerale, questa volta si passa al mondo vegetale. Quì abbiamo gigli, papaveri, la corniola. Bianco e di nuovo rosso. La serie degli elementi minerali e vegetali alludono a questo effetto coloristico di contrasto tra bianco e rosso. Nella vuelta non ci deve stupire che ci si riferisca all’innamorato con il termine gazella. Nella lirica araba questo termine indica una caratteristica della bellezza, eleganza e sinuosità. Qui si affaccia una delle componenti più frequenti di questa lirica la figura del censore, che si riferisce al controllo sociale. L’amore ovunque nasce è sempre un amore illecito che porta la possibilità dello scandalo e quindi la fanciulla lamenta la figura del censore e dei mormorii che possono nascere da chi si accorge di questa relazione. Aloje e algaria (scirocco-vento dal deserto e zibecco- profumo animale) elementi erotici ed esotici. Si passa dalle percezioni visive a percezioni di carattere olfattivo. La descrizione della bellezza si limita al volto e procede dall’alto verso il basso. Nella strofa successiva compare il nome dell’amato AJMED, nome parlante perché significa “colui che è degno di lode” e contiene dentro di sé le qualità del personaggio stesso. Si continua a esaltarne la bellezza, lo sguardo le ciglia folte che feriscono come frecce. È presente una delle metafore più frequenti del linguaggio amoroso: la ferita d’amore. Nella strofa quarta si passa da questo tipo di stereotipo ad un altro tema ricorrente in cui si parla di amore come malattia. L’amato è medico perché può curare ricambiando l’amore e l’innamorato invece è il paziente perché soffre d’amore. Nei ritornelli rispetto alle strofe, ai tristici monorimi, è presente la dimensione narrativa del testo. Nelle mudanzas si evidenzia la dimensione lirica. La quinta strofa costituisce la strofa di transizione. Qui termina la celebrazione della beltà maschile, questa esaltazione della sua bellezza e arriva una fanciulla. Qui usciamo totalmente dal campo metaforico. A partire da questo momento la jarcha- ??. la jarcha si articola come una semplice e pura esclamazione “madre, che bellezza sotto la zazzera bionda il collo bianco e la boccuccia rossa!” una semplice esternazione della giovane bambina che si rivolge alla madre. La caratteristica della jarcha spesso è quella di costruirsi come un’apostrofe, sempre rivolta ad un tu. Spesso è la madre, o le sorelline alle quali si rivolge con domanda, esclamativa alle quali non c’è mai risposta. Analisi testo pag 16 antologia: sequenza di 5 strofe con preludio; i versi sono scritti in successione e non in forma strofica tradizionale. Il preludio in questo caso ha effettivamente una costruzione di carattere tradizionale. Interrogativa retorica di un io lirico maschile che si lamenta di non essere ricambiato o essere stato abbandonato dalla fanciulla. Troviamo ancora la fauna esotica (la gazella); CHI MI RESTITUIRA’ LA MIA GAZZELLA CHE I LENI CACCIANO NEI CANNETI? MIA DEBITRICE QUANDO IO ASPETTAVO DA LEI CHE MI RESTITUISSE I FAVORI”: La costruzione è molto metaforica. L’amante che lamenta l’abbandono o l’irriconoscenza della fanciulla in un contesto in cui il signore non è ricambiato dalla gazella esclava. Nella strofa 1 si descrive la condizione dell’amante prostrato, arreso di fronte a colei che non lo ricambia. In un certo senso la donna in questa composizione corrisponde alla figura dell’innamorata tiranna che nella lirica provenzale viene definita la bella dama poco gentile. La strofa uno recita così: “per quello che la riguarda affidai il mio destino nell’altalenanza della speranza e del desiderio” l’amante che si arrende a un desiderio che lo sopraffà e che lo confina psicologicamente in una condizione di sperare e desiderare “Non ho manifestato la mia disperazione quando lei prolungò l’ingiustizia (di non ricambiarlo) ma mi sono detto cuore mio proteggila da un cattivo pensiero e tu anima rasserenati. Tu che rimandi il tuo ritorno […]. “c’è un’alternanza di interlocutori. La donna amata, l’amore ecc. la condizione qui descritta è quindi di una totale resa. Nelle strofe 2 e 3 si descrivono le caratteristiche dell’amore e del sentimento amoroso. Queste avvengono attraverso uno stereotipo frequente: considerare l’amore come il luogo dove coincidono tutti i contrati (coincidentia oppositorum): ho colui che si allontana ingiustamente da chi non può essere paziente. Non vi è situazione in cui io non soffra la malattia d’amore se da me non fuggi. Il mio ultimo respiro è in te. Dopo che colui che dorme che e tranquillo negli occhi, che lancia frecce sicure verso sani e malati, mi lancia una freccia. Il mio cuore è lungo la sua traiettoria. Come si è comportato il mio cuore con te se i miei mali non terminano. Il mio cuore si lamenta con te della sua situazione. [.]” ritornano le metafore dell’amore come ferita, come freccia di cupido, come contrato tra vita morte veleno cura e di nuovo malattia. Ancora la descrizione della figura dell’innamorato masochista che preferisce la morte a vivere nella condizione di assenza dell’amato. La strofa successiva a contrario della muwassaha de las lunas nuevas, contiene la descrizione della dona. Così bella che è ineffabile. “chi mi restituirà la languidezza dei suoi occhi anche se da essi mi viene la morte. Se passa ondulando i fianchi è la personificazione della bellezza. Anche se io volessi tentare di descriverla, sarei incapace di farlo in tutte le sue qualità. Il mio sguardo triste procede sulla sua guancia che è come dei giardini [bellezza trasposta nell’immagine della flora]. Ma dal poter cogliere quei fiori è protetta da spade fine e penetranti (ciglia che diventano delle armi di difesa); la strofa 5 è quella di transizione; siamo passati da un io lirico maschile che si lamenta e soffre davanti alla bella dama senza pietà, ad una voce femminile che soffre d’amore. “dio mio la fanciulla spaventata ha paura della separazione. È una bambina di 13 anni. Ha fatto scorrere lacrima dai suoi occhi e dice con passione alla sua mamma: <<il mio amico madre se ne va e non torna. Che farò mamma se la pena non mi lascia?>>. Questa è una delle jarchas più antiche e più presenti nelle muwassahas. È la prima che compare e questa volta traslitterata in modo diverso. (pag. 18) voce lirica di una bambina di 13 anni che è dispiaciuta che l’amato se ne sia andato senza nemmeno darle un bacino. Caratteristiche: proprio per il loro carattere di citazione, le jarchas si presentano con un inizio ex a brutto (?). non sappiamo chi sia la fanciulla, chi sia l’amato, le ragioni dell’assenza. È un breve frammento che intona le ragioni della perdita dell’assenza. Dal punto di vista metrico formale, tutte le considerazioni che si fanno sono basate sul fatto che si tratti di una traslitterazione, quindi non è affidabile al 100%. Possiamo dire che si tratta di una quartina in versi di arte menor (tutti quei versi inferiori alle 8 sillabe). A livello rimico, se scrivessimo questa jarcha in versi più lunghi diremmo che si tratta di un distico a rima baciata e che questa rima verrà poi recuperata all’interno della muwassaha. In questo caso si tratta di una quartina a rime alterne (ABAB). A livello linguistico notiamo alcune caratteristiche del mozarabe, poche a livello lessicale. Il termine più frequente costituito dal HABIBE che poi diventa l’amato ma che sarebbe il mio signore. Poi il termine YA- esclamativo: indica OH!. Poi anche il verbo GARD dire, dimmi. Per il resto il testo si presenta con le caratteristiche fonetiche del mozarabe, di una lingua piuttosto arcaico, che conserva di più la sua vicinanza al latino. Questo è molto evidente dalla parola TORNAR, che deriva dal latino volgare e che voleva dire lavorare soprattutto le cantigas de amigo, ci chiediamo intanto cosa vuol dire popolareggiante: vuol dire che imita la lirica popolare senza però esserlo. Anche qui per capire in cosa si differenzia la lirica popolareggiante da quella popolare dobbiamo ragionare sulla genesi. Se la genesi della jarchas vive nell’anonimato, la lirica popolareggiante è sempre d’autore. Come è trasmessa? È trasmessa da codici scritti. Se parliamo di codici scritti parliamo di manoscritti, in alcuni casi autografi e in altri casi copie. Il fatto che un testo sia fissato sullo scritto comporta che tendenzialmente non viva in varianti come quello orale. Se noi diciamo che le cantigas de amigo sono lirica popolareggiante, che imita la poetica popolare, dobbiamo definire le caratteristiche le caratteristiche di questa poetica. È necessario dire che non esiste una poetica formalizzata, non abbiamo un trattato di poeti musulmani o mozarabi che ci descrivano le caratteristiche di questi testi. [Per i poeti di Al Andalus la jarcha era il cuore della composizione: sal, ambar y azucar] Jarcha n.2 pag. 20: Oh Madre mia dulce Al rayo de la manana Viene Abu l hayay Con su cara d auore. O mamma mia dolce al far del mattino arriva Abu … con il suo volto di aurora!. Anche qui ritroviamo il personaggio della madre al quale la fanciulla si rivolge, e l’esclamativa AY. Riconosciamo quindi l’abbondanza di esclamative che danno l’impressione di un sentimento immediato. A livello di contenuti il sentimento di amore espresso nelle jarchas non è sottoposto a un’analisi di tipo introspettivo. Sono poi (jarchas) sempre testi in cui è presente sempre un confidente: questa figura dell’apostrofe che individua un destinatario ideale collocato all’interno del testo si struttura in una serie di confidenti (mamma in questo caso). Si dice che le jarcha sono espressione di un ambiente urbano nella sua domesticità: apostrofe alla madre. Subito dopo segue una brevissima narrazione. In particolare questa jarcha appartiene a quella serie che anche nella lirica poi galego portoghese veniva definita Albas o Alboradas che descrivono un incontro d’amore sul far dell’alba o la separazione dei due amanti sul far dell’alba. Senza subbio ci troviamo in questo tipo di contesto: “ Al rayo de la manana”. Anche qui compare il nome dell’amante. Molto più frequentemente l’innamorato viene chiamato HABIBI (il signore ma molto spesso viene chiamato anche con il suo nome proprio. Abbiamo poi il paragone tra il volto dell’amato e il volto del sole. Si tratta di una dimensione testuale molto incisiva e molto concentrata. A queste caratteristiche di concentrazione e incisività di messaggio, coincidono delle scelte. L’inizio ex abruto: il testo ci viene narrato senza antefatti e non segue scioglimento alcuno. È un frammento di vita, brevissimo. Questa poesia popolare vive nella sintesi, di un sentimento molto semplice manifestato con un linguaggio altrettanto semplice composto di alcuni sostantivi, una scarsissima aggettivazione e tutto modulato sul registro colloquiale pertinente a una giovane fanciulla. A livello formale di nuovo tutto si svolge nella manifestazione testuale estremamente breve: la quartina, cuarteto. [si chiama così perché è composto da versi di arte meno, in italiano abbiamo quartina femminile mentre in spagnolo indichiamo maschile se sono di arte minore e cuarteta se i versi sono di arte mayor]. Jarcha n. III: Tanto amar, tanto amar, amigo, tanto amar, ojos sanos quedaron enfermos y ahora duelen tanto: tanto amare tanto amare amico tanto amare, gli occhi sano si ammalarono e mi fanno tanto male. La metafora qui è quella della malattia d’amore. Notiamo qui un’altra caratteristica della lirica popolare: la ripetizione. In questo caso la figura della ripetizione è un parallelismo. Anche qui troviamo il confidente che non è la mamma ma è il habibi, l’amigu della lirica galego portoghese che poi sta per amato. Segue la descrizione della malattia d’amore. Anche in questo caso siamo di fronte a un cuarteto. Jarcha n.4: di nuovo troviamo il confidente che in questo caso sono le sorelline. Sempre il nucleo familiare, un’apostrofe di tipo plurale anzi in questo caso si rivolge alle sorelline con due interrogative retoriche. È un’interrogativa retorica evasa dal testo. Se l’interlocutore è richiamato più volte nel testo vuol dire che è un interlocutore silente. La seconda domanda è indiretta e lasciata aperta. Anche questa è una quartina dalle rime alterne. Sono tutti ottosillabi però. C’è quindi maggiore regolarità. Jarcha n5: Un termine arabo che sta per il nome di Dio: Allah in questo caso. Questo oh signore o Dio” indica un interlocutore superiore. Una invocazione del tutto astratta in questo caso. Jarcha n6-7: Qui ci troviamo davvero in una costruzione in cui il concetto di sintesi e di poetica della brevità è evidente. Entrambi i testi sono dei distici. Il termine distico nella lingua spagnola si dice PAREADO. Sono due jarcha costruiti con due pareados con rima baciata. La prima si invoca alla mamma con una interrogativa retorica. Incertezza legata anche alla giovane età. Nella seconda forse si tratta di un io lirico più esperto perché dice FOME SE FOSSI TU UNO STRANIERO NON DORMIRÒ PIÙ SUL MIO LETTO. Qui l’interlocutore è l’habibi, non presente concretamente. Legge ora un testo per poter apprezzare quali sono gli elementi che visti qui sono presenti anche in una cantina de amigo. Questa volta la lingua sarà il galego portoghese. (Pag. ) Martin Corrads fu uno dei primi a scrivere le cantigas de amigo. Quali sono le caratteristiche in comune tra jarcha e cantiga? O Dio se sapesse ora il mio AMICO come io sola sono amico. Oddio se sapesse ora il mio amato come io AMICO sola rimango e sono innamorata. Come io sola sono amico e nessuna guardia e con me che sono innamorata. Come io amico sola rimango e nessuna guardia con me ho e sono innamorata. E nessuna guardia con me ho se non gli occhi che piangono e sono innamorata. Gli elementi in comune sono molti. Intanto di nuovo si tratta di un canto posto in bocca ad una fanciulla che si lamenta di essere sola, quindi che il suo amato(amico) non c’è. Qui anche non sappiamo chi lui sia, dove sia e perché non ci sia. Anche in questo senso non abbiamo antefatto ed epilogo. Altro elemento comune è quel OH DIO. Qui anche c’è un interlocutore ideale. Anche questa cantiga si costruisce come una apostrofe. Ovviamente questo testo dal punto di vista dell’elaborazione formale è molto diverso. E più elaborato rispetto alle jarchas: sono sei strofe con estribillo. Ci sono poi delle strutture retoriche di ripetizione piú complesse. Da questo capiamo che questo testo non nasce nell’oralità ma nella scrittura e infatti ci è stato tramandato da codici scritto. Nonostante sia più elaborato mantiene quelle qualità di lirica popolare come ad esempio per il lessico. Un lessico minimo e di carattere ripetitivo. Se noi dovessimo quindi fare un bilancio tra costanti e varianti diremmo che il 90% del testo è affidato alla ripetizione. Certamente con una costruzione formale e narrativa diversa. Questo contenuto è delle sue prime strofe: sono sola vorrei farglielo sapere. Poi ci sono le strofe 3 e 4 che suppongono un’altra riformazione della struttura narrativa e dice che ha dei guardiani. Già nelle muwassaha avevamo notato perché c’erano dei censori. Dice sono sola e non ci sono i guardiani per dire che sarebbe veramente un momento molto propizio. Per finire questa esile linea della narrazione cosa succede? Lui viene o no? Lei piange nelle ultime strofe: “ma sono sola ed ho solo i miei occhi che piangono con me.” L’amato tanto desiderato non viene. Quindi è un testo molto ripetitivo, basato su una narrazione molto esile come quella della jarcha però costruito su una dimensione testuale più complessa, che per certi versi ricorda quella delle muwassha (ogni strofa si chiude con un estribillo) perché? Perché anche le cantigas erano destinate al canto e al ballo e si basavano sull’alternanza di 2 voci: LA PRIMA ERA QUELLA DELLA strofa e ad essa si sovrapponeva un passo di danza e la seconda cantava il ritornello. Dal punto di vista formale notiamo molte figure della ripetizione, molti parallelismi (ahi deus se sabora meu amigu … vv. 1 della seconda strofa)- una struttura fortemente parallelistica con una semplice variazione che avviene nella parola rima, estremamente frequente nella cantiagas de amigu. Altri parallelismi presenti si incontrano per esempio nel 1 vv della 3 e 4 strofa: como [..] sono parallelismi con un’inversione di termini. Oltre a questi tipi di ripetizione, nelle cantigas de amigu si stabilisce un tipo di gioco tra i versi che nella retorica delle cantigas di chiama LEISC A REN (in italiano LASCIA E PRENDI). Cosa si lascia e cosa si perde? Le strofe 3 e 4 sono costruite in questo modo: si lascia il primo verso della prima strofa e nella strofa 3 si ripete il 2 verso della prima strofa: COME EU SEIGNERA ESTOY EN VIGU (?). poi il primo verso della 4: SI LASCIA IL PRIMO verso della 2 strofa e si prende il primo verso della 2 strofa. Nella quarta strofa succede la stessa cosa. La seconda strofa lascia il 1 verso della seconda e ripete il secondo verso della seconda strofa che per un gioco di parole diventa primo verso della 4 strofa. Succede la stessa cosa nelle strofe 5 e 6? Si. Quindi possiamo concludere dicendo che è una struttura a intreccio. Seppur la poetica è la medesima, è chiaro che questo testo ha un livello di elaborazione formale più complesso proprio della letteratura colta seppure popolareggiante. paesaggistici e faunistici. Altra caratteristica è che mentre i trovatori provenzali erano itineranti e quindi professano il loro esercizi presso le piazze, i trovatori portoghesi si esercitano solo nelle corti- sono stanziati. La loro poesia diventa per molti certi molto convenzionale nel senso che si va stereotipizzando fino ad arrivare nel 14 secolo quando si va esaurendosi. Convenzionalmente si suole riconoscere nella poesia galego portoghese 3 fasi: 1° arriva fino al 1250 (da quando non si sa) e questa fase è chiamata di acclimatazione, in cui la poesia trovadorica entra e si va formulando in galego portoghese nei 3 diversi generi; 2° dal 1250-1284 Definito periodo di splendore nel quale possiamo collocare le opere di due importanti mecenati: Alfonso X el Sabio autore delle cantigas de Santa Maria. Non ci sono altri modelli che si esprimono in lingua galego portoghese. Il periodo che va dal 1300 al 1350 è una fase di esaurimento del modello e di decadenza di questa lirica che si va ripetendo in modo ripetitivo. Sono i poeti considerati epidoni di questo genere. - La cantiga de amigo: - La cantiga de escarnho: - La cantiga de mal dezir: Tra questi generi, quelli costruiti e modellati sulla lirica provenzale sono quella de amor, escarnho e mal dezir [questi due generi alle volte si associano ma hanno delle differenze. Sono delle poesie di tipo satirico in cui i bersagli della satira possono essere personaggi della società, altri trovatori e quindi la cantiga diventa una sorta di competizione, possono essere messi alla berlina vizi e problematiche di carattere più generale. La grande differenza è che la cantiga de escarnho è costruita su metafore, non è esplicitamente dichiarata. La cantiga di mal decir è del tutto scoperta.] Genere autoctono invece è la cantiga de amigo detta così per la quantità di volte in cui all’interno di questa lirica appare questa parola. Altra informazione importante rigaurda come queste opere ci sono arrivate: ci sono giunte attraverso 5 canzonieri, in portoghese cancioneiros. I canzonieri in area iberica, sono delle raccolte per lo più collettaneo, che raccoglievano in codici le poesie del tempo. In realtà a parte per alcuni canzoniere che sono coevi nella maggior parte dei casi i canzonieri che abbiamo sono copie di copie. Il più antico di questi 5 canzonieri risale al 1280 ed è il canzoniere del Ajuda. Prendono il nome dei luoghi in cui sono conservati- è importantissimo perché è il primo anche se vi sono presenti solo cantigas de amor. Di cantigas de amigo ne troviamo in due canzonieri successivi, del 16 secolo che però in confrotno con il primo canzoniere raccolgono poesie del 13 secolo. Questi sono il canzoniere COLOCCI e BRANCUTI. Si chiama coloci perché fu allestito nel 1500 da un famoso umanista italiano che si chiama Angelo Colocci. Nel 19 secolo passò ad appartenere al conte Paolo Brancuti, il quale a sua volta lo vendette a un famoso filologo italiano Ernesto Monaci. In questo canzoniere sono contenuti tutti e 3 i generi. Nel terzo canzoniere è quello della biblioteca vaticana, canzoniere conservato nella biblioteca vaticana e scoperto solo nel 1898 da un famoso filologo Fernando Wolfe. Oltre a queste tre opere collettanee, sono stati scoperti dei canzonieri individuali. Il primo è la pergamena Vindel, che era un libraio che scopre casualmente nei primi anni dl 900 che un’edizione del de officis di cicerone che presentava una copertina, quando la toglie scopre che era stata fatta con una pergamena che era un canzoniere di un poeta galego potroghese. La sua particolarità è di essere l’unico ad avere una annotazione musicale. È l’unico ad averlo ed è molto importante dato che nascevano per essere in musica. La sequenza delle 7 cantgas di Martin Codax è uguale in tutti e tre i codici prima citati. Questo è importante: probabilmente queste 7 cantigas nel cui stesso ordine compaiono i canzonieri, erano pensate per un tipo di esecuzione essendo la pergamena una sorta di copione che si usava nei mometni della recita. Ci illuminano anche sulla produzione di altri trovatori: possiamo anche dedurre che la produzione di altri trovatori potesse anchenel loro caso rispondere a un’organizzazione relativa a un’unica esecuzione. Nel 1990 viene scoperto un nuovo pergamino: pergamino SHARRER perché rinvenuto da LEO SHARRER. Egli ritrova in una biblioteca portoghese di nuovo in dei codici notarili in una copertina che salvaguardava un’altra pergamena di cantigas firmate da Don Dinish. L’importanza di queste due pergamene è che ci conferma una certa informazione sulla loro trasimissione: quelle che nella letteratura portoghese si chiamano pliegos, che indica un codice di piccole dimensioni, de cordel. Il cordel è una cordina- probabilmente nelle piazze forse proprio quando avveniva l’esecuzione si appendevano le pergamene che veicolavano una trasmissione anche popolare- una circolazione più ampia. Ci testimoniano il tipo di tradizione che avviene con il pliegos de cordel. MARTIN CODAX: non abbiamo nessuna fonte documentale. Quello che sappiamo di lui lo sappiamo attraverso la lettura dei suoi testi. Gli studiosi si comportarono leggendo questi testi e da questi desumere alcune informazioni di carattere biografico. Altro elemento a loro disposizione era la calligrafia. Viene collocato nei primi decenni del secolo 15° . PAGINA 32: I: è una pena di amore irrisolta. Le informazioni biografiche che potremmo trarre quali sono? - È presente una città: Vigo. Siccome la città di Vigo è molto presente nelle cantigas di Martin Codax, si potrebbe supporre che lui provenisse da lì. È molto importante sapere che le cantigas de amigo si dividono in: - Barcarolas o Marineiras dove il contesto è marino; - Cantigas de Romerias, dove il romero è il pellegrino. In questo genere è sempre presente il luogo della chiesa, il pellegrinaggio. - Albas: indicano un contesto cronologico, l’incontro o la separazione degli amanti sul far dell’alba. Se per le jarchas si parla di poesia urbana che nasce nei centri cittadini, questo non vale per le cantigas caratterizzate da questo contesto bucolico agreste. II: Si ripetono gli stessi versi. Questa percezione di ripetizione continua si basa sull’uso di due strategie retoriche: (1) il parallelismo, che nelle cantigas si distingue in perfetto (1° verso 2° strofa: “quantas sabedes amar amadu”- ripetizone degli stessi termini, non solo della stessa struttura sintattica, con la variazione magari della parola rima) e imperfetto. A un certo punto al parallelismo perfetto si sostituisce la tecnica del lascia e prendi, che consiste nell’aprire la terza strofa con il 2° verso della 1° strofa e poi aprire la 4° strofa con il secondo verso della 2° strofa. Le cantigas hanno 8 versi, che sono divisi in distici seguiti da un ritornello. La cantiga costruita con distici a rima baciata o pareados più ritornello è l’unica coltivata da martin codax. Insieme all’analisi scritturale, insieme a queste informazioni e alle rime arcaiche I-O o A-O. nel caso di martn coadax non dovremmo parlare di trovatore ma di GIULLARE, perché nella lirica galego portoghese si differenziano trovatore, interprete di ceto nobile, e giullare, che appartiene ai non nobili. III: non è una cantiga marinara ma l’ambientazione è comunque bucolico; Analisi: Troviamo quasi le stesse strutture con delle varianti interessanti. Ogni sezione è forata da 2 strofe: le prime due sono accomunate dallo stesso tipo di racconto. La caratteristica della 1° strofa è che è femminile e quella della 2° è che è maschile. Questo comporta anche rime femminili nella prima strofa e rime maschili nella 2°- l’io lirico anche qui è una fanciulla che descrive un contesto bucolico, con i cervi. I cervi e le cerve simboleggiano i due amati. C’è una trasposizione metaforica: una cerva e un cervo che corrono come se fossero due innamorati. Nelle strofe 3° e 4° c’è il tema della fonte e del lavaggio dei capelli. Sono riti di carattere afrodisiaco e legati alla fertilità (acqua, fontana,). I capelli sciolti indicano la verginità della fanciulla. Anche qui le coppie stano insieme: rime maschili e femminili. Le figure di ripetizione rimandano a una volontà di ripetizione del testo. Le strofe 5° e 6° sono ancora formata da coppie una maschile e femminile. Sempre si parla di capigliatura e pettinatura. Nelle strofe femminili ancora maschile e femminile. Qui si introducono due nuovi artifici linguistici delle ripetizioni. Incontriamo il lascia e prendi che lega le strofe 5-6-7-8. Le prime 4 strofe sono libere, le seconde 4 sono legate perché il secondo verso della 5° strofa divente il 1° della 7 e il secondo verso della 6° diventa il primo dell’8°. È presente anche una nuova costruzione di ripetizione che è il polittoto, quando una stessa parola è presente declinata in modo diverso: lier, liara- aspirei asperara. 23/10/19 Re aragonese. Sotto il so regno viene conquistata Napoli. Proprio nelle corti napoletane nasce questa moda che rapidamente si diffonde nel resto della penisola. Il primo canzoniere castigliano (los canconieros sono di carattere generale- raccolgono opere di autori diversi o anche anonime). Il canzoniere più antico è quello di Baena. Alfondo de Baena, umanista, viene incaricato da Juan II di compilare un canzoniere. Si tratta di 576 testi a carico di 56 autori. È una produzione non molto uniforme. Gli studiosi hanno riconosciuto in questo codice due filoni: un filone galiziano castigliano e un filone definito allegorico dantesco. Questa si contrappone alla scuola galiziana perché quest’ultima si esercita nell’ottosillabo mentre quella allegorica nei versi di arte mayor. La cosa interessante di questo canzoniere è che ogni poeta viene introdotto da una presentazione. Viene quindi riconosciuta la volontà di autore. Cosa importante è la differenza dell’uso della parola canzoniere tra Italia e Spagna: in Italia è sempre individuale (Petrarca- testimonia in quel caso una parabola sentimentale dai suoi inizi alla sua conclusione), mentre quello spagnolo è un’opera di carattere collettaneo e solo a partire dal 500 con la diffusione in Spagna del petrarchismo, troveremo la parola canzoniere usata nella sua accezione particolare. Se il canzoniere di Baena è il primo, il più importante è quello de Ernando De Castillo. Nel caso dei canzonieri castigliani, sono quasi tutti intitolati con il nome dei loro allestitori. Questo è successivo a quello de Baena (1445-1454), è del 1511. Contiene 1056 composizione dei poeti dell’epoca dei re cattolici ed è una raccolta fondamentale per conoscere soprattutto la poesia che ci riguarda, di carattere popolare e tradizionale ma riscritta in ambito cortigiano. L’unico canzoniere che va ricordato è un 3° canzoniere, Cancionero del Palacio allestito durante l’epoca dei re cattolici ed è u musicale. Nei villancicos avviene dal punto di vista testuale il contrario di quello che avviene nelle jarchas dove avevamo una serie di strofe che si concludeva con una strofetta finale che forniva alla composizione precedente almeno le rime e a volte anche il tema. Nei villancicos la strofetta tradizionale è iniziale, condiziona sempre lo svolgimento successivo ma costituisce il preludio e non la conclusione. Analisi Villancicos: I: si presenta come una quarteta de arte menor. Subito capiamo che è di ambito tradizionale, questo lo capiamo prima di tutto dalle rime che sono in sedi pari e assonanti. (ES: Amor – Corazon). ALTRA SPIA DELLA SUA ORIGINE TRADIZIONALE è CHE SIAMO DI FRONTE Ad un caso di anisosillabismo, i versi non misurano uguali. Il primo verso conta 6 sillabe e gli altri 8. Il contesto è sempre di una voce femminile che lamenta una sofferenza di amore. In questo caso non c’è il confidente. II: presenta quella forma che avevamo individuato nella frottola: un estribillo iniziale e una strofetta di commento. Rispetto a questo villancico non sappiamo se si tratta per il suo carattere molto enigmatico, di un frammento iniziale di un poema più lungo. È un testo molto curioso, è uno dei pochi in cui c’è una circostanza di spazio addirittura ripetuta. (Avila). Questo testo si compone di un estribillo iniziale, irregolare nella misura, di 6 versi e senza rima. Poi ha una strofetta di 3 versi monorimi (struttura Zejel). La maggior parte dei villancico di esprime attraverso la 4eta. III: torna la figura della mamma confidente. È molto popolare; lo troviamo trascritto in molto canzonieri e contraffatto in termini A LO DIVINO e anche con contraffazione di carattere parodico. In altri testi, questo “Que le duele”, al posto di “duele” c’è “enrtetiene”. Questo ne modifica del tutto il testo dando un’accezione più di infedeltà amorosa. Altra contraffazione è costruita sulla figura del fiume ???. un villancico sempre di epoca medievale dice “Donde esta el Mancanares (il fiume)--- si riferisce quindi alla sua scarsità di acqua. Pag. 44: una stessa ripresa, con uno stesso ritornello, viene elaborato in modi diametralmente opposti. Il villancico di carattere tradizionale dice “I miei occhi non riescono a dormire, non riescono a dormire”. Il testo numero 6 glossa o commenta i villancico con una strofetta di 4 versi. A parlare è una fanciulla che soffre di un’insonnia di amore. “Ho sognato mamma due ore prima del fare del giorno che la rosa fioriva e lui veniva sotto l’acqua fredda. non possono dormire”. Rievocazione di un contesto sessuale. Non può dormire perché sogna di lui. La quartina è di carattere sia per i toni che usa sia per la forma di carattere tradizionale: glossa tradizionale. Anche qui i versi rimano solo in sede pari. Anche qui l’ultimo verso riprende quello dell’estribillo. VII: Questo è un villancico di autore, poeta del 1490-1550 che si chiama Cristobal Del Castilljo, grande poeta rinascimentale. Era il periodo in cui in Spagna cominciava a diffondersi il petrarchismo e questo poeta apre una polemica contro l’uso dell’endecasillabo in Spagna “Contra los que dejan el metro castillano para escribir en los metros italianos”, polemica di taglio tradizionalista: lui difende l’uso dell’ottosillabo e per questo scrive un villancicos.vediamo come le glosas che scrive a commento di questo villancico tradizionale abbiano una dimensione diversa da quello tradizionale. Questa poesia in apparenza semplice si basa su una ripresa di metafore molto ricorrenti nella lirica di amore. Qui la metafora che lui costruisce sull’insonnia di amore è quella dell’assedio di amore “come possono dormire se tutto attorno sono assediati dai soldati dell’amore che sempre sono armati. Non riuscendo a sopportare i loro colpi, gli occhi non possono dormire”. C’è una strofa costruita dai primi 4 versi che costituisce la mudanza e i tre versi successivi ripetono il verso 5 la rima del verso precedente, gli ultimi due versi riprendono le rime dell’estribillo iniziale. ABBAAYY Questa glossa si divide in 2 sezioni: ABBA = redondilla: una quartina che presenta le rime allacciate. AB BA. QUESTO Tipo di strofa di commento è molto frequente nei villancicos di tipo colto. È seguito da 3 versi di verso (AYY). Tutte le altre strofe hanno questa struttura. La strofa n°2 avrà come schema rimico: CDDC CYY. Queste strofe non potrebbero mai appartenere a un contesto popolare, è un testo scritto a tavolino che non vive nella dimensione orale. Nelle ultime 2 strofe, continua il tema degli occhi che sono stanchi di sostenere l’assalto dell’amore. Ma ci dice anche che a volte sono tanto stanchi del tormento che si chiudono. “ma i sogni che faccio che sono incubi li risvegliano”. Nell’ultima strofa il poeta dice che questa lotta di amore lo sta conducendo ala follia. Gli occhi sono la sineddoche dell’innamorato. In questo villanico si vede cosa succede alla lirica popolare. Una delle caratteristiche iniziali delle liriche popolari era la semplicità del sentimento. Qui questa poetica di tipo tradizionale espressa nel ritornello iniziale subisce una rivoluzione: non è più breve. L’autore affianca 3 strofe di commento; il sentimento proposto ha verso poi la freschezza del linguaggio semplice attribuito alla fanciulla. Possiamo poi notare una certa esibizione della capacità compositiva che nei testi tradizionali non è presente. 04/11/19 Cantar de Mio cid: Genere che si colloca nella categoria che si denomina sotto il nome di Mester de Juglarìa. La sua trasmissione fu essenzialmente orale a carico di juglares (giullari, menestrelli, pardi o aedi). Siamo sempre nell’ambito di una letteratura di produzione orale e trasmissione orale che in quanto tale è soggetta a forti irregolarità di ogni tipo. A partire dal 13° secolo cominceremo a confrontarci con una letteratura colta, a base scritta e di autore invece di una letteratura popolare, orale e anonima. Questo tipo di letteratura la riconosceremo sotto il titolo di un altro genere: mester de Juglarìa. Il genere epico è il primo genere poetico a carattere narrativo. Questo vuol dire che racconta una storia. Questa definizione è già inclusa nell’etimologia stessa della parola: epica. Epos= parla, narrazione. È un genere presente nella maggior parte delle letterature. L’epica italiana è un’epica colta e rinascimentale che conserva alcune caratteristiche dell’epica medievale alla quale risale il cantar de mio Cid. Quali sono le caratteristiche basilari della poesia epica? Per capirlo bisogna prima di tutto ragionare sui contesti. L’epica al contrario della lirica nasce con propositi ben precisi, di solito di carattere informativo. L’epica è sempre legata a un momento storico che si propone di raccontare e proprio perché racconta degli eventi storici ne discende che le caratteristiche essenziali sono una certa oggettività (il canto epico è un canto che tende all’oggettività, quindi alla descrizione veristica dei fatti succeduti non come il canto lirico che racconta un’emozione), ha un forte carattere assertivo o aproblematico: nell’epica non si contestano delle situazioni, dei valori presenti e non si presentano valori nuovi. Nell’epica che viene incarnata da un eroe. Questi incarna i nazionale è copia di questa copia probabilmente. Chi è Per Abat? Potrebbe essere tradotto come l’Abate Pietro, quindi un giullare di origine monastica oppure Pedro ABAD quindi cognome del copista, cognome di origine monastica. - La data: “en la era de 1245.” Su questa che sembrerebbe essere una traduzione pacifica, alcuni studiosi notarono che (Pidal) gli anni scritti in cifre romane si creava uno spazio tra le centinaia e il 45 e nei numeri romani non è possibile separarle cifre tra i numeri. Pidal aveva notato che tra il 100 e il 10 notava delle raspature e supponeva che fossero fatte per cancellare o che fossero state determinate dal deterioramento delle copie e che quindi risalisse a un’epoca più tarda. Era poi necessario ragionare sulla parola ERA. Nelle culture remote si partiva da certi fatti. In spagna la era spagnola faceva iniziare i fatti dal 1 gennaio del 38 a.c perché era l’anno d’origine della colonizzazione romana in spagna. La datazione che dobbiamo dare del manoscritto è o 1207 o 1307. Dobbiamo levare 38. Oggi si preferisce la prima data. Questo non vuol dire che il poema fu scritto in questa data perché nella stessa fotocopia noi abbiamo i versi dal 3724 al 3730 e sono i versi finali. Il poema del mio cid si compone di 3700 versi. “hoy los reyes [..]” oggi i re di Spagna sono suoi parenti (del Cid) – la storia ci dice che a un certo punto i discendenti del Cid e in particolare una pronipote che si chiama bianca de Navarra si sposò con Sancho III re di Spagna. Quindi la dinastia del Cid a un certo punto diventa reale. Questo avvenimento fu più o meno intorno al 1140. Questo ci porta a dire che il poema arrivò al codice scritto in questa data (1140). L’ipotesi di datazione è a partire del 1140. A queste considerazioni bisogna poi aggiungere che se il poema termina dicendo così, è probabile che il poema nasca da questo: la figura del Cid che viene celebrata ed esaltata sia stata recuperata in questi anni (fine 12° secolo) perché è il momento in cui la dinasta reale si imparenta con discendenti Cidiani. Non tanto quindi per dare sfoggio e descrivere l’eroe della riconquista. - Come ci arriva il codice? Abbastanza deteriorato anche perché per poterlo leggere meglio furono utilizzati dei solventi che lo hanno molto rovinato. Questa stessa lettura di questa data ci crea dei problemi. È un codice mutilo, mancano delle cose. Manca la pagina iniziale. Non si conosce il titolo quindi. Prevale il fatto di chiamarlo cantar e non poema perché la parola poema non figura nel testo mentre all’altezza del verso 2276 dice “las cordas de este cantar aqui vas acabando”- saremmo quindi indirizzati a chiamarlo cantar. Cantar equivale a chanson- erano recitati ritmicamente. È più probabile che contenesse dei versi che sono andati perduti. Questi 150 versi mancanti sono distribuiti con un primo foglio all’inizio e due fogli che mancherebbero all’interno. È un codice prezioso, confezionato in laboratori reali ed è scritto senza soluzione di continuità. Questi 7000 e passa versi sono scritti in modo continuo. È proprio delle edizioni moderne pubblicare il testo in strofe (è convenzione pubblicare il testo in LASSE) e diviso in microstrutture e macro-sezioni che sono 3 cantares. Quesa divisione è opera degli editori moderni che si sono basati sul fatto che cambino le rime. A cambiamento di rima cambia la lassa. La possibilità di dividerlo in 3 cantari diversi ce la offre lo stesso autore. Il verso 2276 dove è presente la parola cantare, vuol dire che finisce un cantar. Ci sono quindi delle frasi in cui l’autore dice qui finisce il primo cantar ecc. si evince che quindi il poema venisse cantato in 3 atti. Queste tre unità erano tre momenti recitativi, però questa è una deduzione a posteriori 06/11/19 Tema Poesia Epica: l’epica coincide con un unico poema/cantare: il cantar de mio Cid. In realtà probabilmente l’epica spagnola raccoglieva un numero di poemi abbastanza consistente e anche diverso per i contenuti e per i cicli epici che raccontava. Lo stesso ciclo epico costruito intorno la figura del Mio Cid, doveva contemplare non solo il cantare che ci è giunto ma per lo meno altri due testi. uno di questi era un cantar che in un certo senso racconta l’antefatto, quello che avviene prima ciò che è raccontato nel Mio Cid. Questo cantar probabilmente doveva intitolarsi cantar de Sancho II. Poi abbiamo un altro cantar che ci è giunto in epoca molto arda nel 14° secolo che narra l’infanzia e l’adolescenza de Cid che si intitola “Las Mozedades del Cid” (La gioventù). Il cantar de mio cid invece incentrato intorno la figura di questo eroe epico della riconquista, ci narra la sua storia e la sua biografia a partire dai suoi 40 anni. Oltre al ciclo cidiano, dovevano esistere altri cicli tra cui certamente un ciclo dei conti di Castiglia che ci fanno supporre che siano l’ultimo approdo di una tradizione molto antica. (Remoncidiones ??). Poema del Mio Cid: viene chiamato sia Poema che Cantare. Cantare è il termine più appropriato in quanto viene impiegato dall’autore stesso. Erano testi che venivano recitati, quindi cantati probabilmente al suono di uno strumento a corde sulla base di una monodia. Il manoscritto che ci è giunto è molto tardivo ed è quello sulla quale si basano le edizioni che abbiamo a disposizioni perché è un codice* unico. [*codici sono tutti quei manoscritti precedenti all’invenzione della stampa]. Il codice è del 14è secolo. Come facciamo a saperlo? Perché quando si lavora sui codici ci sono delle datazioni che si basano sulla manifattura del codice stesso e sulla calligrafia, perché nel corso dei secoli ci sono stati degli usi, degli scriptoria, che testimoniano che un testo appartenga a un particolare secolo. In questo caso si nota che questo tipo di calligrafia appartenga ai testi degli scriptoria di Alfonso XV. La calligrafia piuttosto accurata presente nel cantar de mio cid sembrerebbe farlo riconoscere. Dire che il codice sia del 14° secolo non vuol dire sia stato scritto in quell’epoca. Dalla lettura dell’explicit (ultime informazioni collocate alla fine del codice) possiamo dedurre che si tratti di una copia di un testo datato 1207. È un codice che ci è arrivato in modo piuttosto deteriorato a causa di umidità e alcuni reagenti con i quali è stato trattato, ma sostanzialmente leggibile e integro tranne per la mancanza di 3 foli. Il codice si compone di 73 foli ma ne mancano 3. Il primo era la 1° pagina. Manca poi un foglio che è il 47 e il 48; un altro foglio è tra il 69/70. Non sono le ultime lacune interne quelle che creano più problemi perché in questo caso essendo nel pieno della narrazione, si può capire la parte mancante in base al contesto. Il problema riguarda però la mancanza del primo folio, perché in questa prima pagina c’è chi suppone che potesse essere vuota, che potesse contenere solo il frontespizio (pagina che contiene autore e titolo) ne consegue che noi non abbiamo il titolo dell’opera. [Ramon Pidal è coli che ha attribuito il titolo all’opera]. Avrebbe potuto contenere anche nel numero di 50 una porzione di versi. Senza questi versi iniziali andati perduti, si creano delle incongruenze con l’incipit del poema. complessivamente nelle 3 pagine perse non abbiamo un 150 versi che per un poema che ne conta 3730 e passa non ne compromette la lettura. Pag 66: Incipit del Poema Il poema inizia con un personaggio protagonista che piange: <<dai suoi occhi così fortemente piangendo, girava la testa [tornar= girare/ lavorare al tornio<]>>. Poi dice “girava la testa e li stava a guardare” lì ci fa intuire che ci fossero dei versi precedenti ai quali ora si fa allusione. Abbiamo l’immagine di un protagonista in lacrime perché guarda qualcosa che lo commuove o lo ferisce proprio per questo si è pensato che l’inizio del poema fosse un altro nel quale ci si raccontasse questo eroe che poi al verso 6 sappiamo chiamarsi Mio Cid- nela parte perduta quindi si sarebbe detto cosa è che fa commuovere il Cid. Vv 109-112 un vassallo del cid che si chiama Martin Antorirez (???), in una circostanza precisa racconta i motivi per i quali il cid è stato mandato in esilio. L’eroe che piange quindi è un eroe esiliato. La commozione deriva dall’aver perduto le proprie terre e i propri beni. Lui quindi stava guardano i propri palazzi spoliati o devastati. L’antefatto di questa storia ci viene raccontato principalmente in 2 opere. È possibile ricostruire i cantari perduti e in questo caso questo probabile cantare di Sancho II perché a un certo punto gli scrittori delle cronache (nelle quali si registrava la storia dei re di Castiglia) usano come fonti dei cantari perduti. Alle volte li rielaborano, a volte invece riportano interamente dei versi. È chiaro che stanno maneggiando dei poemi che sono andati perduti e che sono precedenti al cantar de mio cid. È quindi errato dire che il cantar de mio cid sia il primo poema epica spagnola. L’antefatto storico è che il cid viene rieducato alla corte prima da Fernando I e poi passa alla corte di Sancho II re di Castiglia una volta che il padre divide il regno. Fernando aveva diviso il regno dando la Galizia a Garcia, la Castiglia a Sancho e il regno di Leon ad Alfonso. Siamo quindi in un’epoca in cui i diversi staterelli erano stati annessi sotto la figura di un solo sovrano. Rodrigo era quindi un infancon, un esponente della piccola nobiltà, era un cavaliere, che però viene educato per i legami che aveva avuto nella corte di Fernando I, con Sancho. Ad un certo punto SANCHO ii muore violentemente. Una leggenda narrerebbe che fu ucciso dal fratello Alfonso Vi il quale alla morte di Sancho annette tutti i territori. I vassalli di Sancho II passano sotto il controllo del fratello. Lui quindi non ha modo di fare carriera perché si trova a servire l’antagonista del fratello. Alfonso manda il cid a riscuotere in regno arabo le parias: dei tributi che i regni arabi pagavano ai regni cristiani per avere la pace. Il mio cid va a Siviglia per riscuotere questi tributi. Lì però il re sivigliano sostenuto da un nobile della corte di Alfonso 6 viene difeso dal cid e questo nobile viene in un certo senso umiliato. Da questa umiliazione si diffonde alla corte la diceria che il cid si sia macchiato di frode: i tributi che aveva riscosso in parte se li era tenuti per se. Tornato alla corte Alfonso 6 crede alla nobiltà in cui lui è inviso, crede al furto del quale è accusato e lo manda in esilio. Ecco il senso di questo pianto iniziale. Fotocopia: PRELIMINAR In questo paragrafo sono stati individuati dei versi che sono assonanzati in A- O che probabilmente erano i versi iniziali del poema che sono andati perduti. Siamo in una prosificazione in cui è possibile separare dei versi. Di solito oscillano tra i 16 e i 18, sono versi lunghi che terminano con una assonanza. Racconta la storia che il cid mandò a chiamare tutti i suoi amici, i suoi parenti e i suoi vassalli. E mostrò loro che il re aveva ordinato di lasciare la terra, uscire dalla terra entro 9 giorni” questo è importante: il re lo esilia e lgli impone il termine di 9 giorni. “ e disse loro: AMICIVOGLIO SAPERE DI VOI CHI VUOLE VENIRE CON ME perché QUELLI CHE VOGLIONI VENIRE CON ME DA Dio saranno ricompensati, aiutati. E quelli che invece decidono di rimanere qu voglio comunque rimanere in pace con loro. Allora parlò Don Alvar Fnez (personaggio centrale nel poema perché probabilmente storicamente rea un nipote del Cid e all’intero dell’opera è il comprimario- quel personaggio importante quasi quanto il protagonista.) suo cugino fratelo: “con voi andremo tutti Cid, ovunque, per terre e per villaggi. Con voi andremo Cid ovunque e mai vi verremo meno finchè saremo vivi e sani. Con voi divideremo le mule e i cavalli, e gli averi e i panni sempre vi serviremo come leali amici e vassalli. Il Cid lasciò Vivar, andò verso Burgos e quando vide i suoi palazzi svuotati, pianse”. quell’antisemitismo che sfocerà poi a fine 300 e finirano in una serie di rappresaglie; testimonia poi anche il grado di inserimento degli ebreinella società spagnola. Con qusto bottino quindi il cid si spingerà verso le caifas arabe al confine con il regno castigliano. (caifsa= staterelli che si formarono come conseguenza dello smembramento di al andalus). Il cid fa le prme incursioni in Aragona ma combatterà tanto contro i mori che contro i cristiani. Grazia all’abilita sua e della sua compagnia, otterrà brillanti vittorie e manderà al suo re una serie di doni. Qui termina il primo cantare che è stato convenzionamelnetne IL CANTAR DEL DESTIERRO, che testimonia in quella narrazine anche di carattere folclorico la prima fase: la disgrazia dell’eroe accusato di malversazione e il suo recupero della onra. 2°: Inizia al verso 1085. Il cid mira a conquistare Valencia (il territorio sulla costa orientale della spagna che si affaccia sul mediterraneo). Prima ha lasciato sua moglie dona jimena e le sue figlie (tutti personaggi storici ma con nomi diverse) presso il monastero di s. Pedro de Jardena alle cure di un vescovo: Don Sancho (nella realtà chiamato SiSeguto) , considerato ancora oggi il cuore della cultura e delle leggende cidiane. Questo monastero è anche una delle tappe più importanti del cammino di Santiago. Il motivo per il quale le lasciò lì non è narrata nel cantare ma lo possiamo dedurre dalla storia: la condanna aveva probabilmente sottratto al Cid la patria podestà. [le figliole e la moglie sembra vennero imprigionate dal re e non gli fu mai permesso il ricongiungimento]. Alla fine del cantare la posizione sociale e economica del cid notevolmente accresciuta determina la cupidigia e l’invidia dell’aristocrazia della corte. La storia del cantare è anche la storia del confitto in epoca di riconquista tra la piccola nobiltà e l’aristocrazia. Questo episodio ne è testimonianza: gli infantes de carriòn (i veri antagonisti del Cid) che appartengono all’aristocrazia castigliana chiedono in sposo le figlie del Cid. In un famoso verso il cid che sospetta un matrimonio di interesse ma non può ostacolarlo in quanto è proposto dal re, dice “la mano delle mie figlie gliela darete voi perché io non la darò”. CANTAR DE LAS BODAS. 3°: i due infanti effettivamente dimostrano, rampolli dell’aristocrazia e poco avvezzi alle guerre di conquista, dimostrano la loro infigardagine. Un epidosio chiave è quando i s trovano a Valenzia e un leone esce da una gabbia e gli infanti spaventati si nascondono sotto il baco sul quale il cid era sdraiato a riposare. Il cid si alza prende il leone e lo riaccompagna nella gabbia. Il secondo episodio è quando il cid viene attaccato da un re arabo e gli infanti invece di partecipare agli scontri, rimangono nella retroguardia. Questa serie di fallimenti portano gli infanti a provare sempre più raconre e invidia per il cid e decidono di proporre al cid di potere andare insieme in Castiglia con le loro mogli. Lungo il viaggio si liberano dei loro accompagnatori e nel bosco di Corves le picchiano lasciandole in fin di vita. Le figlie no muoiono e vengono salvate da alcuni compagni del cid. A quel punto l’eroe misurato non si lascia andare all’ira ma interpella al re e chiede delle Cortes. La soluzione di questo conflitto che minaccia l’onore personale del Cid, verrà risolto dalle cortes che darà ragione al cid e punirà gli infanti facendo restituire al cid la dote e le spade del Cid. Successivamente li obbliga a uno scontro tra campioni (elemento del quale avevamo parlato parlando della possibile derivazione dell’epica spagnola da quella gota). Gli infanti vengono sbaragiati dal cid. Il poema finisce con le nozze tra la nipote del cid e sancho III. EVENTO CHE AVVIENE POSTERIORMENTE E CHE PROBABILMENTE DETERMINA l’origine del cantare celebrando la figura del cid si celebravano le nozze della casa reale. COMMENTO TESTO: SCENA INIZIALE: SI VUOL COMMUNICARE AL LETTORE LA CONDIZIONE UMANA DELL’EROE. IL SUO PIANTO IN QUANTO ESILIATO. SSUCCESSIVAMENTE GIRA LA TESTA E LO SGUARDO si rivolge verso l’esterno, costatando i suoi palazzi devastati. Qui anche l’uso del polisindeto, quindi l’uso ripetuto e insistito della congiunzione I che per qualche maniera (forse anche per la recitazione) – questa figura presuppone un rallentamento del ritmo narrativo e che vuole quindi ben insistere sull’enumerazione di tutti i danni che il cid subisce dal suo re e che quindi rende il senso di perdita e di provazione. È un costrutto di carattere fortemente parallelistico (e….sin”. Iperbato- polisindeto- costruzione parallelistica. A partire dal verso 6 il cid sospira e poi parla. Si impone quindi- si ricompone e ne viene enunciata la sua qualità principale: la misura. Ovviamente questa misura, il fatto che il cid non si lasci quasi mai andare, è anche coerente con la narrazione storica che è al presente e può prendersela con i suoi nemici, con i nobili che ne hanno determinato la sventura, ma non può prendersela con il suo re. “grado a ti senor padre que estas en alto”: si possono dedurre o la grande cristianità dell’eroe. Dall’altro alto da questo ringraziamento dsi è voluto vedere un gesto di stizza e un espressione di sarcasmo. Nell’ultimo emistichio vengono presentati quei nemici contro i quali il cid si staglia e costituiscono un buono schermo per proteggiere la sua ira dalla figura del monarca. Neella seconda lassa (6 versi) il cid lascia Vivar: questa costruzione è di carattere parallelistico e anche sinonimo che vuole semplicemente dire che il Cid comincia il suo viaggio. Il viaggio inizia sotto dei presagi: uno fausto e uno infausto, che vengono detti nei versi 11-12. “escono da burgos e sentono una cornacchia sulla destra, entrano a burgos e la sentono a sinistra” nei commenti del poema questi versi sono origine di spiegazioni diverse la ma la cornacchia a destra sembrerebbe un presagio positivo: annunciare al cid un futuro eroico; la cornacchia a sinistra anticiperebbe la mancata accoglienza dei cittadini di burgos, che saranno costretti a non accoglierlo. Il cid scuote quindi le spalle e la testa pronunciando dei versi piuttosto complessi: “ALBRICIA: espressione di giubilo, di gioia //evviva!- che buona notizia!. Espressione esclamativa che l a maggior parte dei traduttori rendono con coraggio!. Nel primo caso evviva che buona notizia starebbe a marcare il segno di una dolorosa sopresa: la cornacchia a sinistra la interpreta come segno di male augurio. “evviva siamo stati cacciati dalla nostra terra” una forma di litote per dire il contrario. Il verso 15 è scritto in corsivo perché non fa parte del cantare ma è stato aggiunto da Pidal. Il cid ritiene che da quel momento in poi la sua condizione potrà solo migliorare e che potrà tornare nella sua patria di nuovo rispettato. Ricordiamo che se il poema termina con l’ascesa del cid per cui appunto la sua pronipote può sposare il figlio di un re, nella storia il cid rimarrà un infanzon e non migliorerà la sua condizione. La lassa numero 3 è più lunga delle altre. Qui SI RACCONTANO LE CONDIZIONI DELL’ESILIO. A LIVELLO FOMRALE, UNA CARATTERISTICA PRESENTA IN QUESTA LASSA è PRESENTE NELLE RIME. LE RIME SONO COSTRUITE SU UN’ASSONANZA o e.IN QMOLTI DI QUESTI CASI, QUESTE E SONO DELLE AGGIUNTE NECESSAREI PER COSTRUIRE LA RIMA MA CHE NON SONO GIUSTIFICATE DA UN USO GRAMMATICALE corretto. QUESTA E finale che serviva in una dimensione di recitazione orale per creare delle rime, si chiama E paragogica. Questa e paragogica può essere tanto anti-etimologica, come invece etimologica- recupera una e latina che nella lingua spagnola va perduta. Lo stile del cantar, essendo un testo che vive nell’oralità e quindi mandato parzialmente a memoria, usa una serie di escamotage: uno di questi è la E paragogica. Altro è l’uso delle formule lo stile dei poemi epici si chiama anche stile formulistico. Si usano alcuni costrutti in modo fisso laddove corrispondono le stesse regole metriche. III LASSA: sessanta pennoni= sineddoche/ 60 cavalieri. Intanto, già si constata la simpatia dei burgaresi nei confronti dell’eroe. Il cid entra e tutti accorrono a vederlo. L’espressione MUJERES y VARONES- BURGESES E BURGESAS. Sono espressioni formulari. Queste parole stanno solo per TUTTI. La possibilità di scindere questo TUTTI i n una coppia nominale, aiuta l’artista a completare l’emistichio. Anche qui appare la formula PLORANDO DE LOS OJOS. Se noi dovessimo definire questa espressione da un punto di vista retorico diremmo che si tratta di un pleonasmo. È spesso in realtà di un errore. Piangere dagli occhi all’interno dello stile epico è stato definita una frase fisica che serviva nella fase della recitazione del testo, un testo recitato da un unico interprete, ad accompagnare il testo con dei gesti. Unire a una gestualità alla recitazione. Il verso 22 è probabilmente tra i tanti uno dei più discussi. - Dio che buon vassallo se alfonso fosse stato un buon signore; - Dio che buon vassallo se troverà ora un buon signore; - La terza ipotesi traduce “Buon” con “Beni” quindi dio che buon vassallo se avesse dei beni per continuare la sua opera di conuista. Poi appare la questione di quale pena il re infligge al suo vassallo e alla comunità qualora decidesse di aiutarlo. IV: “Conbiadr le ien: condizionale che però all’epoca ancora non era diventato sintetico. [Sana= ira]. Questa ira del re che è un’istituzione giuridica medievale, l’ira del re o l’indinatio regis prevedeva una serie di possibilità. Al verso 40 il cid chiama a gran voce, nessuno apre. Qui abbiamo per la prima volta un gesto di rabbia che sembrerebbe contraddire la misura, prima qualità dell’eroe. Dal verso 40 il mio cid, spronando il cavallo, si avvicina alla porta e gli assesta un bel calcio. Questo accenno di ardimento verrà poi subito ricomposto di fronte alle parole che gli dirà una bambina mandata dal popolo a parlare al cid. // riappare la frase che è la formula legale già menzionata. Di fronte questo annuncio fatto da parte ella bambina il cid decide di abbandonare burgos e intraprendere il cammino dell’esilio. Si fermerà poi presso la cattedrale di burgos e poi pianterà le tende su un affluente del duero. Dormirà quindi sulla ghiaia. Pag 72: il cid qui si è spinto verso valenzia e costringe la città alla resa. Manda il suo compagno dal sovrano che permette al cid di riavere moglie e figlie. All’altezza di questa lassa assistiamo all’arrivo delle 3 donne e al cid che mostra loro la conquista. Conduce il mio cid le sue donne sul punto più alto dell’arcata, il castello costruito nella parte pi alta della città: interessa a noi l’immagine del cid che porta la famiglia nel punto più alto per farle godere della loro conquista. Il giullare qui ci fa descrivere la bellezza di questi luoghi non da un occhio maschile, da un combattente, ma dagli occhi femminili. Questa assunzione di prospettiva ce la dichiara dal verso 3. “Occhi belli” //occhi delle donne “guardano per ogni dove. Guardano valenzia come si estende intorno a loro. Dall’altra parte vedono il mare. La huerta de Valencia sta a indicare la pianura valenciana. Le donne vedono la bella città che si estende ampiamente, i l mare e poi la huerta. Ogni osa era un piacere. Le donne vedono questo luogo come un posto per vivere in mezzo a tanta bellezza (il cid rimane signore di Valenzia per molto tempo. Subito dopo lascia la valenzia alle moglie e alle figlie. Jimena resiste fino al 1102, dopodichè valenzia ridiventa territorio arabo- al andalus). Siamo nel pieno della dimensione critica di questa storia, gli infanti hanno preso le loro donne efanno finta di tornare in castiglia con loro e invece fermano la carovana nel bosco di Corves: vv 2696: l’entrata nel oerceto e la descrizione di esso, rimanda- i monti sono altissimi al punto che i rami toccano le nuvole e intorno vagano bestie feroci. Questa descrizione vuole essere un’anticipazione dell’oltraggio che le due donne riceveranno. Corrispondono alla retorica del locus horribilis. Nella narrazione medievale i luoghi sono descritti in modo simbolico. Quando invece si deve descrivere l’opera di inganno degli infanti, il luogo orribile si trasforma in un loco amoenus. “Limpia fonte” “giardino”- qui devono dimostrare alle loro donne amore e devono convincerle contatto di due parole diverse. Ad esempio "grande amore" la E e la A possono essere contate come una sola sillaba). La sinalefe è un grande aiuto per il poeta, quindi vietarla (che è la stessa cosa di dialefe) è introdurre una difficoltà in più. Dialefe: impossibilità di contare come una sola sillaba due vocali a contatto. Adesso intendiamo perché "gran maestría'. 42' eeeeh Nel libro di Aleixandre, la cui storia è quella di Alessandro Magno (diventa l'emblema morale, di chi mosso da eccessiva ambizione opera in modo sconsiderato), viene poi spiegato questo paradigma in molti poemi. In un verso della copla 38 Alessandro si rivolge ad Aristotele (il suo maestro) e gli dice "Maestro, grazie a te so la clerecía" e nei versi dopo ci aiuta a capire cosa fosse la clerecía, che era una mescolanza, sintesi delle arti del trivium (grammatica, retorica e dialettica : le arti del linguaggio) e del quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia, musica : arti superiori, che si affrontavano nelle escuelas generales dove si studiava anche filosofia e teologia). Lo scibile, il sapere dell'uomo di cultura comprendeva tutto questo palinsesto di conoscenze. Intorno alla biografia di Alessandro si innestano molte altre digressioni, di tipo morale, etico, ecc ma in generale parla di tutto ciò che era alla portata dell'uomo medievale colto. Quando parliamo di mester de clerecía parliamo di 13esimo e 14esimo secolo. Le caratteristiche di tipo medievale vengono rispettate nel 13, nel 14 le opere del mester de clerecía si presentano in modo meno rigido. Il più grande autore è Gonçalo de Berceo, di cui abbiamo poche info. Insieme alle info su di lui, il mester de clerecía si compone di poemi con quella struttura formale e con carattere didascalico. Il mester de clerecía trasferisce nella lingua volgare, un insieme di temi e opere del mondo classico> grande operazione di divulgazione. C'era la necessità di trasferire la cultura classica nella nuova lingua volgare che prendeva sempre più piede. Potremmo anche dire che le opere del mester de clerecía sono anche dei volgarizzamenti. Il libro di Aleixandre prende spunto dall'opera latina e la riadatta alla lingua castigliana. Succede lo stesso col libro de Apolonio, e il libro de Fernán González > opere simili di intenzioni, di carattere didascalico (narrare storie esemplari che appartengono alla cultura classica, e sono simili anche e soprattutto per la veste formale). L'espressione mester de juglaría nasce successivamente, in contrapposizione a questa scuola poetica, i cui interpreti hanno consapevolezza dell'arte che usano. Berceo è l'autore più noto, in quanto ci ha lasciato tante opere soprattutto sotto il genere angiografico (riguardo le vite di santi), come ad esempio "Vida de San Millán de la Cogolla". Nell'introduzione afferma nei primi versi "Il nome di chi ha scritto ciò è Gonzalo, e sono stato educato nel monastero di San Emiliano di Suso, e nato a Berceo dov'è nato anche Sant'Emiliano". Quindi sappiamo queste poche info su Gonzalo de Berceo. Sulla produzione culturale di Berceo si è molto discusso. In queste sue opere (Vita de San domingo de Silos, de San Millán ecc), che scrive su santi locali, facendo un'opera di proselitismo. Questi monasteri, diventeranno poi le tappe del cammino di Santiago, quindi può essere che queste opere promuovessero il cammino. Berceo lavora sempre con un codice latino. È chiaro che questi letterati avevano consapevolezza dell'importanza delle fonti, come i filologi odierni. In un'altra quartina dice "non so come andrà a finire la storia perché nel codice dove lavoravo sì è perso un fascicolo". Non scrivono a caso, inventando. Sulla loro deontologia di traspositori della cultura classica ciò ci fa capire il loro rispetto per la lettera dei classici, al punto che laddove c'è una lacuna la dichiarano ma non la colmano con la loro fantasia. L'opera di Berceo è a carattere devoto. L'opera più famosa è "Los milagros de nuestra señora" (la Madonna). I miracoli che ci narrerà sono 25, e lui li traduce da un codice latino, che è "Miracula beatae mariae virginis". Questo codice ne contiene 49 di miracoli e Berceo ne sceglie 24. Il 25esimo è ambientato invece nella stessa epoca di Berceo, in quella geografia lì e si potrebbe supporre che sia originale. È il "Milagro de la iglesia robada" e immaginiamo (sia perché non è nel codice sia perché è di ambientazione medievale, nella geografia della regione della Rioja) sia stato scritto da Berceo stesso. La tradizione mariana è antichissima e proprio nei pellegrinaggi, lungo i cammini che rappresentavano la sua devozione questi codici si diffondevano molto. In Spagna in particolar modo Maria ha un grande culto. Il culto che trova in questi racconti il suo massimo, si mescola con la liturgia Mozárabe, nella quale Maria aveva una grande importanza. A questa sì sommano anche i sermoni di Chiaravalle e la letteratura cortese, l'importanza che la donna assume all'interno della letteratura cortese. Non c'è dubbio che la Maria all'interno di questi sermoni è molto umana, perché serve ai predicatori per creare una religione di carattere più affettivo, per avvicinare il popolino alla religione. Maria come sorta di mediatrice tra mondo divino e umano, nei suoi caratteri più umani. Nel primo miracolo Maria è rappresentata come una Giunone arrabbiata per via di un tradimento. 18/11: letteratura spagnola Mester de Clerecìa: da una parte si può definire una scuola poetica, dall’altra un macro-genere letterario. Differenza? Nel considerare una scuola poetica dovremmo ammettere che ci sia un centro propulsore, dove questi autori si formarono ed elaborarono una poetica comune. Ovviamente di questo non abbiamo alcuna certezza ma chi propende per considerare il mester de clerecia come una storia, riconosce come centro propulsore l’università di Palencia. Il libro di Aleixandre in versione francese circolava in spagna da molti decenni e che nell’università di Palencia avesse avuto una sua ragion d’essere. La famosa quartina è molto importante e va conosciuta bene in tutte le sue dichiarazioni essendo una sorta di manifesto poetico, tanto per ciò che dice ma anche per quello che rappresenta. “MESTER TRAIGO FERMOSO [..]”. [ripete cose dell’altra volta]. I versi nel mester sono nominati ABC. - *Cursus: andamento prosa latina che rispettava una certa prosodia, un andamento ritmato. FALBAR CURSO RIMADO: scrivo rispettando il cursus*. - A *sillabas contadas: versi di 14 sillabe. Per *contarle dobbiamo fare riferimento ad alcune regole metriche. La DIALEFE (figura metrica). Quali sono le opere che nel 13 secolo includiamo nel mester de clerecia? sono opere molto diverse. Intanto tutta la produzione del Juglar De Dios”, Golnzalvo de Berceo. Quel che sappiamo di lui lo sappiamo grazie a lui. All’interno delle sue opere ci offre alcune indicazioni di carattere biografico. Una delle caratteristiche/tendenza del mester è quella di non produrre opere anonime. Proprio perché nasce in un ambiente colto e si tratta di produzione raffinata, cominciano a presentarsi delle dichiarazioni di autore. Lui è uno di quegli autori che ricorre alla strategia denominata ANONIMATIO che consiste nel presentare il proprio nome all’interno delle opere. È una sorta di firma. Di lui sappiamo che si formò presso il monastero di San Millan de la Cogolla, santo locale delle Rioja che possiamo collocare nell’alto Ebro- Aragona. Perché possiamo collocarlo così bene? Perché tutti i suoi poemi insistono su santi locali. È chiaro che lui e la sua produzione insistono su una regione molto specifica e che probabilente essendo una regione che viene incrociata lungo il percorso del cammino di santiago, questi poemi erano rivolti a un proselitismo che servisse ad avvicinare i fedeli a quelle chiese e a quei monasteri. La produzione di Gonzalo è a carattere unicamente devoto. troviamo però poi anche IL LIBRO DI ALEIXANDRE, libro classico che narra la vita di alessandro magno e narra tutti suoi successi e poi di come repentinamente perda tutto. Serviva come una sorta di ammonimento. [quanto mas altos subas, de mas altos caeràs- proverbio che troviamo nella celestina.] il libro de Apolonio re di Tiro, altra materia tradizionale in forma di romanzo bizantino. Questo genere narrava una storia di avventure fatte di incontri, finali sorprendenti ecc. un terzo titolo è il poema de Fernan Gonzalez. Quest volta la materia è epica, fernan era il primo conte di catiglia (10 sec). Sono quindi temi molto diversi accomunati dallo stesso metro e da una dimensione didascalica. Sono tutte storie esemplari e sono anche storie che appartengono al mondo antico e sono trasferite in lingua romanza da questi scrittori. Il compito degli autori del mester de clerecia è quelo di fare affiorare la letteratura classica e di renderla comprensibile a un mondo in cui il volgare si stava affermando come lingua e aveva sostituito almeno a livello popolare il latino. quello che questi scrittori fanno è un’opera di enorme divulgazione di un’opera fino a quel momento consumata in ambito esclusivamente erudito. Anche goncalo de berceo lavora e scrive quasi sempre a partire da fonti latine. L’opera più importante di Berceo e in generale del genere, sono i milagros de nuestra senora. A tal punto belli che diventeranno modelli per i poeti a venire. Quest’opera comprende 25 racconti che narrano i miracoli della vergine. La fonte sono i miracula beate mariae verginis, opera latina dalla quale berceo riprende 24 miracoli. Il 25° (la fonte robada) si dice sia un’opera originale. Si dice anche che la scelta di 25 derivi dal doppio di 5 numero simbolico della vergine. Quindi sarebbe un richiamo simbolico. La figura di Maria nel vecchio testamento non è presente e nel nuovo la sua dimensione religiosa non è molto approfondito. A partire dal 12 secolo il culto si afferma sempre più ed è molto forte soprattutto in Spagna. La figura di maria già nel culto dei cristiani che vivevano in Al ANDALUS entra a far parte dello schema teologico della salvazione e della redenzione. Svolge una funzione di intermediaria tra mondo celeste e terrestre perché a un certo punto della sua “carriera” viene riconosciuta come TEOTOCOS- madre di cristo ma partecipando cristo di due nature (umana e divina), Maria diventa madre di Dio e in quanto tale trova una sua collocazione nel Pantheon tra Dio e Cristo. Si dice anche che in epoca medievale Maria diventi una sorta di figura antitetica rispetto ad Eva. Se Eva nella genesi porta gli uomini verso il peccato, la figura di Maria sarà la nuova Eva che porterà gli uomini alla salvezza. Contemporaneamente anche per i Visigoti maria era vista come reparatrix, attraverso la sua opera compie un atto di salvazione. Come figura femminile riscrive la religione in una chiave più umana e più affettiva. Stessa elaborazione della Vergine come anello è presente anche nelle opere di San Berardo di Chiaravalle che nei suoi sermoni e soprattutto nel De Acqueducto paragona Maria a un acquedotto. Se Cristo viene rappresentato come fonte della fede e quindi principio generatore, San Bernardo dirà che Maria è l’acquedotto perché prende le acque della fontana per convogliarle e distribuirle presso i fedeli. Che Gonzalo de Berceo conoscesse questi sermoni e i miracoli latini è evidente, perché i miracoli li traduce e perché in una delle sue quartine è chiaro che la metafora dell’acquedotto fosse noto: “ così è santa Maria come fiume abbondantemente tutti vi bevono animali e viandante oggi come ieri [..]” TESTI: L’opera è anche enigmatica nel suo significato e ci sono una serie di questioni ancora aperte che riguardano l’autore, la storia editoriale, la sua configurazione e le sue intenzioni.  L’AUTORE: la paternità è di Juan Ruiz, arciprete de Hita. Tutte le indicazioni su di lui sono date dall’autore stesso nell’unica opera che ci ha lasciato (ovvero “el libro de buen amor”). Sono presenti dei passaggi dai quali possiamo dedurre informazioni biografiche. Il testo si compone di 1730 coplas, all’altezza della 1510 (verso A) un personaggio (Trottaconventi, soprannome per la mezzana che fa da tramite tra l’arciprete e le fanciulle che lui punta, infatti quest’opera viene paragonata al Decameron per il forte carattere erotico) parla ad una ragazza, una delle fanciulle con cui l’arciprete si vuole relazionare eroticamente parlando, dell’arciprete. In questa copla viene utilizzata la parola “Alcalà”, da ciò vengono due ipotesi: la prima riguarda l’Alcalà de Henares, che è una delle città più famose (Cervantes) ed è molto vicina alla località di Hita. Nella seconda ipotesi si parla di Alcalà Real che si trova in Andalusia, meno nota di Henares, perché l’autore viene indentificato con Juan Ruiz Rodriguez de Cisneros, figlio illegittimo di due cristiani prigionieri in territorio musulmano poi diventato arcivescovo di Siguenza. Quello che veramente sappiamo è che fu arciprete (o parroco) ad Hita, ovvero prelato più anziano all’interno della parrocchia e svolge la funzione vicaria rispetto a quella del vescovo. Questo ce lo dice all’interno dell’opera nella copla 19 tra i versi B e C + strofa 1575. Hita si trova in provincia di Guadalajara. Visse nel XIV secolo, nacque intorno al 1280 e morì nel 1350, data ipotizzata grazie al fatto che dopo il 1350 l’arciprete di Hita era Pedro Fernandez, testimoniato dagli annali delle parrocchie. In essi fu anche verificato che c’era più di un Juan Ruiz, persone che avevano tutti quella carica, quindi si deduce che questo nome era dato a tutti coloro che rivestivano quella precisa carica (nome generico, antonomasia). Quindi si aprono tantissime ipotesi sulla paternità dell’opera. In essa ci dice (nelle prime 10 coplas) che si trova in prigione (elemento che torna) e prega il signore affinché lo liberi. Non sappiamo se leggere questa prigione come un fatto biografico o come un fatto narrativo stereotipato (ex: Cervantes che scrive dalla prigione di Algeri), quindi considerarla una grande metafora per il corpo come prigione dell’anima  forse sta chiedendo a Dio di liberarlo dalla prigione della natura umana peccaminosa. All’interno dell’opera è presente la descrizione fisica dell’arciprete tramite il personaggio della Trottaconventi. (pag.111 dell’antologia). Queste caratteristiche fisiche in realtà corrispondono nella letteratura erotica allo stereotipo del buon amante, per ciò il confine è sottile tra descrizione reale e descrizione in clichè.  STORIA EDITORIALE: esistono 3 manoscritti che sono nominati da sigle (che derivano o dall’iniziale della città in cui si trova o è stato trovato o dalle iniziali di colui che possiede il manoscritto). Quelle de “el libro de buen amor” sono G, T e S che sta per Salamanca, il più completo oltre 1700 versi ed è copia di un mansocritto del 1493. I manoscritti G (appartenuto a Benito Martinez Gayoso) e T (conservato nella cattedrale di Toledo), sono copie di due manoscritti precedenti datati 1430. Sono diversi dall’S perché contengono solo un terzo dell’opera. Si potrebbe dire che tutti e 3 derivino da un originale per vie diverse oppure (ipotesi maggioritaria) che G e T appartengono ad una redazione ed S ad un’altra. C’è però una differenza di metri che viene spiegata dal fatto che all’interno dell’opera avviene un fatto poco spiegabile e molto originale: l’autore una volta racconta una storia in quaderna via e subito dopo la racconta un’altra volta in versi de arte menor, però non tutti i racconti presenti hanno questa doppia formulazione. Da questa costatazione potremmo pensare che il manoscritto S non sia completo di tutti i racconti in doppia formulazione, quindi alcuni testi sicuramente andarono perduti. Quindi sotto questo aspetto il testo si presenta in modo unico rispetto a tutte le altre letterature.  CONFIGURAZIONE: il filo conduttore di tutti i testi è presentato dal “Yo, Juan Ruiz arciprete de Hita” che rappresenta la tecnica a schiglionata (diversa dalla tecnica della cornice del Decameron), struttura narrativa nella quale il protagonista è l’elemento che unisce tutta l’opera ed è colui che le racconta. In mezzo a questi racconti comunque c’è una trama: l’arciprete che vive una condizione di innamoramento continuo. Egli vive 14 avventure amorose che rappresentano 14 diversi tipi di modelli femminili. In un certo senso è anche una rappresentazione femminile della società. - prima avventura – la gentildonna - seconda avventura – la fornaia - terza avventura – la donna onesta - quarta avventura - Melon e Endrina - quinta avventura – una giovinetta - dalla sesta alla nona si innamora di 4 montanare diverse che lo maltrattano - decima avventura – una bella vedova - undicesima avventura – donna di chiesa - dodicesima avventura – donna Garoza - tredicesima avventura – donna mora - quattordicesima avventura – donna piccola Lui corteggia le sue prede, ma nella maggior parte dei casi le donne lo rifiutano (es: 1, 2 e 3). A questo punto disperato si rivolge al Dio Amore per avere un aiuto (inserto dall’ars amandi, Ovidio), il quale lo istruisce e gli dà il consiglio di rivolgersi ad una mezzana, figura chiave nella letteratura spagnola  la mezzana è una figura a metà tra la fattucchiera e la donna di grande esperienza che fa da mediatrice tra l’innamorato e la sua dama. Effettivamente questo consiglio funziona nella 4 avventura (che curiosamente non è più narrata in prima persona, ma in terza e racconta di Don Melon, alter ego dell’arciprete, e Donna Endrina, storia che finisce a lieto fine). Donna Endrina però muore e quindi l’arciprete continua nella sua ricerca (6, 7, 8, 9 avventure) che si sposta nelle montagne, e quindi interesse per le montanare. Avviene un rovesciamento dei ruoli. Nella 10 e 11 le fanciulle non si concedono, dopo sposa donna Garoza (12) che muore ed infine ci sono le ultime due avventure che vanno a lieto fine.  INTENZIONE: è difficile capire se sia un’opera di taglio didascalico- morale (quindi ad indicare cosa succede a chi si lascia andare alla forza dell’amore, “sobreamor”, e a chi nonostante le vesti di prete cade nel peccato carnale). Può essere anche che le intenzioni siano di carattere goliardico, quindi potrebbe essere un’opera nata in contesto universitario/studentesco dove è presente la tendenza alla parodia, quindi riscrittura parodica delle storie dell’amor cortese. In realtà lo stesso autore ci lascia nel dubbio. Il più grande studioso (Giuseppe di Stefano) conia la definizione di poetica dell’ambiguità per “el libro de buen amor”, perché siamo portati ad analizzare la storia con entrambe le intenzioni (moraleggiante e parodica). Perché libro del “buen amor”? L’autore nel prologo ci parla di bonus amor (amore sacro) e malus amor (amore carnale, mondano), ovviamente, in quanto arciprete, dice che bisogna seguire il bonus amor, ovvero quello di Dio. Nella chiusura del prologo dice che è umano peccare, quindi se qualcuno vuole lasciarsi andare all’amore sensuale nell’opera può trovare alcuni esempi da seguire. Totale rovesciamento dell’insegnamento iniziale sul bonus amor. Aspetto moderno: le cose si possono interpretare in un modo o in un altro, quindi per Juan Ruiz il messaggio è per sua natura polisemico. L’opera presenta anche materiale paratestuale (preghiera, prologo in prosa/versi) e c’è un aneddoto chiamato la disputa tra greci e romani, raccontata proprio per farci capire che le cose possono essere interpretate in tanti modi e qualsiasi punto di vista va bene. (leggere pag. 117). Questa disputa è basata su una fonte scritta in latino da un grande giurista e scrittore del ‘200 che si chiama Accurzio. Aneddoto: i romani vogliono delle leggi e le chiedono ai greci, essendo un popolo più antico e maturo. Però i greci, non parlando latino, vogliono capire se i romani si meritano queste leggi (ritenendoli inferiori ed immorali), quindi impongono ai romani una disputa tra un rappresentante greco ed uno romano, che viene fatto a gei in quanto parlano due lingue diverse. Se questo confronto dimostra la validità dei romani, i greci daranno le leggi ai romani. Genere della serranilla (presente ne “el libro del buen amor” nelle avventure 6/9): nella lirica provenzale esiste il genere della pastorella. In genere in questi racconti in un locus amenus c’è una pastorella a cui si dichiara un cavaliere che passava di là. La fanciulla dice no perché ha già un’amante o perché vuole tutelare il suo onore, a volte il cavaliere la forza dopo il suo no. Idealizzazione del mondo agreste ed ambientazione bucolica, infatti questa pastorella ha tutte le caratteristiche della dama di corte. In Spagna sono serranas, ed abitano la Sierra, quindi stanno in montagna. Hanno le stesse caratteristiche della pastorella/dama, ma ci sono serranillas anche di carattere goliardico  non ci troviamo in un locus amenus, il clima è invernale, la zona è impervia ed il cavaliere/arciprete è in una condizione pessima. In questo caso c’è uno scambio di ruoli: le donne sono robuste e Montalban". Undici ottave acrostiche. Fa questo per svelare e al tempo stesso occultare la propria paternità. Uno dei più grandi studiosi (Gilman) dice che l'acrostico è una manifestazione di prudenza, perché sente la necessità di doversi tutelare. Su questa questione non tutti sono d'accordo. Ad esempio Menéndez Pelayo sosteneva che Rojas non esistesse, che non c'erano dati storici e biografici, e tutto faceva parte di un grande gioco letterario, perché il cliché, lo stereotipo del manoscritto ritrovato è uno stereotipo (come Manzoni ad esempio). Era una strategia che risale alle storie troiane di Ditti ed Arete, a cui molti autori facevano ricorso. Il cliché in Spagna era usatissimo. In tutti i libri di cavalleria nel prologo si narra la storia di come è stato rinvenuto il manoscritto. Per quanto riguarda la Celestina non sappiamo se l'autore giocasse con un topico oppure se ci troviamo di fronte a dei dati sensibili. Finché non si scoprirono, nel 900, documenti in cui si testimonia l'esistenza di uno studente di legge dell'Università di Salamanca chiamato Fernando de Rojas, che finisce l'università nel 1500. Sì suppone quindi che l'autore sia nato intorno al 1470. Quindi quando scrive la Celestina potremmo dargli circa 30 anni. Nasce a Montalbán, e poi diverrà sindaco anche di Talavera. Sposò un'ebrea conversa, e ebbe dai 5 ai 7 figli. Anche lui quindi era un ebreo converso. Sappiamo che difese il suocero dall'accusa di criptogiudaismo e che lui non incorse nella persecuzione dell'inquisizione. Dopo che furono trovati sti documenti fu trovato anche il suo testamento. Il testamento stilato dalla moglie alla sua morte, nel quale compaiono i libri della sua biblioteca. Importanti perché abbiamo anche un riscontro tra i libri citati nella Celestina e i libri che leggeva. Era una biblioteca di stampo umanistico. L'unica curiosità è che tuttavia in questa biblioteca non compare nemmeno un'edizione della Celestina. L'università di Salamanca (1218) è la più antica università spagnola dopo quella di Palencia. La Celestina nasce in ambiente universitario, in ambiente goliardico. Perché questo autore sente la necessità di occultarsi (prima dietro un anonimato stringente e poi palesandosi tramite un acrostico, facendo rimanere il dubbio riguardo il fatto che l'opera sia tutta sua o se solo la completò a partire dal primo atto). Il fatto che ci fa credere che completò il primo atto è che questo costituisce un terzo dell'opera. Inoltre notiamo come gli aforismi, le sentenze del primo atto sono quasi tutte di Aristotele e quelle degli altri atti sono quasi tutte di Petrarca. Al contrario possiamo anche notare una perfetta omogeneità tra gli atti. Quindi se supponiamo due autori, il secondo è stato molto bravo a non cambiare affatto di stile. La Celestina si pubblica durante il regno dei re cattolici e l'armonia tra le varie religioni si spezza. Uno storico del medioevo spagnolo, ci dice che l'antisemitismo che in Spagna aveva effetti visibili, riguardava invece tutta Europa. L'armonia delle culture era legato più alle necessità e non tanto alla tolleranza. I mori costituivano la bassa manovalanza per ripopolare il territorio dopo la Reconquista. PER quanto riguarda gli ebrei, erano diventati un popolo di prestigio al punto da ricoprire anche culturalmente, cariche importanti nell'amministrazione e nello stato. Il problema grande nasce a partire dalla grande peste del 1343, da una carestia europea e a causa di problemi di amministrazione nasce un forte sentimento antisemita. Ebrei accusati delle carestie, di avvelenare i pozzi e nel 400 gli si impongono delle misure (il riconoscimento con distintivi, con cappelli e barba lunga) e viene vietato loro, se non si convertivano, di accedere alle cariche pubbliche. Nel 1492, gli ebrei sefarditi (Sefarad: Spagna in ebraico) vengono cacciati. 1480: Isabella e Ferdinando ottengono la possibilità di impiantare in Spagna il tribunale dell'inquisizione da Papa Sisto IV, con dei propri inquisitori, scelti dalla corona. Allora diventa proprio uno strumento politico (fino a metà 800). Possono rimanere in Spagna solo i conversos, gli ebrei convertiti. Ciononostante l'intolleranza aumenta e questi conversos vengono accusati di criptogiudaismo (ossia di professare segretamente la loro religione). La cosa più grave fu la sottrazione di ogni bene ai perseguitati dall'Inquisizione. La denuncia al tribunale dell'inquisizione era anonima e si determinò una sorta di continuo pericolo. Quindi la società quattrocentesca spagnola è una società di grande pericolo, per gli ebrei. La conseguenza di tutto ciò è appunto evidente nella prudenza che ha l'autore della Celestina, un'opera licenziosa perché comunque narra un amore "illegittimo" ma anche irriverente (verso alcuni personaggi del clero che vengono messi alla berlina). Ciò poteva preoccupare l'autore, e perciò Stephen Gilman dirà che l'acrostico sarà una sorta di modulazione della prudenza che l'autore sente di dover mantenere rispetto a quest'opera. LEZIONE 04/12 Letteratura dell’epoca dei re cattolici. 1469  unione territoriale della Spagna con il matrimonio di Ferdinando D’Aragona con Isabella di Castiglia 1476  unione politica dei due regni 1512  fine della letteratura dei re cattolici La Celestina Il titolo si va ad affermare nel corso dei secoli, anche se il titolo reale era “Comedia de Calisto y Melibea” e dopo “Tragicomedia de Calisto y Melibea”, ma il personaggio della Celestina è spiccato nel corso dei secoli e la ha definitivamente rinominata. L’opera rappresenta uno spacco reale dei riflessi che la politica dei re cattolici ebbero sulla società  la Spagna è unificata per la prima volta dopo la Reconquista e recupera la sua unità territoriale che aveva solo ai tempi della monarchia visigota. 1492  conquista del regno di Granada, che era stato tributario (quindi pagava delle tasse al regno di Castiglia) dal 1238 per vivere in una condizione di pace. Nel 1492 Ferdinando lancia una nuova e ultima sorta di crociata, anche se i motivi erano principalmente di carattere sociale ed economico e non erano quindi motivi religiosi. Sociale perché la Spagna, nonostante abbia raggiunto l’unità territoriale, non aveva molta unità di intenti, infatti nel ‘300/’400 ci sono molte guerre civili alle quali i re cattolici pongono una fine convogliando le energie militari e ideologiche verso politiche territoriali (conquista di Granada e delle Americhe). L’importanza della politica inquisitoriale per quanto riguarda l’autore e lo spaccato della società che rappresenta l’opera. Enrico IV chiese a Roma di creare dei tribunali d’inquisizione nel territorio spagnolo. All’inizio questa richiesta fu negata, ma poi nel 1468 con una bolla papale intitolata “exigit sincerae devotionis affectus” (=richiesta di una fede sincera), il papa concedeva ai re cattolici la possibilità di istituire nel territorio cattolici della Spagna dei tribunali che erano alla dipendenza diretta dei sovrani. Quindi i tribunali divennero esercizio di potere politico. I tribunali in Spagna durarono dal 1480 al 1843, un periodo lunghissimi. Controllarono anche qualsiasi devianza di tipo ideologico, oltre che religioso. Il compito dei tribunali era di controllare che gli ebrei convertiti (perché non volevano essere cacciati dal territorio spagnolo, prendono il nome di conversos) si erano sinceramente convertiti. Questo tipo di controllo era sulle pratiche che i conversos continuavano a mantenere privatamente. Se c’era sospetto di giuidizzazione o criptogiudizzazione (ovvero pratiche ebree che i conversos continuavano a mantenere nella privacy, quindi in casa, di nascosto), i sospettati venivano sottoposti alle conseguenze tra cui la confisca dei beni (oltre a torture e persecuzioni). Fernando de Rojas, il cui nome viene nascosto nelle 2 ottave iniziali dell’opera, racconta del dramma sociale delle denunce anonime nei confronti dei conversos, quindi ogni ebreo viveva nel timore della denuncia dei vicini ai tribunali. Quindi i conversos venivano guardati con sospetto sia dagli ebrei che li consideravano traditori, sia dai cristiani che non li consideravano dei veri convertiti. Dopo alcuni anni venne istituto addirittura lo “Statuto de limpieza de sangre”, una legge che chiedeva di portare testimonianze che provavano al tribunale di essere cristiani non convertiti, ma “cristianos viejos”, ovvero cristiani da sempre. Si creò così un divario sociale ancora più ampio tra i cristiani e i conversos che avevano il sangue “sporco” (venivano chiamati anche cristianos nuevos). Ciò ebbe un peso notevole sulla società perché i cittadini cercavano di dimostrare in tutti i modi di essere cristianos viejos (anche Cervantes). La prima edizione della Celestina è del 1499, ma non sappiamo se sia la princeps, è un’edizione che ci arriva senza preliminari e senza testi a conclusione (postliminari), quindi con nessun materiale paratestuale. I paratesti della Celestina (arrivati a noi grazie a edizioni successive) sono di tipologie diverse: per esempio le ottave acrostiche, che forniscono le informazioni sull’autore, poi c’è un prologo-epistola in versi che spiega il passaggio da commedia a tragicommedia, poi titolo e argomenti generali. “El autor a un su amigo” – Prologo-epistola. L’autore avvisa l’amico sulle conseguenze ed i danni che provoca la pasione amorosa e la condanna. Viene detto che questo amore è una reprobatio amoris, una riprovazione di un amore mondano. Nella Celestina infatti, tutti i personaggi coinvolti nell’intreccio passionale muoiono e da questo finale si possono capire le intenzioni dell’autore di condannare questo tipo di amore, ma si ragiona comunque su due categorie: intentio autoris e intentio operis. Rojas dice di aver scritto per avvisare delle conseguenze dell’amore passionale, ma l’opera in sé racconta una storia licenziosa. Subito dopo in questa l’autore si descrive in un particolare atteggiamento: sta nella sua stanza con la testa appoggiata sulla mano, ciò ci fa riflettere sulla possibilità che ci stiamo trovando di fronte all’utilizzo di un clichè molto utilizzato nella letteratura: nel quadro di Durer - “Malinconia” si vede un personaggio alato che tiene la testa appoggiata sulla mano con un atteggiamento introspettivo. Durer conosceva i 4 temperamenti dell’uomo: quello del malinconico viene sempre rappresentato in questo modo (meditazioni filosofiche sulla vita e sulla morte). Questo atteggiamento con cui l’autore si descrive fa pensare ad un clichè dell’intellettuale malinconico e riflessivo. (un'opera che inizia bene e finisce male), ma anche, in parte, il concetto dei generi desunto dalla ruota virgiliana. Questa ruota, strumento mnemotecnico, serviva solo per fare conoscere agli studenti le caratteristiche delle opere. La Celestina mescola personaggi dello stile sublime (aristocratici, come Melibea e Calisto, Pleberio e Alisa) a personaggi più bassi (che normalmente sono i pastori ed in questo caso sono i servi, e il mondo di Celestina). Queste due sfere sono in contrasto che poi sfociano in momenti sarcastici. Gli argomenti non sono della penna di Rojas, ma degli stampatori. Nella versione spagnola di Calisto si parla come di "estado mediano" (condizione sociale) mentre nel caso di Melibea si parla di "en próspero estado/ alta y serenísima sangre". "En esto veo, Melibea, la grandeza de Dios" > incipit. La maggior parte dei critici è d'accordo nel riconoscere già dalle prime battute la parodia dell'amante cortese nella figura di Calisto. L'amore cortese in Spagna era un tema trattato seriamente in opere come i cancioneros, novelas sentimentales y de caballería. Nell'amore cortese c'è sempre l'adulterio. L'ostacolo amoroso è sempre dato dalla presenza del marito. Quando l'amore cortese arriva in Spagna, più moralista, scompare la figura del marito ma non scompare l'ostacolo (si parla di ostacolo immaginario). Nella novela sentimental, la dama o perché non vuole o non può, non accetta il corteggiamento dell'amante. Poi queste opere finiscono quasi sempre male, poiché il cavaliere quasi sempre si suicida. In particolare nella novela sentimental, la retórica amorosa è trattata in termini seri e tragici. Calisto non è solo la parodia generica del genere, ma probabilmente è più una parodia del protagonista de la cárcel de amor di Diego de San Pedro. L'opera inizia con Calisto che parla, e in un modo alto retoricista (con grammatica elaborata, fatta con il verbo a fine frase, con subordinate lunghe ecc) semplicemente le dice che è molto bella e che è fortunato nel poterla vedere. Già in questo i critici notano l'esasperazione dell'amore cortese. Calisto dice di trovarsi lì per caso. Gli stampatori ci dicono nell'argomento che si trovano nel giardino di Melibea. Gli stampatori deducono che Calisto sia lì per andare a riprendere il falcone che gli era scappato. La critica, dice che certamente il falco, nella caccia d'amore, in alcune storie (come nel romanzo di Chrétien de Troyes, Cligés) Fa incontrare gli innamorati. Altri sostengono invece che l'incontro avvenga in un sagrato, all'uscita della chiesa. Ciò che avviene sicuramente è che però Calisto si dimostra un amante logorroico, fa ciò che non farebbe un amante cortese. Al principio, infatti, l'amante farebbe una tappa di fededor (?)una fase in cui teme di mettere in imbarazzo e offendere la dama, e il suo onore. Quindi è discreto. Mentre Calisto è tutto il contrario. Melibea invece si comporta come dovrebbe allontanandolo. Calisto si dilunga in una serie di iperboli sacro profane. Dirà di aver fatto vari voti per vederlo, che gode più lui dei santi in paradiso ecc usa un lessico e linguaggio religioso in modo assolutamente irriverente. Addirittura divinizza la donna: colloca la dama al vertice della sua religione d'amore. A questa prima scena ne segue una seconda molto breve per capire chi è effettivamente Calisto e per capire effettivamente i due autori. In questa seconda scena notiamo l'amante che usa un linguaggio scurrile e quotidiano, al contrario del primo momento in cui era molto forbito. Ciò costituisce un contrasto. Contrappone il romance (di cavalleria, della novella sentimental, mondo utópico) alla novel (più realistico). Sì riconosce Calisto come un padrone dispotico e col suo servo Sempronio, che svolge la funzione che nella commedia classica era svolta dal servus fallax (servo infido che serve il padrone per un tornaconto personale), al contrario di Parmeno che era il servus fidus (quello buono e fedele, anche se poi sarà convinto da Celestina e Parmeno a perseguire i propri interessi). Calisto, nell'imprecare col servo, gli lancia delle maledizioni, che sembrano anticipare l'esito finale, perché gli dice "che tu possa morire nel peggiore dei modi, e che la tua morta superi in violenza la mia". Ed effettivamente la morte, poi di Sempronio, corrisponderebbe a questa maledizione lanciatagli dal padrone. Finché Calisto non si chiude nella stanza rimane con un linguaggio colloquiale. Calisto sembrerebbe ricordare l'amore cortese quando si chiude in stanza (amore come malattia: ritira dà vita sociale, non vuole mangiare e poi fa delle citazioni dotte). Ricorda due miti: uno legato alla figura celestiale del Seleuco di Antiochia, che a un certo punto si accorge, che il proprio figlio cade in una profonda disperazione. Allora chiama il medico Erasistrato che capisce che il figlio è innamorato della matrigna. Seleuco, mosso dall'amore filiale, gli lascia la moglie nonché matrigna del figlio. Dopodiché cita l'amore tra Piramo e Tisbe (morte di entrambi). Queste storie contribuiscono ad accrescere la dimensione tragicomica di Calisto, ma soprattutto, dicono i critici, che nella trama di questo primo autore la storia dovesse andare diversamente. Dice infatti "inspira en el pleberico corazón". La vicenda infatti forse poteva essere tipica dell'amore cortese: Calisto innamorato della moglie di Pleberio (triangolo amoroso cortese). Ciò lascerebbe capire che il secondo autore abbia costruito una storia in cui l'ostacolo è immaginario. Infatti dobbiamo chiederci cosa genere l'ostacolo della vicenda: alcuni hanno voluto vedere nel estado mediano di Calisto l'impossibilità del matrimonio tra Calisto e Melibea. Altri hanno supposto l'origine ebreo conversa di uno dei due. E siccome non ci si poteva sposare tra conversi e cristiani questo poteva essere l'ostacolo. L'ultima ipotesi, quella che sembrerebbe la più plausibile letterariamente, è legata allo stesso codice amoroso che viene impiegato: perché nel De Amore di Andrea Cappellano si avvisa gli innamorati del difetto del sobreamor (amare troppo, in eccesso , perché ciò genera dei germi nocivi). Nella esagerazione di Calisto e nella facilità secondo cui Melibea cede a lui, risiede questo peccato del sobreamor. Altro aspetto da tenere presente: cosa determina l'innamoramento. All'inizio Melibea è molto irosa e si comporta come deve. Ma già nel primo atto, quando Sempronio si accorge che il padrone è in preda a una passione devastante gli consiglia di rivolgersi a una mezzana, Celestina, che oltre a essere una ruffiana è anche una maga. Anche qui Calisto opera una forzatura all'amore cortese : paga addirittura la ruffiana per conquistare Melibea (l'amore certo non rientra nell'opera di conquista). Ma addirittura nella scena finale del III atto Celestina fa uno scongiuro (el conjuro), una sorta di incantesimo che le propizi i favori di Melibea. Ciò quindi mette in discussione anche il sentimento di Melibea, se effettivamente sia un sentimento vero o condizionato da questo scongiuro. Lo scongiuro fatta a Plutone è l'invocazione è fatta al diavolo. Nei trattati delle arti magiche, questa pratica magica è definita ph/filo captio. Una pratica in cui ci si impossessa del volere, del sentimento dell'innamorato tramite un suo oggetto. Lei crea una pozione e ci immerge un filato, un filo. Perché Celestina andrà a vedere questo filato a casa di Melibea: le darà il filato e in cambio Melibea le darà un cordone per far guarire Calisto da un inventato mal di denti. Nel giro di poche battute Melibea perde il controllo dei propri sentimenti e si concede con velocità al suo innamorato. Ciò evidenzia la volontà di Melibea: quanto sia una volontà libera o condizionata. Infatti, alla morte di Calisto, deciderà anche Melibea di uccidersi. In questa serie di morti dall'alto, non sono casuali, perché anche in una serie di miti, la morte dell'amata era dall'alto di una torre. In realtà Rojas si stava ispirando alla simbologia corrente della ruota della fortuna. La storia della Celestina è una storia di amore e morte, ma la morte è causata da due eccessi: uno quello sessuale e l'altro la cupidigia. Le morti sono dovute dai soldi e dal sesso. Ma soprattutto all'interno della Celestina ritorna spesso un proverbio, che riassume proprio la morale della ruota della fortuna. La fortuna era la sorte e veniva rappresentata come una ruota: una ruota che gira, oggi a me e domani a te. Prima si è in cima e poi si può cadere giù. Anche lo stesso Parmeno cita un proverbio simile (più sali in alto e più sarà dolorosa la caduta, atto I, pag 123 "quien torpemente sube a lo alto más ayna cae que subió"). Nella Celestina queste morti dall'alto sono una trasposizione narrativa di ciò che era la ruota della fortuna. (È un po' la storia moralizzante di Alessandro Magno). Nella maggior parte dei rosoni delle nostre chiese, i rosoni non sono che grandi ruote della fortuna. Tutta questa storia non è che una grande parabola, che condensa quello che è il pessimismo dell'ebreo converso, che vede la vita come caos guidato dal caso. L'opera si conclude col lamento di Pleberio: plantus, costruito sul pianto in mortem (in questi caso in morte della figlia). Pianto fortemente retoricizzato. Connesso col testo delle Opere Morali di Petrarca. Né Melibea, né Calisto, né Pleberio farà una riflessione cristiana sulla morte. Nemmeno il padre si preoccuperà della sorte della figlia. Il dolore di Pleberio si esplica per la morte della figlia, ma anche perché ha perso l'unica erede (morale borghese, cinica, mercantile di una società in cui i valori diventavano anche i valori materiali). Anche in questo finale la critica ha voluto vedere uno scrittore certamente non cristiano: più materiale, umano, pessimista, cinico.
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