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Letteratura spagnola 3 e Storia Imperiale, Appunti di Letteratura Spagnola

Appunti di letteratura spagnola da El Quijote di Cervantes al 1800 con Tristana di Galdòs. Vi sono appunti sia delle biografie di ogni autore, opera e periodo storico-politico dal 1500 al 1800 incluso nel programma 2021/22.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 23/01/2024

federicazagaria00
federicazagaria00 🇮🇹

4.8

(4)

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura spagnola 3 e Storia Imperiale e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! → Il XVI secolo è caratterizzato dall'Umanesimo, dall'evoluzione della letteratura e delle arti, dalla rinascita del teatro e, in questo periodo socioculturale vi sono dei cambiamenti: nasce la stampa, la quale fa sì che le opere degli scrittori siano diffuse in tutto il mondo; gli umanisti inizino a scrivere in lingua volgare; nasce il mecenatismo, per il quale i signori commissionano le opere agli artisti al fine di comprare l'immortalità e, così facendo, scrittori, pittori e scultori acquisiscono prestigio; e, infine, ha inizio l'unità religiosa, dove la religione smette di essere il centro dell'universo e al suo posto viene messo l'uomo che può scegliere, attraverso le sue azioni, se essere un animale (istinto) o diventare un angelo (ragione). In Spagna si diffondono diversi generi letterari: 1) I libri di cavalleria, romanzi idealisti e di finzione che si presentano come una storia vera; 2) I libri sentimentali, che parlano della storia d'amore tra dame e cavalieri; 3) Il romanzo pastorale, di tema prettamente amoroso; 4) Il romanzo greco, nato dalla letteratura di viaggio con Omero, che narra il viaggio di una coppia di innamorati che deve affrontare una serie di pericoli; 5) La novela morisca (o novela intercalada, un racconto breve messo in un altro romanzo), che presenta mori buoni quanto i cristiani e cristiani cattivi quanto i mori e parla d'amore; 6) La novela picaresca. LA NOVELA PICARESCA Sono tre, le opere che rappresentano il genere del romanzo picaresco: il Lazarillo de Tormes, El Buscón e il Guzman de Alfarache; da queste tre opere si deduce che ciò che definisce questo genere non è il viaggio, bensì il punto di vista del narratore, ossia il personaggio principlale e la lotta dell'individuo con se stesso e con la società. Il picaro è un uomo che cerca di liberarsi da ogni responsabilità sociale e la novela picaresca nasce con il Guzman de Alfarache di Mateo Aleman nel 1599 (1° parte) e nel 1604 (2° parte), nonostante il picaro più noto sia il Lazarillo. Tutte le novelas picarescas hanno degli elementi fondamentali: sono sempre scritte in forma autobiografica e con episodi, iniziando dalla fine della storia, raccontata dal protagonista anziano che narra la vicenda come se fosse una confessione, pentendosi delle sue azioni passate; il tema ricorrente è la limpieza de sangre, la purezza, poiché i musulmani convertiti al cristianesimo sono considerati stranieri nel loro stesso paese e denunciano tali condizioni in queste opere, in maniera anonima, per paura delle conseguenza sociali; questa purezza è rappresentata dall'opposizione tra onore esterno e valore vero di ogni uomo. L'opera tratta dell'almibar picaresco, una vita senza preoccupazioni e la libertà del picaro è data dall'abbandono delle responsabilità. Nel Guzman, il protagonista racconta pentito la storia della sua vita dal carcere; egli divenne un picaro per vizio e, ogni volta che racconta, Guzman esegue un sermone sulla virtù e sul peccato per dare esempio al pubblico ed è considerata un'opera controriformista, dal momento in cui Guzman, alla fine, si pente. Secondo il romanzo, tutti gli uomini sono nemici e si uniscono solamente nel tradimento reciproco e nella menzogna, una costante nella società umana ma possono salvarsi attraverso il pentimento. Aleman, riflette sui temi della giustizia, del crimine e della punizione, denunciando la disonestà e la corruzione di molti giudici e personifica tutti i mali della società che conosce in un uomo che si abbandona al peccato, fino al punto in cui il peccare si trasforma definitivamente nel suo stile di vita. Un altro autore ha scritto una novela picaresca, Francisco de Quevedo che pubblicò nel 1626 El Buscón. Pablos cercherà di sfuggire al passato e farsi strada in società con qualsiasi mezzo; egli, diventerà un picaro, ma le sue ambizioni immorali lo faranno finire al fondo della società, il che risulta un paradosso in quanto anziché elevarsi finisce più in basso e, infatti, tutte le sventure di Pablos si devono alla sua aspirazione a diventare cavaliere, ma non lo merita perché si comporta in maniera completamente immorale. Quevedo riprende delle caratteristiche del Lazarillo, come la quasi morte di fame e un hidalgo come terzo padrone. Con Pablos, si sottolinea il rifiuto della nobiltà di accettare l'ingresso del popolo ai livelli alti grazie alle ejecutorias de nobleza concesse dai re cattolici, con le quali ci si poteva elevare per divenire hidalgo. Quevedo critica l'innalzarsi del denaro sul valore, poiché con la vendita delle hidalguias, tutti potevano essere nobili solamente comprando una carica, eclissando la vera nobiltà; secondo la società dell'epoca, aveva più valore guadagnare denaro in tempo di pace che avere valore in guerra, facendo prevalere la ricchezza sul merito. MIGUEL DE CERVANTES (1547-1616) Miguel de Cervantes Saavedra nasce quando il potere di Carlo V passa a suo figlio Filippo II; fu soldato e uomo d'affari e nel 1571 partì per la battaglia di Lepanto, dove perse la mano sinistra, e nel 1575 venne catturato dai pirati mentre stava tornando a casa e venne rilasciato 5 anni dopo. Cervantes compose opere teatrali durante la prigionia, tra cui El Trato de Argel e Numancia, per intrattenere i suoi compagni di cella, e scrisse anche poesie; poi, nel 1585 pubblica La Galatea, il suo primo romanzo, di genere pastorale, dedicato a Ascanio Colonna, probabilmente per trovare un punto d'appoggio in Italia. Il romanzo pastorale nasce con lo scrittore portoghese Jorge de Montemayor e la sua opera La Diana, nella quale nessun amore è corrisposto ed è ambientato in un mondo di bellezza immacolata (locus amoenus); in questo romanzo vi sono novelas intercaladas, ovvero storie che non appartengono al mondo pastorale (romanzo morisco); inoltre, alla fine dell'opera, i personaggi bevono el agua del olvido, che fa dimenticare tutto e così essi si disinnamorano per innamorarsi nuovamente di altri personaggi, ma sempre senza essere corrisposti; l'amore diventa, quindi, un tema filosofico. La Galatea narra di amori non corrisposti e riprende La Vita Nuova di Dante, poiché in entrambe troviamo l'unione di prosa e poesia; inoltre, mentre ne La Diana non vi è sangue, ne La Galatea vi è un omicidio che simboleggia la rottura con la materia pastorale, sviluppata nel Quijote, ma anche qui vi sono numerose narrazioni brevi che interrompomo la storia principale. Cervantes provò a pubblicare la prima parte de El Quijote nel 1604 a Valladolid, ma non ci riuscì e la pubblicò nel 1605 a Madrid, con il titolo El Ingenioso Hidalgo don Quijote de la Mancha. L'opera è divisa in quattro parti e ogni personaggio racconta la propria storia, è una narrazione dentro la narrazione. Poi pubblica: la seconda parte de El Ingenioso Caballero Don Quijote de la Mancha (1615), Novelas Ejemplares (1613) e Ocho Comedias y Ocho Entremeses Nuevos (1615). Novelas Ejemplares è la prima opera che afferma il genere della novella italiana in Spagna e Cervantes riprende alcune di queste storie all'interno de El Quijote, come in Rinconete y Cortadillo e La Historia del Cautivo. I romanzi avevano lo scopo di intrattenere ma fungevano anche come esempi da seguire o da evitare, storie dietro cui si nascondeva una morale, il fruto oculto, per questo motivo la raccolta si intitola Novelas Ejemplares. Cervantes considera il romanzo come un miscuglio tra storia e finzione e, da neoaristotelico quale è, con i suoi personaggi cerca di rappresentare qualcosa di generale, non per il singolo individuo, dunque la storia si occupa del particolare, ovvero delle cose come sono, mentre l'arte riguarda i fatti e i personaggi probabili e universali; per Cervantes l'amore è fondamentale, ma manca l'erotismo e questo tipo di amore deriva dai romanzi sentimentali; in Novelas Ejemplares, egli presenta diversi tipi di amore, tra cui l'amore perfetto (Gitanilla) e l'amore imperfetto ma perfezionato (Celoso Extremeño). Questi sono i romanzi più noti che fanno parte della raccolta delle Novelas Ejemplares: -Gitanilla → narra della promessa di matrimonio che la gitana Preciosa fa a Andres, a patto che egli conduca la vita da gitano per due anni, mettendo alla prova il suo amore; questa storia tratta temi l'incompatibilità dell'amore con la gelosia, la virtù come qualità positiva (immune alle tentazioni della vita) e il cristianesmo (l'amore che termina in un matrimonio felice). -Celoso Extremeño → è la parodia del matrimonio, in quanto Carrizales sposa Leonora ed egli, geloso, la chiude in casa, ma Loaysa riesce a entrare e cerca di sedurla; quando Carrizales torna a casa e li vede insieme muore di dolore, però riesce a perdonare Leonora; nelle sue opere, a chi commette un errore morale non resta altra soluzione che la morte e il grave errore di Carrizales è stato rinchiudere Leonora piuttosto che guidarla verso la virtù; questa storia rappresenta il primo esempio nella letteratura spagnola di un marito ingannato che non cerca vendetta verso la moglie. -Rinconete y Cortadillo → la storia più didattica della raccolta, in cui vi sono due picaros che entrano in una confraternita di ladri e questi e le prostitute sono obbligati dal loro capo a tenere sempre accesa una lampada di fronte a un'immagine; Cervantes usa la devozione alla Vergine per criticare queste cerimonie, mentre la fratellanza dei criminali è una satira contro una società che viveva in armonia solo all'apparenza, dove l'onore, la devozione e il lavoro si confondono con la sostanza. → Il 1° libro comprende le prime due uscite, il 2° la terza, annunciandone una quarta: • Il primo libro presenta la storia di un pazzo comico con intervalli lucidi, dove la burla riguardo i libri di cavalleria è accompagnata da una critica ragionata di essi e dalla proposta di un altro tipo di romanzo; ad esempio, l’episodio della liberazione dei prigionieri è un comico atto di follia, ma sotto di esso si nasconde l’idea secondo la quale la giustizia deve essere accompagnata dalla misericordia poiché, al tempo di Cervantes, molti crimini venivano castigati con una severità ingiustificata. • La seconda parte è diversa sia per il contenuto che per la forma, in quanto non ci sono romanzi intercalati e Don Quijote prende parte alla maggior parte delle avventure. C’è una miglior alternanza tra i momenti di follia e lucidità di Don Quijote e persistono i temi dell’inganno e del sogno, perché tutto quello che non sembra realtà diventa un sogno. Ciò potrebbe riflettere una visione disillusa della vita da parte di Cervantes, che ha dieci anni di più rispetto a quando ha scritto la prima parte, oppure la serie di scherzi potrebbe essere una soluzione di fronte alla difficoltà di inventare materiale nuovo; inoltre, qui c'è un aumento della statura morale di Don Quijote rispetto a tutti coloro che si prendono gioco di lui, ad esempio nel palazzo dei duchi è l’unico a provare compassione per la figlia sedotta e abbandonata di Doña Rodríguez. Sancho appare ragionevole e pazzo quanto il padrone. Sconfitto dal Cavaliere della Bianca Luna, Don Quijote è costretto a tornare a casa, dove recupererà la ragione e subito dopo morirà. C’è una ragione artistica del fatto che egli recuperi la memoria: dal momento in cui Don Quijote viene presentato come un uomo ragionevole la simmetria richiede che termini lucido; così facendo Cervantes impedisce qualsiasi continuazione apocrifa, come era avvenuto nel 1614 con Alonso Fernández de Avellaneda nella quale insultava e criticava l'autore del Quijote: in questa versione apocrifa, tutte le avventure di Don Quijote erano presentate come mere pagliacciate e finisce in manicomio; per questo Cervantes critica Avellaneda nel prologo del secondo libro. → L’intera opera è comica, ma Don Quijote offre anche molti punti di riflessione nei suoi momenti lucidi e alcuni vedono nella sua figura un’evocazione semi-nostalgica del passato eroico della Spagna e dello stesso Miguel de Cervantes. Durante la prima uscita Don Qujote è solo, nella seconda e nella terza è accompagnato da Sancho, la quale avviene a Saragoza. → Analisi della prima parte del Quijote (capitoli 1-52) ← Capitolo 1 In questo capitolo ci viene presentato Alonso Quijano come un uomo non eccessivamente ricco, è di corporatura robusta, si alza presto la mattina ed è appassionato di caccia. Egli è un appassionato di romanzi cavallereschi e il suo autore preferito era Feliciano de Silva; questa sua ossessione per i libri di cavalleria era tale che decise di diventare cavaliere e, per portare a termine questa sua strana avventura, deve prendere e pulire le armi dei suoi bisnonni. Per diventare un cavaliere ha bisogno delle seguenti cose: un nome per sé, perchè ogni cavaliere che si rispetti ha un nome adatto a tale compito; decide, quindi, di chiamarsi Don Quijote de la Mancha, un'idea presa dall'Amadis de Gaula; un nome per il suo cavallo, che decide di chiamare Rocinante; una donna a cui dedicare tutti i suoi trionfi, poiché a quei tempi un cavaliere non poteva comportarsi come tale se non aveva una donna alla quale dedicare i suoi trionfi e la sua dama era Dulcinea del Toboso. Capitoli 2-3 Il capitolo inizia con Don Quijote che crede che la cavalleria sia necessaria in un mondo in cui regna l'ingiustizia, così si rivela al mondo come cavaliere, per riparare i torti e aggiustare le cose. Sale sul suo cavallo Rocinante e aspetta che sia lui a muoversi e scegliere una direzione, dunque le avventure che trova Don Quijote sono date dalla volontà del suo cavallo. Ci viene raccontata la prima uscita di Don Quijote de la Mancha; lungo la strada si pone domande su se stesso e sul suo futuro; mentre cavalca Rocinante, immaginava che sarebbe diventato un cavaliere famoso e che sarebbe apparso nei libri di cavalleria per le sue grandi imprese. Don Quijote entra in una locanda (venta) per passare la notte; incontra due donne e lui inizia a fare loro dei complimenti; entrambe a ridevano del suo modo di parlare, poiché non vedevano di buon occhio complimenti così lontani dal loro status di locandiere. Don Quijote stava iniziando ad arrabbiarsi ma in quel momento appare il venditore che gli offrì del cibo, un posto dove lasciare il suo cavallo e un buon letto dove dormire. La locanda, la venta, è il posto in cui si incontreranno personaggi di tutti i tipi, provenienti da diversi mondi e generi letterari ed è tutto il contrario del castello, perchè dà un carattere burlesco alla narrazione. Nel capitolo 3, Don Quijote si arruola come cavaliere e, perchè questa nomina sia valida, chiede al'oste di nominarlo cavaliere. Il locandiere acconsentì a questa strana richiesta, pensando che fosse pazzo e che, a sua volta, avrebbe guadagnato dei bei soldi. Ogni cavaliere avrebbe dovuto sorvegliare le armi nella cappella, ma poiché non c'era nessuna cappella, misero le armi nel cortile e, in questo modo, Don Quijote le avrebbe sorvegliate durante tutta la notte; egli dovette anche combattere con due uomini finché non apparve il locandiere e fece la pace; alla fine, venne nominato cavaliere alla vecchia maniera. Capitolo 4 Il capitolo inizia con la frase lasciata in sospeso alla fine del capitolo 3, la hora del alba seria e, in questa maniera, viene indicata l'indeterminazione temporale e spaziale che caratterizza tutta l'opera, perchè non vi è mai una visione chiara delle cose, degli eventi o dei luoghi. Don Quijote lascia la locanda e torna al villaggio per raccogliere denaro e trovare uno scudiero. Sulla strada vede un abitante del villaggio che sta frustando un giovane; egli ordina di fermarsi, il paesano si ferma e il cavaliere gli chiede il motivo della punizione e quest'uomo gli dice che il giovane aveva perso delle pecore e il giovane sostiene che quell'uomo non pagava da 9 mesi. Don Quijote fa giurare al padrone che pagherà il ragazzo e che lo libererà ma, quando Don Quijote se ne va, l'uomo inizia apocchoare ancora più forte il giovane Andres. Nel capitolo 31 i due si incontreranno nuovamente e Andres racconterà l'accaduto all'hidalgo, deluso perche viene a conoscenza del fatto che la sua prima azione avesse ottenuto l'effetto contrario, ossia favorire un disonesto; tutta questa storia serve per presentare il tema della giustizia e del pazzo che presume mas de lo que puede realizar. Capitoli 5-6 Don Quijote, picchiato, inizia a ricordare e a recitare uno dei libri che aveva letto; passò un vicino di casa che lo riconobbe e lo aiutò ad alzarsi; il vicino continuava a chiedergli come stesse, ma il cavaliere inveiva e gli rispondeva con citazioni e versi dei libri che aveva letto. Quando torna a casa, la nipote, il prete, l'amante e il barbiere lo accolgono e si rendono conto della follia che pervade il cavaliere; il prete e il barbiere chiedono alla padrona di casa le chiavi della biblioteca per bruciare tutti i libri di cavalleria, causa della follia di Don Quijote. Solo alcuni libri si sono salvati, come l'Amadis de Gaula. La sua collezione comprende prosa e poesia, poemi e romanzi di fantasia, ma non ci sono opere religiose o raccolte di romances. Vengono denunciati 29 libri su 100, che corrispondono a una condanna di immoralità. Inoltre, la decisione di murare la stanza in cui c'era la libreria di Don Quijote è dovuta al fatto che a quel tempo alcuni libri proibiti venivano murati; la nipote e la governante gli spiegano che è stato il mago Freston a rubare tutti i libri e, da questo momento in poi, secondo lui tutte le avventure che finiscono male si devono a questo mago. → N.B. I primi 6 capitoli rappresentano una narrazione breve e costituiscono ununità, ovvero la prima uscita di Don Quijote. La sua vita si trasforma in finzione e decide di trovare qualcuno che lo accompagni nelle sue avventure e lo chiede a Sancho Panza; probabilmente tale personaggio è stato ispirato dal modo di dire hallà va Sancho con su Rocino, infatti Sancho riflette la cultura popolare e parla prettamente attraverso i modi di dire. Don Quijote sa leggere e ricordare, mentre Sancho non sa leggere in quanto è analfabeta e con la sua entrata in scena iniziano i dialoghi che diverranno il cuore dell'opera. C'è una corrispondenza tra i nomi dei personaggi di Cervantes e la loro essenza: il nome ''Sancho'' unisce semplicità e sagacità, mentre ''Quijote'' follia e saggezza. Nel corso dell'opera, Sancho acquisirà una personalità che all'inizio non ha e diventerà sempre più sagace e intelligente, un tonto listisimo e, mentre il personaggio di Sancho cresce, quello di Don Quijote si avvicina alla malinconia: quijotizacion di Sancho e sanchicitaciond i Don Quijote. Capitolo 7 Don Quijote si sveglia dal sonno gridando, perché pensava di star combattendo con molti nemici; il prete, il barbiere e la padrona decisero di murare la biblioteca dell'hidalgo, in modo tale che non si accorgesse che tutti i suoi libri erano scomparsi e, nel caso in cui Don Quijote si fosse ricordato della sua biblioteca e avesse chiesto i suoi libri, i suoi amici gli avrebbero detto che era stato un mago a farla sparire mentre lui dormiva. Egli, poi, parte per trovare uno scudiero e raccogliere un po' di denaro; per ottenere questo denaro fu necessario impegnare alcuni beni. Durante questo cammino trovò un pover uomo di nome Sancho, al quale offrì diverse isole se solo fosse andato all'avventura con lui e fosse stato il suo scudiero; concluso questo singolare accordo, i due avventurieri partirono dopo il tramonto; durante il viaggio, i due parlavano dell'isola che lui aveva promesso a Sancho e del suo possibile governatore. Capitolo 8 Durante il cammino, Don Quijote e Sancho si imbattono in alcuni mulini a vento; il cavaliere pensa che siano giganti e parte all'attacco. Sancho gli dice che non sono altro che mulini a vento, ma Don Quijote insiste nel continuare la sua follia, inciampa con la lancia, cade a terra e l'avventura dei mulini a vento si conclude. Il giorno dopo, mentre stavano per andare a Puerto Lapice in cerca di avventure, videro una donna e due monaci, vestiti con il saio nero, che li seguivano; Don Quijote pensò che questi uomini avessero rapito la donna e decise di attaccarli, nonostante gli avvertimenti di Sancho. I due frati fuggirono con tale sfortuna che uno di loro cadde. Don Quijote si reca a rendere omaggio alla dama ma, lo scudiero della dama attacca Don Quijote; quando i due stanno per attaccarsi, la narrazione si interrompe all'improvviso. Capitolo 9 Il capitolo 8 si era concluso con la sorprendente notizia che il racconto delle vicende del protagonista si è dovuto interrompere perchè l'autore della storia non è riuscito a trovare altri scritti. Cervantes prende la parola diventando così un personaggio che passeggia per Toledo e afferma di aver trovato la continuazione della storia in un manoscritto arabo in un negozio di Toledo: questo espediente letterario è un'altra parodia dei libri di cavalleria e del loro frequente uso del manoscritto trovato e scritto in una lingua sconosciuta. Il manoscritto arabo trovato da Cervantes prende il nome da Cide Hamete Benengeli, uno ''storico'' arabo; Cervantes si affretta a comprare il manoscritto e porta a casa sua un moro che lo traduce per lui; da questo momento in poi, la struttura rimane la stessa: c'è un testo iniziale in arabo, che viene tradotto da un moro e poi tradotto per noi da un secondo autore, che dovrebbe assumere il ruolo di redattore e che, a volte, introduce brevi commenti. Finalmente il filo della narrazione riprende e torniamo alla lotta del nostro hidalgo contro Vizcaino, lo scudiero della dama che Don Quijote aveva protetto dai monaci, che gli sferra un colpo di spada, gliela spezza e gli taglia metà orecchio; ma il coraggioso scudiero ne esce peggio a causa di uno spadone del cavaliere della Mancha. Capitolo 21 Nel capitolo 21, Don Quijote scambia la baccia di un barbiere per il famoso elmo di Mambrino; con la lancia in pugno, il nobile riesce a far fuggire il barbiere, quindi prende la baccia e se la mette in testa, come trappola. In seguito, padrone e servo discuteranno del loro futuro eroico. Senza alcun dubbio grandi storici scriveranno le loro avventure; Don Quijote sarà re e saprà esattamente in che modo ricompensare il suo fedele servitore Sancho. Capitolo 22 Durante il tragitto, Don Quijote assiste a una delle situazioni più tristi della Spagna dell'epoca: un gruppo di prigionieri condannati alle galere. Egli chiede loro la causa della loro condanna e interpreta le loro risposte in modo sbagliato. L'hidalgo, obbligato dalla sua condizione di salvatore, libera gli schiavi della galea con grande disappunto del suo servitore Sancho, che si rende conto che si tratta di veri e propri criminali. Tra i prigionieri spicca Gines de Pasamonte, che apparirà poi nella seconda parte con il soprannome di Maese Pedro. Sancho si rende conto della gravità della situazione, poiché padrone e servo saranno ora perseguibili. Nel frattempo, gli schiavi della galea ridono del povero pazzo che li ha liberati e, quando chiede loro di andare a rendere omaggio alla sua signora Dulcinea del Toboso, lo lapidano. Capitoli 23-24 Il capitolo 23 continua il tema dell’amore non corrisposto di Marcela e Grisostomo e della disillusione attraverso le storie intrecciate di Cardenio e Dorotea. Don Quijote entra nella Sierra Morena e trova Cardenio, un pazzo d’amore che si è rifugiato nella Sierra Morena dopo che la sua amata Luscinda si è sposata con Don Fernando, o questo è quello che lui crede. Ci sono due storie intrecciate e il contrasto tra quattro personaggi: l’irrisoluto Cardenio ama la timida Luscinda, mentre l’impetuoso Fernando seduce la discreta Dorotea. Tra l’inizio della storia (capitolo 23) e la sua soluzione finale (capitolo 36) vi è la novela intercalada del curioso impertinente, a sua volta interrotta dalla lotta di Don Quijote con gli otri (l’intricato tessuto di storie e personaggi rivela il virtuosismo di Cervantes). Secondo Marsilio Ficino, l’amore è desiderio di bellezza e la bellezza di Dorotea risveglia il desiderio di Don Fernando. Dorotea conosce la legge ed essendo una donna discreta si concede a Don Fernando dopo che lui le ha dato la sua parola di sposarla. Don Fernando pensa solamente a soddisfare il proprio piacere e, dopo averla avuta, scappa. Parlando con Cardenio, che gli descrive la sua amata Luscinda, Don Fernando si innamora perdutamente di essa e si innamora ancora di più nel momento in cui la vede, così crea un triangolo amoroso tra lui, Cardenio e Luscinda. Il racconto di Cardenio viene interrotto da Don Quijote, poiché viene a sapere che Luscinda ha letto l’Amadis e inizia una discussione sui libri di cavalleria con Cardenio, il quale ritorna nel suo mondo di follie e se ne va malinconico. Così non sappiamo come finisce la loro storia, ma proseguirà nei capitoli: 27, con la versione di Cardenio al prete e al barbiere, 28 e 29, con la versione di Dorotea e 36, con la soluzione finale. Capitolo 25 Qui vi è il tema della penitenza d’amore e della lettera, in quanto Don Quijote è ispirato dalla storia di Cardenio e ricorda che i cavalieri devono fare delle pazzie per le loro dame, così decide di impazzire per la sua Dulcinea. Egli rimarrà pazzo finché Sancho non sarà tornato con la risposta alla lettera che invia a Dulcinea e deve scegliere un modello da seguire tra l'Orlando (di Ariosto) e Amadis De Gaula. Quando Sancho scopre che Dulcinea è in realtà Aldonza Lorenzo la descrive come la paesana che è: yo imagino que todo lo que digo es así y pinto mi imaginación con mi deseo. Don Quijote e Sancho si recano nella Sierra Morena; Sancho chiede al suo padrone il permesso di tornare a casa e il cavaliere glielo concede, in cambio di una lettera d'amore alla sua Duclinea. Quando Sancho viene a sapere che la dama del cavaliere è Aldonza Lorenzo, le fa un elogio rustico e, nel frattempo, Don Quijote decide di rimanere in montagna, facendo la penitenza come Amadis. Qui, il discorso di Sancho inizia a caratterizzarsi come un accumulo di proverbi. Capitoli 26-27 Il cavaliere senza Sancho si ritrova solo e decide di imitare le follie di Amadis de Gaula; Sancho arriva alla locanda e incontra il prete e il barbiere, i quali erano usciti alla ricerca del cavaliere folle; Sancho spiega loro tutta la pazzia del suo padrone e si rendono conto che il servo crede fedelmente a tutte le sciocchezze del cavaliere errante ed è convinto che un giorno sarà governatore di un'isola, come promesso da Don Quijote. Decisi a portare con sé l'hidalgo, decidono di travestirsi per ingannarlo e farlo tornare a casa. Nel capitolo 27 il prete e il barbiere, addentrati nella sierra alla ricerca di Don Quijote, si sono travestiti per ingannarlo e poterlo strappare alla sua penitenza; nell'attesa di Sancho, incontrano Cardenio, che spiegherà il seguito della sua storia d'amore: Don Fernando tradì l'amicizia con Cardenio e, con un pretesto, lo allontata dalla sua amata Luscinda; chiede la sua mano e il padre di Luscinda acconsente al matrimonio; Cardenio, nascosto dietro alcune tende, sente il ''lo voglio'' di Luscinda e poi, folle d'amore, fugge sulla Sierra Morena. Capitolo 28 Dorotea è figlia di alcuni ricchi contadini, vassalli di un grande uomo di Spagna, il cuo figlio Fernando si è innamorato di lei. L'audace seduttore riesce ad entrare nelle stanze di lei una notte e, con la promessa di matrimonio, soddisfa i suoi più bassi appetiti; poi Don Fernando scompare, Dorotea non sa nulla di lui, finchè le voci dicono che ha sposato la bella Luscinda; imbarazzata per la perdita del suo onore, decide di fuggire e di prepararsi a incontrare il traditore Fernando. Con il capitolo 28 inizia la quarta e ultima parte del primo libro di Don Quijote e, da questo momento in poi, la narrazione si complica molto. Il capitolo inizia con l’incontro del prete, del barbiere, di Sancho e di Cardenio con Dorotea, travestita da uomo e sta cercando Don Fernando dopo essere stata abbandonata con la promessa del matrimonio segreto e, dal momento in cui è bellissima e tutti la desiderano, si traveste da uomo per non farsi riconoscere. Dorotea è il contrario di Marcela, in quanto si lascia sedurre e poi si lamenta di essere stata disonorata, mentre Marcela ha sempre difeso la sua libertà di scelta. Essa si è lasciata abbindolare dalle dimostrazioni d’amore di Don Fernando e dal fatto che l’avesse colta di sorpresa nella sua stanza, stringendola con forza e quanto più lei diceva di noi tanto più lui insisteva. Mentre racconta questa storia, Cardenio capisce che sta parlando di lui e i due si riconoscono, riconoscono le loro pene comuni e capiscono che in realtà possono sperare nel lieto fine. Infatti, Dorotea dice che dopo aver detto “si”, Luscinda sviene e Don Fernando trova un biglietto nel quale essa afferma di essere già promessa a Cardenio. Il prete e il barbiere decidono di aiutarli a ricongiungersi con i loro amati, ma prima chiedono a Dorotea di travestirsi dalla principessa Micomicona per poter riportare Don Quijote a casa, essi fingono che tale principessa abbia bisogno dell’aiuto del valoroso cavaliere andante, così da farlo uscire dalla Sierra Morena e riportarlo a casa, dove provare a curarlo dalla sua follia. Finora è stato Don Quijote a inventare le sue avventure, ma d’ora in poi saranno gli altri personaggi a inventare cose e a burlarsi di lui, dove tutti iniziano a mentirgli (persino Sancho). Capitoli 29-30-31 Cardenio confessa a Dorotea la sua identità e le dice che non si darà pace finchè non la vedrà con l'uomo che dovrebbe essere suo marito, Don Fernando. Nel capitolo 30, mentre si dirigono tutti verso l’immaginario regno di Micomicona, Don Quijote chiede a Sancho la risposta di Dulcinea alla sua lettera ed egli dice che nonostante avesse dimenticato la lettera nella Sierra Morena, fosse riuscito a fargliela avere perché la ricordava a memoria (se la inventa). Il prete, il barbiere, Cardenio e Dorotea decidono di inventare una storia per far tornare il cavaliere a casa: la giovane donna si travestirà da principessa, si chiamerà ''la principessa Micomicona'' e chiederà aiuto al pazzo per recuperare il suo regno, rubato da un gigante; è un cambiamento molto importante nello sviluppo del romanzo poiché non è più Don Quijote a trasformare la realtà a causa della sua follia, bensì sono gli altri a trasformare questa realtà e a presentarla al cavaliere. Don Quijote acconsente alle richieste della principessa Micomicona, la quale promette a Don Quijote che lo sposerà se riuscirà a restituirle il regno, ma il cavaliere afferma che tale matrimonio è impossibile perchè è in debito con la sua amata Dulcinea; Sancho non crede a ciò che sente, poiché se il suo padrone sposasse la principessa ne trarrebbe un grande beneficio. Capitolo 32 I nostri personaggi arrivano alla locanda di Palomeque e si apprestano a passare la notte; discutono dei libri di cavalleria, del loro contenuto e del loro successo all'epoca. L'oste tira fuori da uno stivale alcuni fogli che un viaggiatore aveva lasciato e il prete decide di leggere queste carte, che diventeranno il romanzo del Curioso Impertinente. Capitoli 33-34-35 In questi capitoli vi è l’intermezzo (entremés) del curioso impertinente, ambientata durante la battaglia di Cerignola (1503). Tutto il Quijote è ambientato nel XVII secolo, mentre questa storia è antica per sottolineare il fatto che sia la prima ''novella all’italiana'' scritta in Spagna. L'intermezzo presenta il tema del marito che vuole mettere alla prova la fedeltà della moglie, già trattato nell’Orlando Furioso. Anselmo è convinto che sua moglie Camila sia fedele, così chiede all’amico Lotario di provare a sedurla, ma i due si innamorano veramente e il finale diviene tragico; infatti una sera Lotario vede entrare in casa un altro uomo e crede che sia un altro amante di Camila (invece era l’amante della sua serva), sporcando il loro amore e sottolineandone il carattere carnale. Così si separano fuggendo: la serva muore, Lotario partecipa alla battaglia di Napoli, dove morirà e la notizia causerà la morte di Camila, chiusa in un convento. Quando Anselmo scopre la verità sulla moglie, non sa se morire o impazzire (bivio di fronte al quale si trovano i disinnamorati) e, rendendosi conto di essere vicino alla morte, scrive una lettera nella quale racconta l’accaduto e si dà tutta la colpa, ma muore di dolore prima di terminarla, proprio come morì anche il pastore Grisostomo. Prima di narrare la morte di Anselmo, il racconto viene interrotto da un momento di follia del Quijote, che rompe con la sua spada gli otri di vino. Ora tutte le sue avventure saranno un disastro e lui apparirà sempre più ridicolo e tragico, perché saranno gli altri personaggi a prendersi gioco di lui. Capitolo 36 Il capitolo 36 è il momento in cui entrambe le coppie si riconoscono: Cardenio riconosce la voce di Luscinda (tema dell’amore che entra por los oídos), mentre Dorotea riconosce don Fernando appena lo vede (tema dell'amore che entra por los ojos). Le loro storie sembrano labirinti dal quale sono usciti tutti i protagonisti e si sono riuniti. Don Quijote, Sancho, il prete, il barbiere, Dorotea e Cardenio si trovano alla locanda da diversi capitoli quando, all'improvviso, arriva un misterioso gruppo di viaggiatori, con il volto coperto da una maschera per evitare la polvere della strada; l'astuta Dorotea comincia a riconoscere l'enigma e sviene quando riconosce Don Fernando tra i nuovi arrivati e Cardenio riconosce la sua amata Luscinda. Capitoli 37-38 In questo capitolo, tutti i personaggi sono felici nella locanda, tranne Sancho che vede come la bella Dorotea, o principessa Micomicona, non abbia intenzione di sposare Don Quijote, essendo molto innamorata di Don Fernando; dunque, le sue possibilità di diventare governatore sono più lontane che mai. Entra un'altra coppia composta da una ''mora'' non battezzata e da un prigioniero. La donna dice di chiamarsi Zoraida e spiega di essere figlia di un ''rinnegato'', ossia di un cristiano convertito in musulmano e vuole convertirsi al cristianesimo, cambiando il suo nome in Maria. Don Fernando, allora, dice al prigioniero di raccontare la sua storia ed egli narra di come la ''mora'' lo abbia liberato in cambio del suo aiuto per fuggire in Spagna e convertirsi (novela intercalada di tema moro, dietro cui si nasconde la leggenda della Vergine di Loreto, una vergine nera). Tale storia assomiglia alla vera storia di Cervantes, è molto realista (unico punto autobiografico) e serve a riallacciarsi alla storia delle due coppie; tra il prigioniero e Zoraida c'è semplicemente un amore ideale e non hanno una relazione tra loro, ma il viaggio che intraprendono insieme anticipa quello di Perciles y Segismunda, novela bizantina che tratta del pellegrinaggio spirituale dell'uomo attraverso episodi mescolati di virtù e depravazione. ARIOSTO E CERVANTES Il romanzo cavalleresco destinato a porre fine a tutti i romanzi cavallereschi deve permettere alla storia narrata di disfarsi come se lo facesse per il piacere del lettore e allo stesso tempo deve suggerire astutamente la reazione dell'autore critico; l'autore ricrea, così, il vecchio tema ma produce anche un nuovo romanzo, ossia il romanzo critico. Vargas Llosa afferma che ne El Quijote, Cervantes non abbia ucciso i libri di cavalleria, bensì gli ha reso omaggio presentando i suoi miti, i suoi valori e i suoi personaggi, adattandola al suo tempo con ironia. El Quijote è un romanzo cavalleresco in un'epoca in cui non vi sono più i cavalieri, e in un mondo che non permette di sviluppare l'illusione di un ordine cavalleresco; tale ideale sopravvive nella nostalgia e nella follia perciò, fingendo di rifiutarla, la sua opera restituisce a quella tradizione la vitalità che aveva perso e, allo stesso tempo, crea un'arte narrativa nuova. Cervantes e Ariosto hanno in comune l'impresa distruttiva del modello cavalleresco, infatti Cervantes ne El Quijote cita l'Orlando Furioso e lo salva dallo scrutinio del prete e del barbiere. Le due opere presentano caratteristiche in comune come: → il gusto per l'imprecisione, l'illusoria sospensione alla fine dei capitoli, le avventure intrecciate, uno storico poco affidabile (Cide Hamete Benengeli ne El Quijote e Turpino nell'Orlando Furioso), la presentazione ipotetica dei fatti, entrambe le opere aprono la letteratura di finzione alla modernità. → Mentre i personaggi di Ariosto sono ''pedine fisse di un altro gioco, mosse dalla mano del loro autore'', dunque personaggi ripresi da altri libri o appartenenti alla tradizione, quelli di Cervantes invece ''entrano in un altro gioco con la pretensione di passare per le pedine di quel gioco stesso e trovare il loro posto all'interno di questa scacchiera''; i personaggi delle novelas intercaladas (entremeses) sono inventati da Cervantes e le loro storie si intrecciano con quella del protagonista; al contrario, Ariosto si ispira alla materia carolingia e bretone dove il tema cavalleresco e il tema amoroso si sostentano reciprocamente: gli amori di Angelica e Orlando sono solo una parte della complessa trama costruita da Ariosto; infatti, Angelica nasce con l'Orlando Innamorato di Boiardo, un romanzo incompleto, e finisce nell'opera di Ariosto (Orlando Furioso) come il centro di tutte le passioni, l'oggetto del desiderio a cui tutti aspirano e che finirà nelle braccia del moro Medoro. Nel capitolo 23 dell'Orlando Furioso, Orlando legge i famosi segnali sugli alberi che mostrano l'amore di Angelica e Medoro ma, incredulo, va nella casa dove Medoro giacque ferito e un pastore gli conferma la storia d'amore dei due; così Orlando impazzisce e la sua follia creace come una furia distruttrice di tutto quello che veniva celebrato dalla poesia arcadica (natura e amore). → Ariosto usa una struttura policentrica e sincronica della geografia fantastica (posti immaginari), dove le avventure si intrecciano continuamente; invece Cervantes sceglie un itinerario reale che parte dalla Mnacha e finisce a Barcellona, in un viaggio con poche strade e molte chiacchiere. → Orlando e Angelica si incontrano per l'ultima volta in spiaggia, ma l'incontro si trasforma in un non-incontro perché Orlando non riconosce Angelica e lei a sua volta non lo riconosce. Nonostante ciò, attratto dalla sua bellezza, Orlando inizia ad inseguirla e lei, per fuggire, si mette un anello in bocca che la rende invisibile solo agli occhi dei personaggi; il lettore vede tutto e vede Angelica cadere a terra; questa caduta e questo non-incontro vengono riprodotti da Cervantes all'interno de El Quijote attraverso la caduta di Dulcinea, cruciale per l'opera perché segna la separazione tra i sentimenti del protagonista (che vede la paesana Aldonza Lorenzo come la principessa Dulcinea) e l'azione esterna, creando una vita interiore del Quijote, non raggiungibile dagli altri personaggi. Anche in questo caso il lettore vede tutto ed è a conoscenza di tutto, dunque il narratore richiede la complicità del lettore offrendogli una visione panoramica dei fatti. → Vi è un parallelismo tra il non-incontro di Orlando e Angelica e di Dulcinea e Don Quijote e qui l'incantesimo (narrador-jugador) fa sì che Dulcinea appaia come una paesana. Orlando vede la sua amata, non la riconosce ma la desidera, invece Don Quijote vede la sua amata, non la riconosce e non la desidera ma, successivamente, dichiara che deve essere stato un incantesimo ad alterare la figura e l'odore di Dulcinea, facendola apparire sotto forma di Aldonza Lorenzo. → Sia Orlando che Don Quijote recuperano la ragione: il primo grazie ad Astolfo che va sulla luna e recupera il senno di Orlando; il secondo invece per bvia del Cavaliere della Bianca Luna, poiché una volta sconfitto è costretto a tornare a casa e, in punto di morte, recupera la ragione. → Il palazzo di Atlante nell'Orlando Furioso è emblematico, poiché i personaggi vagano cercando qualcosa che non troveranno mai, ognuno vede ciò che vuole; il palazzo è un vortice di nulla nel quale si rifrangono tutte le immagini del poema; anche Don Quijote vuole vedere ciò che vuole, infatti legge il mondo in base a ciò che ha letto o ha sognato, e non riesce a rassegnarsi alla realtà così com'è; come Orlando e gli altri abitanti del palazzo degli inganni, Don Quijote corre verso il niente e cerca qualcosa che non esiste; egli è intrappolato in un gioco in cui vi è un trabocchetto sin dall'inizio, dal momento in cui il suo creatore lo ha creato e la cui esistenza ha la stessa consistenza dei sogni; per questo motivo quando si sveglia, e quindi quando recupera la ragione, muore. → Nell'Orlando Furioso, Ariosto si autorappresenta come poeta nel secondo verso del poema con la frase ''io canto'' e si mostra anche in altri momenti dell'opera, interrompendo l'azione o riprendendo il filo della narrazione. Vi è uno sdoppiamento del poeta nel suo personaggio, poiché presenta il suo Io più intimo, ottenendo di ''stabilire un legame tra l'atto narrativo e l'azione narrata, creando effetti di parallelismo e controllo che gli consentono di ironizzare tanto sul significato dell'azione romanzesca quanto sui modi del racconto''; così facendo, Ariosto ottiene così, l'unità del poema, dove la sua coscienza di uomo moderno governa la varietà della natura senza lasciare niente al caso. Cervantes si ispira ad Ariosto e supera la tradizione spagnola di autori che si insinuano nelle opere, parlando in prima persona e partecipando come personaggi. Cervantes viene introdotto come il riflesso dell'artista che si lascia vedere mentre crea un labirinto di specchi che si insinuano tra il reale e il fittizio, un labirinto in cui rimangono intrappolati i suoi personaggi. → Ne El Quijote, Cervantes è nominato in quanto scrittore e amico del prete, mentre il ricorso allo storico Cide Hamete Benengeli è un espediente letterario ripreso dalla narrazione medievale e dai libri di cavalleri. Ariosto fa sempre riferimento alla casata d'Este a cui dedica il poema e lui si presenta come artista; Cervantes fa riferimento allo pseudo-storico arabo Cide Hamete Benengeli, per reclamare la sua relazione di padre dell'opera e non di patrigno, infatti la penna del cronista termina con ''Para mí solo nació Don Quijote, y yo para él; él supo obrar, y yo scribi, solos los dos somos para en uno'', quindi con una rivendicazione dei diritti di proprietà intellettuale dell'autore di un personaggio creato da lui stesso; è come se Ariosto, nella sua opera, si stesse separando dall'Io epico identificato con il suo pubblico e stesse lasciando intravedere una parte del suo Io lirico. Al contrario, Cervantes non si cura dell'Io epico e passa direttamente all'Io lirico moderno, il quale si identifica con il suo personaggio ed esprime i suoi pensieri e le sue emozioni. → Con Cervantes la finzione diventa storia ed è come se, inserendo Don Quijote, un personaggio dichiarato folle, lo scrittore si fosse addentrato insieme a lui nei cammini dell'immaginazione. La realtà dei libri di cavalleria si trova nella teoria che rende impossibile le cose esistenti e si parla della poetica dell'inverosimile; El Quijote pone come oggetto della letteratura le contraddizioni dell'anima umana, le fantasie dell'uomo, creando un ambito della letteratura tra realtà e sogno. → Ariosto presenta quadri diversi dove ogni giorno termina con il calare del sole e l'azione dovrà essere ripresa con la nuova luce del giorno; le passioni vengono trattate come se fossero miniature, senza dare un ritratto dei suoi personaggi, per evitare di annoiare il lettore e, invece, Cervantes si pone al centro della scena in qualità di autore e obbliga gli spettatori a osservare le sue azioni. → Ariosto esplora i meandri dell'animo umano nel suo vagare tra i labirinti della vita e usa vari registri con vari personaggi; Cervantes, invece, usa una coppia inusuale (un lettore e un analfabeta, Don Quijote e Sancho Panza), completamente inventata, che entra nel libro della vita discutendo su come siano state scritte le cose e come avrebbero dovuto essere state scritte. Cervantes crea, quindi, una narrativa che è esaltazione della mente indipendente dell'uomo e soprattutto dell'artista, dove Don Quijote e Sancho sono eclissati da Cervantes stesso, artista che combina arte critica con il suo libero arbitrio; dunque, lo ''scacco matto'' alla cavalleria è proprio questo processo di autoaffermazione dell'autore in quanto artista rispetto alla materia letteraria tradizionale. MARCELA E GRISOSTOMO ALLA LUCE DEL ''DE AMORE'' DI MARSILIO FICINO Quando Don Quijote e Sancho incontrano i pastori che danno loro da mangiare, entriamo in un ambiente bucolico e conviviale, ispirato alle opere di Platone e ai suoi discorsi sull'amore. Tali discorsi vengono ripresi da Marsilio Ficino nell'opera Commentarium In Convivium, scritta in collaborazione con Giovanni Cavalcanti. Il neoplatonismo ficiniano ci permette di recuperare la tradizione lirica moderna, dando una giustificazione teorica alla poesia in volgare e conferendo alla donna e al sentimento amoroso un'importanza che non poteva essere più taciuta; infatti, il dibattito amoroso viene integrato da Jorge de Montemayor nella Diana e da Cervantes nella Galatea, dove vi è il discorso amoroso tra Lenio (contro l'amore) e Tirsi (a favore dell'amore): Lenio considerava inutile parlare d'amore, poiché si tratta di un argomento di cui tutti sanno tutto, ma Cervantes non è d'accordo e continua ad integrare la materia amorosa nelle sue opere in modi diversi, fino ad arrivare alla storia di Marcela e Grisostomo, ne El Quijote; quest'ultimo rimanda a Platone attraverso il funerale di Grisostomo, morto per via dell'amore verso Marcela, e attraverso il racconto della vita del prigioniero; in entrambi i casi la narrazione è preceduta dal momento di condivisione del cibo, come richiede la convenzione dei dialoghi platonici, e da alcuni discorsi di Don Quijote sull'Età dell'Oro, sulle Armi e le Lettere, i quali provengono dai ragionamenti filosofici delle opere di Platone e Ficino. Tali discorsi servono da preludio alla rappresentazione di un caso d'amore estremo o alla narrazione di personaggi che non appartengono direttamente al mondo di Don Quijote. I pastori appartengono al mondo rustico, ma vengono presentati anche altri pastori, ossia gli studiosi che vogliono fare delle loro letture una realtà e, per questo, si travestono da pastori, come Don Quijote fa con i libri di cavalleria. Grisostomo muore d'amore non corrisposto e Marcela, la disinnamorata, rivendica il diritto di libertà di scelta su chi amare. Secondo Marsilio Ficino, l'amore è solo un altro modo di chiamare il circuitus spiritualis, che va da Dio al mondo e dal mondo a Dio, dove l'individuo che ama inserisce sé stesso in questo circuito mistico; inoltre, Marsilio Ficino sostiene che le parti di questo mondo si uniscono tra loro grazie alla partecipazione ad una sola natura e, così come nel nostro corpo tutti i membri e gli organi si aiutano reciprocamente e soffrono se uno di esso soffre, così tutti i corpi del mondo prestano e prendono in prestito le loro nature. Marcela e Grisostomo vengono prefigurati già nella Galatea, con le figure di Gelasia e Galercio; la donna riapparirà ne El Quijote attraverso la figura di Marcela, con il canto di libertà di Belisa dall'alto di un monte, mentre Galercio riappare sotto forma di cadavere di Grisostomo, il quale canta una canzone disperata dall'aldilà, canzone contenuta nel foglio salvato dalle fiamme grazie a Vivaldo (ricorda i pastori portoghesi che avevano salvato la lettera di Galercio dalle acque del Tajo), nella quale egli chiedeva a Gelasia di smettere di essere crudele; infatti, nella sua canzone disperata, Grisostomo annuncia il suo suicidio e accusa Marcela di sdegno. Ne El Quijote, Grisostomo viene accennato, non si vede, il suo ruolo è quello di un cadavere pianto dagli amici, un corpo senza vita che impersonifica ''l'amore semplice'' presentato da Marsilio Ficino nel De Amore. Secondo Ficino, colui che ama e non è corrisposto muore, mentre chi non corrisponde i sentimenti dell'altro è considerato un omicida; Platone definisce l'amore una ''cosa amara'', in quanto chiunque ama muore; Orfeo lo chiama ''agrodolce'', amaro perché l'amore è morte, ma dolce perché si tratta di una morte volontaria. Secondo Platone, ci sono 2 tipi di amore: l'amore semplice, quando l'amato non ricambia l'amante e quest'ultimo è completamente morto, dal momento in cui non vive né in sé e né nell'amante, non vive da nessuna parte; l'amore reciproco = quando si amano a vicenda e l'amante vive nell'amato; qui c'è vendetta perché l'omicida viene castigato con la morte; l'amato sarebbe un omicida perché separa l'anima dell'amante e quando si corrispondono l'anima viene data come pagamento; amandosi l'un l'altro, ognuno dà anche la propria anima all'altro e, chi non ama l'amante, deve essere accusato di omicidio perché non gli restituisce l'anima; dunque, l'amato viene forzato ad amare a sua volta l'amante per via del principio di somiglianza (la qualità secondo la quale se io sono simile a te, necessariamente tu sei simile a me); è proprio questa somiglianza che mi spinge ad amarti e che forza te ad amare me, così l'amante si slega a sé e si concede all'amato. Marcela non è costretta alla castità, bensì è una sua scelta, ma Ambrosio la accusa comunque di omicidio e usa gli argomenti di Marsilio Ficino, dove il sangue dell'uomo ferito per amore si dirige verso colui che lo ha causato. LOPE DE VEGA (1562-1635) Lope Felix de Vega nasce a Madrid nel 1562; nel 1587 viene accusato di aver scritto composizioni ingiuriose contro la famuglia dell'attrice Elena, figlia di un rappresentante teatrale e sposata con un attore, con la quale ha avuto una storia d'amore. Nel 1588 rapisce la nobile Isabel, con la quale si sposa, ma il giorno delle nozze si arruola come volontario dell'Invincibile Armata e si reca a Lisbona. Nel 1590 torna in Castiglia sotto la protezione del duca d'Alba e poi si sposa con Juana. → 1609 = El Arte Nuevo De Hacer Comedias stravolge il teatro ed è un discorso in versi con otto endecasillabi senza rima e un distico finale con rima baciata che riassume il significato della strofa. Nel 1610 torna a Madrid e si avvicina alla vita religiosa per via della morte del figlio Carlos Felix ma, incapace di rinunciare alle donne, dopo due anni di sacerdozio vive un ultimo grande amore con Marta Santoyo, alla quale dedica La Dorotea e Amarilis. Nel 1627 il Papa lo nomina cavaliere dell'Ordine di San Juan e Lope de Vega morirà nel 1635. Il teatro di Lope de Vega è un teatro di azione e movimento, sviluppato nel modo più semplice e chiaro possibile, dove tutto riflette la sua vitalità e la sua passione di uomo; a volte Lope de Vega entra nelle sue opere come un vero e proprio personaggio, come Belardo ne La Arcadia, e viene descritto come ''monstruo de naturaleza'', ''monstruo del ingenio'' o ''El Fenix de España''. Egli ha scritto con certezza 314 commedie, nelle quali non rispetta sempre le unità classiche di tempo e luogo, rispetta solo le unità d'azione. Secondo Parker, la struttura del teatro spagnolo si basa: → sull'importanza dell'azione rispetto alla caratterizzazione dei personaggi; → sull'importanza del tema rispetto all'azione (verosimiglianza realista); → sull'unità drammatica nel tema e non nell'azione; → sulla subordinazione del tema a un proposito morale (giustizia poetica); → sull'illustrazione del proposito morale attraverso la casualità drammatica. Nello stile e nella tecnica di Lope de Vega vi è un perfezionamento continuo e, nelle opere posteriori, sembra avvicinarsi al teatro calderoniano, un teatro delle idee nel quale tanto l'azione come la caratterizzazione dei personaggi vengono determinate dalle esigenze del tema. → Con lui nasce la figura del ''gracioso'', il servo comico, parodia umoristica del suo padrone e completamente in contrasto con quest'ultimo; inoltre, Lope trasforma la trama secondaria nel complemento significativo della trama principale. → Egli scrive commedie di capa y espada, ovvero commedie amorose i cui personaggi sono cavalieri che duellano per l'amore di una dama; tali opere fungono da satira contro i costumi, i tabù e i pregiudizi della classe borghese a cui apparteneva lo stesso autore e tra queste ricordiamo La Dama Boba (1613), Los Melindres de Belisa (1606-08) e La Discreta Enamorada (1606-08). Altre commedie amorose sono le Comedias de Fabrica, in cui i personaggi appartengono a una classe sociale superiore come El Perro Del Hortelano (1613-15) e le opere pastorali come La Arcadia (1615) e Belardo El Furioso (1586-95, parodia dell'Orlando Furioso). In seguito scrive romanzi cavallereschi come El Maques de Mantua una tragedia di transito che avvia la scrittura verso la tragicommedia. → La tragicommedia è una tragedia a lieto dine e serve sia come riposo emotivo, ossia rilassare la tensione accumulata, che come riposo artistico, introducendo una prospettiva comica in un tema sviluppato da un punto di vista tragico. Gli autori credono che la verità storica sia inferiore alla verità poetica, che ritengono sia universale, dunque essi modificano i dettagli delle opere da cui prendono ispirazione, per suggerire questioni concrete di ordine morale, filosofico e politico; Lope de Vega compone, infatti, molte Comedias A Lo Divino e Comedias De Santo, che trattano di temi biblici e delle vite dei santi e venivano poste tra le commedie rappresentate nei corrales, al fine di istruire il pubblico sulla dottrina del cristianesimo. Nelle opere ispirate alla storia antica, invece, l'intrattenimento si combina con le riflessioni sui diritti sociali, dal momento in cui Lope riprende le lezioni del passato per il presente, sottolineando l'integrità morale, la fedeltà, lo spirito patriottico e la responsabilità della nobiltà; egli tratta del periodo che va dai Visigoti fino alla sua epoca e ricordiamo Las Paces De Los Reyes Y Judia De Toledo, in cui la trama si sviluppa secondo un processo di tre fasi: armonia, disarmonia e restaurazione dell'armonia. Il caos politico in cui si trovava la Spagna prima del regno dei Re Cattolici diffuse il bisogno di fedeltà, giustizia e concordia all'interno dello stato, così Lope de Vega scrisse Fuenteovejuna (1612-1614). In Fuenteovejuna, Lope condanna la convinzione aristoratica secondo la quale le persone di bassa condizionae sociale non abbiano senso dell'onore, in quanto prerogrativa della nobiltà. L'obiettvo è quello di convincerci che qualsiasi uomo o donna virtuosi abbiano diritto ad avere onore o dignità, a rispettare sé stessi e ad essere rispettati dagli altri; infatti, la nobiltà consiste solo nella virtù e dove c'è virtù, c'è nobiltà, dimostrata attraverso opere e azioni decise. L'unico cattivo dell'opera è il commendatore Fernan Gomez, antitesi del vero amore che tiene unito l'intero universo in perfetta armonia. I paesani scoprono che bisogna avere fiducia l'uno nell'altro e fondere gli interessi individuali in un amore armonioso (vita campestre idealizzata). Vengono esaltate le virtù campestri in opposizione ai vizi della vita cittadina, poiché è un teatro con fini propagandistici, ossia l'autore tenta di persuadere le persone emigrate a Madrid a ritornare nei campi deserti della Castiglia; inoltre, il potere assoluto del re è visto come l'unica soluzione alla lotta sociale tra contadini e commendatori, nobili che appartengono ad un ordine. I re danno ordine ad una situazione di disordine e risolvono tutto, ristabilendo l'armonia. Vi sono due momenti importanti all'interno dell'opera: dal punto di vista emotivo vi è la morte del commendatore Gomez, che rappresenta il trionfo religioso, mentre dal punto di vista intellettuale vi è il perdono concesso dai paesani da parte del re, che rappresenta la misericordia di Dio. LOPE DE VEGA = ARTE NUEVO DE HACER COMEDIAS EN ESTE TIEMPO (1609) Arte Nuevo De Hacer Comedias En Este Tiempo (1609) è un poema di 389 versi in cui Lope propone di mescolare il tragico e il comico; l'opera è composta da dieci versi in latino, che descrivono la commedia come lo specchio della vita, da situazioni tragiche in mezzo a quelle comiche. → Da una parte quest'opera difende la commedia nuova proposta dall'autore contro i neoclassici, dall'altra rappresenta una guida pratica per i drammaturghi che aspirano a compiacere un pubblico tanto esigente dal punto di vista teatrale; infatti, egli inizia dando una breve definizione di commedia e tragedia e delle caratteristiche principali di entrambe, poi scrive dell'influenza di Lope de Rueda per la formazione della nuova drammaturgia e, infine, dà dei consigli su come scrivere opere per i corrales, opere teatrali che venivano rappresentate nelle città spagnole. → Secondo Lope de Vega, un autore deve scegliere un tema senza preoccuparsi se stia scrivendo o meno una commedia in cui figurino dei re (poiché generalmente i personaggi di elevato ceto sociale fanno parte della tragedia, mentre nella commedia ci sono i ceti sociali più bassi). → Lope de Vega sostiene che il miscuglio del tragico e del comico nel teatro è giustificato dal miscuglio di cose diverse e contrarie tra loro anche in natura e ciò, genera bellezza. → In quest'opera teatrale, Lope de Vega insiste sul fatto di dover rispettare l'unità d'azione, ma non quelle di tempo e di luogo; l'azione della commedia deve, per lui, svilupparsi nel minor tempo possibile, eccetto che nelle opere storiche, le quali richiedono un arco di tempo più lungo; tuttavia egli inventa una nuova unità di tempo: ogni atto deve svilupparsi in un solo giorno. → In seguito, consiglia agli autori di scrivere in prosa e dividere le opere in tre atti, seguendo le nozioni classiche di protasi (esposizione), epitasi (nodo) e catastrofe (sviluppo finale). → L'autore non deve anticipare la soluzione finale della commedia, ma deve far credere agli spettatori che succederà qualcosa che poi non avverrà (suspence); Lope afferma, poi, che la scena non deve mai essere lasciata vuota per non far spazientire il pubblico, quindi tra un atto e un altro devono essere inseriti gli intermezzi (entremeses); insiste sull'importanza della verosimiglianza, evitando avvenimenti illogici e cose improbabili, usando soprattutto procedimenti che portano il pubblico ad indovinare ciò che accadrà, senza che ciò si realizzi veramente (colpo di scena finale). → de Vega consiglia di usare strofe diverse a seconda dei diversi tipi di situazioni (polimetria), suggerisce di non comporre opere troppo lunghe e soprattutto di essere prudenti quando si maneggia la satira (pique sin odio, que si acaso infama, ni espere aplauso ni pretenda fama) e infine sostiene che gli argomenti principali sono la honra e la virtù e conclude l'opera con tre versi in castigliano che affermano la funzione didattica del teatro (del arte no disputes, que en la comedia se hallarà de modo que, oyéndola, se pueda saber todo) ; infatti egli scrive tanto per divertire il pubblico quanto per mostrare le verità, dunque vi è la doppia funzione del teatro (deleitar aprovechando), per la quale l'intrattenimento è l'aspetto essenziale mentre l'elemento didattico è accidentale. LOPE DE VEGA = PERIBÁÑEZ Y EL COMENDADOR DE OCAÑA (1605-1608) Quest'opera è una doppia tragedia: la tragedia del contadino dall'animo nobile Peribáñez, tormentato dalla scoperta del corteggiamento del commendatore verso la sua sposa Casilda, e la tragedia del commendatore che, innamoratosi di Casilda, trova la morte per mano di Peribáñez. Al contrario del commendatore Gomez in Fuenteovejuna, qui il commendatore ha onore e dignità. L'opera inizia con le nozze di Casilda e Peribáñez in un contesto bucolico ma, improvvisamente, un toro interrompe il matrimonio ed entra il commendatore che cade a terra. Credendolo morto, viene portato a casa di Peribáñez; quando il commendatore vede Casilda si innamora e la seduce (tema dell'amore che entra dalle orecchie, poi dagli occhi e poi fa rinascere l'uomo), allontanando il marito ed entrando nella stanza di lei con l'aiuto di alcuni servi. Peribáñez, uomo intelligente, capisce le intenzioni del commendatore e si fa nominare cavaliere per potersi vendicare e, così, ferisce a morte il commendatore che, prima di morire, gli concede il perdono (tema della honra). Mentre l'onore si eredita per nascita, la honra è la reputazione, ovvero l'opinione che gli altri hanno di una persona e, al contrario dell'onore, se si perde la honra non può essere recuperata; inoltre, i nobili possono lavare via col sangue la honra perduta, mentre i paesani no, per questo motivo il protagonista deve salire di rango prima di compiere la sua vendetta verso il commendatore. LOPE DE VEGA = EL CABALLERO DE OLMEDO (1620-1625) El Caballero De Olmedo è un'opera amorosa e drammatica dove, sin dal principio, si sa che finirà in tragedia grazie alla canzone che anticipa ciò che succederà più avanti, poiché nasce dal cantar popolare in cui il cavaliere muore, ispirato ad un fatto di cronaca in cui quest'uomo viene ucciso. Il cantar in questione cita: Que de noche le mataron-al caballero-la gala de Medina-la flor de Olmedo. Lope si ispira a un dramma con lo stesso titolo, scritto da Cristobal de Morales, e alla Celestina. L'opera tratta di un amore impossibile in cui vi è un traingolo e inizia in medias res, con Don Alonso che canta la sua pena d'amore e invoca la corrispondenza amorosa; egli spiega che l'amore entra dagli occhi e si fissa nel cuore, poi dà la colpa a Cupido per il triangolo amoroso perchè, cieco, lanciando le sue frecce ha fatto sì che Don Rodrigo si innamorasse di Doña Inés. Don Alonso chiede alla celestinesca Fabia di trovare una cura per la sua malattia d'amore e, dal verso 74 inizia il racconto sotto forma di romance. Egli crede che Doña Inés sia una contadina e parla del suo onore, in seguito dà un biglietto a Fabia da consegnare a Inés stessa; quest'ultima, ritiene che Don Rodrigo sia un imbroglione, a lei piace Don Alonso e lo dice a sua sorella Leonor. Leonor ama il fratello di Don Rodrigo, Don Fernando e, quando entrano a casa di Inés iniziano una serie di fraintendimenti, dal momento in cui Inés risponde alla lettera di Alonso ma Rodrigo crede che sia destinata a lui. Inés e Alonso iniziano una storia d'amore in segreto e, una sera, per fuggire egli perde il mantello, così Don Rodrigo scopre il loro amore e uccide Alonso; infatti, al verso 1366, Rodrigo confessa di sentirsi inferiore e più brutto di Alonso, perciò l'unica soluzione è ucciderlo. El Caballero de Olmedo presenta elementi comici, come il personaggio del gracioso Tello, e tragici, poiché la poesia man mano che va avanti fa sempre più riferimento alla morte e alla distruzione, annunciando la morte del protagonista, avvenuta alla fine dell'opera. A partire dal verso 980, il servo chiama Don Alonso ''Calisto'' e Inés ''Melibea'', dunque i lettori capiscono il riferimento alla Celestina e si aspettano un finale tragico e infelice. Inoltre, dal punto di vista espressivo, si accumulano continuamente immagini di violenza e contrasti tra vita e morte, amore e guerra. TIRSO DE MOLINA (1581-1648) Tirso de Molina è stato un discepolo di Lope de Vega, è un poeta drammatico e un drammaturgo, le cui opere fungono da ponte tra la commedia nuova di Lope e Vega e il dramma con trama intrecciata di Calderón de la Barca. La trama principale e la secondaria si intrecciano e non vi è un unico personaggio, bensì varie figure con un'importanza dramamtica simile. La satira serve a sottolineare il tema delle opere, l'opposizione tra le abitudini mentali artificiali dell'uomo e la vera interezza; tra i temi ricorrenti vi sono anche il calore umano e la fragilità dell'uomo stesso. PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA = LA VIDA ES SUEÑO (1635) Questa è l'opera principale di Calderón, composta da 3319 versi tra cui 8 ottave reali e 312 versi divisi in silvas pareadas: la silva è, generalmente, composta da versi endecasillabi senza rima, ma l'autore si rifà alla silva popolare con schema ''Xx'' di ottosillabi, ossia versi brevi sonori con rima interna, creando una sorta di musica in cui il messaggio filosofico è concentrato in pochi versi. L'opera si sviluppa in tre giornate (jornadas): → la 1° giornata presenta scene molto violente, nella quale tutti i personaggi soffrono e non possono presentarsi per quello che sono realmente e, per questo motivo si travestono; → nella 2° giornata si iniziano a chiarire alcuni punti della questione; → infine nella 3° giornata avviene la soluzione finale della vicenda. La prima jornada si apre con Rosaura travestita da uomo che scende da un monte (Marcela-Quijote) insieme al servo Clarin e cade da cavallo, simbolo di una passione che non può essere dominata. Inizialmente parla con un ippogrifo, poi si rivolge a Polonia, il luogo verso il quale è diretta, e viene data l'immagine di una donna infelice che si dirige verso un destino che ancora non si conosce, ma che possiamo immaginare grazie al parallelismo con Marcela de El Quijote. Rosaura e Clarin vedono in lontananza una struttura e sentono il suono di una catena e una voce, qui è rinchiuso Segismundo, figlio del re astrologo Basilio, incatenato e rinchiuso in una torre e paragonato ad una bestia in gabbia; egli era stato rinchiuso perché l'oroscopo tracciato da suo padre aveva pronosticato che suo figlio sarebbe stato solamente causa di disgrazie. Un giorno Basilio fa somministrare una pozione soporifera al figlio, al fine di portarlo a palazzo e qui viene trattato come un principe, ma egli mostra la violenza della sua natura (uomo-animale) scontrandosi con suo padre, corteggiando al contempo due donne, cercando di uccidere Clotaldo (al servizio del re Basilio) e gettando dalla finestra un servo. Basilio, convinto che suo figlio sia una causa persa, lo fa rinchiudere nuovamente nella torre e Clotaldo convince Segismundo che il ricordo della vita a palazzo non è stato altro che un sogno. Tale esperienza del sogno della vita lo convince del fatto che d'ora in poi egli dovrà agire con cautela e, quando incontra di nuovo Rosaura la cautela si trasforma in prudenza, in quanto essa gli dice che non stava sognando ma che la sua visita a palazzo era reale, non come gli era stato detto. I soldati polacchi lo liberano per cercare di sconfiggere il re, ma alla fine Segismundo decide di non vendicarsi e restituisce il trono a suo padre, dunque si evince che dal caos nasce l'ordine. All'inizio Calderón presenta dialoghi rapidi e solo in seguito racconta in maniera narrativa i fatti (lentamente e con più dettagli), soprattutto nella terza jornada. Rosaura rappresenta il disordine: lei è stata abbandonata da Astolfo con la promessa di matrimonio e sua madre le consiglia di fare ciò che lei non aveva avuto il coraggio di fare, ossia di andare a cercare colui che le aveva dato parola di prenderla in sposa, Clotaldo, uomo al servizio del re Basilio e padre di Segismundo. I problemi de La Vida Es Sueño sono: cos'è la vita e cos'è la morte, raccontato mediante la violenta storia di Rosaura e Segismundo, i quali non conoscono i loro rispettivi padri. L'idea della vita come sogno è un tema che è già stato sviluppato precedentemente in letteratura, ma Calderón usa questa metafora partendo da Platone: se la vita è sogno, tutto perde valore e lo acquisisce il momento della morte, perciò la vita eterna si trova nell'aldilà. I valori del mondo hanno una realtà simile a quella dei sogni, per questo nel palazzo Segismundo sogna di poter fare qualsiasi cosa lui voglia, ma quando si sveglia apprende la cautela e prudenza. Tutti hanno sogni e tristi risvegli, eccetto Clotaldo e Rosaura, che rappresentano la fedeltà e l'onore, sfuggendo alle disillusioni. Inoltre, l'autore tratta anche il libero arbitrio e, essendo cattolico, crede che la scelta di agire tra il bene e il male dipenda dal libero arbitrio, mostrando a tutti come comportarsi (finalità didattica). Nel settimo libro de La Repubblica di Platone vi è il mito della caverna, in cui si scontrano il mondo illusorio nel quale vive l'uomo e il mondo della realtà universale, ciò che accade a Segismundo. Il suo modo di conoscere la realtà è l'amore per Rosaura, in quanto si tratta dell'unico sentimento che lo tiene in contatto con la realtà e gli fa capire che tutto ciò che ha vissuto è reale: infatti, quando a palazzo pensava di sognare, vede Rosaura e percepisce un sentimento così forte che, secondo lui, poteva essere solo un sogno e, nel momento in cui egli ritorna nella torre e la rivede, tale sentimento si ripresenta in lui, perciò comprende che era tutto reale. POESIA DEL SIGLO DE ORO (XVI-XVII) A partire dalla fine del XVI secolo (1500) fino alla prima metà del XVII (1600), c'è stata una grande progressione delle arti e, soprattutto, della poesia. Nella prima metà del secolo, gli scrittori si rendono conto della decadenza nazionale e nelle loro opere riflettono il crescente disincanto; inoltre, iniziano ad apparire le prime accademie letterarie nei palazzi di nobili mecenati, le quali permettevano la diffusione della letteratura; si diffondevano anche i certamenes (o justa poética), ovvero competizioni poetiche per la celebrazione di un avvenimento. La poesia del XVI secolo introduce il verso italiano in Spagna grazie a Garcilaso De La Vega, un nobile soldato che si reca a Napoli ed entra in contatto con Bernardo Tasso. La poesia spagnola del XV secolo da una parte era popolare (Arte Mayor y Menor) e dall'altra vi era il Mester de Clerecia, il verso colto di origine francese legato alla musica e retto da una certa rigidità. Nel XV secolo trionfa l'Arte Mayor (dodecasillabo) con il Marques de Santillana e Juan de Mena, in cui è il ritmo a fare la poesia ma, con Garcilaso cambia la musica perché egli introduce il verso endecasillabo (Petrarca) e le opere iniziano ad essere scritte in castigliano; durante il XVI secolo l'Italia illumina la cultura europea e tutti ne imitano le opere poiché, con la poesia a Laura, Petrarca inventa l'uomo moderno, l'Io lirico, e dà importanza all'innamoramento come processo spirituale. Petrarca scrive sonetti, composizioni di 14 versi endecasillabi divisi in due quartine e due terzine che riassumono uno stato d'animo o un concetto.Egli usa immagini di luce ed ombra, di impossibilità e desiderio insoddisfatto, dove la poesia serve ad eternizzare. Petrarca scrive anche canzoni, con uno schema strofico che si ripete e possono essere politiche o di lamento amoroso e la sestina (struttura che cambia nel tempo) e i madrigali (o ballata), con endecasillabi e un ritornello. Dunque la poesia colta diventa italiana, ispirata a Bernardo Tasso, che inventa la lira, una canzone di cinque versi senza il congedo finale. In Spagna trionfa la imitación compuesta, dove il modello da seguire è Il Canzoniere di Petrarca, scritto in volgare toscano e diffuso in Spagna grazie a Pietro Bembo, che comprese l'importanza della propaganda politica contenuta nell'opera; di fatti lo sfruttamento del petrarchismo in Spagna è legato al fatto che Carlo V si serve della parte politica della poesia per sottolineare la propria gloria, perciò i poeti di questo periodo si dividono in coloro che cantano l'amore e coloro che cantano il potere dell'Impero spagnolo; anche Il Canzoniere di Petrarca è diviso in due parti: in vita e in morte di Laura, con i temi della memoria e dell'amore. L'uso di Petrarca è duplice: amoroso e politico: il Petrarca politico è quello della canzone Italia Mia, in cui si lamenta della situazione dell'Italia, che ha avuto tempi d'oro e ora è occupata da nemici (l'Italia del 1300, ma le sue argomentazioni all'inizio del 1600 sono di grande rilevanza a causa delle Guerre d'Italia). Il petrarchismo nasce a poco a poco con l'imitazione di Petrarca da parte dei poeti napoletani. Nel 1530, con l'incoronazione dell'imperatore Carlo V, si riuniscono a Bologna i più importanti esponenti della poesia, tra cui Pietro Bembo. In questo gruppo di letterati c'erano da un lato i filo-ispanici e dall'altro i filo-francesi, che imitavano anche la poesia petrarchesca. L'esplosione del petrarchismo, con Bembo, avviene in gran parte in questo periodo, il momento in cui tutti i poeti si riuniscono e questo è strettamente legato a un concetto molto chiaro di Carlo V, cioè il valore della propaganda politica. Fray Luis de Leon non è petrarchista, ma imita i classici e la Bibbia; Francisco de la Torre e Francisco de Aldana sono molto italianizzanti; Luis de Góngora e Francisco de Quevedo presentano un petrarchsimo spagnolizzato. La poesia del XVII secolo è la poesia del Siglo de Oro, un periodo di decadenza molto lenta in cui si diffone il mecenatismo e si sviluppano le arti, anche grazie alla nascita della stampa. Il Siglo de Oro ha due secoli accomunati dalla storia che vivono in antitesi: Il 1500 è il periodo di massima estensione dell'Impero ed è un periodo complesso dal punto di vista letterario e culturale; nel 1500 si esce dalle tenebre del Medioevo, si inizia ad imitare i classici, l'uomo è al centro del mondo (antropocentrismo); la vita è considerata come il momento in cui l'uomo deve cercare di affermarsi e avvicinarsi al divino; il 1600 è il periodo della decadenza politica (inizio della fine dell'Impero spagnolo) ed economica, sotto il regno di Filippo IV e Carlo II; è il secolo del Barocco, un'esplosione di forme che vogliono arrivare alla maestosità perché è un momento di decadenza e si dà un'immagine maestosa di sé; vi sono due correnti di pensiero in questo periodo, il Culteranesimo, dove trionfano l'immagine e il gioco lirico (Góngora) e il Conceptismo, di matrice filosofica (Quevedo). → Il Culteranesimo: definisce uno stile di estrema artificialità, con la latinizzazione della sintassi e del vocabolario, l'uso di allusioni classiche e la creazione di una dizione poetica diversa, il più lontano possibile dal linguaggio quotidiano. La poesia crea la funzione poetica del linguaggio e, secondo Góngora, era un privilegio non essere capiti da chi non faceva poesia; è un arricchimento del potere espressivo del linguaggio ed è molto importante l'immagine in sé, perchè stabilisce una nuova relazione; l'iperbato si usa per mettere in rilievo una parola chiave spostandola dalla posizione che ci si aspetta, mentre l'allusione classica può aggiungere forze e densità alla poesia. → Il Conceptismo: lega prosa e poesia ed è caratterizzato dall'uso di concetti, messi in relazione per somiglianza o differenza, e dall'agudeza, ingegno; i concetti non sono tentativi di esprimere immagini sensoriali, bensì un modo di moltiplicarne il contesto intellettuale; un concetto afferma al contempo la somiglianza, attraverso la comparazione, e la differenza, attraverso la distanza tra le cose, e l'agudeza si trova nell'incontro tra le due; l'agudeza nasce nel Rinascimento ed è l'espressione analogica e metaforica attraverso la quale si ricercano corrispondenze tra materie diverse tra loro per ottenere una verità spirituale; dietro di essa, vi è una visione che vede l'universo come un libro nel quale si può leggere la grandezza di Dio e in cui il mondo è composto da pezzi diversi che da soli non hanno valore ma che, riuniti, formano un insieme di bellezza. Per il Rinascimento, un concetto con le sue analogia può esprimere le affinità nascoste che si estendono in tutto l'universo e rivelano il piano delle cose; invece, l'interesse medievale per i simboli dà vita alle empresas, incisioni simboliche accompagnate da un lemma, e agli emblemas, incisioni allegoriche con versi più lunghi dei lemmi e che mostrano una verità morale. La maggior parte della poesia del XVII secolo mostra l'influenza di tali emblemi nell'uso di immagini simboliche che rivelano una verità, attraverso la giustapposizione degli elementi. La poesia del XVII secolo si presenta in varie forme, tanto italianizzanti (sonetto) quanto tradizionali (romance) ed ha grande varietà tematica. Sia il Culteranesimo che il Concettismo cercano l'oscurità nelle loro composizioni, ma si differenziano per il fatto che il primo lo fa attraverso una forma complicata, utilizzando una sintassi contorta e a volte incomprensibile, e il secondo attraverso il contenuto, basato su un gioco di concetti spesso altrettanto difficili da capire. Francisco De La Torre (1470-1504) Egli è un poeta molto leopardiano, che esprime una sensazione di solitudine in sonetti, canzoni, egloghe e versi brevi; presenta il tema del naufragio in un mare amaro, ed egli è talmente sofferente che se il mare lo uccidesse, esso gli risulterebbe clemente; egli cade in acqua, ma neanche il mare lo vuole e lo lascia al suo destino e alla sua sofferenza su una spiaggia. Francisco De Aldana (1537-1578) Egli è un soldato che spera di tornare da Dio e dimenticare la guerra; in un sonetto descrive l'atto amoroso in maniera erotica (fonte classica), mentre nel sonetto n° 45 descrive la guerra in maniera reale e non idealizzata; in una lettera indirizzata as Aries Montano, una riflessione di terzine, egli descrive i requisiti per la contemplazione di Dio e descrive sé stesso come un uomo caratterizzato da due inferni: quello della guerra e quello interiore. San Juan De La Cruz (1542-1591) Egli è un prete che ha dei problemi con il suo ordine, tanto da essere incarcerato e, in carcere compone a memoria El Cantar De Los Cantares, una breve poesia erotica; egli riscrive una parte della Bibbia in volgare e la sua poesia è un concentrato di tradizioni in cui si mescolano elementi profani e biblici; la caratteristica principale di San Juan è quella di prendere le immagini tradizionali, ma cambiandole e dicendo tutto il contrario. Fray Luis De Leon (1527-1591) Fa parte dell'ordine degli agostiniani, fa riferimento a Salinas poiché la sua musica ricorda quella dell'universo e fa recuperare il senso delle cose per chi lo ascolta; sentendo la sua musica, l'anima si risveglia e inizia un processo ascensionale e giunge a Dio. L'universo fa navigare l'anima in un mare di dolcezza, poiché raggiunge la pace e si unisce l'oscuriità con la perfezione (amore divino). Negli anni dell'Unione Liberale (1850-1868) si raggiunge un certo grado di stabilità politica duplicando il commercio spagnolo con l'estero, costruendo vie ferroviarie e modernizzando il sistema bancario; ciò, crea una divisione tra i privilegiati (classe medio-alta) e una piccola borghesia in crescita (ma i due gruppi di potere principali sono borghesi). La crisi finanziaria del 1867 fa cadere la rivoluzione del 1868 con la caduta della regina Isabela, la quale nega delle concessioni politiche alla sinistra. Con questa rivoluzione del 1868 si ottengono il suffragio universale maschile (1875), la libertà religiosa, di stampa e il diritto ad essere giudicati di fronte ad un tribunale (1885). Il generale politico Prim (di sinistra) conduce Amedeo di Savoia in Spagna, il quale mantiene la monarchia nel paese, ma è costretto ad abdicare nel 1873 per l'omicidio di Prim, per la guerra a Cuba e per la tendenza repubblicana nelle elezioni del 1871. Don Carlos dà vita alla terza guerra carlista perché convoca una rivolta generale contro l'intruso re straniero, quindi la Repubblica del 1873 si trova a lottare su due fronti: i carlisti al nord e i federali nelle altre province. Nel 1874 sale al trono il figlio di Isabel, Alfonso XII, il quale diffonde stabilità politica e prosperità economica e nel 1876, il governo vince la terza guerra carlista e domina l'insurrezione cubana. Nel 1895 c'è un'altra ribellione a Cuba e gli Stati Uniti distruggono le squadre spagnole nel Pacifico e nei Caraibi, perciò la Spagna si vede costretta a cedere le Filippine, Porto Rico e Cuba nel 1898. Nasce, così, un gruppo di giovani intellettuali, conosciuto come La Generación del '98, che sostiene la rigenerazione ideologica e culturale del paese spagnolo. BENITO PÉREZ GALDÓS (1843-1920) Galdós studia diritto a Madrid ma abbandona gli studi per dedicarsi alla scrittura e i suoi viaggi contribuiscono all'osservazione attenta e all'esperienza vitale dei suoi romanzi. Egli è uno scrittore progressista che si occupa di politica: nel 1909 diviene il capo della congiunzione repubblicano- socialista, entra a far parte della Real Academia e, a partire dal 1892, inizia la riforma del teatro; sostiene che il romanzo moderno non riesca a svilupparsi in Spagna a causa dell'incapacità degli scrittori spagnoli di osservare la realtà da vicino; afferma che un romanziere deve ispirarsi alla classe media e ai costumi urbani contemporanei, come gli ideali e la vita pubblica e domestica di questa classe, le sue attività politiche e commerciali e i suoi problemi spirituali e sessuali (novela de costumbres). Esprime il concetto dinamico dell'evoluzione delle idee, la coscienza di sé stesso e il suo relativismo, con una visione aperta, tollerante e progressista della vita. Egli è un romanziere microcosmico, ovvero che vuole creare un mondo fittizio attraverso l'osservazione diretta della realtà, ma le sue opere presentano anche dei tratti antirealisti, come la poca importanza del matrimonio e l'assenza della società industriale e del problema agrario. → La Fontana De Oro (1870) segna l'inizio del romanzo moderno in Spagna e il ''periodo storico'' di Galdós, in cui non vuole ricostruire il passato lontano, bensì interpretare il passato recente in modo didattico per scoprire le origini dei processi ideologici, politici e sociali della Spagna dell'epoca. → Los Episodios Nacionales sono 46 romanzi storici che analizzano il recente passato della Spagna dal 1807 alla Restaurazione; prima di lui, si interpretava il passato usando figure e fatti che creavano un mito che rappresentasse la grandezza e la personalità di un intero paese, le idee storiche di Galdós invece si sviluppano gradualmente e vi è un marcato cambio di prospettiva, dove il progresso della Spagna verso la libertà e una società più civilizzata, si trasforma in sentimento di disinganno e pessimismo; i primi 10 episodi parlano di una rinascita di un ideale spagnolo nazionale e patriottico nella lotta contro Napoleone; qui l'autore deve affrontare il problema dell'equilibrio tra fatti (successi storici esterni) e finzione (vita quotidiana dei personaggi immaginari in fatti reali), l'equilibrio tra forze ideologiche opposte e l'equilibrio tra la narrazione e l'interpretazione; nella seconda serie di episodi l'autore passa dall'autoaffermazione patriottica alla lotta tra le idee nazionali e progressiste, rappresentando l'ascesa al potere della classe media nel XIX secolo; tra gli anni '80 e '90, Galdós interrompe la composizione della raccolta per dedicarsi al teatro e, quando ritorna a scriverli nel 1898 (disastro coloniale di Cuba = Generación del '98) la sua concezione della vita nazionale viene sostituita dal disinganno per la propria classe sociale. Questa raccolta di romanzi storici diffonde i problemi della storia spagnola basandosi sui fatti, i suoi personaggi sono storici e appaiono in luoghi e situazioni concreti, reali. → Doña Perfecta (1876) è un attacco diretto contro l'intolleranza e il fanatismo religioso e parla della lotta del giovane Pepe Rey contro Doña Perfecta, riuscendo a difendere il punto di vista di lei facendo sì che Pepe ricorra a metodi ingiusti per appoggiare la propria causa. Tutti i romanzi del primo periodo di Galdós sono conflitti drammatici in cui evita di scontrarsi contro i suoi personaggi principali ma, al contempo, critica la loro prospettiva e le loro azioni; Marianela (1878) è il suo unico romanzo storico e segna la fine della prima fase della produzione. → La Desheredada (1881) segna l'inizio della fase centrale della produzione dell'autore, nota anche come tappa naturalista, che presenta gli aspetti più brutti della realtà fisica e psicologica. Sono considerati naturalisti: il pessimismo delle sue opere, l'insistenza sugli aspetti ignobili della natura umana e la mancanza di umorismo. In questa fase centrale, l'autore presenta una società fluida e in continuo cambiamento (mobilità sociale) e introduce i personaggi attraverso gli indizi, sottolineandone la psicologia. L'ambientazione dei romanzi è allo stesso tempo nel mondo reale e un'ambientazione socio-psicologica che ci fa comprendere meglio i personaggi stessi, il dialogo diventa più realistico, discorsivo e oggettivo, includendo anche i proverbi popolari. Per Galdós, la maggior dolencia è l'inganno di sé stessi e sottoliena il significato profondo sotto la superficie delle diverse narrazioni: personaggi e avvenimenti fondano un commento simbolico sulla Spagna della Restaurazione e, per ottenere ciò, l'autore usa due tecniche, l'uso di nomi simbolici e l'intreccio tra la storia privata dei suoi personaggi con la stori pubblica della nazione. Tali romanzi presentano la società spagnola del XIX secolo come priva di ideali, popolata da picaros e dominata dall'ipocrisia, dall'immoralità, dal materialismo, dall'inganno di sé stessi. Fortunata Y Jacinta (1886-1887) è ambientata a metà degli anni '70 e la prima parte si sviluppa come una cronaca di due gruppi familiari: i Santa Cruz e gli Arnaiz (Jacinta Arnaiz e Juanito Santa Cruz) e i Rubin (Maxi e Fortunata, amante di Juanito); l'opera rappresenta la vita di Madrid e oppone le relazioni illecite di Juanito e Fortunata, basate sull'attrazione che fa nascere dei figli, sterili. Alla fine, il destino dei protagonisti rivela il riconoscimento galdosiano delle possibilità meno piacevoli della vita (essenza del suo realismo), compensando con la speranza. L'ultima fase della sua produzione poetica è costituita dall'incorporazione di un piano allegorico nella narrazione ancora realista, dunque abbiamo l'unione tra quello che è puramente allegorico e quello che è puramente realista e ciò, fa sì che la lettura sia possibile su due piani diversi. Tra le opere di questa fase troviamo: Miau (1888), la quale introduce la biforcazione della narrazione attraverso le conversazioni immaginarie del nipote epilettico con Dio; Angel Guerra (1890-1891), presenta la graduale subordinazione dei principi politico-sociali dell'eroe e delle sue passioni amorose, con un'evoluzione interiore, spirituale e positiva; Torquemada (1889, 1893-95), una serie in cui esamina satiricamente l'incompatibilità dei valori materiali con il progresso spirituale e l'evoluzione dell'opera è esterna, sociale e negativa. → Tristana (1892) è un racconto di amore e profonda perversione che si presenta nella cornice di una ferma narrazione naturalistica, che a poco a poco si dissolve lasciando apparire la sostanza terribilmente ambigua del tema: un tragico incantamento erotico, una ossessione di incesto, sullo sfondo di una calamitante rovina. Tristana, la protagonista, fa parte della galleria ottocentesca delle donne che scelgono di distruggersi; accanto a lei, indissolubilmente congiunto, il gentiluomo Don Lope, figura del Don Juan invecchiato, aristocratico accantonato dal corso dei tempi, padre adottivo e soggiogatore di Tristana, la sua più preziosa e impossibile conquista; abbiamo poi, un terzo personaggio, il pittore Horacio, che si innamora di Tristana e diventa una pedina nel vizioso gioco fra l’anziano gentiluomo e la giovane Tristana; tutta la storia è una specie di lunga cerimonia di distruzione, crudelmente lenta, di cui Galdós ha fissato il percorso con una sobrietà che dà tanto maggior rilievo alla cupa violenza che trascina i protagonisti. BENITO PÉREZ GALDÓS = TORMENTO (1884) Il romanzo si svolge a Madrid tra il 1867 e il 1868, nel periodo che precede la detronizzazione della regina Isabel II e l'inizio del periodo noto come Sexenio Revolucionario; in questa cornice storica, Galdós narra, con un tono umoristico e un certo ritmo da telenovela a lieto fine, le disavventure del grottesco trio formato dalla giovane orfana Amparo Emperador, alias Tormento, assediata dalla passione sacrilega del prete Pedro, e salvata dal picaro Agustín. Il triangolo amoroso è completato dalla presenza di un quarto personaggio, Rosalía, nota come La de Bringas perché moglie di Francisco de Bringas. Nella struttura ingannevolmente folcloristica del romanzo, Rosalía de Bringas funge da cattiva della storia, cercando di sedurre l'indiano e picaro Agustín per una delle sue figlie, e spingendo le sorelle Amparo e Refugio nella corrente. I critici identificano Amparo- Tormento come un'allegoria della Spagna, poiché trascinata nell'indegnità e nella miseria dall'ecclesiastico, Pedro, e salvata da un uomo di umili origini, Agustín, che, grazie al suo lavoro ha fatto una piccola fortuna. Amparo, Tormento, è una giovane orfana con un'anima nobile e innocente ma tormentata dal peccato segreto che Pedro usa come ricatto. Amparo è innamorata di Agustín ma è indecisa al punto da trasformare i suoi dubbi nell'oggetto della tensione della trama. CLARĺN (1852-1901) Leopoldo Alas, detto Clarín, è un critico letterario di racconti ed è il più grande romanziere spagnolo dopo il 1868; egli elogia i romanzi francesi di Balzac, Flaubert e Zola, difendendo la coscienza liberale nella finzione e rappresentando la moda realista con tendenze naturaliste. A Clarín manca la creatività spontanea di Galdós perché ha un carattere più sintetico e riflessivo. → La Regenta (1884-1885) è l'opera che consolida i metodi realisti e parla della giovane provinciale Ana, sposata con un uomo molto più grande di lei; essa si rende conto della sua frustrazione emozionale e fisica e oscilla tra il suo confessore Fermin, innamorato di lei, e Alvaro, seduttore; entrambi sono corrotti e rappresentano una società meschina che partecipa attivamente con i suoi pettegolezzi ipocriti e, ciò, forma parte del commento ironico dell'opera sui fatti; in quanto opinione pubblica, ciò obbliga il marito di Ana a provocare la catastrofe. Il romanzo si divide in due parti, ognuna formata da quindici capitoli ampli, la prima parte descrive tre giorni e la seconda parte descrive tre anni; la città di Vetusta ha un ruolo centrale nell'opera poiché è vista come un microcosmo della vita e forza negativa che condiziona gli avvenimenti. Spirito nazionale e movimenti di rivolta → Nel 1517, sbarcò nelle Asturie Carlo, nato fiammingo, prendendo il nome di Carlo I (Poi Carlo V). → Il nuovo re non fece una buona impressione poiché non sapeva parlare il castigliano, era inoltre totalmente all'oscuro delle cose spagnole ed era circondato da fiamminghi ostili; per questo motivo era spesso messo a paragone con suo fratello Ferdinando che, invece, aveva ricevuto un'educazione castigliana. → I consiglieri di Carlo spedirono Ferdinando nelle Fiandre ma, questo fece aumentare il malcontento della popolazione che non aveva alcuna simpatia per il suo nuovo sovrano; la principale lamentela dei castigliani aveva per oggetto i fiamminghi, di cui si diceva che stessero saccheggiando il paese. → Nel 1519 morì l'imperatore Massimiliano (nonno del nuovo re), dunque pochi mesi dopo Carlo venne eletto imperatore al posto del suo avo, imperatore del Sacro Romano Impero e quest'elezione valse ad aumentare il prestigio del nuovo re Carlo I, che cominciò a dare prova di una sua personalità. → Carlo era sia re di Castiglia che imperatore del Sacro Romano Impero, questo porta a due conseguenze: bisognava attendersi lunghi periodi in cui il sovrano sarebbe rimasto assente dal paese, ed era da prevedere anche un'imposizione fiscale più dura, poiché ci sarebbero state da finanziare le aumentate spese del re. → Quest'elezione provocò una protesta a Toledo, nella quale città vi erano due fazioni: gli Ayala e i Ribera; i Ribera nel 1504 avevano preso le parti di Ferdinando e gli Ayala si erano schierati dalla parte di Filippo ma nel 1519 vi è stato uno strano rovesciamento di posizioni, infatti i Ribera, prima fautori di Ferdinando avversi ad una successione asburgica, ora si vedono favoriti dal governo Chievres (consigliere di Carlo) e divennero leali sostenitori di quella dinastia estranea a quella castigliana, gli Ayala invece si identificano ora con i sentimenti patriottici anti-fiamminghi dei castigliani, dunque dalla parte del regno di Castiglia, non più di Filippo. → Carlo nominò suo reggente Adriano di Utrecht e si imbarcò per prendere possesso del trono, lasciando dietro di sé un paese in rivolta, la Rivolta dei Comuneros: I sentimenti anti-fiamminghi fecero insorgere il popolo quando, nel 1520 ebbe inizio una rivolta, prima solo in alcune città spagnole (Toledo/Valladolid) e solo poi si espanse in tutta la Castiglia. La ribellione fu messa in atto dalle comunità castigliane, i Comuneros, nei confronti di Carlo, Re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero, in quanto visto con estrema malevolenza per l’origine fiamminga sua e della corte (in totale contrasto con la plurisecolare storia spagnola incentrata sul concetto di limpieza de sangre) e per nuova politica fiscale. La rivolta iniziò a causa del malcontento, dell’aumento delle imposte e dell’assenza del re. I rivoltosi chiedevano che il re abitasse la Castiglia e che non si accerchiasse di fiamminghi. Il governo si vide costretto a fare delle concessioni, iniziando dalla nomina di consiglieri castigliani. Ma le rivolte continuarono, con l’incendio di Medina del Campo (la distruzione del maggior centro finanziario e commerciale del paese) e la rivolta terminò con la Battaglia di Villalar (1521) in cui le truppe imperiali sconfissero il popolo in rivolta e il giorno seguente giustiziarono i leader dei rivoltosi. Carlo V, alla fine della rivolta, consentì un'amnistia generale ai Comuneros, dunque l'autorità della Corona aveva avuto la meglio e il re era tornato come padrone assoluto di una Castiglia ammansita e soggiogata. Nello stesso anno (1521) fu soppressa anche la rivolta delle fratellanze a Valencia, che vide scontrarsi il movimento urbano di contadini di classe media contro la nobiltà. → Dunque, la scintilla allo scoppio della rivolta fu l'odio per un governo straniero che prosciugava il paese della sua ricchezza; in alcune richieste, si voleva che il re abitasse la Castiglia, che non si attorniasse di fiamminghi, francesi e che ogni cosa si conformasse alla condotta tenuta dai Re Cattolici, suoi avi. Il destino imperiale → Il trionfo della rivolta chiuse un capitolo aperto nel 1504 con la morte di Isabella di Castiglia; con la vittoria dei fautori di Carlo nella Battaglia di Villalar non ci furono più rivolte in Castiglia contro il potere della Corona. I Comuneros avevano lottato per salvare la Castiglia da un regime che, per sua natura e orientamento politico, sembrava minare quel senso di identità nazionale a cui con tanta fatica, si era approdati una generazione prima. → La sconfitta dei Comuneros significò che sul trono castigliano avrebbe seduto una dinastia forestiera con un programma politico forestiero, ossia non radicato nella realtà castigliana: con Carlo V (o Carlo I) la Castiglia si trovò forzatamente succube di un nuovo complesso di idee, di presupposti e di valori tipicamente europei che difficilmente riuscivano ad accettare, ma nonostante i sentimenti anti-fiamminghi e anti-imperiali che predominavano in Castiglia, alcuni ambienti della società castigliana si dimostrarono pronti ad accogliere e gradire le nuove idee e gli apporti stranieri come la corte e le università. Amministrazione Ed Economia Sotto Il Regno Di Carlo V L'impero: principi, ideali e funzionamento → Il re e imperatore Carlo V resse la Spagna dal 1517 fino all'abdicazione a favore di suo figlio Filippo nel 1556, infatti nel 1526 Carlo sposò sua cugina Isabella, figlia del re di Portogallo, da cui ebbe Filippo. Isabella fu per Carlo un imperatrice perfetta e fu proprio lei a fungere da reggente in caso di assenza del marito. → In Spagna Carlo fu presente per un periodo complessivo inferiore ai 16 anni e i timori dei Comuneros erano, quindi, più che giustificati: il primo re spagnolo della Casa d'Asburgo fu un re non residente in Castiglia e con molti altri impegni oltre quello di reggere la Spagna e, tali impegni, lo obbligavano a bilanciare gli interessi nazionali spagnoli con quelli più vasti della carica imperiale. → Il governo effettivo della Spagna, per un ventennio, lo tenne Francisco de Los Cobos, l'unica persona che avrebbe potuto rivaleggiare con Mercurino Gattinara, il consigliere principale del re. Gli anni seguiti al 1522 infatti, furono quelli in cui si combatté tra i due personaggi una lotta per assicurarsi il controllo amministrativo, una lotta che, per Cobos aveva già vinto quando nel 1530 morì Gattinara. → Ognuno dei domini di Carlo V era considerato un'entità a sé stante e ognuno di essi continuò ad avere le proprie leggi e le proprie libertà; insomma, il sovrano di tutti i domini era il sovrano di ognuno singolarmente. Da questo ne derivarono due conseguenze: il fatto che gli ordinamenti costituzionali tipici di ognuno dei vari territori ebbero una sorta di congelamento e che risultò impedita la formazione di più stretti vincoli tra i diversi domini sia sul piano economico che sul piano politico, dunque erano assenti tutti quei vincoli che avrebbero contribuito a creare il senso di partecipare tutti ad un'impresa comune; dunque, i domini di Carlo V continuarono a pensare solo a sé stessi e a percepire, quindi, il coinvolgimento in guerre poiché cosa che non interessava a loro. → La minaccia turca ebbe un'influenza decisiva, infatti lo Stato Ottomano possedeva risorse di denaro e di uomini da consentirgli una aggressiva politica imperialistica e, fu una funzione anti-turca che smosse il programma di Carlo V: all'attacco di un impero doveva rispondere per forza un altro impero, dunque Carlo V persuase molti castigliani che la sua crociata contro i turchi era una causa loro e del loro paese. L'organizzazione dell'Impero → Fino a Filippo II (suo figlio) non ci fu una capitale fissa e si scelse Valladolid come capitale amministrativa. → Con il governo di vasti territori sparsi e distanti, occorreva adottare nuove tecniche burocratiche e nuove procedure amministrative, perciò Gattinara riformò il Consiglio della Castiglia, creò il Consiglio delle Finanze, riorganizzò il governo della Navarra e istituì un Consiglio per le Indie. → Il primo compito di un Consiglio era quello di consigliare il sovrano e i Consigli si dividono in due categorie: quelli che dovevano consigliare il sovrano su questioni generali relative alla monarchia nel suo insieme e quelli responsabili del governo dei singoli territori in essa compresi. → Fra i Consigli che avevano il compito di dare pareri, il più noto era il Consiglio di Stato (Consejo de Estado), che doveva consigliare il sovrano su temi di politica generale relativi al governo della Spagna; poi, abbiamo il Consiglio di Guerra (Consejo de Guerra), responsabile dell'organizzazione militare; infine, la più nota delle riforme fu voluta da Gattinara e fu l'istituzione del Consiglio delle Finanze (Consejo de Hacienda), per la necessità di un organismo finanziario migliore e si occupava delle finanze della Corona in generale. → Per quanto riguarda l'apparato amministrativo del settore coloniale, venne istituito il Consiglio delle Indie, che equivaleva al Consiglio di Castiglia, gli spettò dunque il controllo supremo di tutti gli affari amministrativi, giudiziari ed ecclesiastici riguardanti le Indie. → L'autorità della Corona fu impersonata da due istituzioni: le audiencias e i vicereami. Le audiencias, oltre alle funzioni giudiziarie, avevano anche funzioni politiche e avevano il compito di amministrare la giustizia; con l'istituzione dei viceré per la Nuova Spagna (America Centrale) e per il Perù, il numero dei vicereami salì a 9: Aragona, Catalogna, Valenza, Navarra, Sardegna, Sicilia, Napoli, Nuova Spagna e Perù. → I viceré fruivano di poteri enormi e al contempo si trovarono strettamente vincolati al governo centrale che stava in Spagna: ogni viceré doveva operare in sintonia con il Consiglio, che si occupava di quel territorio nel quale rappresentava il sovrano, dal momento in cui con i Consigli era come se il sovrano fosse personalmente presente in ognuno dei suoi domini. → Un Consiglio che teneva regolarmente le sue sedute, discuteva di tutte le faccende generali sui territori che erano sotto la sua giurisdizione e, i risultati di tali discussioni venivano fissati in documenti noti come consultas. → Carlo V scelse gli esponenti dell'alta nobiltà per i comandi militari e per i viceré e scelse uomini che venivano da famiglie di hidalgos o della borghesia per svolgere il servizio a Corte e nei tribunali; i membri dovevano avere alle spalle studi universitari e dovevano aver compiuto un tirocinio negli uffici ecclesiastici; la tentazione di avanzare verso l'alto della piramide sociale era irresistibile e spesso si ricorreva a metodi irregolari (corruzione). L'economia castigliana → Nel 1503 venne istituita la Casa de Contración di Siviglia, la quale città aveva il compito di esercitare un controllo dei traffici con il Nuovo Mondo; a Siviglia, infatti, dovevano essere convogliate le merci da imbarcare per le Indie, dovevano approdare i galeoni che portavano in Spagna i prodotti del Nuovo Mondo; tra le merci più pregiate di provenienza americana c'erano l'oro e l'argento e, i primi spagnoli che si insediarono sul suolo americano ebbero bisogno di armi, vestiti, cavalli e grano, dunque erano fortemente dipendenti dalla madrepatria. → La Spagna di Carlo V aveva 3 economie: Siviglia protesa verso l'America, la Castiglia settentrionale orientata verso i mercati delle Fiandre e Europa del Nord, la Corona d'Aragona interessata ai mercati del Mediterraneo. → Intorno al 1500, Siviglia conobbe un incremento demografico straordinario, che la rese una delle città più fiorenti del secolo e ciò, le permise di avere contatti col mondo esotico delle Indie; inoltre, l'espansione dei commerci internazionali era dipesa dalla domanda fiamminga di lana spagnola, dalla domanda francese del ferro di Biscaglia e dalla domanda italiana delle merci di lusso spagnole, quali ceramiche, cuoio, seta e lame di Toledo. → L'attività manifatturiera tessile era diffusa e la richiesta di tessuti proveniva dal mercato interno e americano; inoltre, l'incremento demografico offrì un'occasione unica alle attività manifatturiere locali e all'agricoltura, che da quel momento poté coltivare nuovi terreni; nonostante ciò, erano presenti molte lagnanze. → Le lagnanze provenivano dagli operatori interni per l'alto prezzo dei manufatti castigliani, soprattutto tessuti; infatti, la fabbricazione dei tessuti si trovò minacciata dalla concorrenza di prodotti esteri meno cari, questo perché le merci castigliane risultavano più care di quelle importate dall'estero. → Inoltre, l'impossibilità per l'agricoltura castigliana di produrre abbastanza per l'alimentazione di una popolazione in continuo aumento, fece salire i prezzi degli alimentari ad un livello tale da rendere sempre più difficile al castigliano comune l'acquisto dei beni di prima necessità; i mercati stranieri, infatti, non solo irruppero nel mercato interno castigliano, ma si aprirono la strada per accedere anche a quello americano, fin'ora privato. I problemi della finanza imperiale → Carlo V era a corto di fondi e dovette volgersi da un dominio all'altro in cerca di nuovo denaro e contrattare per avere prestiti; i domini interessati erano i Paesi Bassi e l'Italia, che finanziarono il grosso delle sue spese. → Carlo fu costretto a cercarsi il contributo finanziario dalla Spagna stessa, infatti nella nazione esistevano diverse fonti d'entrata: il contributo finanziario della Chiesa spagnola alla Corona furono le tercias reales, il terzo di tutte le decime riscosse dalla chiesa nel regno di Castiglia, il subsidio, un'imposta sulle entrate e redditi della Chiesa nei regni spagnoli e l'excusando, una nuova imposta per sovvenire al costo della guerra nelle Fiandre; oltre a queste imposte, il re poteva contare sui beni e sui redditi degli Ordini militari e su alcune imposte che le Cortes (assemblee nazionali) non controllavano, come le rentas ordinarias, tra cui la nota alcabala, un'imposta sulle vendite e che dovevano pagare tutti; dal 1525, al posto dell'alcabala si pagava una somma fissa nota come encabezamiento. → Dunque, Carlo V dovette cercare altre fonti di entrata per colmare il vuoto provocato dal decremento subito di tale imposta e, l'unico modo era quello di ottenere il consenso delle Cortes che gli contribuirono un servicio, ossia una sorta di sussidio che veniva concesso per far fronte a situazioni straordinarie. → Alla fine del regno di Carlo V, la situazione era molto negativa: il re doveva farsi anticipare da privati le somme di denaro, oppure compensare chi anticipava denaro con dei juros (titoli di Stato); egli fece anche ricorso ai banchieri che si mostrarono disposti ad anticipargli denaro con l'intesa che avrebbero avuto indietro interessi; quest'intesa prese forma di un contratto, l'asiento, il cui obiettivo fu quello di precisare dove e quando i banchieri dovevano depositare le somme prestate alla Corona e anche il tasso di interesse e i metodi di rimborso. → Il suo regno conobbe 3 implicazioni pericolose che avrebbero avuto una grande incidenza in seguito, in primo luogo, Carlo V portò a stabilirsi nel paese l'egemonia di banchieri stranieri che giunsero a controllarne le fonti di ricchezza, in secondo luogo risultò che la Castiglia doveva sopportare il fardello maggiore della fiscalità addossata alla Spagna e, in terzo luogo il fardello fiscale castigliano fu portato a quelle classi meno in grado di sopportarlo. Carlo V abbandona il sogno imperiale → Carlo V fu ripetutamente sollecitato dalla moglie a far ritorno in Spagna perché ciò, esigeva il bene del regno e anche Cobos e Filippo (suo figlio) lo avvisarono delle difficoltà in cui si trovava la Castiglia, ma l'imperatore non ascoltò i loro consigli e continuò così a spendere denaro ovunque si trovasse e a ricorrere a svariati prestiti. → Le finanze della Corona spagnola ormai scivolavano verso la bancarotta, mentre l'impero si spaccava in due; Filippo succedette il padre come re di Spagna nel 1556, divenendo Filippo II, che sarebbe stato alla testa di un impero che doveva essere, per forza, diverso da quello che il padre gli aveva lasciato in eredità. → Nel 1554 si celebrarono le nozze tra Maria Tudor (Regina d'Inghilterra), con Filippo, nozze volute da Carlo V che vedeva nell'unione tra la Regina d'Inghilterra e il futuro Re di Spagna, un'alleanza fondamentale in funzione anti-francese e a difesa dei territori delle Fiandre e dei Paesi Bassi; Maria Tudor, però, morì nel 1558 senza prole. Nel 1559 Filippo II lascia le Fiandre per tornare in Spagna e il suo impero nacque con la bancarotta. Un Solo Re, Un Solo Impero, Una Sola Spada Il re e la corte → In un sonetto dedicato a Filippo II, il poeta Hernando de Acuña canta l'arrivo del giorno promesso in cui nel mondo ci sarebbe stato un solo re, un solo impero, una sola spada e Filippo si sentiva, a detta di ciò, l'unica speranza di salvezza in un mondo sconvolto dalle guerre e agitato dall'eresia. → Era dovere del re Filippo II proteggere il popolo dai nemici esterni e amministrare al popolo la giustizia con l'attuazione di un governo giusto, in cui il re ricompensava i buoni, puniva i malvagi e faceva in modo che tutti restassero in possesso dei loro diritti e dei loro beni. → Suo padre Carlo V aveva trasmesso al figlio il suo senso del dovere: aveva imposto a Filippo di tenere sempre Dio davanti agli occhi, di non andare mai in collera, di non fare nulla che risulti offensivo per l'Inquisizione e di fare in modo che la giustizia sia amministrata senza alcuna corruzione. Filippo seguì tutto alla lettera poiché nutriva per suo padre un rispetto che sfiorava la venerazione ma, al tempo stesso, tutto ciò lo rendeva debole, indeciso e faceva nascere in lui un sentimento di inadeguatezza che non fece che aumentare. → Un fatto che sconvolse la vita del re fu l'arresto e la morte di suo figlio Don Carlos, avuto dalla prima moglie Maria del Portogallo, il quale aveva un'indole ribelle ed era inadatto a prendere in mano un governo; a ciò, si aggiunge che aveva concepito un odio per suo padre e al contempo un'ambizione smisurata, che lo portò ad avere contatti e intese con i ribelli e rivoltosi olandesi, fino al suo arresto da parte della corte e del re stesso (suo padre), il quale giustificò quest'atto dicendo che era necessario per il servizio di Dio e per il bene pubblico. → La disgrazia del figlio toccò Filippo nel profondo e, in aggiunta, morì anche la sua terza e amatissima moglie Elisabetta di Valois che aveva dato al sovrano due femmine; il re, poi, si sposò per la quarta volta prendendo in moglie Anna d'Austria, ma di 5 figli nati da lei prima che morisse, solo il futuro Filippo III sopravvisse. → Nonostante queste tragedie, egli si fece costruire l'Escorial, dove amava ritirarsi sfuggendo la vista della gente e dove amava dedicare qualche ora ai suoi libri e ai suoi quadri poiché era un gran conoscitore d'arte. → Nel 1561 la corte spagnola scelse come capitale Madrid, poiché era abbastanza vicina al nuovo palazzo dell'Escorial e così, gradualmente, la città venne riconosciuta come la capitale della monarchia. Essa era il centro matematico della Spagna e, diversamente da quello che avveniva con Carlo V, il governo di Filippo II fu un governo a sede fissa; la scelta di una capitale che era al centro del paese ma anche lontana per tanta parte del territorio spagnolo, venne a contraddire i presupposti fondamentali su cui si reggeva la monarchia spagnola. → La scelta di una capitale fissa, infatti, comportò la rinuncia all'esercizio itinerante della sovranità quale l'aveva praticato l'imperatore Carlo V; Filippo, così, diede sempre meno importanza al fatto che la soluzione della capitale fissa togliesse la possibilità ai suoi vari domini di conoscere il proprio sovrano. → I primi a lagnarsi furono i sudditi italiani, che si trovarono ad essere parte di una monarchia che andava acquistando un carattere sempre più spagnolo; il re, avendo posto la propria capitale in Spagna aveva deliberato di fare a meno della collaborazione dei tanti consiglieri non spagnoli di cui, invece, si era sempre servito suo padre; tuttavia, la monarchia di Filippo II non fu neppure una monarchia spagnola, con il tempo, infatti, divenne sempre più una monarchia castigliana: il re aveva stabilito la sua residenza in un ambiente tipicamente castigliano, era circondato da castigliani e la maggior parte delle sue entrate proveniva dalla Castiglia. → L'aver scelto la Castiglia per la sua capitale e l'egemonia castigliana, obbligarono ad introdurre mutamenti: bisognava modificare la posizione costituzionale delle province e i loro rapporti con il sovrano. → La soluzione castigliana era una delle soluzioni possibili alla mancanza di omogeneità dei territori che componevano la monarchia; questa era la soluzione logicamente più semplice e una soluzione per la quale, i vari Stati e domini della monarchia dovevano essere spogliati dell'ingombro delle loro leggi e dei loro privilegi particolari ed essere, poi, governati secondo le leggi della Castiglia. → C'era anche la soluzione aragonese, che suscitava maggior consenso nelle province non castigliane: essa fu formulata dall'autore Ceriol e le sue proposte erano quelle di preservare in ogni territorio la sua struttura costituzionale, le sue leggi e le sue libertà; totalmente l'opposto della soluzione castigliana. → Filippo II si trovò due soluzioni possibili, quella castigliana e quella aragonese che si escludevano a vicenda. → Questo stesso problema divenne poi urgente nel 1566 quando divampò la rivolta nei Paesi Bassi. Le fazioni in lotta → Filippo II aveva bisogno di assistenza da parte dei segretari, dunque quella di segretario divenne una carica pubblica importante e, l'unico che fosse ancora in vita quando il re salì al trono (1556) era Perez; mentre la funzione esecutiva del governo era coperta dal re e dai suoi segretari, la funzione consultiva spettava ai Consigli (Stato, Guerra e Finanze), la cui struttura rimase quella che era stata al tempo di Carlo V. → L'unico modo per neutralizzare le rivalità degli aristocratici era quello di dare loro uno sfogo a corte; tra i vari Consigli, quello che si prestava per le rivalità tra le fazioni era il Consiglio di Stato, che fu il terreno di scontro di due opposte fazioni che lottavano per conquistarsi l'influenza del re: i Ribera e gli Ayala che si erano già scontrate durante la rivolta dei Comuneros e poi sulle ordinanze riguardo la limpieza de sangre. → I Ribera erano capeggiati dal Principe d'Eboli e gli Ayala dal Duca d'Alba e queste due fazioni erano in conflitto per il potere, per acquisire un ascendente sul re e per avere delle assegnazioni di posti e favori. → Ci furono delle discussioni per la ribellione dei Paesi Bassi del 1566: il Duca d'Alba (Ayala) sosteneva che bisognava soffocare la ribellione con ogni energia, mentre d'Eboli (Ribera) palesava una certa comprensione per i ribelli e voleva arrivare ad un accordo per mezzo di trattative; le due fazioni avevano soluzioni opposte: il Duca d'Alba (Ayala) voleva una soluzione ispirata alla soluzione castigliana, che comportava l'abolizione delle libertà provinciali; invece, il Principe d'Eboli (Ribera) appoggiava una soluzione aragonese, più pacifica. → Inviando il Duca d'Alba nei Paesi Bassi, il re Filippo II si dichiara a favore della soluzione castigliana e, nel 1573 il duca fallisce e viene sollevato dal suo incarico; questa disgrazia lasciò il via libera a Eboli e i suoi rimedi consistevano nell'applicare una serie di misure finalizzate alla pacificazione e alla riconciliazione: il re doveva preservare le leggi e le libertà tradizionali dei Paesi Bassi e doveva scegliere abitanti di quel dominio per coprire cariche nelle varie province dell'impero; l'uomo scelto da Filippo II fu Don Luis de Requesens. → Al re fu sempre più difficile pagare i soldati, quindi offrì ai ribelli un'amnistia ma i soldati nei Paesi Bassi si ammutinarono e marciarono su Anversa. Nel 1575 avvenne la seconda bancarotta del regno e il re sospese i pagamenti ai banchieri e i soldati si trovarono senza denaro, dunque si diedero a saccheggiare Anversa. → Arrivò Don Giovanni d'Austria, che pose condizioni conformi alle idee di Eboli, volle avere mano libera nel governo dei Paesi Bassi e la licenza di rispettare le loro leggi e le loro libertà ma, dal momento in cui una politica di conciliazione non aveva prospettiva di riuscita, decise che il re doveva essere persuaso a far riprendere le ostilità contro i ribelli, così nel 1577 occupò il castello di Namur; il Duca d'Alba era stato confinato e Perez era stato arrestato perché accusato di segreti di Stato e con ciò, le due fazioni scomparvero di scena. L'annessione del Portogallo → Negli anni 1579 e 1580 le leve del governo erano in mano al cardinale Granvelle, consigliere di Carlo V; Filippo operò un mutamento radicale nella sua politica: passò ad una politica imperialistica attiva, perché negli anni '60 ci furono una serie di eventi che costrinsero il re a rimanere sulla difensiva. → Le Indie vennero in soccorso del re, con la raffinazione dell'argento peruviano, il quale diede risultati proficui e si ebbe un incremento nella disponibilità d'argento; i traffici tra Siviglia e il Nuovo Mondo raggiunsero la massima dilatazione e i banchieri ripresero fiducia; la largueza, abbondanza di denaro, diede a Filippo una libertà di manovra e, finalmente, dopo tanti anni passati sulla difensiva, poteva lanciarsi all'attacco. → Filippo, nel 1580, portò a buon fine l'annessione del Portogallo: i portoghesi necessitavano di argento per comprare le spezie asiatiche e il loro impero non aveva miniere d'argento, dunque il Portogallo si vedeva sempre più costretto a rivolgersi alla Spagna per avere quell'argento che solo l'impero spagnolo era in grado di fornire. → Il futuro politico del Portogallo era stato compromesso dal disastro di Alcazarquivir, nel quale morì il re senza alcun erede e l'unico che poteva succedere al trono era il cardinale Enrico, ma era anziano. Enrico si dichiarò a favore di Filippo come erede al trono di Portogallo, ma rappresentanti delle città portoghesi erano favorevoli alla candidatura di Crato, rivale di Filippo, e la popolazione era anti-castigliana. → Venne richiamato il Duca d'Alba perché si mettesse a capo dell'esercito che doveva invadere il Portogallo, così il suo esercito penetrò in terra portoghese e i sostenitori di Crato si arresero; dunque, la penisola iberica si trovò finalmente unita sotto un solo sovrano e le Cortes riconobbero Filippo II come re del Portogallo. → Si chiedeva di preservare il Portogallo come stato autonomo e al re si chiedeva di trascorrere molto tempo in Portogallo e, qualora fosse stato assente doveva affidare il ruolo ad un membro della famiglia o a un portoghese; doveva essere istituito un Consiglio del Portogallo, che doveva svolgere la sua attività usando il portoghese; il Portogallo doveva conservare la propria moneta e i traffici con i territori coloniali dovevano restare portoghesi. → Il Portogallo fu unito nel 1580 alla Castiglia conservando le proprie leggi, le proprie istituzioni, la propria moneta: l'unione era limitata al fatto di avere lo stesso sovrano in comune. → Filippo II rimase a Lisbona, lasciando al cardinale Granvelle il governo a Madrid e nel 1583 lasciò Lisbona per tornare a Madrid e lasciò come governatore del paese Alberto, suo nipote. La rivolta aragonese → Verso il 1580, il Regno di Aragona era diventato uno dei domini più ingovernabili, così intervenne il re; nel corso del 1500, i rapporti tra signori e contadini conobbero un deterioramento, soprattutto causato dalla presenza di una popolazione di moriscos, di cui molti occupati a lavorare le terre di signori laici ed ecclesiastici, quindi la popolazione aragonese si risentì del fatto che i moriscos fossero favoriti sia sul mercato del lavoro che per la coltivazione dei terreni più fertili e quindi, era insorto un conflitto tra i moriscos che lavoravano sulle terre più feconde e i montañeses, quei vecchi cristiani che ogni inverno scendevano dai Pirenei con i loro greggi. → Comparve in Aragona Perez, ex segretario del re, confinato e sottoposto a severe restrizioni nel 1579, che nel 1590 riuscì a fuggire dal carcere e si mise in salvo oltre il confine aragonese, dove esisteva la manifestación, in forza della quale chiunque fosse minacciato di cattura, aveva il diritto di essere protetto dalla Justicia de Aragona, la quale doveva custodirlo nelle proprie prigioni fino a che non fosse stata emessa la sentenza sul suo caso. → Quando Filippo II avanzò la denuncia contro il suo ex segretario, Perez denunciò il re di complicità nell'assassinio di Juan de Escobedo, segretario del Consiglio delle Finanze, allora il re ritirò la denuncia e si volse all'ultima disperata risorsa che ancora gli rimanesse, al tribunale dell'Inquisizione. → Nel 1591, mentre Perez veniva trasferito al carcere dell'Inquisizione, la folla di Saragozza scese in strada gridando ''Libertà!'' e così sottrasse Perez ai carcerieri. Il 24 settembre del 1591 fu fatto un altro tentativo di trasferire Perez nel carcere dell'Inquisizione e di nuovo la folla scese in strada Perez si riprese la sua libertà. Ciò finì per convincere il re che era necessaria la forza e, compreso che tutto era perduto, Perez fuggì in Francia. → La rivolta aragonese era finita e aveva mostrato la debolezza e la forza del re di Spagna: la sua debolezza si vide nell'assenza di ogni effettivo controllo del sovrano su un regno munito di tanti privilegi come era l'Aragona e la sua forza risultò dalle divisioni sociali esistenti del paese, le quali fecero sì che la rivolta fosse poco più che un movimento iniziato dalla città di Saragozza e dall'aristocrazia aragonese, per preservare libertà e privilegi sfruttati. Splendori E Miserie La fine del regno di Filippo II → Il flusso d'argento dalle Indie aveva indotto il re ad intraprendere grandi progetti che inghiottirono le sue entrate e fecero aumentare i suoi debiti; fu quindi giudicato necessario aggiungere una nuova importa, millones, che colpiva i generi di prima necessità, gravò sui poveri, fece salire i prezzi e, quindi, il costo della vita. → Venne annunciata la terza bancarotta nel 1596 (le prime due furono nel 1559 e 1575). → Inoltre, nel 1588 ci fu la disfatta dell'Invincible Armada, che aveva fatto pendere la bilancia della potenza contro la Spagna, una crociata contro le potenze del Nord terminata con l'insuccesso. → Nel 1598 concluse con Enrico IV il Trattato di Vervins, che pose fine alla guerra con la Francia e poi morì. → Il nuovo governo di Filippo III (figlio di Filippo II) si impegnò in uno sforzo militare nelle Fiandre e nel 1601 inviò una spedizione in Irlanda e nel 1603 venne firmata la tregua di 12 anni tra la Spagna e i Paesi Bassi. → Oltre alla crisi castigliana (determinata dalla situazione generale della politica economica) vi era un'altra crisi provocata da un mutamento graduale nella natura dei rapporti economici che intercorrevano tra la Spagna e il suo impero transoceanico, questo perché il regno di Filippo II era fondato sull'economia ispano-atlantica; durante l'ultimo decennio del 1500, l'argento americano arrivò in Spagna ancora in quantità notevoli e il porto di Siviglia conobbe un momento di prosperità ma, tali apparenze nascondevano l'inizio di un mutamento radicale nella struttura di tutto il sistema ispano-atlantico: tale mutamento fu frutto della guerra che la Spagna aveva intrapreso con le potenze protestanti del Nord e, poi, la Spagna dipendeva dall'Europa settentrionale e orientale per i rifornimenti alimentari e materiale nautico; timoroso per la continua dipendenza della Spagna, Filippo II, nel 1585, decretò l'embargo per le navi olandesi, solite a frequentare porti i spagnoli e portoghesi. → Gli olandesi avevano bisogno dell'argento e dei prodotti coloniali spagnoli e, davanti alla minaccia di blocco degli scambi con la penisola iberica, si recarono nelle zone di produzione, nei Caraibi e nell'America spagnola. → L'intrusione olandese nella zona dei Caraibi sconvolse il sistema delle comunicazioni marittime e la presenza di intrusi, venuti dal Nord Europa nei mari americani, costituì un serio pericolo per il commercio spagnolo. → Ci fu una catastrofe demografica che colpì l'economia americana, infatti la popolazione indiana del Messico si trovò flagellata da terribili crisi epidemiche, dunque la mano d'opera si trovò terribilmente ridotta di numero, i grandi progetti di costruzioni furono arrestati e divenne sempre più difficile trovare mano d'opera per le miniere e il secolo che seguì l'epidemia indiana è stato chiamato il secolo di depressione della Nuova Spagna: durante questo periodo, il Nuovo Mondo ebbe poco da offrire all'Europa: poté dare meno argento e poté offrire minori prospettive agli emigranti, quindi l'economia della Spagna, dall'ultimo decennio del 1500, cominciò a divergere.
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