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Letteratura Spagnola I - 500, Appunti di Letteratura Spagnola

Riassunto del libro di Letteratura Spagnola I Libro: "L'età dell'oro della letteratura spagnola - il Cinquecento" - Profeti.

Tipologia: Appunti

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Scarica Letteratura Spagnola I - 500 e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! IL CINQUECENTO I. ERASMISMO 1. Erasmo e la Spagna Erasmo de Rotterdam (1466-1536) fu una figura predominante e di grande rilievo dell’Umanesimo europeo. Erasmo fu anche prolifico epistolografo e le sue opere ebbero un impatto importante in tutta Europa, dando vita ad un “movimento”. E questo movimento ebbe più influenza e accoglienza in Spagna all’epoca di Carlo V. Tra il 1522 e il 1525, l’influenza di Erasmo comincia ad avere effetti e aggrega tutte le forze locali di rinnovazione intellettuale e religiosa. Pian piano comincia a diventare una vera e propria invasione nel periodo che va dal 1527 al 1532. La parola di Erasmo ebbe molto successo e ciò comportò anche un ampio rinnovamento rinascimentale, ossia alla partecipazione dell’intellettualità castigliana agli spazi innovativi. Gli esiti dell’Erasmismo durano anche fino all’abdicazione di Carlo V e la conclusione del Concilio di Trento (1563) e andrà ad incidere nell’epoca di Filippo II. 2. Juan Luis Vives Nato a Valencia del 1492 da una famiglia di ebrei conversos. Viene mandato a Parigi a studiare nel 1509, nel 1512 è a Bruges come precettore dei tre figli della famiglia valenciana Valdaura e si spesa con una di loro: Margherita, nel 1524. Non si sa molto degli ultimi anni della vita di Vives, ma una pensione assegnatagli da Carlo V nel 1532 lo aiutò a vivere fino al 1540, anno in cui morì. Umanista e filosofo che abbraccia la cultura erasmiana, dalla quale riconosce l’intimità religiosa, l’universalismo evangelico, la polemica antiscolastica…. Ciò che segna il periodo di Vives è una filosofia che aspira alla metafisica, per studiare l’uomo ed educare nei suoi atti in rapporto a un modello di superiore intelligenza dell’esistere che sappia crescere sugli ideali di pace, tolleranza, equilibrio e armonia. Una filosofia pedagogica e psicologica. La bibliografia di Vives può raggrupparsi in 8 indici: opere devote, filologiche, morali, politiche, pedagogiche, filosofiche, apologetiche e l’epistolario. Ciò che caratterizza Vives nella scrittura è la vivacità nei modi di rappresentazione, il garbo gentile nel passaggio sarcastico e ironico, la capacità di disegno dei personaggi e una carica di umanità, tutto in latino. Vives non solo viene riconosciuto come importante filosofo spagnolo, ma anche come importante storiografo e letteratura, in merito alla sua scrittura virtuosa, elegante, allusiva. 3. Alfonso de Valdés Nasce a Cuenca probabilmente nel 1490. Proviene da una famiglia di conversos e tutta la sua carriera di svolge nella cancelleria reale e nel 1526 viene nominato segretario redattore delle epistole in latino. Dal 1529 fino alla morte nel 1532 viaggia molto. Scrisse opere dialogiche, e la prima è Dialogo de Lactancio y el Arcediano che prende spunto dal sacco di Roma. Il tema è politico: un compito ufficiale assunto dal capo della segreteria latina per dimostrare l’estraneità dell’imperatore ai fatti e per insinuare una specie di legittimità naturale del sacco, alla stregua di un intervento voluto da Dio. Il Dialogo è diviso in due parti: nella prima si parla della responsabilità dell’imperatore nei fatti (di Roma) e nella seconda del carattere provvidenziale di essi per il bene della repubblica cristiana. Interessante è la logica di Alfonso nell’invertire i protagonisti: L’Arcediano diventa figura secondaria, e il contrario con Lactancio che diventa dominante. La suddivisione in due libri è dovuta perché nella seconda parte spiega l’argomento del sacco di Roma e con una sfumatura religiosa, mentre nella prima le motivazioni politiche. L’erasmismo di Alfonso non è presente in tutti e due i Dialoghi, perché si ha una chiusa visione di un impegno partigiano che risulta predominante. Nel Dialogo de Mercurio y Carón il tema è più ridotto. Caronte decide di comprare un’imbarcazione più grande per le tante guerre che procurano tanti morti, ma teme che la pace possa rovinare tutto. Mercurio lo tranquillizza e lo informa sulla guerra accaduta tra Francia e Inghilterra contro Carlo V. Da questo punto prende avvio il dialogo. L’opera è divisa in due libri: nel primo ci sono dodici anime che rappresentano il rovescio della religiosità e viene trattata con toni ironici, caricaturali e sarcastici. Nel secondo libro ci sono sei anime, interpreti della vita pia e devota e si impiegano toni satirici. Con la sfilata delle anime avviene la definizione etico-comportamentale e la delineazione del quadro spirituale, il dialogo rappresenta l’esposizione storica del regno di Carlo, del sacco di Roma e la sfida fra i re. Fra la prima parte e la seconda c’è una rottura. Nel secondo libro, ad esempio, c’è una sveltezza nel dialogo, scompare l’ironia e il paradosso che conferisce una certa fisionomia ai personaggi, e la narrazione storica. Si fa spazio alla dettagliata descrizione del duello mai avvenuto. 4. Juan de Valdés Nasce nel 1509. Fino al 1530 risedette in Spagna frequentando Escalona di Alcaraz e Alcalà de Hénares dove apprese la lezione alumbrista. Nel 1529 scrisse la sua prima opera stampata Dialogo de doctrina cristiana con sfumature riformatori, ma non venne approvato dall’Inquisizione. Nel 1530 emigrò in Italia e nel 1535 si stabilisce a Napoli lavorando come agente imperiale. A Napoli riesce a maturare la sua teoresi religiosa. Dopo la pubblicazione del Dialogo, Juan compose altre opere. L’autore morì nel 1541. Nell’autore viene scoperta una scrittura asciutta, connessa, ed è ciò che lo contraddistingue. Juan difende il criterio rinascimentale di naturalezza nella sua opera più nota, Dialogo de la lengua (1535), che dopo secoli è diventato uno dei testi di maggior riferimento nel ‘500. Viene difeso l’ideale della lingua della prosa, ossia la chiarezza, la proprietà e sobrietà che vengono impiegate nella forma, dal momento che si presenta una coscienza moderatrice tra Nel sonetto V si può notare un’eclissi della felicità assoluta, un’esclusione della fiducia integrale, un ribaltamento del destino che vorrebbe e sa che non avrà. Nel sonetto XVII ogni frase sembra proiettata in un futuro d’ancor più temuta lacerazione, perché alla fine si precipita in un tormento a seguito di un’illusione. Importante è il concetto della vitalità del soffrire, come modo per divenire e sapere, dell’essere e del capire, mentre ragione e follia vengono semantizzati oltre il senso corrente o che il poeta si riconosca schiavo. La perdita di sé viene vista come il solo modo per essere sé stessi, la única ventura. Nei sonetti 8 e 17 c’è questa sensazione di solitudine provocata da sogni irraggiungibili e desiderosi. Sa benissimo che il suo è un destino mortale e chiede di poter rivedere colei che non sa dimenticare, e in alcuni sonetti la ricorda ormai defunta, immemore del dolore trascorso, che ora gli appare gioia perché poteva amare nella vita. Il moto e la progressione del poetare garcilasiano risiedono nel labirinto delle contraddizioni. La poesia è simbolo di un dilemma lacerante, particolarmente nei sonetti, una poesia cos’ moderna e suadente per il lettore contemporaneo. Nei suoi versi si rispecchia il sofferto, la cadenza del vissuto, la dirompenza dell’esistente. Infine, la sua storia umana urge nei versi con voce autentica cristallizzandosi nella pienezza della parola. LE CANZONI, LE EGLOGHE, LE ELEGIE Nelle altre opere del poeta si avverte questa lacerazione emotiva. Non cambiano i registri nelle cinque canzoni: la prima si apre con una strofa di lirismo con un gioco fra gelo e tropico. Nella seconda canzone si parla di sconcerto, del soffrire, di spargere i lamenti al vento, gli anni dell’inganno con la concezione che il poeta appartiene a lei e in qualche modo volle vendicarsi in sé stesso di lei, vista come sconfitta sempre saputa. Nella terza canzone l’argomento è l’esilio presso l’isola del Danubio e l’isolamento volontario nella propria interiorità è un modo per proiettare la propria pena nell’universalità che sconsola. Nella quarta canzone viene inclusa la sola raffigurazione fisica dell’amata presente in Garcilaso, e con la descrizione dei capelli e degli occhi viene paragonata alla bellezza che definiva Petrarca e, ancora prima, i trovatori. La quinta canzone è una lira in 14 stanze polimetre, in cui si perora la causa dell’amico Mario Galeota presso Violante Sanseverino. Per quanto riguarda l’epistola, la scrisse intorno al 1534 ed è dedicata a Boscán, come anche la seconda elegia. L’epistola è composta in 85 endecasillabi dove tratta della loro amicizia, del destino, utilizzando un discorso conversevole ma anche pensosamente raccolto e intimista. La seconda elegia invece è scritta in terza rima e il tema sono le pene d’amore e include anche l’aprirsi all’amico di cui s’invidia il fato tanto diverso. Alla radice del testo c’è una contrapposizione: la parte pacata e consolante dell’amico anziano e la parte chiamata al soffrire, fuori di patria e fuori di sé, disamato, solitario e errabondo. LE EGLOGHE Le tre egloghe rappresentano i testi di maggior respiro del poeta e la capacità di creare tre romanzi pastorali diversi ma allo stesso tempo unitari. Domina prevalentemente il topos del locus amoenus, la vita campestre. L’egloga prima presenta due soli interpreti maschili che rappresentano lo stesso Garcilaso. 1) La prima egloga è stata scritta nel 1534 ed è composta da 421 versi. È dedicata al viceré di Napoli. Dopo quattro strofe di prologo, un elogio al destinatario, ha inizio il canto dei due attori, i pastori Salicio e Nemoroso a cui vengono attribuite 13 strofe ciascuno. Salicio canta la mancanza di Galatea, amata e perduta, perché si trattava di un sogno impossibile. Salicio confessa la solitudine, il naufragio della sconfitta, l’abbandono dei luoghi di un passato illuso ormai deserto. E il pensiero che Galatea ritorni è ormai una speranza frustrata, impossibile, data la partenza di lui è inevitabile. Il tema dell’assenza c’è anche nei lamenti di Nemoroso, il quale piange la morte di Elisa (anagramma di Isabel). Garcilaso ha dato vita un piccolo poema in vita e in morte di Isabel, grazie all’esperienza petrarchesca. È un poema in cui la mascheratura bucolica non vieta all’opera di proporsi come vera e propria manifestazione lirica, quanto a linguaggio diretto e a confessione non mediata. 2) La seconda egloga è stata scritta fra il 1533 e il 1534, ed è composta da 1.885 versi disposti in gruppi distinti in cui predomina la terza rima. Si alternano il tessuto narrativo e azione drammatica, dialogo pastorale e panegirico. L’argomento è distribuito fra i quattro personaggi: Salicio e Nemoroso (Garcilaso), Albanio (Bernardino, fratello minore del duca d’Alba) e Camilla (forse cugina di questi). Albanio, che ha sofferto una delusione d’amore è sorpreso nel sonno da Salicio e al risveglio narra dell’amicizia con Camilla, degli svaghi, e delle cacce comuni. Egli le confessa i propri sentimenti, ma viene respinto. Seguono notti di dolore e invocazioni di morte, ma all’improvviso appare Camilla, seguace di Diana e votata alla castità che insegue un capriolo e poi vuole riposare. Albanio lo scopre e impazzisce, diventa matto come Narciso. Così Nemoroso gli racconta del mago Severo che sa sanare il dolore. Qui si ha una narrazione di stile cortigiano e alla rappresentazione di virtù cavalleresche. L’egloga si chiude con le parole dei due pastori che si ripromettono di condurre Albanio da Severo, affinché rinsavisca e dimentichi. Salicio e Nemoroso rappresentano una raggiunta serenità contro un Albanio in preda alla follia della passione, quindi due parti: la prima relativa a ciò che si dovrebbe pervenire a essere, e la seconda relativa a ciò che angosciosamente si è. 3) La terza egloga è l’ultimo testo di Garcilaso e la più breve delle composizioni pastorali. Si tratta di 375 versi ed ha un andamento drammatico e narrativo. Dopo le prime sette strofe di dedica e giustificazione a Maria Osorio Pimentel, sposa del viceré don Pedro, si dà voce a quattro ninfe (forse le figlie della coppia) che parlano di episodi mitologici, salvo l’ultima, Nise che pare come Elisa, ossia Isabel, con un rinvio all’amica defunta di Nemoroso. Sopraggiungono Tirreno e Alzino che, in otto strofe complessive, parlano di Flérida e Fillis: il primo con soave serenità donata da una bellezza dolce e consolante, il secondo in termini irti e angolosi di una bellezza aspra e difficile. III. LA STORIOGRAFIA 1. Storiografi di corte PERO MEXÍA (1499-1551) Egli giunge all’incarico di cronista regio grazie alla sua provenienza e ad una formazione universitaria, la quale ha suscitato in lui la curiosità verso gli aspetti più minuti e concreti del reale. Ciò che lo caratterizza sono l’esercizio continuo del rigore e l’analisi puntuale. La Historia del emperador Carlos V è un’opera dettagliata di eventi e imprese contemporanei legati alla persona e al prestigio di Carlo V, con una sfumatura documentaristica. La conoscenza culturale rende l’opera vera, nonostante non abbia mai partecipato ai fatti narrati, e ciò determina la non hildaguía dell’autore. Mexía è stato criticato per il suo presunto erasmismo ibrido, ma in realtà si trattava di un allineamento con le posizioni più umanistiche del suo tempo, con le quali l’erasmismo si fonde con il cristianesimo medievale e quindi la devozione per la monarchia e l’appartenenza a una classe privilegiata che determinano i normali aspetti di vivere. Anche nell’altro aspetto dell’autore, che non riguarda la storiografia, ma tende comunque a riportare il campo storico, gli eventi e le biografie, si può notare una misura più moderna e disinvolta d’intendere la storia come tonalità di vita. Possiamo trovare interesse vari che stanno all’origine della personalità dell’autore. La Silva de varia lección raccoglie aneddoti, curiosità, avvenimenti importanti e no, episodi recenti e remoti, notizie erudite, appunti scientifici, riferimenti a fatti straordinari ecc…, il tutto viene narrato senza un ordine, senza la guida di un filo conduttore logico. Un volume disordinato. Più che selva, può essere definito un giardino che l’autore cura con gli argomenti, a seconda che siano più o meno interessanti per il pubblico, e sorretti dalla vivacità storica di auctoritates verificabili. L’opera, in seguito, conobbe un grande successo e venne tradotto in più lingue. L’opera fungeva da bagaglio informativo per una fascia di lettori semicolti, coinvolgibili in una materia vasta ma alleggerita dei pesanti fardelli dell’impegno sistematico. Inizialmente veniva vista come lettura di svago e diletto da parte di un pubblico quasi inconsapevole e puerile, ma ora vi sono possono incontrare due posizioni: una nella quale viene vista la storia come scoperta e segnalazione di rarità che nascono da un legame col passato miscellaneo e favoloso del sapere, e l’altra in cui viene scorta in Mexía la traccia precorritrice del moderno ensayo, Il secondo volume Monosprecio de corte y alabanza de aldea (1539) è articolato in 20 capitoli distribuiti fra appassionati consigli di rifiuto della corrotta vita cortigiana ed enfatici elogi dei vantaggi offerti dalla campagna. Guevara si esprime in prima persona, abbandonandosi alle amare confessioni e lamentele sui gravi danni fisici e psichici causatigli dalle mollezze e dai vizi cortigiani. L’esaltazione del villaggio (villaggio = pace spirituale, sogno utopico dell’età aurea) viene stravolta in uno scenario di spensieratezza gaudente e utilitaristica. C’è una frequente opposizione fra hidalgo/aldeano (ossia un nobile cortigiano impoverito/nobile campagnolo ricco), unita all’occorrenza del verbo gozar riferito alla vita contadina, si ritiene che lo scrittore si sia fatto interprete di un reale problema socioeconomico del momento (lo spopolamento delle campagne, l’aumento della piccola nobiltà, infiltrazioni borghesi…). Il Menosprecio ha una funzione di propaganda a favore di un riflusso migratorio verso i villaggi, così da riequilibrare i rapporti di convivenza nelle città e tranquillizzare l’aristocrazia. Le ultime opere sono le Epístolas familiares nelle quali Guevara da libero sfogo a ogni sorta d’inventiva, proponendo temi e intrecciando i livelli di verità o finzione, di erudizione solenne e domesticità dimessa, di scienza, pseudoscienza, didattica e aneddotica. Lettere di grandi personaggi dell’antichità, autentiche e apocrife, lettere personali a parenti e amici, alcuni ensayos: tutti con una varietà di stili, dai toni pomposi all’andamento moderato, dalla vivacità delle pennellate realistiche all’astratto eloquio classicheggiante. Nel complesso prevale il desiderio della dissacrazione divertita: come le lettere alle tre cortigiane Laura, Flora e Laida indicate come le più belle meretrici che nacquero in Asia e si educarono in Europa, rimasta come esempio di letteratura erotico-sentimentale. Si può dire che da questo autore nasce un altro rinascimento su cui si snodano percorsi del “vero” rinascimento castigliano ed europeo. 2. Storiografi del Nuovo Mondo La scoperta dell’America produce il capitolo di storia letteraria più originale del rinascimento spagnolo. Esplorazioni e conquiste sono narrate per iniziativa diretta dei protagonisti, pressati dall’urgenza di fissare nella loro memoria una realtà fino a questo momento inimmaginabile e di trasmettere il massimo grado di conoscibilità. Essendo i protagonisti, procedono nella completa libertà da schemi culturali. C’è uno stupore per un universo sconosciuto, l’ansia del dettaglio e della descrizione minuta diventa loro, una loro appropriazione mentale di oggetti, paesaggi, abitudini privi di punti di riferimento e la cui comprensibilità è affidata alle capacità e ai mezzi descrittivi. Il sapore di avventura, la mitizzazione dell’evento, l’intrusione di un flash da epopea leggendaria, o anche il senso orgoglioso della magnifica impresa, non hanno radici libresche né l’astrazione di componenti delegati a riferire avventure, miti, leggende e imprese altrui, frapponendo un eroe vero o immaginario tra narratore e lettore: è la percezione delle loro eccezionalità, vissuta in prima persona e per la prima volta. Sono scrittori “nuovi”, così come uomini “nuovi”, tant’è che si fa ricorso ad una nuova lingua, ossia ad una “ricreazione” del sistema linguistico-espositivo. Il concetto del viaggio equivale all’allargamento di orizzonte, che porta ad una crescita di conoscenza. Nel Nuovo Mondo con le navi approdano le idee europee di superiorità razziale e lo spirito di crociata da sempre mistificato. Gli esploratori divengono ben presto conquistadores. Con Hispania victix si forma un ponte tra il Vecchio e il Nuovo Mondo: all’ispanizzazione dell’America, all'annientamento delle identità indigene, al trapianto dei modelli mentali e socioeconomici castigliani, corrisponde un massiccio riflusso verso la Spagna di materie, uomini, linguaggi americani o americanizzanti. 2.1. CRISTOFORO COLOMBO (1451-1506) I suoi scritti, il Diario di bordo e le Cartas, vennero inviati ai Re Cattolici fra il 1492 e il 1506 in cui scrive dei suoi quattro viaggi ricchi di preziosità della testimonianza archetipa e tutto il valore dell’evento incomparabile. La sua lingua di adozione è il castigliano e posseduto in tutte le sue articolazioni, ma qua e là cede involontariamente a sobbalzi dell’origine genovese. Le frontiere del conoscibile sono ancora il vero mondo más allá da scoprire; quindi, viene a formarsi questo confine tra realtà e leggenda e di conseguenza la coscienza rimane in una zona intermedia dove il giudizio rimane sospeso. Colombo parla della mitezza degli indios, di sfruttamento e schiavismo. Vengono descritti territori incolti favoriti da un dolce clima che li rende simili alle pianure andaluse, dell’oro e delle pietre preziose d’oltremare e al mito dell’Eldorado. 2.2. HERNÁN CORTÉS (1485-1547) Nella sua opera Cartas de relación (1519-25) descrive la conquista del Messico, descritto come programma di dominio da attuare ad ogni costo e con qualunque mezzo, mirato alla razzia di ingenti tesori. Tutti i significati di gloria e onore vengono abbattuti da un concetto di potere personale e di una sfrenata affermazione di sé stesso. A seguito di una delusione a Santo Domingo che non rispecchiava i canoni sperati, Cortés intraprende la travolgente e devastante marcia fino alla distruzione dello splendido impero di Montezuma. Nelle lettere viene descritta quest’impresa con molta freddezza, e traspare un proprio centralismo decisionale a quello della Corona, un arrogante yo che illustra ed elenca le sue determinazioni e che pretende cospicui riconoscimenti di merito. Cortés è la migliore prova che il machiavellismo, la figura del principe che conquista il proprio potere, era nell’aria. Al protagonista dell’opera, Cortés affianca un protagonismo intellettuale (portatore di cultura), che dirige la materia sui binari prefissati e interpone un’oculata selezione fra l’immediatezza realistica del vissuto e la scrittura. Quindi la descrizione è finalizzata alla ipervalutazione delle gestas. Inoltre, il “meraviglioso” è spesso taciuto: perché non deve apparire nulla che non possa essere creduto, e perché sarebbe la denuncia di un limite nel processo di appropriazione anche psicologicamente integrale delle cose. Viene vista come sopraffazione culturale del Vecchio sul Nuovo Mondo. Francisco Pizarro porta a termine la conquista del Perù, fra il 1531 e il 1537 e annienta l'immenso impero inca. I primi 40 anni del secolo vedono l’espansionismo spagnolo che assicura a Carlo V uno dei domini più vasti nella storia dell’umanità. 2.3. BARTOLOMÉ DE LA CASAS (1474-1566) Avvia i primi tentativi di pacifica convivenza con gli indigeni, su un’equa distribuzione delle loro mansioni lavorative e su concessioni di terre da loro gestite. Dalle sue tesi di valenza teorica, storica e antropologica, prende via via corpo una concezione etico-storiografica di enorme valore documentario, destinata a una risonanza europea senza precedenti. I canoni della letteratura dei viaggi vengono ribaltati. Da un lato si ha la requisitoria sull’ingiustizia delle guerre e sull’assurda ferocia delle conversioni coatte (non conformi allo spirito evangelizzatore) e dall’altro si ha un’inversione dei connotati, per cui agli indigeni vengono attribuite doti d’intelligenza e fantasiosità e agli spagnoli degradanti tratti di cieca ottusità che va a stravolgere le convinzioni diffuse di superiorità di razza. Si vede in Las Casas una scelta politicamente alternativa alle direttive imperiali. Si ha, in seguito, un risvolto della logica lascasiana: la proposta della tratta dei neri su un suolo americano, da utilizzare al posto degli indios perché fisicamente più idonei al durissimo lavoro nelle miniere. Così facendo si mette in atto una campagna denigratoria nei confronti della Spagna mediante la circolazione della leyenda negra che mette in cattiva luce il mito del “buon selvaggio”. A fare di Las Casas si schiera Francisco de Vitoria che enuncia i principi di libertà e uguaglianza per tutto il genere umano, e di conseguenza con gli indios possono si possono intrattenere solo pacifiche relazioni commerciali. Queste sono le basi del moderno diritto internazionale. Carlo V si vede costretto a sospendere le conquiste americane e a promulgare le Leyes Nuevas con cui affida a comunità gesuitiche la gestione dei diritti degli indios nel rispetto di alcuni orientamenti lascasiani. Però ebbe vita breve perché venne querelato. 2.4. GONZALO FERNÁNDEZ DE OVIEDO (1478-1557) Egli fu un funzionario regio e un ricco possidente. La sua opera Historia natural y general de la Indias, islas y Tierra-Firme de mar océano venne dedicata a Carlo V, dove descrive e cataloga minuziosamente tutti i particolari di tutti i fenomeni che conferisce all’opera il carattere di enciclopedia e vademecum per i viaggi. E in quest’opera traspare Carlo V come hidalgo per convinzione che guarda ormai l’America con occhi di americano. 2.5. ÁLVAR NÚÑEZ CABEZA DE VACA (1490-1564) Nella sua opera, Aldonza, una prostituta andalusa è un personaggio spavaldo e autonomo, emblema della donna-oggetto, campionessa della lozanía come legge di sopravvivenza, ma dalla quale si prende una rivincita: trasforma la lozanía in arte. Diventa una picara lontana dalla fame inteso come movente di espedienti giornalieri, perché ha saputo sfruttare il concetto della macchina- denaro, assimilando con fulminea rapidità la poliedrica lezione della trafficoneria e della ruffianeria a lei circostanti. Si è fatta una posizione che le consente di attraversare l’intera città, metterne a nudo il marciume e coinvolgerne tutte le classi sociali. Ma da tutto ciò rimane distaccata, da questa corruzione, perché è convinta che questa sia la vera normalità. Lei sarà vista come l’eroina dell’anti-eroismo. 2. I DIALOGHI Come si è visto nella Lozana andalusa, il dialogo riveste una parte fondamentale perché punta molto in direzione della prosa novellesca e molto poco in quella del dibattito teorico. Quindi il dialogo è stato scelto per una ascendenza dotta e per un omaggio ai metodi erasmiani. 2.1. IL CRÓTALON E IL DIÁLOGO DE LAS TRANSFORMACIONES Sono due opere anonime molto simili nel tema e nell’impianto. Gli interlocutori sono il calzolaio Micillo e un gallo, quest’ultimo è il vero protagonista che possiede un’enorme riserva di conoscenze, notizie, esperienze, segreti e indiscrezioni; quindi, il suo racconto può variare nel tempo e nello spazio, e si riferisce ad avvenimenti vissuti o testimoniati che vanno nel fantastico o nella profezia, dal passato al presente, dal generale al particolare, dalla storia al mito…. Due di queste avventure riguardano quando è stato abate in un convento cistercense e quando ha soggiornato, da donna, in un monastero femminile. Il tutto riguarda il quadro della corruzione clericale, e si accende un duro realismo privo di freni. La narrazione riesce ad organizzare la satira sui primi binari di quell’equilibrio che la condurrà alle eccelse prove di Quevedo e Cervantes. 2.2. IL VIAJE DE TURQUÍA L’opera viene definita come opera magistrale della letteratura seria e di intrattenimento che la Spagna deve ai suoi umanisti erasmiani. Il modello viene superato dall’autonomia dell’azione e del giudizio che sa convogliare in una preziosa organicità la pur strabiliante ricchezza di trame e di spunti. Il dottor Laguna chiude l’epoca di Carlo V, portatore di un bilancio di tutte le componenti socioculturali e ideologiche che l’hanno contrassegnata e che si vedono concentrate al meglio della loro formulazione nella sua straordinaria attività di umanista, scienziato, medico, viaggiatore, e ultimo fra i più impegnati e autentici erasmisti. Nel Viaje, la memoria dell’esperienza non prevale mai all’autobiografia, anzi quest’ultima viene trasfigurata nella magia del racconto fantastico e avventuroso. Proprio il registro della memoria garantisce obiettività e naturaleza e quegli stralci di osservazione ironica e sorridente che derivano dal distacco spazio-temporale, e ciò non impedisce al ricordo di sentirsi garantito dall’immaginario. Vi è un intreccio fra pretesto, testo e contesto. L’eroe si chiama Pedro de Urdemalas, descritto come un Ulisse spagnolo. I due interlocutori si chiamano Juan de Votadiós e Mátalascallando, il primo è ebreo errante in Spagna, e appare sotto le spoglie di un chierico ipocrita che sfrutta la devozione dei semplici, parlando di luoghi sacri in cui non è mai stato accumulando denaro con la scusa di fondare ospedali. L’altro personaggio allude a furberia e cinismo, tipici dei nobili decaduti, è socio in affari con Juan. Questi tre personaggi sono gli emblemi della Spagna alternativa, catapultati in una filosofia dell’arrangiarsi e di conoscenze apprese per libera scelta, esponenti della fatica del vivere, sono anche un’introduzione dello svolgimento narrativo, gli agenti della dolorosa sequenza dei mali del tempo. Camminando verso Santiago de Compostela, vengono fermati da un povero pellegrino vestito da monaco e con una barba e capelli incolti. Questo pellegrino parla greco, e Juan gli si rivolge mescolando l’italiano e il guascone, il pellegrino ridacchia e decide di farsi riconoscere, parlando ora spagnolo. Si scopre che è un loro vecchio compagno di Alcalà, Pedro de Urdemalas, che torna in Turchia dove è stato prigioniero. I tre si riuniscono in casa del loro amico dove quest’ultimo chiede notizie sulle vicende avvenute in Spagna durante la sua assenza: viene informato di miserie, vizi, corruzioni, scandali. Il momento dell’antefatto viene scollegato dal resto del racconto e ridotto in poche battute, indispensabile affinché le avventure del protagonista non vengano lette nella sola chiave della letteratura di viaggi, ma siano caratterizzate da un turbamento inziale del reduce che ha scoperto questo lato oscuro della sua terra. Quasi paragonabile allo stupore degli esploratori che entravano nella terra degli indios, di fenomeni ignoti, ma questo è uno stupore di connotazione negativa, suscitato in Pedro dalle tristi notizie della Spagna che comporta ora uno sconforto e condanna. Adesso gli altri due compagni vogliono sapere delle notizie del paese esotico, e così il loro compagno narra di come venne catturato prigioniero dai Turchi durante una battaglia navale presso Ponza e della lunga permanenza a Costantinopoli, la quale ha alterato la vita da recluso e dove ha operato come medico impressionando il Pascià e la Sultana, a tal punto da guadagnarsi la libertà, ma fu solo una speranza spezzata. Poi fuggì sul monte Athos, ha peregrinato al largo dell’arcipelago e infine passò attraverso l’Italia e la Francia e ritornò in patria. Il dottor Laguna non si limite a elencare dettagli e a fornire documenti, ma assume dati e nozioni in vista di una rielaborazione tramite un confronto fra culture e mentalità diverse. Ne deriva un capolavoro di geografia ed etnologia comparate, il quale preserva il romanzesco e le incursioni satiriche. Il Viaje de Turquía può essere definito come l’Odissea dell’erasmismo spagnolo. 2.3. IL LAZARILLO DE TORMES È il più importante racconto editoriale apparso sulla scena letteraria alla fine del regno di Carlo V. Dopo le tre edizioni del 1554, la Vida de Lazarillo de Tormes, y de sus fortunas y adversidades fino al 1599 fu ristampata appena sei volte, subendo decurtazioni e revisioni dopo l’inserimento dell’Indice nel 1559. Il Lazarillo ebbe grande successo anche all’estero, in Spagna venne notato solamente da qualificati lettori come Mateo Alemán e Miguel de Cervantes, grazie ai quali l’opera fu assunta come centro propulsore dell’intensa attività narrativa che generò il picaresco, ma divenne anche il prototipo di narrazione moderna. Analizzando l’opera, ci si imbatte in un prologo-dedica indirizzato ad un destinatario nominato Vuestra Merced e l’autore vuole rimanere anonimo. Il romanzo presenta una serie di trappole incastrate nelle quali si avverte la presenza del prologo nelle ultime battute e alle prime del vero racconto. Quando la lettura sarà conclusa, la chiave dell’interpretazione sarà rilevata e occorrerà rileggerlo per scoprire i livelli profondi di significato e comprendere la portata rivoluzionaria della tecnica narrativa del romanzo. L’autore si è rivolto al pubblico secondo i canoni della captatio, ossia alla portata di tutti, utilizzando uno stile grossolano. Il Lazarillo è la storia di un accattone, delle sue origini, dell’infanzia randagia piena di furti e raggiri, tiranneggiata dalla fame e da crudeli padroni, sono queste che cose che Lazaro adulto rievoca affinché i lettori se ne dilettino. Con la prima sezione del prologo si è cercato di captare il pubblico per poi lasciargli in mano la realtà crudele, esasperata e lasciarlo godere di questa lettura. Se il pubblicò troverà divertente il racconto è perché si è fermato alla sua superficie, al contrario, avranno da meditare. Il pubblico diviene un obiettivo-guida, un bersaglio, perché la lettura diventa una provocazione spinta all’estremo affinché le cose non rimangano sepolte nella tomba dell’oblio. L’io finzione viene a identificarsi con l’io reale (Lazaro che racconta se stesso con lo scrittore che enuncia il proposito del prologo) e questa provocazione andrebbe letta nei panni dell’autore-Lazarillo, ma si sa che sta parlando l’autore-Lazaro, l’ex picaro che ha frapposto una distanza comportamentale e psicologica fra i due stadi della sua vita. Lazaro adulto difende una posizione di integrato fra i ranghi della gente-bene ed estremizza l’esemplarità del suo modello. Non c’è coerenza nel fatto che un uomo che si ritiene “arrivato” attacchi coloro che adesso considera suoi simili ed escogiti malefici trucchi per trascinarli nel gorgo di una materia incandescente. Nel settimo e ultimo tratado ci viene rilevato chi è Lazaro: un banditore di vini per contro dell’arciprete di San Salvador, ha sposato la cameriera e si è inserito in una situazione che gli garantisce cibo e vestiario. Per lui, questo rappresenta la realizzazione. Lazaro riesce a mascherare le sue feroci accuse con la cinica e spavalda caricatura di sé stesso e non appena le critiche tentano di accrescere sul suo stato attuale, lui si affretta a smentirle e ribadisce come racconto- giustificazione la sua vita. Il prologo così si collega alle ultime pagine della storia, visto anche come ultimo capitolo che unisce Lazaro a Lazarillo, dal passato in movimento a un presente fisso e incontestabile. Un particolare di questo racconto è nell’aver unito una formazione intellettuale e una composizione in una trama esigua e spedita, con la quale non basta una semplice lettura infantile. L’ascetismo agostiniano è documentabile attraverso opere di numerosi membri dell’ordine, come in Villanueva, Cristóbal de Fonseca, Luis de León e Pedro Malón de Chaide che divenne priore del convento di Sant’Agostino a Barcellona. Una sua opera è La conversión de la Magdalena (1588), che tenta di contrapporre uno svolgimento edificante alle avventure “depravanti” dei romanzi cavallereschi e intende esaltare una vicenda umana esemplare. L’ascetismo francescano fu segnato a sua volta da un vigoroso impulso mistico, di cui uno dei maggiori esponenti fu Fray Luis de Granada. 1. FRAY LUIS DE GRANADA o LUIS DE SARRIÁ (1504-1588) Figlio di una lavandaia e sotto la protezione del conte di Tendilla. Nel 1525 entrò nell’ordine domenicano e risaltò la sua eloquenza, ricoprì delicati incarichi ma si dedicò principalmente allo studio e alla predicazione. Fra i suoi scritti in castigliano spicca la Introducción del símbulo de la fe (1583) ispirata da ideali neoplatonici, è dedicata alla rivelazione della grandezza del Creatore attraverso le meraviglie della creazione: le sfere celesti, i quattro elementi naturali, la vita nel mare e sulla terra, l’uomo che proclama la gloria di Dio e l’esaltazione della gloria cristiana. Il misticismo spagnolo raggiunge il suo punto massimo nel tardo 500 grazie a figure come Santa Teresa e San Juan de la Cruz e affonda le tradizioni nell’ascetismo medievale. Questa ricerca della verità e della bellezza assoluta porta i mistici a travalicare i limiti della razionalità. 2. SANTA TERESA DE JESUS o TERESA DE AHUMADA (1512-1582) Apparteneva ad una famiglia hidalga di Ávila. Lei ricevette un’educazione ispirata agli austeri principi che orientavano la coscienza degli hidalgos verso i modelli dell’eroismo cavalleresco e delle grandi imprese ideali: progettò un libro de caballerías con suo fratello, ma grande importanza ebbero le successive Confessioni di Sant’Agostino. Appena ventenne si ritirò nel convento carmelitano di Ávila, dedicandosi alla vita contemplativa, ma anche a progetti concreti di riforma dell’ordine. Ciò prese di mira la sua salute che peggiorò, ma senza allentare il suo impegno. Tentò di imporre un più fervido impegno religioso nell’ordine del Carmelo. La prima Regola dei carmelitani scalzi venne emanata per motivi economici e politici, la quale fu denunciata all’Inquisizione e la Santa venne confinata a Toledo, ma grazie a potenti personaggi e grazie al papa, venne concessa piena autonomia all’ordine riformato (1580). La santa morì poco dopo, nel 1582, nel convento di Alba de Tormes. 2.1. OPERE IN PROSA Le opere di Santa Teresa erano principalmente dedicate alle consorelle carmelitane, e rimangono caratterizzate da uno stile didascalico. Il Libro de la vida o Libro de la misericordia de Dios (1562) contiene un’autobiografia dell’esperienza mistica che viene ripercorsa attraverso tappe con una capacità di sondaggio psicologico. Solo una parte è dedicata alle modalità dell’orazione, atto riparatorio delle colpe altrui. La parte più significativa è l’evoluzione dell’attività contemplativa che conduce all’estasi e alla visione. Il Camino de la perfección (1565-70) parla del camino ideale della perfezione spirituale, che è quello che conduce all’unione mistica dell’anima con il Creatore attraverso la preghiera, sostegno dell’azione apostolica del credente. L’itinerario passa attraverso le tappe della vita ascetica, il distacco dalla vita mondana e la mortificazione dei sensi e dello spirito, attraverso anche l’orazione si giunge ad un rapporto d’amicizia con Dio, sul quale occorre concentrare la mente e il cuore, Passione e Resurrezione. La contemplazione divina è un dono concesso per grazia ed esige un atteggiamento di incessante fiducia e disponibilità dell’anima. Alla fine, viene introdotto un commento del Pater noster per facilitare il dialogo con il Creatore. Santa Teresa utilizza un linguaggio semplice, perché l’opera ha anche una finalità didattica. Vengono inserite immagini simboliche, come la battaglia fra il bene e il male, la difesa del castello spirituale. Il Libro de las fundaciones contiene una relazione della fondazione dei primi 18 conventi formati dai carmelitani scalzi, poi vennero fondati altri 14. Il suo capolavoro è il Castillo interior o Tratado de las moradas (1577), venne composto in un momento di grande afflizione e di intensa attività spirituale. Nell’opera, gli stadi dell’orazione vengono chiamati “dimore”, attraverso i quali si perviene al luogo dove avverrà il matrimonio mistico dell’anima con il Signore. Le sette moradas rappresentano le fasi di un processo di approfondimento della ricerca mistica, a partire dal suo fondamento ascetico. Nelle prime tre dimore si può passare solo con l’aiuto delle forze naturali illuminate dalla fede, nelle quattro successive inizia un percorso soprannaturale che porta alla trasfigurazione dell’estasi e all’abbandono totale dell’essere nel Bene supremo. L’apparato allegorico del castello sta ad illustrare i conflitti sentimentale e si fonda quindi su un patrimonio acquisito. L’operazione del traslato viene illustrata e spiegata in modo sistematico per evidenziare ogni particolare e di risolvere ogni difficoltà. All’apparato allegorico si appoggia uno schema comparativo, per rendere ancor più concreto un concetto: oltre al concetto delle sette dimore, sia aggiunge il confronto con un particolare botanico, l’immagine del palmisto o palma nana, una pianta selvatica che ha il germoglio commestibile circondato da una copertura di foglie. La prosa di Santa Teresa non sembra svilupparsi secondo un progetto letterario rigoroso, ma fluisce in ritmi discorsivi piani e popolareschi. Si fa ricorso a traslati di comune portata, a una simbologia dai significati trasparenti, a un sistema comparativo legato alla quotidianità. 2.2. OPERE POETICHE Le opere poetiche della santa si basano su specifiche vicende della vita conventuale. sono di particolare interesse le glosas a lo divino, sviluppi spirituali di villancicos o altri brevi motivi melico-popolareschi in voga. Vengono recuperati alcuni argomenti della poesia erotica dei Cancioneros, come la “morte d’amore” o l’alienazione delle facoltà che la passione amorosa provoca. Questi effetti sono determinati dall’amore divino e l’amante è Dio stesso. 3. SAN JUAN DE LA CRUZ (1542-1591) Discepolo e collaboratore di santa Teresa si trasferì a Medina del Campo. Lì venne accolto dal Collegio della Dottrina, dove iniziò l’apprendistato di vari mestieri, poi ottenne un impiego come infermiere presso l’ospedale cittadino. Nel 1563 entrò nel convento carmelitano di sant’Anna. Negli anni successi studiò teologia a Salamanca e fu ordinato sacerdote nel 1567. Ritorna a Medina e incontra Santa Teresa e da quel momento fondò nuovi conventi di carmelitano scalzi in varie città. Venne nominato diretto spirituale del convento di Ávila e rimase coinvolto nelle violente reazioni dei carmelitani contrari alla riforma e nel dicembre 1577 venne prelevato dalla sua cella e spostato a Toledo dove fu rinchiuso in un sotterraneo e maltrattato. Riuscì a evadere grazie all’intervento di Santa Teresa, ma solo quando la riforma venne riconosciuta, lui poté ottenere la piena libertà di azione e riprendere l’attività spirituale. Quando nel 1582 morì Santa Teresa, venne nominato priore del Carmine di Granada fino al 1585 e si dedicò al compimento delle sue opere mistiche e ai viaggi da un convento all’altro. Nel 1591 venne relegato nel convento di Pañuela e la sua salute peggiora. A settembre dello stesso anno fu trasferito a Úbeda, dove morì il 15 dicembre. La sua vita spirituale è stata rappresentata dall’esaltazione dello slancio dell’anima verso il Creatore e il desiderio ansioso dell’unione mistica. E nelle sue opere si denota un impegno nell’esprimere, attraverso una simbologia essenziale e semplice, la chiarificazione logica e raggiunge l'intento seguendo percorsi figurati, di natura analogica. La sua poesia includeva la tradizione biblica, con una predilezione per i Salmi e per il Canto dei Cantici, la componente bucolica garcilasiana, legata ai miti arcadici del Sannazaro, filoni della poesia melica di tipo folclorico, le canzonette amorose con ritornelli e i romances lirici in quartine rimate in sede pari. Arrivò in Spagna la “volta al divino” con la Controriforma, suscitando fenomeni di contraffazione spirituale di testi cortesi e popolareschi. San Juan de la Cruz scrisse dodici canzoni e dieci romances. La maggior parte delle liriche venne composta nel periodo fra la prigionia toledana e il soggiorno granadiano. Avvertì la necessità di illustrare le sue intuizioni contemplative, e iniziò a costruire un commento sistematico, di carattere esplicativo, che contrappose alle tre canzoni più impegnative secondo un criterio ispirato alle modalità dell’esegesi biblica. L’opera di de la Cruz venne edita solo dopo la sua morte e rimane a lungo sospetta all’Inquisizione. mistica di Cristo con la Chiesa le vigorose immagini, vibranti di emozione sensuale, dell’epitalamio biblico. L’opera De los nombres de Cristo (1583) è dedicata a don Pedro de Portocarrero, il membro più benevolo dell’Inquisizione. In quest’opera, l’autore immagina che tre padri agostiniani, Marcello, Sabino e Giuliano, dialoghino nella serena quiete agreste sull’interpretazione delle espressioni sacre che alludono alla divinità del Salvatore. Il loro sforzo interpretativo si basa sull’antico concetto che la parola deve riflettere la natura della realtà nominata e poiché la natura di Cristo è divina, non è possibile indicarla se non in modo parziale, secondo singoli aspetti, attraverso singole denominazioni. Metafore e figure simboliche sono presenti nell’opera e il tutto forma un’armonia interiore. Tutto è rivolto ad una esigenza di trovare una forma consona alla manifestazione della divinità. L’opera La perfecta casada (la sposa perfetta, 1583) è un trattato morale dedicato a doña Maria Valeria Osorio, e si basa sul commento del capitolo 31 del Libro dei Proverbi, fondendo i motivi dell’esegesi cristiana delle origini alle reminiscenze di autori classici, si propone di delineare i compiti e i modelli di comportamento della donna coniugata, ne esalta il ruolo familiare e ne illustra le qualità ideali. Queste qualità risultano la bontà e la generosità, che proiettano nell’amore coniugale il significato mistico dell’unione dell’anima allo sposo divino, e la grazia, illuminata dal nitore dei costumi cristiani, produce sensazioni di armonioso decoro. Delicatezza nelle descrizioni poetiche e sensibilità dell’indagine psicologica. La Exposición del Libro de Job consiste in una complessa rielaborazione del testo biblico, che viene tradotto e commentato con impegno esegetico minuzioso e infine compendiato in una conclusione poetica divulgativa. 1.1. L’OPERA POETICA Fray Luis de León lasciò numerose versioni poetiche, i suoi autori prediletti furono Virgilio e Orazio, e i testi biblici e le loro traduzioni vennero collocata alla fine dei singoli libri di Los nombre de Cristo. Lasciò anche una quarantina di liriche proprie, dalle quali di osserva un superamento della tradizione stilnovistico-petrarchesca e della “mimesis” rinascimentale e una graduale conquista di un ideale oraziano di eleganza e di equilibrio, in cui si esprime una versione platonica pervasa di sentimenti cristiani. I suoi versi denotano una perfetta armonia e una serenità che si raggiunge dal distacco di ogni angustia terrena e dal rifiuto di ogni turbamento. È il ritmo melodico della strofa a conferire una modulazione suggestiva alla poesia di Fray Luis e vi contribuisce un’adozione alla lira con l’alternarsi pausato dei settenari e degli endecasillabi. Vi è un’ode sulla vita solitaria, dove l’esigenza di superare i conflitti esistenziali si attua in un’evocazione di quiete agreste propizia alla riflessione ascetica. Il desiderio di solitudine e di raccoglimento si incanala nei moduli della riflessione oraziana, accogliendone gli stilemi e rinnovandone la trasparente simbologia. La quiete della natura consente una serenità e di calma interiore e vi si riflette la perfezione divina. L’opera A nuestra Señora evidenzia un recupero stilistico operato sulla canzone alla Vergine del Petrarca, recepita come modello esemplare per misura ed equilibrio e rielaborata in una ripresa personale suggestiva. Nell’ode A Francisco de Salinas si esprime l’ansia di conseguire una serenità imperturbabile, favorita dalle modulazioni armoniose della musica. L’anima può attingere alla fonte suprema di ogni melodia, l’ascesi spirituale la porta a fondersi con il Creatore, in un annullamento totale dell’essere nell’infinito. Lo spettacolo affascinante della suprema bellezza e dell’ordine perfetto della volta celeste inonda l’animo di un sentimento di quiete rasserenante, conducendo alla percezione estatica dell’armonia divina. 2. ALONSO DE ERCILLA Y ZÚÑIGA (1533-1594) La conquista dell’America viene rappresentata nell’opera La Araucana. L’autore è madrileno di nobile famiglia, fu paggio di Filippo II, che accompagnò in vari viaggi in Europa, partecipò alla conquista del Cile agli ordini del comandante Jerónimo de Alderete e alla sua morte combatté numerose battaglie, in particolare durante la difficile conquista della valle di Arauco, difesa dagli indigeni. Lasciò verso il 1588 il Cile e torno a Madrid dove trascorse anni tranquilli. La Araucana venne composta in tre parti (1569-1578-1589), passando poi a 15 canti a 30 e poi 37. Il poeta evoca le condizioni precarie della prima stesura, scritti su pezzi di cuoio o ritagli di carta, ma a partire dalla seconda parte, il poeta abbonda di elementi eccentrici come alcune leggende o digressioni storiche. L’impressionismo descrittivo di varie ottave trasmette la tensione vibrante che anima il resoconto delle gesta compiute. Il poema di Ercilla si impone per la vigorosa rappresentazione di uno scontro realistico fra le truppe degli invasori e una ristretta schiera di araucani determinati a difendere tenacemente le loro vallate. Viene creata una sfumatura eroica intorno a un episodio della conquista americana di secondaria importanza. I protagonisti sono i combattenti stessi, i soldati spagnoli, comandati da don García, e gli araucani, guidati da Caupolicán e altri. Non manca di esaltarne le qualità umane oltre che le doti morali, senza pregiudizi ideologici o distorsioni manichee. Gli araucani di Ercilla rivelano una coscienza del proprio valore nella determinazione con cui tentano di opporsi a invasori molto più esperti e organizzati dal punto di vista militare. L’eroismo dei combattenti rappresenta il nucleo centrale dell’intera costruzione poetica, non mancano episodi descrittivi attinti dai modelli classici (Virgilio e Lucano) o rinascimentali (l’Ariosto), e innesti di avventure amorose costruite secondo le convenzioni diffuse dal romanzo pastorale. La Araucana si impone per il vigore di un linguaggio sobrio e intenso, che raffigura con qualche asprezza e con adesione commossa, un mondo di passioni primitive e di sentimenti generosi. 3.1. I SEGUACI DI ERCILLA Troviamo Pedro de Oña che ne riprende le trame nell’Arauco Domato, nel quale celebra le gesta del marchese di Cañete, quello stesso García Hurtado de Mendoza ora trasfigurato in eroe centrale di un’impresa che si pretende gloriosa. Oña si sforza di costruire un affresco imponente degli avvenimenti che vengono enfatizzati in modo solenne. Un altro poema eroico è El Vasauro (1635) ispirato alle genealogie encomiastiche della Gerusalemme Liberata, da cui derivano vari schemi narrativi, in particolare nell’episodio culminante della riconquista di Granada. Fra poema epico e cronaca in versi si posiziona Juan de Castellanos (1522- 1607) che con le sue Elegías de ilustres varones de Indias descrive biografie dei personaggi più famosi delle imprese coloniali spagnole. Solo sull’onda del successo dell’Araucana, Castellanos si propose di versificarle, configurandole in forma di poema, ma si limitò ad un’operazione meccanica dato che non riusciva a maneggiare i ritmi e le strutture metriche dell’ottava con sufficiente scioltezza, e soprattutto non seppe trovare la misura epica che l’impegno esigeva. Il testo si compone di quattro parti, ogni concerne la conquista militare e la colonizzazione di un’area geografica determinata, con ricchezza di dettagli storici e un apprezzabile interesse per gli aspetti naturalistici e folclorici. Si ha anche una notevole quantità di notizie curiose sulle abitudini degli indigeni o sulle loro tradizioni culturali. Si possono collocare quindi le Elegias fra le cronache delle conquiste americane. 4. L’INFLUENZA DEI POEMI CAVALLERESCHI ITALIANI Per necessità di un realismo storico, emerge l’influenza del Boiardo e dell’Ariosto, che proposero modelli narrativi di raffinata eleganza. Il poema cavalleresco secondo il “codice ferrarese” ebbe in Spagna una grande espansione, che cominciò a delinearsi nella metà del XVI secolo, con la traduzione dell’Orlando Innamorato e con i tentativi animati da una tendenza alla gallofobia per riprodurre al pubblico spagnolo una versione patriottica della battaglia di Roncisvalle, d’ora in poi evocata con trionfalismi nazionalistici. Vent’anni più tardi Martín de Bolea y Castro con il Libro de Orlando determinado si sforzò di continuare l’Innamorato con una serie di avventure che si sovrappongono senza un preciso filo conduttore. L’Ariosto, nonostante venne conosciuto in Spagna abbastanza presto, fu oscurato per qualche tempo dalla fama del Boiardo. III. LA NARRATIVA Il romanzo dell’epoca di Filippo II segue il tema dell’avventura sentimentale con travestimenti bucolici. In un secondo momento acquistano popolarità gli effetti a sorpresa degli intrecci bizantini, e infine un grande capolavoro della letteratura picaresca, che per vari decenni sembrava aver sospeso le sue incisive scalfitture satiriche. Le esperienze narrative, quindi, cercano di accogliere in primo luogo raffigurazioni convenzionali sprovviste in apparenza di un legame diretto con la realtà quotidiana. Ci fu anche il tentativo di Luis Gálvez de Montalvo e la tradizione pastorale offre dunque offre uno strumento letterario che consente di rievocare episodi di una realtà intima e di proiettarli in uno scenario idealizzato, che riesce a affrancarli dalle contingenze storiche, ma non li priva della loro dimensione quotidiana. La finzione arcadica continuò ad affascinare gli scrittori della generazione successiva: la Galatea e l’Arcadia ne saranno la testimonianza illustre. 2. IL ROMANZO MORESCO A mezzo secolo dalla fase conclusiva della Reconquista sorse un tentativo di trasfigurazione idealistica delle relazioni fra vincitori e vinti, che si manifestò in un nuovo filone narrativo, oltre che in molte espressioni della lirica popolaresca e del teatro. Il romanzo moresco saldò il romanzo cavalleresco e il romanzo sentimentale, ma principalmente trasferì all’avversario, al moro, all’avversario delle qualità spirituali e doti morali peculiari durante il Rinascimento. Un’importante opera di questo genere è l’anonima Historia de Abencerraje y la hermosa Jarifa con quattro redazioni distinte: la prima (1551) inserita nell’Inventario de Antonio de Villegas un misto fra prosa e versi, la seconda fu incorporata alla Diana, la terza fu stampata a Saragoza, la quarta rimase inedita. La Historia si svolge in un duplice piano narrativo, alternando episodi del conflitto fra arabi e cristiani lungo la frontiera granadiana ed episodi di un idillio contrasto. Il nobile Abindarráez della famiglia degli Abencerrajes cade in un’imboscata notturna e viene catturato da Rodrigo de Narváez, governatore delle fortezze di Álora e di Antequera. Fra vincitore e vinto si stabilisce un rapporto cavalleresco fondato sulla stima e sulla comprensione. Abindarráez finisce per rivelare a Rodrigo il suo tormento sentimentale e gli narra le vicende della sua passione infelice per la bella Jarifa. Il cavaliere cristiano gli concede qualche giorno di libertà per rivedere l’amata. I due amanti condividono la tristezza nella prigionia e si consegnano entrambi nelle mani di Rodrigo, che li lascia liberi entrambi. Lo scenario delinea i personaggi secondo un canone cortese. L’ignoto autore rende credibile, attraverso un episodio avventuroso e delicato un sogno di pacifica convivenza fra arabi e cristiani che la dura realtà dei fatti dissipò in breve tempo. Più realistica è la Historia de los bandos de los Zegríes y Abencerrajes, caballeros moros de Granada (1554-1619) venne poi completato in seguito da Ginés Pérez de Hita a Saragoza nel 1595 con Guerras civiles de Granada. La prima parte parla dei conflitti civili fra le grandi famiglie aristocratiche arabe che si contendevano il potere a Granada poco prima della reconquista cristiana, ma ravviva la cronaca l’inserto di numerosi testi poetici, come romances della frontiera o canzonette folcloriche, e di pittoresche descrizioni di feste, tornei e altri raffinati episodi di vita cortese. Ne risulta una celebrazione vivace e nostalgica di costumanze cavalleresche sfarzose ed eleganti di un’epoca perduta. La seconda parte tratta della rivolta moresca delle Alpujarras e forse per l’attualità del tema tende a privilegiare il resoconto dei fatti: l’autore si ispira direttamente a relazioni già famose. 3. IL ROMANZO BIZANTINO Il romanzo bizantino si sviluppò in Spagna nel primo 500 da alcune traduzioni di testi greci classici. La sua struttura favorisce la possibilità di sviluppi narrativi polimorfici e di suggestive connessioni fra moduli efficaci tratti dal romanzo cavalleresco, sentimentale e pastorale. Nasce così un pastiche stilistico. Il genere bizantino allarga l’orizzonte degli itinerari percorsi dai suoi eroi, attraverso viaggi sempre movimentati e burrascosi, rapimenti e inseguimenti, attacchi di pirati o di malfattori, mirabolanti liberazioni, travestimenti agnizioni, incontri e scontri. I protagonisti solitamente sono una coppia di giovani innamorati che un impedimento ostacola il loro alto ideale, sempre sostenuti dalla tensione spirituale, sempre pronti a piegare gli impulsi delle passioni alle norme etiche e religiose in cui credono. Nella Historia de los amores de Clareo y Florisela (1552) di Alonso Núñez de Reinoso spicca una predilezione per le soluzioni bucoliche, tant’è che la vicenda si conclude in una immaginaria e idilliaca “isola pastorale”. Non mancano innesti di altri generi narrativi, soprattutto cavallereschi. I due protagonisti, promessi sposi che vogliono vivere castamente per adempiere un voto, percorrono insieme un lungo itinerario attraverso le più aspre difficoltà che purificano il loro affetto e sfidano le accanite persecuzioni del destino traendo energia dalla virtuosa fermezza. Nella Selva de aventuras (1565) di Jerónimo de Contreras, si vede una possibilità di compromesso fra le tensioni passionali del romanzo sentimentale, le peripezie avventurose del romanzo cavalleresco e le pulsioni spirituali delle dottrine ascetiche, narrando il disperato periplo mediterraneo del nobile Luzmán, che viene respinto dall’amata Arbolea, decisa a consacrarsi alla vita monastica, e va in cerca di oblio e di rassegnazione. Percorre l’Italia, viene catturata dai pirati e viene resa prigioniera ad Algeri, ritorna in patria, ma quando scopre che la donna dei suoi sogni è diventata monaca, si pente del percorso esistenziale seguito e decide di ritirarsi a vivere in un eremo. Il lungo vagare di Luzmán può esprimere simbolicamente la condizione dell’umanità e si conclude in un proposito esemplare di redenzione, che porta al rifiuto di ogni allettamento mondano. Il suo apprendistato esistenziale culmina nella rinuncia e segue un percorso ascendente, uniformandosi agli orientamenti ideologici più accreditati in quell’epoca. 4. IL ROMANZO PICARESCO: MATEO ALEMÁN (1547-1615) La sua opera di successo fu il Guzmán de Alfarache, la quale diede origine a una delle scelte stilistiche più vivaci e gustose. Mateo Alemán era probabilmente di origine ebraica e dalla parte della madre discendeva da una famiglia di mercanti fiorentini. Iniziò gli studi di medicina nella sua città natale a Siviglia, poi proseguì a Salamanca e ad Alcalá de Henares senza però concluderli. Ritornò a Siviglia, dove fu costretto a contrarre debiti gravosi. Ebbe un infelice matrimonio con la ricca Catalina de Espinosa. Nel 1580 si iscrisse alla facoltà di diritto ma poco dopo interruppe gli studi a causa di un problema finanziario, per un anno e mezzo venne incarcerato e scontata la condanna si trasferì in Perù. Nel 1586 si recò a Madrid dove ottenne un impiego presso la ragioneria dello stato, gli fu anche affidato, nel 1591, un controllo sulle sospette irregolarità nello sfruttamento delle miniere di mercurio di Almadén. Tutte queste esperienze negative si riflettono nelle pagine del suo capolavoro, dal quale vengono tratti numerosi spunti avventurosi, ossia una visione sociale pessimistica. Nel 1602 è a Siviglia, dove convive con la giovane Francisca Calderón, qui strinse amicizia con Lope de Vega. Nel 1603 pubblica una Vida de San Antonio de Padua, in cui alterna l’euforia spirituale della celebrazione agiografica e l’annotazione perspicace del comportamento umano, con riferimenti specifici alle proprie vicende personali e in particolare alle proprie disavventure coniugali. Giunge persino in Messico, dove pubblicò l’Ortografía castellana (1609) e si propone di risolvere le relazioni fra certi grafemi e fonemi della lingua spagnola. Il suo capolavoro è stato composto negli anni tormentati dell’ultimo soggiorno madrileno. La Primera parte del Guzmán de Alfarache (1597), approvata nel 1598, edita nel 1599 e stampata due volte a Barcellona e una volta a Saragoza. Nonostante la sua fama, non riuscì a tutelare i propri diritti se non entro i limiti ristretti della giurisdizione castigliana, e la maggior parte delle edizioni risultò fraudolenta. L’autore annuncia già dal prologo la possibilità di una seconda parte, perché la prima terminava in modo brusco, da ciò ne emerse uno spregiudicato imitatore, Juan Martí, che con lo pseudonimo di Mateo Luján de Sayavedra, pubblicò la Segunda parte de la vida del pícaro Guzmán de Alfarache (1602), che ebbe un’accoglienza straordinaria. Egli si affrettò a pubblicare l’autentica Segunda parte de la vida de Guzmán de Alfarache (1604), vendicandosi ironicamente introducendo un personaggio equivoco e infido, il servo Sayavedra, destinato a perire miseramente in un naufragio. L’opera segue la finzione autobiografica del Lazarillo e insiste su una traiettoria umana degradante, da una fanciullezza miserabile a una virilità maturata in esperienze truffaldine, passando attraverso episodi concatenati fra loro, che segnano le tappe di un apprendistato disonorante e offrono l’occasione di un’aspra satira sociale. Ma la novità del Guzmán è l’introduzione di commenti moraleggianti, che intendono trarre un’amara lezione. Viene riscontrata una sensibilità della Controriforma, perché viene descritta una realtà umana fragile, ed esalta la possibilità del riscatto dalla colpa attraverso il pentimento e la fiducia nella misericordia divina. È forse ciò che assicurò all’opera un successo immenso in tutti i paesi europei già durante il XVII secolo. Si ritrovò con il padre ormai vecchio, pieno di debiti e senza lavoro, con la madre stanca di combattere e di mentire nel tentativo di mandare avanti la famiglia, con le sorelle abbandonate e senza prospettive di trovare nel matrimonio una sistemazione adeguata. Cervantes chiede aiuto al Consiglio di Castiglia ma la Spagna non era in grado di sopperire alle necessità degli uomini che in sua difesa erano restati inabili. Il 7 febbraio 1582 è a Madrid, dove riprende a scrivere e comincia il suo primo romanzo: La Galatea. Sceglie il genere pastorale per calarsi in un mondo dolce, ma non fantastico, dove crisi, mancanza di valori, corsa all’arricchimento o alla sopravvivenza sono inesistenti. La Galatea viene pubblicata ad Alcalá nel 1585, ed è dedicata ad Ascanio Colonna. Cervantes tornerà di nuovo a scrivere, ma questa volta per il genere teatrale, e continuerà anche senza grande successo a elaborare opere teatrali delle quali almeno una trentina sono andate perdute. A 36 anni, Cervantes ebbe una relazione con Ana Franca de Rojas, moglie del proprietario di una osteria frequentata da autores e comediantes. Ebbero una bambina, Isabel. Il 12 dicembre nel 1584 Cervantes sposa Catalina de Salazar, la cerimonia ebbe luogo a Esquivias. Si sposta a Toledo e a Siviglia per terminare delle transazioni finanziarie. Dopo meno di tre anni dal matrimonio, egli decide di abbandonare l’arcadia di Esquivias. Successivamente ottiene l’impiego di commissario incaricato di requisire rifornimenti per la flotta che Filippo II vuole inviare all’Inghilterra. Da qui, nella sua vita, parte un nomadismo frenetico. Per quasi 15 anni percorrerà a piedi o su un cavallo tutta la Spagna, soffrendo le inclemenze del tempo e l’ostracismo dei paesani che non vedono mai di buon occhio la figura dell’esattore. Nel frattempo, matura l’idea di lasciare quel lavoro poco gratificante. Sollecita al Consiglio delle Indie un posto nel Nuovo Mondo, ma verrà deluso e amareggiato dal rifiuto, deve continuare le sue peregrinazioni in Andalusia. Nel 1592 è malato e nuovamente senza soldi, e viene accusato di essere coinvolto in una vendita illegale di grano. Incarcerato a Castro del Rio, sarà liberato pochi giorni dopo per l’intervento del suo superiore, ma deve subire il carcere in altre due occasioni. L’anno dopo, muore sua madre alla quale era molto legato. Finisce nuovamente in carcere a Siviglia per due mesi, ed ebbe l’opportunità di scrivere altre creazioni teatrali e verso la fine dell’anno successivo compone due brevi poemi: uno dedicato alla vittoria del duca di Medina Sidonia e l’altro scritto in occasione della morte di Filippo II. Entrambi presentarono il registro ironico, che diventerà più ricorrente nell’ulteriore produzione. Dopo l’ascesa al trono di Filippo III, la Corte si sposta a Valladolid. Le sorelle di Cervantes vi si trasferiscono nel 1603 e lui un anno più tardi. Nel frattempo, ha viaggiato fra Madrid e Toledo, effettuando soste a Esquivias. In questo periodo si dedica alla stesura della prima parte del suo capolavoro: El ingenioso hidaldo Don Quijote de la Mancha, il quale fu per Cervantes una fatica esaltante, che gli diede la consapevolezza del proprio valore nell’universo della creazione. Scrisse lui stesso i componimenti peritestuali elogiativi che precedono il romanzo. Nell’agosto 1604 concluse la stesura e si trasferì a Valladolid con la moglie. Attende la prima edizione che il tipografo Juan de la Cuesta finisce di stampare nel gennaio del 1605. L’opera è dedicata al duca de Bejar ed ebbe un successo immediato. Il 27 giugno 1605 viene coinvolto in un brutto evento: don Gaspar viene ferito a morte davanti alla casa dello scrittore, il quale lo fanno finire in carcere insieme ad altre dieci persone. Saranno rilasciati dopo due anni per mancanza di prove, ma Cervantes esce da questa esperienza con una reputazione danneggiata. Nell’autunno del 1605 abbandona Valladolid e vive per un anno e mezzo a Salamanca ed Esquivas, per sistemarsi definitivamente a Madrid a maggio del 1607. È probabile che durante il soggiorno a Valladolid abbia composto alcune Novelas ejemplares: El casamiento engañoso e Coloquios de los perros. Nel 1606 si sposa sua figlia, ma rimarrà vedova e con una bambina. Cervantes allora cercherà di trovare nuovamente marito alla figlia con Luis de Molina, ma alla fine comporterà una rottura di rapporti tra Miguel e Isabel. A Madrid frequenta accademie di poesia, testimone o anche attore delle accese diatribe che in quelle sedi si svolgevano che faranno accrescere la sua fama in Spagna e all’estero. Nel 1613 pubblica una raccolta di novelle scritte in diversi momenti della sua vita sotto il nome di Novelas ejemplares e anche quest’opera è dedicata al conte di Lemos. Nel Viaje del Parnaso, intriso di riferimenti autobiografici, l’autore-protagonista si riferisce all’originalità e al valore delle Novelas. Le novelle conquistano immediatamente successo. Lo stesso anno, Cervantes prende una decisione che riguarda la sua sfera spirituale: entra come novizio nell’ordine dei terziari francescani e dedica tutto quello che gli resta da vivere alla scrittura. Pubblica una parte della produzione teatrale e nel settembre 1615 escono le Ocho comedias y ocho entremeses nunca representados. La frenesia per la scrittura fece nascere la seconda parte del Quijote e nel settembre 1614 esce il Segundo tomo del ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha scritto da Alonso Fernández de Avellaneda e pubblicato a Tarragona da Felipe Robert. Una verifica dimostra che questi dati sono falsi, perché si pensa che Avellaneda sia lo pseudonimo di Geronimo de Passamonte, compagno d’armi di Cervantes. Nella prima parte Quijote, l’autore avrebbe dato il nome di Ginés de Passamonte al picaro-ladro liberato da don Quijote che insieme ad altri condannati era destinato ai lavori forzati sulle galere. Ginés viene tacciato di violento e ingrato, così quest’ultimo cercò di vendicarsi, scrivendo la continuazione di una storia dove don Quijote e Sancho sono solo buffe marionette che si muovono in percorsi e azioni grottesche. Cervantes riesce a concludere la seconda parte del suo Quijote nel 1615. Nel Prologo risponde all’impostore con malinconico disprezzo. Smascherato e schernito il falso autore e il suo frutto apocrifo, Cervantes dedica le sue ormai poche forze ad un progetto: finire un romanzo che aveva iniziato Los trabajos de Persiles y Sigismunda, Historia septentrional. È un testo che segue i canoni del romanzo bizantino e che ha come modello l’opera di Eliodoro, Teagine e Cariclea. L’ottica del racconto presenta un susseguirsi di avventure che diventa una peregrinazione e il messaggio che si vuole trasmettere è di tipo spirituale. L’autore muore a Madrid il 22 aprile 1616 e sua moglie Catalina farà uscire postumo il suo romanzo l’anno dopo. Fu sepolto nel convento dei trinitari, vestito con l’abito francescano a volto scoperto. 3. LA GALATEA E LA LETTERATURA PASTORALE DEL CINQUECENTO Garcilaso e Boscán sono i poeti dell’esperienza classica e italiana che riprendono e diffondono il tema pastorale nella realtà spagnola. Montemayor rappresenta il momento più creativo e felice nell’espressione di questo genere. I numerosissimi precedenti si manifestano nella lirica tradizionale (villancicos, poesia cancioneril), rinascimentale (la corrente garcilasiana e petrarchista), narrativa (romanzo cavalleresco, bizantino, sentimentale ed epistolare), tracciando un itinerario attraverso il quale la pastorale andrà costituendo il proprio spazio letterario. Il sistema letterario precedente fornisce alla pastorale lo sfondo di riferimenti che indicano alcune chiavi di lettura del testo, utili allo stesso tempo per differenziare il delinearsi dell’apporto innovativo, cioè la genesi della nuova scrittura. Cervantes scrive La Galatea attingendo ai moduli pastorali spagnoli, ma stabilisce con essi un doppio rapporto: ne segue i canoni ma vi apporta delle modifiche, partecipando al cosiddetto “dialogo degli autori”. 2.1. La Galatea: fedeltà e scarto rispetto ai modelli La Galatea è la chiave con cui Cervantes accede al mondo letterario. La sua scrittura fluttua fra idealismo e realismo per giungere ad una personale concezione creativa. I protagonisti sono due pastori: Elicio ed Erastro e l’oggetto è il loro amore per la pastorella Galatea. Il personaggio femminile non mostra la sua predilezione, stimando entrambi soltanto amici e il triangolo sentimentale non si evolve e registra solo una minima variazione alla fine del romanzo. Questo cambia per un avvenimento esterno: le nozze di Galatea con un pastore sconosciuto e forestiero, ed è la molla che innesca il movimento della protagonista verso Elicio con una lettera in cui chiede conforto e aiuto. Elicio così ha il ruolo di difensore, aiutato anche dagli altri pastori. Le storie d’amore, invece, costituiscono il vero motore del romanzo e il finale rimane aperto. spiegazione, l’accettazione dell’attesa e la sottomissione a liturgie espiatorie di cui Sancho sarà vittima. La residenza dei duchi viene trasformata in un palcoscenico, dove verranno architettate trasformazioni e artefatti incantesimi e gli episodi che si svolgono con queste modalità sono: a. La presentazione di Dulcinea incantata e la finta formula pronunciata da Melino per distruggere il maleficio b. la storia della dueña Dolorida, che viene punita insieme ad altre dodici compagne con la crescita della barba, mentre don Quijote e Sancho dovranno cavalcare il cielo su Clavilegno, cavallo di legno appartenente al mago Malambruno per annullare l’incantesimo. c. Il governatore di Sancho della insula Baratteria d. La falsa morte d’amore di Altisidora per l’innamorato don Quijote e la ricetta per ricetta per riportarla in vita proposta da Radamante. Subentra il personaggio di Sansón Carrasco, che riporta don Quijote a casa perché guarisca, e diventa il Cavaliere degli Specchi e con questo travestimento sfida il Cavaliere dei Leoni a duello in un bosco. Il patto è che don Quijote deve abbandonare per un anno la sua vita avventurosa e il baccelliere proclama che la bellezza della sua fantomatica dama è più splendente di quella di Dulcinea, e perciò don Quijote accetta la sfida e ne sarà il vincitore. Sansón però avrà successo la seconda volta nei panni del Cavaliere della Bianca Luna e vincerà sulla spiaggia di Barcellona. Don Quijote inizierà il triste ritorno verso il forzato riposo. Per guarire don Quijote, Sansón non solo entra nella letteratura, ma anche nella pazzia. IL QUIJOTE È UNA SATIRA CONTRO I LIBRI DI CAVALLERIA? L’alter ego dell’autore, sotto le vesti di un amico, nel prologo consiglia sulle modalità di scrittura. Per tre volte dichiara che lo scopo principale dell’opera e di screditare i libri di cavalleria. L’autore vuole criticare l’uso smoderato di queste letture e la scarsa qualità dei molti epigoni contemporanei che esasperano l’inverosimile e adottano uno stile contorto, ma allo stesso tempo la sua opera rappresenta un canto ai nobili ideali della cavalleria in una realtà dove il riso omerico si trasformato in burla, l’amore in lascività, lo slancio in tornaconto. Il testo si propone come un manoscritto ritrovato, in cui un antico cronista ha fissato le avventure dell’eroe. Vi è un narratore anonimo o secondo autore (Cervantes), un cronista arabo o primo autore e un traduttore, anch’egli arabo, che serve a perfezionare la verosimiglianza dell’operazione. Un’altra scelta creativa è la divisione in capitoli, in genere brevi, e la loro organizzazione in serie progressive, classica dei libri di cavalleria. Tale organizzazione dipende dal tipo di lettura: orale (pubblica) più che una lettura silenziosa (individuale). Ciò spiegherebbe le distrazioni o episodi all’interno del romanzo. La satira contro i libri di cavalleria si presenta attraverso la follia dell’eroe, che genera miraggi contro i quali don Quijote si scaglia senza senno e senza gloria. Cervantes ha costruito il personaggio con un fraintendimento fondamentale: crede che i cavalieri dei romanzi siano veri come quelli della storia. Il Quijote è stato definito come il superamento dei generi letterari tradizionali. Cervantes aveva finito la prima parte del romanzo con le parole del secondo autore, che dichiarava come il prosieguo fosse introvabile. Ma afferma è rimasta la notizia che i due personaggi si sono recati a Saragoza per partecipare ai tornei che lì si erano celebrati. Avellaneda costituisce il proprio romanzo ambientandolo nelle feste della capitale aragonese. Cervantes riafferma la paternità della sua opera e dei suoi personaggi stabilendo relazioni di intertestualità tra la scrittura della seconda parte e la storia pubblicata da Avellaneda. Fa comparire il testo spurio nel 59 capitolo e organizza lo smascheramento in una scena memorabile, dove don Quijote e Sancho rivendicano la loro autenticità denunciando il grave sopruso di cui sono stati oggetto. Cervantes decide di far cambiare ai protagonisti la meta del viaggio dopo un’animata conversazione in una locanda a Saragoza con due cavalieri. Cervantes fa apparire nel romanzo un personaggio di Avellaneda, don Álvaro Tarfe, al quale fa dichiarare davanti al sindaco del paese come esistano due don Quijote e due Sancho, e come quelli lì presenti siano gli autentici. Don Quijote e Sancho si staccano dal loro status di personaggi per apparire come rappresentazioni di esseri reali, capaci di discutere sull’autenticità delle opere che descrivano le loro imprese. Avellaneda spronò Miguel a compiere un’operazione inattesa nel suo Quijote e ne accelerò i tempi della stesura. Tanta fu la necessità impellente di squalificare il falsario e di riaffermare la paternità delle proprie epifanie. A livello tematico si registrano il doppio, la follia, il viaggio, le Armi e le Lettere, la libertà e l’utopia, mentre a livello strutturale si ha la teoria del romanzo, le radici folcloriche, la paramiologia, la tradizione carnevalesca. Da quando è stato pubblicato, il Quijote ha sempre conosciuto l’apprezzamento del pubblico e venne tradotto in inglese e in francese. Arrivò anche in Germania a metà del XVII secolo e l’Italia vede la sua prima traduzione nel 1622. Il personaggio e l’opera hanno ispirato numerose elaborazioni per teatro, melodramma e balletto, versioni in poesia e trasportazioni cinematografiche. Il Quijote amalgama vita e letteratura, fusione dialettica di generi e ideologie, è un fiume in piena che fertilizza la letteratura successiva. Ogni sua lettura è uno stimolo alla scoperta del sorriso e della malinconia. 5. NOVELAS EJEMPLARES Nell’estate dell’anno 1613 vengono pubblicate in un volume le dodici Novelas cervantine. Le chiama “esemplari” per diverse ragioni: perché il suo scopo non è di scrivere i suoi racconti sull’impronta degli exempla medioevali, i nuclei tematici si presentano come antimodelli offerti al lettore perché si disponga a evitarli; quindi, l’aggettivo “esemplare” denota non tanto un doppio e contrapposto modello morale, ma un modello di scrittura. L’originalità dei testi si riscontra quando si esamina l’attinenza a un codice determinato. I modelli soddisfano l'orizzonte di attesa del periodo: novella sentimentale, bizantina, picaresca, pastorale. Ma Cervantes modifica profondamente i sistemi e offre un testo che va oltre le coordinate insite nei moduli di riferimento. Le Novelas sono motivo di un’altra scrittura che fa crollare gli schemi, è un movimento che accompagnato la nascita del nuovo romanzo. Le Novelas seguono la scia della prima parte del Quijote e fanno intuire lo sviluppo della seconda. Finzione e realtà si imbrigliano con nuova forza e nuove regole e i risultati sono “esemplari”. La lettura delle dichiarazioni cervantine afferma l’interpretazione che diamo ed evidenzia la sicurezza dell’autore e l’orgoglio provato per la riuscita del suo progetto. Le Novelas furono valutate positivamente e nel loro giudizio si sottolinea l’aspetto innovativo, la capacità di divertire serenamente e la lezione di vita che contengono. Le dodici novelle presentano seducenti storie d’amore e testimonianze filtrate sul tessuto sociale del decadente impero asburgico. Un intreccio densissimo di eventi narrati per mezzo di uno stupefacente effetto sorpresa, che complica una storia lineare o scioglie situazioni impossibili. Ogni novella ha un nucleo tematico: 1. La gitanilla è una storia d’amore e di amicizia risolta con l’agnizione finale che ne permette uno scioglimento felice. 2. El amante liberal è una storia d’amore non corrisposto, di intrecci, prigionie, avventure e una catena di passioni, ma si conclude con l’amore contraccambiato. 3. Rinconete y Cortadillo è una storia di un’amicizia e le avventure di due ragazzi nei bassifondi sivigliani della Spagna imperiale. 4.La española inglesa espone sullo sfondo del conflitto tra religioni i travagli di un amore di grande spiritualità. 5. Il licenciado Vidriera è la cronaca di una pazzia che rende libero chi la soffre e di un rinsavimento che lo condanna all’indifferenza. 6. La fuerza de la sangre è una storia di violenza e di amore. 7. El celoso extremeño presenta un caso di solipsismo e di trasgressione dove l’autopunizione per il peccato originario non giova a nessuno. 8. La ilustre fregona propone la storia di un’amicizia che sostiene una storia d’amore giunta a lieto fine soltanto attraverso l’agnizione. 9. Las dos doncellas è costituita da casi d’amore felicemente risolti dalla passione e dall’ardimento. 10. La señora Cornelia è la storia di un amore contrastato che con l’aiuto del coraggio e dell’onore spagnoli, giunge ad un fortunato epilogo. 11. El casamiento engañoso è il racconto di un ingannatore ingannato che annuncia la testimonianza dell’evento raccontato nella novella successiva. 12. Coloquios de los perros è il dialogo fra due cani che ragionano sulla doppiezza degli umani e sulla loro crudeltà. Si muove tra la picaresca e la letteratura filosofica. L’importanza del tema amoroso identifica spesso l’amore espresso da desiderio, gelosia, purezza. È continuamente messo alla prova e troverà il suo naturale punto di arrivo nel matrimonio cristiano. Grandi patimenti deve sopportare colui che ama attraverso prove come in avventurosi viaggi, prigionie, insidie, sospetti, inganni, tradimenti, equivoci superati dalla coppia di innamorati. argomenti di attualità e di taglio autobiografico, come le turcherie e il ricordo di Lepanto, si uniscono a quelli di tono ariostesco e tassiano. Le due opere attestano un tipo di teatro povero di azione, declamatorio, lontano dagli sviluppi degli ultimi anni del XVI secolo e dei primi decenni del XVII. Dal 1587 al 1591, Cervantes si allontana dalla scrittura teatrale, ma nel 1592 stipula un altro contatto con il capocomico Rodrigo Osorio, al quale fornì sei commedie. Nel panorama della scena spagnola è ormai sparita la distinzione fra comico e tragico e viene dimenticata la semplicità rinascimentale di Rueda, sulla quale l’anziano scrittore affabula, lasciando spazio alla dimensione del ricordo. Cervantes fa alcune considerazioni su altri artisti, le quali precedono le Ocho comedias y ocho entremeses nuevos, nunca representados che nel 1615 pubblica con un prologo molto amareggiato. Otto testi raccolti, a differenza di Lope o Calderón, i quali ne pubblicavano dozzine. Cervantes pare lontano dai centri di potere teatrale e senza un gruppo teatrale, o di alcune strategie promozionali, le quali attiravano l’attenzione del pubblico. Nelle Otto commedie, Cervnates non tiene conto delle necessità e della composizione delle compagnie, e propone testi di una ventina di attori in scena (o anche di più), anche se i personaggi minori potevano essere duplicati, in un periodo in cui la tendenza era alla riduzione delle compagnie. Nella Entretenida, ad esempio, appaiono due personaggi, Anastasio e Gil, i quali non appaiono nemmeno in scena, oltre alla confusione dei comici nel ritrovarsi senza ruoli prefissati, delle coppie dama/galán e gracioso/criada (buffo/servetta). Gli studiosi hanno rilevato in Cervantes una lontananza dal tablado dei corrales, e in alcune opere si pensa pure che Cervantes abbia collaborato alla regia della commedia, una presenza di Cervantes alle prove. Nella Casa de celos vengono descritti quattro luoghi, anche se poi si riducono a due. Ma particolare è la minuziosità delle didascalie, il quale fa pensare che Cervantes non abbia veramente partecipato alla regia e che tenta di orientare il testo letterario nel testo spettacolo proprio perché non ne ha alcun controllo. Nonostante le sue opere teatrali non continuavano ad avere grande successo, comunque continua a comporre con punti di convergenza con l’Arte nuevo. LE COMMEDIE Le Otto commedie mostrano un adeguamento alla maniera di Lope, che risalta a confronto con le due piezas del primo periodo. Los tratos de Argel (1581-83) presenta un teatro appoggiato sulla relación, cioè sul racconto di avvenimenti storici e casi dell’intreccio, stampata e diffusa dai ciechi. Viene dedicato grande spazio alla presentazione di battaglie contro i turchi, o avvenimenti di attualità, attraverso paesaggi affidati ad un unico personaggio. La commedia prende avvio con un monologo in cui Aurelio racconta la sua situazione di schiavo per amore, poi Saavedra, soldato prigioniero, e Leonardo riferiscono le novità della guerra in frammenti molto estesi. Il pezzo di Saavedra utilizza e cita una Epistola a Mateo Vázquez sulla guerra contro i turchi, che è stata attribuita allo stesso Cervantes. Sopraggiunge poi il personaggio di Sebastián, che racconta il martirio di un sacerdote di Valencia, fray Miguel de Aranda con altri 198 versi senza interruzioni. Nella commedia si alternano queste relaciones esposte da uno dei personaggi, con dialoghi tra due o più personaggi, che raccontano fatti relativi alla trama della commedia. Cervantes non utilizza solo ricordi o esperienza, ma fa riferimento a meccanismi letterari e teatrali che doveva aver conosciuto in Italia, mentre tenta di sfruttare un tema di moda. I Tratos possono servire come paragone per la successiva opera, Baños de Argel, dove il tema della prigionia in Algeri riappare e si utilizza un nucleo centrale analogo: una coppia di schiavi innamorati, insidiati dai padroni dell’altro sesso. Nei Tratos, i monologhi hanno un luogo privilegiato, ossia una buona parte di testo, mentre nei Baños, è molto meno. Ci sarà anche una terza commedia di argomento moresco, questa volta di Lope, Los cautivos de Argel, giocata sullo stesso nucleo tematico, e che si può datare verso il 1599, e quest’opera presenta monologhi. Accanto ai Tratos, la produzione del primo periodo di Cervantes è nota attraverso una tragedia, la Numancia, che mette in scena l’assedio di Numanzia da parte delle truppe romane nel 133 a.C., l’eroica resistenza degli abitanti e la loro decisione di morire tutti in modo da negare il trionfo al vincitore Scipione. In quest’opera predomina l’endecasillabo che ha richiamato l’attenzione della critica ed è stata vista come tragedia religiosa e giudicata come migliore tragedia spagnola del XVI secolo e la più importante del teatro spagnolo. Un altro tema di moda che Cervantes tratta, rivolto a un teatro di impianto rinascimentale, un teatro di parola, al servizio di una visione di grande dignità eroica. È possibile che Cervantes abbia scritto anche dopo il 1606, sotto l’influenza della commedia lopesca, sei commedie, nel 1614 nella Adjunta conferma di averne sei pronte per la stampa, e avrebbe poi aggiunto al volume due delle più antiche, La casa de los celos e El laberinto de amor. Queste due commedie hanno tratti più primitivi e una serie di caratteristiche in comune, come ad esempio l’Orlando innamorato del Boiardo e l’Orlando furioso dell’Ariosto. Il tema del Rufián dichoso invece, è la vita di un santo, Cristóbal de Lugo, prima dissoluto a Siviglia tra prostitute e ruffiani, poi santo in Messico e il suo apparato scenografico è imponente. El gallardo español riprende l’ambiente e il tema della prigionia di Algeri, vi compaiono tipici congegni teatrali come la donna vestita da uomo, feste spettacolari, processioni…. Il tentativo di rinnovamento dello schema prelopesco risulta molto evidente. Appare chiara la coppia padrone-servo, che riprende la figura del gracioso, molto attiva nella formula di Lope. Le tre restanti commedie, La gran Sultana, La entretedina, Pedro de Urdemalas, di argomento tra loro ben diverso, sono collegate da una riflessione sulla rappresentazione, sullo scarto tra l’essere e l’apparire, che le hanno fatte giudicare molto cervantine. La Gran Sultana ricrea la storia di Catalina de Oviedo, prigioniera castigliana di cui si innamora il sultano Murad III nonostante decide di rispettare la religione della donna. Così facendo, si risolve il problema spirituale della fanciulla, che accetta le nozze. Allo stesso tempo, si ha una seconda coppia tra la prigioniera Clara e il giovane Lamberto che per amore si traveste da donna e sotto le spoglie di Zelinda si introduce nell’harem: i due vivono un breve amore felice e corrisposto, fino ad avere un figlio. Zelinda viene scelta dal sultano, ma poi scoprirà il travestimento e condanna la morte del giovane. Verrà salvato dall’intervento di Catalina e l’invenzione di una storiella, secondo la quale è stato travestito in seguito alle richieste a Maometto. Subentra il personaggio di Madrigal, un prigioniero che da prova di sé attraverso un’ingegnosità eccezionale: si offre di insegnare a parlare ad un elefante, ora è un sarto, ora balla con Catalina in una festa spagnola (teatro nel teatro). Madrigal sarà infine l’unico personaggio a lasciare Costantinopoli per tornare in Spagna e a raccontare la storia della sultana. Nella commedia giocano fonti classiche nella peripezia del romanzo greco, fonti italiane nella storia di Clara e Lamberto, descrizioni folcloriche e costumbriste della vita a Costantinopoli, come il tema del teatro stesso. Anche La entretenida utilizza fonti classiche, addirittura risalenti a Plauto e Terenzio, per effettuare una volontaria imitazione delle commedie di Lope che tende agli effetti della parodia. Si può dire che lo schema di Lope non può essere quasi identificato: nelle più di 350 commedie compaiono finali di tutti i tipi e la presa in giro delle risolutorie nozze finali si dà anche in lopisti di stretta osservanza. Equivoci, inganni, imposture sono davvero il tessuto connettivo delle commedie di cappa e spada. Quella di Cervantes si distingue per un eccesso nell’uso, per una triplicazione di fili narrativi: per questo tanto più colpisce che alla fine vengano lasciati aperti. Pedro de Urdemalas mette in scena un personaggio folclorico, prototipo di un imbroglione brillante che si fa attore. Con il racconto scenico della vita del briccone si allaccia la trama che vede Belica, zingarella di cui il re si innamora, minacciata dalla regina, e infine riconosciuta come figlia del fratello della regina stessa. L’ambiente degli zingari è uno dei preferiti di Cervantes. La commedia, sospesa tra il mondo improbabile dei re da commedia, fedifraghi, gelosi e creduli dell’artificiosa soluzione della peripezia, e la descrizione di piccoli malavitosi e avventurieri di basso cabotaggio, ostenta una rifrazione nella soluzione finale: mentre Belica diventa la nobile Isabel, Pedro de Urdemalas impiegherà le sue doti naturali di lestofante nella professione dell’attore. Attraverso questa professione, Pedro diventa persona, calandosi nel mondo teatrale del tempo di Cervantes, come conferma il riferimento a un capocomico reale, Nicolás de los Ríos. Mentre Belica perde il suo spessore vitale e le relazioni di amicizia e di affetto che la legavano agli zingari per diventare un prototipo letterario: la fanciulla ritrovata. La finzione di Pedro diventa realtà e la realtà di Isabel pura apparenza.
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