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Letteratura Spagnola I, il '500 e il '600, Appunti di Letteratura Spagnola

Esame da 6 cfu per L12 Introduzione alla letteratura spagnola dei “Secoli d’Oro". La rottura col Medioevo: Fernando de Rojas, La Celestina La poesia italianistica: Garcilaso de la Vega, Egloga I, II e III La nascita del romanzo picaresco: Lazarillo de Tormes Calederon de la Barca, La Vida es sueno Miguel de Cervantes, El Quijote

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 24/02/2024

federica.dilabbio
federica.dilabbio 🇮🇹

5

(4)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura Spagnola I, il '500 e il '600 e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LETTERATURA SPAGNOLA 1 Prof. Marcial Rubio Arquez Manuali da fotocopiare tot. pagine Possibilità di fare l’esame o in spagnolo o in italiano, scelta libera e non penalizzante Esame 3 parti: lezioni, manuali e letture Ricevimento Studenti: Martedì 8.00-9.00 Mercoledì 13.00-14.00 marcial.rubio@unich.it Letture da fare preferibilmente in spagnolo Studio della produzione letteraria spagnola dei secoli 500 e 600, il cosiddetto “Secolo d’oro” della letteratura spagnola. La prima opera che analizziamo: La Celestina La Celestina è un'opera letteraria attribuita a Fernando de Rojas, pubblicata anonima a Burgos probabilmente nel 1499 in una prima versione e ampliata attorno al 1502. È annoverata tra i capolavori della letteratura spagnola. La Celestina nasce prima come Comedia de Calisto y Melibea, un'opera suddivisa in 16 atti, che poi verrà nel tempo modificata dal l 'autore attraverso del le aggiunte ed interpolazioni, e portata a 21 atti nel 1502, recando in questo nuovo cambiamento il titolo di Tragicomedia de Calisto y Melibea. La Celestina, appartiene al Medioevo, e ci sono 2 versioni (non edizioni). 1. Comedia de Calisto y Melibea, 16 atti (capitoli), stampata e pubblicata forse a Burgos (città nel nord della Spagna) nel 1499. 2. Tragicomedia de Calisto y Melibea, 21 atti, stampata e pubblicata a Sevilla nel 1502. La seconda versione era stata realizzata non perché la prima non piacesse ai lettori, ma perchè, la Comedia era un testo talmente perfetto che furono proprio i lettori a chiederne una versione aggiornata. Il testo che noi oggi leggiamo e conosciamo è la Tragicomedia de Calisto y Melibea. Confrontando le due versioni cominciamo a capire molte cose dell’opera: Comedia: Nella prima versione manca la prima pagina, quella che all’epoca era la copertina stessa del libro. Dunque, mancano dati tipografici ed editoriali e dati che ci avrebbero fatto comprendere cose che abbiamo compreso poi dalla Tragicomedia. Ogni anno ristampavano una nuova edizione perché piaceva moltissimo. La commedia poteva trattare solo personaggi di una bassa classe sociale e dunque argomenti bassi o che facevano ridere. Tragicomedia: Trattava argomenti più importanti che i poveri non potevano trattare, argomenti che non fanno ridere. La tragedia doveva procurare nel lettore una catarsi, ovvero, doveva far provare quello che provano i personaggi. Personaggi altolocati per parlare di temi altolocati. Il teatro era luogo di formazione, che ci faceva riflettere. Nella Tragicomedia ci sono personaggi sia di alto che di basso livello: servi e prostitute ma anche i due giovani altolocati Calisto y Melibea e le loro famiglie. Tragi-commedia perché compaiono sia personaggi bassi che altolocati. Nella Tragicomedia compare un lungo prologo dell’autore dove spiega che ha cambiato titolo e aggiunto nuovi atti perché i lettori glielo hanno richiesto specificatamente, ha prolungato soprattutto la parte “dell’amore”. I lettori volevano che i giovani si amassero di più sia romanticamente che fisicamente ma non per un motivo sessuale ma per far sì che il contenuto didattico dell’opera fosse ancora più forte. Processo di allungamento: 5 nuovi atti che si inseriscono tra la metà del 14esimo atto della commedia + alcuni adattamenti, aggiustamenti. Questa seconda versione ha anche lei un successo strepitoso, nel 1506 si traduce in italiano e compare un’edizione a Roma. Anche la parola Celestina appare per la prima volta nel titolo in Italia, nella stampa di Venezia del 1519, ed è così che la tragicommedia diverrà famosa in futuro. Poi iniziano a comparire edizioni accademiche: gente di altissima cultura che legge, studia e commenta l’opera. Dunque nell’opera deve esserci qualcosa di più che una banale storia d’amore. Problema dell’autorità: chi ha scritto La Celestina? Fernando de Rojas, scrive i venti atti seguenti al primo in giovane età. Il primo atto, infatti, non è suo. Secondo la storia egli andò in una libreria e comprò un manoscritto. Lo lesse molto preso e arrivato alla fine lo trovò incompleto. Decise così di di finirlo. Quindi chi è l’autore del primo atto? De Rojas dice che non lo sa ma che sia bravo come gli autori Rodrigo Cota e Juan de Mena. Rodrigo Cota: Dialogo entre l’amor y un viejo L’argomento di questo dialogo riprende in un certo modo il 1° atto. Ma Cota non aveva quella cultura che noi leggiamo nella Celestina Juan de Mena è l’autore più noioso della letteratura spagnola. È un cervellone, scrive molto bene ed è un autore molto richiesto e conosciuto. Per la sua grande cultura potrebbe benissimo aver scritto lui il primo atto della Celestina. Ma come mai un autore così seguito non lo avrebbe detto? Infatti non è stato Mena. Mentre per un mese Calisto s'incontra nascostamente di notte con Melibea nel suo giardino, Areúsa ed Elicia mettono in atto il loro piano di vendetta. Calisto, che sta per incontrare nuovamente Melibea, fugge a causa di un forte rumore in strada: cade dalla scala usata per scalare l'alto muro del giardino e muore. Dopo aver confessato al padre la sua storia d'amore e la morte di Calisto, Melibea si getta dalla torre della casa e muore anche lei. L'opera tratta argomenti osceni e scabrosi. Si presenta come una parodia dell'amor cortese: Calisto corteggia Melibea, fallendo, e poi, tradendo lo stile cortese, i due si posseggono carnalmente. Il finale è triste: Calisto muore mentre scende le scale che l'hanno portato nel giardino della sua bella amata, mentre Melibea si suicida buttandosi dal balcone della sua residenza. Nella prima uscita dell'opera, la storia si incentrava sull'amore tra Calisto e Melibea ma dopo, nelle varie modifiche che sono state apportate, la storia metterà a fuoco la figura della Celestina, la fattucchiera della storia, colei che cerca di favorire l'amore tra Calisto e Melibea, ma soltanto per scopi personali. DI CHE PARLA LA CELESTINA: La Celestina parla dell’amore, ma dell’amore come conflitto, e questo è fondamentale. Dell’amore e di quello che c’è dietro. L’amore come qualcosa che ci può rovinare la vita, qualcosa di molto pericoloso. Lo declina in diverse storie d’amore, non solo in quella di Calisto e Melibea. C’è amore anche tra servi e prostitute. Rojas vuole raccontare che l’amore è diverso, vuole fare une parodia della filosofia dell’amore del tempo che imponeva chi bisognava amare e chi no: l’amore cortese. Rojas vuole dimostratore che questo è una falsità (l’amore cortese come distinzione tra classi agiate e classi non agiate) attraverso una “parodia” dell’amore cortese. Elementi dell’amore cortese: 1. L’uomo come vassallo della donna. Rovesciamento, l’uomo ubbidisce alla donna accecato dall’amore. 2. Le relazioni sessuali non erano escluse ma non erano viste di buon occhio. Non era l’aspetto principale della relazione. Qualunque tipo di desiderio sessuale avvicinava a una bassa classe sociale. Rifiuto della sessualità denota una classe sociale alta. 3. Segretezza dell'amore. Non raccontare l’amore che denota cafonaggine, bassezza. L’amore è qualcosa da coltivare dentro di sé. Non dire chi ami e perché lo ami. 4. Il matrimonio viene escluso perché renderebbe la donna schiava dell’uomo. 5. La prova della qualità del mio amore è la sofferenza, se non soffri non mi ami: masochismo. Più soffro, più la mia amata capisce che la amo. Questa era la filosofia della gente perbene, ma era anche una questione sociale. La Celestina è anche fortemente misogina pero’, i due personaggi più intelligenti dell’opera sono due donne. Amore come follia: come reperto clinico, non è una metafora. Amor loco, i matti non sono responsabili di quello che fanno. PERSONAGGI: I personaggi nella Celestina non hanno un passato. Tranne di due personaggi (Celestina e Parmeno), degli altri non ci viene raccontato nulla. Modernità dei personaggi: è come se andassero oltre quello che voleva fare Rojas, come se scrivessero da soli la loro storia. La trama va oltre. I personaggi quasi non hanno il tempo di riflettere e apparivano in coppia sempre. Rojas senza saperlo ci ha fatto una splendida fotografia della Spagna di inizio 500. Contrasto tra amore, sesso, sensualità dei giovani e ciò che c’è intorno a loro (violenza, mondo scaltro). Numero di personaggi: Pochi personaggi, poco spazio e succedono tante cose. Capitalismo: tutto gira intorno ai soldi ma prima non era cosi, infatti, la relazione tra servo (“criado” en castellano, cioè, allevato, cresciuto) e padrone era fondata non sui soldi ma sui servizi offerti e la protezione data in cambio. CELESTINA: è una figura di basso livello sociale che pensa solo al proprio profitto personale. Si serve di tutti coloro che possano tornarle utili per i suoi fini senza soffermarsi troppo sulle conseguenze che potrebbero derivarne, infatti sarà proprio la sua poca lungimiranza che la ucciderà. Il personaggio fondamentale dell’opera è Celestina, il personaggio più moderno, quello che colpisce di più. È un personaggio infimo e il suo discorso teorico sulla sessualità (ciò che oggi potremmo chiamare l’amore libero) la renderà il personaggio più interessante dell’opera. Ha la capacità intellettuale di modificare il discorso a suo piacimento, è molto furba e intelligente. Celestina è una ex prostituta, una mezzana, è un personaggio di basso livello che invece di far ridere fa discorsi profondi sulla sessualità (discorso sulla commedia). Personaggio colonna, molto ben costruito. Aspetto fisico: è molto vecchia, veste di nero, tutta coperta con un vestito lungo e lo trascina quando cammina, ha il naso molto aquilino, ha i baffi, il pizzetto (che ricorda la capra, quindi simbolo del diavolo), ha avuto malattie sessuali come la sifilide e per questo le sono rimasti pochi capelli che tinge di biondo ed ha una cicatrice sulla guancia probabilmente fatta da un ex cliente. Tutto rimanda al diavolo, lei fa la strega, ha un laboratorio nella sua casa. Sa che gli uomini cercano di nascondere il loro desiderio con la retorica, che per Celestina è ipocrisia, la gente non dice cosa vuole. Celestina vende il suo prodotto che è l’amore ma non dice mai che è cattivo, pericoloso. Usa la sua intelligenza per smascherare le debolezze umane, sentiamo automaticamente simpatia per lei. Ha due difetti: - Le piace molto il vino, enofilia, è un’ ubriacona, - Le piace la cupidigia, ovvero, i soldi. Morirà per questo. La capacità retorica di Celestina è in grado di far cambiare opinione a Melibea. TEMA DELLA MAGIA: La magia ha un ruolo fondamentale nella Celestina. A proposito del cambio radicale di Melibea, la magia potrebbe esserne la motivazione, la causa del suo cambiamento. Celestina fa un incantesimo verso Melibea, che durante il loro primo incontro l’aveva respinta: FILOCAPTIO, provocare l’amore verso qualcuno in una persona. La magia in quel periodo storico era importante, piaceva alla gente. È per questo, molto probabilmente, che Rojas la inserisce nella sua opera, non perché ci credesse. CALISTO: giovane nobile, rappresenta la parodia dell'eroe cavalleresco, presentandone le caratteristiche ma non le qualità. È il desiderio carnale che fa funzionare il suo amore e non il sentimento amoroso puro e purificato raggiungibile solo tramite l'amore platonico. Egli rappresenta la figura dell'antireligioso poiché, vedendo la sua amata Melibea come dea, va contro la religione Cattolica. La prima descrizione del personaggio ci racconta un Calisto educato, benestante, un ragazzo perfetto. Dopo aver conosciuto Melibea cambia, diventa “stupido”. Vuole soltanto sesso da Melibea ma non può dirlo e ammetterlo per via della sua classe sociale. Rojas ridicolizza questo personaggio. Rappresenta l’ alta società castellana, classe molto agiata. MELIBEA: bella e desiderata rappresenta come Calisto la parodia della tipica figura femminile delle opere di cavalleria e di amor cortese. Dopo il rifiuto iniziale, infatti, non impiega molto tempo a lasciarsi travolgere dal desiderio fisico e dalla passione verso Calisto, perdendo ogni pudore e la sua verginità. Incarna la figura della peccatrice, che inganna la sua famiglia e che si concede, prima del matrimonio e per mezzo di un "amore illegale", al suo amato. Personaggio più intelligente dell’opera dopo Celestina. Fattore importante per l’epoca. La sua intelligenza serve per contrastare la Celestina. Melibea subisce una trasformazione durante il corso dell’opera. Diventa una donna libera e intraprendente. Rojas ci racconta che Melibea cambia per tre motivi: - l’incantesimo di Celestina; - la capacità retorica di Celestina dell’amore è cosi forte da convincere Melibea ad amare Calisto; - il terzo motivo del cambio di Melibea è nascosto, rivelato alla fine. Melibea è una zitella. Veniamo a sapere alla fine dell’opera che Melibea, giovanissima, dovrebbe essere già una donna sposata, e ciò che è successo è colpa di Madre Natura. GENITORI DI MELIBEA: I genitori di Melibea sono piuttosto rozzi, quasi cafoni nonostante siano personaggi altolocati. PLEVERIO: È un padre amorevole, tenero. Per l’epoca era un personaggio senza coraggio, che non faceva il suo dovere da genitore. La gente rideva di lui perché non era un padre autoritario. Pleverio ha dei sentimenti e ciò lo rende debole, un pagliaccio. È un po’ egoista perché lascia che la figlia non si sposi perché in fondo la vorrebbe sempre con sé. El planto de Pleverio: è un discorso che compare alla fine e che Pleverio fa davanti alla figlia morta. Ammette di avere la colpa per non aver fatto sposare la figlia, fa un discorso sulla forza dell’amore, e dice che siamo tutti nelle mani del destino perché la vita è una pura casualità (Pleverio va contro la cristianità). Pessimismo che possiamo collegare al fatto che Rojas sia un converso. ALISA: Per l’epoca è una buona madre, si rende conto che la figlia ha altri desideri ed è proprio lei che cerca di fare qualcosa. Lascia entrare Celestina in casa e commette un grande errore. EGLOGA II La egloga II (1885 versi) è la prima scritta da Garcilaso; presenta una piccola imperfezione; ed è dovuta al fatto che Garcilaso per la prima volta combatte con una strofa molto complessa. Il suo sbaglio fu quello di mescolare nell’egloga un altro tema oltre a quello dell’amore. Nel caso delle egloghe che Garcilaso copia agli italiani, le egloghe parlavano di amore in un contesto pastorale. Garcilaso che sapeva questo, viene a mancare a questo precetto; la sua egloga non parla solo di amore. La egloga II racconta la storia di un pastore di nome Albanio (si pensa che il nome sia ripreso dal suo grande salvatore cioè il duca di Alba). Questo pastore è cresciuto insieme a Camilla, una splendida ragazza. Crescendo Albanio si prende una cotta per lei ma Camilla non può soddisfare i suoi desideri perché lo considera come un fratello. Inoltre, Camilla è consacrata alla dea Diana, dunque, non poteva avere rapporti. Camilla, quindi, inizia a vedere che Albanio è sempre triste e gli chiede il perché di tanta tristezza. Albanio le dice che è molto innamorato, e di andare alla fonte per scoprire chi è questa ragazza. Camilla specchiandosi nella fonte capisce che è lei la donna di cui Albanio sta parlando e fugge. Albanio, distrutto, ci racconta la sua sofferenza, tanto da volersi uccidere. Arrivano due suoi amici che vedendolo in quello stato gli offrono aiuto: c’è un uomo, chiamato il Mago Severo che riesce a sanare le pene amorose, ed abita nelle vicinanze del fiume Taco. I due amici lo portano quindi da questo mago (fin qui è una egloga pastorale). Qui comincia lo sbaglio di Garcilaso perché il Mago Severo si trova con i pastori e dice il fiume Taco (umanizzazione) mi ha preso per le mani e mi ha portato dentro di sé, e mi ha mostrato uno scrigno di cristallo scolpito con le avventure incredibile del casato di Alba. Quello che il Mago Severo racconta ai pastori è una descrizione bellica, è una narrazione epica di guerra che non c’entra nulla con l’amore. La descrizione dello scrigno è assolutamente enfasi e vengono dedicati un sacco di versi. Questo non ha nulla a che fare con l’egloga. Il Mago Severo dà un filtro magico a Albanio e così riesce a dimenticarsi di Camilla senza smettere, pero’ di amarla. EGLOGA III Scritto nel 1536, è un capolavoro. Si compone di 376 versi, distribuiti in 47 stanze. È dedicato alla signora María Osorio, moglie del signor Pedro de Toledo. Nella pace assoluta del paesaggio, quattro ninfe emergono dal fiume Tago e ricamano storie d'amore e di morte. Tre di loro tessono arazzi con motivi mitologici e il quarto una storia contemporanea. Le egloghe utilizzano i pastori come protagonisti esclusivi perché, in accordo con la tradizione occidentale, i pastori vivendo in contatto con la natura sono esseri incontaminati e sono gli unici che provano il vero e puro amore. Non sono contaminati dalla città creata dall’uomo ma sono in contatto con la natura creata da Dio. Nella seconda egloga abbiamo parlato di un contesto laico, non abbiamo parlato di Dio. Tutti i componimenti di Garcilaso si inseriscono in un contesto pagano, Dio non compare. Anche i modelli italiani si inserivano in un contesto pagano. Non compare mai la religione. Argomento:
 Siamo nelle rive del fiume Taco, un pastore vede 4 ninfe che stanno tessendo degli arazzi. Ognuno di essi ha una tema particolare: 1. La prima ninfa tesse la storia di Orfeo e Euridice. È una storia classica, che parla d’amore irraggiungibile classico mitico. 2. La seconda ninfa tesse la storia di Dafne e Apollo. 3. La terza ninfa tesse la storia di Venere e Adoni. 4. La quarta ninfa tesse la storia della ninfa Elisa, che partorendo il suo terzo figlio muore. Queste quattro ninfe nascondono dietro i loro nomi le figlie del viceré di Napoli, mentre Elisa continua ad essere il ricordo ossessivo di Isabel Freire. Qui possiamo vedere come in Garcilaso la poesia sia diventata un mezzo per evadere dalla realtà. Tutto si trova in lontananza e avvolto in un alone poetico. Il tema principale della Egloga III, quindi, è la sofferenza causata negli innamorati dalla morte della persona amata. E nel caso specifico della storia di Garcilaso (storia di Nemoroso ed Elisa), il lutto del poeta, la sua accettazione dopo il tempo e la sua liberazione. ANALISI EGLOGA I Scritta a Napoli intorno al 1534, è considerata un capolavoro, è dedicata a Don Pedro de Toledo, viceré di Napoli, protettore del poeta, ed è composta da 421 versi. I suoi temi centrali sono il canto della delusione e della morte. I protagonisti di questa egloga sono due pastori, Salicio e Nemoroso. Salicio soffre per il tradimento di Galatea, la sua amata, e Nemoroso soffre per la morte di Elisa (Isabel Freire). Si tiene conto del fatto che gli esseri che vivono nella natura sono esseri più puri e reali, rispetto alle persone che vivono in città, considerate, tra l'altro, corrotte. Si compone strutturalmente di 30 strofe, che chiameremo stanze, ognuna composta da 14 versi (420 versi totali) alternati tra endecasillabo e settenario. La struttura che adotta Garcilaso è quella di 10 versi endecasillabi e 4 settenari, inseriti all’interno del testo alternandoli: 6 endecasillabi, 3 settenari, 3 endecasillabi, 1 settenario, 1 endecasillabo. La struttura riprende l’Egloga ottava di Virgilio: introduzione, dedica, due monologhi. Garcilaso innesta però un elemento nuovo tra la dedica e i monologhi: la transiciòn (alcuni versi di transizione). In questa Egloga, essendo stata la seconda ad essere scritta, Garcilaso elimina la componente epica (presente nella seconda). Sono fondamentali i concetti di locus amenus e di natura, poiché Salicio e Nemoroso dialogheranno con essa. Il testo affronta inoltre il problema della cuestio: dei due pastori, soffre di più Salicio o Nemoroso? Dal verso 1 al verso 6 vi è l’introduzione. Vengono introdotti i personaggi, l’argomento che verrà trattato (las quejas = i lamenti) e introduce il nuovo personaggio, la natura. Nel primo verso infatti, si mettono in risalto i lamenti di Salicio e Nemoroso, ascoltati dalla natura che diverrà la loro confidente. Dal verso 7 al verso 42 vi è la dedica a Pedro de Toledo, dove si richiede la sua attenzione, ovunque egli sia, al governo, in guerra o a caccia. Gli si chiede di aspettare perché Garcilaso avrebbe migliorato il testo rispetto a quello precedente, inserendo le virtù e la fama di Pedro de Toledo. Tutto questo sarà fatto per mandare avanti la sua memoria; la dedica si chiude, così come si apre, con il “tu”, e viene utilizzato l’imperativo. Data la dedica a Pedro de Toledo, noi non siamo ascoltatori ma semplici lettori. Dal verso 43 al verso 56, la quarta strofa, vi è la transizione. Si presenta subito un’immagine spettrale. La transizione serve a darci le coordinate e la prima che incontriamo è quella temporale (ci troviamo agli inizi del giorno). Dopo questa transizione si parlerà di Salicio, pertanto associeremo questo personaggio all’albeggiare. Successivamente incontriamo le coordinate spaziali (Salicio sotto l’albero). In questo spazio e in questo tempo, Salicio si lamentava, in modo molto dolce, di colei che è la responsabile dei suoi lamenti (Galatea, che lo ha lasciato per Antonio De Fonseca) rivolgendosi alla natura. La terza strofa va dal verso 277 al verso 281. Nemoroso va alla ricerca della propria donna, chiedendosi dove sono i suoi occhi, le sue mani, i suoi capelli, in questo momento. Elisa viene descritta perciò, in modo differente rispetto a Galatea, come una donna dell’ideale cortese e non fredda come l’amata di Salicio. La quarta strofa va dal verso 282 al verso 295. Nemoroso si chiede il motivo per cui nello stesso luogo in cui è stato felice ora provi sofferenza (opposizione passato felice – presente triste). La causa di tutto questo è il tempo, non la natura. Nemoroso si preoccupa del fatto che ora sia solo e pensa che non abbia più senso vivere. La quinta strofa va dal verso 296 al verso 309. Nemoroso si rivolge ad Elisa dicendole che non c’è più abbondanza di raccolto da quando lei ha abbandonato lui e la natura stessa. È presente il concetto dell’amore che regge la natura; senza amore non c’è armonia, quindi caos totale. La natura pertanto soffre con Nemoroso per la mancanza di equilibrio. La sesta strofa va dal verso 310 al verso 323. All’interno di questa strofa si torna a parlare di contrapposizioni (come la quarta strofa). Si parla dell’opposizione del giorno e della notte, vita e morte di Elisa. La speranza di Nemoroso è quella di rivedere Elisa, aspettando quindi la morte. La settima e l’ottava strofa le consideriamo insieme perché sono l’una la conseguenza dell’altra. Dal verso 324 al verso 351 vi è la comparazione che Nemoroso fa tra lui e l’usignolo. Nemoroso si sente come un usignolo che tornando al suo nido si rende conto che è stato distrutto dal contadino; ha lo stesso suo stato d’animo. Il contadino rappresenta lo scorrere del tempo che strappa via Elisa a Nemoroso. La natura assiste alla sua sofferenza. Nemoroso dice che, come l’usignolo, lui si lamenta invano, perché sa che la situazione non può cambiare, ma fino a quando sarà in vita soffrirà l’assenza di Elisa. La nona strofa va dal verso 353 al verso 365. È la strofa dove predomina il concetto di feticista. Nemoroso ha conservato una ciocca di capelli di Elisa in un fazzoletto bianco (purezza), che porta sempre con sé. Annusando i capelli di Elisa (riportando il concetto di memoria) sente ravvivarsi la “llama ardiente”. Solo in questo modo è in grado di alleviare la sua sofferenza. Il cordone indica il pegno d’amore e lo usa per tenere uniti i capelli di Elisa (Elisa viva). La decima strofa richiama il concetto di memoria, che prima faceva ricordare a Nemoroso i bei momenti con Elisa, mentre ora gli fa ricordare la “noche tenebrosa” (Elisa morta). Lucina si identifica in Diana, dea delle partorienti; Nemoroso riprende Lucina perché Elisa è morta durante il parto e lei avrebbe dovuto proteggerla. L’undicesima strofa prosegue con questo concetto. La dodicesima strofa va dal verso 394 al verso 407. Si ha l’immagine divina di Elisa. Nemoroso le chiede perché lui deve continuare a soffrire e vuole che lei faccia scorrere il tempo velocemente per poterla rivedere, raggiungere il cielo e rivivere i bei momenti con lei. Dal verso 408 al verso 421 torna a parlare Garcilaso. Il poeta parla del tramonto, transizione fondamentale perché Salicio lo associamo all’albeggiare, mentre Nemoroso all’imbrunire. Grazie a questo si può capire chi soffre di più. Negli ultimi 3 versi, il poeta fa riferimento ai canti come se fosse stato tutto un sogno. All’interno di questa Egloga vi è quindi il concetto di donna come sofferenza, sia per Salicio che per Nemoroso, anche se comunque le due donne sono diverse: Galatea provoca sofferenza volontariamente, mentre Elisa lo fa involontariamente. LA VIDA DE LAZARILLO DE TORMES Y de sus fortunas y adversidades (1554) È un libro molto complesso. Non sappiamo se è una biografia o un’ autobiografia, ma dato che non c’è il nome dell’autore sulla copertina possiamo supporre che si tratti di un’autobiografia. È una storia soggettiva perché racconta il punto di vista di Lazzarillo , la sua verità. Autobiografia finzionale perché è l’autore che si mette nei panni di Lazzaro, è un gioco letterario. L’autore non è Lazzaro De Tormes, ma non è importante sapere il suo nome, è più importante conoscere la sua personalità. Autore: L’autore è sconosciuto ma doveva essere una persona estremamente intelligente, di cultura, che ha letto molto. È così colto che cerca di presentarsi come ignorante. Cerca di raccontare un’altra faccia della realtà, la vita di una persona normale. L’autore era di ideologia erasmista, era contro la corruzione della chiesa (vedi Erasmismo). Per questo nel Lazarillo De Tormes c’è una grande componente anticlericale. Scrittore / Narratore = Personaggio Nessuno conosceva il nome di Lazarillo De Tormes, perché avremmo dovuto imparare qualcosa da questo “nessuno”? Dati Editoriali: La prima versione conosciuta del Lazarillo De Tormes è del 1554. Non sappiamo esattamente quando è stato scritto, ma lo possiamo dedurre da alcuni punti cronologici del libro, a partire da accenni storici e fatti realmente accaduti: Prima allusione: Quando il padre di Lazarillo morì sull’isola di Gelves, in nord Africa durante una spedizione militare, Lazzaro aveva 7 anni. Ci sono due spedizioni a Gelves, una nel 1510 e una nel 1520, a quale si riferisce l’autore? Allusione alla fine del libro: Lazzaro dice che si è sposato quando a Toledo si stavano festeggiando les Cortes. Anche qui ci sono due opzioni, les Cortes del 1525 e quelle del 1538/1539. Pubblicazione: nel 1554 il Lazarillo De Tormes compare in 4 posti differenti: Burgos, Anversa (Paesi Bassi), Alcalá de Henares, Medina del Campo. Ma per far sì che compaia insieme in posti diversi, era necessario che ci fosse già una copia, per cui sicuramente c’era un’ edizione passata probabilmente del 1552-1553. Questo indica che il libro ebbe grande successo. La situazione si era capovolta: era Lazzaro che dava da mangiare allo scudiero (il suo pezzettino di pane), sentiva pietà nei suoi confronti. Inoltre, iniziò a rimpiangere la sua vita passata. Lo scudiero, alla fine, scappa per i debiti e non fa più ritorno, non lavora per orgoglio, per la sua classe sociale. Da qui, Lazaro impara che le apparenze sociali, di nobiltà, ingannano e, soprattutto, non riempiono la pancia. In questo caso è il padrone che lascia Lazzaro. 4° Trattato: servizio di un frate Il quarto trattato è breve, Lazzaro va al servizio di un frate della Mercede, il quale andava sempre in giro e non lo sfamava. 5° Trattato: servizio di un venditore di indulgenze (buldero) Lazzaro impara quanto sia facile ingannare le persone, soprattutto quando si parla di fede, “la religione è l’oppio del popolo” e impara a non fidarsi mai della religione perché è tutto falso. Viene messa in risalto l’ipocrisia della chiesa dato che il “buldero” ingannava le persone attraverso le bolle papali. 6° Trattato: maestro di tamburi e cappellano È molto breve, Lazzaro va al servizio prima di un maestro che dipingeva tamburi (pedofilia), e poi di un cappellano, il quale gli dà il primo lavoro serio: inizia a vendere acqua per la città su di un asino (strillone, urla come quando si vende qualcosa al mercato). Lavora per 4 anni con questo signore e inizia a racimolare un po’ di denaro. Si sente un uomo inserito nella società. Impara la vita degli affari. 7° Trattato: poliziotto e arciprete San Salvador In questo trattato, Lazzaro va al servizio prima di un poliziotto e poi dell’arciprete San Salvador. Grazie all’arciprete inizia a vendere il vino, e questo è il lavoro che fa ancora adesso. Inoltre, proprio lui gli permette di sposarsi con la sua serva, la sua perpetua. Quando si sposa con lei, si sente come se fosse arrivato a buen puerto: questa espressione, secondo i trattati del tempo, era considerata una schifezza sociale. “Visto che Vostra Signoria mi scriva che le si scriva e le si racconti la storia molto per esteso, mi è sembrato meglio non cominciare dal mezzo ma dal principio, così si avrà intera notizia della mia persona. E anche perché coloro che hanno ereditato una nobile condizione pensino in quanto poco gli sia dovuto, perché la fortuna è stata parziale con loro; e quanto di più hanno fatto coloro che, nonostante la sorte avversa, remando con forza e destrezza, giunsero a buon porto” Con queste parole, Lazzaro riassume la sua vita e le sue avventure, dice che in quel tempo era nella sua prosperità e al culmine della sua fortuna. Dice che tutto dipende dalla prospettiva: essendo già partito da un lavoro basso, per lui il buon porto è qualcosa di bello. Anche se noi potremmo pensare che il suo lavoro non sia proprio bello per lui invece lo è. Per diverso tempo, Lazzaro vive molto bene, fin quando non gli arrivano delle malelingue sul fatto che sua moglie lo tradisce con l’arciprete. Un giorno, Lazzaro lo chiede direttamente alla moglie ma lei reagisce molto male, si arrabbia e si mette a piangere. Da quel giorno lui le giurò che non avrebbe mai fatto più cenno a quella storia perché era sicuro della sua onestà. Lazzaro, però, chiede anche all’arciprete, il quale rispose che “se uno sta a badare a quello che dicono le malelingue non farà mai strada nella vita”. Inoltre aggiunge che se sua moglie entra ed esce da casa sua, il profitto non è solo il suo ma anche di Lazzaro. Perché Lazzaro lascia che sua moglie lo tradisca? Noi, non lo faremmo mai, lui invece lo fa per tutta la vita. Se noi avessimo avuto la sua vita cosa avremmo fatto? Sicuramente lo stesso che ha fatto lui. Un’altra caratteristica molto importante del testo è El Caso (affare/questione): compare all’inizio nel prologo e poi nell’ultimo trattato. È una parola che compare nell’opera solo due volte ed è fondamentale. È un eufemismo che Lazzaro utilizza per non raccontare che sua moglie gli è infedele e a lui non importa. Tutto ciò che racconta Lazzaro lo fa in giustificazione del Caso, del suo presente. Tutto quello che ci racconta gira intorno al caso, cerca di giustificarsi delle sue azioni proprio perché ci vuole far capire che noi al suo posto avremmo fatto la stessa cosa. È presente un linguaggio ironico. Inoltre, da questo libro nascerà la figura del pìcaro e il romanzo picaresco. Temi del genere picaresco: 1. La fame, el hambre; 2. La famiglia, c’è una vergogna nei confronti della famiglia che è povera e disonesta; 3. Desiderio de medro, di migliorare, guadagnare di più, desiderio di progressione sociale; 4. Infamia matrimoniale, l’unico essere che riesce a fregare el picaro sono le donne; 5. Soggettività; 6. Servicio a varios amos (servizio a diversi padroni), ogni capitolo un padrone diverso. Pìcaro: popolano furbo, imbroglione e privo di scrupoli. Nel prologo ci viene detto che possiamo fare una doppia lettura della sua lettera: - Lettura superficiale: una lettura comica per gli analfabeti - Lettura profonda: dedicata ai più colti, ai quali piacerà intellettualmente e capiranno il messaggio etico e morale, della filosofia di Erasmo. Ci dice anche che però la persona colta non esclude nessuna lettura, perché per capire a pieno il testo dobbiamo fare entrambe le letture. PEDRO CALDERON DE LA BARCA, La vida es sueno Pedro Calderon De La Barca nasce a Madrid nel 1600 e muore nel 1681 e con lui finisce il secolo d’oro della letteratura spagnola. Egli studiò presso i gesuiti ed ebbe una grande istruzione (i gesuiti sono stati tra i primi ad utilizzare il teatro per cercare di trasmettere un contenuto religioso o a volte semplicemente didattico). Nel 1614 entro a studiare all’università di Alcalà, poi a quella di Salamanca per studiare diritto canonico, all’epoca considerata come la laurea più difficile. Era dunque un grande intellettuale ed una persona estremamente colta. Fu un soldato e nel 1651 diventò prete ,ma fu anche un autore cortigiano. Il teatro di Calderon è un teatro molto elevato e colto, che vuole lasciare qualcosa, un insegnamento. Secondo lui il teatro deve divertire ma anche trasmettere un messaggio (“Delectare et Prodesse”). *Autos sacramentales: rappresentazioni di atti sacramentali “La vida es sueno” è un’ opera meravigliosa ma anche molto complessa ed ha una forte componente didattica e filosofica. Trama: Primo Atto: In un'immaginaria Polonia, vive un verosimile re, Basilio, esperto di astrologia. Egli, alla nascita del figlio Segismundo, prevede che questi diventi un principe sanguinario e tiranno. Per evitare che ciò accada lo fa rinchiudere in una torre. Segismundo è custodito da Clotaldo, il fido del re, dal quale riceve la sua unica educazione sul mondo esterno che non ha mai avuto modo di vedere con i suoi occhi. All'inizio del dramma compaiono Rosaura, figlia di Clotaldo, e il suo servo Clarino. Clotaldo non conosce la figlia in quanto aveva abbandonato la moglie prima che la bambina nascesse. Rosaura sarà riconosciuta dal padre per mezzo di una spada che la giovane gli consegnerà. Rosaura e Clarino si avvicinano alla torre, illuminata da una fioca luce, dove è rinchiuso Segismundo. Quest'ultimo, inferocito per essere stato sorpreso, minaccia di ucciderla ma interviene Clotaldo che chiama immediatamente le guardie e fa arrestare i due intrusi. Intanto, il re Basilio decide di mettere il figlio alla prova dandogli la possibilità di cambiare il suo destino. Fa dunque somministrare a Segismundo un sonnifero e durante il sonno lo fa trasportare a corte. Secondo atto: Nel secondo atto si vede Segismundo alla reggia, attonito tra i musici che suonano, e i servi che lo vestono. Clotaldo intanto gli racconta la verità e la necessità di afferrarsi a se Dopo 19 anni in cui Segismundo è rinchiuso nella torre, re Basilio ripensa a ciò che ha fatto ed ha un dubbio: e se avesse commesso un errore? Decide quindi di portare Segismundo a palazzo, per dargli una possibilità, per metterlo alla prova e vedere come si comporta. Per farlo gli fa servire una cena avvelenata con del sonnifero, Segismundo si addormenta profondamente e così viene portato a palazzo. La mattina seguente Segismundo si sveglia in una delle stanze del palazzo e rimane sbalordito. Tutto ciò va oltre la sua realtà. Prima la torre era la sua realtà, ora lo è il palazzo, la torre diventa sogno. “Chi mi dice che domani il palazzo non sarà sogno? Se mi sono sbagliato una volta, posso sbagliarmi anche una seconda volta”. Da queste parole capiamo che il ragazzo non è capace di distinguere la realtà dal sogno. Non è preparato alla vita di palazzo perché non ha ricevuto nessun tipo di educazione e questo lo capiamo anche dal suo linguaggio. Per Segismundo il linguaggio è referenziale, non ci sono connotazioni e non sa giocare con esso come fanno i cortigiani, che sono ironici e usano giochi di parole. Commette due sbagli a palazzo: 1. Segismundo ad un certo punto butta un cortigiano dalla finestra uccidendolo perché pensava che lo stesse prendendo in giro. Dopo quest'azione, Basilio è sempre più convinto che aveva ragione. 2. Un giorno, a palazzo, Segismundo vede Rosaura da sola in una stanza e vuole possederla fisicamente, ha un desiderio sessuale. Sta per stuprarla, ma capisce che è innamorato, le chiede scusa e se ne va. Capisce che quello che stava per fare sarebbe andato contro ciò che aveva provato la prima volta che l'ha vista: piacere estetico. Il re Basilio, a questo punto, pensa di avere ragione perché suo figlio non sa comportarsi, ma questo accade perché lui non lo ha mai educato. Decide quindi di riportarlo alla torre con lo stesso metodo usato per portarlo a palazzo. Quando si sveglia Segismundo non sa più cosa sia sogno e cosa sia realtà. Capisce, però, che non deve affidarsi ai sensi per fare questa distinzione perché i sensi ingannano, ma deve affidarsi all’intelletto. Segismundo inizia a pensare che tutto è fondato sulla sua capacità di analizzare, sull’autoanalisi. Clotaldo: È il consigliere, il fido di Re Basilio, ma non si mescola con gli altri cortigiani e viene definito “straniero strano”. È l'unico che va alla torre per portare da mangiare ed educare un po' Segismundo. Si comporta meglio del padre, è come se prendesse il suo posto. Facendo questo, Clotaldo rischia la vita per Segismundo. Successivamente si scopre che è il padre di Rosaura, ma lui non lo sa. 3° Atto Intanto un capitano delle guardie di palazzo ha visto tutto e ha capito che il Re sta togliendo il suo legittimo erede al popolo: va nella torre, libera Segismundo e prepara un esercito per combattere contro il re Basilio. Nella battaglia vince Segismundo che ai suoi piedi avrà il re e la possibilità di ammazzarlo con una spada, ma lo aiuta ad alzarsi, si inginocchia e gli bacia la mano. Così facendo, lui vince la battaglia: se lui avesse ammazzato suo padre, egli avrebbe avuto ragione con le stelle e Segismundo sarebbe diventato automaticamente un tiranno. *Trionfo della ragione che porterà Sigismundo a non uccidere il padre e a comportarsi secondo il libero arbitrio e non secondo quanto hanno detto le stelle. Segismundo taglia la testa al capitano che lo ha liberato perché lo considera un traditore. All'interno del testo è fondamentale il ruolo del monologo, attraverso i monologhi l’uomo conoscerà sé stesso. Ci sono 4 monologhi attribuiti a Segismundo: 1. Monologo iniziale, 1° Atto, 2: lui si trova nella torre e guarda fuori dalla finestra; è qui che si renderà conto della sua condizione di recluso. Si paragona alla natura, agli animali liberi, ai 4 elementi terrestri e si rende conto che hanno più libertà loro che non sono dotati di ragione di lui stesso. 2. Dopo il ritorno alla torre dalla visita del palazzo, 2° Atto, ultima scena: è qui che parlerà della permanenza a palazzo come un sogno; ed è qui che Clotaldo lo convincerà che è stato davvero un sogno, perché i sensi con cui ha toccato, visto e sentito ti ingannano. In questo caso avremmo un soliloquio più che un monologo, in quanto parla con sé stesso ma si rivolge al pubblico. 3. Saggezza, 3° Atto, 10: decide di rinunciare a Rosaura e di non violentarla affinché vada in sposa ad Astolfo, personaggio prudente e saggio. 4. Monologo di perdono del padre, 3° Atto, 14 Interpretazioni 1. Ontologica: il sogno viene rappresentato come brevità, la vita è un sogno quando non ci comportiamo come vogliamo noi, seguendo ciò che vogliono gli altri; la vita è tale quando ci comportiamo secondo il libero arbitrio. Poche volte ci accorgiamo della nostra esistenza, poche volte siamo consapevoli del nostro esserci. Molte volte ci lasciamo andare senza rendercene conto come se fossimo sempre addormentati, non siamo in grado di opporci alla società, ci lasciamo trasportare. Quando facciamo così, la vita è come un sogno, non la viviamo come vita vera. Dobbiamo quindi affidarci al nostro intelletto per coltivare principi ed ideali mentali che ci permettono di guidarci, di essere coscienti. 2. Teologica: all’interno dell’opera abbiamo 2 problemi teologici: le stelle e la finalità del matrimonio. Fino a che punto dobbiamo credere nelle stelle? Dobbiamo tenerne conto, ma non dobbiamo farci fuorviare da esse (es. Re Basilio che si affida completamente, senza verificare) -> comportamento secondo il Protestantesimo che crede nella predestinazione; si contrappone al Cattolicesimo, comportarsi bene per ricevere del bene. Qual è lo scopo del matrimonio? Procreare. Secondo la dottrina cattolica fare figli vuol dire anche educarli, ciò che non fa Re Basilio (-> si comporta sempre secondo Protestantesimo). 3. Morale: tutti noi siamo combattuti tra una parte istintiva e una parte razionale. 4. Giuridico-politica: Re Basilio che giustifica ciò che fa per il bene comune, ma in realtà lo fa solo per sé stesso. È un personaggio ipocrita ed egoista. MIGUEL DE CERVANTES Y SAAVEDRA 1547-1616 Nato ad Alcalá de Henares nel 1547, fu figlio di Rodrigo de Cervantes, chirurgo, mestiere che all’epoca consisteva nel fare dei piccoli salassi, quindi di poco prestigio (non era il lavoro che conosciamo noi oggi). Il padre era sordo e duo nonno era molto ricco. I primi anni di vita di Cervantes furono al l ’ insegna di continui spostamenti, probabilmente a causa dei debiti contratti dal padre. Dopo alcuni tentativi letterari giovanili nel 1569 Cervantes lasciò la Spagna a causa di un duello finito male (per sbaglio uccide un tizio famoso) e si recò prima a Roma al servizio del cardinale Giulio Acquaviva e poi, a Napoli dove si arruolò volontario nell’esercito spagnolo impegnato nella lotta contro l’impero ottomano. In Italia entra a contatto con la cultura e la letteratura italiana e se ne innamora perdutamente, leggendo moltissimi testi. Nell’ottobre del 1571 partecipò alla famosa battaglia di Lepanto in cui venne ferito al petto e al braccio sinistro, di cui perse l’uso. Questo spiacevole incidente, tuttavia, non gli impedì di continuare la sua carriera militare. Nel 1575 si imbarcò a Napoli con il fratello, diretti in Spagna, ma la nave fu catturata dai pirati turchi e i due furono fatti prigionieri. Dopo aver trascorso 5 anni di prigione ad Algeri, da dove tentò di fuggire ben 4 volte, fu riscattato e tornò finalmente in Spagna. Nel 1580 riuscì a tornare in Spagna, dove esordì con il romanzo pastorale La Galatea (1585). La necessità di guadagnarsi da vivere lo obbligò al duro lavoro di esattore d'imposte: anche per questo Cervantes pubblicò solo in tarda età la prima parte del Don Chisciotte (1605). L'enorme successo del romanzo gli consentì di dare alle stampe in pochi anni le altre sue opere: le Novelle esemplari (1613), il Viaggio del Parnaso (1614), la seconda parte del Don Chisciotte e le Otto commedie e otto intermezzi nuovi, mai rappresentati (1615). Morì a Madrid nel 1616; l'anno seguente apparve il suo ultimo romanzo, Le avventure di Persiles e Sigismonda. Tutto quello che Cervantes aveva cercato di fare nella sua vita era stato un fallimento: 1. Perde l’uso della mano sinistra nella battaglia di Lepanto; 2. Si sposò con una donna che non amava; 3. Le sue sorelle facevano lavori spiacevoli per portare qualcosa da mangiare a casa (fingevano di essere incinte per riscattare denaro ai presunti padri); 4. Provò la strada del teatro, che era il genere di prestigio per eccellenza nel 1500, ma anche questa fu un fallimento perché lui voleva un teatro che insegnasse qualcosa, che fosse didattico e all’epoca ciò veniva considerato noioso. A quel tempo, il teatro più importante era quello di Lope de Vega. Cervantes però era insuperabile negli intermezzi (entremeses): brevi operette comiche rappresentate tra un atto e l’altro. Prima uscita: il protagonista, Don Quijote, per la lettura di troppi libri sulla cavalleria, impazzisce e decide di farsi cavaliere andante. Vive con una nipote sui 20, una governante di 40 anni e un tuttofare. Ama cacciare (simbolo della malinconia, è segnato dalla tristezza), è completamente solo poiché non ha affetti e non fa nulla tranne che leggere libri di cavalleria per evadere dalla solitudine e dal luogo in cui vive (letteratura escapista). Il narratore ci racconta il processo per il quale Don Quijote diventa matto. Diventa Don quando diventa matto, prima era Alonso Quijano (a cui vengono dedicate poche righe). Contraddizione tra Alonso Quijano e Don Quijote: metamorfosi. Il narratore ci racconta come diventa matto e poi la sua pazzia. La prima uscita è molto breve, perché? I lettori non sanno il suo nome, né precisamente dove si svolge la narrazione né la tempistica. Si pensa che questa prima uscita sia stata concepita come una novella poiché è più lunga rispetto alle altre. Si pensa che Cervantes non volesse scrivere il Don Quijote ma una novella. Ad un certo punto pero’ si accorge che quella novella di 30 pagine potrebbe diventare un romanzo e allora fa rientrare il personaggio a casa sua ed inizia a pensare alla seconda uscita. Seconda uscita: Don Quijote erra per la Spagna insieme a Sancho Panza, che diventa il suo scudiero. Finalmente il cavaliere si relaziona con qualcuno attraverso il dialogo. Cervantes ci offre uno dei processi più belli del romanzo: Don Quijote si sanchifica e Sancho se quijotiza, ognuno infatti diventa l’altro. All’inizio le posizioni sono diverse: Don Quijote è un ingenuo, Sancho pensa solo a riempirsi la pancia e con l’avanzamento della narrazione, Don Quijote diventa “un po’ più Sancho”, senza abbassarsi ai suoi livelli, mentre lo scudiero raggiunge pienamente i livelli di pazzia del suo padrone alla fine del romanzo, chiedendogli altre avventure in punto di morte. Tutto questo è possibile grazie alla forza del dialogo: il dialogo infatti presuppone che i personaggi si ascoltino e con questo si può raggiungere qualsiasi obiettivo, anche l’inimmaginabile. Terza uscita: incontriamo un personaggio fondamentale, il bachiller Sanson Carrasco, laureato a Salamanca. Grazie a lui, il cavaliere e il suo scudiero apprendono che la loro storia è stata scritta e pubblicata su un libro, nel quale si raccontano le loro avventure. Sanson si configura con il lettore dell’opera che per la prima volta ha letto la prima parte del romanzo ed è l’unico che capisce come salvare don Quijote. Infatti lo sfida a duello per ben due volte: la prima battaglia è vinta dal Cavaliere della triste figura mentre la seconda è vinta dal Cavaliere della Bianca Luna e per questo dovrà tornare a casa e riposarsi. Purtroppo però morirà. Viene pubblicata nel 1615, 10 anni dopo la prima parte. In questi anni Cervantes approfitta del successo della prima parte per pubblicare altre opere. Dal punto di vista letterario Cervantes è completamente maturo e pronto a far comparire un altro personaggio importantissimo: el Bachiller Sanson Carrasco. 
 I narratori Il narratore si configura con un Yo che non è Cervantes, gestisce infatti tutto il racconto. Decide di non indicarci quale sia il luogo in cui si svolge la vicenda e nemmeno il tempo. Spinge il lettore a fare un lavoro attivo nel testo. Il narratore non inventa nulla, egli stesso dice che riassume tutto quello che “altri autori” hanno già scritto in precedenza sul Don Quijote. Cervantes vuol far passare il don Quijote (poesia) come storia e quindi come un fatto realmente accaduto. Citando quindi gli autori storici, don Quijote è storia e l’autore dell’opera non inventa nulla, il lettore quindi non deve dubitare della sua autorevolezza. Il primo narratore è un “Yo”: no quiero acordarme. Sembra onnisciente, però non vuole ricordare. Immediatamente dopo scopriamo che il primo narratore stava facendo il riassunto, la sua versione di altri narratori (secondo narratore) che avevano già parlato della storia di Don Quijote: monofonia-polifonia. Questo dura fino al capitolo VII della prima parte. Nel capitolo VIII, il narratore ci racconta che va a fare la spesa in un mercatino rionale e trova un ragazzo arabo che sta leggendo un manoscritto e ride come un pazzo. Allora, il narratore si avvicina al ragazzo e gli chiede cosa stia leggendo: un testo. Il narratore compra il testo dal ragazzo ma questo era scritto in arabo classico e dunque paga lo stesso ragazzo per tradurlo (il ragazzo però non padroneggia ne il castellano ne l’arabo classico ma accetta il lavoro per soldi inventando parole quando non conosce il significato di quelle nel testo ma lo fa con rispetto alla realtà). Il ragazzo lo traduce a voce e il narratore scrive. C’è quindi più di una manipolazione del testo perché anche il narratore modifica ciò che dice il ragazzo. L’autore del testo è arabo, musulmano quindi le storie che parlavano dell’eroe Don Quijote non erano solo di autori cristiani ma anche musulmani. Autore del testo è Cide Hamete Benengeli: storiografo arabo. Per l’epoca uno storico arabo era una contraddizione perché gli arabi venivano considerati bugiardi dunque i lettori dell’epoca arrivati al capitoli 8 si domandano se le storia fosse vera o falsa? Quello che noi leggiamo è la trascrizione che fa il narratore dalla traduzione del ragazzo. *Perspectivismo: la realtà non è solo una ma è poliedrica, La follia di Don Quijote È uno dei temi dell’opera. La si raggiunge se si cerca il senso dove questo non c’è. Don Quijote diventa matto perché, estraniandosi con la troppa lettura cavalleresca, non riesce a tornare nella realtà. Si configura con la volontà del protagonista a volersi fare cavaliere andante, patteggiando con la realtà. Si da’ un nome, lo da’ al proprio cavallo, Rocinante, in realtà un ronzino che non riesce nemmeno a reggersi in piedi, e anche alla sua amata Aldonza Lorenzo, nome cacofonico, ribattezzata Dulcinea del Toboso, luogo dal quale ella proviene. Pazzia e stupidità sono pero’ due cose molto diverse, el Quijote sicuramente è pazzo ma non è stupido. È molto colto, molto intelligente e molto sensibile, forse è per questo che diventa pazzo. Pazzia realista: ci propone un mondo migliore. Amore: altro tema importante del romanzo, da cavaliere don Quijote deve dedicare le sue avventure ad una donna, Aldonza Lorenzo, contadina del Toboso che diventa una nobil donna, Dulcinea (metamorfosi). In realtà, don Quijote si innamorerà dell’idea dell’amore perché è perfetto. IL SECOLO D’ORO SPAGNOLO: Presentazione storico aneddotica Oana-Andreia Sambrian Istituto di Ricerca nelle Scienze Sociali e Umanistiche (Craiova) Il secolo d’oro spagnolo è il periodo storico che si conosce come il periodo che trascorre tra il 16° e il 17° secolo (tra il Rinascimento e il Barocco). Momenti storici più importanti: Concetti che definiscono il Secolo d’oro: - Cronache - Letteratura - Proverbi - Avvisi: antichi giornali pubblicati nella 2° metà del XVII secolo - L’arte I posti più rappresentativi: - La real Armeria, Madrid - El Palacio del Escorial, muy cerca de Madrid: la biblioteca e la cripta (dove ci sono tutti i re di Spagna) - El museo del Prado, Madrid (quadri di Velazquez) - El corral de comedias, que es un tipo de teatro Rinascimento (XVI): periodo de los Habsburgos, casa di Austria - Carlo I, stemma con lo scudo (1516-1556) - Filippo II, hijo de Carlo I (1556-1598) Barroco (XVII): Filippo III (1598-1621) - Filippo IV (1621-1655) - Carlo II (1665-1700) Periodo variabile: desde Garcilaso de la Vega hasta Calderon De la Barca - Re cattolici: Isabella de Castilla y Ferdinando de Aragon Avvenimenti Carlo I: - Los comuneros (1520-1521) - Scoperta e conquista del Messico (Hernando Cortes, 1521) - Conquista del Perù - Guerre contro gli ottomani - Guerre contro l’Italia - Il protestantesimo di Lutero - Abdicazione di Carlo I Filippo II: - Fece costruire il Palazzo dell’Escorial - Titolo: Duca di Milano, re di Napoli, re di Spagna, Portogallo, sovrano dei Paesi Bassi
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