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Letteratura Spagnola II (Antologia delle poesie), Dispense di Letteratura Spagnola

Il documento include: - analisi delle poesie dell'Antologia

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 29/06/2024

fabio-lamboglia
fabio-lamboglia 🇮🇹

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura Spagnola II (Antologia delle poesie) e più Dispense in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LETTERATURA SPAGNOLA: TESTI LUNAS NUEVAS (FOTOCOPIA) Questo testo fu rinvenuto da Emilio García Gomez che lui non solo traslittera ma cerca anche di ridargli la stessa struttura metrica. I traduttori di poesia, ancora prima dei traduttori di prosa, devono mantenere il ritmo e una struttura rimica che dia a noi, che non conosciamo l’arabo, una dimensione linguistica di questo testo che altrimenti non potremmo cogliere. Il titolo coincide con il primo verso del componimento. Si tratta di una muwaschaha che chiude con una jarcha finale di grande effetto. 
 Probabilmente, l’autore della muwaschaha e quello della jarcha non sono la stessa persona e per questo Lunas Nuevas è anonima e risale all’XI secolo. Appartiene al genere letterario del panegirico e la tematica è amorosa. È interessante soffermarsi sull’io lirico- che ricordiamo non coincidere con l’autore- poiché non è chiaro se viene rappresentato da un uomo o da una donna (carattere homo-erotico). La società urbana di al-Andalus viveva costumi molto più liberi di quella cristiana e anche di quella araba orientale: ci sono infatti circostanze di carattere amoroso che ci sorprende trovare in un componimento dell’XI secolo. Nel componimento viene esaltata la bellezza maschile dell’habib (amato) in maniera romantica, secondo le caratteristiche classiche della bellezza orientale. Importante sottolineare che nella lirica araba esistono 2 sentimenti amorosi: • amore udri: amore in termini platonici, un amore caratterizzato dalla distanza dell’essere amato e dalla sofferenza perché la distanza non può essere colmata, si tratta di un amore casto, come in questo componimento; • amore ibahi: celebra un amore sessuale, erotico. La traduzione e l’esegesi sono particolarmente complesse a causa di un elemento linguistico (mancanza delle vocali) e di un elemento culturale (carattere metaforico più spiccato in arabo rispetto alla letteratura occidentale). Le muwaschaha iniziano generalmente con due versi iniziali che costituiscono il preludio o “cabeza/estribillo inicial” ma può essere anche assente e in quel caso parliamo di “calva”. In arabo si chiamava “matla”. Generalmente, il preludio serve a riassumere il tema che sarà sviluppato e ampliato nelle strofe successive. Ha dunque un carattere evocativo e circostanziale: è notte, un momento propizio per l’incontro amoroso. In particolare, è una notte di novilunio, dunque la fase astronomica in cui la luna si trova tra il sole e la Terra. Il poeta allude alle prime fasi del novilunio, quando la luna è una sottile linea (appena crescente) che sale nel “cielo di seta”- metafora che indica leggerezza- e che funge da fonte di orientamento per gli uomini. Prima strofa (traduzione): I miei occhi si dilettano solo con i biondi, sono rami d’argento che producono foglie d’oro. Se potessi baciarti di quelle perle il fiotto. E perché mio amato si nega a baciarmi, se la sua bocca è dolce e la sete mi tormenta? Rami, oro, perle e qualsiasi riferimento ai minerali sono aggettivi per descrivere il corpo dell’innamorato in stile stilnovista. Nel mondo arabo, infatti, la bellezza viene spesso esaltata attraverso il mondo vegetale e naturale, che introducono caratteristiche di brillantezza. Notiamo un salto fra i primi 3 versi di carattere descrittivo e il ritornello in cui ci viene mostrato una manifestazione del sentimento, in cui il bacio è l’unica cosa in grado di soddisfare la “sete” dell’amata. Nella strofa (mudanza) si narra o si descrive con un linguaggio aulico mentre nell’estribillo vi è lo sgorgare di un’emozione o un sentimento, manifestata con un registro più fresco ed immediato. Seconda strofa (traduzione): È la sua guancia, tra i gigli, un papavero ,lo adornano raggi di scirocco e di zibetto , se aggiungo anche la corniola non sbaglio, non sta male. Non fa bene quando l'innamorato spaventa la gazzella, quando accetta i mormorii dei censori. Viene fatto il paragone tra la bellezza dell’amato con il mondo vegetale: i colori che si ripetono sono anche qui come nella prima strofa sono il bianco e il rosso, rispettivamente la purezza dell’uomo e l’intensità dell’amore che pervade l’autore. La bellezza dell’amato si descrive dall’alto fino al collo secondo i canoni del pudore (ci sarà una sola infrazione nella Celestina). Nell’estribillo si inserisce un tema, la gazzella, che più spesso indica la donna, ma indica anche l’uomo in questo caso. La figura del censore compare spesso, una sorta di controllore sociale che è depositario della morale della collettività e che genera timore tra gli amanti di essere scoperti, diventando i loro principali antagonisti. Terza strofa (traduzione): c’è qualcuno che potrebbe gareggiare con il mio amico Ahmad? Unico in bellezza, assomiglia al cucciolo della gazzella ; il suo sguardo ferisce tutto quelli che guarda. Quanti cuori sono attraversati dalle frecce che impennacchiano il suo occhio con ciglia spesse. Per la prima volta, compare il nome dell’innamorato, la quale bellezza non conosce rivali. In quanto cucciolo di gazzella- che rappresenta l’amore- l’uomo potrebbe rappresentare un Cupido orientale in quanto discendente diretto dell’amore. Le frecce di cui parla nella penultima strofa sono le ciglia dell’innamorato: le ciglia della donna o dell’uomo sono spesse, folte, belle, fungono come frecce che colpiscono il cuore dell’innamorato. Anche qui una delle metafore amorose più note è quella delle frecce che vengono scagliate e lasciano profonde ferite amorose, secondo il topos letterario, e torna anche il riferimento della “caccia d’amore”. Questa strofa presenta un topos che ritroviamo anche in lunas nuevas: l’amore rappresentato come coincidentia oppositorum. L’amore è visto come luogo d’incontri delle contraddizioni che dunque rappresenta la cura alle sofferenze dell’uomo e, allo stesso tempo, la ragione stessa di tale condizione. La donna è vista come colei che ha nelle sue mani la salvezza del suo cuore. Il ruolo della donna si presenta tramite vari ossimori, in quanto veleno e rimedio alle pene d’amore. Quarta strofa (traduzione): chi mi darà la languidezza dei suoi occhi anche perché la morte deriva proprio dal suo sguardo. Se lei passa ondeggiando i suoi fianchi, è la bellezza personificata. E anche se io cercassi di descriverla sarei incapace di descriverne le qualità. Lo sguardo del triste passeggia per la sua guancia come se fossero dei giardini ma la sua guancia è protetta dal raccoglier i fiori da alcune sciabole fini e penetranti. In questa strofa, domina l’ineffabilità nella descrizione dell’amata poiché la sua bellezza non è dicibile a parole. Vi è una dimensione di decoro e dunque non può essere descritta perché si rischierebbe di comprometterla e di non renderle giustizia nella sua bellezza. L’impossibilità di descrivere una cosa come la sua bellezza è molto contigua all’esaltazione della donna come essere superiore e quasi divino. Spesso nelle successive opere la donna divinizzata arriva fino a delle metafore che arrivano ai limiti dell’ammissibilità, cosa che ritroviamo anche nella descrizione di Melibea fatta da Calisto il quale afferma che lei è il suo Dio, in una dimensione sacro-profana. In forma parallelistica, il primo verso di questa strofa riprende il primo verso del preludio. Descrive di lei gli occhi e i fianchi che ondeggiano quando passa e le guance, paragonate a dei giardini da cui i fiori non si possono cogliere in quanto difese da sciabole penetranti: ritroviamo le ciglia dell’innamorato che in un certo senso tutelano la purezza e la castità dell’amata. Quinta strofa e jarcha finale(traduzione): dio mio la fanciulla timorosa ha paura della lontananza, è una bambina di 13 anni che piange e dice con passione a sua madre in uno stato di sofferenza Ci sono cinque versi di transizione ed una jarcha finale dal narratore eterodiegetico, dunque un narratore esterno che introduce la voce della fanciulla. La voce cambia, sembra quasi un fuoricampo. Presenta questa fanciulla di soli 13 anni che si lamenta con un’apostrofe rivolta alla madre per l’assenza del suo habib. La traslitterazione finale- probabilmente compiuta da Giuseppe lo Scriba- risulta complicata sempre a causa della mancanza di vocali. Il nesso è proprio la distanza i due innamorati: nel primo quasi ritroviamo anche una distanza psicologica mentre nella jarcha ritroviamo questo amico che è andato via fisicamente. La fanciulla procede con interrogative e esclamative, con un discorso molto enfatico e emotivo in un impeto lirico che conclude la muwaschaha. LE JARCHAS (PAG.18-20) Le jarchas si presentano in una veste formale diversificata con la prevalenza della quartina o “cuarteta” in versi de arte menor. Iniziano e finiscano senza che il lettore sappia che cosa è successo, né come terminerà. In questo senso è un canto lirico sospeso, inizia il media res e termina ex abrupto: all'improvviso. Le jarchas sono quasi le prime opere aperte poiché non ne conosciamo il finale. Ma qui l'importante è cogliere il sentimento: la paura di essere abbandonati. I: Tornano tutti i topos che sappiamo essere caratteristici delle jarchas, come la presenza della madre in quanto interlocutrice e il topos dell’attesa amorosa che provoca solitudine. II: Ai primi raggi del mattino viene l’amato (reso con il nome proprio) e il suo volto è d’aurora. C’è una costruzione metaforica genitiva che lega il volto di lui al sole, entrambi entrano e riscaldano la fanciulla. In questo caso si descrive un incontro amoroso secondo il genere lirico dell’alborada, che presenta testi che descrivono l’incontro degli amati sul far dell’alba. La fanciulla è ingenua e dominata dallo stupore. III: Ci sono numerose epanalessi. Per il tanto piangere gli occhi così belli si sono ammalati e fanno tanto male. Lessico fatto di verbi, molto semplici. Vi è un’apostrofe rivolta direttamente all’habib. IV: La fanciulla dopo aver invitato le sorelline a risponderle, si lancia in una serie di interrogative retoriche (apostrofe alle sorelle), una diretta e una indiretta. La risposta delle sorelle non c’è, è elusa. Tutto rimane in un’atmosfera sospesa. Domina una passione trattenuta a stento, una forte nostalgia amorosa. V: C’è la personificazione del cuore in quanto innamorata, c’è la presenza del “rayarab”, ossia il nome di Dio, qui visto come l’interlocutore. VI: Sono presenti solo due versi, un distico (nella traduzione è a rima baciata, forse anche in mozarabico). Vi è una sintesi estrema, notiamo solo tre termini (mamma, amico e porta). Vi è l’incertezza di questa giovane fanciulla, è trepidante, è in preda dell’emozione di un imminente incontro. Seguono jarchas più attive (VII), anche eroticamente (VIII). Il pathos è molto forte, non c’è pudore o vincoli morali. VII: Rifiuta l’amante frettolosamente perché si è comportato male, non la soddisfa o non la ricambia come lei vorrebbe. È un distico a rima baciata. VIII: La fanciulla invita il suo amato a raggiungerla (nome dell’amato). La giovane è reattiva, dice che se lui non viene verrà lei (costumi più moderni). IX: Rappresenta una posizione esplicita dell’atto amoroso. Testo in linea con il kamasutra arabo in quanto vi è un invito esplicito. X: Lei si lamenta perché lui è stato troppo frettoloso. Si rivolge a Dio rifiutando l’amato. Si nota: 1. Linguaggio arcaico nell’evoluzione fonetica e un lessico in gradualità diverse che testimonia una lingua che si va contaminando di arabismi. 2. Domande retoriche, ripetizioni e tono affettivo che avrà delle notevoli influenze sulla poesia popolare otto-novecentesca (Becquer, ’27). Quindi, le jarchas, pur condividendo una tematica comune, si presentano in strutture e modalità espressive differenti. Si hanno semplici esclamazioni a prima vista prive di elaborazione formale (6,7) o dei componimenti più completi (1,2,3,4,5). La figura stessa delle amanti è sorprendente in quanto non sono timide e vivono l’esperienza amorosa con grande intensità. Trepidano durante il corteggiamento, sono attive nell’unione amorosa- con espliciti loro inviti e palesi richieste (8,9) e non esitano a rifiutare un amante giudicato frettoloso o ingrato (7,10). Questa fanciulla non avverte vincoli morali e non prova pudore, che non si sente trattenuta da coercizioni sociali e che perciò si consegna all’amore con la freschezza e l’autenticità di un essere libero e appassionato. Prevale, l’elusione dell’analisi dello stato d’animo sofferto. CANTIGAS DE AMIGO (PAG.32-36) Si tratta della quarta cantiga della serie di Martin Codax. Scrisse in totale 7 cantigas de amigo conservate nel Cancionero de la Biblioteca Nacional, nel Canzoniere da Vaticana e nella Pergamenta Vindel dove c’è anche la notazione musicale. Martin Codax, trovatore galego-portoghese- è un nome tuttavia incerto: trovatore enigmatico, è difficile interpretare anche il suo stesso cognome. Il primo studio pubblicato in Spagna su un trovatore spagnolo è su di lui. Le sue poesie sono molto compatte per forma e tematiche ricorrenti, tra le quali ritroviamo: • Il mare come spesso presente e la città di Vigo, toponimo che probabilmente indica il luogo di provenienza dell’autore; • Inoltre, vi è un chiaro aspetto cantilenante in quanto c’è una grande ripetitività lessicale di strutture (parallelismi), di suoni e rime. La prima cantiga è costituita da sei strofe organizzate in coppia con anafore a rima baciata nel primo verso mentre abbiamo un refran (ritornello) finale nell’ultimo verso di ogni strofa con una rima differente. La narrazione è molto esile: il consueto tema dell’attesa della fanciulla innamorata ritorna, come notiamo nelle prime due strofe in cui si presenta la condizione di solitudine dell’amata nella città di Vigo. Nella terza e quarta strofa, si aggiunge il tema dell’assenza di sorveglianza in un momento dunque propizio per l’atto amoroso. La sofferenza d’amore si presenta ancora più acuta proprio per le premesse anzidette, visto che l’amato lontano non viene e le uniche sentinelle sono i suoi occhi consumati dal pianto (cit. “Salvo gli occhi che porto con me”). L’autore privilegia il motivo del pianto d’amore sulla narrazione delle circostanze, che si esauriscono alla dichiarata assenza di tutori. Domina quindi una dimensione statica che fa da sfondo ad una pena che rimane inattesa. La seconda cantiga è costituita da quattro strofe organizzate in coppia con ripetizioni pressoché identiche nei primi due versi e una ripetizione costante nell’ultimo. Anche in questo caso troviamo un parallelismo perfetto, i versi ripetono la stessa struttura sintattica con l’unico cambiamento della parola in rima (amigo/amado). È la quinta cantiga nel repertorio di Codax ed è molto gioiosa e enigmatica. Invita ad un amore collettivo. Si rivolge alle amiche, a tutte quelle che sanno amare, per invitarle a bagnarsi nelle onde, in un’immagine panica che rimanda ad un prototipo di festa dionisiaca che le accomuna gioiosamente in uno stato di ebrezza e sensualità. C’è una ripetizione costante: le prime due strofe dicono la stessa cosa; così nelle seconde due strofe. Il fatto che si presenti la città di Vigo, non è un tratto realistico ma convenzionale, si tratta di una forma di stilizzazione del reale. Ugualmente rispettose del genere sono le nove cantigas de amigo di Pero Meogo, trovatore galego-portoghese di cui non si possiede alcuna notizia biografica. Esse presentano una forte densità metaforica, in cui il cervo rappresenta la virilità mentre l’acqua- in ogni sua manifestazione- la fecondità. La struttura metrica è la solita: abbiamo 8 strofe accoppiate di distici a rima baciata e un ritornello finale. Le rime sono più ricche rispetto a quelle di Codax. Fino a metà del componimento il parallelismo sintattico è piuttosto rigido, le uniche varianti lessicali riguardano le parole in rima dei primi versi delle strofe e i complementi diretti dei secondi versi. Dalla quinta strofa, entrano in funzione due nuovi artifizi compositivi anch’essi basati sulla ripetizione: il poliptoto che ripete tre verbi cambiandone il modo, dall’indicativo al congiuntivo, e il consueto leixa-pren. EL DESTIERRO DEL CID La sequenza si articola a sua volta in quattro movimenti: la partenza dal feudo di Vivar (I), l'arrivo a Burgos (II), l'editto emanato dal re contro il Cid (III), la reazione impaurita della città che - sotto la minaccia reale di confiscare i beni a chi avesse accolto il Campeador, unita alla condanna a morte con la perdita degli occhi e alla dannazione eterna con la negazione al condannato del conforto religioso della confessione - si nega al Cid e manda a parlare con lui una bambina di nove anni, nella speranza che, data la giovane età, non incorra nell'ira del re (IV). Lassa I L'unico manoscritto che si conserva del Poema de mio Cid fu scoperto nel Cinquecento nell'archivio del Municipio di Vivar, è del XIV secolo. La prima lassa colloca il lettore odierno già nel vivo dell'azione, iniziando in medias res. Il poema, infatti, doveva iniziare con gli avvenimenti che motivarono l'esilio dell'eroe: il giuramento di Sant'Agata, come riferiscono le cronache romanze della Spagna medievale, l'accusa di peculato che a lui rivolge il conte Garci Ordóñez o ancora l'incursione dell'eroe nel regno di Toledo, che godeva della protezione del re di Castiglia. È stato da più parti notato come la perdita dei versi iniziali, dovuta a ragioni totalmente estranee alla volontà dell'autore, abbia conferito poi grande efficacia all'esordio del poema, il cui inizio viene a coincidere con il pianto doloroso dell'esule (segno di virilità) che si appresta a lasciare la sua terra. Le prime quattro lasse possono essere considerate come un'unica sequenza narrativa, basata sul motivo della separazione dell'eroe, messo al bando, da tutto ciò che gli è più caro: tale perdita è evidente anche dalla ripetizione di “sin” che accentua la privazione dei suoi beni. Appare per la prima volta il termine Cid: viene da “sahiddi” che in arabo significa Signore (eroe della Riconquista con appellativo di origine araba). Questo nome è accompagnato da “Mio”, epiteto affettivo che vuole indicare che il giullare che sta raccontando la storia al pubblico è dalla sua parte, sposa l’ideologia del Cid e prova per lui grande empatia. Con “Sospirò” si passa dalla rassegnazione alla capacità di reagire da parte del Cid. In questi passaggi c’è una gradazione ascendente/climax per aumentare la suspense e l’effetto del racconto. Si nota sin da subito la misura cidiana, poiché non è un eroe iracondo e violento, è un eroe misurato. La misura riassume le 4 virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) che la morale cristiana ricevette dalla tradizione classica. Raramente perde la compostezza, è una figura equilibrata fino alle scelte finali e si adatta alle circostanze della realtà con grande coraggio e con profonda religiosità. Lassa II-III Nel verso 10, vi è un esempio di perfetta bimembrazione parallelistica, inizia il viaggio dell' esule assieme ai suoi vassalli, alla sua mesnada, resa metonimicamente al v. 17 con sessanta pendones. Due presagi accompagnano l'eroe, uno positivo (la cornacchia a destra) e uno nega- tivo, all'entrata di Burgos la cornacchia è a sinistra, forse premonizione della fredda accoglienza che l'eroe riceverà a Burgos. Di significato discusso pure il v. 14, nel quale l'esclamativo ¡albricia! (buone notizie!) è stato interpretato da Andrés Bello come un esorcismo contro il malaugurio, mentre la maggior parte degli studiosi vi legge un accento di dolorosa constatazione, di amaro sarcasmo per la realtà dell'esilio, di fatto oramai inevitabile. Il sentimento collettivo di ingiustizia di fronte alla punizione regia e di pietà verso il vassallo che è incorso nell'ira del sovrano è reso dalla reiterazione di sostantivi che rimandano alla comunità dei sudditi (mugieres e varones; burgeses e burgesas, todos) e culmina nel verso 22 «¡Dios, qué buen vasallo, si oviesse buen señore!», constatazione di un generale senso di approvazione e di adesione della collettività alle azioni dell'eroe. Si tratta di una lassa di 7 versi che presenta delle rime molto particolari: “e” paragogica. Si basa sulla figura della paragoge: per motivi stilistici si aggiunge una vocale. Qui l’esigenza non è stilistica ma metrica: serve per dare luogo all’assonanza. Lassa IV L'intensità e gli effetti dell' “ira regia”- o indignatio regis- istituto giuridico medievale che prevedeva, per chi vi incorresse, gravissime conseguenze, occupano i dieci versi successivi. La severità del re Alfonso è testimoniata, d'altra parte, anche in altre fonti, come ad esempio nella “Primera Crónica General de España”, motivo per il quale non può parlarsi in questo caso esclusivamente di un espediente poetico, atto a rendere più drammatica la rottura tra monarca e vassallo e quindi più efficace la riparazione finale. L’editto inviato dal re agli abitanti di Burgos arriva di notte e in questi vengono espresse le conseguenze di chi lo aiuta: perdita dei beni e l’effossio oculorum (minaccia di accecamento ai trasgressori di una disposizione) e la perdita dell’anima, ossia l’execrazcion ex sacratio, ossia l’essere sepolto fuori dai luoghi sacri. Di grande resa artistica, invece, l'entrata in scena della fanciulla che, nel ripetere quasi alla lettera dal v. 44, fa risaltare il rigore delle minacce espresse nell'editto reale perché in contrasto con il candore della sua giovane età. Dal v. 53 inizia in senso proprio l'esilio dell'eroe con l'esatto riferimento alla geografia reale dei luoghi: la cattedrale di Burgos, Santa Maria, ove il Cid si ferma a pregare prima della partenza, il fiume Arlazón, affluente del Duero, presso le cui sponde il Campeador pianta la tenda come un nullatenente. Lo lasciamo nel momento più basso della sua esistenza per assistere poi alla sua rivalsa. JIMENA CONTEMPLA VALENCIA (LASSA LXXXVII) In questa lassa si vede tutta la capacità artistica e letteraria di questo giullare: troviamo squarci descrittivi che ci fanno percepire una sensibilità artistica capace di trasmettere all’uditorio i risvolti psicologici e umani dei personaggi. La lassa è divisa in due parti con un salto tematico: si passa da un tema più lirico (dall’inizio fino a 1619) a un tema più epico (fino a 1622). Il verso 1616 è scritto in corsivo perché inserito da Pidal che lo ha ricostruito a partire dalla cronica de Los 20 reyes. La moglie Jimena e le figlie Elvia e Sol sono arrivate a Valencia e il Cid vuole dimostrare loro la sua conquista. Il Cid si avvicina assieme a loro alla fortezza (arabismo) e da lì le fa salire sul punto più alto. Il lettore si trova davanti la città di Valencia, orza artistica). Il giullare ci mostra questa città e noi riusciamo a vederla con gli occhi di chi non l’ha mai vista e sembrano emozionarsi. La guardiamo attraverso gli occhi di tre donne che guardano a quel territorio non come una conquista, ma come una bellezza. Giungono poi le mani e ringraziano il Signore con stupore per la ricchezza smisurata che il Cid è riuscito a riconquistare. Si tratta di una prospettiva femminile e quindi di pace. Si ricavano spazi prettamente lirici in uno spazio prettamente epico. Segue un episodio storico dopo questo stacco artistico. Parla del rey Yusef, personaggio storico realmente esistito (Yusuf ben Texufin) imperatore degli Almoravidi (1056-1160), rey de Marruecos (nel Cid) che invase la Spagna. Yusuf tentò di riconquistare Valencia. Entrò nella penisola con conseguenze disastrose. LA AFRENTA DE CORPES (PAG.75) Si tratta di un episodio totalmente inventato, così come è inventata l’ostilità tra il Cid e la famiglia dei Beni Gomez. Il poema lascia intendere che gli infantes di Carrion sono nobili ma non posseggono molte ricchezza, per questo ambiscono a sposare le figlie del Cid. Il re è favorevole alle nozze mentre il Cid è riluttante, come se presagisse un’imminente sciagura, ma accetta il matrimonio dopo aver ricevuto il perdono del re. Particolarmente importanti sono le descrizioni del querceto di Corpes secondo l’iconografia infernale del locus orribilis: viene descritto un bosco oscuro, folto con bestie feroci che per ogni parti annunciano i patimenti infernali per chiunque si addentri in questa foresta dalle reminiscenze dantesche. Subito dopo l’autore con la tecnica del contrasto trasforma il locus orribilis in locus amoenus che prevede sempre la presenza di una fonte per rinfrescare i viaggiatori. Gli Infantes, per vendetta e rancore verso il Cid, maltrattano le mogli e le abbandonano seminude e ferite nel querceto di Corpes. Le due donne si mostrano più eroiche dei due infantes crudeli: invocano la morte piuttosto che sopravvivere al disonore. Ritornando alla capacità descrittiva d’ambienti dell’anonimo giullare, si noti come in soli tre versi egli riesca a concentrare la rappresentazione di due spazi (la foresta e il verziere) che rendono più drammatica la vicenda narrata e il lettore comprende che il presagio di sventura, pesato sulle nozze, avrà lì il suo compimento. Il Cid morì nel 1099, adorato dai suoi soldati e ammirato da tutta la Spagna, inclusi i suoi nemici che lo temevano ma lo rispettavano. Il Cid poté rientrare in patria solo dopo morto. La moglie Jimena, dopo aver resistito per tre anni ai continui attacchi del figlio dell’emiro Yusuf chiese aiuto al cugino Alfonso VI, il quale, raggiunse Valencia con il proprio esercito e ritenne la città indifendibile, anche perché nel frattempo gli Almoravidi avevano attaccato la Castiglia. Nel 1102 abbandonò la città, dopo averla data alle fiamme. Jimena e i suoi soldati seguirono Alfonso trasportando il corpo di Rodrigo, che venne tumulato a Burgos, nella chiesa di San Pietro di Cardena.
Durante la guerra d’indipendenza spagnola (1808-1814) i soldati francesi profanarono la sua tomba, ma in seguito i suoi resti furono recuperati e, nel 1842, traslati nella cappella della Casa Concistoriale di Burgos. Dal 1921 sono stati trasferiti assieme a quelli di Jimena, nella Cattedrale di Burgos. IL LIBRO DE ALEXANDRE (PAG.85-86) La scuola poetica definisce il Libro de Alexandre come modello per eccellenza sia dal punto di vista formale che per gli spunti che dà: è un monito di cristianità, presenta un taglio enciclopedico ed è esempio di cultura della lingua volgare. La prima quartina esprime la necessità di essere generosi propria dell’uomo sapiente, indicando come suo dovere condividere il proprio sapere (finalità pedagogica e didascalica). Nella seconda quartina, l’autore dimostra un grande autocompiacimento nel qualificarsi come un non-giullare. Non è un giullare perché (giudizio di qualità) la sua arte è bella e senza peccato. La critica ha molto discusso su questo verso. L’espressione “senza peccato” potrebbe alludere alla connotazione moralistica delle opere, senza però ridurre tutto a un carattere devoto, visto che i temi sono molto diversi. Señores, se quisierdes mio serviçio prender, Querríavos de grado servir de mio mester; Deve de lo que sabe omne largo seer, Se non podrié en culpa o en yerro caer. Mester traigo fermoso, non es de joglaría Mester es sin pecado, ca es de clerezía Fablar curso rimado por la cuaderna vía A sílabas cuntadas, ca es grant maestría.
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