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Letteratura Spagnola III - Cerron, Sintesi del corso di Letteratura Spagnola

Riassunto Letteratura Spagnola 3 della professoressa Cerron Puga (Sapienza). “Da Cervantes a Galdós: le grandi opere della literatura española” Vita e opere di tutti gli autori; Contesto letterario; Analisi sonetti.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 18/02/2021

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Scarica Letteratura Spagnola III - Cerron e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! MIGUEL DE CERVANTES 1. LA VITA 1547: Nasce ad Alcalà de Henares. Quarto figlio di Leonor e Rodrigo. Trascorre la sua infanzia in ambienti urbani (Alcalà, Valladolid, Cordova, Siviglia) costretto a seguire il padre che, per migliorare le condizioni economiche della famiglia, si spostava spesso in luoghi che offrivano maggiori opportunità. Gli spostamenti erano molto frequenti in quell’epoca per chi non possedeva un reddito fisso. L’elemento del viaggio, specchio della condizione di un’epoca, sarà presente nelle opere di Cervantes in cui vediamo lui e i suoi personaggi percorrere le strade della Spagna, solcare il Mediterraneo, soggiornare in Italia, ecc. Durante la sua vita intraprese due strade: a) Carriera militare per potersi procurare un minimo di stabilità economica. Questo primo cammino lo vedrà soggetto a sconfitte e amarezze; b) Scrittura. Non gli procurò le giuste gratificazioni in vita, ma lo rese famoso e ammirato successivamente fino ai giorni nostri. Non si hanno molte notizie biografiche per questo, nonostante molti studiosi si siano cimentati nella ricostruzione della sua vita, restano ancora molte “zone oscure” a causa della mancanza di documentazione. La prima testimonianza di una sua opera poetica risale al 1567: sonetto celebrativo scritto in occasione della nascita di Catalina Micaela, figlia di Filippo II e Isabella di Valois. Non sappiamo che attività svolgesse in questo periodo, ma si suppone che frequentasse i cenacoli della capitale dove conobbe Lopez Maldonado e Gálvez de Montalvo che loderà anni più tardi nel Canto de Calíope inserito nella Galatea (romanzo pastorale). Alunno di Juan Lopez de Hoyos che fece pubblicare alcuni suoi versi in due opere stampate per il compianto di due morti regali: la regina Isabella e il figlio Don Carlos. 1569: Cervantes lascia la corte e fugge in Italia poiché accusato dalla giustizia spagnola di aver ferito in duello Antonio di Sigura. La condanna per tale reato sarebbe stata il taglio della mano destra e l’esilio per 10 anni. Lo vediamo a Roma al servizio del cardinale Giulio Acquaviva. Lascia l’impiego per arruolarsi, insieme al fratello Rodrigo, nella Santa Lega per combattere la minaccia turca nel Mediterraneo. 1571: Cervantes è a bordo della galera Marquesa con il grado di archibugiere quando si combatte la famosa battaglia di Lepanto, la cui vittoria parve eterna sui nemici della cristianità. Le testimonianze dei suoi compagni, raccolte nella Información de Miguel de Cervantes de lo que ha servido a su Majestad , raccontano che egli si battè coraggiosamente ricevendo tre colpi di archibugio: 2 al petto e uno alla mano sinistra. Questa ferita alla mano fu per lui grande motivo di orgoglio tanto che nel prologo della seconda parte del Quijote, Cervantes risponde all’offesa di Avellaneda il quale definì Cervantes “vecchio e monco”. Cervantes cura le sue ferite a Messina e partecipa ad altre 3 missioni contro i turchi. 1575: Cervantes si trova di nuovo a Napoli. Di questa città avrà per tuta la vita un felicissimo ricordo: accogliente e stimolante. L’Italia rappresenta per Miguel una civiltà raffinata e affascinante tanto che loderà molte città italiane nei sui scritti come Roma, Lucca, Mantova, Napoli, ecc. Quando soggiornò in Italia ebbe la possibilità di conoscere i modelli letterari della tradizione italiana. Dalle tracce che troviamo nelle sue opere possiamo supporre che:  Leggesse la poesia di Petrarca;  Leggesse la narrativa e la lirica del Boccaccio, Boiardo, Ariosto, Tasso, e altri;  Abbia assistito alle rappresentazioni della Commedia dell’Arte. Probabilmente deluso dalla vita militare e/o sapendo della situazione precaria in cui versava la sua famiglia, Cervantes decide di tornare in patria: parte da Napoli a bordo della galera Sol verso Barcellona. Porta con sé due lettere di raccomandazione di Giovanni d’Austria e del duca di Sessa (preziosi documenti per chi torna da un esilio). Però, la Sol viene attaccata e catturata da un gruppo di corsari vicino alle coste catalane. Cervantes e Rodrigo finiscono prigionieri di Dalí Mamí ad Algeri, il quale chiede 500 scudi in oro per la liberazione di Miguel perché le lettere che avrebbero dovuto agevolarlo a corte, lo trasformarono in un personaggio di valore. Questo è uno dei tanti episodi della vita dell’autore in cui si dimostra essere un uomo reattivo e dall’animo positivo, sempre pronto a trovare un risvolto positivo contro l’ironia del destino. Cervantes, come testimoniato nella Información, tenta la fuga 4 volte, senza successo. Le pene non gli vengono applicate perché rappresentava un ostaggio prezioso per il suo carceriere; vivo rappresentava una grossa somma di denaro. Cervantes trascorre ad Algeri 5 anni e questa esperienza sarà filtrata posteriormente in diverse opere dell’autore, ad esempio: l’episodio del Cautivo nel Quijote. 1580: Cervantes riacquista la libertà dopo complesse trattative in cui la madre e la comunità dei trinitari ebbero un ruolo decisivo. Arrivato in Spagna, a Denia, Cervantes non è accolto e non trova nessuna porta aperta: dopo 12 anni di assenza deve affrontare l’ingratitudine e il rifiuto del potere. Inoltre, il padre è vecchio e sommerso di debiti; le sorelle avvilite e senza prospettive di trovare nel matrimonio una sistemazione adeguata. Miguel reagisce chiedendo un sussidio al Consiglio di Castiglia, ma anche stavolta la risposta è negativa perché l’economia spagnola era entrata in crisi e la nazione non poteva che offrire che pochi impieghi. Coloro che riuscivano ad ottenerli avevano alle spalle potenti e influenti protettori. Cervantes, inoltre, nella prigionia aveva perso le sue lettere. 1582: Cervantes è a Madrid. Scrive ad Antonio di Eraso (membro del Consiglio delle Indie di Lisbona) una lettera di ringraziamento per tutto ciò che non ha ottenuto. Dal documento apprendiamo che Cervantes sta scrivendo il suo primo romanzo: La Galatea. Nel 1585 viene pubblicata per la prima volta ad Alcalà La Galatea. Dedicata ad Ascanio Colonna. Per questo suo primo romanzo sceglie i moduli del genere pastorale perché:  Il pubblico prediligeva questo tipo di genere (si pensi a La Diana di Montemayor): trovava in questi romanzi una lettura di evasione per calarsi in un mondo dolce, ma non fantastico, dove crisi, mancanza di valori, corsa all’arricchimento o alla sopravvivenza sono insistenti;  Il tessuto narrativo del romanzo pastorale offre a Cervantes la possibilità di inserire componimenti poetici che, probabilmente, l’autore aveva già scritto, ma non aveva la possibilità di stamparli. Tra 1582/83 si dedica anche ad un genere più redditizio: il teatro. Elabora opere teatrali senza grande successo perché il suo teatro non si adegua alle mode del momento. 1584: Anno pieno di avvenimenti.  Cervantes ha 36 anni, ha una relazione con Ana Franca de Rojas (moglie del proprietario di un’osteria). Da questo legame nasce una bambina: Isabel.  A dicembre di questo anno, Cervantes sposa Catalina de Salazar ad Esquivias. La coppia si accasa in questo piccolo centro rurale. Miguel, però, si sposta spesso a Madrid, Toledo, Siviglia per lavoro e famiglia.  Dopo meno di 3 anni dal matrimonio, Cervantes decide di abbandonare l’Arcadia di Esquivias per dissapori coniugali, rischio di perdere possibili opportunità nel mondo letterario, crisi di creatività, ecc.  Ottiene l’impiego di commissario incaricato di requisire, in terre andaluse, rifornimenti per la flotta che Filippo II vuole inviare contro l’Inghilterra. Questo nuovo impiego lo porta verso un nomadismo frenetico: per quasi 15 anni percorrerà strade del sud spagnolo. Sembrerebbe che in questo periodo Cervantes abbia lasciato la penna. Solo nel 1588 scrive due Canciones augurali indirizzate all’armata contro l’Inghilterra, ma l’Invincibile Armata sarà distrutta in parte dagli elementi naturali, in parte dagli inglesi. Fu un duro colpo per la Spagna che perde la sua reputazione di imbattibilità sul mare. Nel frattempo, Cervantes matura l’idea di lasciare quel lavoro poco gratificante e richiede al Consiglio delle Indie un posto nel Nuovo Mondo, ma ancora una volta le sue aspirazioni vengono deluse. Galatea si allontana e il suo allontanamento rappresenta la materializzazione del pericolo. Elicio, così, entra nel ruolo attivo di difensore aiutato da tutti i pastori e dallo stesso Erastro che accetta la scelta di Galatea per poter continuare a vederla ed esserle amico. Il romanzo, però, finisce prima che i personaggi possano agire nella loro nuova veste. Più precisamente, il romanzo si apre con Elicio che canta il suo amore senza speranza per Galatea. Si trova in un sereno paesaggio fluviale che è in contrasto con i suoi turbamenti sentimentali. Il narratore (onnisciente) introduce il secondo protagonista, Erastrato. I due protagonisti:  Vengono rappresentati in maniera contrapposta per la loro tipologia: Elicio, essere poetico; Erstrato, essere storico. Alla fine del romanzo si vedrà un processo di inversione dei ruoli tra i due.  Propongono il tema classico dell’amicizia affrontano, in modo più elaborato, anche nel racconto del Curioso impertinente intercalato nel Quijote.  Sono abitanti perfetti dell’universo letterario che li ospita e svolgono con coerenza le mansioni proprie di chi dimora nell’Arcadia: sono amabili e pacati, trascorrono le loro giornata in paesaggi agresti dove pascolano greggi, cantano o scrivono componimenti per dare sfogo ai loro sentimenti d’amore, ragionano e discutono sulle pene del cuore, esultano dell’allegria altrui, compiangono le altrui pene. Il ragionare dei pastori è interrotto da un evento che squarcia lo schema bucolico: viene introdotta la violenza attraverso la narrazione di un omicidio. Anche nella Diana di Montemayor compare la violenza. Differenze: Nella Diana la violenza compare ad opera di 3 selvaggi che vogliono violentare delle ninfe. I personaggi e l’azione hanno un valore simbolico: la bruttezza serve per evidenziare la bellezza; la lussuria serve a dare risalto all’amore intenso. Nella Galatea (in cui lo spazio è atemporale) la morte introduce il tempo determinando una narrazione sul piano storico/realistico, scardina l’armonia dell’universo pastorale e il sentimento amoroso di matrice neoplatonica entra in crisi.  Nel primo episodio di violenza della Galatea, il tema riguarda la rivalità tra 2 famiglie. Il racconto provoca suspence e il lettore è indotto a proseguire nella lettura per svelare il mistero. La storia viene raccontata da Lisandro, uccisore di Carino. Lisandro e Leonida, figli di famiglie rivali, si amano. Carino fa il doppio gioco tra le due famiglie: inganna il fratello di Leonida (Crisalvo) facendogli credere che la donna da lui amata (Silvia) una notte era fuggita di casa per sposare Lisandro. Crisalvo, furioso e geloso, uccide, scambiandola per Silvia, sua sorella e un pastore che l’accompagna (Libeo). L’azione violenta di Crisalvo è giustificata dal comportamento scorretto di Carino.  Il secondo episodio ha come protagonisti 4 pastori, di cui 2 fratelli gemelli (Teolinda-Leonarda e Artidoro-Galercio). Teolinda espone il suo interesse sentimentale verso Artidoro, racconta di un presente sconvolto e di un passato felice e propone la ricerca di un futuro gioioso. Leonarda, invece, è innamorata di Galercio, innamorato di Gelasia, donna arida e incapace di provare sentimenti. Così, Leonarda sposa con l’inganno Artidoro. Si introduce, quindi, il tema della malizia, vizio inesistente nell’utopia pastorale. L’intera opera è caratterizzata da un’atmosfera di sospensione. Al suo interno si inseriscono le storie d’amore:  Costituiscono il vero motore del romanzo;  Modificano il filo della narrazione principale;  Il loro racconto si interrompe a casa di altri episodi che si impongono in un intreccio a catena. Le varie storie e i temi classici che si intrecciano nella Galatea (amicizia, amore, gelosia, avventure, moralismo, civetteria, ecc.) sono principalmente riassumibili in: a) L’amicizia che vince anche l’amore; b) La ricchezza che vince sull’amore; c) L’imprudente civetteria; d) L’incapacità di amare, di cui sono esempi i pastori Lenio e Gelasia. Nel VI e ultimo libro della Galatea un episodio interrompe la catena delle storie. L’episodio riguarda una celebrazione funebre. Telesio (anziano pastore, stimato dal gruppo) è l’officiante. Il compianto è Meliso, uomo virtuoso. I pastori, a turno, cantano i loro dolci e sinceri compianti. Telesio espone un discorso per lodare i poeti scomparsi, attraverso un discorso in prosa, e i poeti contemporanei, attraverso il componimento poetico del Canto di Calliope. Cervantes lascia l’opera interrotta con l’impegno esplicito di scrivere la seconda parte. Questa promessa, annunciata alla fine del testo (presente anche in altre sue opere: alla fine della prima parte del Quijote; nella dedica delle Ocho Comedias, ecc.) rientra nei canoni della letteratura pastorale. Il seguito de La Galatea non verrà mai scritto. Quando apparve La Galatea non venne subito apprezzata. Probabilmente perché Cervantes, pur rispettando la tradizione cinquecentesca del romanzo pastorale, introduce delle novità come, ad esempio:  Introduzione della categoria storica nello spazio bucolico e immateriale del romanzo pastorale;  L’indipendenza di personaggi come Gelasia e Lenio. Quindi, La Galatea rappresenta un tentativo fallito di fusione tra vita e letterature. La Galatea racchiude elementi costitutivi che ricorrono nella produzione successiva di Cervantes. Questi elementi si articolano su 3 livelli: 1. A livello ideologico si presenterà ancora il tentativo di fondere vita e letteratura che riuscirà pienamente nel Quijote, nelle Novelas ejemplares e nel Persiles; 2. A livello strutturale: l’introduzione di un elemento a cui farà seguito il suo contrario (follia-saggezza, ecc.) e l’intreccio di vari generi (pastorale, cavalleresco, epistolare, ecc.); 3. A livello tematico basti pensare ad alcuni esempi della Galatea che si ritrovano nel Quijote. L’episodio di Gelasia e Galercio riproposto con la storia di Marcela e Crisostomo ne è un esempio. 3. EL INGENIOSO HIDALGO DON QUIJOTE DE LA MANCHA Il Quijote è un’opera caleidoscopica che ha lo scopo di divertire il lettore. Quando comincia a scrivere questo romanzo, Cervantes non ha un modello chiaro: inizia a scrivere un romanzo cavalleresco (romanzo breve) nel quale inserisce novelas intercaladas. Quello che fa è sperimentare un modello che non esisteva e nasce, così, il romanzo moderno: romanzo lungo in cui l’autore usa tutte le tradizioni letterarie a sua conoscenza e fa una sintesi di tutte queste. Quindi, quando Cervantes inizia a scrivere il Quijote non sa che sta creando il nuovo genere del romanzo moderno. Alla pubblicazione del romanzo gli viene riconosciuto il successo e il talento. L’opera è ricca di attori che, con le loro rispettive storie, rendono il romanzo dinamico. Opera ricca di ambiguità e ironia. Il tema portante è la volontà di essere che diventa essere. Protagonista di questo romanzo è don Quijote. Il romanzo si apre con la sua presentazione: hidalgo fanatico della Mancha, amante della lettura di libri di cavalleria e trova nei valori esaltati in questi libri il senso della vita. Così, stanco della realtà piatta e posseduto dal modello eroico letterario, diventa pazzo e immagina di essere un cavaliere errante alla ricerca di avventure che sono autentiche pazzie. Personaggio completamente irreale, ispirato all’Orlando Furioso di Ariosto: Orlando, folle per amore; Don Quijote, pazzo per la lettura dei libri di cavalleria, infatti pensa che il mondo è un libro, confonde finzione e realtà. Preso da questa follia, si compie la metamorfosi: Alonso Quijano, uomo pacifico e statico, si trasforma in don Quijote de la Mancha, cavaliere errante alla ricerca di avventure. La metamorfosi rispetta tutti i canoni del cavaliere:  Auto battesimo;  Trasformazione dell’aspetto esteriore;  Coinvolgimento del suo cavallo (ribattezzato in Rocinante) e della donna da amare (Dulcinea). Il tema della metamorfosi è molto importante nel Barocco e ricorre nel Quijote, non soltanto nel passaggio di personalità del protagonista, ma anche nella trasformazione degli altri personaggi spesso a causa dell’amore e nella trasfigurazione della realtà agli occhi di don Quijote: i mulini saranno per lui giganti; la locanda, castello; le sguattere, gentil-donne; ecc. Don Quijote vive, quindi, una realtà virtuale che si scontra con la realtà degli altri. Questa sua stravaganza fa sì che gli accadimenti del reale si trasformano in fantastiche avventure, i luoghi in paesaggi letterari, ecc. Ma fuori dalla sua realtà, gli uomini restano meschini. Sempre in riferimento al tema delle metamorfosi, c’è una sostanziale differenza tra I e II libro: nel I (pubblicato nel 1605) queste avvengono per intrinseca volontà dei protagonisti; nel II le trasfigurazioni sono provocate da alcuni personaggi (duchi e don Antonio) che si divertono a prendersi gioco di dQ, essendo a conoscenza della sua follia. Il personaggio di don Quijote ha un rapporto di interdipendenza con quello di Sancho Panza. Durante lo svolgimento del romanzo subisce un’evoluzione psicologica: all’inizio non sa né leggere, né scrivere (come Lazarillo) ma è un gran conoscitore della cultura orale. Sancho è un contadino e rappresenta la cultura popolare. Quijote, invece, sa leggere, rappresenta la cultura libresca/scritta, ma non alta. Questi due tipi di culture che si confrontano rappresentano una novità. Cervantes crea questi due personaggi: uno lettore e l’altro auditore che vivono uno grazie a quello che ha letto, l’altro grazie a quello che ha ascoltato. I due personaggi inseguono gli ideali di bellezza, intelligenza e amore, ma cadono ad ogni passo subendo sconfitte e rialzandosi ostinatamente. Anche perché, don Quijote, considera gli esiti rovinosi delle sue imprese come il risultato di un incantesimo (tema ripreso dal romanzo cavalleresco). Sono coraggiosi e soli. Rappresentano entrambi un eroismo che si traduce in follia a causa di un mondo senza valori. La struttura dell’opera è una sequenza di azioni costanti, tipica del genere cavalleresco (paratattico), che si ripetono e i personaggi sono funzioni: il cavaliere prende coscienza – follia – partenza – avventure (vince/perde) – ritorno forzato. Solo di fronte alla percezione della morte e don Quijote è stano, umiliato e la sua fede negli ideali difesi inizia a vacillare, il narratore spezza la ripetizione delle azioni e lascia andare il protagonista, ormai “saggio” e tornato in lui (Alonso Quijano il Buono) a compiere l’ultimo viaggio. Inoltre, la linea narrative (costituita dal racconto delle avventure dei 2 personaggi) incontra altre storie (inserti narrativi). Sin dai primi capitoli, appare chiaro che uno degli intenti di Cervantes è l’inserimento di un elemento che caratterizza tutto il romanzo: la parodia. La parodia si manifesta per i comportamenti deformati del tradizionale eroe cavalleresco. Infatti, tale modello esige che il cavaliere subisca innumerevoli e memorabili ferite al corpo, ma in don Quijote, queste ferite, sono sostituite da tagli umani e ingloriosi che rendono ridicola la sua immagine. Ad esempio, nel cap. 20, dopo pugni, sassate, bastonate, gli viene attribuito il nome di Cavaliere della Triste Figura dal suo scudiero. Questa deformazione dei modelli tradizionali provoca le risa e il divertimento del lettore. Il testo si propone come la trascrizione di un manoscritto ritrovato in cui un antico cronista ha fissato le avventure dell’eroe. L’artificio si complica quando la figura del narratore si triplica: a) Narratore anonimo o secondo autore (Cervanes); b) Cronista arabo o primo autore (Benegeli); C’è, poi, una scena che sembra un quadro di Velázquez in cui Cervantes si autoritratta con i canoni del malinconico pensante: la piuma dietro l’orecchio, la testa appoggiata sulla mano, il gomito sul tavolo. Entra un amico definito “gracioso” (=simpatico, spiritoso) che gli chiede cosa stia facendo e perché stia così. Cervantes (con le vesti di narratore) gli risponde che non sa come finire questo prologo, ma che allo stesso tempo, non vuole far stampare il libro senza. L’amico gli dice che gli avrebbe insegnato in 5 minuti come scriverlo: deve gonfiare il testo citando nomi, ecc. COMPONIMENTI 4. NOVELAS EJEMPLARES Pubblicate nel 1613, in 1 volume, le 12 Novelas cervantine: La gitanilla; El amante liberal; Rinconete y Cortadillo; La española inglesa; El licenciado Vidriera; La fuerza de la sangre; El celoso extremeño; La ilustre fregona; Las dos doncellas; La señora Cornelia; El casamiento engañoso; Coloquio de los perros. L’autore definisce le sue novelle “esemplari” e lui stesso spiega nel Prologo al lettore il motivo di questo epiteto. “Esemplari” non perché basate sul modello degli exempla medievali, ma perché: a) Cervantes riesce a scrivere l’opera in modo originale, modificando i sistemi dei modelli tradizionali utilizzati (che soddisfano l’orizzonte di attesa del periodo): novella sentimentale, bizantina, picaresca, pastorale. Quindi, l’esemplarità sta nella novità che l’autore propone con i suoi testi; b) Da ognuna delle novelle il lettore può trarre qualcosa di positivo, qualche profitto. Le Novelas seguono la scia tracciata dalla prima parte del Quijote in cui finzione e realtà si intrecciano. Inoltre, la sperimentazione di una nuova scrittura è affiancata dalla convinzione dell’autore, il quale afferma di essere il primo ad aver novellato in lingua castigliana. L’opera riscosse subito molto successo sia per l’aspetto innovativo, sia per la capacità di divertire serenamente, sia per il loro carattere costruttivo e di insegnamento. Il corpus delle Novelas è caratterizzato da un denso intreccio di eventi, storie d’amore intricate e seducenti, narrati sullo sfondo dell’ormai decadente impero asburgico.  Alcune novelle sono caratterizzate da una struttura il cui tema principale è quello dell’amore in tutte le sue sfumature (desiderio, gelosia, ecc.) che viene continuamente messo alla prova e che trova il suo punto di arrivo nel matrimonio cristiano. Colui che ama deve sopportare grandi patimenti e gli innamorati devono affrontare prove d’amore: avventurosi viaggi, prigionie, insidie, equivoci. Tutte queste difficoltà vengono superate dalla coppia di innamorati.  In altre novelle, invece, il tema amoroso è marginale e il matrimonio (coronamento delle storie d’amore precedenti) è considerato un inganno.  In altre ancora, si svolge il tema delle Armi e delle Lettere in cui si sviluppa quello della follia, viaggio al di fuori di sé stesso contrapposto a quello realistico e vitale alla ricerca di ricchezze e piaceri. Varie tipologie di personaggi che rappresentano a pieno la società 600esca: picari, nobili, mercanti, governatori, servi, padroni, cristiani, protestanti, ebrei, turchi, emarginati, integrati, ecc.  Un meccanismo ricorrente e significativo effettuato dai personaggi è il cambio di polarità tra femminile e maschile: i personaggi maschili subiscono un processo di femminilizzazione e quelli femminili di maschilizzazione. La femminilizzazione degli uomini avviene soprattutto attraverso alcuni aspetti del sentimento amoroso, in particolare la gelosia: timori, lacrime sono spesso risolti in svenimenti. Anche le donne perdono i sensi, ma questo non le esime dal dimostrarsi donne forti, che non si arrendono davanti agli ostacoli e che affermano come bene prezioso la loro libertà.  I giovani amanti sono soggetti alla volontà dei genitori e su tutto domina la regola dell’onore. Infine, concluse le novelle, scrive il Prologo al lector in cui con ironia si rammarica di non possedere un ritratto che lo renda noto ai posteri e vi rimedia con un’auto descrizione: profilo aquilino, capelli castani, occhi vivaci, bocca piccola, barba e baffi, pochi denti in cattive condizioni, un po' curvo di spalle. 5. VIAJE DEL PARNASO Poema allegorico e burlesco. Scritto in terzine. Rima incatenata (ABA BCB CDC, ecc.). Diviso in 8 capitoli. L’autore è contemporaneamente protagonista e voce narrante. TRAMA La storia racconta le avventure dell’autore che, esortato da Mercurio, compie una spedizione nel Parnaso per sostenere Apollo, sommerso da poeti che in quel periodo proliferavano nelle lettere spagnole. Cervantes aiuta il Dio a scegliere, da un elenco che gli viene presentato, i poeti da condurre al sacro monte. Il protagonista parte da Madrid a piedi e si imbarca al porto di Cartagena per approdare alle città dove si trovano gli autori prescelti. Il viaggio si compie su una nave singolare costruita da metri poetici (romance, sonetti, terzine, elegie, canzoni, rime, ecc.). Dopo molti incidenti, arrivati a Parnaso, i poeti validi sono onorati da Apollo. Giunge il momento della battaglia, vinta dal nobile squadrone, nonostante il tradimento di alcuni eletti. Il protagonista cade in un profondo sonno causato da Morfeo e si sveglia a Napoli dove ricorda i lieti anni della giovinezza e partecipa alle feste del conte di Lemos. Raggiunge la Francia e poi Madrid senza capire come sia stato effettuato lo spostamento. L’opera è completata con l’Adjunta al Parnaso in cui Cervantes, sempre nelle vesti di personaggio, descrive l’incontro con il giovane poeta, suo ammiratore, Pancracio de Roncesvalles, destinatario di una lettera di Apollo in cui sono enunciate una serie di regole atte a salvaguardare la poesia spagnola. L’Adjunta si chiude con il proposito di scrivere una risposta al dio Parnaso. Se il Quijote è la parodia del mondo cavalleresco, il Viaje lo è del mondo mitologico rinascimentale. È, però, anche un’opera in cui si riflette la malinconia dell’autore per i suoi giorni che volgono al termine (identificabile con l’arrivo a Napoli -paradiso- in cui l’autore associa la sua giovinezza, e il ritorno a Madrid, inferno del presente) e la stanchezza per la poca generosità con cui la vita lo ha trattato. Questo lo si deduce anche dal fatto che l’opera è caratterizzata dal discorso in I persona e, in molti casi, viene palesato il pronome personale soggetto (yo) al fine di mettere in rilievo il carattere auto propositivo del discorso. C’è, quindi, un io forte e vitale. Il poema ha, quindi, un carattere satirico/giocoso e celebrativo in quanto Cervantes, con quest’opera, propone il suo testamento di uomo e di poeta. Quando Cervantes pubblica l’opera è, ormai, anziano, ammalato e sente il presagio della morte, ma l’autore, anche nell’opera, sembra dimostrare accettazione per il proprio destino. Infatti, verso la fine del poema, un enigmatico personaggio, Promontorio, lo definisce “semi defunto”. 6. IL TEATRO 1569-1580: Cervantes lontano dalla Spagna. Anni fondamentali per la storia del teatro spagnolo. Quando Cervantes torna in patria, tenta di inserirsi nell’ambiente teatrale. 1585-1587: Cervantes firma un contratto con il capocomico Gaspar de Porres (1585) in cui viene stilato che Cervantes si sarebbe impegnato a consegnare a Porres La Confusa e La via a Costantinopoli e la morte di Selim (titolo dell’11esima commedia che appare solo in questo contratto) e in cambio avrebbe ricevuto un compenso di 40 ducati diviso in 2 rate: 20 immediatamente e 20 alla consegna della seconda commedia. A suo dire: a) Il suo teatro è innovativo in quanto riduce molte commedie da 5 a 3 atti; b) Introduce in scena, per la prima volta, le immaginazioni e i pensieri nascosti dei personaggi; c) Propone figure allegoriche. In realtà, Cervantes non è certo stato il primo a ridurre le commedie da 5 a 3 atti, né il primo a porre in scena figure allegoriche (anche Lope le utilizza). Compone molte commedie (20/30). Dieci titoli, di queste, appaiono nell’Adjunta al Viaje del Parnaso (1614) tra cui La confusa, da lui stesso molto apprezzata, La vita ad Algeri, La battaglia navale, ecc. Di questi testi, ci pervengono solo La vita ad Algeri (Los tratos de Argel) e La Numanzia (La Numancia). A giudicare queste due opere, il primo periodo del teatro cervantino appare così:  Argomenti di attualità e, spesso, autobiografici (ad esempio, viene ricordata Lepanto);  Argomenti di tono ariostesco e tassiano;  Teatro povero di azione e declamatorio. LOS TRATOS DE ARGEL Databile tra 1581-83, rappresenta un tipo di teatro basato sul racconto di avvenimenti storici (in questo caso battaglie contro i turchi e tea della prigionia ad Algeri) esposti da uno dei personaggi e in dialoghi tra 2 o più personaggi. La commedia inizia con un monologo di Aurelio che racconta la sua situazione di schiavo per amore. Successivamente, Saavedra, soldato prigioniero, e Leonardo, sotto forma di dialogo, raccontano le novità della guerra in frammenti molto estesi. Infine, sopraggiunge un III personaggio, Sebastian, che racconta indignato il martirio di un sacerdote in un’altra estesa declamazione ininterrotta (uso di monologhi). Cervantes non utilizza solo la sua esperienza, ma fa riferimento a meccanismi letterari e teatrali “di moda” in quel periodo. Infatti, il teatro basato sulla relación (racconto) di eventi storici era già stato utilizzato. LA NUMANCIA Tragedia in cui viene messo in scena l’assedio di Numanzia nel 133 a.C. da parte delle truppe romane; l’eroica resistenza degli abitanti e la loro decisione di morire tutti in modo da negare il trionfo al vincitore Scipione.  Predomina l’endecasillabo;  Vista dalla critica come tragedia religiosa o come epica della fama e dell’onore. Anche in questo caso, come per la commedia precedente, Cervantes utilizza un tema privilegiato in quegli anni, utilizzato, per esempio, da la Cueva, Lope de Vega, ecc.: gli assedi di città. Utilizza un tema “di moda” trattandolo, però, in un teatro rinascimentale, un teatro di parola. Probabilmente, contrariamente da ciò che lui stesso afferma, il successo fu scarso, altrimenti Cervantes non avrebbe abbandonato una carriera teatrale brillante da cui poteva trarre anche profitti economici. Alcuni degli errori che commise: non tenne conto né delle necessità, né della composizione delle compagnie. Infatti, i suoi testi prevedevano una 20ina di attori in scena, in un periodo in cui la tendenza era alla riduzione delle compagnie. Inoltre, Cervantes, sembra confondere l’arte del drammaturgo con quella del romanziere. E così, inserisce informazioni inutili nel testo dal punto di vista tecnico e sembra quasi che si rivolga ad un lettore, non ad uno spettatore, né tantomeno ad un attore. 1587-1591: trascinato dalle vicende personali, Cervantes si allontana dalla scrittura teatrale. 1592: Cervantes torna in scena, stipula un contratto con il capocomico Rodrigo Osorio impegnandosi a fornirgli 6 commedie. Cervantes, anche questa volta, si trova spaesato e confuso di fronte il panorama del teatro spagnolo. Infatti:  La lingua è colloquiale, registro basso e utilizzo di procedimenti retorici quali: domande e risposte, insulti e contro insulti, doppi sensi, ecc.  Cervantes scegli di utilizzare la prosa piuttosto che i versi, nonostante l’entremesistica avesse da tempo scelto di esprimersi in versi, e questo dimostra l’influenza di Rueda ancora presente. Infatti, gli entremeses presentano gli stessi problemi “teatrali” della maggior parte dei testi delle commedie. A tal proposito, Cervantes non si esime dal lodare gli entremeses di Rueda da cui riprende la tipologia dei personaggi eletti come protagonisti dei testi cervantini, per esempio: il ruffiano, lo sciocco, ecc. Nonostante ciò le fonti di Cervantes sono disparate.  Motivi folclorici che fungono da filtro tra testo cervantino e lettore/attore. Il risultato non è una rappresentazione realistica della società, ma una visione dolente delle abitudini e della mentalità.  Gusto per il comico e la satira, presente, ad esempio, nell’entremes inserito nell’Entretenida.  Temi principali: amoroso-matrimoniale (in difesa di un concetto cristiano del matrimonio); satira sociale (si fa satira degli eccessi attivi dell’ambiente rurale e dei vizi passivi dell’ambiente cortigiano).  Ansenio distingue 3 gruppi di entremeses: - Quelli satirici (E juez de los divorcios, La elección de los alcaldes de Daganzo) senza azione né movimiento. In entrambe gli entremeses la struttura è lasciata aperta: il giudice non si esprime sul destino delle coppie e l’elezione dei sindaci si rimanda al giorno dopo; - Quelli di azione (El vizcaino fingido, La cueva de Salamanca, El viejo celoso) con una catena di avvenimenti e una conclusione allegra; - La combinazione delle caratteristiche dei due gruppi precedenti (El rufián viudo, La guarda ciudadosa, El retablo de las maravillas). 7. LOS TRABAJOS DE PERSILES Y SIGISMUNDA Romanzo iniziato probabilmente contemporaneamente alla stesura della parte I del Quijote, fu ripreso nei suoi ultimi anni di vita. La stesura di questo romanzo e il suo buon esito preme molto Cervantes tanto che, nelle opere che pubblica tra il 1612-1615, non tralascia mai di riferirsi al romanzo che sta scrivendo e lo fa in diverse occasioni: nel Prologo alle Novelas ejemplares, nel Viaje del Parnaso, nella dedica al conte di Lemos delle Ocho comedias y entremeses, nel Quijote. La stesura di quest’opera lo tiene occupato fino alla fine dei suoi giorni, ma sarà pubblicata solo nel 1617, dopo la sua morte. La struttura e i temi di tale romanzo sono influenzati dall’influsso:  Del romanzo cavalleresco. Troviamo infatti una struttura ciclica, una serie di eventi principali che si susseguono, nei quali vengono inserite nuove storie;  Del romanzo greco, in particolare da 2 romanzi della Grecia del III secolo, circolanti nella sua epoca: Teagene e Clariclea di Eliodoro e Leucipe e Clifonte di Achille Tazio. Il testo si presenta diviso in 4 libri. Nei primi 2 l’autore non interviene quasi mai nel racconto, mentre negli ultimi 2 l’autore effettua numerosi interventi. La scrittura in prosa è intrecciata ad un forte linguaggio poetico. Il testo presenta una polifonia di voci narranti corrispondenti ai vari personaggi che nel viaggio vengono incontrati e che contribuiscono a tessere il tessuto del romanzo con il racconto delle loro storie. Il racconto costituisce un movimento all’indietro nel tempo e una sospensione dell’azione principale. La catena di narratori-ascoltatori propone una nuova componente strutturale: il racconto nel racconto. Un esempio ne è la scena in cui viene rivelata l’identità di Periandro e Auristela. TRAMA La storia del Persiles racconta come una vicenda d’amore minacciato si trasformi in pellegrinaggio, degli amanti casti si trasformino in fratelli, dei prigionieri in pellegrini. La narrazione si apre con il racconto di una situazione di grande pericolo che riguarda i principali protagonisti: Persiles (Periandro), Sigismunda (Auristela) e una famiglia costituita da Antonio il Barbaro (lo spagnolo gagliardo), la moglie Ricla e i loro 2 figli Antonio il Giovane e Costanza. Il lettore, inizialmente, fa difficoltà a identificare la giovane coppia poiché viene il loro nome non corrisponde a quello del titolo: Persile viene chiamato Periandro e Sigismunda, Auristela. Inoltre, lui è travestito da fanciulla, lei da giovinetto. I due sono pseudo fratelli. La narrazione inizia nell’isola di Barbara, ma scopriamo, grazie al racconto a ritroso di Periandro, che il viaggio è iniziato nella boreale Thule e ha come meta Roma. Auristela/Sigismunda deve recarsi a Roma per approfondire in sé la fede cattolica. Durante il viaggio i due “fratelli” verranno separati, sottoposti a terribili prove, riuniti e immessi nuovamente nei più disparati pericoli. Lungo il loro viaggio il lettore incontra altri personaggi che intervengono con le loro storie aiutando l’avanzare del cammino e della narrazione. Al termine del viaggio tutti i nodi daranno sciolti e le maschere dei protagonisti cadono: Persiles e Sigismunda riacquisteranno la loro vera identità, si sposeranno, vivranno felici fino alla fine dei loro giorni. La coppia e la singolare famiglia rappresentano i personaggi principali. Simboleggiano un universo contraddistinto da bellezza, sincerità, verità, saggezza, purezza. La maggior parte dei personaggi restanti, invece, rappresentano le passioni, infatti le storie raccontate nell’opera sono costituite da casi di amore scuro (amore brutale dei barbari, amori peccaminosi, ecc.) contro il quale i due protagonisti dovranno affrontare prove in difesa dei loro valori. Tanto che la meta del viaggio è Roma, apice dell’amore puro di Persiles e Sigismunda. Il romanzo di Cervantes è caratterizzato da una forte ambiguità, ma la maggior parte della critica ha interpretato il viaggio in chiave controriformista, cioè il viaggio è inteso come un pellegrinaggio simbolico che segue il modello cattolico. Romanzo, comunque di difficile interpretazione per il lettore odierno, caratterizzato da linee di luce ed ombra che lo modellano ne fanno un testo rappresentativo della letteratura barocca. LOPE DE VEGA CARPIO 1. LA VITA 1562: Nasce a Madrid. Figlio di un artigiano. Giovane molto intelligente e di ingegno precoce grazie a numerose esperienze culturali e sentimentali. La sua figura sfugge alle definizioni e canonizzazioni, ma Juan Pérez de Montalbán, suo allievo prediletto, ne descrive la vita. Quest’ultimo narra che già all’età di 5 anni leggeva in latino e in volgare, appassionato di poesia e capace di danzare, cantare, maneggiare la spada. Sin da piccolo è un bambino prodigio tanto che gli viene appellato il nome di “fenice dell’ingegno”. Per quanto riguarda la sua adolescenza sappiamo che fuggì, insieme ad un suo amico, a Segovia ma vennero ricondotti a casa dalle autorità, insospettite dai due viaggiatori. A 17 anni consuma i suoi primi amori che rielaborerà, più adulto, in forma letteraria nella Dorotea: ha una relazione tumultuosa con Elena Osorio, attrice e figlia di attori, fin quando le violente satire che egli indirizza all’infedele gli procurano un imprigionamento, un processo e l’esilio (di durata di 6 anni) a Valenza. 1588: Uscito di carcere, prima di partire in esilio, sposa Isabel de Urbina per procura, dopo averla rapinata. In questo stesso anno si arruola come volontario nell’Armada e parte da Lisbona alla volta dell’Inghilterra. A bordo, Lope scrive diversi poemi:  La hermosura de Angelica, imitazione dell’Ariosto;  Romances nei quali esprime l’amore per la moglie lontana. 1589: L’esercito spagnolo è sconfitto. Lope torna a Valenza dove vive con la moglie e partecipa attivamente alla vita letteraria che si svolgeva in città. La sua produzione teatrale, già da tempo iniziata, ora si sviluppa e matura. L’esilio dura 6 anni e Lope non vive solo a Valenza, ma anche a Toledo (presso il duca di Alba) e ad Alba de Tormes, dove muore la moglie Isabel. 1596: Torna a Madrid. Lope viene processato per concubinaggio Antonia Trillo. Lascia il servizio del duca di Alba. Entra al servizio del futuro conte di Lemos (allora attuale marchese Sarria) fino al 1603. 1598: Si sposa con Juana de Guardo (II moglie), ricca figlia di un macellaio. Probabile matrimonio di interessi. La canta con il nome di Camila Lucinda. Con lei ha 7 figli tra cui Lope Felix e Marcela, i prediletti di Lope. In qualsiasi caso, il matrimonio non gli impedisce di intraprendere un concubinaggio con Micaela de Luján. In questo anno termina l’Arcadia, opera pastorale. 1599: Pubblica El Isidro, poema dedicato al santo protettore di Madrid. 1604: Si pubblica El peregrino en su patria, una sorta di romanzo autobiografico dove si intrecciano riferimenti ad avvenimenti reali e illusioni a Micaela de Lujan. 1605: Lope è a Madrid e inizia il suo rapporto con il duca di Sessa: lo serve come segretario, instaurano un rapporto di amicizia. 1607: Il figlio, Lope Felix, viene battezzato a Madrid. La sua madrina è l’attrice Jerónima de Burgos e anche con lei Lope intraprende una relazione. 1609: Appaiono:  Arte nuevo de hacer comedias (riflessione teorica);  Jerusalem conquistada, poema epico ad imitazione tassiana. Entra a far parte della congregazione degli “Esclavos del Santísimo Sacramento” e compra una casa che lo stesso poeta loderà nei suoi versi e dove vivrà fino alla morte.  Linguaggio funzionale che lasci ampi spazi per l’inserimento di locuzioni sonore, adornate. Insomma, si impreziosisce il linguaggio, specialmente in particolari momenti, quali: soliloqui, verso la fine delle scene.  Il metro crea attese: quando lo spettatore sentiva l’assonanza del romance sapeva di doversi aspettare un brano epico e narrativo; il ritmo aulico delle terzine gli indicava momenti di nobiltà o gravi; le decimas e le redondillas indicavano tema amoroso, ecc.  Rivolge dei consigli alle dame: non devono essere indegne del loro nome, devono mantenere un certo pudore quando si travestono da uomo cercando di non mostrare troppo le loro forme;  Rivolge consigli agli uomini innamorati: che portino rispetto per le loro dame;  Presenza della satira. Dice che fare satira è molto difficile perché bisogna rispettare dei limiti, una sottilissima linea che non va oltrepassata per non rischiare di infamare;  Il tema centrale è quello della reputazione. Tanta novità e consapevolezza viene, però, controbilanciata da una serie di chiusure. La più importante è il conformismo, lo spirito conservatore del teatro spagnolo a cui si adatta anche Lope. ad esempio, il protagonista di una commedia barocca non potrà mai essere uno straniero antagonista dello stesso spagnolo; il potere non può mai essere messo in discussione: non potrà mai morire un re spagnolo, seppur indegno (questo dimostra la lontananza tra teatro spagnolo e quello inglese). L’Arte nuevo termina con l’ennesima consapevolezza secondo cui la commedia parla a tutti e tutti possono trarne qualcosa, è una forma di educazione per il popolo, è didattica. La classificazione a livello cronologico delle commedie di Lope non è semplice perché buona parte di esse è priva di una sicura data di composizione, ma in generale si distinguono 3 periodi: 1. Arcaico: periodo in cui Lope sperimenta il suo teatro, non ha ancora trovato la sua formula. Nelle prime commedie si può notare l’uso di metri di origine italiana, endecasillabi sciolti, terzine, ecc. Le azioni non si intersecano, ma sono proposte le une accanto alle altre. Presenza di scende si satira. Utilizzo di personaggi allegorici. Il linguaggio oscilla tra lirismo e lingua parlata, volgare. 2. Libero (1590-1604) In questo periodo si notano tratti di maturità, ma la sua attività teatrale non raggiunge ancora la pienezza. Vediamo sicuramente un Lope più libero, una varietà di temi e soluzioni spesso inaspettate. Il suo teatro è caratterizzato ora da: - Influenza della commedia dell’arte italiana; - Ambiente cittadino, urbano di Valenza; - Equilibrio tra modello teatrale universitario (de colegio) e di corte in cui prevaleva la dizione e quello del corral in cui prevaleva l’intrattenimento; - Rottura, in alcune commedie (Los locos de Valencia) delle coppie dama-cavaliere, servo-servetta tramite la pazzia d’amore. 3. Maturo (dal 1604 in avanti) Dal 1604 in poi si svolgerà il teatro lopesco in tutta la sua pienezza. Appartengono a questo periodo le opere più conosciute di Lope: Fuente Ovejana, La dama boba, Caballero de Olmedo, La hermosa fea, ecc. Dall’analisi di queste commedie si nota che i fatti narrati non girano solo intorno ai personaggi, ma attorno a coppie di senso: essenza/apparenza (Los melindres de Belisa), bellezza/bruttezza (La hermosa fea). Queste coppie di senso contrapposte sviluppano un sistema di opposizioni. Uso di meccanismo metrici, rime, ecc. CABALLERO DE OLMEDO Tragicommedia composta, probabilmente, nel 1620. Per scrivere quest’opera, Lope utilizza fonti sia storiche che letterarie. Infatti, è basata su un fatto storico, un fatto reale di cronaca: Pérez trovò nell'archivio di Simancas, città vicino a Valladolid, un documento secondo cui il 6 novembre 1521 venne assassinato Juan de Vivero, un uomo di Olmedo, mentre tornava dalla festa dei tori di Medina. Sua moglie, doña Beatriz Guzman, accusò Miguel Ruiz, compaesano, della morte di Juan. L’uomo venne processato e, secondo la legge del tempo, la famiglia della vittima poteva ferire, mutilare o uccidere il colpevole e i suoi beni venivano consegnati in parte alla corona, in parte alla famiglia della vittima. La notizia si diffonde e circola attraverso un romance noticiero. *Romancero: genere ricco di varianti perché appartiene alla cultura orale, perciò chiunque lo canti lo modifica. I romances sono molto efficaci, raccontano i fatti con poche parole, ma esagerano nella forma. * Secondo Rico, venne scritto un romance (ormai perduto) incentrato sulla morte di don Juan. Ma alcune allusioni riguardanti tale romance possiamo trovarle all’interno del Vocabulario de refranes y frases proverbiales di Gonzalo de Correas in cui l’autore parla del cavaliere facendo riferimento ad Olmedo. Un’altra fonte che tratta questo argomento è il cosiddetto “Baile del caballero de Olmedo”. A questa fonte è relazionata una “seguidilla”: canzone danzata della cultura popolare spagnola, (secolo XVII): Que de noche le mataron/ al caballero, / la gala de Medina/ la flor de Olmedo. Questa seguidilla (musica) viene utilizzata da Lope de Vega varie volte. Per esempio:  Nel Caballero de Olmedo;  In due autos sacramentales, quindi in forma religiosa. Prende un tema profano e lo divinizza;  El santo negro Rosambuco. Quindi, sono queste le fonti che ispirano Lope de Vega a scrivere la tragicommedia che gira intorno a questa canzone popolare. Essendo fonti la cui storia è a conoscenza del popolo, quest’ultimo sa come va a finire l’opera teatrale (morte del cavaliere), ma è comunque curioso di conoscere i fatti e i modi che conducono al tragico finale. L’opera si presenta, perciò, come un chiaro omaggio alla cultura e alla poesia popolare. El caballero de Olmedo, inoltre, è influenzato da un’importante opera letteraria spagnola: La Celestina:  Entrambe le opere sono tragicommedie (dimostrazione della possibilità di poter mischiare il tema tragico e quello comico, contrariamente alle regole imposte dalla tradizione);  I protagonisti di entrambe le opere non si sposano, nonostante siano single e innamorati l’uno dell’altra. Probabilmente, la tragedia di Calisto e Melibea è dovuta al peccato iniziale di non aver controllato le passioni;  In entrambe è presente, anche se marginale, il tema della magia. Nel Caballero la magia è personificata dalla mezzana Fabia (pag.108-109, da v.198), è una maga. Tollo, amico di Alonso, commette un atto blasfemo perché avvicina la religione alla magia: nel momento in cui parla della magia compiuta da Fabia, nomina la parola “miracolo”. In questo modo cristianizza la magia. È questo, forse, il momento più vicino alla Celestina. Fabia, comunque, è un personaggio importante perché mette in contatto i due spazi con il suo peregrinare da don Alonso alla casa di Inés e di nuovo da don Alonso. In questo modo permette la loro comunicazione in 2 modi TRAMA Basato su un fatto reale, racconta un amore impossibile. Don Alonso, cavaliere di Olmedo, specchio di ogni perfezione, attraente, coraggioso, cortese, conosce doña Inés durante la fiera di Medina a cui si è recato con Tello, suo domestico. I due si innamorano immediatamente ma, invece di chiederla subito in sposa al padre, ne sollecita l’amore tramite la mezzana Fabia (figura che rimanda volontariamente a Celestina). Intanto il padre promette la mano della figlia a don Rodrigo, uomo codardo, traditore. Per scongiurare il matrimonio, doña Inés finge di volersi fare suora. Anche Fabia finge di essere una santa donna che darà lezioni alla giovane per prepararla alla sua entrata in convento. Don Rodrigo viene a conoscenza dell’inganno e uccide don Alonso. Inés non può che entrare davvero in convento e al re è affidata la giustizia finale. La critica si è domandata il motivo per cui don Alonso non abbia chiesto subito la mano dell’amata al padre che sarebbe stato entusiasta di concedergliela. Probabilmente, secondo alcune linee di lettura, dipende dal fatto che il testo lopesco è ricco di contraddizioni, al servizio del tema d’amore tragico. Da questo punto di vista, l’amore tragico trasforma l’impedimento in un raffinato, cortese auto impedimento e la fatalità sarà necessaria. Tra i due protagonisti vi sono una serie di differenze:  L’amore è evocato da don Alonso in maniera diretta e ripetuta in raffinate décimas. Per lui l’amore è una forza dinamica, costruttrice. L’amore è evocato anche da doña Inés, ma in maniera indiretta e in modo molto più semplice. Per lei l’amore è una forza misteriosa e statica che muove il mondo e che la costringe, quasi suo malgrado.  L’uomo è connotato attraverso una serie di qualità morali, il suo status di cavaliere, il suo eroismo oggettivato da riferimenti a fatti storici. La donna, invece, è connotata attraverso il suo aspetto fisico nella descrizione dello stesso don Alonso che ne esplicita ogni parte del corpo: capelli, occhi, mani, bocca, denti, guance, vestito, profumo. La donna, quindi, vive esteriormente, in superficie dato che le vesti e l’aspetto fisico della donna costituiscono la sua identificazione. Infatti, quando Inés minaccia di togliersi gli abiti eleganti che la caratterizzano per farsi monaca, il padre la rimprovera affermando che questo determinerà la perdita della propria dignità.  Gli spazi vitali dei due sono diversi: lui si muove in uno spazio esterno, all’avventura; lei in uno spazio interno, in casa e poi in convento;  Alonso fa conoscere il suo amore tramite un raffinato sonetto, modo spirituale e trascendentale). Invece, Inés invia un listón, un fiocco, oggetto tangibile e materiale, oltre che capo d’abbigliamento. Alla fine del I atto l’incontro fisico tra i due non è ancora avvenuto. Il II atto si apre con il superamento dello spazio fisico: è l’unico momento che presenta il protagonista all’interno della casa di Inés, ma sarà immediatamente obbligato ad uscirne e a partire da Medina. Infatti, l’ultima parte di questo atto si svolge ad Olmedo, a conferma del taglio che si è verificato. Gli effetti della partenza sono teorizzati dalla dama e dal cavaliere. L’antagonista don Rodrigo si presenta come elemento di rottura e Inés, per evitarla, deve ricorrere ad una falsa partenza: la monacazione. La perdita dell’abito, che coincide con l’identificazione sociale, diventa centrale: don Rodrigo perde il mantello in uno scontro con don Alonso e lo vede ora indossato da un servo. Questa perdita ha 3 valenze: perdita di reputazione sociale, perdita di sé stesso che conduce alla gelosia e, quindi, anche perdita della ragione. Anche Fabia e Tello si presentano a casa di Inés sotto falsi abiti e il mascheramento cambia la loro natura. Intanto alla fine di questo atto incalzano gli elementi premonitori che turbano il protagonista e ricordano al pubblico l’impossibilità di una conclusione felice. Nel III atto vediamo la definizione degli spazi che competono ai protagonisti: morte di don Alonso (fuori eterno) e monacazione effettiva di Inés (dentro definitivo) che rappresenta una castrazione sentimentale. Questa opera ebbe un gran successo non solo perché rispecchiava i gusti popolari, ma anche grazie a Garcia Lorca: egli aveva una compagnia di teatro (La barracca) con cui rappresentava opere tradizionali in giro per la Spagna. Lorca scelse di rappresentare El caballero de Olmedo. Venne rappresentata anche in Francia, perciò, ebbe anche una grande diffusione. Garcia Lorca rappresentava quel teatro della tradizione spagnola tanto trattato dai poeti del secolo d’oro. In Spagna il gusto per la tradizione popolare dura per molto, almeno fino alla generazione del 27 (Quevedo, Gongora, Lope, ecc.) perché in territorio spagnolo si sviluppa una tradizione popolare nazionale molto forte in quanto la cultura spagnola si allontana presto dal latino, a differenza, per esempio, dell’Italia che mantiene la scrittura del latino fino all’800 in ambito scientifico. TIRSO DE MOLINA 1. LA VITA 1579: Nasce a Madrid. Pseudonimo di Gabriel Téliez, figura non sempre decifrabile: sia la sua biografia, sia il suo corpus drammatico presentano alcuni problemi di decifrazione, ad esempio molti studiosi hanno avuto problemi a identificare i suoi dati biografici relativi alla nascita e alla famiglia di appartenenza. 1601: entra come novizio del convento di Nuestra Señora de la Merced di Guadalajara. La sua carriera ecclesiastica lo porta a viaggiare molto: Galizia, Siviglia, nelle colonie (Santo Domingo), Salamanca, Madrid (dove partecipa attivamente alla vita letteraria della capitale). Ritornerà in patria solo nel 1618 con un ricco bagaglio di esperienze americane che si rifletterà nelle sue opere letterarie. 1606: inizia a scrivere per il teatro, in questo momento si trova a Toledo. Le sue commedie vengono rappresentate presso i due corrales della Cruz e del Principe. 1621: completa la stesura della sua prima opera narrativa, I giardini di Toledo (Los Cigarrales de Toledo) che pubblicherà 3 anni dopo, 1624. 1625: la Junta de Reformación oltre a negare il permesso di stampare libri di intrattenimento in Castiglia, stila contro Tirso de Molina una dura censura in quanto autore di commedie profane e ne sollecita l’allontanamento dalla capitale. Tirso, però, ha protettori autorevoli e riesce a far placare lo scandalo. Da questo anno in avanti Tirso scriverà raramente commedie. La sua ultima commedia la compone nel 1638 (Lo stemma portoghese). Infatti, dal 25 in poi scriverà opere erudite come il Deleitar aprovechando (1632) in cui utilizza lo schema del Decameron per scrivere un’opera a fini didattici: durante un carnevale dame e cavalieri si riuniscono e si ricreano ascoltando autos, novelle sulla vita di santi, considerazioni devote, ecc. 1639: termina la sua Historia general de la Merced; viene nominato Maestro. Passa gli ultimi anni della sua esistenza come Comendador del convento di Soria (1645) e Definidor della provincia di Castiglia. 1651: muore. In generale, il corpus di Tirso de Molina comprende 60 commedie (o 52, nel caso in cui le 8 della Segunda parte si considerino spurie) a cui vanno sommate le 3 che appaiono nei Cigarrales de Toledo e 10 tramandate manoscritte; 6 autos. Il corpus drammatico di Tirso presenta alcuni problemi, durante la sua vita si pubblicarono 5 parti di commedie che, però, non risultano pienamente affidabili.  Della Primera parte conosciamo 2 edizioni: 1627 a Siviglia e 1631 a Valenza (appare, quindi, nel periodo di divieto di stampare commedie in Castiglia);  La Segunda parte edita a Madrid e appare, paradossalmente, nel 1635 (1 anno dopo e parti 3 e 4);  La Parte tercera e la Cuarta parte appaiono nel 1634;  La Quinta parte edita nel 1636. Il problema è costituito proprio dalla Segunda parte perché comprende il Dannato per disperazione (Condenado por desconfiado), opera che presenta una dedica polemica: Tirso dice che, delle 12 commedie presenti, 4 sono le sue e le restanti 8 appartengono, invece, ad altri autori. Questa dichiarazione è stata spesso interpretata come un rifiuto delle 8 misteriose commedie che non vengono identificate. Ma perché se non sue, Tirso si sarebbe preso il carico di pubblicarle? 2. TEATRO Quando Tirso de Molina si avvicina al teatro, la commedia spagnola appare già matura e consolidata. Egli, infatti, si distingue per tipizzare al massimo situazioni, personaggi, scene. Del teatro contemporaneo sposa:  Caratteristiche esterne, come la polimetria;  Caratteristiche relative all’intreccio, come l’agnizione;  Personaggi topici, consacrati (es. gracioso);  Temi: l’amore contrastato, la gelosia, l’onore offeso;  Travestimento che evidenzia la differenza tra apparenza ed essenza e che sostiene l’intreccio;  Lo spazio, accortamente utilizzato da Tirso, evidenzia l’opposizione città/campagna. Tirso, cioè, allestisce un teatro che si basa più che altro sull’osservazione del teatro precedente, piuttosto che sulla rappresentazione della vita e dei costumi. Ciò produce una sensazione di straniamento, allontanamento dalla realtà e genera ambiguità. Per quanto riguarda il linguaggio, invece, assistiamo ad uno sperimentalismo linguistico:  Uso dei gerghi e dialetto della campagna di Salamanca (sayagues);  Uso di giochi di parole (anche in momenti patetici e drammatici);  Uso di barzellette e meccanismi che provocano la risata. Tirso si dedica alla:  Commedia storica e agiografica (a volte anche di argomento biblico);  Commedia di intreccio. 3. EL BURLADOR DE SEVILLA Una delle opere più conosciute e apprezzate della letteratura spagnola, ha avuto una diffusione enorme ed è rappresenta tantissimo sin dai primi tempi e il personaggio di Don Juan è diventato un personaggio emblematico, universale: il conquistatore. Infatti, l’opera venne rappresentata a Napoli nel 1625 dalla compagnia di Pedro Osorio; si integra al teatro francese con il testo di Molière; venne cantata da Mozart (attraverso il suo librettista italiano Lorenzo da Ponte); sarà ripreso in pieno romanticismo da Zarrilla che ne fa un dramma sulla forza salvifica dell’amore, ecc. Quindi, il successo della commedia (dramma in versi, diviso in 3 giornate) è immediato e ogni autore, ogni periodo storico la carica dei propri significati. Proprio perché ha subito avuto gran successo e diffusione, i memorillas ne fecero rappresentazioni pirata, o vendevano l’opera. Nel periodo del teatro barocco era molto comune, inoltre, smerciare commedie, il cui autore era anonimo, attribuendole ai nomi dei grandi drammaturghi. Insomma, varie situazioni di plagio che non ci consentono, oggi, di sostenere l’attendibilità dell’opera trattata. Infatti, oggigiorno si presentano 2 problemi importanti riguardo El Burlador de Sevilla: - uno riguardante la paternità/attribuzione dell’opera (chi è il vero autore?); - l’altro riguardante le varianti del testo (quale dei numerosi testi bisogna prendere come testo di riferimento?). A tal riguardo, ci sono 3 edizioni del Burlador de Sevilla:  La I (A) è attribuita a Tirso de Molina in una serie di “sueltas”, fogli sciolti, ma lo stesso Tirso non include nelle sue commedie quest’opera. Infatti, in una dedica l’autore sostiene che, delle 12 commedie presenti, 4 sono sue e 8 no (tra queste 8 è compreso El Burlador de Sevilla;  La II (B) è attribuita a Lope de Vega perché appare in un volume: Doce comedias nuevas de Lope de Vega Carpio y otros autores, publicato a Barcelona da Jeronimo Margarit (1630). Ma sappiamo che è un’edizione pirata, falsa, una raccolta artefatta perché sono presenti materiali precedenti svoltosi a Siviglia tra 1627/29. Comunque, questa edizione ha 100 versi in più rispetto a quella attribuita a Tirso;  La III (C) è attribuita a Calderón con il nome Tan largo me lo fiáis? Testo abbreviato che ci è giunto in una suelta senza indicazione di editore e di data. Il titolo vuol dire “C’è tempo ancora”/”Manca ancora molto” nel senso che manca tanto tempo prima della scadenza. Chi ha inventato questo titolo ha capito che don Juan pensa di aver molto tempo per la salvezza (tema della salvezza come nella Vita è sogno). È un’opera contraria alla Vita è sogno perché don Juan (rompe i vincoli e gli ordini familiari e sociali, è un traditore ed è protetto dallo zio e dal padre) è l’anti Sigismondo (principe cristiano e savio). È un’edizione stampata tra il 1633/35, a Siviglia da Fajardo (lui è conosciuto per far tante edizioni pirata). Quest’opera si è conosciuta solo nel XIX secolo (1878). La questione è estremamente complessa, ma la critica sostiene varie tesi, ad esempio: - B e C provengono dallo stesso testo primitivo perduto, nonostante ci siano delle differenze testuali. Rappresentate e in posti diversi: B rappresentata a Siviglia nel 26, 27 e nel 29, poi stampata, poi venduta. Si rappresenta, poi, anche a Napoli nel 1625 e nel 26 in due diverse compagnie e con un altro titolo: El convidado de tierra.; - Tan largo è una redazione posteriore e corrotta del Burlador; - Loez Vazquez ha ipotizzato che la paternità dell’opera sia da attribuirsi a Claramonte, capocomico sivigliano; - Luis Vazquez ha risposto a questa ipotesi con un’altra edizione in cui difende la paternità di Tirso. TRAMA L’intreccio si basa sulle gesta di don Giovanni, donnaiolo promesso sposo di donna Anna, figlia di don Gonzalo de Ulloa. Il giovane, però, seduce la duchessa Isabela, nobile napoletana, fingendosi il duca Ottavio, suo promesso sposo, e lo fa con una promessa di matrimonio segreto. Nella prima scena, Isabela parla di onore (onore è personale, la honra dipende dagli altri, è l’idea che gli altri hanno di te e il valore che ti attribuiscono). Don Giovanni dice: “mata la luz” (spegni la luce) e lei risponde: “muerta soy”. (Isabela non è come Dorotea che non ha voce, non può replicare). Fuggito da Napoli per salvarsi la pelle, approda in Spagna dove viene raccolto, dopo un naufragio, dalla pescatrice Tisbea che cede al suo fascino. Il re Alfonso XI di Castiglia, però, stabilisce che don Giovanni sposi l’offesa Isabela, mentre Ottavio convolerà a nozze con donna Anna come risarcimento per ciò che ha subito. Donna Anna è, però, segretamente innamorata del marchese de la Mota. Don Giovanni, contrario alla costrizione del matrimonio, uccide don Gonzalo de Ulloa che voleva vendicare l’onore di sua figlia e, dopo avventure con altre donne (tra cui Aminta), arriva a Siviglia dove urta contro la tomba di don Gonzalo, burlandosi del defunto e invitandolo a cena, la statua, imprevedibilmente, si presenta all’appuntamento (“il convitato di pietra”) e, a sua volta, invita don Giovanni e Catalinón a cenare nella sua cappella. Don Giovanni accetta e il giorno dopo si presenta. Lì la statua lo trascina all’inferno per punirlo. I JORNADA Don Juan appare sin dal primo momento come una persona che scappa. Nella I scena ci troviamo nella casa del re di Napoli: spazio inviolabile. Invece, viene lo spazio reale viene disonorato da Don Juan e Isabela, offendendo, di conseguenza, lo stesso re e diventando degni di castigo. Don Juan dice “mata la luz” e Isabela risponde “muerta soy”: importante! La scena inizia a precipitare quando Isabela si rende conto che non è in compagnia di suo marito Ottavio, ma di un altro uomo (DJ) al quale indica l’uscita, lo invita ad uscire. Entra in scena il re che, sentendo dei rumori, si domanda perché stanno gridando in casa sua e anche l’ambasciatore (con l’ambasciatore lo scandalo tra i due si fa pubblico, infatti ci sono anche i criados a fare da testimoni). JORNADA II Parlano il re e don Juan Tenorio (padre di DJ e cameriere del re). DJT informa il re che il fratello, don Pedro, gli ha fatto sapere attraverso delle lettere di uno scandalo avvenuto a Napoli. DJT dice al re di Castiglia la verità: il colpevole è suo figlio DJ che vive grazie alla protezione di suo fratello DP il quale lo ha fatto scappare e la dama, Isabela, ha colpevolizzato Ottavio per l’atto disonorevole, ma lui sa che il colpevole è, in realtà, suo figlio. Quindi, Ottavio è stato ingannato sia da DJ, sia da Isabela. A questo punto, DJT chiede al re di far sposare il figlio DJ con Ana per rimediare al danno del figlio (le donne sono una moneta di scambio). Isabela arriva a Siviglia e chiede che la sua honra venga riscattata, la honra non si può riscattare solo sposandosi (TOPOS: donna che riscatta la sua reputazione). Parlano Catalinon e DJT e quest’ultimo afferma che il figlio ha acceso un fuoco che deve essere spento (il fuoco non è quello di Isabela, ma quello scatenato in Tisbea). Il re lo chiama “ loco”, termine che abbiamo sentito pronunciare più volte da Ottavio (“estoy loco”) quando scopre che Isa lo ha ingannato. Arriva Ottavio e il re, che è a conoscenza del fatto che Ottavio era stato ingannato ingiustamente, gli dice che gli ha trovato una donna da sposare cosicché risolva il suo problema. Gli propone come sposa Ana, figlia di don Gonzalo. Ottavio, contento della soluzione ai suoi problemi, confida il tutto al suo gracioso e fa un elogio alla città di Siviglia. Nelle scene successive si incontrano DJ e Ottavio (lui conosce DJ, ma non sa che è colui che ha disonorato Isa). Mentre parlano, Ottavio nota che arriva il Marchese de la Mota (viene a complicare le cose). Ottavio in questa scena serve solo per introdurre il marchese, infatti esce di scena. Iniziano a parlare il Marchese e DJ: dialogo importante perché sono uno lo specchio/il doppio dell’altro. DJ gli chiede cosa stia succedendo a Siviglia, delle donne, delle sue amanti. Lui risponde facendogli una lista delle sue donne e, tra queste, nomina Ines e Costanza. A questo punto, DJ prosegue e dice “que hay de perros muertos?”. Può significare due cose: o non pagare la prostituta, o ingannare una donna facendole credere di essere un gran signore (in entrambi i casi c’è l’intenzione di ingannare una donna). MM dice a DJ che ha un obbiettivo quasi impossibile: conquistare sua cugina Ana e inizia a descriverla come una donna bellissima, originaria di Lisbona, figlia dell’ambasciatore. Il MM, così facendo, commette uno sbaglio perché DJ, attratto dall’impossibile, si incuriosisce e vuole conquistare Ana anche lui. Ma il MM aggiunge anche che il re l’ha già promessa ad un altro uomo. DJ dice a Catalinon di seguire il MM, mentre lui lo vediamo in strada: c’è una grada, dietro la quale si trova una donna che, vedendo DJ stava parlando con il marchese, suppone siano amici. Perciò la donna lascia a DJ un bigliettino da far recapitare al MM in cui lo invita ad un appuntamento alle 11 di sera e poi se ne va. A questo punto DJ dice una cosa che lo descrive perfettamente: “yo soy el burlador y el mayor gusto es enganar una mujer y dejarla sin onor”: per la I volta si definisce “burlador” e non parla di seduzione, ma di inganno; il suo piacere non è quello sessuale, ma quello di ingannare e rubare l’onore alle donne. DJ legge il biglietto e immagina già il divertimento che proverà ad ingannare Ana, proprio come aveva fatto con Isa a Napoli: per lui si tratta di un gioco. Arriva il MM e DJ gli consegna il biglietto, ma afferma che non sa chi lo manda (in realtà aveva visto la donna) ha solo riconosciuto la voce femminile del mittente che, da dietro una grada, gli ha detto di dirgli di incontrarla a mezzanotte (in questo modo, lui va alle 11, inganna Ana e tradisce il MM). Gli dice, inoltre, che per farsi riconoscere deve indossare un mantello e che lui, nel frattempo, va ad ingannare una donna, ma non dice chi. Il MM prima di andare all’appuntamento con Ana, va a prostitute (lupanare) e da incoscientemente il suo mantello a DJ per “dar el perro”. DJ chiede a Catalinon di reggergli il gioco e fa, poi, un’allusione quando parla del toro in riferimento al MM: dice che il MM è cornuto. Dialogo tra padre e figlio (DJT e DJ). Il primo dice al secondo che ha trattato con il re riguardo il suo castigo e prosegue facendogli delle raccomandazioni, si deve nascondere e, dispiaciuto, inizia a piangere, mentre al figlio non frega nulla e continua a ripetere “tan largo me lo fiais”. C’è un salto: vediamo Ana che urla di essere stata ingannata, che ha perso l’onore (anche qui non vediamo la scena dell’inganno, ma ciò che ne segue). A causa delle urla arriva il commendatore, così come a Napoli interviene il re. Don Gonzalo chiede alla figlia il motivo per cui urla e lei risponde di aver perso l’onore (=Tisbea). Solitamente la figura paterna è quella che punisce, infatti quando DJ stavolta incontra DG (non suo zio come nel I caso) che lo vuole uccidere per vendicare la figlia, ma, in realtà, sarà DJ ad uccidere DG che morendo dice “i traditori sono codardi”. Arriva MM per farsi restituire il mantello che DJ aveva utilizzato per ingannare Ana, ma lui non lo sa. Catalinon avvisa DJ di fuggire. Il MM ignora il morto, ma si concentra su DJ chiedendogli se l’ha ingannati, ma DJ fugge anche stavolta. Nelle scene successive, DJT incontra MM (che indossa il mantello che aveva indossato DJ) e insieme vanno a casa di Ana. Riconoscendo il mantello, il commendatore colpevolizza il MM per l’omicidio. Ana decide di andare in convento. La scena si interrompe di nuovo e inizia un’altra avventura di DJ che è insaziabile: va ad un matrimonio di 2 pastori: Patrizio e Arminta. Quando vede DJ, lui manifesta la sua gelosia perché si rende conto del pericolo. Arminta non si lascia ingannare, ma, alla fine, DJ riesce comunque ad ingannare tutti perché si presenta a Patrizio come l’amante di sua moglie da molto tempo. Va, poi, a parlare con il padre di lei dicendogli che si sposeranno. DJ incontra Arminta mentre lei aspetta in camera Patrizio e riesce ad ingannare anche lei dicendo che Patrizio l’ha abbandonata.  Il tema è ispirato alle archetipe fonti del romancero e dalla letteratura popolare: il morto che domanda vendetta ad un vivo.  Il linguaggio è caratterizzato dall’uso di versi spagnoli, quali: redondillas (per vivacità?) e decimas (per cose gravi). No endecasillabi.  Il don Giovanni di Tirso si contrappone allo stereotipo di condotta dei personaggi del Secolo d’Oro perché viene spogliato della dignità cavalleresca dal momento che il suo destino sarà la punizione eterna. Infatti, nell’ottica controriformista di Tirso il personaggio si danna non tanto perché è seduttore (peccato facilmente perdonabile), ma per la sua ambiguità e superficialità di fronte al mistero della morte e della salvezza. - Don Giovanni di Tirso è un personaggio che si contraddistingue per aspetti “bassi”, che mai si attribuirebbero ad un galán della commedia 600esca, e non per aspetti nobili: nonostante appartenga alla classe alta, alla nobiltà, non si comporta come un vero nobile; così come non si comporta da nobile suo zio, ambasciatore in Italia, uomo ingiusto perchè lo protegge, proprio come fa il padre; - È un traditore, ingannatore e lo si nota sin dall’inizio dell’opera: il tradimento nei riguardi di Otavio quando seduce Isabela; la salvezza ottenuta per l’appoggio dello zio e non per volere personale; la costante protezione paterna; - Personaggio emblematico, aperto, individualista: rompe l’ordine sociale e familiare; incarna la ribellione al potere (umano e divino); fa quello di cui ha voglia, si identifica con il suo piacere (che coincide con l’inganno, con il tradimento). Per questi motivi, la critica contro questo personaggio è dura e alla fine dell’opera paga andando all’Inferno (come Melibea?). Opera che inizia e termina con il disordine. È, quindi, un “burlador burlado” perché vive burlando ma finisce “burlado” da un personaggio paterno: il padre di una delle donne sedotte che viene dall’aldilà per punirlo. Il vero padre di don Giovanni non sa castigare il figlio, né tanto meno lo zio. Questa connotazione negativa del protagonista rappresenta una grande novità rispetto alla comedia de santos in cui un personaggio negativo si salva per un atto di pentimento; al contrario, nel Burlador, il protagonista si danna per una sua incapacità a capire la grandezza della morte, del peccato, della salvezza.  Nei momenti della conquista amorosa, si consuma un atto di rottura all’ordine sociale: la seduzione di Isabela avviene all’interno del palazzo reale; il disonore di Tisbea che tradisce la legge dell’ospitalità; ecc. La seduzione, nucleo dell’opera, rappresenta la perdita della honra (reputazione), ovvero la perdita dell’identità perché chi perde la honra perde il diritto di sposarsi, di avere figli, ecc. (si pensi alla Dorotea). Don Giovanni si diverte a far perdere la honra alle donne che seduce. La famiglia Tenoris (famiglia realmente esistita), don Giovanni, padre e zio, rompono gli schemi: sono traditori, ingannatori, offendono la corona.  Meccanismo di inganno-fuga è ripetuto per 4 sequenze secondo uno schema narrativo già sperimentato nella commedia lopesca: le donne burlate sono le dame (Isabela e Anna) e le contadine (Tisbea e Aminta): le dame vengono ingannate, le popolane sedotte. L’inganno si vale di 2 convenzioni sceniche: - Il travestimento si compie durante la notte  per 2 volte don Giovanni indossa la cappa degli innamorati di Isabela e Anna e si introduce presso di loro nella notte. La città diventa luogo di azione; - La seduzione si compie durante il giorno  don Giovanni utilizza la convenzione letteraria della parola. La campagna diventa il luogo della parola. Per questo, Tisbea esordisce con un lessico colto che richiama un improbabile ambiente pastorale.  Lo spazio della commedia abbraccia sia quello della campagna, sia quello urbano (spazi antitetici).  Ci sono 3 tempi: tempo narrativo della peripezia; tempo teatrale dell’inganno (entrate e uscite); tempo letterario della parola. Tutti e 3 sono destinati a confrontarsi alla fine con l’assenza di tempo: l’eternità, in cui la rottura delle leggi dell’equilibrio sociale diventerà equilibrio divino.  I versi brevi sono molto musicali, grazie anche alle ripetizioni.  La bellezza di quest’opera è il sincretismo: la capacità di sintetizzare in poche parole grandi concetti. L’autore crea un intreccio complicatissimo con pochi personaggi, tra cui DJ che cerca di ingannare tutti, ma alla fine inganna sé stesso. È un personaggio carico di dualismo. Alla convenzione della trama è affiancata la convenzione del linguaggio, infatti l’autore fa uso di molti giochi retorici: mezzi versi alterni, rime in eco, equivoci, paranomasia (accostamento di 2 parole di suono simile, ma di senso diverso, ad esempio: amore/amaro). Sono caratterizzate dalla ripetizione di sequenze teatrali tutte le commedie di questo tipo: uomini che duellano per la donna amata. Le commedie di enredo riguardano vicende basate sull’equivoco, sullo scambio di persona, inganni mischiati a temi amorosi (es. don giovanni). Il non riconoscimento crea equivoci. Tutte le novelas ejemplares, bizantina di Cervantes sono piene di enredo e anche le commedie di Lope. 3. DRAMMI D’ONORE I drammi d’onore di Calderón sono drammi definiti etici, di carattere politico, pubblico perché a valori morali si intrecciano problemi di ordine sociale (presenza di problemi di rango esistenti tra i personaggi) e opposizioni simboliche quali: nobiltà/plebe; militare/civile; forza/debolezza. Perciò, nonostante alcuni di questi drammi presentino anche il tema amoroso, non si limitano ad essere drammi sentimentali perché, appunto, vicende private e pubbliche ne determinano il carattere pubblico, politico. La critica ha sottolineato la presenza, nei drammi d’onore calderoniani, di una struttura ripetitiva da cui deriva la prevedibilità del finale catastrofico: ripetizione di sequenze teatrali, del gioco degli indizi, del meccanismo delle entrate e delle uscite dei personaggi. Inoltre, i personaggi calderoniani dell’onore stabiliscono un nesso profondo con la società che li partorisce. Esempi: Il sindaco di Zalamea; Il medico del proprio onore; Il pittore del proprio disonore. 4. TEATRO DI PALAZZO Il teatro di palazzo è un teatro di materia mitologica in cui vi è la presenza di caratteristiche quali: astrazione allegorica, liricità, musica e canto (zarzuela: parti recitate alternate a parti cantate), decorazioni sceniche, soliloqui e “a parte” che determinano una continuità dello spazio, ecc. Sono opere destinate all’intrattenimento di palazzo, incentrate sulla figura del re. Allusioni a fatti e personaggi della corte: i cortigiani sono inglobati nell’azione, perciò, gli spettatori si sentivano parte della stessa rappresentazione. Nelle vicende di questo tipo di teatro la virtù prevale sul vizio, la ragione sulla passione, lo stato cortigiano su quello primitivo e selvaggio, l’arte sulla materia. 5. AUTO SACRAMENTAL Calderón stesso offre una definizione di autos sacrmanteales nella loa alla Segunda esposa: “Sermoni messi in versi, in idea rappresentabile questioni di Sacra Teologia”. Con gli autos, Calderón rielabora miti classici ed episodi biblici, basandoli simbolicamente su avvenimenti contemporanei. A permettere la coincidenza di piani diversi è l’uso dell’allegoria. In qualche modo riprendono anche il tema medievale del mistero. Di estrema rilevanza è anche la scenografia e la musica che contribuiscono al gioco di parallelismi tra realtà e temi teologici. Gli autos (costituiti da un solo atto) venivano rappresentati durante le cerimonie liturgiche del Corpus Domini. Lo scopo di questa festa sacramentale era quello di inglobare il credente nella sua comunità e gli autos partecipano a questo fine attraverso la musica (rime in eco), unita alla tecnica di domanda-risposta che stimolava lo spettatore. 6. LA VIDA ES SUEÑO Opera teatrale, dramma filosofico teologico molto complesso (e didattico), diviso in 3 atti, scritto nel 1635. Calderón scrive quest’opera all’età di 35 anni, nel momento in cui il legame con la corte diventa più stretto, ma l’autore deve comunque soddisfare, incantare e cercare l’ammirazione da due tipi di pubblico (colto popolare). Con quest’opera Calderón riesce a raggiungere la vetta della sua espressione letteraria e filosofica, ma anche la perfezione formale perché dimostra una capacità di sintetizzazione di temi complessi (trasformazione della vita, ecc.) e personaggi numerosi, nonostante l’opera duri 1:30h. L’opera è stata definita dalla critica come una versione cristiana dell’Edipo re, ma al posto dell’incesto vi è la morte della madre del principe Sigismondo, avvenuta durante il parto e quindi causata indirettamente da lui stesso; all’assassinio del padre si sostituisce una sconfitta in battaglia. L’autore pone in scena, attraverso i monologhi del protagonista Sigismondo, personaggio che avverte con sgomento la futilità di ogni esperienza umana, un problema filosofico: si domanda cosa sia l’esistenza, quale sia il motivo dell’esistenza e poi, più precisamente, si chiede quale sia il motivo per cui si trova nella sua particolare situazione (imprigionato). Quando, tornato nella prigione, pensa di aver sognato quello che ha vissuto, si chiede: se la vita è sogno, allora il momento in cui ci si sveglia rappresenta la morte? Arriva alla conclusione che l’intera esistenza è sogno, cioè caratterizzata da illusorietà, fugacità del tempo, vanità delle cose terrene. L’unica realtà possibile è la morte che svela all’uomo la vera natura dell’esistenza, cioè l’illusorietà e l’inconsistenza del mondo. Sigismondo è, sin dalla nascita, rinchiuso prigioniero in una torre. A rinchiuderlo è stato il padre, re e astronomo, perché attraverso un oroscopo ha scoperto che il figlio, legittimo erede al trono, sarebbe diventato un tiranno e per evitare la tirannia, appunto, lo rinchiude e lo nasconde alla società. Questo aspetto dell’opera richiama il mito della caverna di Platone raccontato ne La Repubblica. Il finale della storia amorosa tra Sigismondo e Rosaura non è lieto (tipico delle opere di Lope de Vega) perché non si tratta di un dramma sentimentale, di un’opera d’amore, ma di un dramma filosofico cristiano riguardante un uomo e la sua dimensione e condizione di esistenza, il presente e il futuro, la salvezza. L’aspetto filosofico e teologico dell’opera è trattato, però, da un punto di vista prettamente cattolico e, in modo particolare, Calderón riprende la filosofia di Sant’Agostino e San Tommaso. Il tema centrale è quello del libero arbitrio ripreso in chiave cattolica e ispirato al pensiero di Sant’Agostino espresso nell’opera di quest’ultimo: Città di Dio, nel libro 5, cap. da 8 a 11. Un tema attuale, a lui contemporaneo perché pone i cristiani contro i protestanti in una guerra ideologica. Infatti, Calderón mette in contrasto fato/destino e provvidenza divina. Tornando al libro di Sant’Agostino, egli:  Parla di Cicerone (pagano), dell’oroscopo, del concepimento della nascita, del pregiudizio dei giorni fausti e infausti e del destino come nesso causale. A ciò contrappone la dottrina cristiana secondo cui la realtà è dominata dalla provvidenza divina.  Sant’Agostino, citando alcuni versi di Seneca, e appresa la filosofia greca, va contro gli stoici e comincia a trattare il tema della libertà, del destino fino ad arrivare al capitolo 9 in cui afferma che Dio conosce le cose prima che avvengano (provvidenza divina): Dio sa già tutto, ma ci lascia la libertà di agire e di scelta (libero arbitrio): il fato non dipende dalle stelle.  Arrivati al cap. 10, così, Sant’Agostino affronta il tema del libero arbitrio: nonostante esista la provvidenza divina, secondo cui Dio conosce tutte le cose, Dio ci lascia la libertà di agire, nel bene e nel male, siamo noi a scegliere come comportarci (può capitare di agire anche contro il volere di Dio). Per questo motivo i cristiani, per fede e per ragione, credono sia nella convivenza di libero arbitrio e provvidenza divina: la prescienza ci serve per credere bene, il libero arbitrio ci serve per vivere bene. Sant’Agostino sostiene che, nel momento in cui l’uomo gode di libero arbitrio e, di conseguenza, sceglie come comportarsi, l’uomo è responsabile del proprio comportamento e delle proprie scelte al fine di vivere bene. Allo stesso tempo, inoltre, l’autore vuole dimostrare come si può essere perdonati, nel caso di mal condotta, grazie alla presenza della grazia divina. Calderón utilizza questo concetto del libero arbitrio nella Vita è sogno, incarnandolo nel personaggio di Sigismondo. Infatti, quest’ultimo, una volta tornato nella prigione, dopo essere stato messo alla prova, crede di aver sognato e si domanda quale sia la vera realtà. La conclusione della sua riflessione sfocia proprio sul tema filosofico teologico riguardo il libero arbitrio: Sigismondo capisce che qualsiasi sia il sogno, qualsiasi la realtà, l’uomo ha la responsabilità di domare una serie di istinti e passioni, porre attenzione al proprio comportamento per vivere bene. La vicenda, infatti, essendo in chiave cattolica, è basata sulla certezza dell’esistenza della provvidenza divina: Dio sa, conosce, è artefice della Creazione perfetta e armonica. Questa armonia viene rotta per il disordine (lo stesso accade nel capolavoro calderoniano: distruzione dell’armonia a causa del disordine dovuto al tema del doppio, travestimenti, ecc.). Sin dall’inizio, l’opera è impregnata di duplicità e disordine:  Titolo: sueño può significare sia sogno, sia sonno;  L’opera si apre con una donna (Rosaura) travestita da uomo che parla con una voce femminile a sé stessa, con una voce maschile quando si rivolge ad altri. Infatti, lo spettatore che ancora non conosce Rosaura, ma vede un uomo che fa un monologo con una voce femminile. (Sono diversi i personaggi che subiscono, anche attraverso il travestimento, delle trasformazioni e questo avviene perché l’autore vuole esprimere, attraverso i personaggi, il carattere dinamico, evolutivo della vita umana, sempre in movimento, cambiamento);  L’apparizione di Rosaura, che vestita da uomo sta andando a liberare Sigismondo, è simile a quella di Marcela: arriva dall’alto su un ippogrifo (figura leggendaria: cavallo alato, incrocio tra un cavallo e grifone) che vola violento (richiama l’Orlando furioso). Alla creatura (il cavallo viene identificato con le passioni umane) Rosaura volge una serie di osservazioni impossibili, espressione, anche qui di una serie di duplicità, opposizioni di contrari: - Ippogrifo  cavallo/grifo, basso/alto; - Lampo senza fiamma; - Un uccello senza sfumatura; - Pesci senza squame; - Bruti senza istinto; La differenza tra Rosaura e Marcela è che la prima è in movimento: vola su un ippogrifo, verso un luogo a lei ignoto (tanto che gli chiede dove la stia portando) e ad un certo punto l’ippogrifo si sbizzarrisce, lei BENITO PÉREZ GALDÓS 1. LA VITA 1843: Nasce a Las Palmas, nelle isole Canarie. Ultimo di 10 figli. Trascorre la sua infanzia e giovinezza in un ambiente borghese, sotto la severa guida materna. Bambino tranquillo, timido che esterna la sua vivacità interiore e immaginazione attraverso sorprendenti attività manuali: studiava pianoforte, era molto bravo nel disegno. Degli anni vissuti a Las Palmas non parlerà mai nelle sue Memorias. A questo silenzio sono, forse, legati motivi profondi dato che una volta partito non tornerà più nelle Canarie né queste faranno parte della sua produzione. 1863: Si trasferisce a Madrid per studiare giurisprudenza, ma interessato più alle lettere che al diritto, non conclude gli studi e inizia la professione di scrittore come giornalista presso diversi quotidiani (uomo colto) A Madrid conosce gli intellettuali del tempo, frequenta luoghi di ritrovo culturale, vive pienamente la città, conosce tutte le sue strade e le guarda con occhio curioso e analitico. Le componenti sociali e culturali di Madrid sarà la materia della narrativa di Galdós. 1867: Si reca a Parigi in occasione dell’Esposizione Universale. Questa esperienza lascia in lui una profonda traccia culturale soprattutto perché ha modo di leggere lo scrittore francese Balzac scoprendo la sua prosa realista. La lettura dei romanzi di Balzac suscita in Galdós consapevolezza del romanzo come genere letterario moderno e autonomo e una concezione realista della vita (mutevole, relativa, frammentata). Infatti, tornato a Madrid inizia a scrivere un romanzo storico, La fontana de oro, pubblicato dall’editore Nogueras nel 1870. 1868: Si trova a Barcellona quando scoppia la rivoluzione, repubblicana e liberale, che pone fine al regno di Isabella II. I suoi familiari, turbati dagli avvenimenti in corso, tornano nelle Canarie, ma lui sceglie di recarsi a Madrid, operando una scelta determinante per la sua futura attività di scrittore, definendo anche un distacco dal luogo di origine. A Madrid vede i massimi esponenti della rivoluzione: Serrano, Prim e Topete. 1869-1873: Prende parte alla vita politica, in particolare al gruppo di politici, letterati e giornalisti al seguito di Serrano e Topete. Pertanto, ha modo di vivere da vicino gli avvenimenti di quegli anni: istituzione della monarchia democratica, suffragio universale, repubblica, federalismo e, infine, la Restaurazione (1784). In questo periodo svolge l’attività di giornalista presso diverse riviste politiche e letterarie. 1872: Dà avvio alla I serie degli Episodios Nacionales. La stesura dell’opera lo terrà occupato fino al 1875. 1886: Viene eletto deputato per Portorico alle Cortes della Reggenza di Alfonso XIII (el rey niño). Ma anche in questa occasione, come per la partecipazione alla vita politica, è presente nel Congresso non in veste di politico, ma di intellettuale che, in silenzio, è attento a tutto ciò che accadeva. In questi anni viaggia molto tra Francia, Portogallo, Inghilterra, Italia; partecipa all’Esposizione universale di Barcellona nel 1888. 1897: Nominato membro della Real Academia de España. 1898: In seguito al disastro di Cuba che mise allo scoperto la debolezza militare e politica della Spagna nei confronti degli Stati Uniti, Galdós pubblica la III serie degli Episodios nacionales. 1901: Viene rappresentata Electra, riscontra grande successo tanto che fu messa in scena anche a Roma, Parigi e tradotta in diverse lingue. Opera con un forte valore politico, contro il governo conservatore di Azcarraga. 1902-1912: Intensa produzione letteraria in diversi generei: romanzi, testi teatrali, drammi storici, conclude la IV e V serie degli Episodios Nacionales. Continua a partecipare alla vita politica, ma non attivamente, disprezzando il regime monarchico e aderendo al Partito repubblicano e candidandosi come deputato, eletto nel 1906. Ben presto, disincantato dal repubblicanismo borghese, non poi così diverso dal regime monarchico, si avvicina al Partito socialista nel quale credeva di trovare risposta al suo interesse per il movimento operaio. Nel 1910 si ritira dalla vita pubblica anche per seri motivi di salute e, cieco, vive nella casa del nipote situata nei dintorni di Madrid, dove continua a scrivere quasi esclusivamente testi teatrali dettandoli al suo segretario e accompagnatore Paco Menéndez. 1917: Ultima apparizione pubblica per la rappresentazione di Marianela a Barcellona. 1920: Muore a Madrid. Galdós, scrittore realista (anche molto cervantino), può essere considerato lo scrittore più rappresentativo della seconda metà dell’800 per vari motivi:  La sua produzione letteraria è continua nel tempo e caratterizzata da varietà di interessi e dall’influenza di diversi generi letterari. Si compone di 99 titoli: 46 Episodios nacionales, 31 romanzi, 22 testi teatrali;  È, più di ogni altro il romanziere di Madrid. Rappresenta in pieno la vita della capitale: tensioni sociali, sconvolgimenti politici, contraddizioni, disputa tra ideali progressisti e propositi conservatori, tra azione rivoluzionaria per scardinare l’Antico Regime e il ripiegamento del potere. Madrid è quasi sempre il fulcro dei suoi romanzi. Infatti, lo scrittore ricerca nella complessità urbana, nelle sue strade, nella sua variegata umanità che la popola, la materia strutturale delle sue opere: piccola e media borghesia, nobili decaduti, sottoproletariato, quartieri medio-alti e bassi, case opulente e povere, discorsi colti e parlate popolari, desideri e disinganni, prepotenze, profonde frustrazioni spesso dovute ad una severa morale bigotta, ecc.  Galdós rivolge il suo interesse da romanziere principalmente alla classe media borghese. Analizza certi suoi meccanismi socioculturali e nota, dapprima, la sua forza agente contro il conservatorismo per formare una “Spagna nuova” e, poi, la sua mediocrità, immobilità e vivere contraddittorio dopo la Restaurazione. Secondo lui la letteratura deve educare. È una scienza, un’analisi della realtà sociale e del rapporto dell’individuo con la società stessa. Attraverso l’analisi della realtà si possono individuare le malattie sociali. Nel secolo 19 il romanzo diventa il genere letterario per eccellenza (solitamente pubblicato a puntate attraverso un giornale, un periodico) in cui assume importanza la classe media, la borghesia. Il romanzo realista di Galdós è influenzato sia dal romanzo francese, sia da quello spagnolo (novela picaresca, Cervantes). Galdós classifica la sua produzione dividendola i 4 sezioni: a) Novelas de la primera época (Romanzi della prima época); b) Episodios nacionales (Episodi nazionali), trattano materia storica a cui è intrecciata la finzione romanzesca; c) Novelas españolas contemporáneas (Romanzi spagnoli contemporanei), diversi da quelli della prima epoca per un cambio di prospettiva di pensiero; d) Dramas y comedias (Drammi e commedie). 1870-1880: Galdós inizia a scrivere romanzi: La Sombra, Lafontana de oro, Doña Perfecta, ecc. Galdós, impegnato in questo periodo anche nell’attività di giornalista, si presenta, non come un anticlericale, ma come un intellettuale e romanziere contro, da un lato, l’intolleranza e il fanatismo religioso (sosteneva la libertà di culto); dall’altro, l’ipocrisia politica conservatrice. Insomma, uno spirito liberale alla ricerca di valori autentici. Queste Novelas de la primera época sono influenzate dal radicalismo ideologico di Galdós e, quindi, caratterizzate da:  Rappresentazione del periodo a lui attuale, posteriore alla Rivoluzione di settembre: tempi densi di odio e di sospetti, di speranze e delusioni. Ad una realtà problematica, corrispondono romanzi conflittuali;  Mondi fittizi, conflitti tra individuo e società, conflitto tra conservatorismo e idea progressista. Da ciò, la definizione di “romanzi a tesi”. Vediamo la borghesia spagnola del tempo impegnata nei contrasti con la Chiesa e con le sopravvivenze dell’Antico Regime;  Rappresentazioni di poli contrapposti: individuo/società, liberale/conservatore;  Denuncia di ogni forma di intolleranza e di fanatismo;  Temi ricorrenti: tema religioso, tema della famiglia;  Gli eroi galdosiani di quest’epoca si ritrovano nei vari romanzi: giovane onesto, di buona educazione, pieno di idee si scontra con un mondo chiuso ed ostile e ne esce sconfitto;  Analisi delle famiglie durante la crisi e di come donne e uomini vivevano all’interno della società: le donne non lavoravano, dovevano sposarsi per vivere bene;  Narratore onnisciente e anonimo. LA FONTANA DE ORO Primo romanzo di Galdós, primo romanzo moderno spagnolo. Ambientazione storica: situazioni drammatiche del Triennio liberale che vedono la contrapposizione delle fazioni di Ferdinando VII e quelle dei rivoluzionari. DOÑA PERFECTA Romanzo più esemplare di questo primo periodo. Opera polemica. Scritto nel 1876, fine Repubblica, periodo della Restaurazione. Il ritorno della Monarchia implica anche un ritorno ai vecchi ideali dell’Antico Regime e si crea una spaccatura nella società per la presenza dei sostenitori del progressismo. Ci sono due versioni di quest’opera: una la scrive per un giornale, una per la stampa del libro. I testi, in particolar modo i finali, sono diversi: nella II versione è dona Remedio a far uccidere Pepe Rey, mentre nella I versione, oltre a non avere molta importanza, l’uccisione è ordinata da dona Perfecta. Doña Perfecta, protagonista dell’opera, rappresenta il conservatorismo politico e l’oscurantismo clericale. Donna ipocrita, intransigente, dura. Esercita ad Orbajosa (non Madrid) un potere totale sulle cose e sulle persone. Pepe Rey, ingegnere, personaggio prestigioso, incarnazione delle idee liberali, della borghesia progressista. In opposizione a Doña Perfecta, cerca di mettere in discussione il dominio che quest’ultima esercita da sempre a Orbajosa. Ma, seppur guidato da un’ottica razionale e costruttiva, Pepe Rey non è in grado di arginare la dispotica arroganza di doña Perfecta. I due personaggi, rappresentanti di due diverse ideologie, entrano subito in collisione in una lotta che non avrà mai un punto di incontro e che non risparmierà neppure Rosario, figlia di doña Perfecta, una ragazza giovane e fragile destinata a pagare le conseguenze dell’intolleranza. Dopo un colloquio tra i due protagonisti, Pepe Rey si accorge che l’iniziale equilibrio che lo caratterizzava, distinguendolo dalla donna, si è incrinato e si accorge di agire secondo i modi di doña Perfecta. L’uccisione di Pepe Rey (finale tragico), ordinata da Doña Perfecta, segna l’espulsione dell’estraneo da Orbajosa e il ritorno alla normalità, ma una normalità ammalata di cui è emblema Rosario. 1871 Galdós inizia a scrivere gli Episodios nacionales. Li scrive con continuità, sia negli anni del I periodo, sia durante il II periodo. Raccolti in 46 volumi, divisi in 5 serie. Comprendono gran parte della storia nazionale della Spagna del secolo 19 (1805-1898). 500 – FILIPPO II Il conflitto ideologico che divideva l’Europa in due blocchi ideologici, si acuì durante il regno di Filippo II e l’ascesa al trono di Elisabetta d’Inghilterra: due monarchi con progetti egemonici inconciliabili e pronti a difendere le rispettive fedi. Filippo II si preoccupò di difendere una concezione assolutistica del potere (tanto che impose controlli pignoli sull’aristocrazia) fondata sulla più rigida ortodossia cattolica. Durante il regno di Filippo II la Spagna parve raggiungere il suo momento di massimo splendore politico, militare, economico e sociale perché si verificarono episodi come: vittoria di Lepanto, annessione del Portogallo, conquista delle Filippine, scoperta di nuove ricchezze, materie prime e acquisto di oro e argento. In realtà, con l’epoca di Filippo II inizia per la Spagna un processo di disfacimento politico, economico e sociale e la compattezza della monarchia ispanica venne messa a dura prova. Infatti:  L’economia era improduttiva. Si verifica un processo di inurbamento, cioè le campagne si spopolano a causa di emigrazione, carestie, pestilenze; le città si popolano a dismisura da uomini in cerca di fortuna;  1568: grave crisi istituzionale determinata da varie cause: sollevamento dei moriscos nelle Alpujarras, rivolta dei Paesi Bassi, ecc.;  Il trionfo di Lepanto (1571), tanto esaltato, non allontanò in modo definitivo la minaccia dei turchi dal Mediterraneo;  1580: le province protestanti ottennero l’appoggio dell’Inghilterra e quelle cattoliche rimasero fedeli alla Spagna. Nello stesso anno il Portogallo vediamo l’annessione del Portogallo alla Spagna e ciò parve determinare la definitiva unione della penisola, ma, invece, non comportò il superamento dei conflitti regionali;  1588: sconfitta dell’Invincibile Armata che segnò la perdita del dominio dei mari per la flotta spagnola. Così, il controllo dei traffici oceanici passò all’Olanda e all’Inghilterra, nuove potenze mercantili. Questo fu un evento che segnò drasticamente l’economia spagnola perché il commercio stagnò e calarono considerevolmente gli scambi commerciali tra Spagna e colonie americane che si avviarono verso l’autosufficienza;  1598: viene stipulata la pace con la Francia;  Anche da un punto di vista culturale si verificarono notevoli cambiamenti perché Filippo II impose un’intransigenza dogmatica molto rigida che si manifestò soprattutto in ambito filosofico, umanistico e religioso. Infatti, nel 1559 l’Inquisizione spagnola introdusse un controllo sulla diffusione della stampa e la censura di moltissimi libri. Questo, comunque, non impedì la produzione letteraria, dalla poesia alla prosa, e teatrale caratterizzata da modulazioni del petrarchismo, poesia tradizionale, prosa romanzesca, ecc. In una Spagna che portava avanti i valori dell’ortodossia cattolica, il sentimento nazionalistico si sovrappose alla coscienza religiosa che, oltre ad affiorare in ogni ambito della produzione letteraria e teatrale, determinò una rivalutazione dei valori della tradizione ispanica. 600 Il secolo si apre con gli echi degli avvenimenti del 500 e con la successione di Filippo II che lascia il potere nelle mani di ministri (privados) preoccupati solamente del proprio arricchimento personale. Essi si impegnano in operazioni assurse come lo spostamento della capitale da Madrid (1560) a Valladolid e poi di nuovo a Madrid. La Spagna viene segnata durante il 500 e il 600:  Crisi monetarie (1567, 1573, 1596) che producono il definitivo collasso dell’attività manufatturiera;  Crescita dei prezzi e disprezzo del lavoro manuale: dovuta alla sovrabbondanza dei preziosi metalli americani importati e colpisce soprattutto la piccola nobiltà, per la quale è considerato disonorevole lavorare;  Abbandono delle campagne e urbanizzazione da parte di uomini disperati in cerca di fortuna in centri come Madrid e Siviglia: abbandono dell’agricoltura. A peggiorare l’economia, la perdita di mercati e del controllo del commercio marittimo a favore, invece, di francesi, olandesi e inglesi. Questo determina una perdita dei rapporti commerciali con l’America e il conseguente indebolimento dell’economia;  Calo della popolazione: fame pestilenze, carestie, delinquenza organizzata;  Caritatismo religioso: in questo contesto si impone una forma di vita basata sulla carità cristiana, sull’esaltazione di opere pie e viene, invece, sottovalutata l’operosità e il senso imprenditoriale; Paradossalmente, tutto ciò si verifica in quella nazione che avrebbe invece dovuto beneficiare della scoperta dell’America e dello sfruttamento delle risorse del Nuovo Mondo. Il passato feudale spagnolo pesa sulla struttura socioeconomica. Perciò, crescita dei prezzi e dei salari, disprezzo del lavoro manuale, emigrazione, eccesso di vocazioni religiose, abbandono dell’agricoltura, spopolamento, impoverimento, mancato sfruttamento dei metalli preziosi americani, corruzione, incapacità di amministrazione, atteggiamento elitista e antiborghese impediscono lo sviluppo delle attività produttive, tutti questi fattori sono contemporaneamente cause ed effetti della crisi in cui è immersa la Spagna di questo secolo, una crisi che riguarda fondamentalmente l’imperialismo spagnolo stesso. Più precisamente:  Pace con l’Inghilterra (1604) e tregua dei 12 anni con i Paesi Bassi (1609) sono di breve durata perché nel 1618 inizia la guerra dei 30 anni con la quale gli Asburgo pretendono di mantenere il controllo egemonico del papato e dell’impero di fronte agli stati che difendono una politica di sovranità nazionale. La Spagna partecipa attivamente alla guerra nonostante sia provata da una nuova bancarotta statale (1627);  1621: Filippo IV succede Filippo III;  Il nuovo ministro Olivares programma una politica tributaria centralista che suscita forti tensioni sociopolitiche. Nonostante in Europa la Spagna raggiunge diversi successi bellici, in patria la situazione è drammatica:  1640: Catalogna e Portogallo si ribellano a cui si uniscono l’Andalusia, la Navarra e Valenza a causa della dura politica centralizzata di Olivares che nel 1643 cadrà;  1647: la Spagna assiste alla sua seconda bancarotta statale. A cui ne seguiranno altre due (1656, 1665);  1648: pace di Westfalia sancisce la fine dell’egemonia spagnola e la politica europea si avvia verso un equilibrio sotto un predominio francese e i possedimenti americani appaiono sempre più svincolati dalla Spagna, soprattutto a livello economico (il commercio con l’America diminuisce del 75%);  1659: Trattato dei Pirenei prevede che la Catalogna del Nord si annessa alla Francia;  1665: Muore Filippo IV e la decadenza politica ed economica spagnola è ormai inarrestabile;  1667: la Spagna riconosce l’indipendenza del Portogallo;  1680: si verificano sintomi di ripresa: crescita demografica, diminuzione dei prezzi e rivalutazione della moneta;  Inoltre, nella coscienza nazionali si sono radicati gli estatutos de limpieza de sangre secondo i quali, chi avesse avuto antenati arabi o ebrei erano interdette numerose attività. Ma: - I discendenti degli ebrei erano minoranze attivissime, urbane, integrate nella società cristiana, dedite al commercio, all’industria e alle professioni liberali (medici, giuristi, ecc.); - I discendenti degli arabi, forse non totalmente cristianizzati, vivevano soprattutto in zone rurali e si dedicavano all’agricoltura. Di fronte ai moriscos (discendenti degli arabi) e ai discendenti degli ebrei che godevano di un certo benessere economico grazie alla loro operosità, si contrapponeva la rovina generale dei cristianos viejos che disprezzavano il benessere dei precedenti. Gli statuti di purezza di razza diventano una forma di ritorsione contro questo benessere e giungono a riflettersi in moltissimi aspetti della vita sociale, amministrativa nazionale. Paradossalmente la gran fioritura letteraria dei secoli d’oro si produce nei momenti di più grave crisi economica e politica della Spagna, mentre decade quando inizia la ripresa (dal 1680 in poi). Questo avviene perché gli intellettuali del barocco sono ben coscienti della presenza della crisi e il malessere diventa oggetto di riflessione, di meditazione e di espressione letteraria attraverso cui suggeriscono adeguati rimedi: appoggio politico al lavoro; sviluppo delle classi medie; riduzione dell’inflazione mediante il controllo monetario, ecc. 1. 600 - TEATRO La vita teatrale del XVII secolo è caratterizzata da una fortissima teatralità: ogni autore di un certo spessore nel 600 scrisse per il teatro: Cervantes, Quevedo, Góngora. Era un lavoro creativo che si svolse lungo tutto il secolo e ci ha lasciato un patrimonio di testi molto consistente. Solitamente le commedie (Lope):  Erano costituite da un argomento che ne faceva da base;  Erano divise in 3 atti in cui intervenivano una serie di tecniche sceniche come canto, musica, danza;  Vi erano trasgressioni alle norme aristoteliche: unione di comico e tragico, presenza di più di un intreccio, spesso si perdeva l’unità di tempo, spazio e azione;  L’esito poteva essere drammatico (violenze e morti) o consolatorio (nozze finali risolutrici). Il luogo emblematico del teatro di questo periodo è il “corral” (cortile recintato dove si tenevano gli animali) delle case adibite per le rappresentazioni. In rapporto alla crescente domanda di spettacolo, il corral vede pian piano una serie di migliorie: la copertura del cortile stesso, la costruzione di gallerie di legno ai lati del palcoscenico, la collocazione di panche nel cortile, l’apertura di finestre e balconi per permettere di vedere la rappresentazione più comodamente. Il fenomeno della diffusione e del successo del teatro barocco in Spagna riguarda tutte le classi sociali, tanto che nel corral si riuniscono, senza mescolarsi mai, i vari livelli sociali:  La platea (o patio) dove il popolo minuto (servi, operai, ecc.) assiste alla rappresentazione, in piedi;  Artigiani, commercianti, ecc. assistono seduti su panche (bancos), alcune delle quali al coperto (gradas);  I ceti medi occupano i desvanes e gli aposentos più bassi: delle gallerie o palchi ricavati dalle stanze delle case vicine;  I sacerdoti e i “dotti” occupano spesso alcuni desvanes nella parte più alta del corral dove sono soliti scambiarsi commenti durante la rappresentazione. Per questo motivo, la zona in cui siedono (privilegiata e, per questo, con un prezzo d’ingresso maggiore) è chiamata tertulia (conversazione);  I ceti più elevati si posizionano negli aposentos altos e nelle rejas. Erano degli speciali palchi, chiusi da schermi traforati, spesso occupati da dame di rango;  Per le donne, a parte le dame, è previsto un luogo riservato (cazuela) a cui accedono attraverso entrate separate; l’amore e che alla fine viene vinta da questo (che, a volte, si traveste da uomo -cosa molto apprezzata dal pubblico perché le attrici potevano esibire le gambe), e così via;  Venivano utilizzati temi ricorrenti: disprezzo della corte e lode della campagna;  Allusioni a modelli letterari già conosciuti, come i romances, o a detti proverbiali, racconti burleschi, ecc. Non tutti gli spettatori, probabilmente, riuscivano a rilevare tutte le allusioni, ma anche coloro che non erano in grado non era danneggiato perché, comunque, l’opera era ricca di densità e materiale. Infine, il testo letterario per il teatro era indissolubilmente legato alla rappresentazione scenica del testo stesso e questo era molto chiaro ai commediografi del 600. Infatti, come dice Tirso de Molina, una commedia può far fiasco per varie ragioni: oltre che per l’incapacità del poeta, per la mancanza di corrispondenza tra personaggio e attore. Perciò, era bene presentare nel testo letterario solo quello che si può rappresentare e quello che il pubblico gradisce. Il gusto del pubblico è un aspetto che il poeta deve sempre tenere a mente e per questo motivo, il teatro barocco, legato al potere e retto dallo spirito aristocratico e anti- mercantile, non può ridicolizzare il galán, il nobile, la prima dama, ma ci si potrà prendere gioco di categorie disapprovate, ad esempio: il ricco che ha fatto fortuna nelle Indie, il commerciante, lo straniero, ecc. DESTINATARI E CAMBIAMENTI DEL TEATRO Lungo un secolo di attività il teatro subisce dei cambiamenti dovuti ai condizionamenti del suo pubblico critico. Le caratteristiche del teatro del secolo d’oro non sono solo il frutto del talento dei drammaturghi (Lope, Calderón, ecc.), ma sono anche il risultato dell’influenza e dei condizionamenti del suo pubblico, dei suoi destinatari. Infatti, sappiamo che il teatro barocco mira a rappresentare il gusto e il giusto; rispetta, cioè, il gusto del pubblico. Ma, essendo il teatro barocco una cultura di “massa”, nel suo pubblico convergono tutti gli strati della società, da “popolino minuto”, agli artigiani, ai commercianti, fino ai letterati e ai nobili (gente dotta) che fungono da giudici della stessa commedia. È proprio la pressione della critica di questo gruppo di intellettuali che condiziona e influenza le principali caratteristiche del teatro barocco: a) Maggiore consapevolezza dello spazio e delle tecniche sceniche: Vi è la necessità di creare dal nulla paesaggi e luoghi e ciò avviene attraverso un processo di descrizione dell’ambiente grazie al carattere performativo del linguaggio teatrale spagnolo. Quindi, il dire prevale sul fare; b) Introspettività e autocontrollo dei personaggi; c) Assunzione di un codice simbolico: Creazione di un simbolo attraverso cui si supera la censura (processo simbolico importantissimo). Il simbolo è convenzionale e consiste nell’unione di un significato e un significante che stabiliscono una relazione non arbitraria. L’onore era molto spesso usato sottoforma di simbolo. Quindi, il prevalere sul fare, l’irrigidimento dell’intreccio, l’autocontrollo dei personaggi e l’assunzione di un codice simbolico sembrano proprio essere il risultato della pressione di questo gruppo di intellettuali moralisti che culmina nel 1646 quando il re ordina la cessazione delle rappresentazioni teatrali, accusate di lasciva e sensualità. Questi i condizionamenti di un moralismo tanto evidente da modificare lo statuto del genere teatrale. TEATRO DI CORTE Si sviluppa intorno al 1607. È una forma di teatro privato in cui, in seguito, si ammettono anche spettatori a pagamento. La struttura del corral subisce delle modifiche derivate dalle tecniche del teatro italiano dal quale quello spagnolo prende ispirazione. Esempi di questo nuovo tipo di teatro sono il Coliseo, costruito da Cosimo Lotti nel 1629, e il Coliseo del Buen Retiro, costruito nel 1638 e inaugurato nel 1640. Di concezione completamente diversa dal corral, il nuovo teatro prevede:  Attrezzature sofisticate;  Copertura totale;  È, di conseguenza, illuminato artificialmente effettuata dalla fossa dell’orchestra verso il palcoscenico;  Il sipario (telón de boca);  La fossa dell’orchestra che separa il palco dal pubblico;  Le quinte e una serie di attrezzature che permettono il cambiamento rapido delle scene;  Trionfa la prospettiva con l’illusione della realtà nella riproduzione di scenari fantastici. Ma la stessa realtà è presente sulla scena: nel Coliseo in fondo allo scenario, tra il soffitto e il piano del palco, si apre una finestra attraverso la quale penetra la vita vera del giardino del Buen Retiro;  I posti riservati alle dame erano di fronte al palcoscenico;  La sala era ovale. Per questo teatro di corte, Calderón creerà una serie di testi con scene di grande profondità, con boschi, montagne, apparizioni celesti, accompagnate da rumori di tuoni o effetti di tempesta. Un teatro, quindi, la cui materia privilegiata era quella della favola mitologica o di magia. Questa la dimostrazione che l’allestimento scenico cambia il genere di rappresentazione. Infatti, le commedie che prevedono apparizioni o macchine sceniche sono favole perché in natura non possono volare corpi umani. Inoltre, dal 1651, assumerà sempre più importanza la musica: si combinano l’opera italiana e la declamazione tipica dell’attore spagnolo che danno vita alla zarzuela: parti cantate alternate a parti recitate, lo stile recitativo italiano si intreccia alle melodie popolari spagnole. AUTOS SACRAMENTALES  Testi di 1 solo atto (la commedia 3);  Scritti in versi (come la commedia);  Quando: le rappresentazioni degli autos avvenivano durante la festività del Corpus Domini (festività istituita per esaltare il sacramento dell’eucarestia contro l’eresia protestante);  Testi allegorici e culminanti, appunto, con il trionfo eucaristico;  Dove: le compagnie teatrali, pagate dai vari municipi, rappresentavano pubblicamente, sulle piazze principali delle varie città; precisamente su carri sopraelevanti;  Valore festivo, cerimoniale, quasi liturgico;  Funzione didattica;  La scenografia è costituita da meccanismi spettacolari e complessi. TEATRO BREVE La commedia, l’auto e la rappresentazione di corte sono affiancati una serie di testi brevi (teatro breve o pieza corta):  Loa  una sorta di prologo in cui si presenta la compagnia, si richiama l’attenzione del pubblico, si lodano il pubblico e la città sede dello spettacolo;  Entremés  breve farsa dialogata con personaggi topici (il villano sciocco, sacrestano, studente astuto, l’alcalde di campagna, ecc.);  Baile  intermezzo cantato e ballato, più breve dell’entremés;  Jácara  descrizione di personaggi della malavita, ruffiani, prostitute. Linguaggio gergaale. Inizialmente in forma monologica, poi in forma dialogata;  Mojiganga  anch’essa farsa, ma con personaggi mascherati in maniera burlesca. Accompagnata da musica e ballo. In uno stesso spettacolo coesistevano i testi brevi (loa, baile, entremés, ecc.) con la commedia e possiamo parlare della commedia come testo dominante e della pieza corta come testo dominato. Quindi, tra commedia e pieza corta non si stabilisce un’opposizione, ma un’integrazione articolata. In questi testi brevi lo scrittore può presentare temi e motivi ideologici censurati nella commedia: si può ridere del timore di essere figli di ebrei, dell’onore coniugale, dell’idiozia delle autorità, vengono messe in scena donne autoritarie, astute, ribelli ai padri. Sono una sorta di valvola di scarico di una serie di rigide regole sociali. Inoltre, la brevità della pieza corta determina semplicità della sua struttura, ma densità di senso e linguaggio basso e familiare. TRASMISSIONE DEI TESTI DI TEATRO In Spagna, agli inizi del 1600, non vige una politica editoriale del testo letterario per il teatro e, inoltre, gli autori (Lope de Rueda, ad esempio) non si preoccupano di raccogliere le proprie produzioni che, infatti, sono sempre postume alle loro morti. infatti, la commedia viene venduta dallo scrittore al capocomico che prende ogni diritto di proprietà su di essa; il capocomico, non a caso, acquisisce l’appellativo di “autor”. Pertanto, quest’ultimo era libero di modificare il testo in suo possesso: arrangiarlo, tagliarlo, manipolarlo, adattarlo. 1588: Juan de la Cueva è il solo che promuove direttamente l’edizione dei propri testi per il teatro. Ad un certo punto alcuni editori, accortosi della corrispondenza “testo drammatico scritto - lettura di intrattenimento”, cominciano a riunire i copioni teatrali e a stamparli: il testo letterario arriva al lettore. Fino al 1617, quando Lope de Vega decide di pubblicare direttamente le sue commedie: la parte IX. Giustifica la sua operazione con una serie di prologhi che rivendicano la dignità letteraria della commedia. Questa attività di stampa, però, avrà vita breve. Infatti, nel 1625, la Junta de Reformacion propone che il Consejo de Castilla sospenda la concessione di licenza per pubblicare libri di commedie, romanzi, o altri. Dal 1625 al 1635 nella capitale non compare nessuna raccolta di questo tipo (l’editoria teatrale si sposta a Siviglia, Saragozza, ecc.). Intanto, però, gli autori hanno riflettuto sull’importanza del prologo che accompagna il testo letterario per il teatro in quanto, oltre a stabilire la dignità letteraria del testo, l’autore ha modo di interloquire con il lettore, dare spiegazioni dell’opera stessa, giustificare alcuni passaggi, o alcune sue scelte, ecc. Ad esempio, Cervantes, attraverso il prologo alle Ocho comedias, ci rivela la sua ammirazione per il modello di teatro “povero”, statico, incarnato da Lope de Rueda contro il lussureggiare del teatro di Lope de Vega. Inoltre, in questo secolo si verifica il caso per cui opere di autori meno noti vengono attribuite ad autori di maggior richiamo generando problemi di paternità dei testi teatrali. Oggi, abbiamo due importanti collezioni, raccolte di 12 commedie: Comedias de diferentes autores e Comedias nuevas escogidas. Infine, esistono le stampe di commedie singole (solitamente in 16 o 18 fogli) vendute sciolte (sueltas) che sono prive di stampatore, anno e luogo di stampa. I primi tentativi di sistemare questa quantità di opere sono stati compiuti nell’800, spesso con operazioni dannose e superficiali. 2. 600 – LIRICA, POESIA Sulla scia della poesia rinascimentale, i modelli metrici che il poeta barocco coltiva sono quelli italiani: il sonetto; la canzone; le ottave. Ma, accanto alle forme metriche italiane, il poeta del XVII secolo utilizza anche quelle tradizionali spagnole: romance; letrilla (canzonetta). In questo modo, ad esempio, Lope de Vega riesce a conferire semplicità al suo poema El Isidro in quanto scegli di scrivere in romance, piuttosto che in endecasillabi. Il genere del romance, che aveva fatto la sua apparizione durante il periodo dei Re Cattolici, è stato subito apprezzato dal lettore e per questo vide subito una gran diffusione tanto che nel 1600 e nel 1605 vengono pubblicati a Madrid rispettivamente: Romancero general e Segunda parte del romancero general, contenenti rispettivamente 9 e 13 volumi di testi di romances che venivano cantati). Conosceva molto bene Bernardo Tasso (padre di Torquato) che ha un concetto di petrarchismo diverso e per questo GVega propone un modello nuovo: non è solo petrarchista (non fa solo variazioni di Petrarca). Quando GV muore, Boscan pubblica le sue opere che rivoluzionano la poesia spagnola. Tutti hanno letto la poesia di Garcilaso. Gongora e Quevedo partono da Garcilaso e effettuano un passaggio fondamentale: il passaggio dal Rinascimento al Barocco (lo stesso cambio che abbiamo visto anche tra la I e la II parte del Quijote). Il barocco rompe l’ordine e l’armonia del Rinascimento. A partire da Garcilaso la forma privilegiata è il sonetto in endecasillabi (la sua poesia sembra prosa, è di semplice comprensione). La terzina si mantiene per la poesia morale, didattica, per esempio le satire di Ludovico Ariosto (scrive in ottave nell’”Orlando furioso”, ovvero in stanze che è la forma scelta per la poesia narrativa, per i poemi). Garcilaso, così, rivoluziona la poesia spagnola e diventa il poeta spagnolo per eccellenza, così come Petrarca lo è per l’Italia. Si iniziano a fare comentarios di GV, ad esempio, Herrera (ne fa uno in cui tenta di spiegare la storia della poesia spagnola); Brocence (un grammatico); Luis Carrillo de Sotomayor scrive Libro di erudizione poetica in cui afferma che coloro che pensano che la poesia sia nata per il volgo, si ingannano perché la poesia non è per il volgo/popolo, è per i colti e, per questo motivo, richiede un’educazione e deve essere scritta in modo colto, ma comunque ammette che non si può tornare a scrivere in neolatino perché, a differenza dell’Italia, la Spagna si era ormai allontanata dalla lingua latina). LCS è il primo a proporre a poesia in questo modo e Gongora lo metterà in pratica cercando di dimostrare che la poesia è figlia della tradizione greco-latina, tradizione illustre. Forme metriche:  Ottave o stanze: rima ABABCC, per poesia narrativa, poemi lunghi, ecc.;  Sonetto: 2 quartine e 2 terzine in endecasillabi;  Canzone: forma variabile, ha un certo numero di strofe e gli schemi sono inventati da Petrarca. Ogni strofa ha uno schema che si ripete. Quindi, lo schema che scegli (ce ne sono diversi) poi lo devi ripetere per tutta la canzone, deve essere sempre uguale. Alla fine, c’è il congedo per salutare normalmente il poeta parla alla sua canzone;  Canzone Ode: imitazione della forma latina e prevede uno stesso schema che si ripete, più lunga della precedente, ma non c’è il congedo;  Lira: la canzone più famosa di Garcilaso è la n.5: Ode al fiore di Nilo, canzone importante perché dal primo verso si prende la parola lira: ode di 5 versi e questo genere comincia a chiamarsi lira dalla parola del verso di G in cui si mischiano endecasillabi e settenari, è molto più breve. Questa strofa è fondamentale nella lirica spagnola ed è un’invenzione nuova di Bernardo Tasso, non conosciuta da Petrarca. Tanto che Juan de la Cruz scrive in lira (5 versi in cui si ripete sempre lo stesso schema). Luis de Leon Inizia imitando GV, ma poi usa la lira e fa un tipo di poesia meno petrarchista volontariamente, preferisce la tradizione latina. San Juna de la Cruz Si aggancia molto alla letteratura italiana perché ha letto tantissimo e sceglie la forma della lira per una lirica amorosa e biblica (si ispira alla Bibbia). CONCEPTISMO e CULTURANISMO In Spagna, per quanto riguarda la poesia, vediamo affiancate:  La poesia tradizionale popolare, che mantiene le forme metriche ispaniche tradizionali, in modo particolare l’ottosillabo;  La poesia italianizzante, in endecasillabi che si specializza nei temi: amoroso, morale e satirico. La poesia satirica, però, si sviluppa soprattutto con la forma metrica spagnola (ottosillabi). Alla fine del secolo, Cervantes e Lope hanno scritto, con l’influenza del petrarchismo, quindi con il verso italiano, romanzi, ecc. Mentre con Quevedo e Gongora si rivoluziona del tutto la lirica. Gongora: culturista. Quevedo: conceptista. Tra i due c’è una guerra di scuole di pensiero: scuola gongorina sivigliana, contro quella di Quevedo di Salamanca (qui c’è un’università, più classica). La guerra è una questione interna tra poeti, una guerra letteraria perché non c’è molta differenza, in realtà, nei concetti tra culturanismo e conceptismo. I due poeti si insultano usando la poesia satirica (spesso usata per fare critica dei nemici). “Conceptismo” è un termine moderno (loro parlavano di “luteranismo”) e consisteva nello scrivere poesia erudita:  Ritorno all’artificio della poesia del secolo XV (Juan de Mena);  Uso dell’acutezza. È una caratteristica difficile da definire: don Baldassar Garcian (scrive prosa breve) la definisce come un atto della ragione, un atto mentale/intellettuale, non sensitivo che esprime la corrispondenza tra le cose (acutezza = corrispondenza tra le cose). La corrispondenza si basa su 2 termini che possono essere o estremamente diversi, o estremamente simili (usati per marcare una differenza o una somiglianza). Acuto è chi riesce a trovare la corrispondenza tra 2 concetti (non immagini!) che in principio sembrano molto lontani, ma trovata la corrispondenza risultano combaciare. Ad esempio, “nave che arde” o “fiamma fredda” proposti da Petrarca (una sorta di ossimori). (Conceptismo = trovare 2 concetti diversi e farli corrispondere);  Citazione di versi già conosciuti;  Citazione di personaggi della mitologia o della letteratura;  Costanti allusioni classiche;  Linguaggio e sintassi latineggianti (rendere la sintassi latineggiante è complicato perché molto diversa da quella latina, perciò si inizia a cambiare l’ordine delle parole che complica molto la comprensione del testo);  Lang e parole (lingua e parola): il poeta conceptista si deve allontanare dalla parola e tendere verso una lingua colta, perfetta. Non si tratta di originalità, ma di manifestare la propria cultura/erudizione in ciò che si scrive (poesia erudita) e in questo Gongora si dimostra imbattibile, fa uso di molte allusioni, ecc. FRANCISCO DE QUEVEDO (1580-1645) Garcian scrive di Quevedo come un poeta molto colto, uno degli scrittori spagnoli dotato di una conoscenza incredibile: ha letto i classici, la letteratura moderna, la letteratura popolare (refranes, romances). Quindi, quando compone, è in grado di raccontare di tutto e la sua capacità linguistica è ammirevole e lo dimostra sia in versi che in prosa. Infatti, per quanto riguardo l’uso del linguaggio, è insuperabile perché Gongora latinizza la lingua spagnola, fa che la sua poesia sia complessa, ma non ha la capacità linguistica di Quevedo. È un castigliano viejo e ci tiene moltissimo a queste sue origini, ne va fiero. Filgio di una famiglia della montagna (Sant’Ander), quindi luogo non contaminato dai mori (per questo cristiano viejo). Suo padre è segretario della regina Anna (sposa di Filippo II); sua madre dama della regina. Ha una moglie, ma è misogino. Appassionato alla letteratura e alla politica (è un politico e uno scrittore), infatti inizia presto a lavorare in politica e le prime opere che pubblica sono opere politiche (lui, a differenza di Lope, non ha bisogno di un mecenate: scrive solo per sé). Uomo coltissimo, intellettuale, conservatore. Studia ad Alcalà e a Valladolid (dove sta la corte, 1601-06) con i gesuiti (anche Calderon studia con i gesuiti). Per quanto riguarda la poesia Quevedo varia in generi: scrive poesia amorosa, satirica, burlesca (in lingua castigliana), cajaras (un genere satirico), romances, poesia encomiastica, funebre, morale, sacra, traduzioni in versi, ecc. Anche i temi delle sue opere sono ampi e numerosi, ma quello centrale è l’instabilità, soprattutto economica che è legata, secondo il poeta, alla fortuna. Da fortuna si passa a parlare di provvidenza divina: processo di cristianizzazione (la scoperta dell’America era considerata come provvidenza divina). Con quest’idea di base, nella poesia morale il tema centrale diventa quello del tempo (legato all’eternità); nella poesia amorosa entra prepotentemente il tema della morte (a differenza della poesia petrarchesca amorosa in cui non c’è il tema della morte, ma solo il ricordo dell’amata morta. Infatti, Petrarca dà vita a Laura morta ricordandola: attraverso il ricordo le dà vita anche dopo la morte). Secondo Borges (critico della scrittura alta) la grandezza di Quevedo sta proprio nella sua versatilità: filosofo, scrittore politico, scrittore letterario, scrittore di trattati. I fase (fino al 1605): 1603: Si pubblica la sua prima poesia nell’antologia Flores de poetas ilustres de Espana/Las flores de Espinoza (pubblicata a Valladolid nel 1605 da Pedro Spinoza che raccoglie, tra le poesie, 17 poesie di Quevedo di indole varia). 1605: Si pubblica la II parte del Romancero General da Miguel de Madrigal in cui ci sono alcuni suoi testi ma in forma anonima: circolano i suoi testi, ma non gli si danno i diritti perché ancora non è importante, non è ancora il poeta noto che diventerà. II fase (1605-1613): - Scrive El buscon: romanzo picaresco (come Lazarillo, El guzman) in cui Quevedo dimostra le sue capacità di usare il linguaggio, infatti è difficile da leggere. Il registro è, principalmente, popolare, ma c’è una gran varietà di linguaggio. Non lo pubblica immediatamente. - Scrive i Sogni: 4 brevi racconti in prosa in cui sogna un mondo fantastico (ogni racconto, corrispondo ad un sogno). Testi barocchi. - Scrive Lagrimas de sangre. - Scrive España defendida: opera politica. - Scrive poesia morale: El Eraclito cristiano, poesia morale che dedica a sua zia. Testo in cui si manifesta la filosofia di Quevedo: si considera un neo-stoico. 1613: Crisi spirituale. In questo stesso anno si reca in Italia (precisamente in Sicilia) e diventa segretario di don Pedro, duca di Ozuna (viceré della Sicilia a cui appartiene anche Napoli) dal 1613 al 1620. In questo periodo Quevedo diventa la mano destra del duca, è un diplomatico, agente, spia e confidente del duca. Dalla Sicilia va a Napoli. Ozuna cadrà in disgrazia e con lui, di conseguenza, anche Quevedo. Infatti, nel 1620 il duca viene incarcerato, si crea un grade scandalo intorno al viceré e nel 1628 anche Quevedo finisce in galera perché accusato di essere segretamente una spia dei francesi. Passa, così, 3 anni in una cella di San Marcos de Leon (Leon è una città freddissima). Finalmente libero, trascorre un anno a Madrid e poi si ritira in un paese de la Mancha. III fase (1620-1639): - Scrive trattati politici e morali (è un cattolico) e termina i Suenos - Dal 1620, quando il suo signore è in carcere, si dedica alle lettere senza abbandonare la politica. I terzina: concetto neoplatonico secondo cui basta vedere una volta l’amata e ci si innamoro; l’idea che l’innamoramento avviene attraverso il senso della vista. II terzina: l’amore rende eterno l’uomo. La fiamma amorosa che trascende alla vita immortale non tema la morte (perché è eterna) e, anche se passa il tempo, non marcisce come un fiore (Amore eterno). Questo sonetto è composto in preparazione del prossimo (sonetto 78). Sonetto 78 (Pag. 45) AMOR CONSTANTE MAS ALLA’ DE LA MUERTE Finale più esplicito con la ripetizione, con l’imperativo. Il primo verso è contrapposto all’ultimo. Questo sonetto è diverso da quello precedente. Uno dei sonetti più famosi di tutta la letteratura, non solo spagnola. Il barocco è racchiuso in questo sonetto. Riprende un tema tipico della poesia di Petrarca, usato anche da Garcilaso. vv.1: uso importante del futuro. Il poeta vede arrivare l’ombra (la morte) nel “blanco día” che si porta via la sua anima. “Passo dall’altra parte del fiume quando muoio”: dall’altra parte del fiume è il luogo in cui resta la memoria che continua a sopravvivere dopo la morte, infatti dice “la fiamma della mia memoria sa nuotare il fiume della morte”. Terzine: Parla alla sua anima come imprigionata dall’amore. Il midollo ha gloriosamente bruciato in amore. L’anima lascia il corpo, ma non smette di amare. Il poeta continuerà ad amare grazie alla sopravvivenza della sua anima. L’amore resta vivo dopo la morte del corpo (sa nuotare il fiume della morte). LUIS DE GONGORA Y ARGOTE (1561 – 1627) Nasce l’11 luglio 1561 a Cordoba, da una famiglia di media nobiltà. Muore a Cordoba il 23 maggio 1627. Vive, quindi, nel periodo poetico della “generazione del 27”  questi poeti decidono di organizzare un funerale per Gongora alla Chiesa di Santa Barbara. Partecipano poeti come Damas Alonso (era il suo professore), Pedro Salina, Jorge Villen, Alberti, Lorca, ecc. Gongora, dopo la sua morte, passa completamente di moda, viene dimenticato. Quevedo lo recuperano nel secolo 18, Gongora, invece, viene recuperato successivamente: nel secolo 20, esattamente nel maggio 1927. Luis de Gongora y Argote: presenta prima il cognome della madre (Gongora) e poi quello del padre (Argote). Questo cambiamento all’uso degli spagnoli (si usa mettere prima il cognome del padre, poi quello della madre) è importante perché nel secolo d’oro si poteva decidere l’ordine dei cognomi per scegliere a che famiglia appoggiarsi: infatti, la famiglia della madre era più nobile di quella del padre, erano imparentati con un segretario/protettore del re Filippo II: Francisco Gongora. È il primogenito (eredità dei figli, in ordine: armi, corte, chiesa. Il primogenito ereda, solitamente non diventa sacerdote). A Gongora non interessano le armi, è un uomo pacifista. Ha, invece, sempre desiderato la corte, ma poiché è sempre stato un bambino precoce (es. capacità linguistiche sorprendenti) decide di prendere gli ordini minori della Chiesa, cioè una sorta di preparazione al sacerdozio, ma non diventa sacerdote, semplicemente appartiene ad un ordine minore. Lo zio è l’economo maggiore dell’obispado di Cordoba, ha una biblioteca enorme e qui Luis Gongora si educa. 1575: prende gli ordini minori (ha 14 anni). 1576: va a Salamanca a studiare con un precettore poiché presente nella lista degli estudiantes generosos (studenti a cui è permesso ricevere una borsa di studio). Qui studia diritto economico, ma non termina gli studi. 1580: prima pubblicazione: versi di Alabanza e traduzione di Luiciada (epopea portoghese dove c’è un sonetto di elogio). Diventa subito molto famoso e continua a scrivere. 1584: ha 23 anni ed è già molto famoso, infatti lo stesso Cervantes lo menziona nella Galatea: si conoscono. 1585: ereda dallo zio l’incarico di economo dell’obispato di Cordoba e, per farlo, dimostrata la sua purezza di sangue (necessario per ottenere un incarico amministrativo, per entrare nella burocrazia). 1588: riceve gli ordini maggiori (non si può sposare). Il nuovo obispo che arriva a Cordoba lo denuncia per la sua scrittura frivola e per essere frivolo. Gli fanno solo una multa di 4 ducati. 1589: si pubblicano per la prima “vera” volta (a parte la precedente) alcuni suoi versi nella raccolta La flor de varios romanceros nuevos y canciones. Autore: Pedro de Moncallo. 1604: va a Valladolid, dove si trovavano la corte e Quevedo. È qui che inizia il contrasto tra i due. Gongora persona solare, gioiosa. Quevedo no! Comunque, qui a Valladolid Gongora raggiunge la massima fama poetica e lo stesso Spinoza inserisce 37 delle sue poesie nella sua antologia (sono moltissime per un’antologie, e sono di più rispetto a quelle presenti di Quevedo). 1612: tornato a Cordoba, pubblica il Polifemo e Galatea che genera un grande scandalo, critiche furiose contro Gongora. La vita di Gongora riassume e rispecchia quello che succede con la monarchia spagnola: nasce in una famiglia parecchio nobile, poi inizia una crisi agraria, c’è la carestia e c’è una classe nobile/media (quella a cui apparteneva Gongora) che si impoverisce parecchio. In Spagna arriva l’oro dall’America, ma crea inflazione perché non veniva investito: solo la nobiltà e il re (Carlo V) avevano l’oro e lo utilizzavano per la cura dei palazzi o altre cose effimere. La crisi è inevitabile. Gongora scrive poesia satirica in versi spagnoli e uno dei temi principali è proprio il denaro, attraverso cui spiega la situazione critica spagnola. Per vari motivi, Gongora e la sua famiglia iniziano ad impoverirsi: - La crisi spagnola della piccola nobiltà; - Gongora aveva il vizio del gioco e aveva le mani bucate; - Un suo cugino viene assassinato durante una rissa. Comincia una lotta che dura 5 anni circa in cui la sua famiglia perde moltissimo in economia. Successivamente, Gongora diventa cappellano reale a Madrid, ma è quasi del tutto povero e questo carico non gli da grandi entrate. Si appoggia, così, al Conte di Villa Mediana, poeta di questo secolo, gran signore, emblema della Spagna in questo periodo: uomo esagerato anche nel modo di vestire, spende molto per apparire in un determinato modo. Il Conte muore assassinato, anche don Rodrigo Calderon al patibolo e Filippo III. Sale al trono il nuovo re Filippo IV e arriva il Conte/duca de Olivares (1624). Il Conte de Olivares promette a Gongora molte cose ma non gli concede nulla. Conte duque = antonomasia. Il CO vuole che Gongora pubblichi le sue opere, gli promette delle cose per farlo, ma alla fine torna a Cordoba e muore nel 1627. Poi scompare e riappare nel secolo 20. La poesia ai tempi di Gongora fungeva da propaganda. Aveva questa funzione sin dalla nascita della poesia epica. La poesia di Gongora è varia: amorosa, satirica, burlesca, mitologica e, soprattutto, encomiastica. La poesia encomiastica non è molto diversa da quella petrarchista. Scrive anche favole mitologiche molto brevi , ma dense di significato. Molto importante, nella sua poesia, è il linguaggio (le sue capacità linguistiche sono notevoli). Gongora identifica la poesia con la bellezza. Lavora la poesia nel linguaggio come uno scultore il marmo, o un pittore il quadro: lavora il significante e il significato. Infatti, il suo linguaggio non è spontaneo, ma estremamente artificioso, dotato di massima espressività: - Giochi di parole; - Perifrasi; - Allusioni; - Eufemismi (per temi grotteschi). Per la poesia satirica e giocosa, il tema centrale è quello del denaro, dell’uomo avaro, del nobile in decadenza. In qualche modo la poesia di G rispecchia la realtà, infatti in questo momento la Spagna è completamente in carestia; una crisi che tocca tutte le classi sociali. G mette in risalto i tratti più grotteschi di questa situazione. Gongora compare questo orribile presente a quel mondo ideale, puro, meraviglioso dell’età dell’oro (come fa anche Cervantes nel Quijote, ma Cervantes lo fa con umorismo: Quijote sta morendo di fame, mangia ghiande e poi inizia a fare il discorso sui bei tempi del Secolo d’Oro). Con questa poesia satirica e giocosa è molto cattivo: lavora la parola, non parla di sentimenti. Dice poco, ma con molta erudizione: immagini, allusioni, ecc. ANALISI POESIA DISPENSA Sonetto I (Pag. 37) Presenza del processo di dissimilazione, prima, e riconoscimento, poi. La sintassi è artificiosa: sembra latino, non spagnolo. Il poeta canta una donna e dice che: - Il Sole splende invano comparato ai tuoi capelli; - Un giglio bianco solitario guarda la fronte di lei che è più bianca di lui (giglio). “Menosprecio”: non sappiamo se è riferito alla donna o al giglio; - Le tue labbra sono seguite da più occhi: occhi che inseguono per baciare la bocca. La bocca è comparata al garofano precoce: concentrazione di immagini. Sonetto completamente petrarchista, riprende il canone della bellezza di Laura: bionda, fronte bianca, bocca bella e rossa, collo di cristallo. La donna è materializzata. Fin ora abbiamo la disseminazione. Dopodiché inizia la ricostruzione: Collo, labbra e fronte = cristallo, garofano, giglio. Termini di comparazione. Ora che è la tua età d’oro (della donna). Avviene la metamorfosi: l’oro diventa argento (capelli, ecc.) e il corpo di lei è stato smembrato. Parla alla donna prima che tutte le sue parti si trasformino. Ultima terzina: alcuni tra i più importanti versi spagnoli. Descrizione graduale del cambiamento, invecchiamento, fino ad arrivare alla morte: prima diventa argento, poi viola, poi terra (perché muore), fumo, polvere, ombra e, infine, niente. Sonetto II (pag. 37) Finale esplicito per la ripetizione, con l’imperativo. Il primo verso è contrapposto all’ultimo. Questo sonetto è diverso da quello precedente.
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