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Letteratura spagnola Il cinquecento - Profeti, Sintesi del corso di Letteratura Spagnola

Riassunto Cervantes del manuale del 500 della profeti

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 30/11/2018

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Scarica Letteratura spagnola Il cinquecento - Profeti e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Letteratura spagnola III Il Cinquecento. Miguel de Cervantes y Saavedra. 1547 (Alcalà) - 1616 (Madrid). Esistenza svolta su un duplice binario: uno lo portò prima alla carriera militare e poi ad assolvere ingrati compiti di esattore per potersi procurare un minimo di stabilità economica, l’altro verso la scrittura. Ha un’infanzia itinerante a causa del lavoro del padre, cerusico di vacillanti finanze, che cercava di migliorare l’economia familiare. Si stabiliscono a Madrid nel 1566, ma la vita di Miguel continuerà a svolgersi sotto il segno del viaggio (tenterà senza successo di trasferirsi in America). Nonostante le molte biografie dell’autore ci sono ancora molte zone oscure. La prima testimonianza di una sua opera poetica risale al 1567, sonetto celebrativo non molto originale scritto per la nascita di Catalina Micaela, figlia di Filippo II e Isabella di Valois. Il nuovo e avventuroso periodo della sua vita lo inizia alla fine del 1569, lascia la corte e fugge in Italia con l’accusa di aver ferito Antonio de Sigura. Il taglio della mano destra e l’esilio per 10 anni sono la condanna per questo reato, ma lui si autoriduce la condanna al solo esilio. All’inizio dell’anno successivo entra al servizio del cardinale Acquaviva a Roma, poi però lascia l’impiego per arruolarsi nella Santa Lega, che si prepara a combattere i turchi nel mediterraneo. Durante la battaglia di Lepanto è febbricitante in infermeria ma vuole a tutti i costi combattere, qui venne colpito alla mano sinistra che gli restò anchilosata (ferita che fu sempre motivo di orgoglio). Cura le sue ferite a Messina, e successivamente va a Napoli. Decide poi il ritorno in patria e parte nel 1575 a bordo della galera del Sol che fa rotta verso Barcellona. La nave viene catturata dai corsari e diventa prigioniero di Dalì Mimì il quale chiede per la sua liberazione 500 scudi in oro a causa delle lettere di raccomandazione che portava con se. In 5 anni di prigionia tenterà la fuga da Algeri per quattro volte, senza mai però riuscirci. Dopo lunghe peripezie e trattative Cervantes riesce a riacquisire la libertà nel 1580. Dopo dodici anni di assenza però non trova nessuna porta aperta. Con la famiglia stremata reagisce e chiede un sussidio al Consiglio di Castiglia ma la risposta è negativa. La Spagna stessa era in periodo discendente. Tornato a Madrid nel 1582 è anche tornato all’antica passione delle lettere, sta scrivendo il suo primo romanzo: La Galatea. Ma perché sceglie i moduli del genere pastorale? Tra i motivi, l’aderenza perfetta all’orizzonte di attesa del pubblico che trova in questi romanzi una lettura di evasione perfetta. L’universo pastorale proponeva il perfetto amore mutato dalle idee del Castiglione e di Leone Ebreo. Microcosmo idilliaco da contrapporre al macrocosmo esistenziale del referente storico. Un altro movente è la possibilità che lo statuto pastorale offre all’autore: nel tessuto narrativo di queste opere si possono intercalare componimento poetici che Cervantes sicuramente aveva già scritto senza avere la possibilità di stamparli. Nel 1613 entra come novizio nell’ordine dei terziari francescani. Alla sua morte fu sepolto nel convento dei trinitari con abito francescano e volto scoperto. La Galatea. Cervantes attinge ai modelli pastorali spagnoli, ma stabilisce con essi un doppio rapporto: ne segue i canoni (ogni opera coopera con un’altra nella creazione e nel potenziamento del gruppo di appartenenza e ne modifica la prospettiva) ma vi apporta delle modifiche, partecipando al “dialogo degli autori”. È il primo romanzo di un autore addentro ai dedali della vita e con un cospicuo bagaglio letterario, è la chiave con cui Cervantes accede al mondo letterario. La vicenda principale vede protagonisti due pastori, Elicio e Erastro e l’oggetto del loro amore, la pastora Galatea. La storia è caratterizzata dall’assenza di evoluzione (i protagonisti non fanno, sono). Il personaggio femminile non mostra la sua predilezione, stimando entrambi soltanto amici. Il triangolo amoroso quasi non si evolve, ad eccezione di una leggera variazione verso la fine del romanzo: la spinta viene da una circostanza esterna, le nozze di Galatea con un pastore sconosciuto e questo la spinge a scrivere ad Elicio per conforto e aiuto. Elicio diventa attivo difensore. Il romanzo però finisce prima che i personaggi possano agire nella loro nuova veste. Se la fine del romanzo propone un minimo scarto nella tipologia statica dei protagonisti, l’intero corpo dell’opera è caratterizzato da un’atmosfera di sospensione. Il vero motore del romanzo sono le storie d’amore. La narrazione principale è spesso interrotta da altri episodi, la storia principale fa da contenitore, ed il finale aperto promette una seconda parte che non ci sarà mai. 1 Debito strutturale ai moduli bucolici è l’apertura del romanzo “in medias res”: il lettore incontra Elicio che canta il suo amore senza speranza per Galatea e poi viene immesso in un sereno paesaggio fluviale mutato dai canoni pastorali. Il narratore onnisciente inserisce il secondo protagonista, Erastro, delineandone la tipologia di essere storico, antitetica a quella di Elicio, rappresentato come essere poetico, ma alla fine del romanzo si vedrà un processo di inversione dei ruoli. I protagonisti propongono il tema classico dei due amici che in forma più complessa sarà rielaborato della storia di Timbrio e Silerio nel III e V libro della Galatea. Abitanti perfetti dell’universo letterario che li ospita svolgono con coerenza le mansioni proprie di chi dimora nell’Arcadia (cantano, scrivono componimenti d’amore, pascolano). Il ragionare dei pastori è interrotto da un evento che squarcia in modo inatteso lo schema bucolico: narrazione di un omicidio. Nella Galatea vi è uno spazio atemporale, la comparsa della morte introduce la categoria del tempo e scardina l’armonia dell’universo pastorale, immettendo la narrazione su un nuovo piano, realistico. Scarto potenziato dalla catena semica odio-tradimento-vendetta. L’argomento è la rivalità tra due famiglie, la narrazione si cala nell’ambito storico e il sentimento neoplatonico viene messo in crisi dalle nuove categorie. Le sequenze cronologiche sono capovolte. Chi racconterà la storia sarà Lisandro, uccisore di Carino. L’antefatto del sanguinoso epilogo è poi svolto con un complicato intreccio: Lisandro e Leonida, figli di famiglie rivali, si amano, Carino fa il doppio gioco tra le due famiglie rivali. Il secondo episodio riconduce la scrittura nei canoni del genere, storia di fratelli gemelli. In questo caso però le coppie sono duplicate Teolinda-Leonarda e Artidoro-Galercio. Il racconto prende inizio a metà del suo percorso. La protagonista, Teolinda, espone le sue vicissitudini amorose con Artidoro e muovendo da un presente sconvolto ad un passato felice cerca un futuro che le dia gioia. Attraverso il complesso gioco delle apparenze che portano all’inganno, il racconto va avanti in tutti e sei i libri della Galatea, e avrà una soluzione parziale: Leonarda, innamorata di Galercio ma non ricambiata, prende il posto della sorella e sposa Artidoro (scarto dei valori dell’universo ideale). I diversi satelliti-racconto che affollano La Galatea propongono temi classici e sempre ricorrenti nelle serie pastorale e greco-bizantina (amicizia, amore, gelosia). Le storie e i temi che si intrecciano nella Galatea possono essere così riassunti: A. L’amicizia che vince anche l’amore: Silerio e Timbrio, giovani cavalieri, che danno prova di fraterna amicizia rischiando spesso la vita per salvarsi a vicenda. Entrambi innamorati della stessa donna Silerio farà di tutto affinché l’amico si sposi con l’amata (lieto fine con doppio matrimonio). B. La ricchezza che vince sull’amore: Mireno è abbandonato da da Silveria che sposa il più ricco Danario. C. L’imprudente civetteria: Rosaura e Grisaldo si amano, lei accetta la corte del forestiero Artandro; Grisaldo quindi acconsente alle nozze combinate e Rosaura impazzisce di gelosia e vuole impedire le nozze, vi riesce ma mentre attende che Grisaldo torni a prenderla è rapita da Artandro. D. L’incapacità di amare: Lenio è il prototipo del pastore arido, incapace di provare sentimenti d’amore, del suo stesso sentire è Gelasia, amata di Galecio. Lenio crede di avere in Gelasia l’amica con cui dialogare al di là della malattia amorosa, ma se ne innamora dissennatamente e senza speranza. La narrazione è sempre focalizzata dal punto di vista del narratore-protagonista, che la impone con una rilevante spinta vitale. Nel sesto e ultimo libro un episodio interrompe la catena dei sui protagonisti e presenta i personaggi all’interno di una celebrazione funebre in cui Telesio (protagonista prima dell’interruzione) ne sarà l’officiante e in questa veste convoca l’adunanza il giorno successivo all’alba, presso la valle dei Cipressi. I personaggi so manifestano nel loro intimo poetico (topos). Come spesso accade la prima opera di un grande autore racchiude elementi costitutivi che ricorreranno più spesso, caratterizzandone la scrittura. Tre diversi livelli: 1. Ideologico: tentativo di fusione tra letteratura e vita, tra Arte e Natura, che riuscirà nelle altre tre opere più importanti. L’altra costante è il superamento spirituale attinente alla condizione amorosa. 2 renderanno iconograficamente più ridicola l’immagine di Don Chisciotte, che già nel 20º capitolo della prima parte, si meriterà dal suo scudiero il soprannome di Cavaliere della Triste Figura. Il divertimento e le risa del lettore sono garantiti: sull’immagine sminuita del soggetto egli può proiettare la propria violenza, le proprie pulsazioni sadomasochiste, come uno spettatore dei nostri tempi fa davanti alle comiche. Le coordinate di una realtà che non comprende perché la sua mente si muove in un’altra dimensione, ha creato il personaggio che più si avvicina al protagonista cervantino: lo stesso forsennato e generoso slancio verso azioni impossibili, dove il rapporto di forza tra eroe e ostacolo è assurdo. Personaggio che si catapulta nella chimerica impresa perché il proprio moto dell’animo non gli permette di rimanere inerte. Entrambi personaggi sono stregati da una stella ideale gran presenta la bellezza, l’intelligenza e il cuore. Cadono ad ogni passo, ma si rialzano ostinatamente. Il loro inguaribile candore fa più profonda la loro solitudine. C’è qualcosa in entrambi della caparbietà del bambino, che non riesce a staccarsi dai suoi torturatori, adulti burloni e sprezzanti nella loro superiorità. I due eroi affrontano tutti gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento del loro fine e si sentono realizzati solo nell’immenso rischio dell’annientamento da cui sono attratti. Sono coraggiosi e soli; tutti e due rappresentano un eroismo che un mondo senza valori rovescia in carnevale e traduce in follia. Le differenze di approccio alle situazioni sono evidenti: in Keaton è il reale che incombe, Don Chisciotte si scontra con la trasfigurata realtà che la chimera cavalleresca gli presenta. L’esito rovinoso delle imprese e i fatti inspiegabili che si compiono sotto il suo attonito sguardo vengono assunti dal protagonista con l’espediente dell’incantesimo, mutato dal romanzo cavalleresco. Egli dovrà lottare o abbandonarsi alla potente forza degli incantatori contro i quali il suo valore si vedrà neutralizzato. Gli eventi più sconvolgenti troveranno una spiegazione. La metamorfosi della realtà si dispiegherà lungo la storia e travolgerà anche lo scudiero che attinge inizialmente all’artificio per mascherare le sue bugie, indotte dagli inaluttabili ordini del suo padrone, ma poi finirà invischiato nel dubbio della finzione. Il buon senso contadino di Sancho non soccombe, ma ha momenti di evidente cedimento. Architettate trasformazioni e artefatti incantesimi si mettono in atto nella residenza estiva dei duchi, palcoscenico dove ingegno e macchine teatrali saranno dispiegati dai proprietari, i quali manipolano la fantasia dell’eroe. La percezione dei fatti straordinari e la voglia di intraprendere avventure sono qui mediate dalla costruzione artificiosa e dal gusto per il gioco dei signori. Don Chisciotte e Sancho sono attori coatti di un copione del quale sono gli unici a non conoscere gli intenti, il fine e la conclusione. Gli episodi rilevanti sono: A) La presentazione di Dulcinea incantata e la formula che il finto Merlino pronuncia per distruggere il maleficio. B) La storia della “Dueña“ Dolorida, per la sua leggerezza viene punita con la crescita della barba, mentre Don Chisciotte e Sancho dovranno cavalcare il cielo su Clavilegno, cavallo di legno appartenente al mago Mambruno per annullare l’incantesimo. C) Il governata di Sancho della insula Baratteria. D) La falsa morte d’amore di Altisidora per l’integerrimo innamorato Don Chisciotte e la ricetta per riportarla in vita proposta da Radamante. Maschera volontaria e funzionale al rinsavimento di Don Chisciotte è quella adottata per due volte dal baccelliere Sansón Carrasco. Nell’intento di riportarlo a casa diventa il cavaliere degli specchi. La posta dello scontro richiesta da Sansón è che Don Chisciotte abbandoni per un anno la sua vita avventurosa. Il baccelliere sceglie bene il motivo del duello: proclama che la bellezza della sua fantomatica dama Casildea de Vandalia, è più splendente di quella di Dulcinea. Motivo cruciale dell’universo cavalleresco e Don Chisciotte accetta subito la sfida. Fortuite circostanze fanno di lui il vincitore. Lo stratagemma del baccelliere delinea un’altra modalità di metamorfosi, che permette di coinvolgere l’ardente cavaliere dall’interno della propria chimera. In questa occasione il gioco non riesce a Sansón; avrà successo il suo secondo tentativo, nei panni del Cavaliere della Bianca Luna, vincerà sulla spiaggia di Barcellona. Don Chisciotte inizierà il triste ritorno verso il forzati riposo. L’appassionato lettore di romanzi di cavalleria sarà vinto da colui che a sua volta ben riconosce e se ne serve per unico modello-trappola che potrà incastrare la magnifica pazzia dell’eroe. Per guarire Don Chisciotte, Sansón Carrasco non solo entra nella letteratura ma anche nella pazzia. Il “Quijote”, è una satira contro i libri di cavalleria? Nel prologo della prima parte, l’alter ego dell’autore consiglia lo scrittore sulle modalità di scrittura del Proemio. Per tre volte dichiara che lo scopo principale dell’opera è di screditare i libri di cavalleria. 5 Lo stesso autore, nel momento di concludere la premessa introduttiva, si riferisce a questa lettura qualificando la “nella caterva di libri della cavalleria“. Vi sono riferimenti sul tema disseminati in tutto il testo, sempre con valutazione negativa. Dalla governante alla nipote, dal curato al canonico, allo stesso Alonso Quijano rinsavito. Se i giudizi espressi nei componimenti che accompagnano il testo riflettono l’opinione del lettore comune e la ricezione dell’opera all’epoca, l’insistenza con la quale è segnata la versione per il genere cavalleresco può indicare anche il suo contrario. L’autore vuole criticare il consumo smodato di queste letture e la scarsa qualità dei molti epigoni contemporanei che esasperano l’inverosimile e adottano uno stile contorto, ma allo stesso tempo, la sua opera rappresenta un canto ai nobili ideali della cavalleria frantumati dalla grettezza di una realtà dove il riso omerico si è trasformato in burla, l’amore in lascivia, lo slancio in tornaconto. La prima manifestazione della bipolarità intrinseca di tutto il romanzo è già nella sua genesi: demolire un modello letterario e contemporaneamente esaltare un modello storico. Cervantes assume lo schema strutturale delle opere in questione: il testo si pone come la trascrizione di un manoscritto ritrovato, un antico cronista ha fissato le avventure dell’eroe. Nel Chisciotte, l’artificio si complica e la figura del narratore appare triplicata: vi è un narratore anonimo o secondo autore, un cronista arabo o primo autore e un traduttore, arabo, che serve a perfezionare la verosimiglianza dell’operazione. Nell’episodio dell’incontro dei protagonisti con Don Diego de Miranda, compare un brano che esemplifica la strategia narrativa. Altro segno di una simile scelta creativa lo possiamo riscontrare nella struttura del testo: la divisione in capitoli brevi e la loro organizzazione in serie progressive, classica dei libri di cavalleria. Tale organizzazione viene giustificata dal tipo di lettura che essa prevede: una lettura orale come accadeva per i libri di cui il Chisciotte e parodia, più che lettura silenziosa. Questa pianificazione strutturale spiegherebbe anche le distrazioni o le incongruenze di taluni episodi o particolari all’interno del romanzo. Il nucleo della satira si palesa attraverso la follia dell’eroe, generatrice di miraggi contro i quali Don Chisciotte si scaglia senza senno e senza gloria. Cervantes ha costruito il suo personaggio dotandolo in negativo di un fraintendimento fondamentale: questi crede che i cavalieri dei romanzi siano veri come quelli della storia. Alcune note sulla struttura dell’opera. Il Chisciotte è stato definito come la summa e il superamento dei generi letterari tradizionali e come il romanzo che disquisisce sulla creazione artistica e su se stessa. Possiamo definire il romanzo come un testo con struttura a schidionata. La linea narrativa, costituita dal racconto delle avventure dei due protagonisti, incontra altre storie che hanno con essa un rapporto di implicazione o di estraneità. Nella seconda parte, un elemento referenziale, la comparsa del Chisciotte apocrifo di Avellaneda, sprona Cervantes a intraprendere una fervente polemica con l’usurpatore; modifica il registro e il testo diventa difesa e apologia del vero Don Chisciotte. Cervantes aveva finito la prima parte del Chisciotte con le parole del secondo autore, che dichiarava come il proseguo della cronaca delle avventure chisciottesche fosse introvabile. È rimasta la notizia, affidata dalla fama, che i due protagonisti si sono recati a Saragozza per partecipare ai tornei che li si erano celebrati. Avellaneda costruisce il proprio ambientandolo nelle feste della capitale aragonese. Cervantes riafferma la paternità della sua opera e dei suoi personaggi stabilendo relazioni di intertestualità tra la scrittura della seconda parte della sua opera e la storia pubblicata da Avellaneda. Fa comparire il testo spuria nel cinquantanovesimo capitolo e organizza lo smascheramento in una scena memorabile, dove Don Chisciotte e Sancho rivendicano la loro autenticità, denunciando il grave sopruso di cui sono stati oggetto. Per fornire una prova inconfutabile, Cervantes decide di far cambiare ai protagonisti la meta del viaggio. La decisione viene presa dopo un’animata conversazione, voltasi in una locanda vicino a Saragozza, con due cavalieri che hanno messo al corrente Don Chisciotte dell’abborrito doppio che ridicolizza entrambi i protagonisti. La determinazione è appoggiata dai cavalieri, uno dei quali suggerisce un nuovo traguardo. Cervantes spinge il meccanismo intertestuale fino a fare apparire nel proprio romanzo un personaggio di Avellaneda, Don Álvaro Tarfe, al quale, su richiesta di Don Chisciotte, fa dichiarare davanti al sindaco del paese come esistano due Don Chisciotte e due Sancho, e come quelli presenti siano gli autentici. Anche in quest’occasione lo stupore provato da Don Álvaro si stempera a stento con l’artificio dell’incantesimo proposto da lui stesso, essenza di personaggio che appartiene all’universo dei libri di cavalleria. Don Chisciotte e Sancho, quando apprendono la notizia della pubblicazione delle loro avventure, si staccano dal loro status di personaggi per apparire come rappresentazioni di essere reali, 6 capaci di discutere sull’autenticità delle opere che descrivono le loro imprese. Unamuno, Pirandello e Borges sono gli autori più significativi che riprenderanno l’artificio cervantino. Parodia di una parodia, il romanzo di Avellaneda resta un’opera di modestissimi pregi; ha un registro superficiale e volgare, ma una qualità gli va riconosciuta: spronò Miguel de Cervantes a compiere un’operazione inattesa del suo Chisciotte e ne accelerò i tempi della stesura. Tanta fu la necessità impellente di squalificare il falsario e di riaffermare la paternità delle proprie Epifanie. Al livello tematico registriamo il doppio, la follia, il viaggio, le armi e le lettere, la libertà, il desiderio, l’utopia. Al livello strutturale le discussioni sulla teoria del romanzo, le radici folcloriche, la paramiologia, la tradizione carnevalesca. Il personaggio e l’opera hanno ispirato numerose elaborazioni per teatro, melodramma e balletto, versioni in poesia e trasposizioni cinematografiche. Il Chisciotte amalgama di vita e letteratura, funzione dialettica di generi e ideologie, è un fiume in piena che fertilizza la letteratura successiva. Ogni sua lettura è uno stimolo alla scoperta del sorriso e della malinconia. Novelas ejemplares.  Nell’estate dell’anno 1613 vengono pubblicate in un volume le 12 “Novelas” cervantine: El amante liberal, Rinconete y Cortadillo, La española inglesa, El licenciado Vidriera, La fuerza de la sangre, El celoso extremeño, La ilustre fregona, La señora Cornelia, El casamiento engañoso e Coloquio de los perros. Perché l’autore diede il nome di esemplari alle sue novelle? Seguendo la tesi proposta da Avalle- Arce, il primo scopo di Cervantes non è quello di scrivere i suoi racconti sull’impronta degli exempla medievali. I nuclei tematici si presentano, in molti casi, come antimodelli offerti al lettore perché si disponga a evitarli. L’epiteto esemplare segnala non tanto un doppio e contrapposto modello morale, quanto un modello di scrittura; l’originalità dei testi cervantini si riscontra proprio quando si esamina la possibile attinenza a un codice determinato. I modelli soddisfano l’orizzonte di attesa del periodo: novella sentimentale, bizantina, picaresca, pastorale. Cervantes riesce in ogni sua operazione letteraria a modificare profondamente i sistemi e a offrire un testo che va oltre le coordinate inserite nei moduli di riferimento. L’esemplarità delle Novelas è nella novità che l’autore propone con i suoi testi, prototipi di un’altra scrittura. Essa si fa magnetica, crollano gli schemi: è il movimento che ha accompagnato la nascita del nuovo romanzo. Seguono la scia tracciata dalla prima parte Del Chisciotte e fanno intuire lo sviluppo della seconda. Finzione e realtà sì imbrigliano con nuova forza e nuove regole. La sperimentazione viene affiancata dalla convinzione personale, convenzionale, che i racconti devono assoggettarsi ai canoni dell’eutrapelia, distrarre piacevolmente con moderazione e onestà. L’autore stesso, nel Prologo al lector chiarisce il senso dell’epiteto e fornisce al destinatario gli intenti della sua operazione. La lettura delle dichiarazioni cervatine non solo conferma l’interpretazione che diamo, ma evidenzia anche la sicurezza dell’autore e l’orgoglio provato per la riuscita del suo progetto. Le Novelas furono valutate positivamente, fin dalle Aprobaciones, dai censori. Nel loro giudizio si sottolinea l’aspetto innovativo, la capacità di divertire serenamente e la lezione di vita che contengono. Un affresco letterario e sociale.  Il corpus delle 12 novelle, concepito e strutturato da Cervantes come un’esauriente e sottile pittura, porge all’elettore intricate e seducenti storie d’amore e testimonianze filtrate sul logoro tessuto sociale dell’ormai decadente impero asburgico. I testi presentano un intreccio densissimo di eventi narrati per mezzo di uno stupefacente effettismo a sorpresa, che complica una storia lineare o scioglie situazioni impossibili. Il nucleo tematico di ogni novella e i codici a cui ognuna attinge.  • La gitanilla: storia d’amore e di amicizia risolta con l’agnizione finale che ne permette uno scioglimento felice. Mutua da codice picareschi e amoroso-sentimentali. • El amante liberal: storia di un amore non corrisposto, di intrecci, prigionia, avventure e una catena di passioni. Si conclude con l’amore contraccambiato. La narrazione si muove entro i canoni della novella di cautivos e del romanzo bizantino. • Rinconete y Cortadillo: amicizia e avventure di due ragazzi nei bassifondi sivigliani della Spagna imperiale. Moduli picareschi.  7 C. Il carosello di poeti che compaiono nel tessuto della storia gli fornisce un’ulteriore linea di contenuto che risponde formalmente alla caratteristica intrinseca del genere scelto. La segnalazione dei poeti inizia nel secondo capitolo tramite l’espediente dell’elenco fornitogli da Mercurio, che funziona per sottrarre responsabilità all’autore-protagonista sulle segnalazioni fatte. Quando pubblica il Viaje è ormai un anziano ammalato, non gli è alieno il presagio della morte. Verso la fine del poema, un enigmatico personaggio di nome Promontorio lo taccia di semidifunto. Il tono faceto intriso di mestizia non impedisce che le dichiarazioni formulate riflettano perentoriamente l’accettazione, mitigata dalla solida consapevolezza del suo iter creativo, del proprio destino. Cervantes e il teatro. La teoria drammatica, i rapporti con l’ambiente. Lontano dalla Spagna dal 1569 al 1580, anni fondamentali per la storia del teatro spagnolo, Cervantes tenta al suo ritorno di inserirsi nell’ambiente teatrale con buoni risultati, anche se lascia nel vago l’entità del proprio contributo. 20 o 30 con cifra iperbolica, nella “Adjunta“ al “Viaje del Parnaso“, nel 1614, Cervantes consegnerà alcuni titoli, 10 in tutto. Un 11º titolo a fare in contratto stilato col capocomico Gaspar de Porres il 5 marzo 1585: Cervantes si impegna a consegnare a Porres la “Confusa“ (dentro de cinco dias de la fecha de esta carta). E “El Trato de Costantinopola y muerte de Selim“ (para ocho dias antes the la Pascua de Flores). Il compenso di 40 ducati sarà diviso in due rate: 20 immediatamente e 20 alla consegna della seconda commedia. Di questi testi conosciamo oggi solo i primi due: e “Los Tratos“ con un profilo testuale dubbio. A giudicare dai titoli, questa prima teatro cervantino apoare vicino al sistema che si era forgiato verso la metà del secolo: argomenti di attualità e magari di taglio autobiografico, come le turcherie il ricordo di Lepanto, si uniscono a quelli di tono ariostesco e tassiano. Nel prologo alle “Ocho comedias” (1615), Cervantes tenta di esagerare la propria autopresentazione in veste di nuovo attore; egli non fu il primo a ridurre gli atti a te, né a porre in scena figure allegoriche, che anche il Lope giovane utilizza. Le due opere che ci restano attestano poi un tipo di teatro povero di azione, declamatorio, ben lontano dagli sviluppi degli ultimi anni del XVI secolo e delle prime decadi del 17º. Il successo fu scarso, altrimenti Cervantes non avrebbe abbandonato una carriera brillante e remunerativa per la modestissima attività di commissario. Dal 1587 al 1591 si allontana dalla scrittura teatrale. E, forse i contatti con il mondo delle scene sì rinverdiscono nel 1592, anno in cui stipula un contratto con il capocomico Rodrigo Osorio. Cervantes guarda sempre più spaesato il panorama della scena spagnola, che gli appare confuso e dissennato. Sparita ormai la distinzione tra comico e tragico che ancora si manteneva nella prima metà del 16º secolo, e lontana e dimenticata la semplicità rinascimentale di Rueda, lasciando campo alla dimensione del ricordo. Lode del buon tempo andato in gran misura inattendibile e di parte, oggi sappiamo che molto più articolati dovevano essere gli spettacoli di Rueda; e acre e amareggiato il profilo che Cervantes traccia del grande Lope. Ben poco centrato anche il florilegio di autori che Cervantes introduce a rappresentare il teatro contemporaneo, quasi contrapponendoli a Lope. Queste considerazioni talora risentite, talora inattuali, precedono le “Ocho comedias y ocho entremeses nuevos, nunca representados“ che nel 1615 Cervantes pubblica con un prologo molto amareggiato. Mai messi in scena quindi i suoi testi. Stravagante e anche il numero di testi raccolti. Lo scarso interesse dei capocomici, che Cervantes insinua fossero asserviti e posti sotto la giurisdizione di Lope, oggi non ci meraviglia: non tanto e non solo perché Cervantes appare lontano dai centri di potere teatrale, da quella stretta simbiosi con le compagnie che ci si rivela alla base della scrittura di Lope. Quest’ultimo poteva fare la fortuna di un gruppo teatrale; un prigioniero dei turchi rimpatriato, dalla dubbia fama, non poteva ovviamente competere con la Fenice degli ingegni. Si osservino le otto commedie con l’occhio rivolto alla loro possibilità di messa in scena nei secoli d’oro. L’autore non tiene conto delle necessità e nemmeno della composizione delle compagnie, proponendo testi che prevedono una ventina di attori in scena; anche se personaggi minori potevano essere duplicati, in un periodo in cui la tendenza era alla riduzione delle compagnie, questa poteva costruire una ragione di più di diffidenza. Nell’elenco dei personaggi dell’Entretenida se ne registrano due che poi non appaiono in scena. Ugualmente spaesati dovevano essere i capocomici davanti alla mancanza di ruoli prefissati. I critici che oggi lodano la 10 rottura di questi schemi da parte di Cervantes appaiono non avere chiare le ferree regole rivelazione che legano il commediografo del secolo d’oro al suo committente privilegiato: le compagnie. Non si dovranno poi meravigliare dello scarso successo coevo di testi che non tengono conto della struttura dell’ambiente teatrale del XVII secolo. Non sono mancati studiosi che non si rassegnano a questa lontananza di Cervantes dal tablato dei corrales: Granja suppone che certe didascalie della “Casa de los celos“ e dei “Baños de Argel“indichino che Cervantes collaborò in qualche modo alla regia della commedia. La possibilità di una presenza di Cervantes alle prove è avanzata sulla base di didascalie. Si tratta di quattro luoghi, che si riducono a due nella seconda e terza didascalia della prima opera, la spiegazione dell’abito del Timore e della Fama viene immediatamente fornita. Troppo poco per ipotizzare una pratica di intervento registico da parte di uno scrittore, pratica di cui non si avrebbero nel periodo altre testimonianze; intervento che si produrrà magari più tardi nel teatro di palazzo, ma non è mai attestata per il corral. Il tenore delle didascalie fa riflettere: la loro minuziosità dimostra il contrario di una partecipazione alla regia; cioè che Cervantes tenta di orientare nel testo letterario il testo spettacolo proprio perché non ne ha alcun controllo. È un aspetto affine a un’altra caratteristica delle didascalie di Cervantes, felicemente notata da Varey, quando rileva che egli sembra confondere l’arte del drammaturgo con quella del romanziere. Inserisce informazioni utili dal punto di vista tecnico, fino a indulgere al ricordo autobiografico, o al suggerire che certe spiegazioni saranno posticipate, rivolgendosi a un lettore. Cervantes, innamorato respinto dal teatro, non se ne dà comunque ragione, e continua a speculare nei suoi testi sullo statuto del rappresentare, con punti di convergenza con l’Arte nuevo. Dipinge il perfetto attore. Se nel 1592 Osorio nello stilare il contratto con Cervantes sembra dubitare della validità dei risultati della scrittura, e se poi la sordità dell’ambiente teatrale aumenta, non rimane che il lamento. Bisognerà rassegnarsi alla maniera dominante. Le commedie. Le Otto commedie mostrano un indubbio adeguamento alla maniera di Lope, che risalta in modo particolare se le confrontiamo con le due piezas superstiti del primo periodo. “Los tratos de Argel” (1581-83), presenta un tipo di teatro appoggiato sul racconto, effettuato dai personaggi, di avvenimenti storici e casi dell’intreccio. Nei “Tratados” grande spazio sarà dedicato alla presentazione di battaglie contro i turchi, o avvenimenti di attualità, attraverso passaggi affidati a un unico personaggio: la commedia prende avvio con un monologo in cui Aurelio racconta la sua situazione di schiavo per amore; successivamente Saavedra, soldato prigioniero, e Leonardo riferiscono le novità della guerra in frammenti molto estesi. Sopraggiunge un terzo personaggio, Sebastián, che racconta il martirio di un sacerdote di Valencia, Fray Miguel de Aranda, e sono altri 198 versi di declamazione senza interruzioni. Nella commedia si alternano questi racconti esposti da uno dei personaggi, con dialoghi tra due o più personaggi che raccontano fatti relativi alla trama della commedia. Nonostante qualche tentativo di rivalutazione, l’interesse di quest’opera risiede negli elementi che fanno presagire temi di opere future e nel rapporto con la materia autobiografica, che però da mediato, sottolineando come l’ambiente turco fosse già presente in soggetti della commedia dell’arte: Cervantes non utilizza solo ricordi o esperienze, ma fa riferimento a meccanismi letterari e teatrali mentre tenta di sfruttare un tema di moda. Possono anche servire da pietra di paragone per la successiva produzione di Cervantes te, e il paragone diventa quarti d’obbligo per i “Baños de Argel“ dove il tema della prigionia in Algeri riappare e dove si utilizza un nucleo centrale analogo: una coppia di schiavi innamorati, insidiati dai padroni dell’altro sesso. Basandosi sull’analisi metrica, Aldo Ruffinatto giunge a conclusioni molto significative. Nei Tratados i monologhi hanno un luogo privilegiato, nella seconda opera molto meno. Cervantes a modificata profondamente i tuoi meccanismi di scrittura teatrale. La produzione del primo periodo di Cervantes ci è nota attraverso una tragedia, la “Numancia“, mette in scena l’assedio di Numanzia da parte delle truppe romane nel 133 a.C., l’eroica resistenza degli abitanti e la loro decisione di mettere tutti, in modo da negare il trionfo al vincitore Scipione. La tragedia, in cui predomina l’endecasillabo, ha richiamato l’attenzione della critica: ne sono state esaminate le fonti e la relazione con i romance di Timoneda. È stata vista come tragedia religiosa. Le “Ocho comedias” raccolgono testi tra loro molto dissimili: El Gallardo español, La casa de los celos, Los baños de Argel, El rufián dichoso, La gran Sultana, El laberinto de amor, La entretenida, Pedro de Urdemalas. Almeno tre di questi risalgono al periodo 1587-1606, periodo in 11 cui i contatti con l’ambiente teatrale ci sarebbero stati. La seconda e la sesta e anche forse la quarta. La cronologia cervantina pare ancora da assestare; un’ipotesi plausibile è che Cervantes abbia scritto dopo il 1606 sei commedie: nel 1614 nell’Adjunta, afferma di averne sei pronte per la stampa; ha poi aggiunto due delle più antiche la seconda e la sesta. Le due commedie hanno infatti tratti più primitivi e una serie di caratteristiche in comune, a cominciare dalla loro materia, quella dell’Orlando innamorato e dell’Orlando furioso; cui va aggiunto il complesso impianto scenografico. Tema della quarta è invece la vita del santo, Cristobal De Lugo, prima dissoluto a Siviglia tra prostitute e ruffiani, poi Santo in Messico. La commedia de santos cominciava essere tra le preferite di un pubblico interessato a spettacolari apparizioni di demoni e a voli di angeli. Anche in questa commedia l’apparato scenografico è imponente. Un ulteriore tentativo di guadagnarsi un posto nell’evoluzione del teatro attraverso invenzioni nuove che destino l’ammirazione. La prima commedia, insieme alla terza, riprende l’ambiente e il tema della prigionia in Algeri; vi compaiono tipici congegni teatrali come la donna vestita da uomo, feste spettacolari, processioni. Il tentativo di rinnovamento dello schema prelopesco risulta molto evidente. Chiara appare nella quarta commedia la presenza della coppia padrone-servo, che riprende la figura del gracioso, attiva nella formula di Lope de Vega. Le tre restanti commedie sono di argomento tra loro ben dissimile, sono collegate tuttavia da una riflessione sulla rappresentazione, sullo scarto tra l’essere e l’apparire, che le hanno fatte giudicare molto “cervantine“. La gran Sultana ricrea liberamente la storia di Catalina de Oviedo, prigioniera cristiana di cui si innamora il sultano Murad III: spinto da una passione veemente, egli decide di rispettare la religione della giovanetta; soluzione al problema spirituale della fanciulla, che accetta le nozze. Su quest’azione se ne annoda una seconda: il giovane Lamberto, innamorato di Clara, anch’essa prigioniera del serraglio, per amor suo si traveste da donna e si introduce nell’harem: i due vivono per un certo tempo un amore felice e corrisposto, tanto che Clara concepisce un figlio. Ma Zelinda (Lamberto travestito) viene scelta dal sultano, che ne scopre ovviamente il vero sesso e condanna a morte il giovane; lo salverà però l’intervento di Catalina e l’invenzione di una storiella, secondo la quale è stato mutato da donna in uomo in seguito alle sue ferventi richieste a Maometto. Con queste due vicende interagisce il personaggio di Madrigal, prigioniero che si cava da varie situazioni pericolose dando prova di un ingegnosità eccezionale. Sarà infine egli l’unico personaggio a lasciare Costantinopoli per tornare in Spagna e raccontare la storia della sultana. Nella commedia giocano così fonti classiche nella peripezia da romanzo greco, fonti italiane nella storia di Clara e Lamberto, descrizioni folcloriche e costumbriste della vita a Costantinopoli, con il tema del teatro stesso. Non tutto il testo è pienamente risolto; il problema morale della figura si supera con una certa disinvoltura, viene episodicamente presentata in scena e poi accantonata la figura del padre di Catalina, memento vivente della fede e dell’onore ispanico; violente tirate antisemite coesistono con una bonaria tendenza la tolleranza; qui i giudizi della critica arrivano soluzioni contraddittorie e a volte quasi schizofreniche. Si ha l’impressione che Cervantes operi con mezzi più maturi. Ci sono momenti che ripropongono il raccontare in scena dei testi anteriori, soprattutto nel faticoso avvio della commedia, con la descrizione del corteo del sultano e il riassunto degli intricati casi di Clara e Lamberto. Una serie di eventi si verifica sotto gli occhi degli spettatori, fino al coinvolgente gioco di specchi della festa spagnola preparata per il sultano. La entretenida utilizza fonti classiche, Plauto e Terenzio, per effettuare una volontaria imitazione delle commedie di Lope: un’imitazione che tende agli effetti della parodia. La commedia non si conclude con il matrimonio, l’opera non finisce male né bene. Intelligente replica del fallace, in quanto troppo artificioso e convenzionale, schema di Lope de Vega. Si può replicare che lo schema di Lope non può essere così perentoriamente identificato: in 350 commedie compaiono davvero finali di tutti i tipi, e la presa in giro delle risolutorie nozze finali si dà anche in lopisti di stretta osservanza. Sempre come tentativo di insubordinazione di Cervantes alla convenzione drammatica accoglieva la legge Zimič, con marcata ingenuità circa le intenzioni realistiche dell’autore, o il tuo desiderio di dare autonomia ai caratteri bassi. Questa commedia è una commedia alla moda, che ruota intorno all’inganno, all’equivoco, all’impostura, alla doppiezza. È nuova e feconda, una rielaborazione di un motivo che fonda le sue radici nella tradizione classica. Equivoci, inganni, impostura, sono il tessuto connettivo delle commedia di cappa e spada. Quella di Cervantes si distingue non perché il meccanismo sia inopinato o nuovo, ma per un eccesso nell’uso, per una triplicazione di fili narrativi, alla fine lasciati aperti. Intanto recita di un entremés, 12 Leggendo la formula del canonico ci rendiamo conto che l’opera segue questi dettati e rispecchia un modello eterogenea, in cui termine struttura del romanzo greco si intrecciano con il vecchio prototipo dei libri di cavalleria. L’azione prende avvio con il racconto in una situazione di grande pericolo in cui si vengono a trovare i due principali protagonisti. Difficile per il lettore la loro identificazione: il loro nome non corrisponde a quello enunciato nel titolo, lui viene chiamato Periandro e lei Auristela. Lui è travestito da fanciulla e lei da giovinetto. Inizio promettente per un pubblico affezionato alle favole avventurose. La storia portante racconta come una vicenda d’amore minacciata diventi un pellegrinaggio; dei castissimi amanti si trasformino in fratelli e dei principi in pellegrini. La maggior parte della critica ha interpretato il messaggio del testo in chiave controriformista. Il viaggio dei protagonisti viene inteso come un pellegrinaggio simbolico che segue in tutti i suoi punti il modello cattolico proposto dal concilio tridentino. L’ambiguità ha portato alcuni studiosi e interpretare il contenuto del testo dall’altro lato dello specchio. L’immagine rovesciata dell’apparente ortodossia rivela un’operazione in cui l’autore si misura con una struttura che dovrebbe portare a una conclusione integralista ma che invece svelerebbe un pensiero eterodosso. Il testo è diviso in quattro libri, nei primi due l’autore quasi non interviene nel racconto e vi si riscontra maggiore conformità con lo schema proposto dal Chisciotte. Negli altri due vi è una continua presenza dell’autore attraverso numerosi interventi. L’inizio del libro secondo registra uno dei pochi interventi diretti e dell’autore che permette a Cervantes un chiarimento dell’artificio narrativo: le storie raccontate sono state tradotte, ci troviamo di fronte a due istanze narrative, quella dell’autore e quella del traduttore, ma in questo caso il gioco è molto meno complesso rispetto al Chisciotte. La struttura dell’opera presenta una polifonia di voci narranti rispondenti ai personaggi che riferiscono la propria storia. Il momento del racconto costituisce un movimento all’indietro nel tempo e una sospensione dell’azione principale. Pause che permettono ai protagonisti e al lettore di conoscere le vicende del nuovo arrivato e, nel caso di Periandro, di conoscere le avventure che ha dovuto affrontare da solo nel periodo in cui è rimasto lontano da Auristela. Il sistema funziona lungo la totalità dello spazio testuale e Cervantes vi attinge per presentare al lettore la scena in cui viene rivelata l’identità dei protagonisti. Siamo nel 12º capitolo dell’ultimo libro: lo sconosciuto personaggio che narra non racconta la propria storia, ma quella dei protagonisti. Come in uno scenario teatrale, il bosco in cui la scena si svolge permette al protagonista di ascoltare di nascosto la conversazione di due ignoti, di identificarli attraverso il suono della voce e di apprendere come l’antico vincolo che lui e Sigismunda tentavano di scongiurare è più che mai vicino. La catena di narratori-ascoltatori propone ulteriore componente strutturale, quella del racconto nel racconto. Se da una parte il testo svela, vicino alla fine del quarto e ultimo libro, che la regina è uscito qui a, madre del protagonista, è colei che ha organizzato la fuga-pellegrinaggio, dall’altro rappresenta il primo personaggio che riveste la funzione di narratore. I protagonisti costituiscono il gruppo che il narratore chiama “el escuadrón de peregrinos“. I compagni della coppia sono i membri una singolare famiglia conosciuta nel profondo Nord: Antonio il barbaro, sua moglie Ricla e i loro due figli. I protagonisti della storia principale rappresentano l’immagine di un universo contraddistinto da bellezza, verità, purezza e saggezza, mentre la maggior parte dei paraprotagonisti fa parte della sfera scura raffigurante le passioni e si proietta sui Pellegrini come il gorgo iniziatico contro il quale dovranno sostenere prove in difesa dei valori che li animano. Ottemperando al codice di appartenenza, le storie raccontate nell’opera sono costituite da casi d’amore. La traiettoria del tema parte da una zona infima, rappresentata dall’amore brutale dei barbari, e prosegue in ascesa con diversi casi rappresentati, per giungere a Roma all’apice dell’amore puro e purificato dei protagonisti. La linea verticale ascendente è la figura che più si confà alla rappresentazione iconografica della storia raccontata nell’ultima opera cervantina. Lo stile del romanzo è una prosa collima a volte con il verso, non solo perché con una certa frequenza incorre in endecasillabi o ottonari, ma per l’impiego deliberato di linguaggio poetico. La sua ossessione per la poesia si rivela soprattutto nella purezza del linguaggio dell’opera che considera la più perfetta delle sue opere nella quale abbondano brani che sono vere poesie. Oltre alla poetica drammaticità che si sprigiona dal racconto, riscontriamo un altro elemento che permette di collegarci al discorso del livello. Se l’opera è soltanto un canto ortodosso ai valori della fede cattolica, la volontà di vendetta che esaspera l’implacabile vedova avrebbe potuto essere annullata dal sentimento di compassione in lei destato dinanzi all’inerme innocenza della 15 sua vittima. L’istanza narrativa costituisce il mutamento facendo leva su una diversa rete connotativa, pagana, in cui la bellezza è il segno che permette il capovolgimento: il soggetto destinato a Thanatos diventa strumento di Eros . E il sentimento d’amore che travolge Ruperta viene espresso come una pulsione dove desiderio e piacere nel segnano il senso.  La connaturata ambiguità, più volte lamentata, che caratterizza la scrittura cervantina, offre lo spunto alla prima interpretazione. Essa rappresenta una lettura stimolante ma non va trascurato il rapporto tra l’emittente e il destinatario coevo. Il testo funziona all’interno della potente macchina costituita dall’alleanza seicentesca tra Chiesa e Potere. È un romanzo di difficile interpretazione per il lettore odierno caratterizzato dalle linee di luce ed ombra che lo percorrono, lo modellano e ne fanno testo rappresentativo della letteratura barocca. 16
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