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Letteratura Spagnolo - Cerron, Appunti di Letteratura Spagnola

Appunti di letteratura spagnola per superare l'esame con la Cerron.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 15/05/2024

robert.ghebus
robert.ghebus 🇮🇹

4 documenti

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Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura Spagnolo - Cerron e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! EL DESTINO IMPERIAL. La tradizionale rivalità tra la Francia e la corona di Aragona era aumentata e Fernando indusse sua moglie ad abbandonare la tradizionale politica castigliana di alleanza con la Francia. Tra il 1475 e il 1477 si iniziarono ambasciatori in Germania, Italia e Paesi Bassi per offrire un'alleanza con la Spagna. Quando Carlo VIII di Francia invase l'Italia, la corona di Aragona si sentì minacciata ed era necessaria quindi una coalizione europea per opporsi a Carlo VIII e la sua realizzazione avvenne nel 1495 con la Santa Lega formata da Inghilterra, Spagna, Impero e papato. Durante gli ultimi decenni del XV secolo Fernando creò 5 ambasciate permanenti a Roma, Londra, Bruxelles, Venezia e presso la Corte Austriaca. Gli uomini scelti per occuparle avevano una notevole abilità e provenivano da una classe di professionisti, muniti di buoni studi giuridici o dedicati alle discipline ecclesiastiche. Questa coalizione fu uno dei maggiori successi di Fernando in politica estera. Tuttavia, con l'entrata del sovrano francese a Napoli, risultò chiaro che la diplomazia doveva lasciare il passo alla forza militare con le campagne italiane del 1495-1497 e 1501-1504, per le quali furono istituite nuove formazioni completamente riorganizzate se paragonate ai tempi della reconquista con una fanteria più robusta e più archibugieri. Questi cambiamenti posero le basi per lo sviluppo dell'esercito spagnolo nel corso del '500, nel 1534 ad esempio l'esercito verrà ripartito in tante unità di nuovo tipo, dette tercios, ovvero compagnie di 250 uomini ognuna con una forza pari a 3000 uomini. L'Italia risultò un campo di prova molto importante per la Spagna sia dal punto di vista diplomatico che militare. I francesi furono sconfitti e Fernando riuscì a cacciare la dinastia napoletana dal suo trono. Nel 1496/97 l'alleanza tra la Spagna e l'impero venne coronata da un doppio matrimonio tra le due dinastie. Il principe Juan, unico erede dei re cattolici, si sposò con la figlia dell'Imperatore dell'Austria e Juana, figlia dei re cattolici, con il figlio dell'Imperatore di Austria. Tuttavia dopo la morte di Juan si perse la speranza di avere una linea di successione diretta maschile, linea che si spostò quindi su Juana e sul suo primogenito Carlo. La politica estera di Fernando termina ponendo la linea di discendenza spagnola al trono nelle mani di una dinastia straniera. I sostenitori di Fernando erano ormai pochi e la sua posizione si fece sempre più instabile, al punto che cercò l'appoggio della Francia, appoggio trovato nel trattato di Blois con Luigi XII nel 1505 in cambio del matrimonio di Fernando con una nipote del re francese, Germana. Un anno dopo, nel 1506, Filippo d'Austria, marito di Juana, morì, lasciando nelle mani di suo figlio di sei anni, Carlo, il titolo di erede. Nel 1510 Fernando fu nominato reggente del regno. CARLO V. Alla morte di Ferdinando (Fernando) di malattia nel 1516, Carlo V ereditò il regno di Spagna provocando malcontento nella popolazione perché era visto come un re di una dinastia straniera, quella degli Asburgo. Nel 1519 fu proclamato imperatore del Sacro Romano Impero. Carlo V voleva creare un grande stato unitario europeo, ma il suo impero presentava forti discrepanze tra i diversi territori. Salì poi al trono nel 1522. Negli anni precedenti si preservò l'unione delle due corone, si consolidò il potere dei sovrani sui nobili e sulle città della Castiglia e la Spagna intraprese la sua carriera imperialistica sotto la direzione degli Asburgo. Il malcontento del popolo inizia a manifestarsi nel 1519, anno in cui Valencia fu colpita dalla peste e un predicatore affermò che quello era un castigo divino. I sentimenti anti-fiamminghi portarono il popolo a insorgere nella cosiddetta rivolta dei comuneros che ebbe origine a Toledo e Valladolid per poi estendersi in molte città spagnole. Iniziò il 16 aprile 1520 a causa del malcontento generale dettato dall'aumento delle imposte e assenza del re. I rivoltosi chiedevano che il re abitasse la Castiglia e soprattutto che non si accerchiasse di fiamminghi. Il governo si vide costretto a fare delle concessioni, iniziando dalla nomina di alcuni consiglieri castigliani. Le rivolte continuarono con l'incendio di Medina del Campo il 21 agosto 1520 che porta alla distruzione del maggior centro finanziario e commerciale del paese. Questa rivolta costituisce una grande minaccia per il potere della nobiltà e per tutto l'ordine gerarchico. La lotta sociale contro la nobiltà diviene man mano una vera e propria rivoluzione sociale. La rivolta termina con la Battaglia di Villalar il 1521 in cui le truppe imperiali sconfiggono il popolo in rivolta e il giorno seguente giustiziano i leader dei rivoltosi. Toledo mantiene viva la ribellione fino al 1522. Dopo la disfatta di Villalar, i comuneros si erano sciolti. Quando Carlo sbarcò nuovamente in Spagna si ritrovò in un paese nuovamente pacificato. Le autorità della corona ne era uscita vincitrice da queste rivolte e il re aveva fatto il suo ritorno come signore assoluto di una Castiglia intimidita e soggiogata. La sconfitta dei comuneros significava che la successione degli Asburgo era fermamente stabilita tanto nella corona di Aragon che in Castiglia. Con la vittoria di Carlo, i successi dei re cattolici vennero nuovamente assicurati e in Castiglia non vi furono più rivolte contro la corona. Nonostante i forti sentimenti anti-fiamminghi e anti-imperiali, esistevano alcuni circoli che ricevevano positivamente le idee straniere. In questi anni, i contatti tra Spagna e Paesi Bassi con il regno di Carlo V portano a corte una serie di idee antitradizionaliste viste di mal occhio dagli inquisitori. sintomi di deviazioni dall'ortodossia si erano verificate già nell'ultima parte del '400. Nei Paesi Bassi si era sviluppata la scuola corrente della Devotio Moderna che poneva l'accento più sull'orazione mentale che sui riti esterni, a Firenze invece c'era Savonarola con la sua visionarietà. Ci furono adepti di entrambi in Spagna, beatas e francescani. Nel XVI secolo si cominciano a formare quindi movimenti religiosi facendo preoccupare l'Inquisizione, Inquisizione formata da un tribunale incaricato di indagare e condannare e dal Sant'Uffizio, organismo incaricato di promuovere e tutelare la dottrina cristiana. Gli abusi di potere inquisitorio fecero muovere in passato una richiesta a Carlo V per un programma di riforma, anche se egli non si mosse radicalmente. Il pensiero di Desiderio Erasmo diede vita all'erasmismo che sosteneva un compromesso tra la chiesa e il patato, la corruzione del clero e degli aspetti esteriori della religiosità. Gli erasmisti venivano associati a sentimenti di protestantesimo che si diffusero in Europa a partire delle tesi di Lutero. L'inquisizione riteneva che il pensiero di Erasmo fosse influente sul movimento religioso degli alumbrados, proibì i testi ersamiani. 1525 decreto di Toledo contro le eresie religiose. Molti vennero perseguitati in quanto conversos o moriscos. Nel 1527 l'arcivescovo Manrique convoca a Valladolid un colloquio di teologi per discutere sull'ortodossia di Erasmo e per fermare gli oppositori. Manrique vieta così ogni attacco all'erasmismo, ma i conservatori non si sentono ancora sconfitti. La circostanza favorevole fu quando Carlvo partì per l'Italia nel 1529, gli anti-erasmiani accusarono gli erasmiani di simpatie illuministiche e luterane. L'asso nella manica fu Francisco Hernandez che dopo essere stato arrestato fece da informatore all'Inquisizione e denunciò uno dopo l'altro i maggiori esponenti dell'erasmismo spagnolo tra cui il dotto greco Juan de Vergara, amico di Erasmo. Tra il 1530 e il 1550, il tribunale dell'Inquisizione si trasformò in una macchina da guerra per le denunce e per i rimedi contro l'eresia, anche il Sant'Uffizio partecipò con tortura e rogo per gli eretici. Dal punto di vista economico, il commercio in Spagna venne incrementato grazie al mercato col nuovo mondo. L'economia era divisa in 3: Siviglia verso l'America, Castiglia verso le Fiandre, Aragona nel Mediterraneo. Tutto ciò si traduce con un incremento demografico che offre nuova manodopera per il settore manufatturiero e venne incrementata la domanda di lana, ma l'agricoltura era ancora arretrata e non riusciva a tenere il passo con l'aumento crescente della domanda. Ciò comportò l'aumento dei prezzi. Le diverse guerre intraprese e il mantenimento della vita di corte causò dei problemi alla finanza imperiale, che fu costretta ad aumentare le imposte. Carlo V fu sopraffatto dalla crisi economica. Inizialmente, il grosso delle spese lo finanziavano i Paesi Bassi e l'Italia, poi successivamente la Spagna stessa dato che in Spagna vi erano più fonti di entrata, la Chiesa fu di grande aiuto con le tercias reales. Si aggiunse poi l'excusado. La corona poté contare anche sui beni e sui redditi degli Ordini militari e sulla cruzada, un tributo dato come fonte di sostentamento nella guerra contro i mori ai sovrani spagnoli. Dal 1543, Carlo V fu assente fino al 1556 quando dopo l'abdicazione soggiornò in un palazzo accanto al monastero di Yuste. I timori dei comuneros furono tutto sommato legittimi dato che il re fu effettivamente assente. La sua assenza fu possibile dal momento che la reggenza fu affidata ad altri personaggi, ad esempio, dal 1522 al 1529 il cancelliere Gattinara era solito accompagnare il re e aiutare in materia di politica estera, Francisco de los Cobos tenne il governo per un ventennio dopo il 1526, dopo la rivolta l'impero era formato da domini ereditari asburgici, borgognoni e spagnoli ed ogni dominio era un'entità a se stante. Bisogna sottolineare l'importanza di Gattinara che nel 1522/1524 riforma il Consiglio castigliano creando il Consiglio delle Finanze e quello delle Indie in Navarra visto che una grande preoccupazione di Gattinara fu proprio il settore coloniale, il consiglio era perfetto per un impero così sparso con un re assente. I consigli erano principalmente su questioni generali e su questioni territoriali. I principali consigli primi della riforma erano il Consejo de Estado e il Consiglio di Guerra. Il Consiglio della Castiglia, seppur ridimensionato dalle ultimi anni del '500 i raccolti furono cattivi o pessimi e a questo si aggiunge carestia e la peste del 1600. Non solo, ci fu una fase di immobilismo demografico che apre un periodo di scetticismo, di cinismo, dei picaros che vogliono "mangiare senza lavorare". In questo periodo nasce il Don Quijote. TEATRO. El teatro espanol de los Siglos de Oro fue una de las ramas mas vitales y gloriosas del teatro europeo de los siglos XVI y XVII. Las primeras obras teatrales que podemos considerar incluidas en los Siglos de Oro se escribieron en Castilla hacia el 1492. Durante los reinados de Carlos V y de su hijo Felipe II los dramaturgos fueron adquiriendo gradualmente nuevas tecnicas y tematicas. Nacen asi la comedia y el auto sacramental. Los autos son una forma de drama religioso que caracteriza el teatro espanol del siglo XVI y tratan de los temas de la Cristianidad, como la vida de Cristo o la vida de Santos. Estaban relacionados con la festividad de Corpus Christi y se hacian sobre unos carros, delante de un escenario principal. Desde 1649 Calderon fue el unico autor de autos. La principal obra es "El gran teatro del mundo" que presenta una alegoria de la historia del hombre y de la creacion. Existe una version de auto de "La vida es sueno" tambien del 1673. Hay tambien los entremeses que son obras teatrales cortas que se entrelazan con la comedia y solitamente son de caracter comico o burlesco. Tienen como antecedentes los pasos de Lope de Rueda. El teatro llegò a su maximo esplendor durante los reinados de Felipe III y Felipe IV. Durante el sombrio reinado de Carlos II (1665-1700) la produccion dramatica fue mucho menor, sobre todo despues de la muerte del gran Calderon en 1681. La mayor parte de los autores espanoles escribia para un publico que abarcaba toda la escala social. Desde mediados del siglo XVI, las companias de comicos ambulantes iban de ciudad en ciudad y de pueblo en pueblo. Madrid se convirtiò en el principal centro teatral de Espana. La larga tradicion de espectacutlos costosos en las cortes de los reyes culmino en la construccion del mas completo de los teatros espanoles, el Coliseo Italiano del palacio del Buen Retiro. De este modo, el teatro de los Siglos de Oro tendia a ofrecer alicientes para toda clase de publicos. En su periodo de madurez, el teatro espanol estaba mas cerca del teatro ingles que del frances. El aspecto mas visible en el que el teatro espanol se distingue de los otros grandes teatros nacionales del siglo XVII es su rico sistema polimetrico, perfeccionado por Lope de Vega. Dentro de la misma obra se emplean diferentes metros y estrofas para expresar distintos tipos de escenas, situaciones o emociones de tono en obras que podian ser comedias, tragedias o una mezcla. Espana produjo en este periodo muchas obras de caracter religioso y profano que tenian gran altura intelectual, belleza poetica u que eran profundamente emotivas. DE LOPE DE RUEDA A CERVANTES. La seconda parte del XVI secolo è di enorme importanza per lo sviluppo della commedia e dell'atto sacramentale. I cambiementi sociali influirono su questo sviluppo. Sull’evoluzione e le caratteristiche della commedia influì per gran parte la sistematica commercializzazione del teatro profano, con lo stabilimento di teatri fissi. Una figura importante fu quella del drammaturgo Lope de Rueda. Con la sua compagnia percorse tutto il paese fino alla sua morte, lavorando nei palazzi della nobiltà ma anche nelle piazze. Quattro sue commedie e due opere pastorali, furono pubblicate nel 1567. Attraverso le sue opere pervenute, è possibile dedurre che Lope de Rueda avesse letto opere drammatiche e novelle brevi italiane. Rueda fu uno scrittore di dialoghi coloristi e creatore di vivaci personaggi comici. Alcuni dei migliori frammenti delle sue opere sono le scene comiche o ‘pasos’ frammenti drammatici corti e divertenti nei quali interviene un ridotto numero di personaggi comici di bassa condizione. Queste scene venivano intercalate, non sempre in maniera opportuna, all’interno di eventi più gravi. Questi ‘pasos’, nell’evoluzione della commedia nel secolo d’oro, furono gli antecedenti non solo degli intrighi secondari a carattere comico, ma anche degli ‘entremeses’. Per quanto riguarda il teatro religioso spagnolo di metà XVI secolo, toccò una vasta gamma di temi che poi verrano sviluppati ulteriormente nel secolo successivo. Anche il teatro scolastico conobbe una ricca fioritura nel XVI secolo. Durante la prima metà del secolo, le opere rappresentate nelle università erano scritte in latino con il passare del tempo vi penetrarono frammenti e scene in castigliano fino, in alcuni casi, a ricoprire l’intero testo. Questo teatro scolastico contribuì alla formazione della ‘nuova commedia’ e dell’atto sacramentale. Le compagnie di comici ambulanti, come quella di Lope de Rueda, continuarono a lavorare per tutta la fine del XVI secolo e nel secolo successivo. Queste compagnie, chiamate ‘compagnie della lingua’, ebbero un’immensa importanza per la diffusione del teatro. Il pubblico aumentava di numero anche nelle città di provincia. Tra il 1564 e il 1635 (anno di morte di Lope de Vega), si fondarono i teatri municipali, i corrales. CERVANTES. Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616) era hijo de un oscuro cirujano. Marchó a Italia en 1569, fue soldado y combatió en Lepanto (1571) donde resultó herido, perdiendo el uso de su mano izquierda. Los corsarios le capturaron en 1575 y fue rescatado 5 años más tarde después de varios intentos de fuga. Le nombraron comisario encargado de comprar y requisar provisiones para la Armada. Estuvo en servicios similares del gobierno durante algunos años. Fue encarcelado varias veces. Se casó en 1584. Cervantes había empezado a escribir estando aún cautivo en Argel, donde compuso obras de teatro para divertir a sus compañeros de cautiverio, y algunos poemas. A su regreso a España escribió piezas teatrales. Continuó publicando poesía, la mayoría de sus poemas son elogios de libros de otros autores. Es evidente que Cervantes era un hombre muy culto, pero fue también un hombre de acción citado por su valor en Lepanto. Su primer libro fue una novela pastoril "La Galatea" de la que prometió una segunda parte en el prólogo de Don Quijote, parte II, y repitió la promesa en la dedicatoria de "Persiles", cuando estaba ya en su lecho de muerte. Para él uno de los atractivos de la novela pastoril consistía probablemente en la oportunidad que ofrecía para intercalar numerosas narraciones cortas dentro de su maleable forma. Fue el primero en demostrar un interés serio y sostenido por la “novella italiana” como forma, y quien la estableció como género floreciente en España. Aunque sus novelas no fueron publicadas hasta 1613, algunas de ellas se escribieron antes. Hay novelas intercaladas en el Quijote y se ha sugerido que el mismo iba a ser una novela corta: ciertamente la primera salida del caballero, que ocupa los cinco capítulos iniciales, constituye una unidad por sí misma. El entretenimiento es una necesidad en la vida, pero debe ser moral; y Cervantes afirma que antes que publicar novelas que hubiesen de sugerir malos pensamientos o deseos se cortaría la mano que las escribió. Son doce novelas. Todas las novelas se refieren en cierto modo al bien y al mal, la mayoría de ellas al amor, o por lo menos a las relaciones sexuales. Son ejemplares en tanto que muestran ejemplos que evitar o imitar, pero no en todas ellas la moraleja queda bien explicita. Las novelas muestran la preocupación de Cervantes por la verosimilitud. El estilo es elegante, variado – ya sencillo, ya retórico – solemne o humorístico según pedía el relato. Nueve de las novelas tratan del amor o parodias del amor. Tres describen el amor perfecto (es: La Gitanilla). Algunos temas principales del libro: el amor no es temporal y su final apropiado es el matrimonio, es incompatible con los celos y la virtud se preservará de la corrupción de los ambientes menos propicios si está presente la voluntad de ser virtuoso. La fuente de las ideas morales de Cervantes son las enseñanzas del cristianismo, junto con los tratados neoplatónicos sobre el amor. Algunos ejemplos son: "La ilustre fregona", "La espanola inglesa", "El amante liberal", "La fuerza de la sangre". "Rinconete y Cortadillo" es una de la más entretenidas y hábilmente didáctica de estas novelas. Es probable que refleje las observaciones de Cervantes durante una de sus muchas estancias en Sevilla. La novela es más una exposición de la anarquía en Sevilla. Posiblemente Cervantes quería que viéramos la hermandad de criminales como la imagen de la sociedad respetable en un espejo deformante. Quizá la sátira se refiere a una sociedad que sólo vivía de acuerdo con formas externas, una sociedad en la que la sombra del honor, la devoción y el trabajo se confunde con la substancia. Cervantes ejerció una influencia mayor sobre la literatura española con sus "Novelas ejemplares", que naturalizaron la novella italiana en España. Lope de Vega puso mano en esta forma y escribió cuatro novelas. DON QUIJOTE. El Quijote fue publicado en 1605 y es considerado la primera novela realista moderna. Don Quijote ha dado lugar a varias interpretaciones, aunque Cervantes expusiera sus intenciones en términos inequívocos en el prólogo a la parte I, donde su amigo dice del libro que “todo él es una invectiva contra los libros de caballería” y lo afirma de nuevo al final de la parte II. La obra, pues, es una burla a los libros de caballería que es para Cervantes una literatura de mentiras, y absurdas además desde un punto de vista estético. Don Quijote se vuelve loco a causa de su pasión por los libros de caballería, lo que le llevará a trasmutar todo en términos caballerescos. Toma por modelo el Amadís, pero el libro contiene alusiones a otras novelas. Dos cosas son evidentes para un lector del Quijote: que Cervantes había leído muchos libros de caballería, y que el humor de Don Quijote depende en mucho de un conocimiento de estos libros. En los siglos XVII y XVIII fue sólo considerado como una obra maestra de la comicidad. Es probable que tomara algunas de sus ideas del "Examen de ingenios" (1575) del doctor Juan Huarte de San Juan quien explicaba la variedad de la psicología humana ateniéndose a la teoría de los humores. Se creía que el mundo estaba compuesto de cuatro elementos – tierra, aire, fuego, agua – que tenían sus contrapartidas en los humores constituyentes del cuerpo humano: melancolía, sangre, bilis y flema. En efecto todos los hombres pueden estar locos, pero los menos locos son con frecuencia aquellos de quienes se burla el mundo. La mezcla de enajenación y cordura de Don Quijote deja de ser contradictoria y adquiere un profundo sentido. Es divertido cuando se engaña a si mismo y es engañado por otros; pero hay momentos en que los en apariencia cuerdo están más locos que él. Cuando es burlado por otros la risa resulta incómoda, ya que es evidente que alcanza mayor estatura moral que sus burladores. Sin duda alguna, Cervantes quiere que tomemos en serie muchos de los discursos de Don Quijote – sobre la Edad de Oro del hombre, sobre las Armas y las Letras. Las “espontáneas” locuras de Don Quijote en la parte I no eran fácilmente repetibles; Cervantes puede haber intentado encontrar una fórmula que le ayudase a inventar. Una serie de bromas puede haber parecido la solución más fecunda. Joaquín Casalduero ve en la persona de Don Quijote una evocación más que seminostàlgica, aunque irónica, del pasado heroico. Las dos partes de Don Quijote alcanzaron un gran éxito entre los lectores, y se publicaron numerosas ediciones, seguidas pronto por las traducciones. Porque Cervantes había creado la obra de entretenimiento más ingeniosamente variada de las literaturas modernas, un modelo para la futura novela europea. En el prologo Cervantes se declara "padrastro y no padre", es decir, nos dice que es el que curò la obra, pero no quien la escribiò. En los primeros ocho capitulos hay un narrados neutro que nos dice haber encontrado noticias sobre su personaje en los archivios de la Mancha, es decir que las fuentes del Quijote son varias. Cervantes utiliza este expediente y, al final del capitulo 8 interrumpe la narracion dejnado la aventura del vizcaino cortada, y distingue entre el autor de esta historia y el segundo autor de la obra. El narrador hable de un segundo autor y abre un parentesis metaliterario. Es asi que aparece Cide Hamete Benengeli. El narrador nos dice que estaba en Alcana de Toledo y ve un muchacho que esta vendiendo cartapacios y papeles viejos. El titulo dice "Historia de Don Quijote de la Mancha, escrita por Cide Hamete Benengeli, historiador arabigo". Cervantes crea un autor ficticio y le atribuye la autoria de la obra. Cide Hamete es entonces el autor ficticio del Quijote, aunque el narrador le llama "moro mentiroso". Es una parodia de los libros de caballeria, cuyos autores utilizaban el artificio del manuscrito encontrado y traducido para justificar sus narraciones. En los capitulos 39/41 aparece la novela del cautivo. Es la novela mas autobiografica entre todas porque se refiere al periodo cautiverio de Cervantes en Argel. El cautivo nos dice que participa a la batalla de Lepanto y que despues queda cautivo en Argelo bajo el Uchali. El mismo Cervantes pariticipiò a esta batalla en 1571. Un elemento fundamental que Cervantes desarrolla en el Quijote es el perspectivismo, o sea las diferentes maneras de ver las cosas segun quien las esta mirando. Un ejemplo es el episodio del yelmo de Mambrino. Don Quijote se lanza en una batalla con un barbero porque intenta quitarle lo que a el parece yelmo, mientras a Sancho le parece bacia de barbero. Al final el yelmo volvera y Sancho acunara la expresion "baciyelmo", la sintesis del perspectivismo. Lo que a un personajes parece una cosa, a otro personjae parece otra. Todas las aventuras se desarrollan de la misma manera, presentan un esquema fijo. Hay una estructura triadica: un dialogo que explicita lo que cada uno de los personajes ve o entiende por real, luego un personaje pasa a la accion y un dialogo final donde cada uno comenta los acontecimientos basandose sobre su proprio opinion. El autor no da razon ni a uno ni a otro. Molto importante è anche il principio di verosimiglianza dell'opera, i fatti raccontati non devono risultare inventati. Per far ciò si serve di un narrador-testigo che si pone come testimone dei fatti narrati. La lezione cervantina sarà ripresa da Galdos che si pone come il padre del realismo moderno. Nei suoi romanzi riflette a fondo sulla nuova società grande poesía del siglo XVII de Europa. Dos temas destacan en su poesía: lo efímero y lo mudable en los asuntos humanos, y la permanencia y belleza de la naturaleza, aspectos que además están íntimamente relacionados. Los temas de la Corte y el campo son reunidos en el romance “En un pastoral albergue” (1602) que vuelve a contar un episodio de Ariosto. El objetivo del poeta no es el amor en sí, sino la locura de inútiles y destructores ideales, se muestra en la letrilla “Ándeme yo caliente” (1581). Permaneció fiel a su visión de la vida que sólo encontraba valor en lo natural y en lo humilde, y que se mofaba de la presunción y de lo inútil de lo heroico. La suprema expresión de esta visión está en las "Soledades". El poema está escrito en silvas (una disposición estrófica irregular de versos de siete y once silabas), aunque fuera mejor decir que todo él es una sola silva extensísima. En la primera Soledad un joven noble, herido de amor y náufrago, va peregrinando por el campo y asiste a una boda rustica; en la segunda, reside brevemente con un viejo pescador y su familia, antes de reemprender su camino. Sin embargo, trata más del espectáculo de la riqueza, inocencia y permanencia de la naturaleza, donde el extraviado joven es sólo un elemento en este tema. Góngora pretende que su poema adquiere un contenido esotérico. Abundan las referencias a la música y al ritmo. Parece aludir a la música del universo. En su "Polifemo", como en "Soledades", evoca una poética atmosfera de optimismo en la que la muerte queda absorbida dentro de la invencible armonía del universo. Las obras completas de Góngora no fueron impresas en vida. QUEVEDO. Francisco de Quevedo y Villegas dejó un gran y complejo conjunto de poesías que no es fácil de enfocar. En su estilo, Quevedo es por encima de todo un conceptista. Su poesía, tanto la ligera como la seria, exige una agilidad mental constante por parte del lector. Su estilo epigramático, conciso, está en el polo opuesto de la luminosa sensualidad de Góngora. Aunque se captan ecos de él, Quevedo fue el más severo critico suyo. Cuando en 1631 Quevedo publicó la poesía de fray Luis de León, convirtió la epístola de su dedicatoria a Olivares en un ataque contra los culteranos. La clave de algunas de las contradicciones de Quevedo, y de otro muchos de sus aspectos, puede encontrarse en su estoicismo. Aspiraba, sin conseguirlo, a librarse del apego a las cosas de este mundo como preparación para la muerte. Entonces su lenguaje adquiere un matiz gongorino, pero una clara diferencia de temperamento y de perspectiva separa a los dos hombres. Esto aparece de forma expresiva en la canción tardía “El escarmiento” – uno de los poemas más austeramente impresionantes de Quevedo, en el que se alegra con tono sombrío de haber aprendido a vivir como si estuviera muerto. Uno de sus más memorables poemas es su “Epístola satírica y censoria contra las costumbres presentes de los castellanos” dirigida a Olivares, donde su estilo severo y elíptico expresa de forma perfecta la áspera vida que Quevedo toma como su ideal. A Quevedo le fascina la fealdad que encuentra en la vida. Góngora también podía satirizar y ridiculizar, pero nunca se siente que la vida fuese odiosa para él: para Quevedo todo enseña desengaño, todo expresa la caducidad de las cosas de este mundo. En sus poemas satíricos y burlescos los objetivos son por lo general los fallos y las locuras de la humanidad, incluidos la falsedad y el engaño. No toda su sátira tiene esta base moral: la debilidad humaba y la desgracia atraen su ponzoña por igual. Quevedo escribe dentro de la tradición petrarquista, cuyo vocabulario e imaginería reanima, de manera que sus poemas se expresan con una coz que es claramente la suya. Escribió cierto número de jácaras, romances escritos en jerga de germanía, que fueron famosos en su tiempo. Son característicamente ingeniosos y carecen por completo de contenido moral, expresando tan sólo el placer que se toma al inventarlos. Es evidente también que la mala vida tenía un gran atractivo en y por sí, expuesto de nuevo en el elogio de la picaresca. Durante su vida la poesía de Quevedo sólo circuló en antologías, pliegos y manuscrita. La primera colección de importancia fue publicada bajo el titulo "El Parnaso español" en 1648 por su amigo José Antonio González de Salas. Una colección posterior, "Las tres musas últimas castellanas", fue editada en 1670. LOPE DE VEGA. La commedia spagnola del XVII secolo, fu il risultato finale dell'esperienze tecniche e poetiche effettuate da molti drammaturghi alla fine del XVI secolo. Caratteristiche basiche formali tre atti, variato sistema polimetrico, necessità di includere almeno un personaggio ‘gracioso’ di rilievo, intrigo secondario comico o grave. La figura del ‘gracioso’, criado comico che è, in un certo senso, la parodia umoristica del suo padrone e, in un altro senso, il completo opposto. Queste caratteristiche furono fissate dal lavoro di Lope de Vega, che le impiegò abitualmente. Questa forma di commedia rimase intatta fino al XVIII secolo. Lope Felix de Vega Carpio es uno de los autores mas importante de la literatura espanola. Nacque a Madrid nel 1562 e iniziò a scrivere poesia molto presto e scrisse la sua prima commedia a 12 anni. Studiò in una scuola di gesuiti, nel 1583 si arruolò nella marina come volontario per poi fare ritorno a Madrid per scrivere poesie e teatro. En 1583 alcanzó su primer éxito popular con el romance sobre el moro Gazul que puede referirse a los amores de Lope con Elena Osorio. Nel 1587 venne arrestato con l'accusa di aver scritto e fatto circolare composizioni ingiuriose contro la famiglia dell’attrice Elena Osorio. Per questo, fu condannato ad otto anni di esilio da Madrid e due dal regno di Castiglia. Dopodiché, si arruolò come volontario dell'armata invincibile, sopravvisse alla sua distruzione e tornò in Spagna stabilendosi a Valencia. Nel 1590 rientrò in Castiglia cercando la protezione della famiglia Alba fu nominato segretario del duca visse a Toledo fino al 1595, quando il padre di Elena fece revocare il suo esilio da Madrid. Con il suo ritorno, gli scandali non finirono a Madrid si sposò una seconda volta ma intrattenne una relazione extraconiugale con un’attrice. Nel 1610 la sua vita ebbe una svolta religiosa entrando in un ordine francescano e diventando in seguito sacerdote. La spontaneità e la naturalezza sono le caratteristiche più peculiari dell’autore. No escribe solo teatro, sino tambien poesia, prosa, prosa poetica. Los cambios que hace Lope sobre el teatro espanol del Siglo de Oro tienen influencia en Espana hasta el siglo XVIII y tambien en Europa. El problema textual del teatro espanol del siglo de oro es enorme; en Espana (en Madrid - La Prolope, en Valencia) y tambien en Alemania hay muchas asociaciones universitarias que hacen estudios sobre el teatro de Lope. El estudio del teatro es una cosa moderna; el primero en darse cuenta di esta actividad fue el mismo Lope. Lope ha estado siempre al servicio de un senor, un mecenas (como todos los escritores mas famosos de la historia). Ha tenido muchos senores; escribia obras de teatro para los corrales (representaciones en la calle...). Se va como voluntario en una espedicion en las Azores, en mar africano, y vuelve a casa sin problemas. Escribe la Arcadia y la publica en 1598; esta novela pastoril esta llena de verso y de prosa. Lo interesante es que introduce personajes de su vida; Belarso (personaje) es el miso Lope que entra en la obra. Ademas de la Arcadia publica la Dragontea, el protagonista es Sir Francis Drake (pirata qua asaltaba las embarcaciones espanolas). Tiene una doble vida en Toledo, en dos casas con dos mujeres. Lope no escribe solo para los nobles, sino para todos, incluido el vulgo (pueblo). El de Lope es un teatro de accion, su obra solo tiene una trama primaria y una segundaria. El sentido comun es importante para escribir algo que tega suceso con el publico, que sea interesante. Habla de dividir la accion en tres actos: protasis (antecedente), epitasis (nodo), catastrofe (desenlace (y en este es muy clasico); ademas, su objetivo es mantener la suspence. La verosimilitud es fundamental. En 1609 escribe El Arte nuevo de hacer comedia, que es una especie de discurso en verso dirigido a un grupo de academicos. Esta escrito con una forma metrica que imita la forma italiana de un marinista barroco: consiste en hacer una silva (selva = serie di 8 endecasillabi senza rima + un distico finale con rima baciata, che racchiude il senso di tutta la strofa). Molte commedie appartengono al genere amoroso chiamato ‘de capa y espada’ commedie nelle quali i personaggi sono solo cavalieri e ciò che succede sono duelli, gelosie, conquiste della dama. Soprattutto durante la prima fase della sua carriera, Lope scrisse anche opere amorose seguendo la moda pastorale o quella cavalleresca. Nel secoli d’oro, la bibbia era una fonte storica e Lope scrisse molte opere su temi biblici o vite di santi, che furono molto popolari. Secondo i moralisti, queste opere erano altamente scandalose poiché spesso venivano rappresentate da attori professionisti con una vita non proprio esemplare. Lope, come molti altri drammaturghi, scriveva queste opere poiché le consideravano strumenti per istruire alla dottrina cristiana. Le commedie bibliche di Lope abbracciano anch'esse una vasta gamma di temi. Una fortissima fonte di ispirazione per Lope fu la storia. Lope morì nel 1635, i suoi funerali durarono nove giorni, durante i quali la nobiltà e il popolo riempirono le strade di Madrid per rendergli omaggio. ARTE NUEVO. Lope de Vega ha realizzato quello che per molti è considerato il primo manifesto del teatro moderno. Sulla fine della prima decade del sec. XVII Lope si trova ad essere considerato sommo poeta teatrale. La "comedia" è il genere di intrattenimento per eccellenza. All'inizio della diffusione editoriale il testo stampato si propone come sostituto del testo spettacolo e altre persone sfruttano le opere di Lope ristampandole e traendone così profitto. Per pubblicare le proprie commedie il "Fenix" deve ritornare in possesso dei testi. Un esempio fu la causa persa da Lope contro lo stampatore Francisco de Avila. Il tribunale dichiarò che una volta venduti i testi non erano più di proprietà di chi li aveva redatti. Per riappropriarsi dei testi Lope definisce un corpus con le liste contenute nel "Peregrino" 1604, è una specie di rivendicazione ante litteram del diritto d'autore. Dopo di che Lope potrà farsi carico in prima persona della stampa delle sue parti, dalla Nona alla Ventesima. Un posto di rilievo spetta alla stesura dell'"Arte nuevo" pubblicato nelle "Rimas" nel 1609. Escrito en 389 versos endecasilabos libres, dirigido a la Real Academia. Puede dividirse en tres partes, la primera prologal, la segunda doctrinal y la tercera epilogial. La primera y la tercera estan hechas sobre el principio de captatio benevolentia, es decir que intenta ganarse el favor de los oyentes. La segunda parte es la parte fundamental porque explica las caracteristicas de la comedia nueva que cada autor tiene que seguir. Il pubblico di Lope è quello dei corrales, che era un pubblico vario. Il trattatello unisce alla conoscenza delle poetiche classiche una loro disinvolta messa in non cale, sposa la parafrasi di Robortello a gloriose dichiarazioni di novità e assunzioni di responsabilità, calando il tutto nella disciplina del verso, con impennate fulminee, con salti logici e anacoluti, a vantaggio dell'incisività se non della chiarezza, mentre le rime baciate danno rilievo ai momenti cui l'autore attribuisce una particolare importanza. Il primo interesse che il testo ci offre è la definizione stessa del suo oggetto, della "commedia" aurea. Lope qualifica il teatro dell'epoca come "monstruo comico", "quimera", "Minotauro". Si può dire che ogni autore di un certo peso scrivesse per il teatro. Si può discutere se le commedie di Lope arrivino alle 1800 o alle 1400, di fatto ce ne restano quasi 500. Dunque, nella sua lunga carriera drammatica, che può considerarsi iniziata nell’ultima decade del XVI secolo e finita poco prima della sua morte, Lope compose un numero sorprendentemente elevato di opere. Si tratta principalmente di testi difficilmente reperibili, inquinati da una serie di problemi di paternità e di datazione. Si tratta per Lope di una diegesi svolta in tre atti. Il concetto di diegesi viene ripetuto tre volte nell'"Arte nuevo". L'unione di comico e di tragico si teorizza in versi celeberrimi. Si parla di rottura dell'unità di tempo passando poi ai gusti del pubblico e scatti di impazienza per i dotti e i trattatisti. Lope e i suoi contemporanei sanno, hanno letto Aristotele, Robortello, Guarini, i commentatori italiani, ma sanno anche di voler qualcosa di diverso. Tutti i primi 156 versi dell'"Arte nuevo" sono una continua excusatio non petita che contrappone i precetti dell'arte all'uso, il giusto delle antiche precettistiche al gusto del pubblico (giusto-gusto ripetuto tre volte). I distici sono inseriti in momenti chiave con progressiva consapevolezza. Il momento chiave di questa consapevolezza e di questo rapporto di amore-odio con il destinatario risiede nei due passaggi dedicati alla suspense (vv. 231-239, 298-304). Gli argomenti potranno essere tratti da ogni repertorio: storie antiche, medievali, narrativa italiana; argomenti che dovranno essere, sì, riproposti ma attualizzati. Poi parla dell'influenza di Lope de Rueda. Un'altra riflessione importante riguarda la definizione del linguaggio della commedia. Si ha a tale proposito un'invettiva contro il gongorismo a favore di un linguaggio funzionale con ampi spazi, è un discorso tutt'altro che purista. Il metro crea un sistema di attese, in cui si incanalano le figure di posizione. Tuttavia, a tanta invenzione a livello di taxis e di lexis fa riscontro una chiusura per quanto riguarda il codice ideologico. Il potere non potrà mai essere messo in discussione. Nell'"Arte" si ha anche due momenti densi di consapevolezza politica, ad esempio il primo che è collegato alla stigmatizzazione della caduta della commedia in Spagna. La commedia parla a tutti e tutti ne possono trarre qualcosa. Lo stesso concetto viene messo in scena in "Ay verdades que en amor". Lope continuerà a insistere sulle regole e sul nuovo assetto della commedia in ogni prologo alle sue Parti e in molte delle sue commedie. Un esempio è "Lo fingido verdadero" dove si ha la presa in giro delle lungaggini di certi commediografi che partoriscono una commedia in nove mesi mentre Lope può farlo in pochi giorni. Secondo Lope, il commediografo deve adeguare "i detti" al personaggio secondo il principio del verosimile, della naturalezza degli affetti. L'attore deve perseguire un'imitazione naturale come suggerisce Lopez Pinciano nella sua summa teorica "Philosophia antigua poetica". La verosimiglianza è sempre messa in crisi dalla rottura dell'illusione scenica ad esempio con il coinvolgimento del pubblico. hanno dato conferma ai sospetti di Don Rodrigo che rivela a Don Fernando quanto egli sia deciso ad ucciderlo poiché pensa che per colpa sua Inés lo disprezzi. Fabia entra in scena offrendosi come maestra della fanciulla davanti agli occhi di Don Pedro. La fattucchiera comunica che il matrimonio “con Dio” dovrà avvenire ad Olmedo. Arriva il turno di Tello che si presenta a tutti col nome di Martín Peláez e si offre anch’egli come maestro di latino per Inés. Tutti si presentano, chi per la prima volta e chi per la seconda, e Don Pedro vuole iniziare a pagare i due maestri che sfoggiano fin da subito le loro false arti. Uscito il padre, Tello e Fabia si rivelano anche a Leonor e consegnano una lettera a Inés: Alonso si sta preparando per la festa della Cruz de Mayo che si terrà a Medina. Quest’evento, per Don Alonso, è sia occasione di aumentare la propria fama poiché parteciperà il re Don Juan in persona ed è un’altra buona occasione per vedere la sua amata. Anche Don Pedro deciderà di partecipare alla festa con le sue figlie. La scena si sposta ora ad Olmedo. A casa sua, Alonso sta leggendo una lettera di Inés, e di tanto in tanto interrompe la lettura per farsi parlare di lei da Tello che in seguito gli consegna una sciarpa dell’amata. Infine, Alonso racconta a Tello dell’incubo fatto quella notte e della sua visione dell’uccisione di un cardellino: presagio angoscioso di morte. Nonostante ciò, è comunque risoluto a presentarsi alla festa della Cruz de Mayo. Il terzo atto inizia con Rodrigo che si lamenta con Fernando del fatto che Alonso non solo gli ruba l’amore di Inés ma con il suo valore oscura tutti i cavalieri di Medina. Durante la corrida, Don Alonso infatti si mette in luce come miglior fantino, e Don Rodrigo incapace di sopportare tutti gli elogi che il pubblico gli indirizza e gli sguardi che Inés gli dirige , decide di partecipare nella contesa taurina. Rodrigo si mette all'opera e cade dal cavallo dopo lo scontro con un toro e Alonso gli salva la vita. Rodrigo va ancor di più su tutte le furie per dover la vita all'uomo del quale è geloso e invidioso. Il gesto di Alonso è apprezzato da tutti, anche dal re. Don Alonso, ormai ammirato anche dal padre di Inés, alla fine della festa, la va a salutare segretamente prima di tornare dai genitori e le confida anche i suoi timori e le sue angosce per i presagi di morte. Dopo la conversazione, sulla strada di ritorno verso Olmedo, vede un'Ombra, che si identifica col suo stesso nome. Egli si spaventa, ma non da eccessiva importanza all'accaduto, pensando sia qualche conseguenza delle stregonerie della mezzana; sicuramente non poteva esserci lo zampino di Don Rodrigo poiché gli aveva appena salvato la vita e perciò prosegue, convincendosi (erroneamente) che questi non doveva avercela più con lui ormai. Quasi arrivato a casa sente una canzone che presagisce la morte del caballero de Olmedo. Scampato il temuto pericolo, poco più avanti, vede avvicinarsi dei cavalieri che riconosce immediatamente: si tratta di Rodrigo, Fernando e il suo domestico Mendo, di ritorno a Medina. Alonso, avendoli riconosciuti, si tranquillizza pensando che non gli avrebbero fatto nulla. Contro ogni pronostico, sotto ordine di Don Rodrigo, Mendo lo spara e uccide e i tre fuggono verso Medina. Tello, di ritorno ad Olmedo, incontra Alonso che, in fin di vita, gli chiede di essere riportato dai suoi genitori. Nel frattempo, a Medina, Leonor racconta la verità al padre di Inés che acconsente così alla figlia di sposare il suo amato. Tello, dopo aver consegnato le spoglie del padrone ai genitori, torna a casa di Inés per informare tutti di quanto accaduto, ma trova Don Rodrigo e Don Fernando che stavano andando a chiedere le mani di, rispettivamente, Doña Inés e Doña Leonor, anche se Don Pedro fa presente che era già stato convinto a far sposare Inés con Don Alonso.Anche il re era a casa di Don Pietro perché voleva maritare Rodrigo e Fernando con le donne ma una volta ascoltate le tristi notizie di Tello che accusavano i due cavalieri, il re decide di condannarli a morte. TIRSO DE MOLINA. Grande discepolo di Lope de Vega. Fray Gabriel Tellez era un frate, ricevette una solida formazione teologica e fu responsabile di incarichi importanti. Per le sue commedie, giudicate da una giunta come profane e di cattivo esempio, venne minacciato di essere esiliato. Alcune opere religiose di Tirso si trovano nel "Deleitar aprovechando", una collezione di opere strettamente religiose, di storie di pietà con tre atti sacramentali e poesia devota, pubblicata a Madrid nel 1634. Tirso fu un poeta lirico e drammatico di grande sensibilità, con uno stile simile a quello di Lope de Vega. Alcuni critici, attenendosi ai canoni di realismo e naturalismo, lo hanno considerato come il miglior drammaturgo spagnolo dei secoli d’oro. Di fatto, egli fu uno dei tre autori drammatici più importanti di Spagna, insieme a Lope e Calderón. Le sue opere sono un ponte tra la ‘nuova commedia’ e il dramma di Calderón. Nella sua tecnica drammatica, Tirso tende a costruire i suoi intrighi sottolineando la strutture dell’opera e combinando l’intrigo principale con quello secondario. Tirso è conosciuto soprattutto per la sua opera ‘El Burlador de Sevilla’ nonostante molte critici siano dubbiosi circa la sua autorialità. EL BURLADOR DE SEVILLA Y CONVIDADO DE PIEDRA. El protagonista de la obra, Don Juan Tenorio, es un seducor e un giovane dell'aristocrazia sevillana. L'opera inizia in medias res nel palazzo reale di Napoli dove Don Juan Tenoria passa la notte con Isabela, ingannandola facendole credere di essere il suo fidanzato sfruttando il buio della stanza. Il fatto che l'opera inizi in medias res ci fa capire che Isabela non è la prima vittima del don Giovanni. Isabela, accendendo le luci, riconosce Don Juan e inizia a gridare facendolo scappare e fuggire. Lo zio di Don Juan è rassegnato per il fatto lui si ostini a fare certe cose e decide di coprire il nipote incriminando il fidanzato di Isabela, Duca Octavio, che viene di conseguenza arrestato. Don Juan decide dunque di fuggire da Napoli e si ha un cambio di scena che ci porta in Spagna, nei pressi di Terragona. Sulla costa si trova Tisbea che si innamora di Juan diventando così la sua prossima vittima. Per sedurre Tisbea sfrutta le sue origini nobili promettendole dei favori. Ecco che si ha un altro cambio di scena. Ci si sposta al palazzo reale di Siviglia dove avviene l'incontro tra il Re Alfonso XIV e Don Gonzalo de Uloa. Gonzalo è di ritorno da una missione in Lisbona e come ringraziamento, il re, promette a sua figlia la mano di Don Juan. Il primo atto termina con Don Juan che fugge nuovamente, questa volte dal villaggio di pescatori in cui aveva passato la notte con Tisbea, che, disperata ed arrabbiata, decide di suicidarsi. Il secondo atto inizia nel palazzo di Siviglia dove il padre di Don Juan racconta al re le malefatte del figlio. Come punizione Don Juan viene esilitato per riflettere sui propri errori e si decide anche che non sarà più lui a sposare Dona Ana, la figlia di Gonzalo, ma che al suo posto ci sarà Duca Octavio. Si passa all'incontro tra Don Juan e il Marques de la Mota, anch'esso solito ad ingannare le donne, che gli confida di essere innamorato di Dona Ana e che sta aspettando il suo messaggio per vederla nella sua stanza di notte. Il messaggio viene intercettato da Don Juan che decide di andare al posto del Marques. Dona Ana capisce che non si tratta del Marques e inizia a gridare, stessa scena di prima. Allora interviene il padre Don Gonzalo che, a seguito di uno scontro, viene ucciso da Don Juan. Nel terzo atto, Don Juan si ritrova nuovamente a dover fuggire con il suo gracios Catalinon, questa volta si rifugiano in una chiesa. All'interno della chiesa si trova una tomba con sopra una statua raffigurante Don Gonzalo. Don Juan ci si avvicina e tira la barba della statua. La statua si anima e dice a Don Juan di aspettarlo perché un giorno sarebbe andata a cena da lui. Don Juan accetta e durante la cena la statua invita a sua volta Don Juan a cena da lei. Quest'altra cena risulterà fatale perchè nel momento in cui Don Gonzalo prende la mano di Don Juan, il giovane muore e viene condannato agli inferi, il tutto sotto gli occhi di Catalinon. L'opera si conclude con tutti i personaggi che si recano presso il re per chiedere giustizia per tutti gli inganni subiti. A questo punto arriva Catalinon che racconta la morte di Don Juan. La statua rappresenta l'intervento della giustizia divina. Durante toda la obra don Juan seduce diferentes mujeres, la duquesa Isabela, la pescadore Tisbea, la labradora Aminta, dona Ana de Ulloa. Tisbea è un personaggio interessante, equivalente femminile di Don Juan. Prima di innamorarsi si vantava di non essere soggetta al potere dell’amore e di essere libera. Todas las seducciones presentan el mismo esquema narrativo: don Juan se burla de ellas fingiendo ser otro, se le entregan, luego le descubren y el huye. La seduccion ocurre siempre gracias a una falsa promesa de matrimonio que don Juan hace a sus victimas. El burlador no fue la primera obra que se escribiò sobre el mito de Don Juan. Se imprimiò en el siglo XVII como obra de Tirso de Molina, pero no figura en ninguno de los libros que el mismo publicò. En el curso del mismo siglo se imprimiò otra obra titulada "Tan largo me lo fiais" atribuida a Calderon que es otra version del mismo tema del Burlador. Se llegò a la conclusion que las dos serian dos versiones de un original que se habia perdido, debido a la corrupcion de los textos en muchos aspectos. Si tratta di una leggenda sivigliano che ha ispirato numerosi autori come Moliere, Antonio de Zamora, Carlo Goldoni, Lord Byron e molti altri. Il Don Juan non è una figura degna di ammirazione e Tirso non lo presenta al suo pubblico come ‘attraente’, non è un personaggio valoroso. Il Don Juan attraente della tradizione letteraria probabilmente non nacque prima del XVIII secolo. "El burlador" è in sostanza un'opera religiosa il cui messaggio è un invito al pentimento immediato. Il Don Giovanni in questione è un libertino che crede nella giustizia divina ma che confida nel potersi pentire ed essere perdonato prima di comparire di fronte a Dio. Gran parte delle tensioni dell’opera deriva dagli scontri tra don Juan, il distruttore, e le forze che difendono l’ordine e l’armonia. "El Burlador" è un dramma nel quale l’edificio della società umana si mostra debole. Don Juan non disonora le donne mosso da un semplice desiderio carnale, ma per il piacere di disonorare e l’onore era una delle grandi forze coesive della società. Don Juan, nell’opera, è un’immagine del diavolo e l’opera appare tutta circondata da un simbolismo diabolico, il peccato in questo caso è di superbia perché crede di avere a disposizione un tempo infinito per chiedere perdono, tempo infinito che in realtà è riservato solo a Dio e non a un comune mortale come Don Juan. Attravreso la negazione della confessione in punto di morte, Tirso de Molino ci vuole far capire che l'uomo non ha tutto il tempo che desidera per riconoscere i propri peccati e che la dimensione in cui si muove è finita. La versione di Tirso de Molina presenta dunque moltissime novità ed innovazioni con riflessioni di natura teologica ed esistenziale, ma innovazioni anche dal punto di vista strutturale. Il tema del tempo è importante. Si ha una narrazione caratterizzato dall'uso di tre tempi, il tempo narrativo della peripezia, tempo teatrale dell'inganno, e tempo lento della parola. A quest'opera si può legare "El condenado por desconfiado", sempre di Tirso, che è l'altra faccia della medaglia del burlador. Infatti, nell'opera ci sono due protagonisti che sono l'uno l'esatto opposto dell'altro: Enrique, peccatore incallito che si pente e ottiene la salvezza, e Pablo, uomo per bene che mette in dubbio Dio e viene condannato. L'opera mette in scena la stessa riflessione sul libero arbitrio. Le opere inoltre condividono anche l'ambientazione di Napoli e Siviglia giacché il teatro di Tirso è un teatro urbano. CALDERON DE LA BARCA. Don Pedro Calderon de la Barca nacque a Madrid nel 1600, suo padre lavorava per il governo e sua madre era di famiglia hidalga. Ebbe due fratelli, uno avvocato e uno soldato. Pedro crebbe con l’intenzione di entrare in un ordine ecclesiastico. Ricevette un’eccellente educazione in una scuola gesuita e studiò diritto canonico a Salamanca. A causa di ritardi nei pagamenti fu imprigionato nel carcere dell’Università. Le sue composizioni poetiche iniziarono ad apparire stampate nel 1620 e le sue prime opere drammatiche nel 1623. Fu elogiato da Lope de Vega. Le sue opere più importanti furono scritte nella decade del 1630-40. Le sue prime opere erano destinate ai corrales nonostante venissero rappresentante anche nei palazzi. Calderón fu ammirato anche da Filippo IV che lo nominò cavaliere nel 1637. Durante la rivolta dei catalani nel 1640, Calderón combatte come valoroso cavaliere fino al 1642. Dopodiché risiedette a Toledo e entrò al servizio del duca di Alba. Calderón scrisse più di centoventi commedie e più di settanta atti sacramentali, collaborò con famosi drammaturghi in circa tredici opere. La sua produzione drammatica, nonostante non sia vasta come quella di Lope, ha un considerevole peso. Già dalle sue prime opere, è evidente una notevole abilità tecnica. I suoi studi nel collegio gesuita, senza dubbio gli fornirono una formazione adeguata per ciò di cui aveva bisogno come drammaturgo apprese latino e retorica, lesse moltissimo autori antichi, imparò ad argomentare e definire. Le caratteristiche principali del suo stile probabilmente si formarono nel collegio gesuita: discorsi di grade logica, correlazioni elaborate, lunghe e concettose metafore, immagini retoriche. Un’altra forte influenza derivò dal fatto di frequentare i teatri pubblici lì entrò a contatto con le opere di molti autori, tra cui Góngora, ma anche con opere di Cervantes. L’influenza di Cervantes su Calderón è presente ma non evidente. LA VIDA ES SUENO. "La vida es sueno" scritta nel 1635 e stampata nal 1636 è la sua opera più conosciuta. L'opera fa parte del movimento barroco ed si sviluppa in 3 giorni con 3 atti distinti. Il primo giorno e atto serve per conoscere i protagonisti e i conflitti di Segismundo e Rosaura, il secondo entra nel tema del sogno, mentre il terzo unisce i due e svela il reale problema e antagonista dell'opera. Segismundo di Polonia, figlio del re astrologo Basilio, vive incatenato in una torre come una bestia perché le stelle hanno profetizzato a suo padre che sarebbe stato solo causa di disgrazie. L'opera inizia con un monologo di Rosaura (figlia di Clotaldo, guardia del Re Basilio e tutore del principe Segismundo), accompagnata dal suo scudiero Clarin che funge da contrappunto comico che verrà utilizzato nel corso dell'opera come momento di leggerezza per interrompere la opuestas de la vida y de la verdad, una cerrada y estatica, y otra amplia, abierta y progresista. La novela debe producir la imagen de la vida, es decir todo lo espiritual y fisico que nos constituye y nos rodea. Sus maestros reconocidos fueron Balzac y Dickens. A su nivel de microcosmos social, el mundo de Galdos parece ir completo en comparacion con "La comedie humaine" de Balzac. La primera novela larga de Galdos fue "La fontada de oro" 1870, en esta obra introduce los presupuestos de la novela historica. Su intencion no era reconstruir descriptivamente el pasado distante, sino interpretar el pasado reciente de un modo didactico para descubrir los origenes de los procesos ideologicos, politicos y sociales operantes en la Espana de la epoca. La novela evoce el desigual conflicto entre la minoria del bando liberal en la que se encuentra el heroe Lazaro y el regimen reaccionario de Fernando VII. Es interesante que en la segunda edicion cambiara el final de la novela por unos menos feliz, pero luego volvio al que aparece ahora. Los "Episodios Nacionales" continua explotando sistematicamente el pasado reciente de Espana desde 1807 a la Restauracion. Entre la segunda serie y tercera hay un marcado cambio de perspectiva. Se alza el creciente sentimiento de desengano y pesimismo, desde el quinto episodio "Napoleon en Chamartin" hasta el numero treinta y cuatro "La revolucion de Julio" la conviccion galdosiana de un lento pero inevitable progreso entra en conflicto con su vision mas profunda de una Espana dividida por dos fanatismos opuestos. Los diez primeros episodios exploran el resurgimiento de un ideal espanol nacional y patriotico en la lucha contro Napoleon. En ellos se enfrenta con el problema del equilibrio, entre los hechos y la ficcion, entre las fuerzas ideologicas opuestas, sin sacrificar sus simpatias liberales, y sobre todo entre la narracion y la interpretacion. En la segunda parte el enfasis pasa de la autoafirmacion nacional y patriotica a la lucha consiguiente entre las ideas tradicionales y progresistas. Dispone los episodios de tal modo que formen una cronica de la subida al poder de la clase media. En el momento algido de su carrera creadora interrumpiò los "Episodios" y se dedico a las "Novelas espanolas contemporaneas" y al teatro. En 1876 empezo a publicar por entregas la mas agresiva de sus novelas de la primera epoca, "Dona Perfecta", que fue escrita en dos meses, haciendo que fuera un ataque directo contra la intolerancia y el fanatismo religioso. Durante toda su vida estuvo obsesivamente interesado por la religion. En su critica a la Iglesia catolica atacaba el rigorismo institucional, el dogmatismo, la influencia autoritaria del clero sobre asuntos domesticos y publicos, el espiritu inquisitorial y el mantenimiento del tradicionalismo reaccionario. Trata de la historia de un joven ingeniero de Madrid – Pepe Rey – y de su infructuosa lucha contra Doña Perfecta y sus aliados clericales y reaccionarios en la provincia de Orbajosa. El punto central de la estructura de la obra es el capítulo XIX cuando los dos se enfrentan. Galdós realiza un esfuerzo notable para defender la perspectiva de Perfecta. En las dos obras siguientes – Gloria (1876-77) y La familia de León Roch (1878) – se acentúa también la lucha entre el individuo moralmente superior y un sistema social inmóvil marcado por una cruel intolerancia religiosa. Entre las dos publicó otra obra – Marianela (1878) – su favorita y su unica novela poetica. Con La desheredada (1881) se abre la fase central de la obra de Galdós, a la que se alude con frecuencia como su etapa “naturalista”. Pero, a pesar de que utilizara a veces procedimientos naturalistas, su perspectiva y su personalidad literarias no eran las de un naturalista. Además, hay que recordar su propia afirmación al final de Fortunata y Jacinta, de que el novelista debe convertir “la vulgaridad de la vida” en “materia estética”, sin contentarse con reproducirla fielmente (según el naturalismo). Rasgos de la nueva época de su obra: el abandono de la localización imaginaria de sus novelas y su aparición como el novelista clásico del Madrid del siglo XIX; cambia también su visión de la sociedad que cesa de ser cerrada y jerárquica y se convierte en fluida y cambiante. Las novelas siguientes – El amigo Manso, El doctor Centeno, Tormento (1884), La de Bringas y Lo prohibido – forman un grupo. Los personajes constituyen un comentario simbólico sobre la España de la Restauración. Para conseguir este efecto emplea dos técnicas: la primera es el uso de nombres simbólicos, y la segunda es la de entrelazar cuidadosamente la historia privada de sus personajes con la historia publica de la nación, de modo que permanezca prominente la unión simbólica entre una y otra. "Fortunata y Jacinta" es la novela mas destacada de Galdos. Ambientada a mediados de los años setenta del siglo XIX, se desarrolla como crónica de dos grupos familiares – los Santa Cruz y los Arnaiz están unidos por el matrimonio de Jacinta Arnaiz (representa la clase media, segura y conformista). CLARIN. Se convertí en el crítico literario de cuentos y sobre todo autor de dos obras – La regenta (1884-85) y Su único hijo (1890), que le situaron junto con Galdós y a Pardo Bazán como uno de los grandes novelistas españoles después de 1868. Su critica literaria, como de costumbre, se publicó primero en la prensa y luego fue reunida en tomos. Presenta una definición de su ideal de crítica en el famoso prólogo a “Palique”, en el que dice que “crítica” es juicio, comparación de algo con algo, de hechos con leyes, cópula racional entre términos homogéneos; mientras que “literaria” significa de arte, estética, atenta a la habilidad técnica, a sus reglas. Pero la situación en España le obligó a adoptar un ideal distinto, el de la crítica higiénica y policiaca destructiva y satírica. En su crítica de teatro y poesía percibimos la ausencia de una posición claramente estructurada – sólo sobresale en contraste con la complacencia general. En cuanto a la novela, aparece como el defensor de la conciencia liberal en la ficción y como el exponente más abierto y vanguardista de la moda realista con tendencias naturalistas de la novela después de 1868. Como novelista le falta la creatividad espontanea de Galdos. Formado en una disciplina académica tenía un espíritu más sintético y reflexivo. Escribió solamente una destacada novela larga "La regenta" considerada la obra maestra de la ficción española del siglo XIX. La obra es la historia de una joven provinciana – Ana Ozores – casada con un hombre bondadoso, pero mucho mayor que ella. Dándose cuenta progresiva de su frustración emocional y física, oscila entre su confiero – Fermín de Pas – y Álvaro – el seductor que acaba por triunfar. Lo que interesa al autor es la lucha entablada entre los dos protagonistas masculinos por la posesión física de Ana. La sociedad juega en esta obra un papel novelesco incomparablemente más activo que en cualquier obra de Galdós. La novela se divide en dos partes principales, cada una de quince capítulos, siendo la segunda parte algo más larga y comprendiendo tres años en vez de los tres días descritos en la primera. Los capítulos cortos coinciden con sucesos de particular importancia dramática. Los tres personajes evolucionan en una espiral descendente de degradación. PARDO BAZAN. Única hija de padres pertenecientes a la alta burguesía adquirió en su juventud hábitos de lectura voraz junto con amplios intereses y ambiciones intelectuales. En 1868 se casó y se trasladó a Madrid, resuelta a dedicarse a escribir y estudiar. No publicó su primera novela, "Pascual López", hasta 1879. Mientras tanto, su perspectiva teórica había ido cambiando rápidamente. En 1882, inmediatamente después de la primera traducción de Zola al español, ella desarrolló sus ideas en una serie de artículos "La cuestión palpitante". El volumen causó una tremenda impresión y fue popularmente considerando como el ofensivo manifiesto de una mujer joven, rica y aristocrática en favor de la pornográfica y atea literatura francesa. Su importancia estribaba en cuatro aspectos: el primero es el ataque de la autora contra el idealismo; el segundo aspecto es su exposición y crítica del naturalismo. Hay además un evidente conflicto entre el concepto de determinismo hereditario y ambiental que domina gran parte de la obra de Zola y las creencias religiosas de la autora. Según ella, renacía en el determinismo científico moderno el fatalismo implacable de la edad clásica. Para contrarrestarlo, ella apelaba instintivamente a la doctrina tradicional del libre albedrío. Pero no por eso salvó su ideología de cierta ambigüedad. Mientras ataca a Zola en este terreno, le defiende en el terreno del talento. El tercer aspecto es su defensa del realismo como “una teoría más ancha, completa y perfecta que el naturalismo”. Salió en defensa de la literatura española, cuyo carácter castizo y propio era más realista que otra cosa, y en especial defendió el realismo “a la española” de Galdós y de Pereda. Sus novelas principales son "La tribuna", primer reflejo literario de la auténtica vida de la clase trabajadora urbana, "El cisne de Villamorta", su primer gran éxito popular, "Los pazos de Uloa" y "La madre naturaleza". Cuenta la torva historia de una oligarquía que ha perdido su papel social y retiene solamente sus características negativas. En esta, más que en ninguna obra, muestra su dominio de la técnica dramática en la novela.
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