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Letterature e Storia del 5 anno scuola superiore, Dispense di Italiano

dispensa con tutto il programma di italiano e storia, Personaggi, eventi, correnti letterarie

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 09/07/2023

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Scarica Letterature e Storia del 5 anno scuola superiore e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! PROGRAMMAZIONE DISCIPLINARE DI LETTERATURA ITALIANA V ANNO 1. TIPOLOGIE TESTUALI - Testo argomentativo - Tesi e antitesi - Come fare una mappa concettuale - Come fare un riassunto - Comprensione e analisi di un testo 2. GLI AUTORI DELL’OTTOCENTO - Manzoni - Leopardi - Carducci 3. GLI AUTORI DEL NOVECENTO - Pascoli - D’Annunzio - Svevo - Pirandello - Ungaretti - Montale - Quasimodo I testi di lingua e letteratura italiana G. Verga – Vita dei campi: Rosso Malpelo; Novelle Rusticane: La roba; I Malavoglia: L’addio di ‘Ntoni G. D’Annunzio - Il Piacere: L’attesa dell’amante; Alcyone: La pioggia nel pineto G. Pascoli - Myricae: Lavandare; X Agosto L. Pirandello – Novelle per un anno: Il treno ha fischiato; Novelle: La patente; L’Umorismo: Una vecchia signora imbellettata I. Svevo - La Coscienza di Zeno: L’ultima sigaretta; Lo schiaffo G. Ungaretti – L’Allegria: San Martino del Carso; Veglia; Soldati Sentimento del tempo: Non gridate più S. Quasimodo – Giorno dopo giorno: Alle fronde dei salici LETTERATURA ITALIANA IL ROMANTICISMO Al termine dell’età napoleonica, in Europa iniziò a diffondersi un nuovo movimento culturale e sociale: il Romanticismo.  Il Romanticismo portò un nuovo spiritualismo e soprattutto una nuova sensibilità religiosa. La parola romanticismo deriva da roman e romance, rispettivamente francese antico e spagnolo, che designavano le opere scritte nelle lingue romanze e, successivamente, narrazioni di argomento amoroso. Da un punto di vista filosofico, il Romanticismo si pose come reazione all’Illuminismo: esso rifiutò ogni concezione materialistica della vita. L’uomo romantico, infatti, non era costituito dalla sola ragione ma possedeva facoltà come il sentimento e la fantasia. Ed esse influivano sulla sua vita. Il Romanticismo sorse anche come reazione alle delusioni prodotte dalla Rivoluzione Francese, che era degenerata nel dispotismo e nella violenza. In tutti i campi, il Romanticismo oppose alla razionalità illuminista il sentimento, la religiosità, l’originalità. Questo lo si poteva notare facilmente in campo artistico e letterario.  Anche in politica ci furono molti cambiamenti: nacque il concetto di nazione, ovvero un’unità di ideali, lingua e storia. Di lì a poco si sarebbero avviate, infatti, le guerre per l’indipendenza e quel lungo processo che portò anche l’Italia all’unità, che culminò il 17 marzo 1861. Dal punto di vista della poetica, secondo i romantici l’arte non doveva imitare i classici ma rifiutare tutti i modelli precostituiti, le regole. La realtà oggettiva e soggettiva divenne così l’oggetto di qualsiasi forma di arte. I generi letterari divennero più liberi e meno schematizzati, la lirica in poesia divenne la più utilizzata. Dal Romanticismo nacque così il romanzo, che divenne con gli anni il  genere più diffuso. Le idee romantiche si diffusero soprattutto grazie alla figura di Madame de Staël, che divenne scrittrice e animatrice del dibattito tra Classici e Romantici. Tutti i letterati che operarono all’inizio dell’Ottocento entrarono in contatto col nuovo modo di fare poetica. Si mise in campo l’esigenza di verità, la poesia dialettale ed espressione del proprio mondo soggettivo. Due furono i grandi autori che maggiormente si affermarono in questi anni e risentirono della poetica romantica: Giacomo   Leopardi  e Alessandro   Manzoni . Grazie ad essi si avviò il Romanticismo letterario italiano e, in generale, la letteratura italiana cambiò per sempre. dedicate alla religione cattolica Joni Sacri LE ALESSANDRÒ 1812-22 maggior rappresentante del inticismo italiano MANZONI 1765-1673 tra i più innovativi poeti dell'800 dedicata alle insurrezioni anti-austriache dedicata al nato a Milano nel 1785 nipote di > » Cesare Beccaria TI Cinque maggio) — Napsleone x ) (alla morte) ((in collegio cai 6 ai 16 anni Il Conte di Carmagnola 1816 Due tragedie. Riflessione teorica sul teatro sul genere tragico Adelchi ) - 1822 repporti difficili con il padre —- influenzato dagli Scicori con la madre S ea S'rastenisce a Ò Li mumpei Mi Pari vita N ne (peiicae ) — Gipensed) ZOO \Lopciale / se Romanzo storico dal 1810 SE 1821-1823 pubblicato nel 1627 torna a Milano Pe sposò Enrichetta Blondel n: Soa ha posto le basi Ro per l'italiano moderno che favori il riavvicinamento alla qui i dedica a religione cattolica studio, la storia “soggetti modello 4 scrittura, 1861 della poesia conversione religione, | | norsinato Senatore per" romanzo famiglia | (dopo Unità d'Italia) sentimenti vivi scrisse per da) è | nella volontà storia degli uomini TT Imperscrutabile ( MAPPE pn a SEDOLA gi Dia nella realtà [connessa del suo tempo Interessato agli avvenimenti po e sociali dell'epoca Osservazioni sulla morale cattolica Ti ROMANZO È INTRODOTTO DA ‘RapPoRTO FRA icon phi Babes BEI... seerntimonee GIACOMO LEOPARDI Nasce a Recanati nel 1798, l'ambiente familiare è severo e bigotto, povero di affetto; altrettanto chiuso e provinciale era anche la città di Recanati lontana e isolata rispetto ai fermenti politici e culturali del tempo. Gli anni tra il 1809-1815 sono definiti dal Leopardi stesso:"anni di studio matto e disperatissimo";in questo periodo sudia da autodidatta e impara il greco e il latino, l'ebraico e le lingue moderne; legge gli autori francesi del '700 e inizia a comporre. Questi 7 anni logorano il suo già debole fisico pregiudicandone la salute e al contempo lo rinchiusero nell'isolamento e nella solitudine . Nel 1816 avviene la coversione letteraria e dall'erudizione passa alla Poesia. Legge i poeti greci, i classici italiani e i moderni: Alfieri, Parini , Foscolo. Compone poesie e partecipa al dibattito tra classicisti e romantici. Tra il 1819-1822 vi è la ribellione e la crisi. Leopardi tenta la fuga da Reacanati che però fallisce, trascinandolo in un ulteriore isolamento e portandolo a chiudersi nuovamente nello studio che lo affaticherà fino al punto di procurargli una seria malattia agli occhi. Il viaggio a Roma desterà nel poeta una grande delusione, le aspettative vengono disattese e la grande città appare all'autore chiusa e provinciale quanto Recanati. Tornato a casa e si rimette al lavoro spostando nuovamente i suoi interessi dalla poesia alla riflessione morale. Pur malfermo Leopardi cerca di farsi una vita indipendente e accetta alcune peroposte editoriali, così da staccarsi dalla famiglia a da Recanati:andrà a Milano, a Bologna, a Firenze, a Pisa e infine tornerà a Recanati nel '28 dove resterà per due anni per raggiungere Firenze dove morirà nel 1837. La sua concezione della vita è tipicamente pessimista. Questo dipende dal fatto che il poeta ebbe una formazione culturale illuminista, secondo la quale l'uomo nasce per essere felice, e la felicità è considerata un tutt'uno con il piacere, non inteso soltanto in senso fisico, ma come benessere generale. Se le cose stanno così, però, secondo Leopardi ne deriva che ciascuno di noi vorrebbe che questo benessere fosse infinito ma l'impossibilità di ciò ci rende infelici. Nella sua vita e nelle sue opere si possono distinguere tre fasi PESSIMISMO INDIVIDUALE, PESSIMISMO STORICO E PESSIMISMO COSMICO. La fase adolescenziale della sua vita è pervasa dal pessimismo individuale. Avverte un senso di disagio, di inadeguatezza e arriva a pensare che il mondo sia contro di lui e che, in generale, l’uomo sia destinato all’infelicità. Unica consolazione è la contemplazione della natura. Il pessimismo storico e lo stato di infelicità si estende a tutta la società moderna, colpevole di un utilizzo eccessivo della ragione: lo sviluppo del sapere ha negato agli uomini quella libera e spontanea immaginazione, tipica del periodo della fanciullezza, che dona conforto al dolore. Il pessimismo cosmico si estende su tutti gli uomini, sulle loro esistenze pervase di sofferenza. Causa di questo è proprio la natura, che crea l’uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che non potrebbe mai raggiungerla. GIOSUE’ CARDUCCI Nato nel 1835, Giosuè Carducci trascorse infanzia e adolescenza a Bolgheri, frazione di Castagneto - oggi Castagneto Carducci (Livorno). Suo padre esercitava la professione di medico condotto. La sua permanenza nella Maremma termina nel 1849, in quello stesso anno infatti si trasferì a Firenze. A Firenze Giosuè compì gli studi ginnasiali, entrando poi nella Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si laureò in filosofia e filologia. Costituì, insieme con tre compagni di studi il gruppo degli “Amici pedanti”, impegnato nella difesa del classicismo contro le tendenze letterarie dominanti: il manzonismo nella prosa e il romanticismo sentimentale di Prati e Aleardi nella lirica. Gli anni 1857-58 furono turbati da due gravi lutti: nel novembre 1857 morì il fratello Dante, non è chiaro se per suicidio o perché ucciso involontariamente durante una lite dal padre, che morì a sua volta pochi mesi dopo. componimenti personali, basate sul tema della fugacità del tempo e quello dell’opposizione morte-vita, espressa metaforicamente secondo la tecnica del contrasto (usata per esempio in “pianto antico”). Un esempio concreto di trasposizione “barbara”: Quando il verso classico ha un numero di sillabe superiore a undici (quante ne conta il verso italiano più lungo, l’endecasillabo), Carducci ricorre ovviamente alla riunione di più versi italiani. GIOVANNI PASCOLI Nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna, 4 di 8 figli. Il 10 Agosto del 1867 il padre viene assassinato e la tragedia incide in modo determinante sulla formazione e sulla vita del poeta. Alla difficoltà economiche si aggiunge la morte della sorella e della madre. Studia a Urbino, Rimini, Firenze e lettere a Bologna, ma si appassiona a idee anarchico-socialiste sviluppate in comizi, manifestazioni politiche, che gli costarono anche alcuni mesi di carcere, per sovversione e oltraggio alla forza pubblica. Uscito di prigione riprese gli studi e si laureò nell’82 e insegnò a Matera, Massa e Livorno dove chiamò a vivere le sorelle Ida e Mariù per ricostruire almeno per quel che poteva il “nido” familiare. Nel 92 vinse il concorso di poesia latina di Amsterdam, ottenne cattedra a Messina poi Pisa e Bologna dove morì nel 1912.  L’uccisione del padre e il legame morboso con la famiglia, vissuta come rifugio dal male del mondo, sono 2 elementi fondamentali per comprendere l’ideologia del Pascoli e interpretare alcuni simboli della sua poesia. Al centro del suo simbolismo c’è il legame nido-casa-culla. Il nido, racchiuso e tondo, delimita lo spazio interno e offre protezione e sicurezza in contrapposizione allo spazio e sterno, esposto alle aggressioni, alla violenza e al male. Il nido rappresenta la famiglia e l’infanzia prima dell’uccisione del padre, la casa . Il nido diventa il luogo della regressione psicologica, del ritorno all’infanzia in una sorta di autoreclusione che tiene al riparo dalla esperienze adulte, cui guardare fra seduzione e timore. Di conseguenza, come in un’adolescenza prolungata, il mistero del sesso e della vita amorosa è vissuto con attrazione, paura e insieme rifiuto. Nido significa anche poesia, intesa come scoperta della disposizione e della sensibilità infantile del poeta.  Pascoli afferma che in ogni uomo c’è un FANCIULLINO interiore, destinato a restare innocente e ingenuo, anche se noi cresciamo e diventiamo adulti. Soprattutto nel poeta resta vivo questo fanciullino, fonte di ispirazione artistica, vista come intuizione, rivelazione del mistero della vita presente nelle umili cose senza l’intervento della razionalità, espressione immediata degli stupori infantili, dei trasalimenti e delle meraviglie. Pascoli è un allievo di Carducci particolarmente bravo. Pascoli è un personaggio del Decadentismo (la figura dominante è quella del poeta, è il veggente, colui che si lascia colpire dalla realtà, come un fanciullo): non pensa a voler documentare la realtà. Pascoli rappresenta la poesia di chi si racchiude nel suo io e la poesia nasce dallo sguardo di fanciullo che c’è dentro ognuno di noi. MYRICAE Il titolo viene ricavato da un verso della quarta egloga di Virgilio (“arbusta iuvant humilesque myricae: piacciono gli arbusti e le umili tamerici) ed è carico di valori:  valore simbolico = vuole rappresentare gli aspetti più semplici, propri dell’umile mondo bucolico  valore affettivo = le tamerici abbondano nella natia San Mauro ed il poeta parlerà delle proprie poesie come di  tamerici (anche nella prefazione ai “canti di Castelvecchio”, opera che va letta in continuità con Myricae) e si augura che fioriscano intorno alla tomba della madre. La raccolta è attraversata da un vasto repertorio di immagini e situazioni che appartengono alla biografia del poeta e al mondo della campagna. Nella rappresentazione dei quadri naturali il poeta si concentra su un particolare minimo in cui è possibile riconoscere il tutto, il macrocosmo si riflette nel microcosmo, nell’umile oggetto della quotidianità si può incontrare il sublime. Fra i temi più ricorrenti:  memoria volontaria – scorrere continuo tra passato e presente;  nido - simbolo di una sicurezza spesso minacciata;  la siepe – elemento che isola e protegge dal male, dal dolore e dall’intrusione di elementi ostili;  riflessione sulla poesia - unica forma di consolazione e rifugio;  i morti - spesso incontrati in situazioni oniriche e visionarie La Morte  per Pascoli è un’esperienza che deve spingere a riflettere sulla bellezza della vita. Se quest’ultima appare segnata dall’esperienza della sofferenza è solo perché, a parere del poeta, l’uomo l’ha rovinata, mentre la natura, considerata “madre dolcissima”, in polemica con Leopardi, “sa quel che fa e ci vuole bene”. I titoli che Pascoli dà alle poesie sono prevalentemente titoli con fine informativo attraverso i quali il poeta fornisce informazioni riguardanti il tema della poesia stessa. Si può notare anche l’uso non raro di titoli a scopo interpretativo, mediante i quali il Pascoli agevola al lettore la comprensione di ciò che la poesia vuole comunicare. Evoca immagini attraverso il linguaggio. CANTI DI CASTELVECCHIO Raccolti e pubblicati nel 1903, dedicati alla madre, riprendono i motivi del «Poemetti» e specialmente di «Myricae»: ricordi della tragedia familiare del poeta, descrizioni paesistiche, delicate, sottili impressioni della vita e della natura in un alone di calma luminosa e di contemplazione profonda delle piccole cose e delle piccole sensazioni quotidiane. I temi sono: campagna; tema dei morti e dell’impossibilità di seppellirli; tema del nido; tema dei fiori. GIOVANNI VERGA Giovanni Verga nacque a Catania il 2 settembre 1840, discendente da una famiglia di antica nobiltà rurale. Il nonno fu deputato al Parlamento siciliano. Lo scrittore ebbe cinque fratelli e trascorse l’infanzia e l’adolescenza in Sicilia, scrivendo giovanissimo per i giornali e componendo romanzi storici a imitazione di Alessandro Dumas, scrittore allora assai noto. Frequentò scuole private, si iscrisse alla facoltà di  Legge dell’università di Catania, senza conseguire la laurea, perché impegnato nel lavoro letterario. In questo suo proposito venne pienamente appoggiato dal padre, che contribuì alle spese delle prime pubblicazioni. Fra il 1865 e il 1871 visse a Firenze, a quel tempo capitale d’Italia, dove ebbe i primi contatti letterari e relazioni e successi mondani. Dal 1872 al 1893 abitò a Milano, dove fu in stretto contatto con gli ambienti letterari, che facevano di Milano la città più viva d’Italia. Importante fu l’amicizia che strinse con Capuana e con Arrigo Boito. Nonostante le molte relazioni amorose, ma non si sposò mai. Inariditasi la vena creativa, si ritirò a Catania, dove morì il 27 gennaio 1922, quasi in solitudine, in seguito a una trombosi, assistito dalla nipote adottiva e dal fedele De Roberto. Le opere: Amore e patria; I carbonari della montagna (1862); Sulle lagune (1863); Una peccatrice (1866); Storia di una capinera (1871); Eva (1873); Nedda (1874); Tigre reale (1875); Eros (1875); Primavera e altri racconti (1876); Vita dei campi (1880); I Malavoglia (1881); Il marito di Elena (1882); Novelle rusticane (1883); Per le vie (1883); Cavalleria rusticana (opera teatrale, 1884); Drammi intimi (1884); In portineria (opera teatrale, 1885); Vagabondaggio (1887); Mastro don Gesualdo (1888); I ricordi del capitano d’Arce (1891); Don Candeloro e C.i (1894); Dal tuo al mio (1906) L’attività letteraria di Verga si divide schematicamente in due fasi: nella prima compose romanzi e novelle di studio dell’alta società e degli ambienti artistici. In questi romanzi (Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Tigre reale, Eros) marcato è il dato autobiografico, forse c’è persino un bisogno di arricchire la propria esistenza con  avventure affascinanti, ma realistiche. Associata, vi è la volontà di compiere un’analisi della società contemporanea, in special modo dei ceti alti, mettendone a nudo le magagne sentimentali e le menzogne convenzionali. Verga rappresenta già dei “vinti”: tra i suoi personaggi vi è la dama che si avvelena per amore, la giovane che diventa monaca per volere della famiglia, il pittore sconfitto nelle sue ambizioni artistiche e nella sua passione per una ballerina, le passioni distruttive di una contessa russa morta di tisi. GABRIELE D'ANNUNZIO: la vita e le opere Nato a Pescara nel 1863 e morto nel 1938 a Gardone Riviera (Brescia), fu scrittore, poeta, drammaturgo, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale. Il suo impegno politico gli meritò il soprannome di "Vate", cioè "poeta sacro", "profeta". Dimostrò sin da giovane un carattere ambizioso ed un forte interesse per la letteratura, e nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione di una sua raccolta di poesie, Primo vere, di ispirazione carducciana. D'Annunzio stesso pubblicizzò il suo lavoro diffondendo la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. Nel 1881 si trasferì a Roma, dove visse in un ambiente lussuoso e trasgressivo, lavorò come giornalista ed approfondì i propri interessi letterari, il cui primo frutto fu una trentina di novelle ambientate nel mondo pastorale abruzzese (poi ripubblicate nella raccolta Le novelle della Pescara). In esse, partendo da uno stile verista, ne sviluppò uno decadente ed attento all'approfondimento psicologico che sarebbe culminato nel primo romanzo, Il piacere (1889), che ebbe un successo tale da rendere l'autore un vero e proprio divo. Nel 1892, parzialmente ispirato da Dostoevskij e Tolstoj, D'Annunzio compose il romanzo L'innocente, il cui protagonista lascia morire di freddo, durante la notte di Natale, il figlio che sua moglie ha avuto da una relazione adulterina. I lavori successivi sarebbero stati Molteplici furono i generi letterari praticati da D'Annunzio: poesia lirica e poesia epica, romanzo, novelle, teatro, scritti di critica, cronaca giornalistica, prosa d'arte. Ciò potrebbe dare l'impressione di dispersività, ma in realtà tutta la sua opera letteraria s'ispira a uno spiccato sperimentalismo. Egli infatti seppe accogliere e riproporre gli spunti letterari più diversi, combinando modelli antichi e moderni e rivisitandoli secondo le proprie tecniche letterarie, in più modi; per esempio, nelle Laudi rifece il verso alla letteratura francescana trecentesca, rimanendo peraltro lontanissimo dalla sua semplicità e dal suo spirito religioso; D'Annunzio era poi solito appropriarsi di pagine, idee, spunti altrui: veri e propri «furti» letterari, più volte rimproveratigli dai suoi critici, ma di cui non si pentì mai, rivendicando invece le ragioni della propria libertà di artista. D'Annunzio coltivava dunque molteplici interessi letterari e culturali, aperto com'era alle novità (culturali, sociali ecc.) che contrassegnavano la fine dell'Ottocento. • Il decadente. Nei confronti della letteratura contemporanea, egli fu pronto, per rispondere alla sete di novità del pubblico, a far proprie le tendenze più recenti. Manipolando una serie di letture europee D'Annunzio diede vita con diverse sue opere a una monumentale «enciclopedia» del Decadentismo europeo, aggiornatissima e ammirata da chi amava le sempre nuove raffinatezze letterarie. • Il superuomo. Grande importanza rivestì, per la cultura italiana, la divulgazione della filosofia nietzschiana e in particolare del motivo del superuomo. In verità D'Annunzio lo apprese solo per via indiretta e semplificata, grazie alla mediazione e spettacolarizzazione offerta dal teatro musicale di Richard Wagner (1813-83); a ogni modo ebbe il merito di divulgare uno dei temi più interessanti e attuali della cultura europea di allora. • Il modemista. D'Annunzio, prima ancora dei futuristi, fu illetterato italiano più attento alla modernità. Nella villa della «Capponcina» si fece installare il telefono; guidava le prime automobili, frequentava i primi campi d'aviazione e divenne un provetto pilota. A sviluppare questi temi è l'ultimo suo romanzo, Forse che sì forse che no (1910). • Nell'industria culturale. D'Annunzio, con Pirandello, fu il primo scrittore italiano a intuire le grandi possibilità espressive del cinema e a lavorare per la nascente industria cinematografica: collaborò alla realizzazione di diversi film. Inoltre fu lui a coniare nel 1917 il nome del primo grande magazzino italiano, «La Rinascente» di Milano. Dalla disponibilità al nuovo e dalla febbrile ansia di ricerca nasce anche l'attitudine di D'Annunzio a reinventarsi: mantenendo fede al motto «o rinnovarsi, o morire» (in Giovanni Episcopo), egli riuscì più volte a rinnovare la propria immagine presso l'opinione pubblica, come pure a rigenerare la propria creatività in forme nuove. D'Annunzio, con la sua vita e le sue opere, aspirava a un'esistenza d'eccezione, al «vivere inimitabile», a «fare la propria vita come si fa un'opera d'arte». Queste sue pose estetizzanti si tradussero nella prima e più famosa incarnazione dell'esteta dannunziano, ovvero l'Andrea Sperelli protagonista del romanzo Il piacere. «Estetismo», la parola chiave della poetica dannunziana, si esprime in tre forme. • Estetismo è in primo luogo culto della sensazione, cioè esaltazione di ciò che ricade nella sfera dei sensi, della corporeità, dell'istinto. Come gli altri scrittori decadenti europei, D'Annunzio tende a degradare quanto era, per i romantici, il «sentimento», il desiderio di assoluto, l'apertura al trascendente e all'eterno. In una logica decadente, tutto ciò si riduce e si banalizza: la sensazione diviene l'unico criterio, terreno e paganeggiante, per conoscere la realtà. • Estetismo, per D'Annunzio, è anche panismo (un termine che significa "la natura è tutto", dal nome del dio greco Pan) e vitalismo. Il culto della sensazione tende infatti a collocare la vita dell'uomo «dentro» la vita della natura, assimilando l'uno e l'altra in una visione metamorfica e «panica». • Estetismo, infine, è assenza di gerarchie. Per il poeta esteta, avido di tutto (in primo luogo di nuove esperienze), le sensazioni raffinate sono preziose quanto quelle più volgari: la condizione essenziale è che non siano banali. L’esteta si pone al livello stesso delle cose: il mondo in cui si aggira non ha più ordine né gerarchia, pare frantumarsi in una miriade di oggetti (e, quindi, di sensazioni). La realtà non la si può più capire, ma solo «assaporare». Da ciò la frammentarietà dell'arte dannunziana, spesso affidata a fugaci impressioni, a suggestioni che assumono cadenze musicali. D'ANNUNZIO - POETICA 1 PERSONAGGI IL CULTO DELLA BELLEZZA IL POETA SI IMMERGE TOTALMENTE NELLA NATURA COME NELLE TRAGEDIE sopDIStARE E (a) [ape ds tante OBBEDIRE PRINCIPI MORALI IL PIACERE IL FUOCO L'INNOCENTE IL TRIONFO DELLA MORTE AMOR SENSUALE DELLA PAROLA NEL SUO STILE UNO STILE LA CRITICA È SEMPRE PRESENTE | | MUSICALE, RAFFINATO || CHIAMÒ IL SUO STILE ELEGANTE STRUTTURE CLASSICHE il suicidio. Non lo fece, anzi, decise di “rinascere” affrontando la vita e accettando la realtà per quello che è: un flusso continuo, un cambiamento, una trasformazione inarrestabile che non può essere spiegata in maniera razionale ne' comunicata con le parole. In linea con la sua rinascita e dopo essersi avvicinato a Freud e alla psicologia, Pirandello lascia l'università e si mette a girare l'Europa con una compagnia teatrale da lui fondata, la Compagnia del Teatro d'Arte di Roma, con la quale portò le sue opere in tutto il mondo; molte furono trasposte al cinema. Il suo primo successo letterario fu il romanzo Il fu Mattia Pascal (1904), tradotto in più lingue. Nel 1934 gli viene riconosciuto il premio Nobel per la letteratura. Tutta la sua produzione letteraria risente di quel male di vivere, così caro agli autori di fine 800/primi 900. Egli era dentro alla crisi di un secolo (il 900) che aveva perduto molte certezze scientifiche (crollo del positivismo) ed era dentro ad una profonda crisi nazionale (l' Italia stava vivendo un difficile momento storico, questione meridionale, arretratezza del sud). Oltre a questa crisi più “esterna” lo accompagna anche una crisi più intima, quella dell'uomo e dell' intellettuale del 900, un uomo che non sa più chi è, che non si riconosce nel mondo esterno e deve trovare da solo le ragioni e la forza di affermarsi, vivere, esistere. Questa crisi genera quel relativismo da cui Pirandello trarrà grande ispirazione per le sue opere dove l'uomo e le cose cambiano a seconda di chi le percepisce (dalla sua educazione, dalla provenienza sociale, dall'istruzione, dall'età etc. etc). Quindi l'uomo non è uno solo, ma ha tante forme a seconda di quanti lo percepiscono (crediamo dunque di essere unici, ma invece siamo tanti centomila a seconda di chi ci guarda e finiamo per essere nessuno ossia la frantumazione dell'io). Per relazionarsi con la società l'uomo-nessuno è costretto ad indossare una maschera (sia con sé stesso sia con gli altri) che nasconde la sua vera personalità. L'unico modo per sfuggire a questa finzione quotidiana è la follia. La pazzia per Pirandello è liberarsi dalla maschera, toglierla dal volto o non accorgersi di portarla: solo in questo modo l'uomo riuscirà a mostrarsi per quello che veramente è. La follia è lo strumento di contestazione di una vita sociale sostanzialmente finta, fasulla; è l'arma che fa esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all'assurdo e rivelandone l'incoscienza e l'inconsistenza. L'incomunicabilità accresce il senso di solitudine dell'uomo che scopre di essere nessuno. Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono la concezione dell'arte e la poetica di Pirandello. L'opera d'arte nasce dal libero movimento della vita interiore, mentre la riflessione, al momento della concezione, non compare o rimane celata sotto forma di sentimento. Nell'opera umoristica, invece, la riflessione giudica, analizzandolo e scomponendolo, il sentimento. Il dato caratterizzante dell'umorismo è il sentimento del contrario, che permette di cogliere il carattere molteplice e contradditorio della realtà e di vederla sotto diverse prospettive contemporaneamente. Inoltre accanto al comico è sempre presente il tragico, dal quale non può mai essere separato. IL TEATRO DI PIRANDELLO Per capire l’idea di teatro di Pirandello bisogna avere presenti alcune parole chiave: Metaletteratura: è la letteratura che parla della letteratura stessa e del suo farsi; di conseguenza il metateatro è un teatro che parla del teatro e ne svela i meccanismi. Maschera: ognuno indossa un numero indefinito di maschere, una per ogni situazione e ambiente in cui si trova. Trappola: la società è una trappola, una serie di convenzioni che bisogna seguire e che impediscono il libero fluire della vita; unica via di scampo è la follia. Realtà/Finzione: le definizioni precedenti mostrano come Pirandello fosse ossessionato dal contrasto tra realtà e finzione; la società impone maschere e convenzioni, che sono delle finzioni, attraverso la letteratura e il teatro Pirandello cerca di svelare tali finzioni. Umorismo: nel 1908 Pirandello pubblica il saggio L’umorismo, in cui spiega che il comico è la percezione di qualcosa che è il contrario di come dovrebbe essere, mentre l’umorismo implica una riflessione sul motivo, spesso tragico, di questo essere contrario. Da queste definizioni deduciamo come la visione del mondo di Pirandello fosse essenzialmente negativa, ma egli, invece di abbandonarsi a facili lamentazioni, decide di guardare alla vita attraverso l’occhio dell’ironia e del paradosso. In questo Pirandello si dimostra autore modernissimo e qui sta la sua attualità e il successo che continua a riscuotere. I testi teatrali di Pirandello sono prima di tutto delle storie paradossali, che riflettono una vita claustrofobica per risolverla in gesti folli e anticonvenzionali, che ribaltano la realtà e deridono l’eccessiva serietà del mondo. Se il mondo è una gabbia, il teatro deve mostrare il momento di ribellione e di disordine che, anche all’interno di una prigione, può cambiare il senso delle cose. Con il suo teatro Pirandello distrugge le convenzioni, elimina la barriera tra realtà e finzione, tra autore e personaggio, tra pubblico e attore.   Di solito si divide il teatro di Pirandello in tre fasi, ma queste periodizzazioni non vanno mai prese troppo alla lettera, perché temi di una fase spesso convivono con temi di un'altra:   Il teatro del grottesco, rappresenta situazioni di vita di tutti i giorni dimostrandone la paradossalità e la contraddizione, approfondendo i temi della maschera e della trappola. Appartengono a questa fase testi come  Il giuoco delle parti e Così è (se vi pare). Il teatro nel teatro, o metateatro, svela la finzione della rappresentazione teatrale. Famosissima la trilogia del teatro nel teatro, che comprende Sei personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a modo suo. Il teatro del mito, tipico degli ultimi anni, tratta tematiche arcaiche e predilige l’elemento fantastico, come ne I giganti della montagna. 3)Utilizzo di una grafica in grado di mostrare in maniera immediata la differenza tra le parole. 4)Introduzione di onomatopee (parole che riproducono o evocano un suono), suoni e rumori, talvolta senza senso. 5)Utilizzo del verbo all’infinito. 6)Abolizione dell’aggettivo e dell’avverbio. 7)Utilizzo dell’analogia (comparazione, relazione di somiglianza tra due o più parole) al posto della metafora (sostituzione di una parola con un’altra per rafforzare il concetto). Il Futurismo anticipa il Dadaismo, la corrente artistica che nega i valori cosiddetti ‘razionali’ ed esalta l’istinto e i valori ‘infantili’. Numerosi sono stati i poeti e gli scrittori che hanno aderito al movimento futurista; tra gli esponenti di spicco citiamo Filippo Tommaso Marinetti il quale ne è considerato il fondatore. Teorico del Futurismo e poeta ribelle è stato l’autore del Manifesto contenente i principi del movimento e di innumerevoli altre opere ‘provocatorie’ quali ad esempio ‘Mafarka il futurista’, ‘Distruzione’ e ‘Il re Baldoria’ una tragedia satirica contro la democrazia. Altro esponente futurista da ricordare è Ardengo Soffici, fondatore insieme a Papini della rivista letteraria ‘Lacerba’. Tra gli esponenti più attivi ed entusiasti del Futurismo il fiorentino Aldo Palazzeschi autore del testo di narrativa ‘Il codice di Perelà’ e della poesia ‘Lasciatemi divertire’ nella quale il poeta si diletta ad andare contro le regole poetiche attraverso la sostituzione delle parole con suoni inventati e senza senso. Tra gli esponenti del Futurismo anche Salvatore Quasimodo, del quale ricordiamo la poesia ‘Sere d’estate’ pubblicata sulla rivista ‘Italia Futurista’, e Corrado Govoni, autore del libro ‘Rarefazioni e parole in libertà’. un movimento artistico e culturale italiano dell'inizio del 1900, fondato a Parigi nel 1909 dal poeta Marinetti G. Sansoni anne, sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali l'idea di una cultura incentrata sul bisogno di agire e su un progetto artistico capace di rappresentare il dinamismo. la macchina, la velocità, la fabbrica dell'elettricità, la TEORIA affidata l'aereo U. Boccioni - Elasticità SPORT la forza, la giovinezza, la sfida, la battaglia ciclismo autemobilismo corse cavalli IDEALI preferiti rappresenta la sensazione dinamica ideale di bellezza del moderno futuristi ASPIRAVANO 1909 - Marinetti "Manifesto del futurismo" l'automobile la guerra (vicini al Fascismo) U. Boccioni MAPPE per la SCUOLA umnvimappe-scuola com ‘a modificare radicalmente la società OST. L 'ERMETISMO T UN TIPO DI POESIA \RATTERIZZATA CA ‘SONO COMPOSTI DA UN LINGUAGGIO DIFFICILE DA POCHE PAROLE PIENE DI ‘SIMBOLISMI NON RACCONTANO MAGGIORI DEA VITA Tn ATTRAVERSO L'INDAGINE INTERIORE DELLA PROPRIA ESISTENZA AMBIGUO E MISTERIOSO NON DESCRIVONO pr ———"x NON SPIEGANO MA SCRIVONO FRAMMENTI DI VERITÀ A CUI SONO ARRIVATI IN MOMENTI ELLUMINAZIONE POETICA) (—=isentono tontani N DALLA VITA SOCIALE , LA 19 GUERRA MONDIALE E IL PERIODO FASCISTA HA LASCIATO UNA GRANDE SOLITUDINE MORALE LA QUALE LI CONFINA IN UNA RICERCA POETICA RISERVATA A POCHI E PRIVA DI IMPEGNO SUL CAMPO POLITICO ITALO SVEVO PORTARE ALLA LUCE FRAMMENTI DI ESISTENZA DI VITA E DI NATURA VISIONE NON OTTIMISTA DELLA VITA L'UOMO SOFFRE DI "MALE DI VIVERE" Bywwscaiutofisiessiane Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz, nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia ebrea. Il padre è un agiato commerciante di vetrami, la madre viene da una famiglia di origini italiane. Ettore, sesto di otto figli, dal 1874 studia  il tedesco in un collegio  in Germania. Ritornato a Trieste termina gli studi all’Istituto Commerciale “Revoltella”. A diciannove anni trova impiego presso la filiale triestina della Banca Union di Vienna come corrispondente tedesco e francese. Dopo il lavoro frequenta la Biblioteca Civica di Trieste , dove legge i classici italiani e i naturalisti francesi, studia i filosofi Schopenhauer e Nietzsche. Comincia a scrivere novelle e testi teatrali, collabora con “L’indipendente” una rivista locale su cui pubblica due novelle. Nel 1892 pubblica il primo romanzo “Una vita”. Nel 1896 sposa la cugina Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale di Trieste. Nel 1898 pubblica il secondo romanzo “Senilità”, che come il primo non ottiene alcun riconoscimento né di critica né di pubblico. Svevo decide di eliminare dalla propria vita “quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura” e nel tempo libero si dedica a suonare il violino. Lascia la banca ed entra nella ditta di vernici del suocero, diviene un ricco borghese impegnato a tempo pieno nel suo lavoro, viaggia e spesso si reca a Londra. Per migliorare il suo inglese prende lezioni da James Joyce, che insegna alla Berlitz School di Trieste,  a cui fa leggere i propri romanzi. Continua a scrivere testi teatrali e novelle ma non pubblica più le sue opere. Tra il 1908 e il 1910 conosce l’opera di Freud e traduce “L’interpretazione dei Sogni”, forse il testo più breve intitolato “Il sogno”. Durante la guerra la fabbrica viene chiusa. Al termine del lungo periodo di inattività dovuto alla guerra nel 1919 inizia a scrivere “La coscienza di Zeno” che pubblica nel 1923. Il romanzo riceve apprezzamenti e riconoscimenti; nel 1925 la rivista letteraria “L’esame” pubblica l’articolo di Eugenio Montale “Omaggio a Italo Svevo”, nel 1927 il romanzo viene tradotto e stampato in Francia. Negli ultimi anni Svevo riprende a scrivere novelle, “Vino generoso”, “Una burla riuscita” e testi teatrali “La rigenerazione” e inizia un nuovo romanzo “Il vecchione” che non porta a termine. Muore nel 1928 in seguito alle complicazioni dovute a un incidente d’auto. La cultura di Svevo fu essenzialmente europea, o meglio mitteleuropea, e fu aperta agli stimoli filosofici e scientifici. Lesse Schopenhauer, conobbe le opere di Nietzsche, in lingua originale, lesse le opere di Marx, con cui condivise la critica verso la società borghese, ma non l’ideologia della lotta di classe e della dittatura del proletariato. Dal punto di vista scientifico ebbe un notevole influsso la lettura di Darwin; infatti anche per svevo l’uomo è un prodotto dell’adattamento dell’ambiente, ma non di quello naturale, bensì di quello sociale. Il linguaggio di Svevo ha frequenti espressioni parlate, durezze ‘tedesche’ e una sintassi faticosa. Ciò è ricollegabile da un lato al crogiolo etnico e culturale triestino, dall’altra è dovuto ad un lavoro tormentato di introspezione. GIUSEPPE UNGARETTI Giuseppe Ungaretti nacque l’8 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto dove i genitori, lucchesi, gestivano un forno di pane; studiò in una scuola di lingua francese della città egiziana. Nel 1912 si trasferì a Parigi, dove frequentò l’Università della Sorbona e incontrò alcuni tra gli esponenti più importanti della cultura europea del tempo. Qui approfondì la conoscenza dei poeti simbolisti come C.Baudelaire e S.Mallarmé, che esercitarono su di lui un’influenza fondamentale. Nel 1914 si trasferì in Italia, dove, arruolatosi volontario come soldato semplice di fanteria, partecipò alla Prima guerra mondiale combattendo sul fronte del Carso. Dall’esperienza diretta delle atrocità della guerra, prese forma il primo nucleo della sua produzione poetica. Nacquero così le raccolte Il porto sepolto (1916) e Allegria di naufragi (1919); le poesie furono poi riunite nel volume L’Allegria (1931). Al termine del conflitto, Giuseppe Ungaretti visse a Parigi per un anno, come corrispondente del giornale fondato da Benito Mussolini, «Il popolo d’Italia». L‘adesione al fascismo nasceva dall’ingenua fiducia nel rinnovamento economico e spirituale del popolo italiano che il regime prometteva attraverso la massiccia propaganda. Nel 1936 Giuseppe Ungaretti accettò la cattedra di Lingua e letteratura italiana presso l’Università di San Paolo, in Brasile, dove andò a vivere con la moglie e i due figli. Qui lo colpirono due gravi lutti familiari: la morte del fratello Costantino e quella del figlio Antonietto. Il ritorno in Italia nel 1942 coincise con la Seconda guerra mondiale. Alla tragedia privata si sovrappose così quella pubblica e questo duplice dramma ispirò la raccolta emblematicamente intitolata Il Dolore (1947). Fu nominato Accademico d’Italia e ottenne «per chiara fama» la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma. Nel 1970 fu colto da malore durante un viaggio negli Stati Uniti e, rientrato in Italia, morì a Milano per broncopolmonite all’età di ottantadue anni. Ungaretti è il maestro riconosciuto dell'Ermetismo. Il termine "ermetico" significa "chiuso", "oscuro". Esprime il bisogno di recuperare la purezza originaria degli individui, la loro primitiva semplicità e forza d'animo. Si oppone soprattutto al Decadentismo di D'Annunzio, cioè agli atteggiamenti estetizzanti e superomistici; ma anche a quello del Pascoli, giudicato troppo bozzettistico e malinconico, troppo soggettivo e poco universale. L'Ermetismo si oppone anche ai crepuscolari, ai futuristi, ai "vociani", perché non si accontenta di una riforma stilistica e non sopporta la retorica. Giuseppe Ungaretti consegna ai pochi versi, scabri ed essenziali, la voce disperata di un uomo che scopre di essere solo, con la sua carica segreta di ideali, di fronte a una realtà spesso crudele, su cui sempre domina l’immagine della morte. Giuseppe Ungaretti ricerca una poesia pura, essenziale, priva di enfasi e di insegnamenti, liberata da ogni schema metrico, che esprime soltanto ciò che il poeta, con la sua fantasia e la sua sensibilità, intuisce; poesie brevi e lapidarie, veri e propri frammenti, in cui ogni termine si carica di una grande ricchezza di significati. Giuseppe Ungaretti riduce al minimo la sintassi: elimina del tutto la punteggiatura e limita la costruzione del periodo alle sue componenti essenziali. Il poeta rifiuta anche i vincoli della metrica e della rima: non più strofe tradizionali, ma versi liberi, talvolta costituiti da una sola parola dotata di grande pregnanza di significato. Mediante l’intuizione poetica, che rifiuta i collegamenti logici e razionali, dà vita a una sintesi straordinariamente efficace, come nella lirica Mattina, composta da due soli, brevissimi versi: «M’illumino / d’immenso». L’Allegria, pubblicata nel 1931 e poi più volte rimaneggiata dall’autore fino all’edizione del 1942, comprende le liriche concepite durante l’esperienza della Prima guerra mondiale, che Ungaretti visse in prima persona, combattendo nelle trincee del Carso. Le liriche sono fortemente autobiografiche, quasi come fogli di diario, tanto che ognuna reca l’indicazione del luogo e del giorno in cui è stata concepita. Nonostante l’immediatezza dell’ispirazione, esse costituiscono il risultato di un lungo lavoro di riflessione e di revisione, tanto che Ungaretti stesso ha scritto che ogni parola è «scavata nella mia vita come un abisso». Le similitudini e le metafore rappresentano con efficacia la desolazione del poeta, coinvolto in una realtà di orrore e massacro che lo induce a riflettere sulla fragilità dell’uomo, la precarietà e il dolore dell’esistenza. E' suddivisa in varie sezioni: Prime, Il Porto Sepolto, Naufragi, Girovago, Ultime. In questa raccolta troviamo tutte le sue innovazioni poetiche, sia sul piano strutturale e lessicale, sia su quello sintattico e metrico: -Abolisce la punteggiatura, sostituendola con spazi bianchi che hanno funzione di pausa semantica e di pausa espressiva; -Alle parole della tradizione classica sostituisce quelle comuni della lingua parlata, le sole adatte ad esprimere l'intimo del pensiero perché scavate nella vita; -Sconvolge la sintassi tradizionale e rompe i sintagmi o gruppi di parole legate logicamente tra loro, in questo modo, le parole, acquistano una vita propria accentrando su di sé l'attenzione del lettore; -rifiuta le forme metriche tradizionali, sostituendole con versi liberi; -reagisce allo stile di D'Annunzio, dei crepuscolari e dei futuristi usando frammenti di immagini ed espressioni scarne, ridotte all'essenziale; I temi: - le sofferenze patite in guerra: la solitudine - la caducità della vita: il dolore - l'angoscia della morte che incombe: il desiderio di pace, di serenità - la fratellanza umana: di sentirsi in armonia con la natura... In Sentimento del Tempo, Giuseppe Ungaretti passa ad una rappresentazione più complessa delle inquietudini, dei conflitti, delle ansie dell’uomo (la sua solitudine di fronte al dolore e nell’attesa della morte, sulla inconoscibilità del proprio destino, sulla pietà verso gli altri e verso tutti gli uomini), ma nello stesso tempo, riflette con gioia la pienezza della sua vita. All’arido paesaggio carsico si sostituisce quello laziale, nella sua varietà di boschi, acque, albe e tramonti. L’Allegria nasconde espedienti stilistici più ermetici: il verso libero lascia il posto all'endecasillabo, ricompare la punteggiatura, si accentua l’analogia, vengono utilizzati maggiormente il linguaggio aulico e le parole-simbolo. Costante è la cura dell’aspetto visivo delle liriche e per la parola. La raccolta Il Dolore fu scritta piangendo. Nel denso e pregnante universo letterario del Novecento, la tematica del dolore diviene centrale per molti dei più importanti esponenti della cultura decadente. In Giuseppe Ungaretti tale topos e’ oggetto di una riflessione matura, basata sulla personale esperienza e sulla elaborazione di tale sentimento. Nella raccolta di poesie ad esso dedicate, l’ autore esamina e rielabora le sue più evolute considerazioni alla luce di una ritrovata fede nel divino. Il dolore del poeta è causato soprattutto dalle disgrazie familiari che hanno colto impreparata l’intera famiglia Ungaretti; a tale condizione si aggiunge la lacerante esperienza dalla visione di Roma occupata dell'Italia straziata dalla guerra. Ma il quotidiano prevale sugli eventi storici: la morte del figlio e’ un evento sconvolgente, e le altre perdite parvero voler fare da corollario ad una lenta, inesorabile cancellazione di quella sorta di residuo edenico che è l'età infantile. Col fratello muore infatti l'ultimo testimone dell'infanzia del poeta, e col figlio la speranza di rivivere di riflesso quest'esperienza. Insieme l'anomalia della morte di un bimbo di nove anni lo porta a considerare la natura sotto un aspetto nuovo. Gli si configura così in modo preciso la violenza che la vita stessa comporta e l'ineluttabilità di essa. Per esprimere l'angoscia di tale scoperta e la sofferenza nella sopportazione della vita, Ungaretti modula il suo canto su un tono nuovo utilizzando la parola gridata o l'affanno reso con dei puntini di sospensione. Non si può tuttavia parlare di autocommiserazione, in quanto il suo non è atteggiamento passivo, ma espressione di forza; anche nel dolore personale Ungaretti non si isola, ma s'immedesima nel ruolo di cantore dell'umano dolore, non solo del proprio. E in tal senso, anche nelle composizioni ad oggetto più intimo e personale, si avverte il senso di solidarietà che unisce i sofferenti singoli. Strettamente legato a Il Dolore, per i temi trattati, è Un grido e Paesaggi (1952), mentre La Terra Promessa (1950), pensata come melodramma, interrotta a causa delle dolorose vicende personali e storiche, è influenzata dagli studi di Giuseppe Ungaretti sul Barocco che hanno accompagnato le sue traduzioni di opere di Shakespeare, Gongora, Racine ed è quindi caratterizzata da un linguaggio più ricco e solenne, anche se l’impegno stilistico vi appare troppo scoperto. Se negli Ossi il poeta dialogava solo con il mare (tema principale della prima raccolta) o con un generico Tu, ora cerca interlocutori reali, concreti (ma per lo più fisicamente assenti); l’interlocutrice prediletta è una figura femminile. Nell’opera di Montale la prima fase è negativa e distruttiva: egli non ritrova un oggetto nella cui realtà possa aver fiducia. La seconda fase è relativamente positiva. Gli Ossi esprimono la consapevolezza del “male di vivere”, mentre nelle Occasioni domina la ricerca di ciò che può costituire un’eccezione alla negatività, all’assurdo del reale: la ricerca insomma del “fantasma che ti salva”, che è qui un “fantasma” femminile, quello di Clizia. “La Bufera e altro” La situazione storica, esterna, che fa da sfondo alla nuova produzione poetica si è fatta intanto, e si va facendo, sempre più cupa: il regime dittatoriale si è inasprito e all’orizzonte si addensano minacciose nuvole di guerra, le stesse che dominano la terza raccolta. A differenza degli Ossi e delle Occasioni, La bufera e altro appare una raccolta non unitaria ma varia per tempi di composizione, temi e intonazione poetica. Il nucleo più unitario è certo il primo, quello di Finisterre: sono quindici poesie fortemente influenzate dalla congiuntura bellica. Per la prima volta la storia entra con tragica violenza nella poesia montaliana: la seconda guerra mondiale diventa cupo sottofondo delle liriche di Finisterre. La guerra non provoca una nuova visione della realtà da parte del poeta, ma semplicemente conferma e accentua il rapporto critico e disarmonico con la realtà, concepita come “assurda, irrazionale e ininterpretabile”. Il tema dei morti, di parziale ascendenza pascoliana, ha grande spazio nella raccolta. L’attenzione poetica di Montale rimane dunque legata saldamente alla permanente condizione umana, prima e più che agli eventi storici. L’ispiratrice delle poesie di Finisterre è ancora Clizia, che riprende e accentua la sua connotazione metafisica orientata in senso religioso (si è detta ”Cristofora”, “portatrice di Cristo”, cioè colei che si fa mediatrice tra terra e cielo). Nel dopoguerra compare un’altra figura femminile, assai diversa, che Montale stesso definisce ”molto terrestre” e immanente: è la Volpe, nella quale dobbiamo identificare la poetessa Maria Luisa Spaziani (con cui Montale ebbe una relazione). In lei non è più riconoscibile alcuna salvezza, è piuttosto una sorta di “antibeatrice”. Gli anni sessanta e settanta, costituiscono lo sfondo della seconda stagione poetica montaliana. Dopo la seconda guerra mondiale e i primi difficili tempi della ricostruzione, lo sviluppo capitalistico e il progresso tecnologico danno vita a una società di massa a cui Montale guarda con un distacco aristocratico e nostalgico. In questa crisi ideologica, il poeta, nel rimpianto dei vecchi valori che appaiono ormai irrimediabilmente perduti, rivolge alla sottocultura dominante uno sguardo scettico. Il mondo che incontriamo in Satura, è ormai ridotto a detriti, a scorie, e il negativo è ancor più forte in quanto ormai dilagante. Delle quattro sezioni che comprendono la raccolta (Xenia I. Xenia II, Satura I, Satura II), le prime due costituiscono un piccolo canzoniere scritto in occasione della morte della moglie. Il poeta rende omaggio alla moglie: compagna affezionata e discreta, rimasta finora quasi completamente assente. Xenia è termine latino che indica i doni fatti a un ospite nel momento in cui lascia la casa che lo ha ospitato. In questa nuova stagione poetica il linguaggio di Montale si trasforma, lo stile viene rovesciato: il lessico tende al basso, al prosastico, e può essere definito grosso modo un lessico quotidiano. Lo stile si fa quello della conversazione quotidiana, antilirico. All’abbassamento tematico e lessicale si oppone una gabbia metrica e ritmica tradizionale, raffinata, sorvegliatissima, con una predilezione per le forme estreme; i versi tendono ad essere o molto brevi o superiori all’endecasillabo. SALVATORE QUASIMODO Il Premio Nobel per la Letteratura Salvatore Quasimodo è nato a Modica il 20 agosto del 1901. All’epoca Modica era uno dei tre “circondari” in cui era divisa la Provincia di Siracusa (gli altri due erano la stessa Siracusa e Noto). Solo nel 1927 il regime fascista abolì i “circondari” e Modica passò sotto la Provincia di Ragusa. Alla luce di quanto ricordato, appare più comprensibile la reiterata dichiarazione di Salvatore Quasimodo che affermava di essere nato a Siracusa. Non è improbabile il fatto che, fissando Siracusa quale luogo di nascita, Quasimodo volesse anche mettere in rilievo un legame mitico e culturale con la Grecia classica, ribadito anche dal suo ricordare come la nonna paterna (Rosa Papandrea) fosse originaria proprio della Grecia. Salvatore era il secondogenito di Gaetano Quasimodo (1867 – 1960) e Clotilde Ragusa (1877 – 1950) e la famiglia paterna era originaria di Roccalumera (in provincia di Messina). Fu a Roccalumera che il piccolo Salvatore fu battezzato (l’11 settembre 1901) e fu in quella cittadina del messinese che Clotilde e i figli trovarono rifugio dall’alluvione che, nella notte tra il 25 e il 26 settembre del 1902, aveva colpito Modica. Ma il peregrinare della famiglia Quasimodo era incessante: seguivano, infatti, i frequenti spostamenti del padre che, come ferroviere, veniva trasferito da una stazione all’altra. I Quasimodo si stabilirono, così, nella già citata Roccalumera, a Gela, ad Acquaviva e Trabia. Dopo il devastante terremoto che colpì Messina il 28 dicembre 1908, i primi di gennaio del 1909 Gaetano Quasimodo ebbe l’incarico di riorganizzare la stazione ferroviaria della città dello Stretto e la famiglia lo seguì vivendo, i primi tempi, in un carro merci ferroviario, in quanto la città era stata quasi del tutto rasa al suolo. A Messina nel 1919 Salvatore si diplomò all’Istituto Tecnico Matematico-fisico A.M. Jaci. Durante gli anni degli studi aveva conosciuto Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, con i quali mantenne viva l’amicizia per tutta la vita. Conseguito il diploma, lasciò la Sicilia alla volta di Roma dove si era iscritto all’Università, ma le precarie condizioni economiche gli impedirono di continuare gli studi con serietà. Per poter vivere, accettò di fare i lavori più disparati, come il commesso in un negozio di ferramenta o l’impiegato alla Rinascente dalla quale venne licenziato per aver organizzato uno sciopero il giorno prima dell’entrata in vigore della legge fascista che li vietava. Nel 1926 si trasferì a Reggio Calabria dove era stato nominato «geometra straordinario» del Genio civile. Quell’anno sposò Bice Donetti con la quale aveva vissuto more uxorio fin dagli anni romani. Nel 1929, su invito del cognato Elio Vittorini (che aveva sposato Rosa Quasimodo), andò a Firenze dove entrò in contatto con l’ambiente letterario e vi conobbe Eugenio Montale. Il 1930 vide la pubblicazione del suo primo volume di poesie: Acqua e terre. Seguì nel 1932 Oboe sommerso. Nel 1936 Erato e Apollion. Nel 1942 Ed è subito sera che ottenne un immediato successo di vendite. Nel 1947 Giorno dopo giorno. Nel 1949 è La vita non è sogno. Nel 1956 Il falso e vero verde. Nel 1958 La terra impareggiabile e nel 1966 Dare e avere suo ultimo volume di poesie. Nel 1931 venne trasferito al Genio civile di Imperia, dove conobbe Amelia Spezialetti dalla quale, nel 1935, ebbe la figlia Orietta. Nel 1932 vinse il premio dell’Antico Fattore a Firenze. PROGRAMMAZIONE DISCIPLINARE DI STORIA V ANNO 1L’età dell’imperialismo L’Imperialismo e la crisi dell’equilibrio europeo La “belle époque”. Lo scenario extraeuropeo L’Italia giolittiana 2 La prima Guerra mondiale La rivoluzione russa L’Europa e il mondo dopo il conflitto L’età dei totalitarismi e la seconda Guerra mondiale Il Fascismo Gli Stati Uniti e la crisi del ’29 Il Nazismo La seconda Guerra mondiale Il dopoguerra Il mondo bipolare: dalla guerra fredda alla dissoluzione dell’URSS Il bipolarismo USA-URSS, la guerra fredda e i tentativi di disgelo La decolonizzazione La fine della guerra fredda Verso nuovi equilibri L’Italia della prima Repubblica STORIA I CAMBIAMENTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI (800-900) Il periodo a cavallo fra il XIX e il XX secolo fu caratterizzato da una forte crescita economica in Europa e nel mondo e dalla conseguente affermazione di una moderna società di massa. L’espansione economica fu determinata dallo sviluppo dell’industria, che fu reso possibile dalle innovazioni tecnologiche, dalla scoperta e dallo sfruttamento di nuove fonti energetiche come il petrolio e l’elettricità e soprattutto da una nuova organizzazione del lavoro basata su una razionalizzazione del processo produttivo e l’invenzione della catena di montaggio. Si verificò anche una crescita del settore bancario che cominciò ad investire nell’industria e nel commercio. La sviluppo capitalistico ebbe come conseguenza la nascita dell’imperialismo e la corsa alla conquista di nuove colonie ricche di risorse naturali. Con l’espansione economica si ebbero pure cambiamenti nella società europea con la nascita di nuovi ceti sociali come il ceto medio o piccola borghesia e il ceto operaio o classe operaia. La nuova società di massa vide l’affermarsi di movimenti e associazioni, di stampo socialista e cattolico, che si posero l’obiettivo di tutelare gli interessi della popolazione. Lo sviluppo tecnologico, industriale ed il progresso favorirono la diffusione di stili di vita spensierati e proprio questa voglia di vivere fu definita Belle Epoque ossia un’epoca bella. Migliorarono le condizioni igienico-abitative, aumentarono i consumi, si moltiplicarono i divertimenti, si sviluppo il turismo, nacque lo sport di massa. Con lo sviluppo economico progredirono le scienze, la medicina, i trasporti e le comunicazioni. Tutto ciò portò a veri cambiamenti nella società, a volte problematici, con la perdita dei valori tradizionali. Si determinò così una certa inquietudine, insicurezza e irrazionalità che alimentò pensieri e atteggiamenti nazionalisti e razzisti. LO SCENARIO MONDIALE ALLA VIGILIA DELLA GRANDE GUERRA STATI UNITI Agli inizi del XX secolo, negli Stati Uniti ci fu uno sviluppo industriale che si tradusse in espansione imperialistica e mirò allo sfruttamento economico. Le mire espansionistiche americane si estesero alle Filippine, Portorico, Cuba, al canale di Panama e al Messico. Cuba diventò indipendente dalla Spagna nel 1898 ma subì un forte controllo da parte degli USA. Dopo l’indipendenza di Panama nel 1903, gli USA si fanno assegnare dalla nuova repubblica l’amministrazione della zona del canale che venne inaugurato nel 1914. In Messico dopo la rivoluzione messicana tra il popolo e la dittatura di Diaz, gli Stati Uniti ripresero forza controllando i ricchi giacimenti petroliferi e minerari. Tutto ciò consolidò la nascita dell’imperialismo americano e consentì di affiancarsi alle grandi potenze europee. GIAPPONE E RUSSIA Il Giappone all’inizio del XX secolo consolidò lo sviluppo industriale e avviò un processo di modernizzazione della struttura sociale. Si orientò verso una politica imperialista. Anche la Russia conobbe un deciso sviluppo industriale determinando la crescita del proletariato e la e la nascita del partito operaio. Nel 1903, nel corso del congresso del partito socialdemocratico russo, prevalse la linea di Lenin che voleva la conquista del potere da parte di contadini e operai attraverso la rivoluzione. In politica estera, lo zar Nicola II intraprese una decisa espansione verso l’estremo oriente, dove si scontrò con il Giappone da cui fu battuto nella guerra russo-giapponese tra il 1904 e il 1905. Tutto ciò causò un’ondata rivoluzionaria da parte dei contadini operai, borghesi e intellettuali e che spinse lo zar a fare alcune concessioni ma ciò non bastò a democratizzare la società russa. EUROPA All’inizio del 900 in Francia ci furono agitazioni sociali e una forte spinta nazionalista. In Gran Bretagna nacque il partito laburista con un forte politica riformista. E mentre il paese affrontava la questione irlandese, iniziò l’animata lotta delle donne, chiamate suffragette, che volevano il diritto di voto. Nel 1907 Francia, Gran Bretagna e Russia diedero vita alla Triplice Intesa. In Germania ci fu un forte nazionalismo e militarismo oltre che un intenso sviluppo industriale e commerciale. Continuava ad aderire alla Triplice Alleanza insieme all’Austria e all’Italia mentre emergevano forti crisi dovute allo scontro coloniale con la Francia che portò tra il 1905 e il 1911 alle due crisi marocchine nel corso delle quali le due potenze giunsero a un passo dallo scontro armato a causa delle loro pretese sullo stato nordafricano. Un’altra crisi ci fu nei Balcani. Infatti l’area balcanica era contesa tra Austria, Serbia, Russia e Turchia. LA PRIMA GUERRA MONDIALE (1914-1918) La guerra fu determinata dal concorso di numerosi elementi, il principale dei quali era costituito dai contrastanti interessi delle grandi potenze europee. Da una parte Gran Bretagna e Francia, che disponevano di vasti imperi coloniali da cui traevano risorse a costi contenuti e in quantità pressoché illimitata e che costituivano un mercato enorme; dall'altra la Germania, che aveva goduto di un rapidissimo tasso di sviluppo tecnologico e industriale, ma che poteva accedere solo ai marginali mercati dell'Europa centrale e orientale. Numerose altre situazioni di crisi contribuirono a determinare lo scoppio del conflitto: i fermenti nazionalistici, in particolare in Italia e nei Balcani, che l'impero austro- ungarico non era più in grado di controllare; il panslavismo della Russia, che mirava a un'espansione nell'Europa sud-orientale a scapito del decadente impero ottomano; il desiderio di rivincita della Francia sulla Germania dopo la sconfitta del 1870 e la conseguente perdita di Alsazia e Lorena. La scintilla della guerra fu un episodio grave, ma di per sé insufficiente a scatenare un conflitto mondiale: l'assassinio dell'erede al trono austriaco, l'arciduca Francesco Ferdinando, e della moglie, a Sarajevo per mano di uno studente serbo nazionalista (28 giugno 1914). Il conseguente ultimatum austriaco, che poneva delle richieste umilianti alla Serbia, fu respinto e il 28 luglio si accese quella che pareva essere una nuova guerra balcanica. Invece il conflitto in breve si allargò, fino ad uscire dai confini dell'Europa. Dalla parte della Serbia si schierarono la Russia, che proteggeva da anni gli stati slavi, l'Inghilterra e la Francia (i cosiddetti Alleati). Poco tempo dopo si aggiunse anche il Giappone, che voleva battere la concorrenza tedesca in Cina e che quindi dichiarò guerra alla Germania. Dall'altra parte, infatti, erano entrate in guerra l'Austria, l'Ungheria e la Germania, successivamente si era schierata al loro fianco anche la Turchia, nemica della Russia. L'Italia si era invece dichiarata neutrale, dal momento che la Triplice Alleanza, cui essa apparteneva, aveva un carattere difensivo, mentre l'Austria aveva attaccato per prima e per giunta senza consultare nemmeno l'alleato italiano. Nel nostro paese la maggioranza era contraria alla guerra. Tra coloro che non la volevano (neutralisti) c'erano i socialisti, i giolittiani e i cattolici. Tra quelli che invece volevano l'entrata in guerra (interventisti) c'erano i nazionalisti, quella parte dei socialisti che avevano abbandonato il partito con B. Mussolini e i grandi gruppi industriali, interessati agli alti profitti delle commesse5 militari. gliinglesi: em 1 mil'one di Indiani avevano bisogno ra i \ € Raf: TT dalecaonie pete Ye dell'Indocina __ ( une guerra | ehfica francese >. mondiale Gi USA ettacoati cai sommergibili tedeschi USA Brasil, “invita Stati dell'America latina e One Gli STATI UNITI entrano in guerra Giappone contro la Germania per tagliare la colorie asiatiche | | 6 aprile 1917 FRONTE FRONTE gia ITALIANO ORIENTALE CO pani truppe US sbarcano in Europa Americani con Francesi e Inglesi cambia lgovempe al corando Armando Diaz sostituisce Cadoma acomne 7 RIVOLUZIONE RUSSA la fame nelle città e la guerre sulronte orientale gortano a confitti interi e ricacciare gi Austriaci alci là cale Alpi Francia è Belgio Îl generale È fetupre messe LugiCadoma } cme er tinta lungo fiume Isonzo Î Gfenere a petra: destituzione e arresto dei Tedeschi e sul'Altopano dl Carso | Diaz pronte deloZiR == î terre si contadi.. — tra sitresformò in Ì 1917 in Germania: guerra ci trincea Î scoppia le Îl Kaiser in fuga; con grandi perdite Î gl Piave rivoluzione proclamata la repuoblica $ . ey sù 11 novembre 1918 1916 e pren al governo Lenin algo ande o ‘na: tori le Germania grande offensiva italien: i Vitorioveneto {o concuista ci Gorizia Ì disfata degl Austriaci Ti fra le resa Î Tono andhela a] i 3 ' la Russi siitra |_famnk } Diaz sogtenito 4 novembre 1918 dalla quere Aa Moena i e dtemie| (Tanta FINE gli Austriaci fondano le linee italiane | Alleati Ne della querra Spingendo indietro di 150 km ES dn tale l'esercito italieno sul fiume Piave LE CARATTERISTICHE, coinvolge ogni aspetto della società ln razionamento aerei viveri perla (bombardier, popolazione civile caccia) le donne confezionavano vestiti peri soldati Î ragazzi portavano la legna a scuola costruzione dell'idea del nemico chiesti prestiti al popolo per continuare la guerra Viene chiesto dl arruolarsi come volontari nell'esercito entrano in massa nel mondo del lavoro manifestazioni contro la guerra DOPO LA GRANDE GUERRA Terminata la guerra furono siglati i trattati di pace tra le potenze vincitrici e quelle sconfitte. Le frontiere d'Europa subirono radicali trasformazioni. Le sanzioni inflitte ai Tedeschi furono gravissime. La Germania fu condannata a pagare pesanti debiti di guerra, a subire l'occupazione militare e a ridurre il suo esercito a soli 100.000 uomini. Inoltre dovette cedere l'Alsazia e la Lorena ai Francesi e perse tutte le sue colonie. Le ingenti riparazioni di guerra imposte alla Germania e la conseguente crisi economica contribuirono a gettare il seme della guerra che sarebbe scoppiata solo vent'anni dopo. L'Impero austro-ungarico fu diviso in una serie di stati indipendenti di piccole dimensioni: Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia. L'Italia, che era tra le nazioni vincitrici, venne trattata come una potenza di secondo piano. Gli Stati Uniti dichiararono di non riconoscere la validità del patto di Londra (che si proponeva di assegnare all'Italia oltre al Trentino e all'Alto Adige un vasto tratto della costa dalmata). Il presidente del Consiglio italiano abbandonò per protesta la Conferenza di pace di Parigi; quando vi fece ritorno tutto era stato già deciso. All'Italia vennero assegnati unicamente il Trentino, l'Alto Adige e parte dell'Istria (che si trova al confine con il Friuli Venezia Giulia). Alla Conferenza di pace di Parigi il presidente americano Wilson svolse un ruolo dominante, presentando un suo piano, articolato in 14 punti. Tale piano prevedeva tra l'altro l'abolizione della diplomazia segreta, la riduzione degli armamenti, l'autodeterminazione dei popoli, la creazione di una Società delle Nazioni per regolare pacificamente i rapporti tra gli stati, la piena libertà commerciale. Il piano di Wilson non fu esente da critiche, alcuni infatti osservarono che principi come la libertà commerciale e la rinuncia all'uso della forza avrebbero favorito chi già si trovava ad essere il più forte. Fallimentare fu senza dubbio la creazione della Società delle Nazioni (antenata dell'ONU), che non sarebbe riuscita a evitare futuri conflitti. La guerra aveva aperto in Europa una crisi enorme. Il numero dei morti aveva superato gli 8 milioni e il crollo della popolazione fu accentuato dal fatto che i caduti in guerra erano quasi esclusivamente uomini tra i 30 e i 40 anni. Le regioni sottoposte ai bombardamenti avevano subito distruzioni spaventose, i debiti contratti (soprattutto con gli Stati Uniti) per far fronte all'impegno militare avevano impoverito gli Alleati europei. Finita la guerra civile, nel 1921, Lenin fu quindi costretto a varare una Nuova politica economica (Nep), basata sui principi del libero mercato e dell'iniziativa privata. Anche le industrie furono riorganizzate sulla base del principio capitalistico del massimo profitto possibile e furono aperte le porte agli investimenti stranieri (non appena terminata l'emergenza, il Paese raggiunse una salda struttura economica, i criteri capitalistici furono abbandonati e si tornò a un controllo rigido dello Stato in tutti i settori della vita economica). Nel 1922 il nuovo stato prese il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Lenin morì nel 1924. Tra i suoi possibili successori (Trotzki e Stalin) prevalse Stalin, che varò una vera e propria "seconda rivoluzione", basata sulla rapida industrializzazione e sulla collettivizzazione forzata delle terre. I costi umani di questa operazione furono altissimi ma i risultati furono enormi: in 15 anni un paese agricolo, semianalfabeta e in miseria divenne la seconda potenza industriale dopo gli Stati Uniti. L'ITALIA FASCISTA Nell'Italia del dopoguerra vi erano diversi motivi di malcontento. In primo luogo vi era il rancore, provato soprattutto dai nazionalisti, per la "vittoria mutilata", cioè per il mancato rispetto da parte degli Alleati, degli impegni presi con l'Italia (che avrebbe dovuto annettersi in caso di vittoria la costa dalmata). Dal 1919 al 1922 l'Italia fu sconvolta inoltre da scioperi e agitazioni sociali per richiedere miglioramenti di stipendio e iniziative contro l'aumento dei prezzi e la disoccupazione. Quando poi gli operai occuparono le fabbriche e i contadini invasero le terre chiedendone la distribuzione (promessa loro durante la guerra), gli industriali e i grandi proprietari terrieri temettero la rivoluzione socialista. Anche la piccola e la media borghesia, impoverite dall'inflazione, erano ostili all'ascesa del proletariato. Tra i borghesi scontenti c'erano anche gli ex ufficiali, che, dopo aver ricoperto in guerra posti di comando, mal si adattavano a una grigia vita lavorativa. Alla crisi sociale si aggiunse la crisi politica, dovuta alla crescita del Partito socialista e del Partito popolare (quest'ultimo di ispirazione cattolica), che esprimevano le esigenze di maggior democrazia delle masse popolari e che tolsero ai liberali il controllo del parlamento. All'interno del Partito socialista, però, si andò ampliando la frattura tra riformisti (che proponevano una politica di riforme graduali) e massimalisti (che volevano realizzare il programma "massimo" della rivoluzione socialista e abbattere il capitalismo), tanto che nel 1921 il gruppo estremista di Gramsci uscì dal partito e fondò il Partito Comunista Italiano, che si proponeva di guidare il popolo alla rivoluzione. Negli ambienti borghesi a questo punto dilagò la paura del "pericolo rosso". In questa situazione acquistò forza il Partito fascista fondato da Benito Mussolini, che proponeva l'uso della forza per stabilire la pace sociale e scongiurare il pericolo comunista ma in realtà Mussolini intendeva instaurare una dittatura personale e agì in modo da eliminare progressivamente le idee liberali. Il 28 ottobre 1922 cinquantamila fascisti effettuarono una marcia su Roma, come manifestazione di forza, e Mussolini ricevette dal re Vittorio Emanuele III l'incarico di Capo del Governo. Le elezioni del 1924 avvennero in un clima di minacce e violenze nei confronti degli avversari politici e diedero al Partito fascista la maggioranza in parlamento. L'uccisione dell'onorevole socialista Matteotti da parte di sicari fascisti scosse l'opinione pubblica italiana e i deputati dell'opposizione reagirono abbandonando per protesta il parlamento per costringere il sovrano ad allontanare Mussolini, ma questa decisione non venne presa. Da quel momento ebbe inizio la dittatura fascista e l'organizzazione dello Stato fu modificata in modo da attribuire a Mussolini sia il potere esecutivo, sia il potere legislativo: egli controllava tutta la politica italiana. Molti reputavano che il fascismo fosse un male necessario, ma temporaneo, cosa che invece non fu. Gli ultimi governi liberali tollerarono le violenze fasciste contro le sedi sindacali e socialiste allo scopo di indebolire l'opposizione, soprattutto socialista. Dopo che l'incarico di capo del governo venne affidato a Mussolini, i partiti di opposizione adottarono metodi maldestri e controproducenti, come l'abbandono dei luoghi ufficiali della politica, che lasciò il parlamento nelle mani dei fascisti. Il re, infine, si mostrò sempre timoroso e debole, fin dal momento della marcia su Roma, quando non si affrettò a dare l'ordine di fermare i fascisti con l'esercito e anzi affidò a Mussolini l'incarico di Primo Ministro. Nel 1929 il potere di Mussolini fu ulteriormente rafforzato dai Patti Lateranensi, tra lo Stato italiano e il Vaticano. Mussolini riconobbe il Vaticano come stato indipendente, pagò un'indennità per i beni confiscati dopo l'Unità, riconobbe la validità civile del matrimonio religioso e s'impegnò a impartire l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Con questa mossa il fascismo ottenne l'appoggio della Chiesa e si avvicinò anche alle grandi masse cattoliche. Economia e società furono organizzate e controllate direttamente dallo Stato fascista, secondo i principi che dovevano fare dell'Italia una grande nazione, degna del glorioso passato imperiale di Roma. L'agricoltura divenne l'attività principale, quella che doveva assicurare l'autosufficienza alimentare all'Italia. Particolare cura fu posta nell'educazione della gioventù ai valori del fascismo (disprezzo della democrazia, culto della forza, fede nel duce Mussolini). Il fascismo fu un regime reazionario in quanto si basò: • sulla repressione delle libertà individuali (attraverso tribunali speciali, polizia politica, censura); • sulla difesa degli interessi del grande capitale (leggi antisciopero); • sullo svuotamento del Parlamento e sulla dittatura (tutti i poteri al "duce"). Il fascismo fu anche un regime di massa, in quanto esso cercò di creare consenso intorno alla politica del governo, attraverso la propaganda e l'inquadramento dei cittadini. I ragazzi vennero inseriti nelle organizzazioni di partito fin da bambini (Opera nazionale dei Balilla), coinvolti in parate e attività di addestramento militare; l'iscrizione al partito fascista divenne indispensabile per accedere agli impieghi statali. Gli antifascisti, perseguitati e ridotti al silenzio, passarono anni in carcere, come Antonio Gramsci (che fu liberato solo alcuni giorni prima della morte), o furono costretti a fuggire all'estero. IL NAZISMO La nascita e la crescita del Nazismo, così chiamato dal partito nazionalsocialista fondato da Adolf Hitler, si inquadra nella disperata situazione in cui si trovava la Germania dopo la Prima guerra mondiale: una popolazione umiliata, l'obbligo di pagare pesantissimi debiti di guerra, disoccupazione, inflazione, un governo incapace di risolvere queste emergenze e di sostenere la Repubblica di Weimar, nata nel 1919 dopo la caduta del Kaiser Guglielmo II. Nello stesso 1919 i comunisti avevano tentato una sollevazione armata per compiere una rivoluzione di tipo sovietico, ma erano stati repressi sanguinosamente. Hitler tentò a sua volta inutilmente di rovesciare il governo nel 1923 (Putsch di Monaco) e fu arrestato; ma uscì presto di prigione dove aveva intanto esposto il suo programma in un libro intitolato Mein Kampf. La sua propaganda, dopo di allora, fece leva in modo sempre più esplicito sul nazionalismo (promettendo di ricostruire il primato industriale e militare della Germania) e sul razzismo (indicando negli ebrei i responsabili della rovina tedesca).Queste due parole d'ordine, raccolte dalla maggioranza della popolazione, gli permisero nel 1932 di ottenere una vittoria elettorale di enormi proporzioni e nel 1934 di impadronirsi del potere. Proclamatosi Führer (capo) e fondatore del Terzo Reich, Hitler varò leggi eccezionali che trasformarono la Germania in una dittatura fondata sul terrore. Eliminati i suoi oppositori politici, egli varò nel 1935 le Leggi di Norimberga, che dichiaravano gli ebrei “razza inferiore" e aprivano la strada a una persecuzione di massa che portò allo sterminio di milioni di persone (non solo ebrei, ma anche zingari, omosessuali, comunisti). Intanto Hitler iniziava il riarmo della Germania e si apprestava a realizzare quel programma di espansione territoriale promesso ai suoi elettori, che avrebbe dato ai Tedeschi il dominio del mondo. Il suo alleato naturale era Mussolini, e con lui strinse un patto nel 1936 (Asse Roma- Berlino), esteso poi anche al Giappone e trasformato nel 1939 in Patto d'acciaio. L'Italia fascista, che sin dal 1935 aveva invaso l'Etiopia, intervenne a fianco dell'alleato germanico nella Guerra di Spagna, che tra il 1936 e il 1939 oppose i sostenitori del Fronte popolare (sinistre e repubblicani) ai falangisti di Francisco Franco, che alla fine riuscirono ad abbattere la repubblica e a instaurare un regime di tipo fascista. Nel frattempo, Hitler iniziava una serie di mosse che, nelle sue intenzioni, avrebbero dovuto rapidamente portarlo a dominare l'Europa. Nel 1936 ordinò all'esercito di riprendere posizione in Renania; nel 1938 invase l'Austria e la annetté alla Germania (Anschluss); quindi, nello stesso anno, occupò la regione dei Sudeti, in Cecoslovacchia, e successivamente la Boemia e la Moravia. Nel 1939, mentre Mussolini invadeva a sua volta l'Albania, Hitler concludeva un patto di non aggressione con Stalin, che gli permetteva di attuare la seconda parte del suo piano: l'occupazione della Polonia. LA SECONDA GUERRA MONDIALE Il 1° settembre del 1939 le truppe naziste invasero la Polonia mettendo in atto la guerra lampo. Per reazione Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania, mentre l'Unione Sovietica la Polonia orientale. Le operazioni di guerra continuarono nel 1940 con l'invasione tedesca di Norvegia e Danimarca; nel maggio i Tedeschi invasero la Francia giungendo fino a Parigi. La Francia settentrionale rimase sotto il diretto dominio tedesco, mentre in quella meridionale fu creato un governo filotedesco presieduto da Pétain. Il vittorioso ingresso dei Tedeschi in Francia spinse Mussolini a far entrare l'Italia in guerra il 10 giugno 1940. La sconfitta delle truppe italiane in Africa e in Grecia provocò l'intervento tedesco anche su questi fronti. Deciso a invadere l'Inghilterra, Hitler sottopose le città e le basi militari britanniche ad un intenso bombardamento aereo; la battaglia di Inghilterra fu però un insuccesso e Hitler, rinunciando all'invasione dell'isola, concentrò le sue forze sul fronte orientale. Dopo aver occupato la penisola balcanica, nel giugno del 1941 iniziò l'Operazione Barbarossa, attraversando senza preavviso il confine russo e giungendo, a ottobre, quasi a Mosca. Per ordine di Stalin le truppe russe si ritirarono senza dar battaglia, lasciando dietro di sé “terra bruciata ”. Ostacolati dalla guerra partigiana e dal gelo, privi di rifornimento, i Tedeschi dovettero fermarsi e la guerra lampo si trasformò in guerra d'usura. Nel frattempo il Giappone, per realizzare il suo progetto di espansione nel Pacifico, aveva attaccato Pearl Harbor, nelle Hawaii, e invaso Indocina, Filippine, Birmania, Indonesia e Nuova Guinea. Per reazione gli Stati Uniti dichiararono la guerra. Mentre le popolazioni dei paesi occupati subivano la dura dominazione tedesca, gli Alleati prepararono la controffensiva, che iniziò all fine del 1942 e fu vittoriosa in Africa, nel Pacifico e a Stalingrado. Nel 1943, quando le truppe angloamericane sbarcarono in Sicilia, in Italia si era già sviluppata una forte opposizione alla guerra e al fascismo. Mussolini fu messo in minoranza dagli stessi gerarchi fascisti e fatto destituire e arrestare dal re. Il nuovo capo del governo, Badoglio, firmò con gli Alleati un armistizio, reso noto l'8 settembre. I Tedeschi per reazione occuparono l'Italia, con feroci rappresaglie contro militari e civili, e liberarono Mussolini, che fondò la Repubblica sociale italiana (con sede a Salò, sul lago di Garda). Mentre le truppe alleate risalivano lentamente la penisola, dietro le retrovie tedesche si andava organizzando un movimento popolare di resistenza, che trovò il proprio punto di riferimento nel Cln (Comitato di Liberazione Nazionale). Nell'aprile 1945 le formazioni partigiane proclamarono l'insurrezione nazionale, che portò alla liberazione delle città del Nord, alla cattura e uccisione di Mussolini e alla fine della guerra in Italia. Intanto, il 6 giugno 1944 con lo sbarco in Normandia gli Alleati avevano iniziato l'offensiva finale contro la Germania: in agosto Parigi veniva liberata, mentre i sovietici arrivavano a Varsavia. Nel febbraio del 1945, a Yalta, Roosvelt, Churchill e Stalin si riunirono per concordare l'assetto da dare all'Europa dopo la sconfitta della Germania. Nel maggio 1945 Berlino fu occupata, Hitler si suicidò e la Germania si arrese. Il Giappone fu costretto alla resa nel settembre, dopo che due bombe atomiche avevano distrutto il mese prima le città di Hiroshima e Nagasaki. Varsavia (1955) i due blocchi si contrapponevano anche sul piano delle alleanze militari. In Europa si diede una concreta risposta alla crisi economica fondando nel 1951 la Ceca (Comunità europea del carbone e dell'acciaio, che permise la libertà di commercio, senza dazi doganali, di fondamentali materie prime) e nel 1957 il Mec (Mercato comune europeo, composto inizialmente da sei membri: Francia, Germania occidentale, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo), che estese la libertà di circolazione a molte altre merci. La decolonizzazione Alla fine della Seconda guerra mondiale i paesi europei possedevano ancora vaste colonie in Asia e Africa. In molte di esse erano già sorti movimenti nazionalisti che rivendicavano l'indipendenza, mentre in altre la lotta per la decolonizzazione si accompagnava a quella per la fondazione di una società socialista. Le due superpotenze non avevano stipulato alcun accordo sulla spartizione di questi territori, al controllo dei quali erano molto interessate. In Asia il primo paese che si era ribellato alle potenze europee era stato la Cina, dove, dopo una dura lotta, le forze comuniste guidate da Mao Tse-tung riuscirono nel 1949 a imporsi e instaurare la Repubblica popolare cinese. Alla vittoria comunista in Cina si ricollegano gli avvenimenti della Corea e del Vietnam. In Corea, che alla fine dell'occupazione giapponese era stata divisa in due parti (al 38° paralleo), il governo nordcoreano invase la Corea del Sud nel 1950, per riunificare il paese; ne seguì una sanguinosa guerra, in cui la Corea del Nord ebbe l'appoggio di URSS e Cina mentre la Corea del Sud fu sostenuta dagli Stati Uniti. La guerra si concluse nel 1953 con un nulla di fatto perché venne ribadita la divisione del territorio in due parti al 38° parallelo. Nel Vietnam la guerra portò al ritiro dei Francesi nel 1954, ma lasciò il paese diviso in due parti: il Nord comunista e il Sud sotto l'influenza degli Americani. In India, a partire soprattutto dalla fine della Prima guerra mondiale, si era sviluppato un movimento di opposizione non violenta contro il dominio inglese sotto la guida di Gandhi. Concedendo l'indipendenza, nel 1947 gli occidentali ne divisero il territorio: la Federazione Indiana induista e il Pakistan musulmano. Dopo la Seconda guerra mondiale ottennero l'indipendenza anche le altre colonie inglesi in Asia e Africa. Solo in Rhodesia e in Sudafrica, paesi dotati di immense ricchezze minerarie, i coloni rifiutarono di andarsene e diedero autonomamente vita a governi indipendenti, in cui il controllo sulle maggioranze nere locali veniva attuato con leggi razziste. In modo travagliato è avvenuta anche la decolonizzazione di alcuni dei paesi affacciati sul Mediterraneo. In Palestina la creazione dello Stato di Israele, nel 1948, provocò l'esodo forzato di oltre un milione di Palestinesi verso gli altri paesi arabi. I conflitti successivi tra Israele e i paesi arabi non sono riusciti a dare un assetto definitivo alle frontiere, né a risolvere il problema dei profughi palestinesi. Nel 1956 in Egitto il presidente Nasser proclamò la nazionalizzazione del canale di Suez (controllato fino ad allora da compagnie anglo-francesi). Questa decisione colpiva direttamente gli interessi commerciali inglesi e francesi e minacciava gravemente gli Israeliani, che temevano che il presidente egiziano (capo di un paese arabo e di conseguenza nemico degli Israeliani) avrebbe vietato il passaggio delle loro navi nel Canale. Francia, Inghilterra e Israele decisero allora di intervenire militarmente e in pochi giorni ebbero ragione delle forze egiziane. Si apriva una nuova pericolosissima crisi, nella quale USA e URSS intervennero pesantemente e intimarono agli aggressori di sgombrare. Questo intervento trasformò la disfatta militare di Nasser in una grande vittoria politica. In seguito però Egitto e Israele si scontrarono ancora militarmente, fino al 1978 quando il nuovo presidente egiziano Sadat concluse la pace con lo stato nemico. In Algeria la fine della colonizzazione francese è avvenuta in seguito a una lunga e sanguinosa lotta tra il movimento di liberazione nazionale e le forze più conservatrici che in Francia sostenevano gli interessi dei coloni. Solo l'intervento del generale De Gaulle evitò lo scatenarsi della guerra civile in Francia; dopo il ritiro delle truppe francesi, nel 1962 fu riconosciuta l'indipendenza dell'Algeria. Drammatica è stata anche la liberazione del Congo belga, dell'Angola e del Mozambico, queste due ultime colonie portoghesi, che ottennero l'indipendenza nel 1975, grazie anche alla fine del regime dittatoriale in Portogallo. Dalla guerra fredda alla distensione La guerra fredda, durata dal 1947 al 1962, ebbe diverse conseguenze, tra cui l'aumento dell'armamento nucleare. La politica estera degli Stati Uniti subì una svolta: la paura per la diffusione del comunismo portò infatti gli USA a elaborare un principio in base al quale gli Americani avrebbero potuto usare gli ordigni nucleari per difendere i “paesi amici” da un eventuale attacco sovietico. Nell'URSS, invece, la guerra fredda determinò un aumento del controllo sui paesi satelliti. Verso la fine degli anni Sessanta le tensioni internazionali cominciarono ad attenuarsi e iniziò un'epoca chiamata di distensione, che ebbe al suo inizio come protagonisti il successore di Stalin, Kruscev, e il nuovo presidente degli USA, Kennedy. Kruscev diede il via al processo detto di destalinizzazione, che portò alla sostituzione degli esponenti stalinisti anche in alcuni paesi socialisti, tra cui la Polonia e l'Ungheria (1956). In Ungheria però l'intenzione del nuovo governo di uscire dal Patto di Varsavia, sostenuta da manifestazioni popolari, provocò l'intervento militare russo, che soffocò nel sangue la ribellione. In politica estera Kruscev sostenne la coesistenza pacifica e lanciò un piano di competizione economica con gli USA. Da parte sua Kennedy favorì gli incontri tra esponenti americani e russi e la collaborazione scientifica ed economica tra i due paesi. Il nuovo assetto politico fu messo alla prova in occasione delle crisi di Berlino e di Cuba, in cui fu comunque evitato il ricorso alle armi. Nel 1961, per porre fine alle fughe di Tedeschi orientali in Occidente, mediante il passaggio dalla zona est a quella ovest della città di Berlino, Kruscev fece erigere nel giro di una sola notte un muro che dividesse le due zone della città. Il muro di Berlino riuscì effettivamente a rendere assai più difficile l'impresa di chi voleva fuggire, ma frenò il processo di distensione tra le due superpotenze, a causa dell'ondata di sdegno che investì l'Europa e gli Stati Uniti di fronte a un'azione che appariva brutale e contraria a ogni principio di libertà. Ancora più pericolosa fu la crisi di Cuba nel 1962. L'isola, distante solo 150 Km dalla Florida, aveva abbattuto nel 1958 il regime dittatoriale di Batista, dopo sei anni di guerriglia condotta da Fidel Castro. Da più di mezzo secolo l'economia dipendeva interamente da quella degli Stati Uniti, che a Cuba possedevano anche una base militare. Deciso a tagliare questi legami di dipendenza, Castro si era sempre più avvicinato all'URSS. Il presidente statunitense Kennedy decise allora di bloccare l'acquisto dello zucchero, l'unico prodotto cubano di esportazione, sperando così di soffocare l'economia dell'isola, e contemporaneamente tentò uno sbarco militare alla Baia dei Porci, che però fu respinto dai Castristi. Nello stesso anno i servizi segreti americani scoprirono che i Russi stavano installando a Cuba missili nucleari puntati contro gli USA. Per quattro giorni il mondo intero visse con la paura di essere sull'orlo di una terza guerra mondiale. La crisi si concluse con il ritiro delle installazioni missilistiche da Cuba, contro la promessa da parte degli Stati Uniti di rinunciare a ogni tentativo di invasione. A dissuadere dall'impiego della forza in questi due momenti di crisi aveva contribuito anche l'alto grado di capacità distruttiva raggiunto dalle due superpotenze nella corsa agli armamenti. La consapevolezza della pericolosità delle armi atomiche favorì l'inizio, nel 1969 a Helsinki, dei colloqui per la limitazione delle armi strategiche (Salt). Un contributo al processo di distensione fu dato anche dal papa Giovanni XXIII, che promosse il dialogo e il rispetto di tutti gli uomini indipendentemente dalle loro idee politiche. Malgrado la distensione, una serie di conflitti ha coinvolto le due superpotenze negli anni successivi; si è trattato però di conflitti limitati, in cui non si è fatto ricorso alle armi nucleari, anche quando una delle due superpotenze è intervenuta direttamente, come nel caso del Vietnam (il Vietnam del Nord, con l’appoggio dell’URSS e della Cina, sostenne una lunga guerra contro il Vietnam del Sud e l’esercito degli Stati Uniti, intervenuto in forze fin dal 1965; nel 1975, dopo il ritiro degli americani, il Vietnam formò un unico stato socialista). Forti sconvolgimenti hanno interessato anche la Cina, dove si è verificata una rottura dei rapporti con l'URSS e un avvicinamento agli USA in funzione antisovietica, ma anche per favorire la modernizzazione e lo sviluppo del paese. Il principio della non interferenza tra USA e URSS nelle rispettive zone di influenza è stato sostanzialmente rispettato. Ne sono esempio esplicito la Cecoslovacchia, dove l'Unione Sovietica è intervenuta militarmente contro un tentativo di liberalizzazione, e l'America Latina, dove gli Stati Uniti hanno riaffermato il loro predominio economico. Il Giappone, uscito sconfitto dalla guerra, ha avuto una ripresa economica rapidissima e in un ventennio è diventato la terza potenza industriale del mondo. Nei primi anni Settanta tutti i paesi occidentali furono investiti da una grave crisi economica, causata in primo luogo dalla forte crescita del prezzo del petrolio; i prezzi di tutti gli altri prodotti aumentarono, e molti settori industriali entrarono in crisi. L'Italia dal 1945 al 1990 Con le elezioni del 2 giugno 1946 la monarchia venne abrogata e venne eletta l'Assemblea Costituente, con il compito di preparare la nuova Costituzione, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948 (sostituendo dopo cento anni lo Statuto Albertino). La collaborazione fra i partiti, che aveva facilitato i lavori dell'Assemblea Costituente, si ruppe però durante la campagna per le elezioni del '48: la Democrazia cristiana, che prima aveva la maggioranza relativa, ottenne la maggioranza assoluta e per tutti gli anni '50 guidò governi centristi. Nel 1962, tuttavia, anche per opera di uomini politici democristiani (come Moro e Fanfani) sostenitori del dialogo con la Sinistra, venne varato il primo governo di centro-sinistra. Malgrado i miracolosi miglioramenti della situazione economica, restavano pur sempre problemi irrisolti e squilibri profondi: l'emigrazione, lo spopolamento delle campagne, i bassi salari. In risposta al malessere di quegli anni scoppiò nel 1968 la contestazione giovanile, un fenomeno
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