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La Teoria del Reato: Distinzione tra Evento in Senso Giuridico e Naturale - Prof. Belfiore, Appunti di Diritto Penale

Sulla distinzione tra evento in senso giuridico e naturale secondo la teoria del reato di rocco. La nozione di evento in senso giuridico e naturale, l'applicazione delle norme sulla causalità e la relazione tra azione e evento. Il testo conclude che l'articolo 40 c.p. Si applica solo ai reati di evento in senso naturale.

Tipologia: Appunti

2010/2011

Caricato il 22/10/2011

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Scarica La Teoria del Reato: Distinzione tra Evento in Senso Giuridico e Naturale - Prof. Belfiore e più Appunti in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! X LEZIONE DI DIRITTO PENALE 26/10/2007 Prima parte LA TEORIA GENERALE DEL REATO Stiamo trattando la teoria generale del reato; abbiamo terminato il pacchetto di principi costituzionali e abbiamo affrontato i primi rudimenti della teoria generale del reato. Riprendiamo brevemente ciò che abbiamo detto nella scorsa lezione. Fiandaca e Musco sono dei tripartitisti. I tripartitisti scompongono il reato in tre settori: il reato è un fatto umano TIPICO, ANTIGIURIDICO e COLPEVOLE. La TIPICITA’ è il primo gradino della costruzione sistematica del reato e verifica da conformità della fattispecie concreta rispetto alla fattispecie astratta. Richiamo anche alcune nozioni su cui ieri non mi sono soffermato. Le garanzie costituzionali → ossia la riserva di legge, la tassatività il divieto di retroattività e il divieto di analogia → si applicano al fatto tipico; lì è il momento in cui la costruzione della fattispecie incriminatrice deve essere fatta dalla legge, il legislatore la deve fare in maniera tassativa, deve funzionare nel tempo in maniera irretroattiva e il giudice non può interpretarla analogicamente. Quindi le garanzie costituzionali si applicano al primo gradino della costruzione sistematica del reato. Sul secondo gradino della costruzione sistematica del reato → L’ANTIGIURIDICITA’ → si verifica l’assenza delle cause di esclusione dell’antigiuridicità. Quindi per esserci reato il fatto deve essere TIPICO ed ANTIGIURIDICO. Se esiste una causa di giustificazione – esercizio di un diritto, consenso dell’avente diritto, uso legittimo delle armi, stato di necessità, legittima difesa – si escute l’ANTIGIURIDICITA’ e quindi il reato non sussiste. Questo secondo gradino della costruzione sistematica del reato è caratterizzato dalla extra penalità. Infatti mentre il fatto tipico è una categoria tipicamente penalistica, cioè si applicano tutte le garanzie penalistiche – riserva di legge, tassatività, retroattività, divieto di analogia, il principio della colpevolezza, ma in generale tutto il blocco costituzionale dei principi si applica al fatto tipico, non si applicano sul secondo gradino della costruzione sistematica del reato. L’antigiuridicità non è una categoria squisitamente penalistica, serve a mettere in contatto il diritto penale con tutti gli altri settori dell’ordinamento giuridico. Essa risponde a principi di non contraddizione. Esempio: la norma sul danneggiamento afferma che “chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 309,00 euro.” Poi c’è una norma civilistica che, invece, afferma che è consentito recidere le radici del vicino che pendono sul mio fondo. Quindi da una parte la norma penale incriminatrice condanna, incrimina e stigmatizza un determinato comportamento; dall’altra parte la norma civilitica facoltizza questa possibilità. Dunque, in questo mezzo, l’antigiuridicità è la categoria che serve a mettere in contatto il diritto penale con tutti gli atri settori dell’ordinamento giuridico, perché risolve la contraddizione. Quali sono i principi che reggono l’antigiuridicità? Gli stessi principi che reggono la tipicità? No, perché L’ANTIGIUIDICITA’ può trovare la sua fonte in una norma di grado inferiore (anche nella consuetudine), non è abbracciata dalla riserva di legge, non deve essere descritta necessariamente in forma tassativa. Esempio: quando leggo l’articolo 51 c.p.: “non è punibile chi ha commesso il fatto nell’esercizio di un diritto”, dove è la descrizione? Non esiste, quindi rinvia e funziona come una norma in bianco, cioè attinge il diritto dagli altri settori dell’ordinamento giuridico. Questo modo di costruire la causa di giustificazione non deve essere necessariamente avvinto dal principio di legalità e dalla riserva di legge; non è necessario che sia descritta in maniera tassativa può anche retroagire ed è suscettiva anche di interpretazione analogica. Esempio → un famoso caso: sequestro di persona, richiesta di riscatto, i parenti non pagano perché i beni sono bloccati, i sequestratori decidono all’indomani di uccidere il sequestrato. Il sequestrato durante la notte riesce ad impossessarsi di un arma ed uccide i sequestratori. È legittima difesa? Leggiamo l’art.52 c.p. “non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o d’altrui contro il pericolo attuale di un offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Dunque ci vuole la stringente necessità e l’attualità del pericolo. Se il pericolo è proiettato nel futuro, ad esempio domani mattina, un requisito fondamentale della legittima difesa manca. È suscettiva di interpretazione analogica? Quando sarete giudici, se succede un cosa del genere, potete estendere l’art.52 c.p. anche a questi casi? Sì. Abbiamo detto che il secondo gradino della costruzione sistematica del reato non è avvinto dalle stesse garanzie della tipicità. Quindi se sono sul primo gradino → riserva di legge, tassatività, divieto di irretroattività, divieto di analogia; se sono sul secondo gradino → non c’è bisogno della legge, non c’è bisogno della tassatività, non c’è bisogno della irretroattività, non c’è bisogno del divieto di analogia. Quindi dicevamo che sul primo gradino della costruzione sistematica del reato abbiamo tutte le garanzie; sul secondo gradino, invece, la causa di giustificazione può essere prevista da una norma di grado inferiore, non è necessario che sia descritta in maniera tassativa, può anche retroagire perché in bonam partem → l’art. 2 c.p. permette anche il trattamento più favorevole; inoltre l’escusione dell’antigiuridicità il giudice può interpretarla anche analogicamente cioè può estendere i termini che costruiscono la fattispecie giustificatrice anche in maniera analogica, Sul III gradino abbiamo la COLPEVOLEZZA, di cui sappiamo ancora poco. Dunque abbiamo di mira i due coefficienti psicologici: - il DOLO come coscienza e volontà del fatto cioè un coefficiente psicologico effettivo (es: Tizio prende la pistola e spara volontariamente contro il suo bersaglio); oppure un coefficiente psicologico potenziale, la COLPA, prevedibilità ed evitabilità del fatto. Questa è la scomposizione che Fiandaca e Musco ci propongono. io ti punto la pistola alla tempia e ti dico quello che devi fare e non hai possibilità di scelta. Questi sono due casi in cui l’azione cosciente e volontaria del I comma dell’art. 42 c.p. sicuramente non c’è. Il primo polo del fatto tipico dell’illecito commissivo doloso è questo di cui vi ho parlato. Il secondo polo del fatto tipico dell’illecito doloso è l’EVENTO . anche in questo caso ci sono dei problemi interpretativi, perché gli articoli 40, 41, 43, 49, 56 c.p. ci fanno pensare che questo evento dannoso o pericoloso ci deve essere in ogni reato, in ogni delitto. È possibile una definizione del doloso come quella contenuta nel I comma dell’art. 43? È possibile una definizione come quella contenuta nell’art. 40 comma I, che non valga per tutti i delitti? No perchè la parte generale del I libro del codice Rocco si applica a tutti i delitti e vale, dunque, non soltanto per interpretazione delle fattispecie di parte speciale contenuta nel II e III libro, ma vale anche per tutte le norme disciplinate e previste in tutti i settori del diritto penale complementare. Quindi, quando Rocco dice che il delitto doloso esige la previsione e la volontà dell’evento, allora vuol dire che in tutti i reati ci vuole l’evento. Quando l’art. 40 c.p. I comma stabilisce che l’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza del reato deve essere conseguenza dell’azione od omissione → bisogna prendere sul serio tale affermazione. E ancora l’art. 49 c.p. stabilisce che il reato è impossibile, e quindi il soggetto non è punibile, allorché per inidoneità dell’azione o per inesistenza dell’oggetto è impossibile l’evento dannoso o pericoloso. Ovviamente da tutto questo pacchetto di norme cosa si capisce? Che l’evento dannoso o pericoloso ci vuole in ogni reato. Fiandaca e Musco, invece, hanno affermato una cosa completamente diversa. Nella classificazione dei reati ci sono reati di azione e reati di evento: - i reati di azione (di mera omissione o di mera azione) sono quelli che si perfezionano con la semplice realizzazione della condotta (es: FAVOREGGIAMENTO, SIMULAZIONE DEL REATO, EVASIONE, FURTO ecc.); - ci sono altri reati in cui al compimento della condotta, per il perfezionamento del reato per la consumazione del reato è necessario che si aggiunga un evento inteso in senso naturalistico, come modificazione del mondo esteriore. Ora se questa distinzione di Fiandaca e Musco l’applichiamo alle norme del codice Rocco dovremmo dire che la definizione di DOLO vale soltanto per i reati di evento: “il delitto è doloso quando l’evento da cui dipende l’esistenza del reato è dall’agente preveduto e voluto” → quindi cosa significa? Che ci vuole l’evento. E secondo Fiandaca e Musco l’evento non c’è sempre, ma c’è solo nei REATI DI EVENTO. Quindi dalla definizione di dolo resterebbero fuori i REATI DI AZIONE. RIPETE IL CONCETTO. Consideriamo la TEORIA GENERALE DEL REATO quale frutto dell’elaborazione teorica, frutto del lavoro dei penalisti che costruiscono categorie concettuali astratte guardano le fattispecie di parte speciale e costruiscono categorie astratte (tipicità, antigiuridicità, colpevolezza) → questa costruzione è calata in norme di diritto positivo o si ritrova solo nei testi? Si, è calata nelle norme di diritto positivo. E dove la ritroviamo? Nella parte generale. Gli articoli da 1 a 240 c.p. sono il frutto dell’elaborazione teorica della parte generale. Cosa vuol dire TEORIA GENERALE DEL REATO? Che si applica a tutti i reati. Quindi queste categorie che elaboro per costruire una visione sistematica del reato, che mi orienti nell’applicazione pratica, vale per tutti i reati sia per quelli contenuti nel secondo e nel terzo libro del codice ( delitti e contravvenzioni), sia per quelli che sono fuori dal codice. Questi postulati dell’art. 1 al 240 c.p. valgono per tutti. E se valgono per tutti è necessario prenderli sul serio, capire bene, perché da questo dipende il funzionamento di tutto il resto. Stiamo studiando l’illecito commissivo doloso; e nello specifico la tipicità. Nella tipicità ci sono l’AZIONE, l’EVENTO ed il NESSO DI CASUALITA’. Ci siamo soffermati sull’azione; ora stiamo passando al secondo polo della tipicità che è l’EVENTO. Dobbiamo cercare, dunque, di capire cosa è l’evento. Se prendiamo in considerazione le norme del codice Rocco, cosa vuol dire? Che ci deve essere un evento in tutti i reati o no? Si. Art. 40 comma I → per esserci reato ci vuole l’evento dannoso o pericoloso. Leggiamo il I comma dell’art. 43 c.p. → ci vuole l’evento dannoso o pericoloso? Si. E ci vuole sempre? Si, non ha eccezioni. E il reato impossibile? Non è punibile se non c’è l’evento dannoso o pericoloso. Quindi se c’è l’evento dannoso o pericoloso → abbiamo il REATO e la RESPONSABILITA’ PENALE se non c’è l’evento dannoso o pericoloso → niente responsabilità penale. Allora l’evento dannoso o pericoloso ci vuole sempre. Poi, leggendo le pagine di Fiandaca sulla classificazione dei reati, noto una contraddizione; perché secondo Fiandaca e Musco non è vero che c’è sempre un evento → l’EVENTO IN SENSO NATURALISTICO non c’è sempre: c’è nell’omicidio, c’è nel danneggiamento, c’è nelle lesioni personali, c’è nella diffusione di germi patogeni (es: io diffondo un epidemia e c’è l’evento), ma l’evento non c’è nel favoreggiamento, non c’è nell’evasione. E allora ciò come si spiega? Qual è l’evento di cui parla Rocco. Dunque Rocco sostiene che l’evento dannoso o pericoloso ci deve essere sempre; Fiandaca e Musco sostengono, invece, che l’evento c’è soltanto in certi reati. Come si fa a conciliare la definizione di Rocco con una scelta che ormai è in gran parte condivisa ( perché quasi tutti i manuali, il Mantovani, il Marinucci Dolcini ecc. ribadiscono che l’evento va inteso in senso naturalistico e spiegano il perché va inteso in senso naturalistico). La nozione di evento che Rocco pone a fondamento della propria elaborazione non è l’evento in senso naturalistico. Quindi quando Fiandaca e Musco e Rocco parlano di evento, non intendono la stessa cosa. Fiandaca e Musco parla di EVENTO come MODIFICAZIONE DEL MONDO ESTERIORE, che si aggiunge alla condotta (es: Tizio impugna la pistola → questa è la sua azione, spara e cagiona la morte: all’azione si aggiunge l’evento inteso in senso naturalistico). L’evento di cui parla Rocco va inteso, invece, in senso GIURIDICO: ossia LA LESIONE O L’ESPOSIZIONE A PERICOLO DEL BENE GIURIDICO PROTETTO, che secondo Rocco si riscontra in ogni reato. Questo spiega il perché Rocco parla di “evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza del reato” → senza lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico protetto non c’è reato. Cosa c’è che non va in questa impostazione? Perché l’evento per Fiandaca e Musco, e per quasi tutta la dottrina, deve essere inteso in senso naturalistico. I OBIEZIONE posta da Fiandaca e dagli altri penalisti: - innanzi tutto perché non tutti i reati hanno l’evento in senso giuridico → non tutti i reati hanno una lesione o un’esposizione a pericolo del bene giuridico protetto; ci sono molti reati senza bene giuridico: es. la pornografia tra adulti, il gioco d’azzardo; oppure la detenzione di un arma clandestina → l’arma già denunciata quindi non c’è più pericolo, ma devo ugualmente inviarla al valico di prova. Dunque ci sono reati a condotta talmente neutra che non offendono nulla. La nostra produzione normativa è strutturata così: dovendo ricercare il bene giuridico, su molti reati ho delle serie perplessità. Es. la stessa detenzione in misura irrilevante di sostanze stupefacenti perché viene colpita? Soprattutto sulla sostanza stupefacente c’è un problema di individuazione del bene giuridico protetto: non sappiamo bene se è la salute (e forse la salute non è, perché uno stato democratico deve poter affermare l’autoresponsabilità, dunque ognuno la salute dovrebbe proteggerla da se e non attraverso le norme del codice penale); ma, in generale, diciamo che innesca problemi anche di criminalità organizzata perché l’attività di detenzione può essere prodromica rispetto allo spaccio. Quindi alcuni reati non hanno un bene giuridico, su altri è problematica anche individuazione del bene giuridico stesso. Ma secondo Fiandaca e Musco: se tu legislatore, quando si fanno le leggi (e Rocco le leggi le sapeva fare anche piuttosto bene) traduci nelle stesse le tue opzioni teoriche (perché Rocco era un grande teorico dell’oggettività giuridica nel senso che egli nelle norme mette in versi, traduce, parafrasa le proprie scelte), ovviamente ti esponi a delle pretese → e ciò perché in nessuna teoria ci rientra tutto e quindi è possibile controbattere. E cosa dicono coloro che si espongono a questa teoria? Dicono: “se tu in ogni reato supponi, anche ammettendo che ogni reato abbia la lesione o l’esposizione a pericolo del bene giuridico protetto, cosa fai? Costringi il giudice sul piano della tipicità a fare quale operazione? Tu devi verificare la conformità della fattispecie concreta rispetto alla fattispecie astratta → si tratta del primo giudizio di tipicità: “il fatto è tipico se è conforme”. Però se tu adotti una nozione di evento in senso giuridico, e l’evento in senso giuridico deve esserci sempre, il giudice non si deve fermare a questa operazione. In più deve verificare se c’è stata la lesione o l’esposizione pericolo del bene giuridico protetto. Infatti il nesso di causalità bisogna accertarlo non soltanto nei reati con evento il senso naturalistico, ma in ogni reato. Es.: IL FAVOREGGIAMENTO art. 378 c.p. “chiunque aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’auorità…..) è un delitto contro l’amministrazione della giustizia; questo è il bene giuridico protetto. [breve riepilogo: Rocco intende l’evento in senso giuridico. Egli sostiene che tutti i reati hanno un evento: questo evento consiste nella lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico protetto; quindi l’evento in senso giuridico bisogna riscontrarlo in ogni reato. Secondo l’art. 40 c.p., I comma, è necessario ricercare l’evento giuridico e il nesso di causalità in ogni reato. Ora non è più così; la dottrina penalistica è su posizioni totalmente opposta. Essa afferma che l’evento va intesa in senso naturalistica e il nesso di causalità bisogna accertarlo in relazione a quei reati che abbiano un evento in senso naturalistico]. NESSO DI CAUSALITA’ Il nesso di causalità è disciplinato dal codice Rocco al primo comma dell’art.40 c.p.: “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”. Dunque la struttura del nesso di causalità in cosa consiste? Devo verificare se tra l’azione o l’omissione incriminata e l’evento (sicuramente inteso in senso naturalistico) vi sia un rapporto di causalità. Parlare della CAUSALITA’significa evocare e riprodurre tutte le teorie che sono state elaborate a proposito della causalità. Come si fa a stabilire quando un’azione è causa dell’evento? In questo caso abbiamo un elemento di vantaggio; infatti dai lavori preparatori del codice Rocco emerge che anche lì, come sulla nozione di evento , Rocco aderisce ad un’impostazione teorica precisa (egli, infatti, in diritto penale aveva le idee chiare e le traduceva nelle norme). La teoria che Rocco traduce nel codice penale è la teoria cosiddetta della CONDICIO SINE QUA NON o procedimento dell’eliminazione mentale. Siamo nel periodo del POSITIVISMO → si tratta di una corrente di pensiero o filosofia, che ritiene che ci sia una concezione meccanicistica in base alla quale gli eventi sono concatenati l’uno con l’altro: posta un’azione si verifichi un certo evento. Come si fa a dire che un’azione è causa di un evento? Alla base della TEORIA DELLA CONDICIO SINE QUA NON esiste una controprova. Iniziamo col dire cosa significa CONDICIO SINE QUA NON: essa è la condizione senza la quale l’evento non si sarebbe verificato. Ed è una teoria molto rigida, molto rigorosa. Abbiamo definito il codice Rocco liberal-autoritario: un codice autoritario sì, ma che non rompe del tutto con la tradizione liberale. Il carattere autoritario del codice Rocco, l’impronta di regime, si nota in certi punti; e la teoria della causalità è uno di questi. Cosa vuol dire condicio sine qua non? Naturalmente un evento non è mai il risultato di una sola condizione, di un solo antecedente, ma è il risultato di una somma di antecedenti. Condicio sine qua non significa che è sufficiente che io ne abbia posto in essere uno solo di questi antecedenti, per cui tutto il procedimento causale mi viene ascritto, mi viene imputato. Dunque basta che io abbia posto in essere un solo antecedente, di tutti gli antecedenti possibili, perché l’evento mi venga ascritto ed imputato. [ Ma basta un solo antecedente o è necessario l’ultimo antecedente? Nell’illecito commissivo doloso l’ultimo antecedente; con riguardo all’illecito commissivo colposo il primo antecedente; se la stessa domanda la poniamo con riferimento al concorso di persona, tutti gli antecedenti. Ma prendiamo in considerazione la singola fattispecie incriminatrice: nell’illecito commissivo doloso realizza la condotta criminosa colui che pone in essere l’ultimo elemento della catena causale; gli altri, se ci sono i requisiti del concorso di persona, ma di questo noi non sappiamo ancora niente. L’illecito commissivo doloso si caratterizza per il fatto che deve essere dolosa l’ultima causazione dell’evento. C’è un esempio che rende bene l’idea; es.: l’attentato ad un uomo politico → prendiamo in considerazione l’immagine di Kennedy, il corteo che passa, il killer alla finestra, carica il fucile e lo punta; ma mentre si sta avvicinando alla finestra inciampa. Il colpo parte e lo uccide. È illecito commissivo doloso? No, perché è l’ultimo atto a dover essere retto dal coefficiente psicologico. Diverso è nell’illecito commissivo colposo; esempio: lascio una pistola carica con un colpo in canna sul tavolo; dieci persone se la passano tra di loro in mano e alla decima persona il colpo parte ed uccide qualcuno. Io sono responsabile? Sì.] PROCEDIMENTO DELL’ELIMINAZIONE MENTALE: come si fa a verificare se c’è il rapporto di causalità, se effettivamente l’ultimo antecedente che io ho posto in essere è causa dell’evento e quindi l’evento mi può essere ascritto? C’è una controprova che viene dalla tradizione filosofica aristotelica, dal sillogismo ( data la premessa maggiore, utilizzando la premessa minore, questo deve essere il risultato). Questo spiega il successo che tale teoria ha avuto. È uno dei pochi casi in cui dottrina e giurisprudenza sono andate d’accordo, perché la dottrina è riuscita a dare alla magistratura uno strumento agevole. Esempio: Tizio prende la pistola, la punta contro il suo nemico, gli scarica dei colpi addosso, lo colpisce al cuore e questo muore. C’è nesso di causalità tra azione ed evento? Si, perché eliminando mentalmente l’azione di Tizio, la morte di Caio non si sarebbe verificata. Esempio: io metto il veleno nel caffé, che so che berrà il mio nemico; questi prende il caffé lo beve e muore. Eliminando mentalmente la mia azione ( mettere il veleno nel caffé ), l’evento non si sarebbe verificato. Dunque condicio sine qua non vuol dire condizione senza la quale l’evento non si sarebbe verificato e c’è una controprova: il PROCEDIMENTO DI ELIMINAZIONE MENTALE. Il giudice deve fare un giudizio di tipo ipotetico → cioè deve chiedersi cosa sarebbe successo se l’azione di Tizio non fosse stata posta in essere. Se risponde: “l’evento si sarebbe ugualmente verificato” → non c’è il nesso di causalità; se l’evento non si sarebbe verificato, c’è il nesso di causalità. Quindi, se dopo il procedimento di eliminazione mentale, l’evento resiste → non c’è il nesso di causalità; se l’evento viene meno, c’è il nesso di causalità. Tale teoria è anche nota come TEORIA DELL’EQUIVALENZA CAUSALE. [Riepilogo dell’ultimo passaggio. Tra l’azione e l’evento ci deve essere un nesso di causalità → tale nesso si accerta attraverso la formula della condicio sine qua non: la condizione senza la quale l’evento non si sarebbe verificato. Come si fa a stabilire che quella azione è condicio sine qua non, senza la quale l’evento non si sarebbe verificato? Attraverso il PROCEDIMENTO DI ELIMINAZIONE MENTALE: il giudice deve formulare un giudizio ipotetico. Esempio: quando i carabinieri portano il rapporto affermando che Tizio ha ucciso Caio e lo ha fatto con questa azione, il giudice deve chiedersi: “Se elimino l’azione di Tizio, la morte di Caio si verifica ugualmente o no?” Quindi un giudizio ipotetico: io immagino che Tizio non ponga in essere l’azione. Cosa succede? Se l’evento permane: “anche se Tizio non avesse posto in essere la sua azione, l’evento si sarebbe verificato ugualmente”. Questa è la prova che il nesso di causalità non c’è. Se, invece, immagino che Tizio non abbia posto in essere l’azione e l’evento non si verifica → questa è la prova che il nesso di causalità c’è. Il giudice, basta che faccia funzionare questi due concetti, è in grado di affermare o di negare l’esistenza del nesso di causalità. E la sentenza diventa inattaccabile.] TEORIA DELL’EQUIVALENZA CAUSALE → perché sappiamo che l’evento non è mai il risultato di una sola azione, ma di un insieme di fattori. Esempio: anche il prendere la pistola ed uccidere → l’armiere ha venduto l’arma → le fabbriche hanno prodotto le armi: si può andare all’infinito a ritroso. Perché TEORIA DELL’EQUIVALENZA CAUSALE? Perché questa impostazione di Rocco ( e in ciò si vede il carattere autoritario) parifica tutti gli antecedenti: non importa quale sia l’antecedente, è sufficiente averne posto in essere uno, per cui immediatamente scatta la sussistenza del nesso di causalità. Rocco, con la sua teoria, non pesa gli antecedenti: tutti gli antecedenti causali sono posti sullo stesso piano → basta che ne pongo in essere uno e l’evento mi viene imputato. Questa teoria della causalità ha avuto tradizionalmente più successo, perché è una teoria semplice: il giudice deve far funzionare la condicio sine qua non, il sillogismo aristotelico (dunque un discorso di logica formale), verificare l’equivalenza causale e affermare la sussistenza del nesso di causalità. È una teoria che viene dal positivismo ottocentesco: gli avvenimenti sono concatenati l’uno con l’altro; c’è una meccanicità nell’esistenza umana, nell’accadere degli eventi, che concatena le cose. Il giudice cosa deve fare? Deve scoprire queste concatenazioni. SECONDA PARTE Occupiamoci della CAUSALITA’ sic et simpliciter, cioè solo della causalità. Abbiamo detto che la norma di riferimento è l’art. 40 c.p., primo comma; che l’evento deve essere conseguenza dell’azione od omissione. Il giudice, l’interprete, i giuristi devono capire quando l’evento è conseguenza dell’azione od omissione. esercitazione accademica per cui a nessun giudice verrebbe in mente di giungere a simili conclusioni (→ accusare i genitori dell’omicida). Ma coloro che criticano la TEORIA DELLA CONDICIO SINE QUA NON controbattono ulteriormente sostenendo che ci vuole sì il dolo e la colpa, però nel codice Rocco ci sono delle ipotesi di responsabilità oggettiva; ci sono casi in cui l’evento viene posto a carico del soggetto sulla base del solo nesso di causalità materiale a prescindere dal dolo o dalla colpa, quindi non siamo assolutamente immuni da questo tipo di problematica. Ci fermiamo qui in questa obiezione; il discorso resta aperto. Dunque dolo o colpa: sarebbe bene mettere al bando le ipotesi di responsabilità oggettiva. Facciamo solo un esempio di ipotesi di RESPONSABILITA’ OGGETTIVA, per capire di cosa stiamo parlando: art. 586 c.p. “qualunque illecito doloso da cui derivi come conseguenza non voluta la morte o la lesione personale del soggetto”. E’ la norma usata per gli spacciatori di droga. O anche la vicenda Calissano→ Questi era con una sua amica, cede a questa una dose di droga, entrambi la consumano e lei muore.→ Quindi delitto doloso perché egli cede la dose i gli viene imputato lo spaccio; ed inoltre gli si ascrive l’evento morte o lesioni personale. Sulla base di cosa gli si ascrive l’evento? Sulla base del solo nesso di causalità materiale o ci vuole anche un coefficiente psicologico? Nesso di causalità materiale perché è sicuro che egli non voglia ucciderla; probabilmente neanche la colpa, perché non è prevedibile che il consumo di una dose di per sé non letale cagioni la morte. Quindi è possibile che addirittura nessun rimprovero neppure a mero titolo di colpa gli si possa muovere. Però l’art. 586 c.p. afferma “qualunque delitto doloroso da cui derivi come conseguenza non valuta la morte o la lesione personale”. ESEMPIO PARADOSSALE: un tale ha bisogno della licenza di edificabilità del suolo o di un certificato di abitabilità e va dal sindaco; al termine della normale prassi riesce ad avere il suo documento e torna a casa. Il suo nemico si introduce in casa sua, lo guarda, gli prende il cerificato e lo strappa. L’uomo ha un infarto e muore. In questo caso si può applicare l’art. 586 c.p.? Si, perché delitto doloso → FALSO PER SOPPRESSIONE: ha distrutto un documento pubblico e ciò non si può fare, è un delitto. Dunque delitto doloso da cui deriva come conseguenza non voluta la morte o la lesione personale. Quindi si può applicare l’art. 586 c.p.. Tuttavia ciò potrebbe porre problemi di costituzionalità, perché l’art. 27 cost. ribadisce il principio di colpevolezza → di conseguenza le ipotesi di responsabilità oggettiva (che pure sono frequenti nel codice Rocco) andrebbero tendenzialmente messe al bando. Abbiamo fatto questi esempi per capire che un nesso di causalità accertato secondo una formula rigorosa, come la teoria della condicio sine qua non, amplia enormemente l’ambito della responsabilità penale e produce risultati molto consistenti esempio: la distruzione del documento può portare in alcuni casi anche alla morte o alla lesione, perché è una condicio sine qua non → per il giudice, infatti, è facile argomentare: eliminando mentalmente l’azione di Tizio che ha distrutto il documento, eliminando mentalmente l’azione di Calissano che ha ceduto una dose non letale di droga → l’evento morte, in entrambi i casi, può essere ascritto ai due soggetti, perché basta porre in essere un antecedente, anche il più insignificante, perché l’evento lesivo gli venga interamente ascritto. 2. SECONDA CRITICA → OBIEZIONE DELLA CAUSALITA’ ALTERNATIVA IPOTETICA Gli avversari della teoria condizionalistica sottolineano come gli ideatori della condicio sine qua non seguano lo schema sillogistico per cui eliminando mentalmente l’azione di Tizio, la morte di Caio non si sarebbe verificato; oppure eliminando mentalmente l’azione, l’evento non si sarebbe verificato. In questo caso c’è nesso di causalità → questa è la controprova. Tali teorici, dunque, fanno degli esempi in cui l’evento si sarebbe ugualmente verificato e ciononostante vi è qualche dubbio che il nesso di causalità ci sia. Sono dei casi in cui l’evento resiste, quindi si sarebbe verificato ugualmente, però dire in questi casi che il nesso di causalità non ci sarebbe ripugna alla coscienza. Esempio riproposto anche da Fiandaca e Musco: io sono un fiero avversario del sindaco; la gestione del comune che egli porta avanti non mi piace, il piano urbanistico che ha predisposto è pessimo. Dunque assieme a degli amici decido di dare una lezione al sindaco e mettiamo due candelotti di dinamite sotto la sua casa di campagna. La dinamite esplode e la casa del sindaco salta in aria: danneggiamento doloso. I colpevoli vengono individuati e vengono tratti a giudizio; il Pubblico Ministero ne chiedono la condanna perché con certezza sono stati loro, dal momento che ci sono state testimonianze di persone che li hanno visti. Tuttavia il difensore fa notare come, in questo caso, la formula della condicio sine qua non non funziona, perché è sì vero che i suoi clienti hanno messo la dinamite sotto la casa del sindaco, ma eliminando mentalmente l’azione, l’evento non sarebbe venuto meno. Infatti di lì a poco è scoppiato un incendio, per cui la casa sarebbe stata ugualmente distrutta. Dunque il Pubblico Ministero sostiene l’esistenza del nesso di causalità, mentre la difesa afferma che non c’è nesso di causalità → perché anche se i suoi clienti si fossero astenuti dal mettere i candelotti di dinamite sotto la casa del sindaco, questa sarebbe stata distrutta ugualmente. Quindi nesso di causalità non c’è. E’ corretto ragionare in questo modo? Come controbattere ad un avvocato così capzioso, il quale fa notare che l’art. 40 c.p. recepisce la formula della condicio sine qua non → la quale si accerta attraverso il procedimento di eliminazione mentale: quindi se eliminando mentalmente l’azione del soggetto, l’evento viene meno, c’è nesso di causalità; se l’evento non viene meno nesso di causalità non c’è, se l’evento resiste nesso di causalità non c’è. L’avvocato dunque, sostiene che in questo caso l’evento resiste e nesso di causalità non c’è, perché anche eliminando mentalmente l’azione di Tizio (che mette il candelotto di dinamite), la casa del sindaco sarebbe stata ugualmente distrutta, perché è sopraggiunto un incendio. Quindi l’evento distruzione della casa del sindaco non va ascritto ai suoi clienti, ma all’incendio che si è verificato, ma è cosi? La discussione sull’argomento è interessante, perché l’incalzare di coloro che contestano la teoria condizionalistica costringe i teorici della condicio sine qua non ad affinare continuamente le loro posizioni. Ciò fa in modo che la teoria della condicio sine qua non si migliori nel tempo. I teorici della condicio sine qua non sostengono che quando gli avversari di tale teoria ragionano in questo modo, sbagliano nella descrizione dell’evento come secondo polo del nesso causale. L’evento che questi devono prendere come secondo polo del nesso causale, in questo caso reato di danneggiamento, non è danneggiamento della casa del sindaco in genere, qualunque danneggiamento. Il secondo polo del nesso causale da assumere per accertare il nesso di causalità è danneggiamento della casa del sindaco, così come essa si è verificata, Fiandaca e Musco dicono HIC et NUNC (qui e ora), in questa dimensione temporale (NUNC) e in questa dimensione spaziale (HIC). Quello che sarebbe successo di lì a poco, ossia la distruzione della casa del sindaco attraverso l’incendio che scoppia nel bosco, è un processo ipotetico che non rileva sul piano concreto. Bisogna discutere di ciò che è successo realmente: processi causali alternativi ipotetici non spezzano il nesso di causalità. La causalità deve essere quanto di più effettivo ci sia; quello che sarebbe potuto succedere di lì a poco non importa, bisogna fotografare la situazione che è stata e su quella bisogna esprimere se c’è o meno la causalità. Quindi secondo polo del nesso di causalità → la descrizione dell’evento deve essere quella che si è verificata, bisogna fotografare la situazione reale, non la situazione ipotetica. Per questo i teorici della condicio sine qua non affermano che gli avversari di tale teoria sbagliano a muovere questa obiezione, e sbagliano nella descrizione dell’evento → perché l’evento, quale secondo polo del nesso di causalità, non è la distruzione della casa del sindaco comunque sia, ma la descrizione dell’evento deve essere HIC et NUNC. 3. TERZA CRITICA → CAUSALITA’ ADDIZIONALE Esempio riproposto da Fiandaca e Musco: Tizio e Caio mettono, all’insaputa l’uno dell’altro, del veleno nella tazza del loro nemico; una quantità di veleno già di per sé sufficiente ad uccidere il nemico. Quest’ultimo muore, Tizio e Caio vengono tratti a giudizio e ciascuno dei due si difende dicendo:” eliminando mentalmente la mia azione l’evento si sarebbe ugualmente verificato”. Ma sono condotte che si cumulano, non si possono scindere, è un artificio logico: bisogna guardare la situazione che si è realmente verificata. [Sono, tuttavia, dei casi che non sono stati mai tratti dalla giurisprudenza. Esempio: una dose di veleno somministrata che già comincia a fare effetto; poi un altro soggetto ne somministra un’altra di per sé pure letale. In questo caso si potrebbe pensare all’omicidio volontario consumato per uno e ad un tentato omicidio per l’altro]. Dunque la teoria della condicio sine qua non con tutti questi aggiustamenti funziona ed ha dato buoni risultati. Ma le cose invecchiano. E anche questa invecchia; il processo industriale….. bene per l’esigenza della certezza del diritto, per il principio di legalità sapere in anticipo quando c’è la legge causale e quando non c’è. Stella, tuttavia, fa notare che si lavora comunque con strumenti di tipo probabilistico, dove le certezze sono poche. Nell’individuazione di queste leggi, Fiandaca e Musco riproducono il dibattito, abbiamo due tipi di leggi: 1) Le leggi cosiddette UNIVERSALI → sono quelle per cui al verificarsi di certi antecedenti, sempre ed immancabilmente seguono certi susseguenti. Quando ciò è testato, il giudice può dire con certezza che c’è nesso di causalità. Dunque al verificarsi di certi antecedenti devono seguire certi susseguenti: queste sono dette leggi di copertura, che abbracciano l’azione e l’evento e ci dicono che quando si verifica una certa azione, segue un certo evento. Queste sono le leggi universali, che in realtà sono poche (esempio: - la forza di gravità → sappiamo che un corpo lasciato cadere nel vuoto con una direzione perpendicolare al suolo atterra ad una velocità che dipende dal peso; ma anche questo è relativo, perché nell’atmosfera non funziona più così. Anche il fenomeno della dilatazione dei corpi → un corpo riscaldato si dilata). È pur vero che se chiediamo al giudice di porre a fondamento delle sue sentenze leggi universali, sarebbero tutte assoluzioni! La legge universale per noi uomini, per la nostra esperienza finita, diventa inaccessibile. Dunque, secondo Stella, dobbiamo necessariamente accontentarci di qualcosa di meno. 2) La LEGGE STATISTICA. Cos’è la legge statistica? È una legge per la quale al verificarsi di certi antecedenti si verificano certi susseguenti, non sempre, ma con un altissimo grado di probabilità; cioè tanto più è probabile il verificarsi dell’evento, tanto più la legge è testata scientificamente e tanto più il giudice fa bene a porla a fondamento della propria decisione. Il procedimento di sussunzione sotto leggi scientifiche prevede la possibilità di sussumere il fatto sotto leggi universali, ma anche sotto leggi statistiche. Esse sono quelle per le quali, al verificarsi di certi antecedenti, si verificano certi susseguenti con un altissimo grado di probabilità: quando ciò avviene, il nesso di causalità tendenzialmente dovrebbe essere fatto salvo. Come dice il prof. Stella, questo è uno dei poche settori in cui il dialogo tra la dottrina e la giurisprudenza è stato proficuo; c’è stata un’intesa e, dunque, oggi il fenomeno della sussunzione sotto leggi scientifiche è abbastanza acclarato. Dov’è il problema che residua? Il problema è il quantum di probabilità: cioè di quanto deve essere questa probabilità? Quanto deve essere testata? Ovviamente chi vuole una maggiore certezza, la vuole abbastanza elevata; chi si accontenta di qualcosa di meno, argomenta dicendo che un quid di giudizio probabilistico è assolutamente ineliminabile → dunque coloro che predicano troppa certezza, alla fine si troveranno di fronte una certezza, caratterizzata anch’essa da una struttura probabilistica. Esempio: il rapporto sessuale produce il contagio da HIV? Non sempre. Come si fa verificarlo? Sappiamo che le cause di contagio da HIV sono il rapporto sessuale, una trasfusione di sangue, il dentista, le operazioni ecc. Quindi prendiamo il caso del rapporto sessuale infetto: se non sei andato dal dentista, non hai fatto operazioni, non hai ricevuto trasfusioni di sangue → il giudice riconosce il nesso di causalità? Non tutti sono d’accordo. I periti, infatti, sostengono che è vero ma non sempre → es: se sei andato anche dal dentista, diventa problematico. Quelli che vogliono una maggiore certezza, richiedono una perizia che attesti un altissima percentuale di certezza, il 90%, magari il 98%. La struttura probabilistica del giudizio si accontenta anche di qualcosa di meno. C’è un ulteriore elemento cui accenniamo solo. Ovviamente ora stiamo parlando del nesso di causalità legato all’illecito commissivo doloso. Proviamo trasferire questo discorso nell’illecito omissivo doloso. Nell’illecito commissivo bisogna verificare il nesso di causalità, il legame tra un’azione positiva che innesca il nesso eziologico e l’evento. E nell’omissione? (mentre l’azione è un quid naturalistico tangibile), se io ………………………. l’azione, l’evento non si sarebbe verificato. Esempio: la mamma viene incriminata perché non ha allattato il bambino e lo ha lasciato morire di fame → dunque il nesso di causalità nell’omissione si accerta perché se tu mamma il bambino non lo avessi fatto cadere, questi non sarebbe sicuramente morto. Quindi si tratta di un accertamento probabilistico o reale? Probabilistico. Nell’omissione infatti è strutturale il giudizio probabilistico. Esempio: OMISSIONE DI MANOVRE MEDICHE → il medico avrebbe dovuto fare alcune cose che non ha fatto. Come si accerta il nesso di causalità? Con una struttura probabilistica: forse, verosimilmente se il medico avesse fatto quella manovra, l’evento non si sarebbe verificato; ma non siamo assolutamente sicuri di ciò. Dunque anche la sussunzione sotto leggi scientifiche ci aiuta fino ad un certo punto. Riassumiamo brevemente; dopo esserci calati nelle incertezze del caso, alcuni punti fermi li possiamo mettere. Gli articoli 40 e 41 c.p. che disciplinano il nesso di causalità. Tra l’azione e l’omissione e l’evento ci vuole l’accertamento del nesso di causalità; il nesso di causalità viene accertato attraverso la formula della condicio sine qua non che ha come controprova la formula dell’eliminazione mentale. Ci sono una serie di obiezioni che si muovono alla teoria condizionalistica: - REGRESSO ALL’INFINITO, - CAUSALITA’ ALTERNATIVA IPOTETICA, - CAUSALITA’ ADDIZIONALE. Inoltre affinché la formula della condicio sine qua non sia dotata di efficacia euristica è necessario conoscere le leggi scientifiche di spiegazione causale, altrimenti la formula di per sé non funziona → e il giudice diventa produttore di leggi causali; invece il giudice deve essere il consumatore di leggi causali, non deve inventare le leggi causali. Quali sono le leggi causali a cui il giudice, l’avvocato, il Pubblico Ministero possono fare riferimento? • le leggi UNIVERSALI → quelle per cui al verificarsi di certi antecedenti seguono sempre certi susseguenti. - le leggi STATISTICHE → le quali è auspicabile che abbiano un alto grado di attendibilità.
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