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La figura di Celestina: una donna tra professione e oscurità - Prof. Castaldo, Sbobinature di Letteratura Spagnola

In dettaglio il personaggio di celestina, una donna che svolge diverse professioni, tra cui quella di fattucchiera e cucitrice, per introdursi in case e intrigare con uomini. La figura di celestina si sovrappone a quella di una strega, e l'autore nota come la sua competenza professionale si sposi con l'elemento diabolico. Anche i luoghi e le pratiche associate alle sue attività, come le devozioni notturne e le pozioni fatte con serpenti. Il testo si sviluppa in due scene, nella prima celestina incontra calisto e cerca di indebolire la lealtà di parmeno, mentre nella seconda celestina sviluppa una conversazione con parmeno e promette di aiutarlo a ottenere l'amore di areusa.

Tipologia: Sbobinature

2023/2024

Caricato il 20/01/2024

silviabonsanti
silviabonsanti 🇮🇹

5

(9)

31 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La figura di Celestina: una donna tra professione e oscurità - Prof. Castaldo e più Sbobinature in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Dopo aver elencato gli uffici di Celestina, si sofferma su ciascuno di essi dettagliatamente. Il primo mestiere faceva da copertura agli altri, e col pretesto di quello molte ragaze, di queste che stanno a servizio, entravano nella sua casa per cucirsi e cucire camicie, gorgiere e molte altre cose. L’ufficio di cucitrice era di copertura per gli altri. Il riferimento alla pratica di restaurare la verginità lo si evince dalla frase “entravano nella sua casa per cucirsi”. Juan Ruiz aveva già anticipato nel ritratto di Trotaconventos, nel “Libro del Buen Amor", che questa professione consentiva alle mezzane di introdursi nelle case delle proprie prede. Nessuna giungeva senza lardo, frumento, farina, o un boccale di vino e altre provviste che riuscivano a rubare alle loro padrone. E là dentro si coprivano anche altri furtarelli di maggiore importanza. Nel rivolgersi a Celestina, le giovani dovevano procurarsi una merce di scambio per i servizi, principalmente beni di prima necessità. Era molto amica di studenti e dispensieri e famigli di chierici. Adesso inizia a descrivere gli avventori della casa di Celestina, o i luoghi dove combinava gli incontri tra le sue ragazze e le varie tipologie di uomini che desideravano incontrarle. A costoro vendeva il sangue innocente di quelle meschinelle, che esse si giocavano con leggerezza, in vista del restauro che lei prometteva. Prostituiva le sue protette (“cuitadillas”), che erano disposte a perdere la propria verginità sicure del fatto che poi l’avrebbero riottenuta, in quanto era una condizione necessaria per poter sposarsi. La sua impresa s’ingrandì: infatti per mezzo di quelle [le sue protette] si metteva in contatto con le più riservate fino a condurre in porto il suo proposito [riuscì a persuadere le donne più timorose e nobili mettendo in atto delle strategie]. E di queste, in ricorrenze oneste, come stazioni sacre, processioni notturne, messe di mezzanotte, messe dell'alba e altre devozioni ristrette, ne vidi entrare molte velate in casa sua. E dietro a loro penitenti scalzi e incappucciati, ma con le brache già aperte, che entravano lì a piangere i loro peccati. Celestina organizzava gli incontri in luoghi prestabiliti, oppure offriva la propria dimora a uomini pronti a piangere i propri peccati. La chiave ironica descrive degli incontri che hanno come unico scopo l’unione carnale. Che traffici combinava, sapessi! Si spacciava per curatrice di bambini, prendeva stame da una casa e lo portava a sfilare in un’altra, per avere la scusa di entrare in tutte. Questo è lo stesso pretesto che adotterà per entrare in casa di Melibea: si spaccia per cucitrice e poi si mette a parlare di Calisto. In tutto questo affannarsi, non perdeva una messa né un vespro, né mancava di visitare conventi di frati e di monache. E questo perché là dentro ella celebrava le alleluie e i suoi intrighi. Monasteri di frati e monache non erano al riparo dalle sue prestazioni, perché erano luoghi in cui Celestina celebrava i suoi intrighi. Qui termina la descrizione dell’ufficio di cucitrice. E in casa fabbricava profumi, sofisticava storace, benzoino, resine, ambra, zibetto, polverine, rosa muschiata, musco. Aveva una stanza piena di alambicchi, di ampolline, di vasetti di creta, di vetro, di rame, di stagno, di mille fogge diverse. Preparava sublimato, belletto cotto, argentati, unguenti, cerette, liscianti, pomate, rossetti, lustranti, schiarenti, bianchetti e altre acque per la faccia, fatte di raschiature d’asfodelo, di cortecce, di vescicaria, di serpentaria, di fiele, di uva acerba, di mosto, distillate e zuccherate. Rendeva la pelle morbida con succo di limoni, polverine di turbitto, midollo di cervo e di airone e altri composti. Distillava essenze odorose, di rose, zagare, gelsomino, trifoglio, caprifoglio e garofani selvatici, mescolati con muschio e musco, ridotti in polvere, con vino. Faceva schiarenti per imbiondire, con sarmenti, con farnetto, con segale, con marrobio, con salnitro, con allume e achillea e altre varie cose. Qui parla dell’ufficio di profumiera, citando essenze e polveri. E gli unguenti e i grassi che aveva in casa è noioso elencarli: di vacca, di orso, di cavalli e di cammelli, di biscia e di coniglio, di balena, di airone e di tarabuso, di daino e di gatto selvatico, e di tasso, di scoiattolo, di riccio, di nutria. Dagli animali di ogni specie venivano estratti grassi che le consentivano di creare questi unguenti. Poi cita una serie di piante, fiori ed erbe che servivano per realizzare i composti per il viso. E aveva poi in un barattolino un po’ di balsamo che teneva in serbo per quello sfregio che le attraversa il naso. Aveva un balsamo speciale che usava per curare una cicatrice che aveva sul volto, che era una sua particolarità. Quanto poi alle verginità, alcune le ricomponeva con pezzi di vescica, e altre le restaurava con ago e filo. Su un tavolinetto aveva, in una scatolina dipinta, certi aghi sottili da pellettiere e fili di seta incerati, e, appese lì accanto, radici di androsace e sanguinella, cipolla selvatica e equiseto. Con tutto ciò faceva meraviglie; tanto che, quanto venne da queste parti l’ambasciatore francese, le riuscì di vendere per ben tre volte come vergine una serva che aveva. Oh, vecchiaia virtuosa! Oh, virtù vetusta [invecchiata: Calisto opera giochi linguistici]! Oh, gloriosa speranza della mia desiderata meta! Oh, meta della mia dilettevole speranza! Oh, salute per il mio patire, cura del mio tormento, mia rigenerazione, vivificazione della mia vita, resurrezione della mia morte! Desidero accostarmi a te, bramo di baciare codeste mani piene di medicamenti. L’indegnità della mia persona me lo impedisce. Da qui adoro la terra che calpesti e in tuo omaggio la bacio. Calisto qui applica delle strategie retoriche proprie del codice cortese. Il lessico della salvezza è del tutto parodico. Celestina (APARTE): Sempronio, campo forse di parole io? Questo sciocco del tuo padrone pensa di darmi da mangiare gli ossi che ho rosicchiato! Ma io sogno ben altro, e lo vedrà quando arriveremo al dunque! Digli che chiuda la bocca e cominci ad aprire la borsa; che, se dubito dei fatti, figurati poi delle parole! Fila via, che ti striglio, asina zoppa! Ben prima avresti dovuto svegliarti! A Celestina non interessano gli elogi e questa solennità, ma solo il profitto che lei può ottenere (il denaro). Il codice cortese applicato da Calisto è destinato a una classe a cui lei non appartiene, la classe nobile. Parmeno (APARTE): Qui Parmeno esprime le sue perplessità, facendo capire a Celestina la minaccia che lui rappresenta. Lei non si ricordava che Parmeno fosse stato al suo servizio, ma lui glielo ricorda e in quel momento lei coglie l’occasione, intuendo che questo elemento le possa tornare utile, cercando di portarlo da un’altra parte. Lo fa in un primo momento inventando che i genitori di Parmeno prima di morire le avevano affidato dei beni da custodire che avrebbe dovuto rendere a Parmeno una volta adulto. Lui però non si lascia imbrogliare da questo. In questo scambio che occupa una parte corposa del primo atto, ci sono due importanti passaggi: entrambi sono affidati a Celestina, che articola una norma anticortese che violano il sistema di valore cortese. Celestina cerca di indebolire la lealtà di Parmeno, che è il servus fidelix e non intende tradire il patto con Calisto, minando questo legame mettendo in discussione un valore cortese per eccellenza: la liberalità, la generosità, la magnanimità dei nobili. Questa era legata ai rapporti di vassallaggio tra il signore e il suo vassallo. Rivendica l’autonomia sociale, dicendo che “ciascuno deve perseguire i propri singoli interessi, non deve esserci alcun servizio, ma siccome già gli stessi nobili hanno tradito il principio di generosità cortese, allora anche noi servi abbiamo il diritto di badare al nostro specifico interesse.” È un’aggressione lenta al codice dei valori cortesi, e il germe di una nuova etica sociale che si confà molto più alla nuova struttura sociale ed economica umanistico-rinascimentale di stampo mercantile, piuttosto che ai principi medievali cortesi che appaiono superati a questa altezza cronologica. ATTO 1 - Scena 10 Celestina allude a un suo consiglio. Celestina: Ti dico, sotto la minaccia delle maledizioni che ti lanciarono i tuoi genitori se non m’avessi obbedito, di sopportare e di servire per il momento questo padrone che ti sei procurato, finché non avrai da me altro consiglio. Ma non con sciocca lealtà, erigendo certezze su ciò che è mutevole, come sono questi signori di adesso. La riflessione di Celestina è radicata nei cambiamenti sociali della prima modernità. Non è una volontà di rottura o di contro con un sistema di valori saldo; ma dice che è inutile perseverare nella lealtà quando sono gli stessi nobili a venire meno ai valori cortesi. Sostituisce la lealtà nei confronti del padrone a quella nei confronti degli amici. Invece tu conquista amici, che è una cosa che dura. Sii con loro costante. Non ti perdere in cose futili. Lascia le vane promesse dei signori, i quali consumano il midollo dei loro servitori con vuote e vane promesse. Come la sanguisuga succhia il sale, sono ingrati, ingiuriano, dimenticano i servigi ricevuti, negano il premio. Torna il termine galardón, proprio del termine cortese, inteso come il beneficio che il signore offre al proprio vassallo in seguito alla promessa di servizio. Termine chiave del codice cortese, che poi è entrato a far parte dell’amor cortese e si riferiva alla ricompensa cui aspirava l’amante per il suo servizio d’amore. Il triangolo d’amore cortese signore-amante-amata ricalca i rapporti vassallatici tra signore e vassallo; è un triangolo perché l’amore cortese nasce come un amore asimmetrico, che prevede un amante perdutamente innamorato di una dama, ma la dama è la consorte del suo signore (come Lancillotto). Gui a chi invecchia a palazzo! Inteso come guai a chi persevera nell'osservanza di valori ormai desueti. Questi signori di oggi amano più se stessi che i propri servitori, e non sbagliano. E quelli devono fare lo stesso. Son cose d’altri tempi ormai le ricompense, le magnificenze, le azioni nobili. Ciascuno di costoro vilmente e meschinamente procura di fare il proprio interesse con i suoi sottoposti. E allora quelli non debbono esser da meno, e avendo minori possibilità, converrà che vivano secondo la propria legge. Il ragionamento di Celestina è molto pragmatico: non fa una colpa ai signori del suo tempo di aver superato i valori cortesi e di pensare a sé stessi, perché per Celestina il valore supremo è seguire il proprio profitto. I servi devono comportarsi di conseguenza e azzerare quel divario sociale e quel rapporto di sottomissione. Questa è la rivendicazione sociale di Celestina, quella nuova proposta di rapporti sociali tra signori e servi. Lo dico, figlio Parmeno, perché questo tuo padrone mi sembra, come si dice, un grande approfittatore: vuole servirsi di tutti senza dare compenso. Sta bene attento, credimi. Fatti amici in casa sua, che è il maggior bene del mondo. E non pensare di avere amicizia con lui, perché poche volte avviene, a causa della diversità degli stati sociali o delle condizioni. Questa è la strategia di Celestina per indebolire la fedeltà di Parmeno e creare una solidarietà fra pari, tra Sempronio e Parmeno. Dice che il divario sociale impedisce l’ottenimento di riconoscimenti da parte di Calisto. Ci viene offerta un’occasione, come sai, nella quale tutti possiamo guadagnare, e tu grazie a essa puoi sistemarti. Quanto al resto che t’ho detto, giungerà a tempo debito. E grande vantaggio avrai dall’amicizia di Sempronio. Questa occasione con Calisto porterà vantaggio per tutti. Parmeno: Celestina, tremo tutto nell’ascoltarti. Non so che fare, sono perplesso. Da un lato ti ho in conto di madre; dall’altro ho calisto per padrone. Ricchezza desidero; ma chi sale in alto con turpi mezzi, cade giù più rapidamente di quanto non sia salito. Non vorrei beni mal guadagnati. Parmeno non si mostra persuaso e si sente combattuto: non sa come comportarsi perché da una parte considera Celestina una persona cara, e dall’altra parte c’è il suo padrone. Parmeno: E perciò, di’ pure altro, ma su questa strada non ti seguo. Questo è il primo brano significativo della conversazione fra Parmeno e Celestina. La rivendicazione sociale di Celestina proviene da un personaggio abietto, basso e col quale si instaura un rapporto di non identificazione. La norma anticortese affidata a Celestina viene così
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