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Lezione 22: Geografia Urbana - L'Urbanizzazione: Caratteristiche e Cause, Appunti di Geografia

Questa lezione esplora il concetto di urbanizzazione, distingue le città da insediamenti rurali e analizza la crescente importanza di queste aree densamente popolate. sulla base di esempi globali e variazioni demografiche per definire le caratteristiche di una città e il processo di urbanizzazione. Il documento conclude con una discussione sulle cause principali di espulsione dalle campagne e attrazione verso le città.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 29/09/2022

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adelaide_00 🇮🇹

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Scarica Lezione 22: Geografia Urbana - L'Urbanizzazione: Caratteristiche e Cause e più Appunti in PDF di Geografia solo su Docsity! Lezione 22: Geografia urbana: il fenomeno dell'urbanizzazione La città, da sempre oggetto di attenzione da parte della geografia, è divenuta, per la sua complessità e per la sua crescente rilevanza nell'organizzazione territoriale contemporanea, oggetto di uno specifico settore di studi, quello della geografia urbana. In primo luogo è necessario ragionare intorno alla questione della definizione di città, cioè alla identificazione dei criteri utili a distinguerla da altre forme insediative. Qual è la differenza tra la città e nucleo insediativo non definibile come città? Si tratta di trovare dei tratti comuni al di sopra dell'estrema varietà delle sue manifestazioni locali. Il criterio più semplice, apparentemente perlomeno, da applicare al fine di definire che cosa si intenda per città, è quello meramente quantitativo della dimensione. La città, possiamo dire che, si distingue da altre forme insediative innanzitutto perché concentra all'interno dei suoi confini un maggior numero di edifici, di attività e di persone. Data però la diversità dei modelli abitativi, città a sviluppo intensivo e verticale, New York, piuttosto che città a sviluppo estensivo orizzontale, le villette a schiera di parte della pianura padana. Ecco che appare più significativo, in una prospettiva comparativa, il criterio della dimensione demografica piuttosto che della dimensione fisica. In sostanza, dentro il criterio quantitativo della dimensione ci possiamo mettere, in prima battuta, il criterio della dimensione fisica, cioè la superficie. Si definisce città un insediamento che ha una superficie edificata pari ad almeno. Questo criterio rende difficile la comparazione tra modelli abitativi a sviluppo intensivo, città con grattacieli si sviluppano in verticale ma comunque a sviluppo intensivo, piuttosto che estensivo e orizzontale. Accantonata quindi la preferenza nel caso del criterio quantitativo della dimensione fisica, ci rimane il criterio della dimensione demografica. Tuttavia la considerazione del dato demografico non appare altrettanto risolutiva. Allo stesso modo anch'essa non sembra così risolutiva perché, anche in questo caso, non permette di identificare discriminanti di valori universali. La disparità delle soglie adottate nei vari contesti rende difficilmente comparabili i dati relativi a insediamenti che sono definite città a partire dall'adozione di soglie molto differenti. Affinché in Australia un insediamento sia considerato una città deve avere almeno 1000 abitanti, in Italia città è quella con 10 000 abitanti, in Islanda è quella con almeno 200 abitanti, 2000 abitanti è la soglia per la Francia così come per l'Etiopia ma la soglia per il Giappone è 50.000. È chiaro che questa disparità di soglie rende difficilmente comparabili i dati, oltre al fatto che, a parità di dimensione demografica, quindi indipendentemente dalla definizione di città, ma se noi mettiamo a paragone tutte gli insediamenti che hanno 2000 abitanti, ancora, pur in assenza di un criterio unificante, avremo ancora il problema di definire se il contenuto qualitativo dell'insediamento possa avere un'influenza. In Russia, per esempio, la definizione di città è un combinato tra la dimensione demografica assoluta e la percentuale di addetti ad attività non agricole. Ecco quindi che introduciamo un criterio funzionale. Non solo la dimensione demografica ma anche la funzione, la tipologia di attività svolte. Queste, infatti, paiono essere un opportuno riferimento. Il criterio funzionale è effettivamente una risposta più adeguata alla definizione di cifra. Più che la mera concentrazione demografica, ciò che caratterizza l’insediamento urbano è infatti la complessità delle attività e delle funzioni che, all'interno della città, si svolgono per rispondere a esigenze della popolazione interna ma soprattutto alla domanda proveniente da territori esterni. Per funzione urbana si intende un'attività che risponda sia alle esigenze interne ma soprattutto a esigenze esterne. Un ufficio di pubblica amministrazione non svolge un servizio destinato soltanto alla popolazione interna ma svolge un servizio destinato anche a cittadini che provengono da altri insediamenti, da altri centri che possono non essere definibili città. In sostanza, le funzioni urbane sono quelle che si svolgono all'interno di un insediamento urbano per rispondere non solo alle esigenze della popolazione interna, il panettiere c'è in qualsiasi piccolo centro, ma per rispondere a esigenze di cittadini che non abitano in quella stessa città, a Torino c'è un'università della quale fruiscono non soltanto i torinesi ma anche coloro che provengono dall'esterno. La città quindi si caratterizza per la prevalenza di funzioni economiche non agricole, quindi il criterio funzionale, in primis. Una città si definisce tale se la prevalenza delle funzioni economiche svolte è di tipo non agricolo. E si definisce città quel centro all'interno del quale vi sono funzioni diversificate rivolte non solo alla popolazione interna ma anche all'esterno. Per quanto attiene specificamente alle funzioni economiche, viene espressa la contrapposizione tra le attività di base, o City Forming, rivolte verso l'esterno, e le attività non di base, ovvero City Serving, rivolte verso l'interno. I lavoratori nel settore di base sono dediti ad attività che sono rivolte non soltanto verso l'interno ma anche verso l'esterno. I lavoratori dei settori non di base si occupano di produrre servizi per i residenti nell’unità urbana: un panettiere è un'attività non di base perché esercita una funzione rivolta esclusivamente a coloro che abitano in quell’insediamento. Le attività di base sono chiamate di base perché hanno la capacità di influenzare e di organizzare il territorio circostante su scale più o meno estese ma comunque su scale sovra locali. Sono la base dell'attività della città. Una città definibile tale se ha il suo interno delle attività che sono rivolte verso l'esterno e che, proprio perché rivolte verso l'esterno, organizzano il territorio circostante su scale più o meno estese. È chiaro che l'università avrà un bacino di utenza molto ampio, un liceo classico di Torino avrà un bacino d'utenza che attira anche studenti non residenti in Torino città ma si tratterà prevalentemente di studenti che giungono dalle aree immediatamente limitrofe, perlopiù della provincia. Difficilmente ci sarà un attrazione a scala regionale. In sintesi, tanto più è consistente la mole di beni e servizi che la città rivolge all'esterno, tanto più elevato è il livello funzionale della città. Attenzione perché questa definizione, di base, non di base, non è sovrapponibile alla distinzione tra settore secondario e settore terziario. Lo stesso settore può contenere attività di base e non di Questi fattori di espulsione dalle campagne, nei paesi in via di sviluppo hanno una cronologia differente, e cioè decisamente successiva, ma assumono un peso preponderante in ragione della crisi delle agricolture tradizionali a causa della aumentata pressione demografica e anche dalla erosione degli spazi da parte di altri sistemi di produzione, esempio, le economie di piantagione che confliggono con le agricolture tradizionali là dove vanno a sottrarre terreno. Quelle stesse agricolture di piantagioni che hanno uno scarso impatto sui redditi locali e che quindi suggeriscono alla popolazione, che non ha più sostentamento dall'agricoltura tradizionale, poiché parte degli spazi sono stati erosi, e non trova sostentamento dalle nuove modalità di coltivazione, quindi dall'agricoltura di piantagione, sono fattori che causano una espulsione dalle campagne. Insieme alla scarsa incisività dei programmi di sviluppo agricolo, che talora sono stati impiegati nei paesi in via di sviluppo, insieme alle crisi contingenti, che tuttavia in quel paesi sono spesso cronicizzate dovute a carestie, a desertificazione, a guerriglia che di nuovo suggeriscono di allontanarsi dalle campagne. Parallelamente a questi fattori, che hanno tutti a che fare con l'espulsione dalle campagne, fattori che sono differenti nel caso dei paesi sviluppati e dei paesi in via di sviluppo, ma che stanno tutti sotto la grande cornice di fattori di espulsione dalle campagne. Contemporaneamente agiscono invece dei fattori di attrazione nelle città. Proprio nel momento in cui dalla campagna sembra che ci si debba allontanare per una serie di ragioni, contemporaneamente nei paesi ad economia avanzata l'attrazione da parte delle città è il prodotto della concentrazione di funzioni produttive secondarie e terziarie, che in città godono di particolari vantaggi localizzativi. In sostanza, vi è una connessione storica e ripetuta tra il processo di industrializzazione e il processo di urbanizzazione. Nel momento in cui le attività produttive secondarie, quindi le industrie, si collocano nelle città, in ragione dei vantaggi che il collocarsi nelle città anziché in spazi lontani dalla città vi sono, questo localizzarsi delle industrie nelle città porta con sé il collocarsi non solo delle industrie ma anche di attività terziarie, negozi, e conseguentemente è un processo che attira manodopera, che attira forza –lavoro, che attira persone. C'è una connessione consueta e ripetuta tra il processo che vede collocare le industrie nelle città, processo attivato dal vantaggio che l’industria ha nel collocarsi in città, e il processo di urbanizzazione. I vantaggi localizzativi sono detti economie di agglomerazione e si tratta della riduzione dei costi di produzione consentiti dalla vicinanza tra imprese e amplificati dai contesti urbani, perché è possibile suddividere i costi tra più imprese, perché c'è una migliore accessibilità che riduce i costi di trasporto e facilita le relazioni tra imprese, perché c'è una specializzazione, una divisione del lavoro tra imprese che crea quindi un vantaggio se le imprese sono collocate vicine ( esempio: io produco vetri per carrozzerie delle auto e tu produci carrozzerie per le auto questa specializzazione fa si che la connessione tra le due attività sia più semplice se è localizzata nei paraggi). In città si trova un mercato del lavoro ampio e differenziato, così come è la città il mercato di sbocco per i prodotti, così come in città si trova una presenza di infrastrutture e di servizi che sono vantaggiosi per le aziende. Quindi, in sostanza, una serie di vantaggi rendono l'industria interessata a localizzarsi nelle città. Si tratta appunto delle cosiddette economie di agglomerazione. I costi di produzione sono ridotti se vi è una vicinanza tra imprese che concorrono a costruire quel prodotto. Quella riduzione di costi è amplificata nei contesti urbani. Proprio la presenza delle economie di agglomerazione ha stimolato l'insediamento delle industrie nelle città, dando vita ad un processo di crescita cumulativa alimentata da un circuito di feedback. Il meccanismo di crescita cumulativa è utile per spiegare la connessione tra sviluppo industriale e urbanizzazione. Nelle città dei paesi industrializzati, infatti, la crescita demografica si spiega di regola con un rapporto diretto tra occupazione e popolazione. Il meccanismo cumulativo di sviluppo si manifesta nella crescente dimensione del mercato. L'entrata di nuove imprese attrae nuovi lavoratori e nuova popolazione. Nuovi lavoratori e nuova popolazione ampliano il mercato locale, espandono il profitto potenziale. Questo circuito alimenta un meccanismo così detto auto rinforzante, in ragione del quale il processo di crescita urbana non è lineare ma è esponenziale perché l'aumento di una unità di occupati nel settore che abbiamo definito di base, (un nuovo operaio assunto in una fabbrica di automobili che svolge un'attività rivolta non soltanto a coloro che risiedono in città ma anche verso l'esterno. L'industria degli automobili è un attività di base), l'aumento di un'unità di occupati nel settore di base provoca un aumento più che unitario della domanda di beni e servizi verso il settore non di base. 10 lavoratori nei settori di base comportano un'espansione della forza lavoro di 30 unità complessive, 10 nel settore di base e 20 in quelle non di base, e quindi 10 lavoratori nel settore di base porteranno a un incremento della popolazione complessiva pari non soltanto al numero di lavoratori dell'attività di base e non di base ma poi anche ai relativi familiari a carico. A fronte del fatto che è assunto un nuovo operaio, che svolge un'attività all'interno di una industria, che è un'attività di base, la presenza di quell'operaio farà si che si renderà necessario anche un aumento del servizio offerto nelle attività non di base, perché quell’ operaio avrà necessità del panettiere, e perché i figli di quell'operaio avranno necessità della scuola elementare o dell'asilo, e perché la moglie di quell'operaio avrà necessità del medico. L'aumento di un addetto nell'attività di base, immaginiamo il contadino che lascia il proprio lavoro, si trasferisce nella città e va a lavorare presso un'industria, provoca un aumento complessivo non soltanto di quell’ ex contadino divenuto operaio ma di tutte le attività che quella persona e la sua famiglia avranno necessità di avere e di cui usufruirà. È un meccanismo di crescita cumulativa per il quale l'aumento di occupati nel settore di base provoca un aumento della domanda di beni e servizi negli altri settori di base e questo meccanismo è il meccanismo alla base del quale il processo di industrializzazione è in stretta connessione con la crescita demografica delle città. Evidentemente solo quando il processo di industrializzazione si svolge all'interno della città. Nei paesi in via di sviluppo, ad eccezione dei cosiddetti paesi di nuova industrializzazione, che dagli anni 70 sono stati investiti dai processi di urbanizzazione, analoghi a quelli sperimentati in precedenza nei paesi a economia avanzata, i cosiddetti N.I.C che hanno seguito un modello occidentale, in generale nei paesi in via di sviluppo la crescita urbana non è invece sostenuta da quella industriale, e chiama invece in causa fattori attrattivi diversi e più deboli. Chiama in causa delle forti sperequazioni territoriali nella distribuzione delle infrastrutture sociali, soprattutto a favore delle città capitali, è causata da una presunta possibilità di sussistenza, seppur precaria, offerta dal cosiddetto terziario ipertrofico, e ultima causa l'impatto dei modelli di vita occidentali a fronte della disgregazione delle culture locali tradizionali, di nuovo, suggeriscono un trasferimento nelle città. Quindi il fattore attrattivo, che nei paesi in via di sviluppo attira popolazione nella città, è un fattore attrattivo che non ha una forza trainante così importante come quella che nei paesi occidentali ha visto attirare in città popolazione perché lì davvero c'era in atto quel processo di industrializzazione e di ampia possibilità di trovare lavoro. Nei paesi in via di sviluppo, l'aumento della popolazione nelle città è suggerita da sperequazioni territoriali, in ragione delle quali nelle città ci sono infrastrutture sociali, quindi legali, scuole che rendono appunto necessario lo spostamento verso la città, dove, parte della popolazione, trova possibilità di sussistenza presso dei servizi erogati che spesso appunto sono in sovrabbondante, il cosiddetto terziario ipertrofico.
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