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Fine cultura classica e inizio Medioevo: Boezio e trasmissione sapere, Appunti di Storia Della Filosofia

Questa lezione esplora come boezio segna l'inizio e la fine di una era, fondando la cultura medievale ma perdendo il patrimonio dei suoi scritti. Dell'improvviso declino del sapere greco e la nascita del monachesimo come centro della cultura. I fenomeni di clericalizzazione e la distinzione tra laici e clerici, e la forte finalizzazione religiosa del sapere. Anselmo d'aosta e il suo monologion e proslogion vengono presentati come esempi di nuove idee importanti sviluppate durante questo periodo.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 14/09/2021

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Tommaso_in_statale 🇮🇹

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Scarica Fine cultura classica e inizio Medioevo: Boezio e trasmissione sapere e più Appunti in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! LEZIONE VII Giovedì in M202 Venerdì 22 Novembre alle 11 incontro su Agostino Cerca CESIM sul Dipa Facciamo un lungo salto. È indispensabile capire che Boezio, da un certo punto di vista segna un inizio, fondando in un certo senso la cultura medievale, ma segna anche una fine. Figure come lui non ci saranno più per secoli. Nessuno avrà più un contatto diretto con l'eredità antica per molto tempo. Nessuno possiederà più le sue caratteristiche sociali e culturali: laico, sposato con figli, che si dedica alla vita politica e al tempo stesso alla filosofia e allo studio delle Arti Liberali. Dopo la sua morte, il patrimonio dei suoi scritti in parte viene perduto, non è più studiato e non è più accessibile. Il suo lavoro di trasmissione del sapere greco attraverso introduzioni, traduzioni e commenti va in gran parte perso. Ne restano sì copie manoscritte, ma con una circolazione limitatissima. Perfino le traduzioni, le quali erano fra le poche originali assieme a quella del Timeo di Calcidio, hanno anch’esse una circolazione molto limitata. Circolano nelle scuole solo le traduzioni delle Categorie e del De Interpretatione. Il problema delle Categorie, dei predicabili e degli universali sono importanti poiché essi si trovano all’interno dei pochi testi che si trovano in giro. Vi è quindi un impoverimento spaventoso per quanto riguarda il grandissimo corpus che Boezio voleva trasmettere. | monasteri diventano gli unici centri di cultura dove il sapere viene trasmesso. Lo sviluppo del monachesimo, con Benedetto da Norcia che fonda Montecassino, segna un punto fondamentale per lo snodo della storia. La regola di Benedetto è riconosciuta nel 590, poco più di mezzo secolo dalla morte di Boezio. la regola stabilisce che Lectio e Meditatio del Testo Sacro sono obbligatori per un monaco. Il testo sacro va “ruminato”, bisogna sempre averlo in bocca. Grammatica e Logica (ipersemplificata e basata solo su Categorie e De Interpretatione) assumono un ruolo molto importante in questo contesto. Dal VI secolo fino al IX/XI si assiste a dei fenomeni di trasformazione profonda che segnano anche il tipo di problemi che si affrontano e il modo in cui li si affrontano, si ha sostanzialmente una “clericalizzazione” della cultura, dove il termine non ha significati di valore, ma riflette il fatto che, nella struttura sociale del medioevo latino, c'è una distinzione fondamentale tra CLERICI e LAICI, dove i primi hanno ordini sacri, scelgono un certo stile di vita, hanno obblighi e doveri ben precisi, fanno determinati voti (come quello di castità), e i secondi sono sì fedeli, ma non fanno parte della struttura della Chiesa. Questa fondamentale distinzione tende a sovrapporsi alla distinzione fra LITTERATI e ILLITTERATI, cioè coloro che conoscono le “littere” e coloro che non le conoscono. I litterati sono alfabetizzati, sanno leggere e scrivere e conoscono un poco di grammatica latina e sono capaci di leggere un testo scritto in latino. Tutti gli altri non possiedono queste capacità, sono anacronisticamente “analfabeti”. Il monachesimo promuove gli studi perché fa parte della regola la prescrizione che il monaco meditante della parola sacra. La cultura diventa quindi in questo contesto patrimonio dei clerici. Gli intellettuali sono sostanzialmente tutti clerici. C'è quindi una forte finalizzazione religiosa del sapere: tutte le arti sono in qualche modo utili per un fine, come strumento, non sono fini per sé; ci permettono di accedere alla verità del testo rivelato, verità che già ci è data e dobbiamo solo scoprirla. Se non sono finalizzate a questo, sono considerate inutili o addirittura pericolose. Circola qui l’idea che ogni sapere profano non finalizzato alla religione e alla comprensione del testo sacro è qualcosa di inutile, se non espressione della cosiddetta “vana curiositas”, curiosità inutile dettata dal volere umano di conoscere tutto senza nessun movente, per pura curiosità. Sorgeranno anche polemiche tra DIALETTICI e ANTIDIALETTICI, ossia chi ritiene che la logica (dialettica) possa essere usata per analizzare i testi sacri e chi invece ritiene che ciò non sia possibile, anzi dannoso. Facciamo il paragone con Boezio: le Arti Liberali consistevano in un’elevazione che portava al sapere filosofico, ora le Arti Liberali servono solo e soltanto per comprendere il testo sacro. Un testo il cui autore è veramente Dio, dettato direttamente dal rivelatore al rivelato, non è cosa scontata, dobbiamo entrare in un mondo di idee ben diverso dal nostro. IMPORTANTE: Frati e Monaci non sono la stessa cosa. I monaci si chiudono in monasteri a “ruminare” e copiare i testi, i Frati appaiono solo nel XIII secolo e sono mendicanti. Dobbiamo immaginarci un mondo in cui la trasmissione dei testi è molto lenta e molto difficile. È il mondo dei cosiddetti “clerici vaganti”. Un'altra cosa che cambia è la geografia politica in Europa: dalla morte di Boezio fino al XII secolo gli autori rilevanti si trovano soltanto in monasteri o, in qualche caso, presso le corti. La Rinascita Carolingia vedrà l'apparire di studiosi alle corti dei re, quali Alcuino di York o Giovanni Scoto Eriugena. Nonostante il grande impoverimento di testi, questa cultura dell’Alto Medioevo ha concepito idee nuove e molto importanti, e ha saputo discutere in modo profondo e intellettualmente onesto una serie di problemi. Caso importante è quello di Anselmo d'Aosta. Due opere fondamentali sono il suo Monologion (soliloquio) e il suo Proslogion (dialogo), due opere scritte a distanza di un anno circa. La prima ha un sottotitolo “esempio di meditazioni sulle ragioni della fede”, ed è stata scritta nel 1076, l’anno successivo, 1077 o 1078 viene scritto il Proslogion. Entrambe hanno un titolo grecizzante, ed affrontano anche, e non solo, lo stesso problema fondamentale: dimostrare inequivocabilmente l’esistenza di Dio. Il Monologion è un ragionamento sulla fede e sulle sue ragioni, fondato esclusivamente sull’uso della ragione. Anselmo vuole vedere se si può fondare razionalmente il contenuto di alcune fondamentali verità di fede. Per quanto riguarda la prima fondamentale verità, l’esistenza di Dio, Anselmo non vuole partire da un concetto fideistico di Dio, ma vuole partire dall'esperienza per vedere se dall’esperienza soltanto si possa giungere all'evidenza dell’esistenza certa di Dio. Il percorso che porta a questa certezza è per Anselmo puramente razionale, senza fede. Gli argomenti che Anselmo usa sono i classici argomenti della corrente platonica/agostiniana, facendo riferimento all’esistenza di un sommo bene, in linea con ciò che si trova nella Consolatione di Boezio: se guardiamo la realtà, vediamo che ci sono realtà più o meno perfette, più o meno buone. La nostra capacità di distinguere tra realtà più o meno perfette è data dalla nostra facoltà di concepire un bene sommo che funge da metro per discriminare i particolari. Esiste quindi necessariamente una realtà che possiede la perfezione, la bontà ecc... al sommo grado. Anselmo si pone anche la domanda se possano esistere più sommi beni; ciò è impossibile perché se ci sono due sommi beni allora o sono uguali o sono diversi. Se sono uguali allora non si distinguono, se sono diversi, allora dovrebbe esserci per forza una gerarchia. Anselmo tratta anche della creazione. Secondo un famoso assioma filosofico “dal nulla non si produce nulla”, dev’esserci per forza qualcosa che esiste per sé stesso, la cui esistenza non è
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