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Lezione Sociologia del diritto. Rif: La devianza - Teorie e politiche di controllo, Scarscelli Guidoni, Sintesi del corso di Sociologia Del Diritto

Sintesi del corso di Sociologia Del Diritto. Appunti personali sulle lezioni del professore sul testo di Daniele Scarscelli e Odillo Vidoni Guidoni: La devianza - teorie e politiche di controllo

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013

Caricato il 01/05/2013

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Scarica Lezione Sociologia del diritto. Rif: La devianza - Teorie e politiche di controllo, Scarscelli Guidoni e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Del Diritto solo su Docsity! LA DEVIANZA – TEORIE E POLITICHE DI CONTROLLO – SCARSCELLI, GUIDONI Presentazione dei casi 1. Mario, fermato dalla polizia al volante della sua automobile, dopo una perquisizione del mezzo fu trovata una bustina contenente una dose di eroina; viene segnalato al prefetto il quale deve provvedere ad applicare la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, del passaporto e di ogni altro documento equipollente o del divieto di conseguire tali documenti. Deve inoltre segnalarlo agli assistenti sociali del NOT (nucleo operativo tossicodipendenza) che lo convocano per un colloquio per stabilire se affidare Mario al SERT (servizio pubblico per le tossicodipendenze). Ciò è quello che emerge dal colloquio: Mario ha 26 anni, vive con i genitori in un quartiere periferico di una grande città dell’Italia del sud; il padre è un impiegato, la madre insegnante. Mario ha conseguito la maturità scientifica e si è iscritto alla facoltà di matematica ma dopo due anni lo ha abbandonato. Ha seguito un corso di formazione regionale per programmatori informatici, ha lavorato per diverse aziende con contratto a tempo determinato e da circa un anno è disoccupato. Carriera deviante: Mario ha iniziato a fare uso di droghe leggere all’età di 16 anni. A 20 anni ha iniziato ad usare saltuariamente eroina e da circa 3 anni ne fa uso quotidiano. Non si è mai rivolto a medici e strutture specializzate e non ha mai avuto problemi con la giustizia. 2. Luca sta scontando una pena di 4 anni dopo essere stato condannato per un reato di disastro doloso ambientale. Gli scarichi di produzione dell’azienda chimica in cui era un dirigente venivano smaltiti in modo irregolare da una ditta a cui si rivolgevano. Luca ha 45 anni, è sposato con 2 figli (14 e 10 anni). Sua moglie ha 44 anni, è un architetto; vivono in un quartiere residenziale di una città dell’Italia centrale. Luca si è laureato in economia con il massimo dei voti. Il padre è un imprenditore, la madre un avvocato. Lavorava come dirigente da circa 10 anni. Carriera criminale: l’azienda di Luca smaltiva illegalmente gli scarti di produzione da molto prima del suo arrivo in azienda. Durante il processo Luca negò di essere a conoscenza di come venissero smaltiti gli scarti. I rappresentanti dell’accusa sostenevano la colpevolezza di Luca perché lui aveva a disposizione elementi per accorgersi del modo illegale con cui i rifiuti venivano smaltiti (ad esempio i prezzi di mercato per lo smaltimento dei rifiuti tossici prodotti dalla sua azienda erano molto superiori a quelli sostenuti da Luca. 3. Mohamed ha scontato una condanna a 2 anni e mezzo di carcere per il reato di furto con strappo. Poiché è privo del permesso di soggiorno verrà trasferito in un Centro di permanenza temporanea per essere successivamente espulso dal paese. Mohamed ha 26 anni e proviene dal Marocco. È arrivato in Italia nel 1995 senza permesso di soggiorno (aveva 14 anni). Il padre è un contadino, la madre lavora in ambito domestico, ha 5 fratelli. Viveva in un quartiere periferico di forte immigrazione di una grande città del nord Italia. Nel 1998 ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Nel 2002 è stato licenziato per riduzione del personale. Quando è stato arrestato per il reato di scippo era disoccupato e privo del permesso di soggiorno. Carriera criminale: dopo un anno dal suo arrivo in Italia è stato arrestato per il reato di spaccio e detenuto presso un istituto penale minorile. Mohamed era solo, senza adulti di riferimento e senza la possibilità di disporre di risorse per il trattamento in libertà. Quando terminò di scontare la pena aveva 17 anni, la legge vieta l’espulso di minori di anni 18 allora il servizio sociale del ministero di Grazia e Giustizia, utilizzando una borsa lavoro, lo fece assumere in qualità di operaio presso un azienda per la quale Mohamed lavorò per 4 anni (fino al 2002 in cui venne licenziato per riduzione del personale) e regolarizzò anche la sua posizione ottenendo il permesso di soggiorno. 1. IL PARADIGMA CLASSICO E LE TEORIE DELLA SCELTA RAZIONALE 1.le teorie Gli attori protagonisti di un evento criminale sono quattro: da una parte abbiamo la coppia “criminale- vittima”, dall’altra abbiamo la coppia “agenzie di controllo –pubblico”, che mette in atto la reazione sociale. Le agenzie di controllo sono le forze dell’ordine in generale. 1.1 Beccaria e la Scuola classica Perché certi attori commettono atti devianti o criminali? La risposta è fornita dalla Scuola classica. L’assunto di base di questa scuola è che le azioni degli individui sono rette da un principio di razionalità: l’individuo privo di condizionamenti sociali è libero di scegliere l’osservanza o la trasgressione delle leggi, seguendo i propri interessi. Nella scelta se commettere o meno un atto deviante/criminale, un individuo farà un calcolo costi/benefici e deciderà di deviare qualora tale atto gli consenta di massimizzare il proprio piacere. Questa posizione teorica ha 3 implicazioni immediate. Il primo è la razionalità calcolatrice che conduce un individuo a compiere un reato; il crimine non si configura come un evento estremo o eccezionale, ma come una normale opportunità di azione. Il secondo aspetto ha a che vedere con la personalità o le inclinazioni personali del criminale: questi non è considerato un soggetto anormale , moralmente o psicologicamente fragile, ma un individuo normale che può scegliere di commettere dei reati per realizzare i propri desideri. Infine se un attore non è costretto da fattori interni o sociali a delinquere, allora va ritenuto totalmente responsabile delle proprie azioni. Beccaria sviluppa queste idee partendo da 2 assiomi: • L’uomo è immaginato come essere libero, razionale che agisce spinto esclusivamente dai propri interessi e desideri; • Lo Stato è concepito come il prodotto di un contratto tra uomini liberi che decidono di privarsi di una parte della propria libertà per costruire una struttura, espressione della volontà generale. Secondo i teorici della scuola classica la giustizia penale deve essere amministrata secondo procedure che, riducendo l’arbitrarietà dei giudici, rispettino i diritti individuali. Per ridurre la discrezionalità dei giudici il sistema penale si deve ispirare al modello del giusto processo, i reati e le pene devono essere stabiliti per legge. La pena deve rappresentare il minimo strumento necessario per la conservazione del bene pubblico, ovvero una pena giusta è quella che minimizzando il ricorso alla violenza riesce comunque a garantire l’ordine pubblico. La funzione della pena: la deterrenza speciale e generale La pena dovrebbe avere una funzione deterrente, ovvero dovrebbe servire a scoraggiare gli stessi criminali dal commettere nuovamente un reato (deterrenza speciale) e il resto della popolazione dall’intraprendere scelte criminali (deterrenza generale). Beccaria sviluppa la concezione utilitaristica della pena, secondo la quale essa si giustifica solo come mezzo di difesa e prevenzione sociale. La pena deve essere pronta, ovvero ad un reato deve seguire immediatamente una sanzione. La pena deve anche essere infallibile, ossia nessun reato deve rimanere impunito. L’infallibilità è unita alla certezza della pena. Infine la pena dev’essere conforme, quanto più si possa alla natura del delitto. Secondo la teoria della deterrenza il comportamento criminale non sarebbe influenzato da fattori sociali, familiari, culturali, la rieducazione e riabilitazione dei detenuti non rientrano tra i compiti del carcere così come la prevenzione sociale non rientra tra le finalità della politica penale. 2.2 La prevenzione situazionale La prevenzione sociale è inefficace in quanto chiunque potrebbe commettere un reato qualora si presentasse un’occasione favorevole. Il comportamento criminale si previene intervenendo sull’ambiente in cui si teme possa verificarsi un evento delittuoso con lo scopo di condizionare la decisione o l’abilità del criminale di compiere il reato. Gli interventi devono agire, quindi, sulle circostanze del crimine, riducendo o rimuovendo le condizioni che lo rendono possibile e aumentando, di conseguenza, i rischi collegati alla commissione dei reati. I programmi di prevenzione situazionale possono essere classificati in: • Programmi di design ambientale – ristrutturare gli spazi rendendoli maggiormente difendibili; • Programmi che proteggono i bersagli appetibili rendendoli più difficilmente raggiungibili dai potenziali criminali motivati; • Programmi che si basano sul coinvolgimento dei cittadini residenti nella sorveglianza del loro territorio; • Programmi che prevedono un maggior controllo da parte della polizia • Programmi che informano i cittadini, attraverso i mass media, sugli accorgimenti che si possono adottare per evitare di essere vittimizzati nelle diverse situazioni. Esiste un possibile effetto di spostamento che fa si che il criminale, che non è in grado di portare a termine il proprio progetto delittuoso a causa delle misure di prevenzione che sono state adottate, non rinunci a delinquere ma decida di orientare diversamente la propria strategia criminale. Tale soggetto potrebbe scegliere: • Di commettere lo stesso reato in un altro momento, in un altro contesto, utilizzando una tecnica che renda inefficace la misura a protezione del bene, scegliendo un bersaglio meno protetto; • Oppure di compiere un reato differente. 3.1. Il caso della tossicodipendenza Secondo questa prospettiva teorica il consumatore di droghe è considerato un attore razionale, cioè un soggetto che si adopera per scegliere i mezzi migliori per il conseguimento dei propri fini. Quando si innesca la dipendenza si riduce notevolmente l’insieme delle azioni realizzabili e il comportamento di consumo può diventare un atto di routine, un’abitudine. Molti ritengono che il comportamento di consumo sia compulsivo, sia privo di intenzionalità, non si possa configurare, cioè, come una scelta razionale. Adottando la prospettiva della scelta razionale, si può ritenere che il tossicodipendente abbia sempre almeno due possibili alternative di azione: continuare ad usare la droga per provare piacere o interromperne l’uso. Il caso di Mario: spiegazione e intervento Nella misura in cui il tossicodipendente è considerato un soggetto responsabile della propria condotta, cioè che ha scelto di violare una norma sociale con lo scopo di perseguire un determinato fine, per evitare che l’infrazione della norma si ripeta, sono coerenti con la prospettiva della scelta razionale gli interventi che: • Sanzionino negativamente coloro che adottano tale comportamento (sanzione negativa con effetto deterrente); • Agiscano sulla struttura di opportunità collegata all’adozione di tale comportamento con lo scopo di ridurre la probabilità che i soggetti scelgano di assumere una sostanza illegale (prevenzione situazionale) • Informino i potenziali consumatori e consumatori sui rischi e sui danni associati al consumo di droga (prevenzione primaria e riduzione del danno) la deterrenza - La paura di incorrere in una sanzione negativa dovrebbe indurre i consumatori sanzionati a non reiterare il loro comportamento di consumo. La rieducazione dei tossicodipendenti non rientra tra le funzioni della sanzione. La prevenzione situazionale – Il focus delle politiche di contrasto del consumo di droghe è l’atto in se stesso e non il consumatore. La conoscenza delle ragioni dei consumatori consente di individuare i contesti specifici di consumo sui quali intervenire. Tale conoscenza è utile soltanto a questo scopo, poiché i fautori della prevenzione situazionale mostrano un disinteresse verso il deviante e le cause sociali e psicologiche del suo comportamento. La prevenzione primaria e la riduzione del danno - Secondo questa prospettiva, un individuo razionale non adotterà comportamenti dannosi per la salute, se adeguatamente e correttamente informato. 3.2. Il caso del criminale dal colletto bianco Possiamo assumere che il criminale dal colletto bianco sia un individuo che sceglie il comportamento criminale per ottenere determinati benefici facendo un calcolo costi e benefici. Il criminale dal colletto bianco agisce all’interno di un contesto organizzativo. Il processo decisionale è condizionato oltre che dalle circostanze del momento e dalla sua capacità di agire anche dalla cultura dell’azienda. Il caso di Luca: spiegazione e intervento Il reato di Luca può essere considerato un corporate crime poiché egli ha violato la legge per procurare un beneficio della propria azienda. Anche per questo tipo di criminalità, le politiche di controllo, che si fondano sul modello esplicativo della scelta razionale, prevedono che: • Ogni criminale sia punito con una sanzione che procuri al condannato un costo che ecceda il beneficio che potrebbe ricavare dall’atto criminale; • Si operi sulla specifica struttura di opportunità collegata al reato per rendere la scelta del crimine più difficile e costosa- La deterrenza – E’ evidente che il reato di Luca sia di tipo strumentale e che il suo grado di coinvolgimento nel crimine come stile di vita sia basso; il suo crimine è diventato con il trascorrere del tempo una condotta di routine. Secondo Mathiesen la deterrenza generale funziona per quelli che non ne hanno bisogno, cioè per quelli che hanno un basso grado di coinvolgimento nella devianza e che ritengono giusto rispettare le leggi e punire coloro che le infrangono. Secondo la teoria della prevenzione generale e speciale, la pena non deve avere altra funzione che quella di alzare i costi del crimine, non deve avere, cioè, alcuna funzione rieducativa. L’adozione di una misura alternativa al carcere potrebbe minare l’efficacia deterrente della pena, dimostrando ai potenziali criminali dal colletto bianco e allo stesso Luca che si può evitare di scontare tutta la pena in carcere. La prevenzione situazionale - Poiché l’opportunità illegale è influenzata dal contesto organizzativo in cui il potenziale criminale agisce, gli interventi che hanno lo scopo di rendere meno appetibile il bersaglio designato e potenziare la presenza di guardiani capaci devono tenere conto dei fattori organizzativi. Pensare una strategia di prevenzione situazionale per questo genere di reato è un problema complesso, anche in relazione alla natura intrinsecamente ambigua di questo tipo di comportamenti. Si dovrebbe intervenire per potenziare il controllo sociale sul comportamento dei dirigenti attraverso due tipi di interventi: • Interventi che aumentino la percezione del rischio di essere scoperti, bisogna prevedere forme di controllo esterno; • Interventi che, sensibilizzando le potenziali vittime di tale reato, favoriscano la loro mobilitazione per vigilare sul comportamento dei dirigenti. 3.3 Il caso dell’autore del reato predatorio L’immigrato irregolare che adotta un comportamento criminale è considerato un individuo che sceglie liberamente di infrangere la norma penale quando i benefici che può ricavare dall’atto siano ritenuti superiori ai costi che deve sostenere. Il caso di Mohamed: spiegazione e intervento Se gli autori dei crimini di strada sono individui che agiscono facendo un calcolo costi/benefici, si dovrà intervenire alzando i costi che devono sostenere coloro che scelgono do commettere tali reati. La deterrenza – l’efficacia deterrente della pena dipende dalla natura dell’atto e dal grado di coinvolgimento nel delitto come stile di vita da parte del criminale. Nel nostro caso, possiamo constatare come l’ultimo reato commesso da Mohamed sia di tipo strumentale, mentre si dovrebbe comprendere il suo grado di coinvolgimento nel crimine. La prevenzione situazionale – Adottando la prospettiva teorica della scelta razionale, la criminalità degli immigrati non si previene migliorando le condizioni sociali ed economiche dei potenziali criminali, ma intervenendo sulle condizioni che rendono possibili i singoli atti criminali. Gli interventi di prevenzione situazionale si pongono 2 finalità: • Rendere la vittima designata più difficilmente raggiungibile • Prevedere la presenza di un guardiano capace. Nel primo caso rientrano tutti quegli interventi che sensibilizzano le potenziali vittime, nel secondo rientrano tutti quegli interventi che rafforzano il controllo sociale. 2. IL PARADIGMA SOCIALE: DURKHEIM E LA SCUOLA DI CHICAGO 1. Le teorie Nel corso del XIX secolo emerge una visione che considera la devianza un prodotto sociale, un “fatto sociale”. Questo paradigma sociale individua le radici del comportamento deviante in quelle condizioni che gli individui non possono controllare e che li predispongono a certi comportamenti. Secondo questa prospettiva le cause della devianza e della criminalità non sono riconducibili a spiegazioni di tipo psicologico o biologico, ma andranno ricercate in condizioni caratterizzanti la società. All’interno del paradigma sociale della devianza e del crimine troviamo tre importanti tradizioni teoriche e di ricerca: • La prima interpretazione sociologica della devianza nella società industriale è opera di Durkheim; individuo nell’anomia (specifica condizione della società) la causa degli alti tassi di devianza e di criminalità; • Gli studi della Scuola di Chicago evidenziano come la devianza e la criminalità non siano caratteristiche degli individui ma piuttosto dei contesti sociali in cui tali individui vivono; • La teoria struttural-funzionalista che esamina il rapporto tra la devianza e la struttura sociale e culturale di una società. 1.1. Devianza e anomia. Il contributo teorico di Durkheim Secondo questo sociologo è criminale un comportamento che viene giudicato negativamente dalla maggior parte dei membri di una collettività poiché viola le norme e i valori di tale collettività. Non esistono comportamenti intrinsecamente devianti, ma comportamenti che sono giudicati tali poiché urtano l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società. La devianza è un fatto sociale normale - Secondo Durkheim la criminalità è un fenomeno sociale “normale” poiché è presente in ogni tipo di società. Se è presente in ogni tipo di società, la criminalità deve svolgere una funzione sociale specifica: il mantenimento della coesione sociale. Infatti, un atto criminale, determinando una reazione della società, rafforza i sentimenti collettivi contro la trasgressione della norma e indirettamente contribuisce a rafforzare l’ordine sociale. La reazione della società non serve a correggere il colpevole o intimidire i suoi possibili imitatori. Se non vi fossero comportamenti che, trasgredendo la morale vigente, anticipassero la morale futura, le società non potrebbero progredire. Durkheim ritiene che la devianza sia un fatto sociale normale perché rende le società aperte al mutamento sociale. Anomia e devianza - Secondo questa prospettiva, ciò che deve essere considerato un fatto sociale patologico è il rapido incremento del tasso di devianza nell’ambito di una determinata collettività. L’aumento del tasso di devianza dovrà essere spiegato ricorrendo ad uno specifico fatto sociale, chiamato da Durkheim deregolamentazione (anomia) che avviene nella società quando i legami sociali si indeboliscono e la società stessa non è più in grado di regolare i sentimenti e le attività degli individui. Durkheim sviluppa il concetto di anomia nel suo studio sul suicidio. Elabora una tipologia del suicidio classificandone le cause: il suicidio egoistico, altruistico e anomico. Nella prima parte del suo studio egli mostra come il suicidio vari in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo. Esiste quindi un tipo di suicidio definito egoistico, risultante da una eccessiva individualizzazione. La spiegazione del suicidio altruistico risiede in un eccesso di attaccamento al gruppo. Un repentino aumento dei tassi di suicidio si ha nei casi di disastri economici o quando la crisi ha origine per un improvviso incremento della ricchezza collettiva. A questo tipo di suicidio, definito anomico, i membri della società sono maggiormente esposti quando il potere delle norme sociali si affievolisce. L’uomo ha bisogno di un’autorità morale che regoli la sua condotta e agisca da freno: quando una società non agisce più come potere che regola il comportamento dei suoi membri e non è più in grado di imporre loro alcun limite, si cade in una condizione di anomia. Non si riduce la criminalità reprimendo duramente gli autori delle inciviltà urbane, ma la si contrasta sostenendo le comunità locali nella loro capacità di mobilitarsi per affrontare problemi di comune interesse. Rendere più efficace il controllo sociale informale intervenendo: • Sulle condizioni che consentono di rafforzare i legami sociali tra i membri di una stessa comunità; • Sulle capacità di empowerment della comunità rendendo i membri consapevoli dei problemi della propria comunità; • Sull’ambiente fisico, riorganizzando gli spazi di vita dei membri della comunità. 2.2. Le politiche per affrontare il conflitto culturale Le politiche finalizzate ad affrontare il conflitto culturale devono promuovere il processo di integrazione degli immigrati. Il processo di integrazione può essere orientato da tre logiche: • La logica dell’immigrazione temporanea – l’integrazione dell’immigrato deve essere limitata poiché l’immigrazione è considerata un fenomeno contingente, funzionale alle esigenze del mercato di lavoro; • La logica dell’assimilazione – promuove l’omologazione culturale dei nuovi arrivati; • La logica pluralista – promuove le pratiche politiche multiculturali. 3.1. Il caso del tossicodipendente la teoria dell’anomia e della disorganizzazione sociale Il consumo di droghe viene interpretato come uno degli indicatori di anomia e di disorganizzazione; la devianza e il crimine sono il prodotto dell’indebolimento del controllo sociale informale. il caso di Mario: spiegazione e intervento occorre verificare se Mario sia un caso isolato o se il consumo di droghe illegali sia un fenomeno diffuso nel suo quartiere. Nel caso di Mario , si possono rafforzare i suoi legami sociali facendo in modo che: - investa più tempo ed energie in attività convenzionali - dedichi più tempo a tali attività convenzionali Si può prevedere un eventuale allontanamento di Mario dal suo contesto di vita e un suo inserimento presso una struttura residenziale (comunità terapeutica). La teoria del conflitto culturale – Si dovrà valutare se il consumo di droghe illegali di un individuo sia un comportamento non stigmatizzato o addirittura promosso dalle norme di condotta della cultura a cui egli fa riferimento. Il caso di Mario: spiegazione e intervento Si deve cercare di capire, in primo luogo, se il consumo di droga da parte di Mario sia espressione di una determinata subcultura, in secondo luogo, quali siano le norme di condotta che orientano il comportamento di consumo dei membri di tale subcultura. Le politiche finalizzate ad affrontare il consumo di droghe possono essere orientate da due logiche: • La prima ispira tutte quelle politiche caratterizzate da un atteggiamento tollerante nei confronti degli autori di un reato senza vittima • La seconda ispira le politiche che intendono favorire l’assimilazione dei valori e delle norme di condotta della cultura dominante. 3.2. Il caso del criminale dal colletto bianco La teoria dell’anomia e della disorganizzazione sociale – La prospettiva ecologica della Scuola di Chicago non viene utilizzata per spiegare la criminalità dei membri delle classi superiori. Il concetto di anomia di Durkheim può spiegare tanto la devianza dei poveri quanto quella dei ricchi. Durkheim descrive anche un meccanismo psicosociale che può spiegare la devianza dei ricchi. Il caso di Luca: spiegazione e intervento La spiegazione del comportamento criminale di Luca può essere ricondotta ad uno specifico fenomeno strutturale (l’anomia), al fatto che il potere e la ricchezza, esaltando l’individualismo lo abbiano reso meno vincolato ai propri obblighi morali verso gli altri. Le politiche d’intervento dovrebbero agire su due livelli: • A livello strutturale, promuovendo le condizioni affinchè, attraverso il consolidamento dei legami sociali; • A livello culturale, promuovendo nei membri potenti della società un’etica della responsabile. Intervento di tipo strutturale – Braithwaite descrive una specifica forma di regolazione del crimine dei colletti bianchi che si fonda sull’importanza dell’interdipendenza tra gli individui. Poiché le persone interdipendenti sono più sensibili alla vergogna, per prevenire il crimine si devono rafforzare i legami sociali. La teoria della vergogna reintegrativa di Braithwaite implica lo spostamento della responsabilità del controllo dell’illegalità verso la comunità insieme con la responsabilità di affrontare tale illegalità attraverso processi informali di controllo sociale. Intervento di tipo culturale – la detenzione e l’affidamento in prova al Servizio sociale possono diventare un’esperienza riabilitativa nella misura in cui si è in grado di costruire un percorso di risocializzazione attraverso cui Luca interiorizzi un’etica della responsabilità. Il caso di Luca: spiegazione e intervento nella teoria del conflitto culturale Gli autori dei reati dei colletti bianchi e d’impresa hanno il potere di orientare il processo di criminalizzazione primaria e secondaria e quindi hanno più possibilità di evitare le sanzioni e di vedere considerate le proprie azioni come atti non criminali. Le politiche devono intervenire: • Sul versante culturale, promuovendo tra gli insiders la consapevolezza che questi comportamenti sono dannosi per la collettività; • Sul versante strutturale, promuovendo politiche di regolazione del fenomeno che privilegino meccanismi autoregolativi. 3.3. Il caso dell’autore del reato predatorio la teoria dell’anomia e della disorganizzazione sociale - La criminalità degli immigrati viene interpretata come uno degli indicatori di disorganizzazione sociale e di anomia e viene pertanto studiata come problema sociale. Il caso di Mohamed: spiegazione e intervento Si potrebbero rafforzare i suoi legami sociali sia con la comunità italiana sia con quella parte della comunità magrebina che si è integrata nella comunità italiana. La teoria del conflitto culturale – I figli degli immigrati di prima generazione tendevano a mettere in atto comportamento devianti tipici degli autoctoni poiché la loro condotta non era più regolata completamente dalle norme della cultura dei paesi da cui provenivano i loro genitori: nello stesso tempo però essi non erano in grado di integrarsi pienamente nella cultura del paese in cui erano nati. Il caso di Mohamed: spiegazione e intervento Il comportamento di Mohamed è sanzionato sia nella nostra cultura sia in quella magrebina, quindi la teoria del conflitto culturale non può esserci utile per spiegare il comportamento deviante di Mohamed. 3. IL PARADIGMA SOCIALE: LA TEORIA DELLA TENSIONE E LE TEORIE DELLE SUBCULTURE 1. Le teorie Le teorie struttural-funzionaliste studiano la società come una totalità di strutture sociali e culturali tra loro interdipendenti. Il funzionalismo postula l’esistenza di uno stato di equilibrio del sistema sociale; ogni società è caratterizzata da un sistema normativo condiviso dai proprio membri. Tali membri apprendono, attraverso la socializzazione primaria e secondaria, come agire in modo conforme. Secondo questa prospettiva teorica il deviante è un soggetto che, in seguito ad una socializzazione inadeguata, agisce violando tali aspettative. All’interno dell’impostazione struttural-funzionalista uno dei contributi più significativi allo studio della devianza è quello di Merton, il quale riformula la teoria di Durkheim. Secondo Merton l’anomia è una condizione della società in cui vi è un contrasto tra l’enfasi che si attribuisce alle mete culturalmente indotte dal sistema e la scarsa importanza che si riserva ai mezzi legittimi che devono essere utilizzati per raggiungerle. Per Merton dato che le inclinazioni degli individui sono indotte dal sistema culturale, la devianza scaturisce dall’esistenza di norme forti, che entrano in contrasto con la struttura sociale. La teoria di Merton non è però in grado di spiegare la devianza collettiva. I contributi più importanti sono stati quelli di Cohen e Cloward e Ohlin: come Merton, essi ritenevano che l’origine della devianza fosse determinata dalla tensione strutturale tra mete e mezzi, ma, a differenza di Merton, consideravano il comportamento deviante in adattamento collettivo piuttosto che individuale. 1.1. Merton: la teoria della tensione Secondo Merton il comportamento deviante deve essere considerato un prodotto della struttura sociale e culturale così come lo è il comportamento conformista. “Se la struttura sociale reprime talune disposizioni ad agire ne crea altre. Le mete culturali e le norme istituzionali – In ogni società sono definiti culturalmente sia le mete a cui gli individui possono legittimamente aspirare, sia i modi accettabili attraverso cui tali mete possono essere perseguite. Il criterio dell’accettabilità dei diversi modi è dato da norme istituzionalizzate. I modi istituzionali non sono necessariamente i più efficienti e accessibili. Per Merton l’anomia è una condizione della società in cui è presente la dissociazione fra le mete e le norme prescritte culturalmente e le capacità di un gruppo di agire in modo conforme ad esse. Nei gruppi in cui le due componenti della struttura sociale (mete e mezzi istituzionali) sono poco integrate, si verifica la demoralizzazione, cioè il processo attraverso cui le norme perdono il loro potere di regolare il comportamento. Merton esemplifica il suo ragionamento facendo riferimento alla società americana, caratterizzata da 3 assiomi culturali: • Ogni americano deve tendere al perseguimento delle mete ambiziose; • Un eventuale insuccesso deve essere considerato soltanto come una tappa intermedia che prelude al raggiungimento della meta finale; • Il vero insuccesso consiste nell’abbassare le proprie ambizioni e ne rinunciare a perseguire mete ambiziose. I tipi di andamento individuale - Merton giunge a descrivere 5 tipi di adattamento individuale: - La conformità: quando una società è stabile la conformità è l’adattamento più comune e largamente diffuso. Gli individui perseguono le mete culturali utilizzando i mezzi istituzionalizzati a loro disposizione. È il modo di adattamento non deviante. - L’innovazione: si verifica quando gli individui ricorrono a mezzi istituzionalmente proibiti ma che sono spesso efficaci per il raggiungimento almeno di un simulacro di successo, ricchezza e potere. Merton ritiene che le maggiori pressioni verso un comportamento deviante vengano esercitate sui membri delle classi sociali inferiori poiché essi sono incentivati dalla struttura culturale a perseguire il successo economico, dall’altro lato sono limitati nell’accesso ai mezzi istituzionalizzati. Per molti individui il perseguimento del successo economico può essere ottenuto soltanto ricorrendo ai mezzi non istituzionalizzati, spesso proibiti, ma più efficaci di quelli che potrebbero essere utilizzati in modo legittimo. - Il ritualismo: il ritualista è un individuo che, avendo abbassato le proprie pretese, rinuncia a perseguire la meta culturale del successo economico e della rapida ascesa sociale. Facendo ciò, egli continua, però, a rimanere vincolato, in modo quasi coercitivo, alle norme istituzionali. Questo tipi di adattamento è scelto prevalentemente dai membri della classe sociale media-inferiore. - La rinuncia: è il modo di adattamento che ha maggiori probabilità di verificarsi quando un individuo ha interiorizzato adeguatamente sia i valori finali, sia le norme istituzionali, ma la sua posizione sociale non gli consente l’accesso ai mezzi legittimi per perseguire la meta del successo, ma l’interiorizzazione della obbligazione morale ad adottare mezzi istituzionali non gli consente di avvalersi delle vie illegali. Questa situazione conflittuale viene risolta sia con la rinuncia a perseguire la meta del successo, sia con l’abbandono di ogni procedura istituzionale. Con questa scelta l’individuo diventa associale, disadattato. Rientrano in questa categoria i modi di adattamento degli psicotici, mendicanti, ubriaconi cronici… - La ribellione: è il tipo di adattamento collettivo. I ribelli rifiutano le mete e i mezzi istituzionali e si adoperano per trasformare la struttura sociale. È il modo di adattamento dei rivoluzionari. Assunzioni particolari della teoria dell’anomia elaborata da Merton: • Gli esseri umani sono socializzati a perseguire determinate mete culturali adottando specifici mezzi istituzionali; • In una società in equilibrio stabile, le persone adottano una condotta conforme alle aspettative di ruolo; • In una società caratterizzata dall’anomia, gli individui sono indotti ad una condotta non conformista; La seconda finalità si può perseguire modificando le mete che la società prescrive. 3. Applicazione delle teorie ai casi 3.1. Il caso del tossicodipendente La teoria della tensione – il consumo di droghe è considerato una forma di adattamento alla tensione tra mete e mezzi istituzionalizzati. La modalità di adattamento del tossicodipendente è quella della rinuncia. Il caso di Mario: spiegazione e intervento Ci si dovrà chiedere se il comportamento deviante di Mario sia riconducibile alla pressione esercitata dalla struttura sociale. Verificare se, e in quale misura, egli si ritrovi a vivere una situazione strutturalmente conflittuale, caratterizzata: • Dalla convinzione di non poter perseguire in modo legittimo le mete • Dall’incapacità di usare una strada illecita per via delle proibizioni che interiorizzato. Da un punto di vista strutturale si possono implementare programmi che ridistribuiscono le opportunità istituzionalizzate fra tutti i membri della società. Da un punto di vista culturale, si può evitare di promuovere aspirazioni che enfatizzino il perseguimento del successo personale a qualsiasi costo. Facendo riferimento al nostro caso, si potrebbe orientare l’intervento ponendo come obiettivo quello di affrontare la condizione strutturale di frustrazione che vivrebbe Mario, individuando un percorso di aiuto che renda a lui più accessibili determinati mezzi istituzionali. Sul versante culturale, la tensione che sperimenterebbe Mario potrebbe essere affrontata attraverso un percorso educativo che lo aiuti a ridefinire le proprie ambizioni. Le teorie delle subculture delinquenti – secondo questo schema il consumo di droghe mitica il senso di fallimento che deriva dall’incapacità di perseguire la meta del successo. Il caso di Mario: spiegazione e intervento Si dovrebbe verificare se Mario sia membro di un gruppo che esprime una subcultura legata al consumo di droghe illegali. Il consumo di droga di Mario potrebbe essere spiegato ricorrendo al meccanismo della tensione che ha descritto Ehrenberg ( nella società moderna molte persone ricorrono all’uso di psicofarmaci e di droghe per affrontare la tensione determinata dalla necessità di mostrarsi sempre all’altezza dei propri compiti e di mitigare la sensazione di malessere derivante dal fatto che, secondo la cultura dominante, ogni fallimento viene attribuito al singolo), ma non può essere spiegato facendo riferimento a quello del doppio fallimento. 3.2. Il caso del criminale dal colletto bianco La teoria della tensione – la teoria della tensione è stata anche utilizzata per spiegare: • Il comportamento deviante dei membri delle classi sociali superiori; • L’adozione di comportamenti criminali nell’esercizio della propria professione; • L’adozione di comportamenti criminali da parte delle imprese. Anche i membri delle classi superiori possono subire una pressione verso l’adozione di comportamenti devianti nella misura in cui sperimentano una tensione tra l’aspettativa di conseguire la meta del successo economico e la difficoltà ad eccedere ai mezzi istituzionalizzati, a causa della scarsa disponibilità di essi. Ciò che rende l’impresa criminogena è il fatto che essa operi in un ambiente incerto e imprevedibile tale per cui, a volte, le opportunità legittime per il conseguimento dei fini limitate o poco accessibili. Il caso di Luca: spiegazione e intervento Per prevenire e contrastare i corporate crimes si devono affrontare le specifiche cause strutturali. Bisogna analizzare la struttura sociale delle imprese i cui elementi cruciali sono: le condizioni strutturali dei mercati in cui le imprese operano, lo stato generale delle economie, le ideologie che orientano e giustificano le loro azioni e i tipo di regolazione istituzionale a cui sono soggette. Se il comportamento criminale delle imprese è favorito da un determinato modo di produzione sono gli Stati che devono regolare in modo efficace il comportamento delle imprese. Secondo questa prospettiva, i modelli di autoregolazione sono inefficaci perché è il sistema stesso ad essere criminogeno. Le teorie delle subculture delinquenti - questo modello teorico non possono essere utilizzate per spiegare i reati dei colletti bianchi. Esiste però una prospettiva teorica del crimine dei colletti bianchi che focalizza l’analisi delle subculture organizzative. Particolarmente rilevanti per lo studio della criminalità dei colletti bianchi sono quelle subculture organizzative che espongono i propri membri a particolari visioni del mondo. Le subculture possono favorire il comportamento criminale in 2 modi: • Fornendo ai propri membri le razionalizzazioni per compiere il reato; • Isolando i propri membri dai modelli normativi convenzionali. Nel primo caso, la subcultura consente ai membri di neutralizzare la norma che deve essere violata. Nel secondo caso, l’isolamento dalle definizioni favorevoli alla legge è simile alla condizione in cui si vengono a trovare i giovani che partecipano alle bande giovanili. Tale funzione delle subculture può rendere i propri membri resistenti alla rieducazione poiché il trattamento è efficace laddove il paziente avverta sentimenti di colpa. Il caso di Luca: spiegazione e intervento Potremmo spiegare il comportamento criminale di Luca come la scelta di chi, conformandosi alle regole della subcultura del settore organizzativo in cui lavorava, non riteneva vincolanti determinate norme sociali. 3.3. Il caso dell’autore del reato predatorio La teoria della tensione – l’innovazione è utile per spiegare sia il comportamento deviante di persone che sono immigrate per migliorare la propria posizione sociale, sia quello degli immigrati di seconda generazione. Il caso di Mohamed: spiegazione e intervento Dal punto di vista strutturale, si possono implementare programmi che, ridistribuendo le opportunità istituzionalizzate fra tutti i membri della società, favoriscano il processo di integrazione sociale degli immigrati. Da un punto di vista culturale si dovrebbe evitare di promuovere aspirazioni che enfatizzino il perseguimento del successo personale. Le teorie delle subculture delinquenti – il reato predatorio di un immigrato può essere considerato espressione di una reazione collettiva a problemi strutturali di adattamento. La natura della risposta deviante, che si sviluppa come ricerca collettiva di soluzioni a determinati problemi di adattamento, è influenzata non soltanto dalla difficoltà di accesso ai mezzi istituzionali, ma anche dal tipo di opportunità illegittime a cui le persone sono esposte nell’ambiente in cui vivono. Il caso di Mohamed: spiegazione e intervento Si previene e si contrasta la criminalità dei membri di una subcultura delinquente favorendo il loro accesso ai mezzi legittimi attraverso politiche che promuovano l’integrazione sociale ed economica di tali membri. 4. L’APPRENDIMENTO DEL COMPORTAMENTO DEVIANTE 1. Le teorie Secondo questa prospettiva teorica, il comportamento deviante è appreso attraverso gli stessi processi con cui gli esseri umani apprendono i comportamenti conformi. Mentre il comportamento conforme e quello deviante sono appresi essenzialmente nello stesso modo i contenuti, di ciò che si apprende, dipendono dai modelli di comportamento che sono trasmessi all’interno delle relazioni sociali. La teoria dell’associazione differenziale di Sutherland, il quale elabora una teoria generale che considera il crimine un comportamento appreso attraverso l’interazione con altre persone in un processo di comunicazione sociale. Teoria della neutralizzazione di Marza e Sykes secondo la quale le persone possono mettere in atto un comportamento deviante senza contrapporsi radicalmente alle norme e ai valori della cultura dominante, quando sono in grado di neutralizzare la forza regolatrice di tali norme e valori. 1.1. Sutherland e la teoria dell’associazione differenziale Egli propone una teoria che tenta di spiegare sia le variazioni nei tassi di reato per gruppi e comunità. La sua prospettiva è basata su tre concetti, conflitto normativo, organizzazione sociale differenziale, associazione differenziale. Il conflitto normativo – Sutherland ritiene che il crimine sia un fenomeno connotato politicamente. Secondo il principio del conflitto normativo, i tassi di reato sono più alti nelle società e nei gruppi che sono caratterizzati dalla presenza di estese subculture delinquenti , cioè di regole di condotta che infrangono le norme imposte dal gruppo che detiene il potere politico. L’organizzazione sociale differenziale – Un tasso di reato alto è dovuto alla disorganizzazione sociale. Sutherland ritiene, che il concetto di disorganizzazione sociale non sia del tutto soddisfacente e sia preferibile sostituirlo col termine organizzazione sociale differenziale poiché il tasso di criminalità non è il prodotto di un qualche deficit sociale ma è funzione dell’organizzazione sociale dei diversi gruppi. Una teoria generale del crimine - Il tentativo di Sutherland è quello di individuare quelle condizioni che sono sempre presenti quando il reato è presente e assenti quando il reato è assente. Tale tentativo spinge l’autore a confutare le spiegazioni della criminalità che assegnano un potere causale alla povertà, alla malattia mentale… Secondo Sutherland si può giungere a formulare una generalizzazione, riguardante il reato ed il comportamento criminale, astraendo logicamente le condizioni ed i processi che sono comuni ai ricchi e ai poveri, ai maschi ed alle femmine, ai neri ed ai bianchi, agli abitanti delle zone urbane e di quelle rurali.. che commettono reati. Le spiegazioni dinamica ed evolutiva del comportamento criminale – Il comportamento criminale può essere spiegato individuando: • I processi che agiscono nel momento in cui il reato si verifica (spiegazione situazionale o dinamica) • I processi che agiscono nella storia antecedente dell’autore del reato (spiegazione storica o evolutiva) Il primo tipo di spiegazione focalizza l’analisi sulla situazione in cui si verifica il reato. Spiegazione storica: la situazione oggettiva non esclude l’importanza della persona. La situazione è definita diversamente da ogni singola persona, a seconda delle inclinazioni e delle abilità che ha acquisito. La spiegazione situazionale non può non tenere conto della storia dell’autore del reato poiché le sue esperienze di vita avranno avuto un ruolo fondamentale nel determinare il modo in cui egli ha definito la situazione. La teoria dell’associazione differenziale – Sutherland elabora una teoria evolutiva che spiega il processo attraverso cui il singolo individuo giunge a intraprendere un comportamento criminale. Si articola in 9 asserzioni: 1. Il comportamento criminale è appreso. 2. È appreso attraverso l’interazione con altre persone. 3. La parte fondamentale del processo di apprendimento del comportamento criminale si realizza all’interno di gruppi di persone in stretto rapporto tra loro. 4. L’apprendimento include: a) le tecniche di commissione del reato; b) lo specifico indirizzo dei moventi, delle iniziative 5. L’indirizzo specifico dei moventi e delle iniziative viene appreso attraverso le definizioni favorevoli o sfavorevoli ai codici delle legge. 6. Una persona diviene delinquente perché le definizioni favorevoli alla violazione della legge superano le definizioni sfavorevoli alla violazione della legge. 7. Le associazioni differenziali possono variare in frequenza, durata, priorità.. 8. Il processo di apprendimento del comportamento criminale attraverso l’associazione con modelli di comportamento criminale ed anti-criminale coinvolge tutti i meccanismi che sono coinvolti in ogni altro apprendimento. 9. Benchè il comportamento criminale sia espressione di bisogni e valori generali, questi bisogni e valori non possono spiegarlo. Secondo questo principio le persone diventano criminali quando le definizioni favorevoli alla violazione della legge prevalgono sulle definizioni che promuovono modelli di comportamento conformi alla legge: le persone non commettono un reato, lo fanno anche a causa dell’isolamento da modelli di comportamento anticriminali. Per valutare il tipo di esposizione di un individuo alle definizioni sfavorevoli ai codici della legge, Sutherland indica quattro modalità: la frequenza; la durata della sua esposizione; la priorità, ovvero il momento in cui si è verificata l’associazione con tali modelli; l’intensità emozionale dell’associazione e il prestigio di coloro che manifestano il comportamento osservato. La criminalità dei colletti bianchi – Reati commessi da persone rispettabili e di elevata condizione sociale nel corso della propria occupazione. Il saggio di Sutherland dimostra che da un lato non esistono gruppi sociali i quali possano essere ritenuti immuni dal fenomeno criminale, dall’altro, che le spiegazioni del comportamento criminale fondate sulle patologie e sulla povertà, non essendo in grado di spiegare questo tipo di reati, non individuando i fattori essenziali del crimine in generale. Le uniche differenze significative tra il criminale del colletto bianco e il ladro professionista riguardano il concetto che il reo ha di sé e l’opinione che la collettività ha di lui. La riduzione dei danni associati al consumo di droghe illegali – si possono prevenire determinati modelli di consumo dannosi e determinati comportamenti devianti, collegati all’uso di droghe illegali, promuovendo rappresentazioni sociali del fenomeno che veicolino credenze le quali, modificando la struttura motivazionale dei consumatori, li inducano ad agire in modo responsabile. Il trattamento del singolo consumatore – se il consumatore di droghe illegali è un individuo che ha neutralizzato determinate norme sociali, lo scopo del trattamento sarà quello di modificare la sua struttura motivazionale rendendo inefficaci le tecniche di neutralizzazione che ha appreso e che sta utilizzando. 3.2. Il caso del criminale dal colletto bianco La teoria dell’associazione differenziale: il caso di Luca – spiegazione e intervento Il comportamento criminale di Luca può essere spiegato come il risultato dell’apprendimento di tecniche, motivazioni, razionalizzazioni favorevoli alla violazione della legge avvenuto sul luogo di lavoro. Tre tipi di intervento: • Interventi che agiscano sulle variabili strutturali della criminalità dei colletti bianchi; • Interventi che incidano sulle culture organizzative che favoriscono l’adozione di condotte criminali; • Interventi rieducativi nei confronti degli autori di reato con il fine di promuovere una loro affiliazione con gruppi di persone che siano in grado di convertirli ad una condotta non criminale. Criminalità dei colletti bianchi e disorganizzazione sociale – Sutherland sostiene che vi siano due tipi di disorganizzazione sociale che favoriscono la criminalità dei colletti bianchi: l’anomia, creata dal passaggio da un sistema di libera concorrenza ad un sistema economico regolato dallo Stato e il conflitto tra le regole della comunità del mondo delle imprese, che è fortemente organizzata per le attività criminale, e lo Stato che non riesce a contrastare efficacemente le condotte illegali poiché manca un’organizzazione contro il crimine dei colletti bianchi. La teoria della neutralizzazione – Secondo questa teoria, Luca è un soggetto che ha deciso di commettere il reato, per il quale è stato successivamente condannato, dopo aver utilizzato delle strategie per giustificare il proprio comportamento criminale. Una delle più comuni tecniche di neutralizzazione usate dai criminali dal colletto bianco è la negazione dell’offesa. Le persone coinvolte in crimini d’impresa frequentemente giustificano il loro comportamento sostenendo che le norme violate sono ingiuste. Il caso di Luca: spiegazione e intervento Si possono individuare tre tipi di intervento: • Interventi sulla società, con lo scopo di modificare quelle rappresentazioni che non consentono di vedere la dimensione antisociale dei reati dei colletti bianchi; • Interventi sui gruppi di riferimento • Interventi sul singolo autore di reato. 3.3. Il caso del reato predatorio La teoria dell’associazione differenziale – secondo Sutherland si diventa autori di reati di tipo predatorio apprendendo le tecniche, i moventi e le razionalizzazioni dell’azione stessa attraverso l’interazione con altre persone in un processo di comunicazione. Il caso di Mohamed: spiegazione e intervento L’intervento dovrà fare in modo che Mohamed entri in contatto con modelli normativi sfavorevoli alla violazione della legge. Si possono individuare due tipo di intervento: • Interventi rivolti alla comunità nella quale egli vive con lo scopo di promuovere un’organizzazione sociale in cui prevalgono i modelli normativi sfavorevoli alla violazione della legge; • Interventi rieducativi nei confronti di Mohamed con il fine di promuovere una sua affiliazione con gruppi di persone non criminali che siano in grado di convertirlo ad una condotta conforme. La teoria della neutralizzazione – il caso di Mohamed: spiegazione e intervento È coerente con la teoria della neutralizzazione ogni intervento che abbia lo scopo di modificare la struttura motivazionale del deviante rendendo inefficaci le tecniche di neutralizzazione che egli ha appreso, che ha utilizzato e che sta utilizzando. 5. LA TEORIA DELLA REAZIONE SOCIALE E DELL’ETICHETTAMENTO 1. La teoria Si argomenta che la reazione sociale dello Stato contribuisce a proteggere la società perché: • Riduce i comportamenti criminali: scoraggia il criminale dall’infrangere nuovamente la legge; • Rafforza la coesione sociale perché favorisce il sorgere di sentimenti collettivi contro la trasgressione della norma. I teorici dell’etichettamento spostano l’analisi dai comportamenti ai processi attraverso i quali certi individui finiscono coll’essere definiti devianti da altri. Poiché il crimine e la devianza sono una questione di definizione, l’attenzione si focalizza sul processo di costruzione sociale di tali fenomeni. La devianza è il prodotto del processo interattivo tra coloro che creano e fanno applicare le norme e coloro che le infrangono e che vengono etichettati e trattati come devianti. Adottando questa prospettiva teorica il focus dell’analisi si concentra su tre importanti aree tematiche: • La formazione delle norme; • L’applicazione delle norme; • Le conseguenze dell’etichettamento sugli individui. 1.1. La formazione delle norme Una spiegazione sociologica della devianza deve tenere conto dei processi attraverso cui sono prodotte tali norme. Le spiegazioni sociologiche possono essere classificate in due gruppi: • Spiegazioni che sottolineano la natura consensuale delle norme; • Spiegazioni che ne evidenziano l’origine conflittuale. Le spiegazioni del primo gruppo considerano la devianza come un fenomeno oggettivamente dato: l’equilibrio della società si fonda su aspettative normative condivise da quasi tutti i membri della società; in questa visione è relativamente facile identificare la devianza, essendo un comportamento che si discosta da tali aspettative normative. Le spiegazioni del secondo gruppo evidenziano la natura politica della devianza e del crimine: le definizioni di ciò che è deviante e di ciò che non lo è riflettono gli interessi dei gruppi sociali dominanti. La teoria del conflitto Secondo i criminologi che adottano la prospettiva teorica del conflitto, il compito principale della criminologia non deve essere quello di spiegare le cause del comportamento criminale, ma il processo attraverso cui sono selezionati i comportamenti che verranno sanzionati dalla legge penale. Secondo le teorie pluraliste la legge e la sua applicazione selettiva sono strumenti attraverso cui i gruppi dominanti tutelano i propri interessi sanzionando i comportamenti di coloro che minacciano tali interessi. La criminalità è espressione del conflitto tra i diversi gruppi e si verifica quando la condotta delle persone viola quelli del gruppo dominante che sono tutelati dalla legge. Le teorie radicali del conflitto considerano il capitalismo un sistema economico e sociale criminogeno poiché può essere considerato la causa dei crimini che sono una conseguenza dello sfruttamento e dell’oppressione della classe operaia. 1.2. L’applicazione delle norme Le norme che sono state create devono essere applicate. La reazione sociale è selettiva poiché è espressione delle scelte e degli interessi di coloro che hanno il potere di etichettamento: infatti non tutti coloro che violano le norme sono etichettati come devianti, così come occasionalmente possono essere etichettate come devianti persone che non hanno violato le norme. Differenze di potere: i gruppi che dispongono di più potere di altri sono in grado di perseguire i propri interessi controllando i modi con cui le persone definiscono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e stabilendo quali comportamenti debbano essere stigmatizzati. Chambliss evidenzia alcuni fattori che spiegano le differenze nella reazione sociale della comunità: • Il differente trattamento è in parte determinato dal fatto che una gang (1 composta da classe media e uno da classe operaia) è molto più visibile dell’altra; • Differenti sono le reazioni dei membri delle due gangs agli interventi della comunità nei loro confronti • Alcuni pregiudizi della comunità sui membri delle classi meno abbienti; • La risposta della comunità rinforza il loro comportamento deviante. 1.3. Le conseguenze dell’etichettamento sugli individui Lamert descrive il processo attraverso cui la persona etichettata riorganizza la propria identità e la propria vita intorno ai fatti della devianza distinguendo tra devianza primaria e secondaria. La devianza primaria viene “normalizzata” poiché il soggetto razionalizza il proprio comportamento come una deviazione temporanea. Viceversa quando una persona incomincia ad usare il proprio comportamento deviante come un mezzo di difesa, attacco o adattamento nei confronti dei problemi creati dalla conseguente reazione sociale ad essa, la sua devianza diventa secondaria. La devianza secondaria è l’esito di un processo di interazione tra il deviante e coloro che lo stigmatizzano. La carriera deviante – Un concetto utile è quello di carriera. Con tale concetto si fa riferimento al percorso seguito da una persona in una determinata posizione o esperienza con il trascorrere del tempo. I mutamenti di uno stato nell’ambito di una carriera possono anche dipendere da fattori casuali e contingenti. • Prima fase della carriera deviante. Il primo passo di una carriera deviante è la commissione di un atto non conforme. Colui che viola le norme in modo consapevole deve sviluppare specifici vocabolari motivazionali, interessi e definizioni della situazione che gli consentano di adottare il comportamento deviante neutralizzando l’impatto con i commitments, ovvero il coinvolgimento verso le norme e le istituzioni convenzionali. • Seconda fase della carriera deviante. Il secondo passo di una carriera deviante è lo sviluppo di motivazioni, interessi, definizioni favorevoli alla trasgressione di determinate norme sociali. Secondo questa prospettiva teorica, le motivazioni non necessariamente preesistono al comportamento deviante • Terza fase della carriera deviante. Etichettamento pubblico del soggetto come deviante, egli passa dalla condizione di persona screditabile a quella di persona screditata. Le caratteristiche primarie di una persona mettono in ombra altre caratteristiche giudicate meno importanti. Verrà interpretato retrospettivamente il suo comportamento passato per trovare una conferma della sua diversità. Il deviante assume progressivamente lo status e l’identità veicolata dall’etichettamento: la persona finisce per divenire quello che è stato descritto essere. Becker evidenzia che anche il trattamento può contribuire ad ampliare la devianza. Uno studio sulla remissione assistita e spontanea dall’uso dipendente di eroina ha evidenziato come il processo di remissione sperimentato condizioni lo sviluppo della carriera deviante. • Quarta fase della carriera deviante. Consiste nell’entrare a far parte di un gruppo deviante organizzato. Il soggetto stigmatizzato subisce varie forme di discriminazione che possono condizionarne le opportunità di vita. L’affiliazione al gruppo deviante consente alle persone stigmatizzate di consolidare l’identità deviante. La carriera deviante non è solo discendente: evitare il determinismo sociologico Non si deve concettualizzare lo sviluppo di una carriera deviante in modo deterministico poiché le carriere dei devianti non sono simili, né il loro sviluppo segue fasi predeterminate e inevitabili. La prospettiva interazionista interpreta le carriere devianti nei termini di un processo dialettico in cui i fattori ambientali ed individuali influenzano e condizionano, ma non determinano, le traiettorie future dell’azione. Le persone reagiscono all’etichettamento interpretando la definizione della situazione proposta dagli agenti della reazione sociale. Poiché la devianza è il prodotto del processo interattivo tra coloro che creano e fanno applicare le norme e coloro che le infrangono, la relazione si configura come una relazione di dominio. Gli sviluppi delle carriere devianti sono condizionati dalla capacità dei soggetti di contrastate i processi di criminalizzazione primaria e secondaria. In primo luogo, gli individui si differenziano per la loro capacità di evitare che determinati comportamenti sociali siano etichettati come devianti. In secondo luogo, quando adottano comportamenti giudicati devianti, si differenziano per la loro capacità di evitare di essere scoperti e di controllare le impressioni degli altri. Se scoperti, si differenziano per il loro potere di contrastare l’etichettamento attraverso l’occultamento dei propri reati, la neutralizzazione della disapprovazione sociale e l’adozione di strategie finalizzate alla conservazione del prestigio e della rispettabilità sociale. Braithwaite descrive la vergogna reintegrativa, si basa su pratiche sociali che, esprimendo sentimenti di disapprovazione sociale per il comportamento deviante, reintegrano il reo nella comunità. 2. Le politiche Se l’intervento dello Stato favorisce lo sviluppo di una carriera deviante, si deve ridurre l’intrusione delle istituzioni nella vita dei devianti.
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