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Lezione su Panofsky Et in arcadia ego, Appunti di Storia Dell'arte

lezione sul saggio di Panofsky "Et in arcadia ego"

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 20/10/2020

MartinaAmico
MartinaAmico 🇮🇹

4.6

(33)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Lezione su Panofsky Et in arcadia ego e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Panofsky, et in arcadia ego È uno dei grandi dibattiti leit – motivs della storia della critica d’arte, come las meninas, come la tempesta di Giorgione. Vuole dimostrare come questo sia uno dei casi in cui l’interpretazione di un’artista ha cambiato il modo di intendere ed il significato di un tema iconografico. Parte da una frase di Giorgio III relativa ad un dipinto di Reynolds che presenta la scritta, Cercherà di dimostrare che la frase, e dunque interpretazione del Re Giorgio III che tira in ballo la morte è grammaticalmente corretta, anzi la sola corretta, che quella “Anche io sono nato, ho vissuto in Arcadia” è sbagliata ma non viene da pura ignoranza, bensì grazie a un pittore. Da Iconologo, che scava all’indietro, parte dall’inizio, cos’è l’Arcadia, come è cambiata nel corso del tempo? Innanzitutto una questione preliminare: perché Arcadia, nemmeno ricca, simbolo di tranquillità paradisiaca assoluta? Primitivismo sempre visto in due modi antitetici, o aureo o aspro. Il mito arcadico rientra nella prima, ma la vera arcadia fu aspra, brulla, rozza, lo conferma Polibio, illustre nato di questa terra. Non sorprende – dice P. – che i poeti non ambientassero i loro idilli pastorali in Arcadia, ma come Teocrito in Sicilia. Pan stesso deve trasferirsi dall'arcadia quando il Dafni teocriteo, in fin di vita vuole restituirgli il flauto. Ovidio e Virgilio fondano la propria concezione su Polibio, ma nascono due opposte: • per Ovidio gli Arcadi sono primitivi, che ancora rappresentano quell'epoca anteriore alla nascita di Giove e della luna. • Virgilio invece idealizza, e non solo enfatizza virtù reali, come la componente musicale, ma anche attrattive che l'arcadia non aveva mai avuto, come la natura lussureggiante, l'ambientazione paradisiaca. Crea un mondo fuori dal reale, lontanissimo con nomi incredibili, un mondo fantastico, vera e propria Utopia. Teocrito ha in sè amore struggente e la morte, è una vita naturale ma vera, i dolori si alternano alle gioie, una metafora nella vita nel suo ineluttabile e immutabile corso. Virgilio invece non esclude amore e morte, ma toglie la realtà, egli proietta la tragedia o nel futuro o soprattutto nel passato, e trasforma la verità mitica in sentimento elegìaco. Nel medioevo un pò dimenticata, nel Rinascimento il mito arcadico viene riscoperto ma più che Utopia remota ed irreale appare lontana nel tempo. Col pieno '400 si tentò di colmare il divario tra presente e passato con una finzione allegorica. Lorenzo il Magnifico e Poliziano identificarono la villa medicea di Fiesole con l'arcadia e il loro circolo con i pastori araldici. Nel 1502 Jacopo Sannazzaro scrive la sua Arcadia, rievocata come un'esperienza emotiva sui generis e sui iuris, importante l'aspetto malinconico, ereditato dal '400. Il famoso "O bella età dell'oro" di Tasso è più una critica alla controriforma. Ma dove troviamo questa frase e questo tema? In un dipinto del Guercino; non si dice fosse particolarmente colto, ma conosceva la Gerusalemme liberata, uno dei dipinti su Erminia viene dipinto per il duca di Mantova che gli aveva lasciato carta bianca. Denis Mahon, che è stato uno dei maggiori esperti di Guercino, dice che il dipinto era una prova – vanitas, un’esercitazione come tante altre ve ne sono per il ben più grande scorticamento di Marzia. Non si tratta di una cosa inusuale, spesso si trova un teschio in allegoria della Vantias (Jacopo Ligozzi, Jacopo Carracci, Van Hayden al nord), né il Guercino era nuovo a soggetti del genere, abbiamo un disegno con la morte e la madre con 3 figli, poi un teschio su un libro per i frati cappuccini che da giovane gli hanno dato lavoro, disegna la copertina del frontespizio della gabella della morte per Mirandola. Tra 1621 e 23 Guercino realizza il suo dipinto, un soggetto particolarmente caro a Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente IX, il cui palazzo gentilizio, che ospitava l'aurora del Reni fu spesso visitato dal Guercino mentre dipingeva la sua, a palazzo Ludovisi. Lo stesso Rospigliosi dunque potrebbe esserne l'autore della frase, che non compare in testi classici. Ma il dibattito è aperto, c’è una rappresentazione di san Francesco di Carracci con un teschio su una roccia e una frase sotto illegibile ma forse Ego. Boh. Siamo portati a tradurla: "io pure sono nato, ho vissuto, in Arcadia", dando ad et il significato di "anche" e riferendolo ad ego. Però, nota P, queste frasi con verbo sottointeso sono tutte al presente, in rarissimi casi il futuro, il congiuntivo, rappresentando una legge generale. ("nequid nimis" -- nulla di troppo). Cosa anche più importante, il et avverbiale si riferisce sempre alla parola seguente, dunque ad Arcadia. E' curioso che alcuni studiosi bravi in latino per aggiustare le cose abbiano trasformato la frase in: "et ego in Arcadia", come Balzac. Dunque l'interpretazione di Giorgio III è corretta grammaticalmente e figurativamente. Poussin era venuto a Roma nel 1624 o 25, uno o due anni dopo che il Guercino se ne era andato, e pochi anni più tardi realizzò il primo dei due dipinti che hanno per tema l'et in arcadia Ego, attualmente alla collezione Devonshire. Da classicista qual'era, sebbene particolare, e lettore di Virgilio, enfatizza l'aspetto intellettualistico aggiungendo la scritta e dando pochissima importanza al teschio, e moralistico, dato che era da presentare insieme ad un "mida che si lava il viso nel fiume pactolo", dunque un duplice monito, contro la ricerca smodata della ricchezza e il godimento incosciente dei piaceri. 5 o 6 anni dopo Poussin fa un'altra versione ora al Louvre, a sè, non più accompagnato ad un cave avaritiam, è sparita ogni sorpresa ed è sparito il teschio, discutono davanti ad una tomba che sembra tradurre il "bel sasso quadrangolo" del Sannazzaro, che probabilmente Poussin lesse nel passo, abbiamo una svolta elegiaca. Una rappresentazione di questo genere nega la tradizionale interpretazione, "anche io, morte, sono in Arcadia", manca il teschio. Può essere la tomba che parla, non ne mancavano esempi ma erano così rari che usando questa figura semantica in un epigrafe michelangelo, servendosene in tre delle cinque epigrafi per un bel giovane, ritenne opportuno avvertire con una nota il lettore: è la tomba stessa che parla. E' certo molto più naturale attribuire la frase alla persona, ed infatti, a discapito della correttezza grammaticale latina, non si possono biasimare quei biografi (Bellori e poi Fèlibien) che dopo la morte del pittore contribiuirono a divulgare questa interpretazione, facendo di fatto smarrire quella corretta, originaria. "ego fui in arcadia", traduce fèlibien, e la stessa frase costituisce il titolo in latino di un quadro dipinto a Roma nel 1755 da Wilson. Dunque in Inghilterra sopravvisse quello Guercinesco, la morte che parla. In altre regioni del mondo invece l'interpretazione diffusa diviene quella inaugurata dalla seconda versione del dipinto di Poussin. Panofsky chiarisce la genesi e traccia un chiaro percorso interpretativo di tale tema iconografico. Da sottolineare che a Panofsky rispose Levi – Strauss, antropologo strutturalismo. Dice, l’artista ha a disposizione significati e forme che non per forza devono andare insieme, non c’è motivo di pensare che per forza, non essendoci il teschio, il significato deve essere diverso, la donna per esempio potrebbe aver preso il posto del teschio. Uno scambio che si muove a livello storicistico (è un discorso che senza la consequenzialità storica perderebbe senso) e iconologico, al massimo del terzo livello, “sinthetic intuition conditionated by personal psichology”, esattamente ciò che da Levi – Strauss, che applica anche alla storia dell’arte, con un
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