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Lezioni di diritto amministrativo, Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

Appunti completi delle lezioni dal cap. 2 al cap. 8 del testo Lezioni di diritto amministrativo D'alberti

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Lezioni di diritto amministrativo e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! CAPITOLO 2 I PRINCIPI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 1.1 Il diritto amministrativo è uno di quelli insiemi giuridici tradizionalmente non codificati, e quindi è campo fertile per la legislazione contingente, occasionale, con norme parziali e fugaci. In una simile situazione di disordine normativo, i principi giuridici assumono un ruolo particolarmente importante perché riconducono a una maggiore omogeneità e uniformità le normative frammentate, sia in sede di rappresentazione e applicazione della legge vigente, sia in sede di costruzione di norme nuove. I principi operano come vere e proprie norme giuridiche e sono caratterizzati da un contenuto o da un riconoscimento generale. 1.2 LE FONTI I principi sono posti dalla legislazione. Si tratta della costituzione (nel nostro paese i principi essenziali dell’ imparzialità e del buon andamento per l’amministratore pubblico sono stabiliti esplicitamente dall’art.97 Cost.; il principio di eguaglianza è sancito dall’art.3 Cost.). Può anche trattarsi del legislatore ordinario (la legge sul procedimento amministrativo prevede i principi di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza, e richiama i principi dell’ordinamento comunitario). Il codice civile stabilisce i principi di buona fede (artt. 1337-1375) e di correttezza (art. 1175) che trovano applicazione anche alle attività delle amministrazioni pubbliche. I principi sono posti anche dalla legislazione sovranazionale. Il TFUE prevede il principio di libera concorrenza e impone alle misure normative e amministrative statali e comunitarie di adeguarsi ad esso; Lo stesso Trattato richiama il principio di precauzione. Le discipline internazionali dettano principi a loro volta: la Cedu stabilisce il principio del giusto processo, mentre il Gats contiene il principio di trasparenza. Oggi viviamo in un’età di principi legislativi: le leggi sono la fonte più diffusa di principi giuridici. Al tempo stesso, resta fondamentale il ruolo giocato nella formazione dei principi della giurisprudenza. Vi sono, da un lato, quelli della dottrina francese denomina “principe sans texte “, principi che sono privi di esplicata previsione normativa e sono stabiliti dall’opera dei giudici. Vi sono dall’altro, determinazioni giurisprudenziali di principi effettuate a valle della legislazione: si tratta di definizioni e di precisazioni che i giudici danno delle enunciazioni di principi che si trovano nelle leggi: ad esempio l’estensione e i significati del buon andamento vanno ricercati nelle pronunce giurisprudenziali. 1.3 TRE TIPI DI PRINCIPI Nel diritto amministrativo si possono distinguere principi tipici e propri dell’amministrazione pubblica da un lato, e principi generali del diritto applicabili anche alle pubbliche amministrazioni dall’altro. 1.4 PRINCIPI TIPICI E PROPRI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA – principi che trovano il loro significato essenziale nella regolazione di attività amministrative, pur potendo essere applicati anche all’attività di altri pubblici poteri e all’attività di soggetti privati. Il principio di LEGALITA’ - la definizione dice che l’attività amministrativa deve trovare una base nella legge. Vi sono norme della costituzione che si riferiscono ad esso (es art.23 cost) secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Il legislatore ordinario ha previsto una versione delimitata del principio di legalità, là dove ha stabilito che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”. Qui il riferimento è soltanto ai fini, mentre il principio di legalità vuole che tipo e presupposti degli atti amministrativi siano previsti dalla legge. Il potere amministrativo deve trovare, quindi, una base esplicata nelle norme di legge. Risulta chiaro è che il principio si pone come argine a protezione del cittadino nei confronti dell’attività autoritativa della p.a. (è un contrappeso alle autorità amministrativa). E’ importante sottolineare che il principio di legalità ha subito un’evoluzione importante: dalla necessaria osservanza della legge si è passati al necessario rispetto del diritto. In altre parole, si è passati dalla legalità alla ‘rule of law’, il che ha contribuito ad avvicinare esperienze giuridiche eurocontinentali e anglosassoni. Così la pubblica amministrazione deve rispettare non solo le leggi, ma anche i principi di diritto come la ragionevolezza. IL PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’ - esso trova il suo fondamento normativo espresso nella Cost. “i pubblici uffici sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione “. Vi è un rapporto stretto tra imparzialità – potere discrezionale dell’amministrazione, che si conncreta nella ponderazione tra interessi pubblici-privati-collettivi. . Dunque anche l’imparzialità è un principio che entra in gioco quando l’amministrazione agisce come autorità nell’esercizio del potere discrezionale. Fondamentalmente l’imparzialità vale come divieto di discriminazioni e favoritismi. La giurisprudenza ha fatto discendere da essa alcuni obblighi specifici della p.a. → obbligo di determinare criteri e modalità prima di procedere (in alcuni casi stabilito dal legislatore come per le elargizioni pubbliche; in altri casi è imposto per via giurisprudenziale, come in materia di concorsi di reclutamento al pubblico impiego). → obbligo della p.a. di compiere un’adeguata valutazione di tutti gli interessi in gioco prima di decidere (il mancato rispetto dell’obbligo può dar luogo a invalidità nel provvedimento per eccesso del potere). → obbligo di astensione del funzionario amministrativo in caso di conflitti d’interessi (in proposito esiste una giurisprudenza rigorosa che ritiene che la mancata astensione del funzionario in conflitto produca invalidità del collegio amministrativo, senza che si possa far valere la prova di resistenza). IL PRINCIPIO DEL BUON ANDAMENTO - esso sta accanto all’imparzialità dell’art.97 cost. E’ un concetto molto ampio, che fa quasi pensare al comportamento del buon CAPITOLO 3 L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA 1. LA PROBLEMATICA DELL’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA Il diritto amministrativo nasce e si sviluppa attorno alla problematica dell’attività amministrativa. Le questioni giuridiche più rilevanti riguardano: - concetto di PA come apparato - rapporto fra politica-amministrazione - figure soggettive che fanno parte della pubblica amministrazione ( ministeri, enti pubblici - strutture che operano nell’ambito di tali figure soggettive (uffici, organi ) - rapporti organizzativi tra tali strutture ( gerarchia, direzione ecc ) - nessi tra organizzazione dello Stato-altri enti territoriali. 2. P.A. - CONCETTO E AMBITO Pubblica amministrazione significa sia attività amministrativa, sia l’insieme degli apparati che la svolgono. Definire la p.a. come apparato non è semplice, perché, nell’età contemporanea, esse hanno assunto dimensioni grandissime e forme diverse a causa dell’aumento progressivo delle funzioni attribuite i pubblici poteri (quando lo stato borghese cedette il passo allo stato pluriclasse). La dottrina giuridica ci ha fornito una nozione residuale e ha sottolineato che la p.a. si trova in una posizione intermedia tra collettività generale e organi costituzionali. In questo modo si distinguono sia dagli apparati del potere legislativo, sia da quelli del potere giudiziario. Nel nostro ordinamento si vedrà che le p.a. nascono all’interno dell’esecutivo, per poi conoscere forme diverse di autonomizzazione da esso. In particolare, si è detto che le PA sono strutture che svolgono un’attività caratterizzata dalla cura concreta degli interessi pubblici (si distingue da quella legislativa, che sarebbe cura concreta di pubblici interessi, e da quella giurisdizionale, che sarebbe di decisione super partes e non di cura di interessi. Le PA però non svolgono soltanto attività di cura concreta di interessi pubblici, ma anche attività normativa (cura astratta e generale, si pensi ai regolamenti ministeriali e governativi ecc). L’art.97 Cost. Apre la sezione dedicata alla PA, stabilendo che ‘i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge’. E’ quindi la legge a provvedere alla sua organizzazione. Prosegue disponendo che ‘ alle PA si accede mediante concorso, salve eccezioni previste dalla legge. In questo modo la Costituzione evidenzia i tratti caratteristici della PA: - l’organizzazione per legge - principio del concorso per il reclutamento Per evidenziare le PA è possibile utilizzare alcune indicazioni che provengono dal legislatore ordinario, il quale non ci offre una definizione generale di PA, ma indica figure soggettive che usualmente denomina pubbliche amministrazioni, cui trovano applicazione norme sull’organizzazione, sull’impiego, sui procedimenti, sui contratti, sulla spesa, sulla responsabilità, sulla giurisdizione. Molto importante è il d.lgs. n. 165/2001 sui dipendenti pubblici, che contiene un elenco delle PA tenute ad applicare il regime di impiego pubblico. Tale decreto dispone che per Amministrazioni Pubbliche si intendono: - tutte le amministrazioni dello Stato compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e istituzioni educative - le Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, i loro consorzi e associazioni, - le istituzioni universitarie - le Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni - tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali - le amministrazioni, aziende ed enti del Servizio Sanitario Nazionale - l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle PA (ARAN). Tale elenco non comprende le autorità amministrative indipendenti che comunque possono essere ricondotte tra le PA in quanto applicano un regime di pubblico impiego anche se speciale. La legge n.241/1990 (legge generale sul procedimento amministrativo) menziona le PA che sono tenute ad applicare i principi e le regole procedurali in esso contenute. In particolare → le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali sono tenuti a conformarsi a tutte le norme della legge n.241 → mentre le società con totale o prevalente capitale pubblico sono tenute ad applicare la legge solo se svolgono < funzioni amministrative > ( espressione che potrebbe riferirsi sia a funzioni pubbliche in senso stretto, sia a servizi pubblici ). Alcune norme della legge n.241 si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche : si tratta delle norme sul ritardo, sugli accordi, sulle controversie in materia di accesso, sul provvedimento. A livello comunitario, non esiste una nozione condivisa di PA. Tuttavia, l’attuale art.45 TFUE stabilisce una deroga alla libertà di circolazione dei lavoratori per gli impieghi pubblici nella PA: la nozione ha quindi assunto una valenza restrittiva, in quanto eccezione ad un principio di libertà. Per tale ragione, sotto questo profilo, si considerano PA quelle strutture che svolgono funzioni pubbliche di particolare rilievo ( es. ministeri della giustizia o dell’interno ) per le quali siano da garantire gli interessi nazionali. Sempre in sede comunitaria, ma a fini meramente contabili, il regolamento CE n.2223/96 ha demandato agli Istituti nazionali di Statistica (ISTAT) il compito di formulare un elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore < amministrazioni pubbliche > e sono ricomprese: - organismi pubblici che gestiscono e finanziano attività consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita - istituzioni senza scopo di lucro controllate e finanziate prevalentemente da PA - i fondi di pensione. Inoltre i soggetti pubblici considerate PA sono sottoposti al controllo giurisdizionale della Corte dei Conti e ai sensi degli artt. 100-101 Cost. Sono ricomprese anche figure soggettive di natura privata purché stabilmente finanziate dallo Stato e dagli enti pubblici. Quindi da un punto di vista soggettivo e dell’organizzazione , è difficile giungere a una definizione di PA. Ciò che possiamo dire è che ci si riferisce a un complesso di strutture definite come PA dalla legge e da essa organizzate, individuabili in via residuale (in quanto estranee agli apparati legislativi e giurisdizionali, se pur dotate di poteri normativi secondari e di poteri di tipo giudiziale) , alle quali si applicano determinati regimi giuridici consistenti: - nella disciplina del rapporto di pubblico impiego (delineata dal d.lgs. n.165/2001) - nella disciplina del procedimento amministrativo ( di cui alla legge n.241/1990) - nella disciplina del controllo contabile e del sindacato giurisdiz. della Corte dei Conti - nella sottoposizione alla giurisdizione del giudice amministrativo. Alcune di tali strutture sono le Pubbliche Amministrazioni in senso proprio e sono soggette a tutti i regimi sopra menzionati ( es. ministeri, agenzie amministrative, enti pubblici, autorità indipendenti ). Mentre altre strutture sono soggette solo ad alcuni regimi giuridici (es. società in partecipazione pubblica a cui si applicano il controllo della Corte dei Conti se la partecipazione pubblica è prevalente o la legge n.241 se la partecipazione pubblica è totale o prevalente a limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. In conclusione, le figure soggettive più importanti che rientrano nella PA sono: - i ministeri - le agenzie amministrative - gli enti pubblici - le società in partecipazione pubblica - le autorità indipendenti. Alcune figure soggettive sono dotate di personalità giuridica come le agenzie amministrative o gli enti pubblici; mentre le altre sono prive di personalità giuridiche come i ministeri o le autorità indipendenti. Rimangono però tutte figure soggettive in quanto sono centri di imputazione di relazioni giuridiche. 3. I RAPPORTI TRA POLITICA-AMMINISTRAZIONE Nel quadro della separazione dei poteri, la PA è stata collocata nell’ambito dell’apparato e del potere esecutivo. La figura organizzativa tipica è quella del ministero → il ministro è capo gerarchico dell’organizzazione ministeriale, che si presenta come un disegno piramidale: Le agenzie del modello speciale ricevono una regolazione derogatoria rispetto a quella del modello generale e in esse vi rientrano le agenzie fiscali. A esse viene riconosciuta autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, contabile e soprattutto autonomia statutaria in quanto non è previsto che gli statuti siano proposti da organi governativi e adottati con regolamento del governo. 4.3 GLI ENTI PUBBLICI. Fino al ‘900 gli enti pubblici erano quasi esclusivamente enti territoriali al di là dello Stato, i comuni e le province. Dall’inizio del ‘900 cominciavano a svilupparsi enti pubblici non territoriali ma funzionali. Gli enti pubblici territoriali sono enti politici che perseguono tutti gli interessi pubblici che si manifestano all’interno del loro territorio. Gli enti pubblici funzionali sono enti pubblici che curano un solo interesse pubblico o un insieme determinato di interessi pubblici. Per il diritto amministrativo l’aspetto più importante gli enti pubblici territoriali è quello che riguarda le funzioni amministrative di tali enti. La riforma del Titolo V Cost. ha superato la precedente visione basata su un parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative della Regione. La nuova disciplina distingue le 2 funzioni e quindi: le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni ma al fine di assicurarne l’esercizio unitario possono essere conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Quindi gli enti territoriali sono titolari di funzioni amministrative solo in virtù di leggi dello stato o delle regioni che conferiscono le relative competenze. Oggetto del diritto amministrativo sono gli enti pubblici funzionali. Si distinguono: - enti pubblici economici - enti pubblici non economici Gli enti pubblici economici sono persone giuridiche e gestiscono imprese. Sono stati enti pubblici economici (prima di esser trasformati in società per azioni) l’ENEL, le Ferrovie dello Stato e le Poste Italiane. Gli atti adottati dagli enti pubblici economici NON sono provvedimenti amministrativi ma atti negoziali. Il rapporto di lavoro è privatistico e le relative controversie rientrano nella competenza del giudice ordinario come giudice del lavoro. Inizialmente la giurisdizione ordinaria era una caratteristica propria dell’ente pubblico economico rispetto all’ente pubblico non economico, ma ora non lo è più perché il rapporto di lavoro è stato privatizzato anche nell’ente pubblico non economico e quindi anche per questo vale la giurisdizione ordinaria. La figura dell’ente pubblico economico è entrata però in una crisi che ha portato ad una stagione di privatizzazioni. Si distinguono: - privatizzazioni formali, cioè la trasformazione dell’ente pubblico economico in società per azioni che però può rimanere in mano pubblica - privatizzazioni sostanziali che comportano il passaggio dell’impresa dalla mano pubblica alla mano privata (è quello che è accaduto all’ENEL) Gli enti pubblici non economici sono persone giuridiche di diritto pubblico disciplinate da norme derogatorie rispetto alle regole civilistiche su associazioni, fondazioni e società. Il perseguimento di un fine pubblico non è sufficiente a qualificare una struttura giuridica come ente pubblico anche perché anche persone private possono essere chiamate a realizzare fini pubblici. Così la giurisprudenza ha elaborato una serie di indici idonei a riconoscere un ente pubblico cioè: - il perseguimento di fini pubblici - titolarità di poteri autoritativi - istituzione da parte dello Stato o di altro ente pubblico - percezione di contributi pubblici - assoggettamento ai controlli di pubblici poteri - rilievo alla qualificazione operata dalla legge, se vi è ancora incertezza sulla natura pubblica dell’ente 4.4 LE SOCIETA’ IN PARTECIPAZIONE PUBBLICA Essa è gestita da soggetti pubblici ed è stata la principale manifestazione dello Stato imprenditore. Le Ferrovie dello Stato e le Poste Italiane sono esempi di imprese che hanno attraversato tre fasi: dall’amministrazione autonoma dello stato con limitata autonomia decisionale, all’ente pubblico economico, alla società in partecipazione pubblica. La figura della società in partecipazione pubblica ha avuto un importante sviluppo grazie alle vicende dell’IRI ( Istituto per la Ricostruzione Industriale). La crisi americana del ‘29 si ripercosse anche in Europa e provocò difficoltà per le banche che detenevano azioni di imprese in crisi. Venne così istituito l’IRI, struttura transitoria per procedere all’acquisto di azioni e al risanamento della società. Nel 1937 l’IRI divenne stabile e costituì holdings che hanno acquisito azioni di imprese operanti in vari settori (siderurgico, meccanico, delle comunicazioni) diventando società in partecipazione pubblica. La società in partecipazione pubblica è persona giuridica di diritto privato regolata da norme del codice civile, anche se vi sono diverse deroghe come sulla nomina di amministratori e sindaci. In essa, lo statuto può prevedere la cd. Golden Share, cioè un’azione che ha come titolare il ministro di riferimento e comporta poteri rilevanti come il diritto di veto del ministro su acquisto di azioni considerate inopportune. Ma secondo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha ritenuto che la Golden Share consente un controllo sproporzionato rispetto alla partecipazione azionaria del governo nella società e gli stati hanno reagito stabilendo dei limiti all’operatività della Golden Share. Inoltre la giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito che finché la partecipazione pubblica è prevalente vale il controllo della Corte dei Conti. Esse, inoltre, tendono ad uscire dall’ambito della PA quando la presenza pubblica diventa minoritaria ma rientrano in tale ambito quando la presenza pubblica resta maggioritaria → in questo caso si pone il problema del rapporto tra politica- amministrazione. Vi è sicuramente un’ampia autonomia delle società in partecipazione pubblica rispetto alla politica. Quando la partecipazione pubblica è totalitaria, il rapporto tra politica e amministrazione può equipararsi a quello che si ritrova negli enti pubblici (l’indirizzo spetta alla società e la vigilanza al ministro). Quando la partecipazione pubblica è maggioritaria, l’autonomia si espande. Comunque, in ogni caso, i poteri ministeriali non si esprimono con atti pubblicistici ma con strumenti negoziali. 4.5 LE AUTORITA’ INDIPENDENTI Le caratteristiche essenziali delle autorità indipendenti sono due: - l’elevata esperienza tecnica - l’estraneità rispetto all’indirizzo politico e al controllo dell’esecutivo Riguardo all’esperienza tecnica, le autorità indipendenti devono avere conoscenze tecniche elevate, perché non si tratta solo di compiti operativi (es. le agenzie) ma anche di complesse funzioni regolatorie o quasi giudiziali. L’ estraneità all’indirizzo politico e al controllo esecutivo è caratteristica essenziale che giustifica l’aggettivo indipendenti, cioè indipendenza dal potere governativo. Le autorità indipendenti sono nate e si sono sviluppate in modi diversi: giuristi francesi hanno sostenuto che se sono amministrazioni non possono essere indipendenti, e viceversa se sono indipendenti non possono essere amministrazioni. Intorno agli anni ‘70 tale figura si è sviluppata anche in Italia come la CONSOB (autorità garante della concorrenza e del mercato o l’autorità per l’energia elettrica e il gas). Il diritto comunitario ha dato un rilevante contributo allo sviluppo delle autorità indipendenti. Il sistema europeo delle banche centrali prevede che le banche centrali nazionali siano indipendenti dai rispettivi governi per lo svolgimento delle funzioni di politica monetaria. Oppure, in materia di comunicazioni elettroniche, le direttive comunitarie del 2002 hanno stabilito che gli Stati membri devono avvalersi di autorità indipendenti. L’indipendenza vale per l’impresa che forniscono reti e servizi di comunicazioni ma anche nei confronti del governo se questo conserva la proprietà o il controllo delle imprese. GERARCHIA → rapporto che intercorre tra l’ufficio sovraordinato e un ufficio sottordinato, quindi è una relazione organizzativa tra uffici e riguarda le persone fisiche in quanto titolari di quegli uffici. Si caratterizza da un insieme di poteri che spettano all’ufficio sovraordinato nei confronti dell’ufficio sottordinato: vi è quindi un potere d’ordine a cui l’ufficio sottordinato ha l’obbligo di conformarsi (di conseguenza è vincolante). Se poi il titolare dell’ufficio sottordinato ritiene palesemente illegittimo l’ordine, deve darne riscontro all’ufficio sovraordinato dichiarandone le ragioni. Deve dare esecuzione all’ordine se questo è rinnovato per iscritto, ma può e deve astenersi dall’obbedire se l’atto o il comportamento che viene ordinato sia vietato da legge penale. La gerarchia comporta il potere d’annullamento d’ufficio, il potere di decisione dei ricorsi gerarchici e il potere di controllo. Si aggiungono il potere di sostituzione e di avocazione ( le competenze dei due uffici possono essere diverse tra loro, ma l’ufficio sovraordinato può trasferire a sé le competenze dell’ufficio sottordinato). Il tipico rapporto gerarchico è quello tra uffici dirigenziali, in quanto gli uffici dirigenziali di livello generale sono gerarchicamente sovraordinati agli uffici dirigenziali di livello non generale. DIREZIONE → rapporto organizzativo che si caratterizza perché l’ufficio sopraordinato non ha un potere di ordine ma un potere di direttiva nei confronti dell’ufficio sottordinato. L’ufficio sottordinato può discostarsi dalla direttiva, dandone adeguata motivazione e in alcuni casi l’ufficio sottordinato formula una proposta sui contenuti della direttiva che è destinato a ricevere. Questo accade nell’ipotesi del rapporto tra ministro- dirigente, che ormai non è più di gerarchia ma di direzione. CONTROLLO → potere attribuito agli uffici sovraordinati nei confronti degli uffici sottordinati, sia nella gerarchia sia nella direzione (come il potere di approvazione degli atti). L’organismo di controllo può essere esterno rispetto alla struttura controllata (ad es. Corte dei Conti nei confronti delle amministrazioni e degli altri soggetti sottoposti al suo controllo); oppure può essere interno alla struttura controllata e a essa equi- ordinata. I rapporti di controllo sono caratterizzati da un giudizio formulato in applicazione ad un parametro che ad es. può consistere nel riconoscere o negare validità o efficacia dell’atto sottoposto a controllo a seconda che il giudizio sia positivo o negativo. Sotto questo profilo ci sono elementi comuni tra il controllo giurisdizionale e i controlli amministrativi. I controlli amministrativi hanno subito modifiche negli ultimi anni, per quanto riguarda sia il giudizio, sia l’oggetto: il giudizio tradizionale viene formulato in base al parametro della conformità alla legge, l’oggetto del controllo è l’atto adottato dalla struttura controllata. Tipico è il controllo esercitato dalla Corte dei Conti sugli atti del Governo. Successivamente, si è passati (dal giudizio basato sul parametro della conformità alla legge) al giudizio sull’efficienza, sull’efficacia e sull’economicità. In questo caso l’oggetto de controllo non è solo l’atto, ma l’attività posta in essere dalla struttura sottoposta a controllo. COORDINAMENTO → rapporto organizzativo che consiste nel realizzare forme di collegamento tra le attività svolte da strutture diverse per il perseguimento di fini comuni. L’ufficio dotato di poteri gerarchici o di direzione può anche coordinare l’attività degli uffici sottordinati. Il coordinamento può anche intervenire tra strutture equi-ordinate: in tal caso, possono aversi organi collegiali di coordinamento o modelli procedimentali Caratteristica del coordinamento è il potere spettante ad un organo ad hoc o a uno di quelli che vi siano interessati (es. coordinatore) di impartire disposizioni idonee a realizzare un disegno unitario e di vigilare sulla loro osservanza e attuazione (es. comitati interministeriali o conferenza di servizi). CAPITOLO 4 IL PERSONALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI 1. GLI IMPIEGATI – le trasformazioni del rapporto di lavoro Il rapporto di lavoro degli impiegati della PA si è modificato nel tempo. Fino alla fine dell’800 il rapporto era di natura privatistica → l’atto costitutivo del rapporto era qualificato come contratto e gli atti successivi (es. promozioni, trasferimenti, licenziamenti) erano considerati atti negoziali della PA datore di lavoro e le controversie erano decise dal giudice onorario. All’inizio del ‘900 c’è stata una progressiva ‘pubblicizzazione’ del rapporto di impiego presso le amministrazioni. La natura privatistica si è trasformata in natura pubblicistica e gli atti più rilevanti del rapporto tra PA-impiegato sono stati configurati non come atti negoziali ma come provvedimenti amministrativi unilaterali. Molte delle situazioni giuridiche soggettive dell’impiegato sono state ricondotte alla categoria dell’interesse leggittimo. La competenza giurisdizionale è passata in gran parte al giudice amministrativo, diventando esclusiva, potendo egli conoscer sia gli interessi leggittimi, sia i diritti soggettivi (al giudice onorario restavano riservate le questione attinente il risarcimento del danno, le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità dei privati individui, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio e la risooluzione dell’incidente di falso). Verso il 1960 c’è stata una nuova trasformazione. Si è aperta la strada verso una ‘privatizzazione’, verso un ritorno alla configurazione privatistica. Negli anni 80 del ‘900 la cd. Legge quadro sul pubblico impiego ha formalizzato la regolazione dei contratti collettivi, assegnando loro una portata ancora di più limitata Il giudice amministrativo ha continuato a giocare un ruolo da protagonista. Ma la vera e propria svolta si è avuta negli anni ‘90 con il d.lgs 29/1993 modificato dal d.lgs 165/2001 con il quale la contrattazione collettiva è diventata la fonte principale di regolazione del rapporto di impiego presso le PA, e la maggior parte delle controversie è passata alla competenza giurisdizionale del giudice onorario come giudice del lavoro. 2. LA NORMATIVA ATTUALE SUGLI IMPIEGATI Dunque, la natura giuridica del rapporto di impiego presso le PA è chiaramente privatistica. E’ un rapporto regolato dal codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, dal d.lgs 165/2001 e alla contrattazione collettiva. Gli atti principali del rapporto di impiego pubblico hanno una natura negoziale (es. promozioni, trasferimenti…) e sono stati privatizzati. Solo due profili rimangono di natura pubblicistica: - la fase del concorso pubblico per il reclutamento - i rapporti di impiego di determinate categorie di personali come magistrati ordinari, amministrativi, avvocati, personale militare, forze di polizia, personale della carriera diplomatica, funzionari di autorità indipendenti, professori universitari. Quanto alla revoca degli incarichi prima del termine di scadenza, la legge 145/2002 ha disposto la cessazione decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al governo (per gli incarichi dirigenziali apicali e per gli incarichi ad esterni) e la cessazione al 70 giorno dalla data di entrata in vigore della stessa legge (per gli incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali). Si tratta di meccanismi di spoils system (sistema delle spoglie) in base ai quali alcuni incarichi dirigenziali terminano al mutare dei governi o, comunque, prima della scadenza naturale. La Corte ha però dichiarato l’illegittimità incostituzionale di tali sistemi per violazione del principio di continuità e di buon andamento dell’azione amministrativa, in quanto il dirigente ha bisogno di un tempo certo ed adeguato per poter attuare le direttive del ministro. Recentemente, il legislatore è intervenuto di nuovo sullo spoils system prevedendo che è possibile disporre il passaggio dei dirigenti, di qualunque qualifica, ad altro incarico prima della scadenza dell’incarico in corso. CAPITOLO SEI TIPOLOGIA DELLE ATTIVITA’ E SITUAZIONI SOGGETTIVE 1. TIPOLOGIA DELLE ATTIVITA’ AMMINISTRATIVE Le PA agiscono con modalità, strumenti e fini diversi. Sono due i principali tipi di attività amministrativa: 1. l’attività pubblicistica e autoritativa 2. l’attività privatistica e consensuale L’attività pubblicistica e autoritativa è quella tradizionalmente tipica delle PA con la quale nasce il diritto amministrativo. Questa attività si esprime con l’adozione di provvedimenti amministrativi i cui effetti giuridici si producono indipendentemente dal consenso degli amministrati. Si tratta, infatti, di atti unilaterali della PA → conclusivi di procedimenti, costutivi di situazioni giuridiche soggettive o di interesse legittimo. L’attività privatistica e consensuale si esprime con l’adozione di strumenti pattizi, cioè attraverso la stipulazione di contratti, convenzioni, accordi. Tale attività è regolata dal diritto privato, sia pure con deroghe al diritto amministrativo. Utilizzando strumenti pubblicistici e autoritativi, o privatistici e consensuali, le PA perseguono fini diversi, ponendo in essere differenti tipi di azione amministrativa: attività di funzioni pubblica, attività di gestione o di controllo di servizi pubblici, attività d’impresa, attività di regolazione dei mercati. 2. FUNZIONI PUBBLICHE E SERVIZI PUBBLICI La dottrina ha chiarito che il termine << funzione >> può avere significati giuridici diversi. Innanzitutto, il termine funzione sta ad indicare “ un’attività giuridicamente rilevante nel suo complesso”. Il termine funzione amministrativa sta ad indicare “ l’insieme delle attività svolte della PA” e ricomprende sia le attività pubblicistiche e autoritative, sia le attività privatistiche e consensuali. Una definizione più ristretta si ha quando parliamo di funzione pubblica: tale nozione si è consolidata quando è sorta la distinzione tra pubbliche funzioni e servizi pubblici. La funzione pubblica indica “le attività delle PA finalizzate a dettare prescrizioni. Esse coincidono, quindi, con le attività che possono essere svolte esclusivamente da PA e sono manifestazioni della sovranità dello Stato come le attività della Polizia, militari, di politica estera. Si tratta di attività che sono diretta espressione dell’autorità e vengono poste in essere tramite provvedimenti amministrativi. Mentre, il concetto di servizio pubblico fa riferimento a quelle “attività svolte e controllate da PA e finalizzate a fornire prestazioni ai cittadini.” (esempi di servizi pubblici sono l’istruzione, la sanità, servizio postale, trasporti). Si tratta di attività che possono essere svolte sia da poteri pubblici, sia da soggetti privati. La dottrina francese aveva introdotto una distinzione: cioè il servizio pubblico può essere - di tipo amministrativo, erogato da una PA (es. istruzione impartita in una scuola statale) ed è soggetto a norme pubblicistiche; - di tipo economico, gestito da un’impresa pubblica o privata in partecipazione totale o parziale dello Stato o di enti locali (es. distribuzione energia elettrica) ed è soggetto a norme privatistiche. Comunque, tutti i tipi di servizi pubblici sono sottoposti ad alcune regole e principi pubblicistici come il principio di continuità, eguaglianza, adeguamento alle esigenze degli utenti, e sono andati ben oltre l’ordinamento francese penetrando anche in Italia. La definizione giuridica di servizio pubblico ha dato luogo a molti dibattiti. Occorre distinguere, infatti, una nozione soggettiva e una nozione oggettiva di servizio pubblico. - secondo la nozione soggettiva, diventa servizio pubblico un’attività di prestazione nel momento in cui essa è assunta in mano pubblica. - secondo la nozione oggettiva, è servizio pubblico un’attività di prestazione che presenta determinate caratteristiche oggettive a prescindere dalla titolarità soggettiva; può essere gestita da soggetti pubblici o privati purché sia soggetta a una regolamentazione pubblica che per il gestore comporta una sottrazione della libera disponibilità dei fini operativi e l’imposizione dei vincoli che vanno oltre all’interesse individuale dello stesso gestore. La concezione oggettiva ha trovato posto anche in Italia in base all’art.43 Cost., secondo cui possono essere assunte in mano pubblica attività che si riferiscono a servizi pubblici essenziali. In pratica, il legislatore costituzionale ha previsto l’assunzione in mano pubblica di servizi prima gestiti da privati ma aventi rilevanza pubblica. Tale servizio poteva essere, ad es., statizzato per legge; se permaneva in mano privata, trovava comunque ad esso applicazione l’art.41 Cost., secondo cui l’attività economica pubblica e privata può essere assoggettata ai programmi e ai controlli previsti dal legislatore affinché essa sia indirizzata e coordinata ai fini sociali. La concezione oggettiva, secondo parte della dottrina, avrebbe subito qualche flessione a seguito della norma comunitaria: in realtà, quella concezione riconosceva largo spazio alla possibilità di assunzione in mano pubblica di delicate attività imprenditoriali gestite da privati, essendo sufficiente che esse fossero caratterizzate da interessi e fini pubblici. Il problema resta ancora aperto: ad es. nell’ordinamento comunitario il servizio ferroviario è attività d’impresa ma alcune prestazioni, anche se svolte da imprese private, vanno comunque garantite a tutti gli utenti come i servizi per i pendolari a amministrativi in quanto le amministrazioni hanno assunto un ruolo fondamentale nell’attività di regolazione (ministeri, enti pubblici, agenzie). 5. SITUAZIONI E POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE delle amministrazioni. Prima di approfondire la disciplina dell’attività amministrativa, occorre chiarire quali siano le situazioni e posizioni giuridiche soggettive delle PA e degli amministrati durante l’azione amministrativa. Vanno, in particolar modo, precisati i poteri di cui è titolare la pubblica amministrazione, i diritti e gli interessi degli amministrati. 5.1. IL POTERE DISCREZIONALE DELLA P.A. E LA DISCREZIONALITA’ TECNICA. Il tipico potere che la P.A. esercita nell’attività pubblicistica e autoritativa è la discrezionalità amministrativa. Inizialmente, tale potere era stato definito dalla dottrina e dalla giurisprudenza come potere di adottare la scelta più opportuna e più idonea nel perseguimento del pubblico interesse con incidenza sulle situazioni giuridiche soggettive dei privati ( in quanto tale scelta poteva riguardare il se adottare un provvedimento amministrativo, con quale contenuto e a quali condizioni. Si è passati poi ad una definizione fondata su una concezione pluristica dei pubblici poteri e dei loro rapporti con i cittadini. Si parte dalla premessa che le P.A. non perseguono un solo interesse pubblico, ma hanno di fronte una pluralità di interessi pubblici, collettivi, diffusi e privati e su questa base sono chiamate a prendere decisioni. Ad es. se per costruire una strada pubblica c’è bisogno di espropriare terreni privati, l’amministrazione espropriante avrà di fronte vari interessi (cioè l’interesse diffuso alla protezione dell’ambiente, l’interessi collettivo di associazioni di vario tipo e interessi privati come quello dei proprietari del terreno che si oppongono all’espropriazione). L’amministrazione dovrà tener conto di tutti questi interessi e quindi il potere discrezionale della P.A. consiste nella ponderazione tra interessi pubblici-privati- collettivi-diffusi. Il controllo del giudice amministrativo sul provvedimento amministrativo riguarda la legittimità, non il merito, della scelta discrezionale. Tornando all’esempio dell’esproprio, il giudice non può sindacare l’opportunità della scelta di espropriare o no, in quanto il giudice non può sostituirsi alla valutazione dell’amministrazione; può verificare la coerenza e la razionalità della misura amministrativa, la sufficienza degli interessi valutati discrezionalmente dell’amministrazione, la proporzionalità del provvedimento in relazione agli interessi sacrificati. Sono stati posti dei limiti al potere discrezionale della P.A. Ad es. una norma della legge 241/1990 prevede che la concessione di sovvenzioni, di contributi o vantaggi economici a soggetti pubblici e privati, è soggetta alla predeterminazione e alla pubblicazione da parte delle amministrazioni precedenti dei criteri e delle modalità a cui le stesse amministrazioni devono attenersi. Nell’attività autoritativa, la P.A. può anche essere titolare di discrezionalità tecnica. In questo caso siamo al di fuori del vero e proprio potere discrezionale della P.A. , in quanto non vi è ponderazione di interessi diversi, ma la discrezionalità tecnica comporta l’applicazione di regole tecniche ad una determinata fattispecie (ad es. certificazione di un medico di una struttura pubblica sul grado di invalidità di una persona). La giurisprudenza ha anche introdotto il concetto di valutazione tecnica complessa. E’ il caso di materie complesse in cui si applicano regole di scienze non esatte o concetti indeterminati (ne sono esempio la valutazione di impatto ambientale o il piano regolatore generale). 5.2. L’AUTONOMIA NEGOZIALE DELLA P.A. Nell’attività privatistica e contrattuale, la P.A. fa valere una situazione soggettiva di autonomia negoziale. Quando la P.A. contratta sta su un piano di parità con il suo interlocutore, con il privato, con l’amministrato. Quindi non può costituire, modificare o estinguere unilateralmente situazioni soggettive dell’interlocutore. Si basa tutto sul contesto. Vi possono essere momenti pubblicistici: ad es. prima della stipulazione di un contratto d’appalto vi è una particolare procedura chiamata ad evidenza pubblica, che serve a individuare e scegliere il contraente. Oppure, anche quando il contratto è stato stipulato, possono intervenire misure di diritto pubblico: ad es. una concessione amministrativa di natura contrattuale può essere revocata per interesse pubblico. Al di là di questi momenti, l’esecuzione del rapporto consensuale si basa sulla logica del diritto privato. Si applica il codice civile, in modo completo, per i contratti e le convenzioni, tanto da poter ritenere che vale l’atipicità dei contratti nei limiti dell’art.1322. Mentre si applica, in modo parziale, per gli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento per i quali il legislatore stabilisce che valgono solo i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti (correttezza, buona fede, diligenza), in quanto compatibili. La competenza giurisdizionale sull’esercizio dell’autonomia negoziale della P.A. spetta al giudice ordinario. Vi sono però dei casi in cui vale la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ad es. per le concessioni amministrative di beni e servizi pubblici, oppure per gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento amministrativo, rientrando questi ultimi solo in parte nella logica dell’autonomia negoziale). 5.3. L’INTERESSE LEGITTIMO E IL DIRITTO SOGGETTIVO Tradizionalmente, di fronte al potere della PA l’amministrato era in posizione di soggezione (es. Francia) In italia, dopo l’unificazione nazionale, la legge del 1865 sul contenzioso amministrativo stabilì di devolvere alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico in cui vi possa essere interessata la PA. In questo modo si riconosceva la sussistenza, di fronte al potere amministrativo, di diritti soggettivi del privato e che ad essi fosse garantita la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario. Ma vi potevano essere delle situazioni in cui il privato non era titolare di un diritto civile o politico → la tutela di questi non-diritti era affidata alle autorità amministrative che vi provvedevano con decreti motivati contro i quali si poteva proporre ricorso amministrativo. Dunque, era riconosciuta una tutela giurisdizionale per i diritti soggettivi nei confronti della PA, e una tutela meramente amministrativa per quelle situazioni non qualificate come diritti soggettivi. Tuttavia, la legge del 1865 ebbe un’attuazione incompleta. La giurisprudenza sostenne che quando l’amministrazione emanava provvedimenti amministrativi, non poteva esserci spazio per i diritti soggettivi e per la giurisdizione del giudice ordinario. In pratica stabilì una sorta di incompatibilità tra potere amministrativo-diritto soggettivo. La motivazione era che la PA quando agisce come autorità, come potere, trova davanti a sé situazioni soggettive private che non sono diritti, e tali situazioni giuridiche non ricevono la tutela giurisdizionale ma amministrativa. Secondo la giurisprudenza i diritto soggettivi sussistono solo se la PA agisce in una posizione di parità rispetto agli amministrati (ad es. quando stipula contratti e non adotta provvedimenti unilaterali). In questa situazione la protezione dei diritti degli amministrati, di fronte all’esercizio del potere amministrativo, era molto precaria (non si poteva accedere a nessun giudice e la tutela amministrativa era priva di qualunque forma del contraddittorio). Ma nel 1889 il legislatore intervenne per assicurare una tutela più adeguata alle situazioni soggettive non qualificabili come diritti → venne istituita la Quarta sezione del Consiglio di Stato per la giustizia amministrativa, che aveva la competenza di decidere i ricordi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e provvedimenti dell’autorità amministrativa e che abbiano ad oggetto interessi di individui. La Quarta sezione del Consiglio di Stato non era qualificata dalla legge come autorità giurisdizionale ma come giudice speciale diverso dal giudice ordinario → giudice amministrativo. Un altro effetto concreto derivante dalla distinzione tra interesse legittimo-diritto soggettivo è quello del risarcimento del danno ingiusto causato dalla PA, che, tradizionalmente, era ammesso solo per la lesione di diritti soggettivi e non di interessi legittimi. In tal senso, la giurisprudenza ha preso in considerazione l’ipotesi di lesione dei cd. Interessi legittimi oppositivi : è il caso dell’interesse del proprietario che si oppone all’espropriazione (in questo contesto il diritto di proprietà si affievolisce di fronte al potere della PA e il privato diventa titolare di una situazione di interesse legittimo oppositivo, che gli consente di proporre ricorso al giudice amministrativo. Se il giudice stabilisce che il provvedimento di espropriazione è illegittimo e lo annulla, il diritto soggettivo originario si riespande e vi è possibilità di agire in giudizio per il risarcimento del danno ingiusto. Prima l’azione si proponeva davanti al giudice ordinario, ma dal 2000 è competente lo stesso giudice amministrativo). Dunque, per giustificare la tutela risarcitoria di un interesse legittimo oppositivo, era necessario che preesistesse un diritto soggettivo. Il pieno riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi si è avuto quando la tutela risarcitoria è stata ammessa anche in assenza di un diritto soggettivo preesistente. Ciò si verifica quando vengono lesi i cd. Interessi legittimi pretensivi. (è il caos del privato che chiede una concessione o un’autorizzazione e subisce un provvedimento di diniego). Anche se in origine non vi era alcun diritto soggettivo ma sempre e solo un interesse legittimo, la giurisprudenza ne ha riconosciuto la risarcibilità se il provvedimento della PA sia illecito. Unica differenza tra risarcimento per violazione dei diritto soggettivi – risarcimento per lesione di interesse legittimo è che: - nel risarcimento per lesione di interesse legittimo derivante da provvedimento amministrativo illecito, l’azione di condanna dinanzi al giudice amministrativo pul proporsi nei termini di decadenza ( maggiori dei 60 gg dalla decadenza ordinaria ) e non di prescrizione, come è invece per la violazione dei diritti soggettivi. CAPITOLO SETTE IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 2. DEFINIZIONI E PRINCIPI GENERALI DEL PROCEDIMENTO Il procedimento amministrativo è una sequenza di atti, adottati da amministrazioni pubbliche e da privati, che sfociano in un provvedimento amministrativo. Proprio la legge 241/1990 detta le regole generali sui procedimenti, che si concludono con un provvedimento amministrativo unilaterale o con un accordo sostitutivo di provvedimento. Il procedimento si articola in diverse fasi : 1 – fase dell’iniziativa , che dà avvio al procedimento, quale può essere iniziato : - d’ufficio - su istanza del privato 2 – fase dell’istruttoria, nella quale vengono accertati i fatti e vengono acquisiti gli interessi rilevanti al fine della decisione. In questa fase intervengono atti amministrativi come : - pareri - valutazioni tecniche - certificazioni atti privati come: - memorie - osservazioni - richieste di accesso ai documenti amministrativi - autocertificazioni 2 – fase decisionale , in cui si adotta il provvedimento amministrativo o si conclude l’accordo sostitutivo di provvedimento 3 – fase integrativa, che si ha quando il provvedimento amministrativo è sottoposto a controlli, al cui esito positivo è subordinata la sua operatività. Il provvedimento, o accordo sostitutivo di provvedimento, è l’atto avente effetto costitutivo delle situazioni giuridiche soggettive, dunque è l’unico atto impugnabile di fronte al giudice. Il procedimento deve rispettare dei principi dettati dalla legge 241/1990: principio di legalità, economicità, efficacia, imparzialità e di trasparenza; deve rispettare i principi dell’ordinamento comunitario come la concorrenza e la proporzionalità, e deve rispettare anche i principi elaborati dalla giurisprudenza come la buona fede, la correttezza e la ragionevolezza. Al rispetto di questi principi sono tenuti anche i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative. Tra i principi generali dell’attività amministrativa è annoverato anche quello secondo cui “la PA non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”. 3. TERMINE DI CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO E IL SILENZIO Le PA hanno il dovere di adottare un provvedimento a conclusione del procedimento se questo consegua obbligatoriamente un’istanza o deve essere iniziato d’ufficio. Quindi, nei casi in cui l’avvio del procedimento è obbligatorio, sussiste un obbligo di concluderlo con un espresso provvedimento. Per quel che concerne l’obbligo di avvio del procedimento, il suo inadempimento comporta responsabilità sia civile che penale del funzionario (per la responsabilità civile, è prevista, come sostiene l’art.25 sugli impiegati civili dello Stato, un’azione di risarcimento previa diffida notificata all’impiegato e all’amministrazione; per la responsabilità penale, valgono le norme contenenti il rifiuto e l’omissione di atti d’ufficio). Per quanto riguarda l’obbligo di concludere il provvedimento, sono previsti diversi meccanismi per la fissazione del termine. Il termine decorre dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento dell’istanza di parte. Per le amministrazioni statali i termini sono fissati con decreti di natura regolamentare del Presidente del Consiglio, su proposta dei ministri competenti e con i ministri per la PA e per la semplificazione normativa. In ogni caso il termine non può essere superiore a 90 gg. Termini superiori a 90 gg ( ma non superiori a 180 gg ) possono essere stabiliti solo in presenza di determinati presupposti che la legge considera indispensabili, e con una procedura rafforzata. In assenza di fissazione del termine, vale un termine residuale di 30 gg. I termini possono essere sospesi una sola volta e per non più di 30 gg, per l’acquisizione di informazioni non attestate nei documenti già in possesso della PA. Per quanto riguarda la conseguenza del manco rispetto del termine, occorre fare una distinzione: → se il procedimento è iniziato d’ufficio, in alcuni casi la legge stabilisce che l’amministrazione non possa provvedere e debba riattivare la procedura (ad es. in materia di espropriazione il decorso del termine per l’emanazione del decreto di esproprio determina l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, che ne è il presupposto). → se, invece, il procedimento è su istanza di parte ed è finalizzato all’adozione di un provvedimento favorevole al privato (autorizzazione), ci sono diverse ipotesi Infine, per quanto riguarda il nesso responsabile del procedimento – decisione, in alcuni casi il responsabile può adottare il provvedimento finale. Generalmente il responsabile trasmette gli atti istruttori all’organo competente ad adottare la decisione, dai quali può discostarsi se indicandone la motivazione nel provvedimento finale. Tale disposizione sottolinea la grande importanza dell’attività istruttoria. Gli esiti istruttori incidono fortemente sulla decisione. L’organo decidente può non seguirli, ma deve darne giustificazione apposita ed esauriente. 7. LE GARANZIE DI PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO : LA “ VOCE ” La garanzia riconosciuta all’amministrato di partecipare al procedimento, potendo far valere la propria voce, le proprie ragioni, prima che la decisione sia presa, costituisce il fine principale che si intende realizzare con il procedimento amministrativo. 7.1 LA COMUNICAZIONE DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO Nel nostro ordinamento, la garanzia della voce prende corpo tempestivamente nell’ambito del procedimento: a seguito dell’istanza privata o dell’iniziativa d’ufficio, interviene la comunicazione di avvio del procedimento. La comunicazione di avvio è rivolta: - ai diretti destinatari del provvedimento - ai soggetti che, per legge, debbono intervenirvi - ai soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento finale A seguito della comunicazione, tali soggetti possono far valere la propria voce. Ancor prima della comunicazione, resta salvo il potere della PA di adottare provvedimenti cautelari. La comunicazione deve essere personale, al singolo destinatario, e, qualora non sia possibile, si può ricorrere a norme di pubblicità idonee (ad es. pubblicazione in giornali di ampia diffusione). La legge, inoltre, precisa che gli elementi che devono essere contenuti nella comunicazione sono: 1. oggetto del procedimento 2. ufficio 3. termine di conclusione 4. ufficio presso il quale si prende visione dei documenti 7.2 LA FACOLTA’ DI PRESENTARE MEMORIE E L’OBBLIGO DELL’AMMINISTRAZIONE DI VALUTARLE I destinatari della comunicazione di avvio possono prende visione dei documenti e possono far valere le proprie ragioni presentando memorie scritte e documenti. La voce dunque si fa sentire per iscritto (contraddittorio scritto). La PA, poi, ha l’obbligo di valutazione su tali memorie e documenti se pertinenti all’oggetto del procedimento. La mancata osservazione di tale obbligo può rendere il provvedimento finale viziato da eccesso di potere per incompleta istruttoria. Se manca la comunicazione di avvio, all’interessato può essere preclusa la partecipazione al procedimento, a meno che non venga a conoscenza in altri modi del procedimento avviato. Sotto questo profilo, può dar perplessità la norma che prevede la non annullabilità del provvedimento per mancata comunicazione di avvio del procedimento, purché l’amministrazione dimostri, nel successivo giudizio, che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato. Nell’ipotesi di comunicazione anticipata dei motivi del diniego nei procedimenti su istanza di parte, l’autorità competente, prima della formale adozione del provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. La norma, dunque, dispone che il preavviso di diniego sia comunicato al termine di una compiuta istruttoria, prima dell’adozione del provvedimento finale: un preavviso di decisione negativa che precedesse il completamento dell’istruttoria sarebbe sintomo di un vizio dell’azione amministrativa, rivelando un’intenzione di diniego non sostenuta da un’adeguata acquisizione di dati. Entro 10 gg dalla ricezione della comunicazione, gli istanti possono presentare osservazioni. Se l’amministrazione non accoglie le osservazioni, deve darne adeguata motivazione nel provvedimento finale. 7.3. I LIMITI DELLE GARANZIE DI PARTECIPAZIONE Le garanzie di partecipazioni subiscono una grave limitazione a causa della disposizione contenuta nella legge 241/1990 a proposito dell’ambito di applicazione delle medesime garanzie → queste ultime non si applicano nei confronti dell’attività della PA diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Limite grave, perché l’adozione di atti normativi e di atti amministrativi generali avrebbe bisogno di solide garanzie di partecipazione. Per questi procedimenti cui non trovano applicazione tali norme generali, valgono le disposizioni speciali che li disciplinano. 8. LE GARANZIE DI PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO : LA “VISIONE ” La legge 241/1990 ha introdotto, insieme alla garanzia della voce, la garanzia della visione, cioè la garanzia di poter vedere i documenti amministrativi. 8.1 Il DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI : la legge ha riconosciuto il diritto d’accesso come diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi. In quanto principio generale, l’accesso ha portata che trascende lo stesso procedimento, tanto che si può avere: - un accesso extra-procedimentale, cioè indipendente da un procedimento avviato; - un accesso procedimentale, cioè nell’ambito dell’istruttoria amministrativa. Le regole sull’accesso si applicano anche a soggetti privati preposti alle attività amministrative. Il diritto d’accesso può considerarsi come vero e proprio diritto soggettivo, perché la PA o il gestore di pubblico servizio non esercitano un’autentica discrezionalità amministrativa ma si limitano ad accertare i requisiti e i presupposti previsti dalla legge. Deve trattarsi di un “ documento amministrativo ”, cioè non solo documenti cartacei ma anche ogni rappresentazione grafica, elettromagnetica o di qualunque altra specie detenuta da una PA e relativa all’attività di pubblico interesse. Il soggetto che richiede l’accesso deve avere un interesse diretto, concreto e attuale che corrisponde ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale si è richiesto l’accesso: si deve trattare, dunque, di un soggetto che fa valere una posizione differenziata, non del generico cittadino (tuttavia, in alcune materie come quella ambientale, l’accesso alle informazioni è riconosciuto a chiunque). 8.2 IPOTESI DI ESCLUSIONE DALL’ACCESSO nella legge 241/1990 Vi sono esclusioni ex lege ed esclusioni demandate a regolamento governativo nell’ambito dei criteri fissati dalla legge. La legge 241 esclude direttamente dall’accesso quei documenti coperti da segreto di Stato e i casi di segreto o divieto di divulgazione previsti dalla legge o da regolamento. La legge rinvia a regolamento governativo altri casi di sottrazione dall’accesso a documenti amministrativi. Possono essere sottratti documenti la cui divulgazione può provocare una lesione specifica e individuata a interessi particolari come la sicurezza, la difesa, l’esercizio della sovranità nazionale e le relazioni internazionali, ma anche documenti la cui visione possa pregiudicare la politica monetaria e valutaria; o, in ogni caso, documenti relativi alle tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione e repressione della criminalità. Sta comunque al giudice la valutazione caso per caso. La giurisprudenza amministrativa precisa, in particolare, che il diritto alla riservatezza recede nei confronti del diritto di accesso qualora quest’ultimo sia esercitato per la difesa di interessi giuridici del richiedente. 8.3 L’ESERCIZIO E LA TUTELA DEL DIRITTO DI ACCESSO L’esercizio del diritto di accesso si concretizza nell’esame dei documenti amministrativi. La legge 241 e il regolamento in materia di accesso (184/2006) disciplinano il procedimento che : - inizia con la richiesta di accesso, che deve essere motivata e, per legge, deve essere indirizzata all’amministrazione che ha formato il documento o lo detiene o, comunque, competente a forare l’atto conclusivo; - termina con il suo accoglimento o non accoglimento. Il procedimento per l’accesso può essere formale o informale : - informale se non vi sono dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sussistenza dell’interesse collegato al documento e sull’accessibilità del documento. In questo caso, la richiesta viene esaminata immediatamente senza formalità ed è accolta mediante esibizione del documento. Inoltre, mentre il parere interviene su uno schema di decisione, la valutazione tecnica ha a che fare con un presupposto del decidere, e per questo ha una maggiore influenza nei confronti del provvedimento finale (ad es. si accerta la tossicità di un prodotto, e dunque questo sarà ritirato dal mercato). Le valutazioni tecniche sono effettuate da organi appositi diversi dall’amministrazione decidente, come l’Istituto superiore della Sanità. Per tali casi, il legislatore ha previsto delle forme di semplificazione procedimentale: infatti le disposizioni legislative possono stabilire un termine entro il quale l’accertamento deve essere effettuato; in mancanza, vale il termine di 90 gg dalla richiesta di valutazione tecnica. Se l’organismo competente non provvede entro i termini, il responsabile del procedimento deve chiedere le valutazioni tecniche ad altri organi della PA dotati di capacità e competenza tecnica equivalente. E’ chiara, dunque, la differenza rispetto ala semplificazione prevista per i pareri → per i pareri, se non viene rispettato il termine per il rilascio del parere, l’amministrazione decidente può comunque procedere; nel caso di valutazioni tecniche, ad esse non si può rinunciare ma si può ricorrere ad altri organismi tecnici diversi da quelli che non hanno rispettato il termine. In ogni caso, si vieta lo stallo del procedimento. La norma non si applica per tutte le stesse materie escluse dalla semplificazione prevista per i pareri ( tutela ambientale, paesaggistica ecc..) 9.3 CERTIFICAZIONI Le certificazioni sono atti amministrativi dichiarativi attraverso i quali un pubblico ufficio attesta un determinato fatto, un atto, uno stato o una qualità personale attribuendo ad essi certezza ( funzione dichiarativa – certativa). Il certificato è il documento che contiene la certificazione ed ha efficacia dell’atto pubblico, per cui fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale (es. ai fini dell’ammissione ad un concorso per l’assunzione presso un ministero, il candidato è tenuto a presentare certificati che attestano una certa residenza o di aver conseguito una laurea). Nell’intento di semplificare, la legge 241/1990 consente all’interessato di poter provare determinati fatti, atti, stati e qualità senza esibire i relativi certificati. Richiama la legge 15/1968 che aveva dettato norme di semplificazione, prevedendo forme di autocertificazione. Tale legge però è stata abrogata dopo l’approvazione della legge 241, ed è stato varato un testo unico sulla documentazione amministrativa. Il testo unico prevede forme di semplificazione consistenti in dichiarazioni sostitutive, cioè atti soggettivamente e oggettivamente privati che sostituiscono certificazioni pubbliche. Vi sono due tipi di dichiarazioni sostitutive : 1. dichiarazione sostitutiva di certificazione, che è un atto privato sottoscritto dall’interessato in sostituzione del certificato come documento che attesta stati, qualità personali e fatti contenuti in elenchi o registri pubblici accertati da un pubblico ufficiale; 2. dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che è un documento sottoscritto dall’interessato riguardante stati, qualità e fatti di sua diretta conoscenza non compresi in pubblici registri, e quindi non suscettibili di essere comprovati con dichiarazione sostitutiva di certificazione. Le dichiarazioni sostitutive non hanno piena funzione certificatoria, ma attenuano, con finalità di semplificazione, l’onere di documentazione del privato, consentendogli di produrre affermazioni circa fatti o stati di cui è richiesta la dimostrazione (non sono certezze pubbliche: restano esposte alla prova contraria e l’amministrazione può sempre verificarne la veridicità). 9.4 LA CONFERENZA DI SERVIZI Un importante strumento di semplificazione procedimentale è la conferenza di servizi. In questo caso la semplificazione si ottiene garantendo accordi tra PA diverse che intervengono su uno stesso procedimento o in procedimenti legati tra loro. Quindi, la conferenza di servizi consente un esame contestuale dei vari interessi pubblici che generalmente sarebbero presi in considerazione in un ordine sequenziale. Questo, quindi, permette un coordinamento tra amministrazioni portatrici di diversi interessi. La conferenza di servizi può intervenire nella fase istruttoria o nella fase decisoria: → nella fase istruttoria → la conferenza non è obbligatoria (qualora sia opportuno, in tale fase, l’esame contestuale dei diversi interessi pubblici coinvolti in uno o più procedimenti amministrativi, la conferenza può essere indetta dall’amministrazione precedente, anche su richiesta di altra amministrazione coinvolta. In tali casi, la conferenza sfocia in una relazione conclusiva che tiene luogo dei diversi atti richiesti dalla legge (pareri, accertamenti ecc.) ) → nella fase decisoria → la conferenza è obbligatoria quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese, nulla osta o assensi di altre PA e non li ottenga, entro 30 gg dalla ricezione della relativa richiesta. Per quanto riguarda la disciplina dello svolgimento della conferenza dei servizi, la prima riunione deve essere convocata entro 15 gg dall’indizione o entro 30 gg nei casi di particolare complessità istruttoria. Nella prima riunione viene fissato il termine per l’adozione della decisione conclusiva e tali termini sono tempi che si aggiungono ai termini del procedimento. ++++++++++ da vedere sul libro pag 270 ++++++++ Per quanto riguarda il criterio decisionale, l’amministrazione procedente valuta i risultati della conferenza e tiene conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede. Il criterio delle posizioni dominanti non equivale a quello della maggioranza delle posizioni espresse, ma, essendo un criterio più qualitativo che quantitativo, prende in considerazione la diversa rilevanza degli interessi fatti valere. Gli eventuali dissensi delle amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza possono essere superati dall’amministrazione procedente, se non sono prevalenti, ma vanno comunque motivati. In caso di approvazione unanime, la determinazione di conclusione della conferenza è immediatamente efficace. Viceversa, in caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l’efficacia della determinazione è provvisoriamente sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati (qualificati sono i dissensi manifestati da amministrazioni che curano interessi meritevole es. tutela dell’ambiente, paesaggistica ecc.. . In questi casi, ciascuna amministrazione può proporre opposizione al Pres. Consiglio, purché abbia espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. La decisione del Consiglio dei Ministri si pronuncerà entro 60 gg ). La conferenza non dà luogo ad un organo collegiale, ma è piuttosto un luogo in cui vengono acquisite modalità di semplificazione dell’azione amministrativa; per cui ad essa non si applicano le regole in materia di organi collegiali. + la determinazione conclusiva del procedimento viene adottata tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in sede di circonferenza e sostituisce ogni altro assenso di competenza delle amministrazioni partecipazioni + 9.6 SCIA ( Segnalazione Certificata di Inizio Attività ) In alcuni casi, la semplificazione si concretizza nella riduzione degli oneri burocratici che gravano sullo svolgimento delle attività dei privati. Tale semplificazione prevede che, quando un privato intende avviare una propria attività ad es. imprenditoriale, alcuni atti o procedimenti amministrativi vengono eliminati e sostituiti da atti e procedimenti privati. In questi casi, si ha una vera e propria liberalizzazione delle attività. Nel nostro ordinamento, lo schema normativo è contenuto nell.art.19 della legge sul procedimento che disciplina la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA). Il regime si fonda su un solo atto del privato, cioè la segnalazione di inizio attività e, dalla data di presentazione della segnalazione, corredata di documentazione prevista dalla norma, l’attività può essere iniziata. La SCIA, in primo luogo, si applica quando la possibilità di avviare un’attività privata, ad esempio l’esercizio di un’impresa, sia sottoposta all’adozione di particolari atti di tipo autorizzatorio da parte di amministrazioni pubbliche. La SCIA, quindi, ha natura di atto del privato che sostituisce il procedimento autorizzatorio preliminare. Ma l’atto autorizzatorio, per essere sostituito dall’atto del privato, deve essere privo di discrezionalità amministrativa, ma deve limitarsi al mero accertamento dei requisiti di legge. Alla PA resta un potere di intervento ex post, finalizzato ad accertare la sussistenza o meno delle condizioni, delle modalità e dei fatti che legittimano l’avvio dell’attività del privato. Si tratta di un controllo successivo che può essere esercitato entro 60 gg dal ricevimento della segnalazione di inizio attività, e si caratterizza per l’assenza di discrezionalità, in quanto si limita a verificare quanto dichiarato dal privato. Il Consiglio di Stato, comunque, in sede di parere, ha aggiunto che il silenzio assenso tra PA potrebbe operare sempre, anche nel caso in cui debbano essere acquisiti più assensi di diverse amministrazioni, rendendo possibile che si eviti la conferenza (quest’ultima andrebbe indetta solo nei casi in cui il silenzio assenso non si è formato a causa del dissenso espresso da una delle amministrazioni interpellate, che potrebbe essere superato, appunto, in sede di conferenza). 10. AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA LEGGE n.241/1990 Essa si applica integralmente alle amministrazioni statali (ministeri, agenzie amministrative) e agli enti pubblici nazionali. Alcune sue norme valgono per tutte le amministrazioni pubbliche → si tratta di norme sul riconoscimento del danno per inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, sugli accordi con i privati e tra amministrazioni, sulla tutela giurisdizionale in materia di accesso e sul provvedimento. La legge si applica anche alle società a capitale pubblico totale o prevalente, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative (cioè quando esercitano funzioni pubbliche e/o servizi pubblici). Si applicano – in via generale – i principi della legge a Regioni ed enti locali. Alcune disposizioni, tuttavia, attengono ai livelli essenziali delle prestazioni (es. disposizioni sulle garanzie di partecipazione, voce e visione, sul responsabile del procedimento, sulla durata massima dei procedimenti e sull’obbligo di concluderli entro il termine, sulla SCIA e sul silenzio assenso → in questi casi, Regioni ed enti locali non possono stabilire garanzie inferiori rispetto a quelle previste dalla legge 241, ma possono prevedere solo livelli superiori di tutela. Si applicano i principi ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative, che svolgono funzioni pubbliche o servizi pubblici: principi come legalità, economicità, efficacia, pubblicità, trasparenza e principi dell’ordinamento comunitario. Singole disposizioni della legge 241 prevedono margini di flessibilità per le amministrazioni indipendenti, che sono legittimate ad applicare tali disposizioni in conformità ai propri ordinamenti. CAPITOLO OTTO PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI 1. NOZIONE, CARATTERI E VICISSITUDINI DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO Per larga parte dell’800, l’atto di imperio della PA ha assunto un ruolo importante. La dottrina del ‘900 guardò gli elementi del negozio del diritto privato per spiegare le caratteristiche degli atti amministrativi (e poi del provvedimento), ma ben presto si discostò dall’influenza privatistica. Sempre più con il passare del tempo, il provvedimento è stato inserito all’interno di un procedimento amministrativo. Il provvedimento si distingue da tutti gli altri atti amministrativi, è l’atto più importante del procedimento, è l’atto conclusivo del procedimento, l’atto costitutivo in senso giuridico in quanto è l’unico che costituisce, modifica o estingue situazioni soggettive degli amministrati. La costitutività è strettamente legata all’imperatività, in quanto l’incidenza sulle situazioni soggettive è unilaterale e prescinde dal consenso dell’amministrato. Inoltre, la costitutività fa sì che il provvedimento sia l’unico atto del procedimento impugnabile dinanzi al giudice. 2. TIPI DI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI A seconda del contenuto e degli effetti che producono, possiamo distinguere diversi tipi di provvedimenti amministrativi. Innanzitutto si distinguono: 1. provvedimenti amministrativi generali 2. provvedimenti amministrativi particolari o puntuali 1. provvedimenti amministrativi generali → sono rivolti ad un insieme indeterminato di destinatari (es. sono le direttive emanate dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che riguardano tutte le imprese operanti in questi settori). I provvedimenti amministrativi generali si distinguono dagli atti normativi secondari es. regolamenti, in quanto questi possono essere adottati da figure soggettive della PA (ministro o autorità indipendente), sono fonti del diritto in quanto, oltre ad essere indirizzati ad una generalità di destinatari, sono caratterizzati anche dall’astrattezza e dall’idoneità di innovare l’ordinamento giuridico. 2. provvedimenti amministrativi particolari o puntuali → sono diretti ad un destinatario o ad un insieme determinato di destinatari ad es. un’autorizzazione conferita ad un privato o una sanzione pecuniaria irrogata ad un’impresa. Questa distinzione rileva sul piano pratico, perché i due regolamenti sono soggetti a regimi giuridici diversi → infatti, ai procedimenti che portano all’adozione di provvedimenti amministrativi generali, non si applicano le norme sulla partecipazione prevista dalla legge 241, ma valgono le norme speciali di settore (art.13) e ad essi non si applica neanche il principio dell’obbligo di motivazione. Nell’ambito dei provvedimenti particolari, si distinguono: - provvedimenti ampliativi - provvedimenti restrittivi o limitativi delle situazioni giuridiche soggettive degli amministrati. Tra i provvedimenti ampliativi, sono ricompresi - autorizzazioni - concessioni amministrative differenze: Autorizzazioni → sono provvedimenti che rimuovono un vincolo all’esercizio di un diritto preesistente in capo all’amministrato. Le autorizzazioni amministrative sono state sostituite in buona parte da atti soggettivamente e oggettivamente privati come le dichiarazioni di inizio attività o le segnalazioni certificate di inizio attività. Concessioni → sono provvedimenti che conferiscono al privato diritti e poteri nuovi. La dottrina ha sottolineato che il nuovo diritto conferito al concessionario riguarda beni o attività riservate alla PA e indisponibili dal privato : ad es. concessione di beni demaniali attribuisce al concessionario un diritto d’uso su un bene che prima era indisponibile dal privato, in quanto appartenente al pubblico potere. Possiamo dire che le concessioni più importanti non sono provvedimenti amministrativi ma hanno natura di contratti tra amministrazioni concedenti e imprese concessionarie. Tra i provvedimenti limitativi assumono importanza: - provvedimenti ablatori - provvedimenti amministrativi sanzionatori Ablazioni → modificano o estinguono diritti personali – diritti reali – rapporti obbligatori. Gli ordini incidono su libertà e diritti personali come ad es. ordine di evacuazione da un luogo colpito da calamità naturali. Poi si possono avere provvedimenti amministrativi che impongono obbligazioni ai privati nei confronti di pubblici poteri ad es. autorità garante della concorrenza e del mercato può imporre obblighi di contrarre a imprese dominanti a favore di imprese nuove che entrano nel mercato. Provvedimenti amministrativi sanzionatori → hanno il fine di reprimere le infrazioni alla legge o ad altri provvedimenti amministrativi. Le infrazioni non assumono rilevanza penale ma integrano illeciti amministrativi (tipico es. provvedimenti che irrogano sanzioni pecuniarie amministrative per violazioni del codice della strada, oppure sanzioni disciplinari a carico di dipendenti pubblici non contrattualizzati. Queste classifiche (autorizzazioni, concessioni, ablazioni, provvedimenti sanzionatori) possono riguardare anche rispettivi procedimenti amministrativi ( autorizzatori, concessori, ablatori, sanzionatori ) incompetenza della giunta comunale possono essere convalidati dal consiglio comunale. - la violazione di legge → si ha quando il provvedimento non è conforme ad una specifica disposizione normativa ( di legge o di regolamento ). Ad es. è in violazione di legge il provvedimento amministrativo privo di motivazione in quanto contrastante con l’obbligo di motivazione previsto all’art.3 della legge 241. La legge 241 ha previsto e regolato le due ipotesi in cui il mancato rispetto di norme NON comporta annullabilità del provvedimento. Si tratta della cd. illegittimità non validante : 1. ipotesi → non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti se il provvedimento ha natura non discrezionale, cioè non vincolata, e se sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato. 2. ipotesi → il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento se l’amministrazione dimostra in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato. Queste due ipotesi hanno introdotto una sorta di illegittimità sanabile, la cui ratio è ispirata ad una logica del raggiungimento del risultato, cioè si attribuisce molta rilevanza al raggiungimento di un risultato o di uno scopo utile al pubblico interesse che non può essere vanificato dalla sussistenza di vizi formali o procedurali. Ci sono, però, delle difficoltà applicative di queste norme : - per quanto riguarda la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, è difficile tracciare una linea di confine tra provvedimenti discrezionali e non discrezionali, ed è difficile individuare quale sia l’ambito delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, la cui violazione da luogo a non annullabilità prevista dalla disposizione. Ad es. anche l’obbligo di motivazione è una norma inclusa nella legge sul procedimento e riguarda la forma, ma in questo caso è da ritenere che ci sia violazione di legge che comporta annullabilità, anche perché la legge 241 contiene una norma apposita sull’obbligo di motivazione. - per quanto riguarda la non annullabilità del provvedimento per mancata comunicazione d’avvio, la comunicazione d’avvio apre la fase delle garanzie di partecipazione dell’amministrato al procedimento stesso, e il difetto di comunicazione può precludere del tutto l’operato di tali garanzie, a meno che l’amministrato non venga a conoscenza in altro modo del procedimento avviato. La legge tedesca sul procedimento amministrativo, a cui si ispira in parte l’art.21 della legge 241, non contiene una previsione sulla non annullabilità per mancata comunicazione d’avvio del procedimento. L’ordimento tedesco considera la partecipazione un principio del sistema amministrativo la cui violazione da luogo ad annullabilità del provvedimento. Un altro punto importante riguarda l’onere della prova che l’amministrazione deve dare in giudizio, dove è tenuta a dimostrare che il contenuto del provvedimento emanato in mancanza di comunicazione d’avvio non sarebbe dovuto essere diverso da quello adottato. La giurisprudenza ha chiarito che non si può costringere la PA a dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo dell’amministrato non avrebbe cambiato l’esito del provvedimento, quindi deve ritenersi che grava sul privato l’onere di allegare gli eventuali elementi conoscitivi in suo possesso, se avesse ricevuto la comunicazione d’avvio, e che spetti all’amministrazione dimostrare che, anche se quelli elementi fossero stati allegati, il contenuto del provvedimento non sarebbe cambiato. - eccesso di potere → la figura di partenza è stata quella dello sviamento di potere. L’esperienza francese aveva portato ad annullare provvedimenti amministrativi che perseguivano un fine diverso da quello previsto dalle norme. Ma lo sviamento di potere poteva funzionare in una situazione in cui la legge attribuiva ad una determinata amministrazione il fine di perseguire un interesse pubblico unitario e ben identificabile. Tuttavia, con lo sviluppo del pluralismo, una stessa amministrazione poteva ricevere in titolarità una serie di interessi pubblici per cui cominciava ad essere difficile individuare lo sviamento rispetto all’interesse, al fine previsto dalla legge. Fu così che si svilupparono altre figure di eccesso di potere, altre ipotesi, chiamate sintomatiche come : - travisamento di fatto -motivazione insufficiente -insufficienza degli interessi valutati -irragionevolezza -difetto di proporzionalità Il travisamento di fatto si ha quando l’amministrazione fonda la sua decisione sulla premessa che sussista un fatto che in realtà non esiste, o presenta caratteristiche diverse (es. stato di un luogo). Riguardo la motivazione insufficiente, il giudice amministrativo aveva censurato per eccesso di potere dei provvedimenti con motivazione quantitativamente insufficiente. In seguito, il giudice ha esteso la sua verifica alla qualità della motivazione e ha considerato motivazioni illogiche o contraddittorie come segnali di eccesso di potere. Comunque, il difetto di motivazione, o meglio, l’assenza di motivazione rientra più nella violazione di legge che nell’eccesso di potere. Riguardo all’insufficienza degli interessi valutati, il giudice controlla se l’amministrazione abbia effettuato una valutazione compiuta e sufficiente degli interessi, prima di procedere all’adozione del provvedimento. E il difetto o l’insufficiente della valutazione è ipotesi di eccesso di potere. Riguardo all’irragionevolezza, nell’ordinamento britannico, la decisione amministrativa è stata considerata irragionevole e quindi invalida solo nei casi in cui l’amministrazione adottava una scelta che nessuna persona di buon senso avrebbe mai adottato. Progressivamente poi, il sindacato del giudice sulla ragionevolezza è diventato più intenso e il giudice ora valuta la coerenza dell’intero procedimento, l’eventuale sussistenza di perplessità e il nesso tra gli intenti e gli obiettivi realizzati. Infine, per quanto riguarda il difetto di proporzionalità, il giudice amministrativo valuta se il provvedimento sia adeguato al fine che l’amministrazione intende perseguire ed effettua un bilanciamento tra i benefici ottenuti per il pubblico interesse e i sacrifici imposti ai privati. Ciò che accomuna le diverse figure di eccesso di potere è che il provvedimento e l’attività della PA non sono valutate in base al parametro della loro conformità al contenuto di una norma ( come avviene con la violazione di legge ) ma il controllo del giudice prende in esame i fini effettivamente perseguiti dall’amministrazione. Per cui, il controllo sull’eccesso di potere viene esercitato sulla base del criterio di conformità dell’azione amministrativa rispetto ai principi giuridici. Ci troviamo nell’ambito di un controllo sulla legittimità. 5. I CASI DI NULLITA’ Quanto alla patologia del provvedimento, rimane la nullità. In dottrina e in giurisprudenza sono sorte delle incertezze sul concetto di nullità del provvedimento amministrativo. Da un lato, il Consiglio di Stato ha assunto un atteggiamento di rifiuto nei confronti della nullità e ha sostenuto che la nullità comporta l’inefficacia ad initio di un atto e questo non si addice alle caratteristiche dell’azione della PA, che è finalizzata al perseguimento del pubblico interesse e quindi, se è affetta da vizi, dovrebbe trattarsi di vizi che non vanifichino del tutto e dall’inizio l’efficacia dell’azione amministrativa, ma sostiene che quei vizi dovrebbero essere ricondotti alla categoria dell’annullabilità. Dall’altro lato, la dottrina ha spostato il discorso sul piano della teoria generale degli atti giuridici (perché come si è visto, il provvedimento è categoria che è stata costruita a partire dal negozio di diritto privato) e quindi si è ammessa, accanto all’annullabilità, anche la nullità, e quindi l’inidoneità del provvedimento di produrre effetti ab initio. La giurisprudenza ha svolto un ruolo importante quando la Cassazione ha introdotto la categoria della carenza di potere, cioè casi in cui il potere amministrativo manca del tutto e poiché il potere non esiste, il provvedimento è nullo ab initio e non produce effetti, quindi non è imperativo e lascia inalterata la sfera giuridica del destinatario. Di conseguenza, il giudice competente a conoscere della carenza di potere è il giudice ordinario, non il giudice amministrativo. La giurisprudenza di Cassazione ha stabilito che la carenza di potere vi fosse nei casi di difetto di attribuzione, cioè nei casi in cui non c’è incompetenza ma vi è il vizio della mancanza di attribuzione, o perché il potere esercitato non rientra tra quelli spettanti ad una PA, perché spetta ad una PA totalmente diversa. La Suprema Corte ha ricondotto alla carenza di potere anche altre ipotesi, caratterizzate non dal difetto di attribuzione ma dalla mancanza di presupposto
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