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LEZIONI DI LETTERATURA SPAGNOLA SULLA CELESTINA, Appunti di Letteratura Spagnola

LEZIONI DI LETTERATURA SPAGNOLA SULLA CELESTINA

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 04/03/2023

veronica-romano-11
veronica-romano-11 🇮🇹

4.5

(2)

12 documenti

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Scarica LEZIONI DI LETTERATURA SPAGNOLA SULLA CELESTINA e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LEZIONE 23.11 LETTERATURA SPAGNOLA Stratificazione del testo della Celestina,testo che cambia nel tempo perché cresce, (per numero di atti e inserzioni chiamate interpolazioni scritte in corsivo). Per es. Nel “el autor a sua amigo”, l’autore cita un possibile autore il cui nome però sono delle aggiunte. Oppure quando il personaggio si rivolge al pubblico. Nel soliloquio finale di Meribea. Alcune interpolazioni sono colte per dare spessore culturale, riferimenti a miti e classicità. L’autore di queste interpolazioni è incerto. Il personaggio della mezzana non è nuovo, ma è dirompente e diventa la mezzana per antonomasia (l’ultima era stata Trotaconventi). Il titolo dell’opera è “Comedia de Calisto y Meribea” nella prima redazione. Una edizione in 16 atti (che ha 3 edizioni): Burgos,Toledo e Sevilla. (MEMORIZZA). Cosa cambia in queste 3 edizioni: nella prima edizione di Burgos 1499 non c’è il fascicolo iniziale e i testi finali (no materiale paratestuale per interpretare l’opera), inizia con ARGUMENTO (il riassunto). Toledo 1500 e Sevilla 1501 ce li hanno, “el autor a su amigo”, le ottave acrostiche sul nome dell’autore e quelle finali. L’edizione della tragicomedia di 21 atti, con la fortuna che ha l’opera cambia. La prima edizione giunta della tragicomedia è una traduzione italiana del 1506, tradotta a Roma. La prima giunta in spagnolo è Saragoza 1507. I paratesti sono importanti perché per es. Il prologo in prosa dice molte cose. Siamo lanciati in una visione del mondo di un ebreo converso (Fernando de Rojas), letteratura pessimista. Stefani Gilman, studioso di Fernando e della celestina dice che fernando scrive come uno straniero in patria (gli ebrei erano stati cacciati,costretti alla conversione tribunale dell’inquisizione). Il prologo della tragicomedia spiega due cose fondamentali: perché l’autore decide di scrivere altri 5 atti e perché cambia il nome da commedia a tragicommedia. “El autor a su amigo” carta dedicatoria e funzione di prologo, poi ci sono LE OTTAVE ACROSTICHE, SECONDO PROLOGO IN PROSA (che nella commedia non c’è). Nonostante la prima edizione della tragicommedia sia quella di Saragoza si suppone che la prima edizione sia tra 1502-04, perché se la terza della commedia è 1501, it means che il cambiamento è ravvicinato. Prologo: gonfia e piena, al punto di scoppiare facendo uscire rami e foglie così rigogliosi che dal più piccolo germoglio le persone che sono accorte potrebbero ricavare frutti a sazietà. La sentenza: “Omnia secundum lite fiunt” (Todas las cosas creadas a manera de contienda). “questo che ci pare normale corso delle stagioni, questo con cui ci sostentiamo, con cui cresciamo e viviamo, se comincia a trascendere i limiti consueti, non è altro che guerra. Costruzione sapiente che ha tensione parenetica, cioè voler persuadere chi ascolta, usando argomentazioni elaborate che danno il tono alto-retoricista al testo. Linguaggio diverso da quello interno. L’autore vuole introdurre il tema del contrasto a livello interpretativo (chi la legge per dilettarsi o per insegnamenti) e introduce due temi che vuole chiarire: perché cambia il titolo? (con cui cambia il genere) e perché la allunga. Questione 1: Titolo cambia perché il primo autore l’aveva chiamata commedia perché iniziava bene (ma la narrazione quindi rimane sospesa, doveva avere un lieto fine), ma i lettori dicono che siccome finisce male doveva chiamarsi tragedia (ma come facevano i lettori a parlare con l’autore?), lui l’ha quindi chiamata tragicommedia. Questione 2: la storia tra Calisto e Meribea dura troppo poco. Perché nell’edizione della commedia in 16 atti, all’altezza dell’atto 14 avveniva il primo incontro notturno tra Calisto e Meribea, lui va da lei scala il muro del giardino, passa la notte con eli, sente dei rumori in giardino e teme per i suoi servi, scende dalla scala ma cade e muore. Nell’atto 15 Meribea viene a sapere che Calisto è morto, sale sulla torre della casa e muore. Quindi chiedono all’autore di allungarlo e Rojas allunga i processi dell’amore che dureranno 5 atti in più (sono quelli interpolati), in termini temporali dovrebbe essere un mese ma ci sono omissioni. Nell’edizione quindi della tragicommedia Calisto muore nell’atto 19 e lei nel 20 e il 21 corrisponde al sedicesimo della commedia in cui c’è il lamento del padre di Meribea. Non sono atti aggiunti alla fine ma interpolati. Racconto particolare perché è una situa in cui l’autore descrive la genesi dell’opera, com’è nata e come ha vissuto nel corso degli anni. L’autore della Celestina è umanista, studente di giurisprudenza, il percorso universitario era un unico percorso formativo, conosce i classici greci e italiani. La Celestina è omogenea. Il primo atto si basa su Aristotele, in quelli successivi il più citato è Petrarca. Quindi, data l’omogeneità, o è frutto di un solo autore, oppure il/i secondo autore hanno imitato il primo. La sentenza di Eraclito è presa sufficientemente alla lettera da Petrarca nel “De remediis”, ossia “i rimedi dell’una e dell’altra fortuna”, ossia i rimedi per affrontare la vita. La fortuna nel medioevo era la sorte buona o cattiva. In cui c’è l’idea imitata da Eraclito di una visione del mondo apocalittica. “il mondo è un campo di permanente conflitto, nasce caoticamente,per caso”. Dall’universo al mondo animale, la figura principe è l’esagerazione, poi passa all’uomo dal indicava una tendenza alla lussuria e alla libidine, indicava una tentazione malefica. Possiamo anche dire che la figura di Celestina è a metà tra alcahueta (mezzana) e echiesera (ha la stessa origine etimologica del verbo fare, fattucchiera, in effetti il covo che ci viene descritto in questo atto abbonda di talismani e cose da fattucchiera). Celestina ci viene descritta con un graffio sul volto, e nei Manuali di anti stregoneria dell’epoca, un esempio può essere “il martello del diavolo”, il graffio sul naso o qualsiasi altra deturpazione presente sul viso o sul corpo di una donna veniva considerato uno stigma diavoli, un marchio che il diavolo lasciava sulle sue addette. (Il tema della stregoneria che era stata considerata nei primi anni del 400 piuttosto come una superstizione, andò sempre poi insospettendosi, anche a causa dell’inquisizione in Spagna, e molte donne venivano considerate come delle mediatrici del diavolo. Esce nel 1487 la prima opera anti stregoneria, che fu incaricata a Framer un domenicano, da Innocenzo III. Questo fu un manuale che descrive nel dettaglio le streghe, i loro strumenti, le loro caratteristiche fisiche, proprio perché doveva servire agli inquisitori per dirimere i asi in cui la donna doveva essere condannata come strega. La celestina riporta molti passaggi presenti in questo manuale delle streghe, che subito accende una questione interpretativa non di poco conto all’interno dell’opera. -Quanta magia c’è nella Celestina? La critica si è fatta questa domanda perché se effettivamente Celestina opera all’interno di questa tragicommedia e riesce a far capitolare Melibea grazie alle sue arti magiche il senso dell’opera è uno, mentre se la magia è puro colorismo, il personaggio di Celestina si arricchisce anche di questi dettagli, ma in realtà è un abilissima retore, il significato all’opera è un altro. Questo nel senso che se Melibea è vittima di un sortilegio di Celestina, e quindi opera senza disporre della sua volontà, operando senza disporre della sua volontà non è condannabile. Altra cosa se Melibea opera in proprio, se è in possesso totale del suo arbitrio, in questo caso invece la morale ne risentirebbe assai, perchè è una nobile donna che si concede al desiderio del cavaliere fuori dal matrimonio e si suicida anche per amore. ATTO I scena I L’apertura della Celestina è molto particolare, l’inizio si apre con un’azione già in corso di svolgimento. Calisto e Melibea si conoscono e si chiamano per nome, ma Melibea lo rifiuta senza alcuna concessione. Il luogo dell’incontro viene lasciato indeterminato (se è vero che l’opera è di Rojas, il primo autore lascia indeterminato il luogo dell’incontro). Gli stampatori definiscono il luogo di incontro come un giardino in quanto i due personaggi sono soli, alcuni credono sia una chiesa. Quello che ci interessa di più è Calisto che in una maniera assolutamente logorroica attraverso delle iperboli sacro-profane mette Melibea sopra qualsiasi altra devozione. ATTO III - ATTO IV L’atto terzo si conclude con Celestina che produce un sortilegio per far innamorare Melibea, è nel suo laboratorio, deve andare da Melibea per la prima volta, il passaggio è noto come “lo scongiuro a Plutone” il maleficio che Celestina fa per portare Melibea dalla sua parte. Il maleficio consiste nella lettura della formula magica nell’impregnare dei filati in un veleno serpentino che Celestina venderà a Melibea (questa magia porta il nome di filocratio, magia che serviva ad impossessarsi della volontà in amore o nei desideri dell’altro). Da questo momento in poi il lettore dovrà decidere se comprando questi filati Melibea entra in possesso delle forze diaboliche e si innamora di Calisto oppure no, oppure Celestina non riuscirà a far capitolare Melibea. Nell’atto XIV Melibea si mostra contraria ai voleri della Celestina, cosa che poi si capovolgerà nell’atto X in cui vediamo una Melibea appassionatissima, e Celestina combinerà il primo incontro tra i due che nella trama della commedia è il primo e ultimo incontro che avveniva all’altezza dell’atto XIV. Da questo momento in poi inizia la discesa del racconto in cui vedremo i due morire uno dopo l’altro. LEZIONE 30/11/2022 (assistiamo alla morte di tutti i personaggi protagonisti e co-primari, tutti i personaggi che caratterizzano l’azione drammatica moriranno: i servi, Sempronio e Parmeno, la mezzana la Celestina e i due innamorati Calisto e Melibea). Dei 21 atti e a partire dal X (Melibea innamorata) subentra la catastrofe. I 10 atti successivi occupano un quarto del testo, quindi questo precipitare è anche molto rapido rispetto alla prima parte in cui l’azione è più rallentata, la prima parte è un parlare assai elaborato anche dal punto di vista retorico. A partire dell’atto XI l’azione si fa PRECIPITANTE, è una caduta attraverso lo spazio (lo spazio ha una valenza assai simbolica, la verticalità ha molta importanza in quanto sono tutte morti che avvengono per CADUTA). Nel caso di Melibea assistiamo ad una morte tragica, nel caso di Calisto ad una morte tragi-comica, nel caso dei servi assistiamo ad una morte certamente violenta. È chiaro che questo finale può anche essere letto in linea con le intenzioni dell’autore, che ci esplicita nell’argomento iniziale, avendo l’opera un’intenzione morale e vuole mettere in avviso gli innamorati, anche in questo caso la Celestina è un exemplum di ciò che il lettore non deve Fare affinché non succeda anche a lui ciò che legge. La morte se la leggiamo così è un segno pessimistico dell’opera, della dimensione moralizzante del testo, ma come vedremo questi segni nella Celestina, proprio perché c’è un intreccio parallelo che si sovrappone alla parodia rende difficile dare una risposta netta. La morte di Melibea è cosi tragica che ne sono stati ravvisati dei possibili modelli classici (la trama sentimentale poteva attingere a due modelli, quello cortese, più vicino, e quello più lontano, quello classico, della mitologia classica, Melibea non assomiglia alle protagoniste della narrativa cortese, ma assomiglia invece alle eroine della classicità, perché i suicidi per amore nella mitologia classica erano assai presenti. I modelli più vicini a lei, segnalato da Menendez Pidal, lo troviamo nella figura di Ero* “storia di Ero e Leandro”* - (Ero, sacerdotessa di Venere vive da sola sullo stretto dei Dardanelli, dall’altura parte dello stretto vive Leandro, che durante una festa si innamora di lei, ma Ero è votata al culto della verginità in quanto sacerdotessa di Venere e allora Leandro preso da una passione incontenibile si tuffa ogni notte in mare per raggiungerla dal lato opposto. I due diventano amanti clandestini, ma Ero non potrebbe. Una notte il mare è agitato ma Leandro si butta in mare perché Ero gli accende sempre una luce affinché lui la segua, ma Leandro muore annegato, la compassione degli dei vuole che le spoglie di Leandro siano trascinate da lei, che vedendolo morto si getta giù e muore). Il modello di Ero da quello di Melibea si distingue dal fatto che la morte di Melibea è una morte premeditata, per Ero invece non è così. Altri modelli più vicini sono “la Fiammetta” di Boccaccio (suicidio di Fiammetta), si avvicina a questa storia per il tessuto argomentativo. ATTO 20 _Suicidio di Melibea. _ esempio mettere un piede in fallo e cadere è un motivo comico, questa sua fretta di scendere giù è del tutto ingiustificata in quanto non sta accadendo nulla e poi i servi è come se ci ridessero su, Tristano dice “è stecchito peggio di mio nonno”, poi più avanti ci saranno altre battute, il contesto è del tutto inappropriato. “Perchè la verticalità delle morti ha un suo valore simbolico?” Perchè nella mentalità Medievale la vita dell’uomo era paragonata ad una parabola, una parabola esistenziale guidata dalla fortuna. La fortuna era intesa nel senso di destino, la vita era guidata dal destino, e c’era un genere in voga chiamato “la caida de principes”, che stava a emblematizzare l’ascesa dell’uomo mosso dal piacere, dal desiderio di dominare il mondo e poi il precipitare giù. Quesì doveva servire all’uomo come ammonizione, di fare attenzione a non ripercorrere quei modelli, a tal punto che una delle immagini più usate per rappresentare la vita umana era “la ruota della fortuna”, un iconografia assai diffusa, che rappresentava una donna, a volte bendata (la fortuna è cieca) collocata nel fulcro di una ruota, a volte ci sono più di una o due ruote, che muove la ruota e nel muoverla determina il destino dell’uomo. Nell atto I c’è una battuta di Parmeno che racchiude un proverbio “tanto più vai in alto tanto più ti fai male” questo proverbio potrebbe essere la sintesi morale e dottrinale dell’opera. Nell’opera il verbo più utilizzato è “despeñarse”, cedere giù, e se non bastasse., anche Sempronio fa sua questa morale nella atto V. MONOLOGO DI Pleberio, ultimo atto: Bellissimo e pieno di retoricismo, con una funzione molto potente per muovere gli animi, il discorso cosi intessuto di riferimenti classici. Corrisponde al genere del “planctus funebre”, genere retorico, la finalità retorica è commuovere il pubblico e per commuovere il pubblico bisogna, secondo la retorica del pianto: elogiare il defunto, parlare della sorte capricciosa e poi descrivere il dolore che la morte provoca. Ciò ha ha un suo peso è che Pleberio lamenta non solo la perdita di una figlia, ma la perdita di un erede. Poi c’è questa struttura tripartita, Pleberio incolpa il mondo, incolpa l’amore e incolpa la morte e nell’incolparli descrive questo universo dalle regole sovvertite, perchè la prima regola che ha infranto Melibea è che una figlia muoia prima del padre, regola che sconvolge tutto il resto dell’esistenza che diventa intestata. La morale è la fine “la terra è una valle di lacrime”. LEZIONE 05/12/2022
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