Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Liberalismo- relazioni internazionali, Appunti di Relazioni Internazionali

Appunti liberalismo- corso terzo anno Relazioni Internazionali (M-Z)

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 11/01/2020

.31092
.31092 🇮🇹

2 documenti

1 / 17

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Liberalismo- relazioni internazionali e più Appunti in PDF di Relazioni Internazionali solo su Docsity! LIBERALISMO È una tradizione di lunghissimo periodo, che ha radici profonde: quando si parla degli autori ispiratori si fa riferimento a due autori tardo settecenteschi, Smith- per quanto riguarda il liberalismo economico (che lega il libero mercato alla maggiore pacificità) e Kant- legato al liberalismo politico, cioè il liberalismo che guarda l’importanza delle regole, delle istituzioni nella creazione di regimi politici che diano maggiori garanzie di pacificità. Kant è un’ispiratore di tutta la tradizione liberale e lo troveremo nel liberalismo repubblicano (detto anche teoria della pace democratica). 
 Qual è la distinzione che usiamo per parlare della tradizione liberale, che essendo una tradizione molto ampia e di lungo periodo, all’interno ha più autori che si possono raggruppare in approcci o scuole (come abbiamo fatto per realismo classico e neorealismo)? Ci sono più modi per raggruppare i liberali, la distinzione che noi usiamo è quella del manuale, che distingue più tradizioni di pensiero del liberalismo come esso si sviluppa a partire dalla IIGM. Nel periodo precedente, dal primo dibattito, si possono individuare una tradizione idealista- utopista, che viene catturata dalla nota critica di Kant, una tradizione che si chiama liberalismo sociologico (guarda alle dimensioni sociologiche), il liberalismo dell’interdipendenza, che mette enfasi sull’interdipendenza fra gli attori della politica internazionale e si sviluppa all’interno in Europa, legato alla riflessione su come si può sviluppare un’integrazione europea ma soprattutto, nel versante internazionale, dalla prima metà degli anni ’70;Il liberalismo istituzionale, che guarda all’importanza delle istituzioni (nazionali nella prima fase e poi internazionali): è legato al pensiero di Wilson. L’ultimo è il liberalismo repubblicano, chiamato anche Teoria della pace democratica: cerca di capire come mai le democrazie non si fanno guerra tra di loro. 
 LIBERALISMO SOCIOLOGICO Abbiamo già trattato il primo grande dibattito e abbiamo visto il confronto tra pensiero dei liberali utopici e quello dei realisti e quindi cominciamo a parlare direttamente del dibattito che si sviluppa a partire dalla IIGM. È un dibattito che si concentra sugli sviluppi successivi alla Seconda guerra mondiale. In una prima fase, immediatamente dopo la IIGM, anche per le dinamiche della politica internazionale concreta, il realismo aveva preso piede, perché diventava più convincente affermare che gli stati si comportassero in modo da ottimizzare il proprio potere, formando alleanze che controbilanciano alleanze e quindi c’è una fase nel quale il realismo diventa dominante. Tuttavia, dalla fine degli anni ’60 e con l’inizio degli anni '70, lo scenario inizia a trasformarsi e abbiamo accennato che avvengono una serie di trasformazioni significative della politica internazionale che fanno si che si crei uno spazio di trasformazione più adatto a una riflessione in ambito liberale. Queste trasformazioni hanno a che fare: 1) con la distensione tra le due grandi potenze, che riduce un pò le pressioni e che si ha agli inizi degli anni ’70 2) una trasformazione del ruolo di attori sociali e economici internazionale: inizia a diventare evidente che sono importanti in politica internazionale non solo gli attori governativi ma anche attori non governativi. Quando si parla della rilevanza di attori non governativi ci si riferisce ad attori privati economici, quindi le multinazionali. È nel corso degli anni ’70 che, anche approfittando di una trasformazione della facilità di trasporto delle merci, diventa possibile produrle in una città, assemblarle in un altro e distribuirle in un altro. Queste aziende cominciano a diventare sempre più di peso, perché gestiscono molti soldi. Questa è un’altra trasformazione importante. C’è un altra trasformazione importante: inizia a diventare evidente che in UE si sta trasformando lo spazio politico perché si stanno modificando le relazioni tra gli stati (relazioni che vedono la condivisione di alcuni aspetti della sovranità di questi stati): gli stati, nel processo di integrazione europea, gradualmente hanno ceduto parti della propria sovranità. Il processo di integrazione europea ha momenti di alto e basso, ha momenti di arresto ma fino alla Brexit non ha avuto passi indietro. Ha avuto passi di arresto, il fallimento di proposte ma non lo scioglimento di accordi già presi quindi il processo di integrazione europea è stato incrementale, non solo da un punto di vista di approfondimento (sempre più aree diventano parte dell’integrazione) ma anche di estensione geografica (si è allargato il numero di stati membri, anche durante la guerra fredda). Questo, negli anni ’70 era evidente quindi era evidente dire che il modo in cui si stava trasformando la politica, in un’area del mondo, era rilevante: in questi anni quindi comincia a svilupparsi un filone di studio che si occupa di questo. Siamo in un momento in 1 cui si comincia a pensare che la sovranità non sia monolitica e legata al potere, che gli attori non sono solo gli stati (ma anche altri, economici, sociali, legati alla creazione dell’integrazione) quindi si trasforma lo scenario attorno a chi studia e c’è sempre più spazio per potere offrire un’analisi delle dinamiche della politica internazionale in una chiave che non sia realista. In questo contesto l’attenzione si può spostare su fattori prima trascurati, come i rapporti tra paesi sviluppai e sottosviluppati; questo apre la strada per uno studio di tipo marxista. Nel filone liberale, è in questo contesto che si sviluppa la riflessione di autori che vengono dalla tradizione sociologica, o perché sono formati come sociologi, o perché sono sensibili al rapporto tra società e politica estera/ internazionale. Il primo filone è il liberalismo sociologico, che studia soprattutto quello che viene etichettato come transnazionalismo. Rosenau definisce il trasnazionalismo, come processi in virtù dei quali le relazioni internazionali gestite dai governi sono integrate da relazioni tra singoli individui, gruppi e società che possono avere- e che in effetti hanno- ripercussioni importanti sul corso degli eventi. Con questa definizione, lui afferma che non sono solo importanti i rapporti tra governi ma anche le relazioni tra singoli o gruppi, che fanno parte della società e che attraversano i confini degli stati. Queste relazioni sono rilevanti per il corso degli eventi in politica internazionale. La definizione di Rosenau è del 1980: è lungimirante nel cogliere una linea di trasformazione che in quel momento era solo iniziale. Lo fa sulla base della sua capacità di osservazione ma anche costruendo su quello che altri autori avevano teorizzato sull’importanza delle società nella politica internazionale. La tradizione parte da prima, la si può far risalire agli anni ’70. L’assunto di fondo che sta alla base di questi autori del liberalismo sociologico è che quanto più sono strette le relazioni tra le società di stati diversi, tanto più pacifiche saranno le relazioni tra gli stati. Ciò che fa si che due paesi non si facciano guerra tra di loro non sarà la deterrenza, il rafforzamento degli apparati militare, le alleanze contrapposte ma la capacità di sviluppare relazioni strette tra le società di paesi diversi. Se abbiamo due cerchi che rappresentano due stati e il bordo intorno è il confine. Gli stati interagiscono tra di loro e quindi ciò che conta sono le forme di azione e reazione dell’uno e dell’altro. Se invece concepiamo queste relazioni come perimetri che non sono sigillati, come un campo, e cominciano a costruire una serie di palizzate a cui sono appesi fili che collegano i diversi paesi- i legami che si creano sono molti: quanti più sono, tanto più difficile sarà per chi controlla il cerchio (governo), decidere di muovere guerra all’altro cerchio, perché ci sarà una resistenza interna (idea della ragnatela). Le relazioni di cui si parla sono di molteplice natura, fatte di collaborazioni tra aziende, che hanno a che fare con gruppi per tradizione transnazionale. La chiesa cattolica, ha credenti in vari paesi del mondo, che hanno un legame. Ci sono accordi transnazionali per la creazione di gruppi di rappresentanza di interessi a livello europeo (avvocati in UE), che hanno necessità di fare pressione sulle istituzioni europee per esercitare un’influenza sulla legislazione che verrà adottata. Quanto più questa transnazionalità si sviluppa, quanto più forte saranno le relazioni e tanto meno probabile sarà la guerra. Un elemento di questo tipo c’era già nel liberalismo commerciale di Smith, quando dice che più si commercia con un paese e meno si farà la guerra. KARL DEUTSCH 
 All’interno di questo grande approccio che guarda ai rapporti transnazionali si possono individuare tre autori di riferimento, tra cui il più noto è Deutsch. Era un sociologo, che ha contribuito con un concetto importante, il concetto di comunità di sicurezza. Il comunità di sicurezza è sviluppato in un libro del 1957, Political Community and the North Atlantic Area, che applicava questo concetto alla NATO (nata nel ’49). La comunità di sicurezza non vuol dire alleanza di difesa (gruppo di stati che mantengono rapporti tra du loro, funzionali a difendersi da un attacco esterno) ma è un contesto in cui le unità non percepiscono più minaccia proveniente dagli altri stati della comunità di sicurezza. È un contesto nella quale, per esempio, viene meno il dilemma della sicurezza. Se il mio vicino si riarma io non lo percepisco come una minaccia. All’interno della comunità di sicurezza si sviluppano delle relazioni che trasformano il modo in cui normalmente funziona la politica internazionale, ci si fida gli uni degli altri. In una comunità di sicurezza questo è possibile perché si sviluppa come in una società un comune senso di appartenenza, un senso del noi= vuol dire che pensiamo di avere qualcosa in comunque, dei valori che condividiamo e riteniamo che siano 2 tutti i contorni. Nel ’90 siamo ancora in un momento critico della guerra fredda, l’Unione sovietica crollerà nel 1991. Lui si concentra su un livello specifico perché sottolinea l’importanza del ruolo degli individui. Non sono solo i gruppi all’interno delle società che hanno rapporti ma sono i singoli individui. Sottolinea l’importanza del ruolo degli individui perché sempre di più si assistono a vari processi che potenziano l’individuo a discapito del governo dello stato. 1) La prima è una dispersione del potere statuale: lo stato che diventa meno visibilmente forte. Questo soprattutto in virtù di processi di globalizzazione che sfidano lo stato. In questo contesto, il potere dello stato di controllare e garantire la sicurezza viene fortemente minaccia da processi di globalizzazione. 2) Secondo fattore è una globalizzazione della comunicazione che da più potere agli individui: gli individui sono più in grado di stabilire relazioni dirette con altre persone o gruppi al di fuori dello stato. 3) Il terzo elemento che impoverisce lo stato e da potere alle persone sono le sfide globali= grandi questioni globali che nessuno stato da solo può risolvere. 4) Poi una rivoluzione informatica: lui vede alcuni dei tratti di come la rivoluzione informatica cambierà il modo di fare politica. Aveva previsto la capacità degli individui di farsi da soli garanti della propria informazione e 5) un aumento della mobilità globale dei cittadini. Nella sua aspettava c’era che l’incrementale mobilità della popolazione avrebbe portato a una politica internazionale diversa, dove al centro venissero posti gli individui più degli stati. Quello che lui si aspettava era la nascita di un mondo multicentrico che diventa quasi autonomo dal quello degli stati, dove ci saranno la rilevanza di alcune grandi città che diventano poli di attrazione, la rilevanza di alcuni attori transnazionali che diventano rilevanti, collegati tutti in maniera reticolare, secondo un reticolo. Una politica internazionale che viene trasformata ma dalla cui trasformazione trae i benefici perché lui si aspetta che questa politica internazionale sarà più pacifica, dal momento che lega la guerra allo stato: sono gli stati sovranisti realisti che fanno al guerra e quindi nell’attesa di Rosenau c’è che un superamento dello stato-centrismo sovranista che accentra la sovranità porterà a un sistema internazionale più pacifico. Lui non aveva previsto che il trasnazionalismo non è sempre positivo (grandi mafie). Nella sua ottica tende a mettere in evidenzia gli aspetti più positivi legati alla transnazionalità. Questi autori partono dall’idea che, se lo stato rimane Leviatano alla Hobbes, quello che controlla il territorio, e concepisce le relazioni tra gli altri come a somma zero, questo prima o poi porta alla guerra (si teme che l’altro si riarmi e non ci si fida). Allora, l’idea è che se si mettono in contatto le società, questo smorzerà questa possibilità. Rosenau va oltre, riconosce negli attori non statuali degli attori che saranno più pacifici degli attuali stati. La sottolineatura di qualsiasi attore non statuale come positiva è un assunto forte che può rivelarsi falso ma anche ritenere che la soluzione sia tutta in un mondo fatto di stati molto sovrani sul territorio, che non condividono niente, non è la soluzione. Si tratta di capire qual è il rapporto tra una dimensione più liberale, che guarda il ruolo degli individui e una più realista, che guarda il ruolo delle entità statuali e quale relazione si riconosce essere quella che da più garanzia di pacificità. In fondo queste teorie hanno un obiettivo: identificare un mondo che possa funzionare in modo più pacifico. Non è l’obiettivo principale che potremmo guardare perché può essere pacifico per 30 anni ma si basa sul fatto che esiste un poliziotto mondiale che impone la visione di un certo tipo. Si ritiene che anche periodi lunghi di pace non sono destinati a prolungarsi se non si creano condizioni strutturali di tipo diverso, nelle quali le persone possono avere più voce in capitolo (ruolo degli individui), un sistema di regole conosciuto e molti rapporti fra le persone. LIBERALISMO DELL’INDIPENDENZA Il liberalismo dell’indipendenza si concentra sulla importanza e la positività dell’interdipendenza quindi capovolge il paradigma. Quali sono le scuole all’interno di questo gruppo di studiosi? La riflessione su questo tema nasce principalmente in Europa e una prima versione di questo filone di studio è quella prodotta dai primi teorici dell’integrazione (che guardano soprattutto all’integrazione europea). Il primo autore che viene menzionato, che anticipa l’integrazione europea è David Mitrany. MITRANY David Mitrany scrive tra gli anni ’40 e gli anni ’50, prima ancora che parla il processo di integrazione europea e cerca di riflettere su come si può fare per creare una pace duratura. La guerra era appena finita, si tratta di capire come costruire una pace che non legata solo al 5 funzionamento di un accordo di pace che può avere durata temporanea. Si mette a pensare e nota una differenza tra il modo in cui i governanti di paesi diversi si relazionano tra di loro e il modo in cui si relazionano tra di loro esperti, tecnici di paesi diversi. Nota che è molto più facile che due paesi si mettano d’accordo su questioni non di alta politica ma di cooperazione economica, in settori particolari. Siccome i governanti tendono sempre a spostare l’attenzione sull’alta politica, lì trovano un ostacolo. Si rende anche conto che, una volta che si sia fatto un accordo su questioni più di “bassa politica” (tecniche, economiche, collaborazioni in settori scientifici) questo crea incentivo a collaborare in settori collegati (si comincia a collaborare sul carbone e l’acciaio e poi si collaborerà sulla gestione delle strade che stanno intorno alle cave dove questi si producono; si comincerà a collaborare nel settore industriale che hanno bisogno di usare carbone e acciaio e poi in tutti i settori economici. Lui si aspetta un processo di ramificazione, attraverso il quale, a partire da un accordo fatto in settori tecnici da esperti (non da alti politici), si creeranno incentivi a che i due paesi collaborino anche in settori più politici. La ramificazione significa l’estensione della collaborazione da un settore all’altro, fino ad arrivare a settori più politici. Da lì a pochi anni, dagli anni ’60 in poi, quando il processo di integrazione è partito davvero su un settore specifico, carbone e acciaio, e poi si è esteso alla comunità economia europea che aveva l’obiettivo di creare un mercato unico, questo processo sembrava essere incarnato e quindi gli autori che si mettono a studiare il processo di integrazione europea fanno di questo il concetto di ramificazione il perno della loro riflessione, cambiandogli nome. Lo chiamano spill-over: specificano meglio le dinamiche. Due autori noti della scuola neo-funzionalista sono Ernst Haas e Philippe Schmitter. Questi due autori parlano di uno spill-over che tende ad essere incrementale, quindi sempre di più ci saranno aree di cooperazione. Si rendono conto che questo processo non è naturale ma occorre che esistano delle elite che giochino un ruolo, che facilitino questo processo di spill-over, che riconoscano l’importanza di allargare le aree di cooperazione. Siamo al ruolo della elites politiche (lo abbiamo visto in Karl Deutsch). I processi non sono automatici ma necessitano di un’azione politica; le dinamiche che si generano sono quelle di una progressiva politicizzazione delle questioni (da questione economica diventa una questione politica) e un’esternalizzazione verso l’esterno di politiche interne, che guidano anche le politiche esterne. Un esempio di questo è il caso dell’UE che ha sviluppato come prima area di azione esterna accordi economici con i paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). In un momento in cui si stava creando un mercato interno e le ex colonie diventavano indipendenti i paesi membri dell’UE avevano bisogno di continuare a mantenere un legame privilegiato con le economie del paesi appena stati le colonie, a vantaggio delle colonie ma anche della madrepatria. L’UE manda verso l’esterno la competenza acquisita del mercato interno come strumento di politica estera: è una politica estera di tipo economico. Viene fatta con un gruppo di paesi dalle quali provengono principalmente i paesi ex colonie. Più l’UE si è dotata di competenze interne, più hanno portato a competenze esterne. L’area in cui l’UE ha più capacità di azione come Unione europea è quella del commercio internazionale. La commissione siede in rappresentanza dell’UE, perché è l’area di più vecchia esistenza, in cui l’integrazione si è approfondita di più. Questi spill-over interni e esterni sono oggetto di studio dei neo funzionalisti. Nel 1957 Karl Deutsch aveva studiato questa stessa area con un concetto diverso, più sociologico, che guardava alla creazione della comunità di sicurezza amalgamate. Questi studi sono non nell’ambito del grande dibattito sulla politica internazionale perché il grande dibattito sulla politica internazionale, negli a noi ’50 e ’60, è dominato dalla guerra fredda. Gli studiosi di politica internazionale che stanno principalmente negli USA si occuperanno di deterrenza, di grandi questioni he vedono coinvolti gli USA. Ma questa branca di studio sulla politica e su quello che sta avvenendo nello spazio europeo è rilevate e comincia ad attrarre l’attenzione di studiosi di relazioni internazionali statunitensi. È ispirato a questo filone di studio sull’integrazione europea che due autori, Keohane e Nye, cominciano a riflettere su come si sta trasformando non solo l’integrazione in europa ma la politica internazionale complessivamente parlando. Cominciano a pensare che alcune dinamiche, per esempio quella incrementale dello spill-over, avvengono anche nella politica internazionale (si può cominciare a collaborare in un settore e poi aumentare le aree di cooperazione). Cominciano a rendersi conto che non contano solo gli attori governativi ma per esempio gli studiosi dell’integrazione europea avevano messo in evidenza il ruolo degli scienziati, dei tecnici, delle istituzioni europee. L’altra cosa che osservano questi studiosi è che gli stati non sono più i soli attori sulla scena internazionale e non è vero che 6 gli stati sono così autonomi gli uni dagli altri, ci sono processi che li legano, delle cose che creano interdipendenza. Quello che osservano è che gli stati sono sono gli unici attori, che questi attori non sono delle monadi separate ma sono interdipendenti e che attori non governativi possono avere un’influenza sul comportamento degli stati. A questo aggiungono la notevole riflessione sul ruolo degli attori economici transnazionali. Quanto più le relazioni tra stati di tipo economico, attraverso attori non governativi, diventano strette, tanto più si creerà mutua dipendenza. È sulla base dell’osservazione di questa mutua dipendenza che cerano la prima teoria della interdipendenza, in un libro del 1972: sulla scia di questo libro, un altro autore, Cooper, nota come la crescente interdipendenza fra le economie di Giappone, GB e Stati Uniti ha aumentato e migliorato le relazioni politiche tra questi stati- la politica estera è stata influenzata dal fatto che sono aumentate le aree di mutua dipendenza. In questa prima versione della teoria dell’interdipendenza l’intento è smantellare alcune grandi credenze, il realismo come pilastro dell’analisi della politica internazionale, di riconosce la rilevanza di altri attori non statuali, di riconoscere l’importanza della mutua dipendenza degli stati e di attori transnazionali- ma rimane una teoria che più che latro mira a decostruire l’esistente. È una teoria che attrae molta attenzione e molte critiche, in particolare la critica di Waltz. Waltz scrive la Teoria della politica internazionale nel 1979 quindi in questo momento non lo aveva scritto ma aveva preso un orientamento (nel libro del 1959 già privilegiava la terza immagine). Rispondendo a questi autori Waltz dice che non è detto che la mutua dipendenza porti a una maggiore cooperazione e il motivo per cui questo accade è perché la interdipendenza non è mai simmetrica= uno stato non dipende dall’altro esattamente nello stesso modo in cui vale il contrario. Se c’è mutua dipendenza non simmetrica allora uno stato è più vulnerabile e l’altro ha più forza e potrà usarla contro il primo. È evidente che fra Italia e USA c’è interdipendenza, che tra l’UE e la Russia c’è interdipendenza (la Russia vende il gas e l’UE vende un pò tutto alla Russia). Questo interscambio alcuni ritengono che sia simmetrico ma molti ritengono che sia asimmetrico e la asimmetria sta nel fatto che la Russia produce quasi solamente gas. La vulnerabilità della Russia rispetto alle sanzioni imposte è più elevata rispetto alle contro-sanzioni che la Russia è in grado di imporre: in questo caso, nel bilancia della vulnerabilità, la vulnerabilità dell’uno è maggiore di quella dell’altro, il che da un’arma di ricatto a chi è meno vulnerabile. Se pensiamo a casi ancora più eclatanti, di grande disparità economica, evidentemente, per quanto ci possa essere mutua disparità nell’interdipendenza, questa non è mai alla pari. Waltz gioca su questo differenziale e dice che l’interdipendenza può essere un’arma di potere nelle mani di chi è meno dipendente (è più forte). Secondo Waltz l’interdipendenza è da evitare o da tenere al minimo in modo da non essere vulnerabili ed avere una risorsa di potere nei confronti della controparte. Una teoria che si basa sull’idea che il mondo è interdipendente, che tutti dipendono da tutti, è fuorviante: lui la critica nella sua capacità descrittiva della politica internazionale. Questo avviene nella prima metà degli anni ’70 e nel 1973 c’è la prima crisi energetica: a seguito della guerra dello Yom Kippur i paesi produttori di petrolio smettono di vendere e mandare petrolio ai paesi occidentali. Questo mette in grave difficoltà i paesi occidentali, su un terreno che non è di alta politica. Smettono di vendere un bene prezioso, che a lungo i realisti non avevano considerato perché per lungo tempo i realisti si concentrano sulla dimensione di risorse. Quando c’è questo blocco dei approvvigionamenti tutti i paesi del blocco occidentale sono in difficoltà (domenica dell’austerity). I vari paesi hanno cercato di tagliare sull’uso del petrolio ma chiaramente si faceva fatica. Quando è venuta la seconda crisi economica alla fine degli anni ‘70, dovuta a un embargo petrolifero, si è visto che i paesi rispondevano diversamente. Gli USA erano stati più in grado di rispondere, perché si erano attrezzati per rispondere in modo efficace, quindi diversificando i paesi dai quali si servivano per comprare il petrolio e aumentando la produzione interna mentre i paesi europei sono stati in difficoltà. Questi ha dimostrato che le vulnerabilità non sono le stesse perché le risorse di potere possono essere utilizzate per trasformare la capacità di uno stato di rispondere alle difficoltà. In questo contesto si ha una risposta di Keohane e Nye. Nel 1977 scrivono un secondo libro, un’evoluzione del libro sulla interdipendenza, che si chiama Interdipendenza complessa. Non è così semplice come l’hanno descritta ma è vero che esiste una asimmetria di potere (prendono il suggerimento di Waltz). Quello che conta è che ogni interdipendenza, anche vista dal punto di vista di quello più forte, crea due cose, dei vincoli e della opportunità. Se io sono dipende sono vincolato perché dipendo da una serie di vincoli che creano il legame fra me e 7 a questi esiti: 1) ciascuno dei due preferirà uscire prima dell’altro, 2) preferirà uscire insieme all’altro stando zitti e così via, ordinando gli esiti e le preferenze. Ciascuno dei due ha incentivo a fregare la controparte, che porta all’esito subottimale. Le regole del gioco sono tali per cui i due non possono parlare, sono tenuti separati e il gioco viene giocato una sola volta- le regole condizionano come il gioco è giocato. Questo gioco può essere rappresentato attraverso una tabella, in cui abbiamo un giocatore di riga e uno di colonna. Le alternative per il giocatore di riga sono a1 e a2 e l’alternativa strategica per il giocatore colonna sono parlare o non parlare b1 e b2. L’esito associato, che sarà l’esito a1, b1, che bede entrambi tacere, avrà come risultato che entrambi usciranno. L’esito a cui si associa a1, b2 avrà come risultato che il giocatore di riga sta zitto e colonna parla per cui chi ha parlato esce prima. Come si ordina tutto questo? Si associa a ciascun esito un numero che corrisponde alla preferenza del giocatore. Nei pay off ordinali questo numero è il numero che ordina l’ordine di preferenza (se preferiscono l’esito associato alla prima, alla seconda o alla tera e quarta casella). nei pay off cardinali il numero corrisponde a una quantità- quantità di numeri di anni che si staranno in prigione. Poiché non abbiamo a che fare con soldi e elementi quantificabili, generalmente nelle relazioni internazionali si usano i pay off ordinali, cioè si ordinano le caselle sulla base delle preferenze. Il primo numero corrisponderà alle preferenza del giocatore riga, il secondo a quello di colonna. Nel caso del dilemma del prigioniero, se le alternative sono tra tacere e parlare, associata alla prima casella abbiamo la situazione in cui entrambi tacciono- situazione idealmente ottimale, che sarebbe la migliore per entrambi presi insieme. Tuttavia, per ciascuno dei due, la situazione che è la migliore in assoluto non è quella associata al comune tacere ma è quella associata al fatto che noi parliamo (e abbiamo uno sconto di pena) mentre la controparte tace e quindi rimarrà in prigione. In quella situazione, se io parlo e la controparte tace, l’ordine di preferenza cambia- il giocatore di riga preferirà, nell’esito 4, parlare piuttosto che tacere. La stessa cosa vale per la casella relativa al tacere e parlare per il giocatore colonna. La situazione in cui si incorre sempre se non si interviene cambiando le regole del gioco è quella in cui entrambi parlano: è la soluzione a cui è associato un pay off che è il secondo meno preferito (il primo meno preferito è quello in cui si rimaner incastrati). In questa situazione, interrogando i due incarcerati, la paura di essere fregati è talmente grande che ciascuno sarà disposto a confessare, per non incorrere in quell’esito per cui noi stiamo zitti e l’altro parla. Questo si chiama equilibrio di Nash, posizione da cui nessuno ha incentivo a spostarsi unilateralmente. Data la posizione dell’altro non c’è incentivo a spostarsi da quella posizione. È una situazione che mi serve per identificare l’equilibrio dentro la matrice: per farlo tengo ferma la posizione dell’altro e se sposto al posizione finisco in una situazione peggiore. L’equilibrio di Nash è la situazione a cui si arriva se il gioco viene fatto giocare secondo le regole: una sola volta, senza comunicazione e tenendoli isolati. Ci sono state fatte molte simulazioni, situazioni un cui si prendono due attori razionali, prendendo due studenti e mettendoli in condizioni analoghe a quelle. Si è notato che, se la situazione che si crea con gli incentivi associati a ciascuna scelta è analoga a quella del dilemma del prigioniero, se il gioco viene giocato una volta sola, i giocatori arrivano sempre all’equilibrio di Nash, quella in cui entrambi ci perdono. Come si fa a raggiungere una situazione migliore? Si chiama Pareto Ottimale= sarebbe congiuntamente ottimale ma non può essere raggiunta da sola perché non è una soluzione di equilibrio. Quello che si è imparato è che, se il gioco viene giocato con regole diverse, i giocatori imparano a fare una scelta, tacere, che li pone nella situazione migliore rispetto a parlare. Per fare in modo che i due criminali tacciano lo si fa introducendo alcuni elementi: la comunicazione. Si deve dare la possibilità ai due criminali di parlare tra di loro: si faranno promesse, cercheranno di rassicurarsi, di convincere la controparte, si faranno delle minacce. 10 a1, b1 a1, b2 A1 A2 B1 B2 a2, b1 a2, b2 Parlare è un primo fondamentale cambiamento delle regole che aiuta la soluzione del gioco in modo positivo. La seconda cosa che aiuta molto, anche in assenza di comunicazione, è la reiterazione del gioco: se a questi studenti si da la possibilità di giocarlo un numero indefinito di volte, gli studenti impareranno che alla fine un atto cooperativo è più conveniente. Utilizzano una tecnica, nella quale fanno un primo atto cooperativo e danno la possibilità all’altro di rispondere cooperativamente- se l’altro non risponde cooperativamente alla prima fanno un altro tentativo e quindi si danno un messaggio di cooperazione. Questo messaggio, se colto dalla controparte, genera la situazione di trovarsi nella condizione Pareto ottimale, quindi guadagnarci entrambi. Questo avviene anche nella politica internazionale: gli atti cooperativi sono messaggi che si lanciano alla controparte in modo da generare anche in essa un atto cooperativo- il che pone entrambi in una condizione migliore. Pensiamo alla corsa agli armamenti: si ha esattamente il dilemma del prigioniero- io mi armo perché non mi fido ma è un costo enorme, non conviene a nessuno è del tutto irrazionale, non è una questione di difesa. La corsa agli armamenti è un messaggio alla controparte, costosissimo. Se si inserisce la possibilità di cooperare entrambi per una riduzione congiunta degli armamenti, il vantaggio sarà reciproco. Il limite è che se si pone un termine, cioè se il dilemma del prigioniero è giocato 10 volti e tutti sanno che siamo alla 10 volta, tutti giocheranno in modo non cooperativo. La ripetizione deve essere un numero n di volte, non definito: è importante la comunicazione e la reiterazione del gioco. In entrambi i casi si fa leva sul fatto che aumenta la fiducia reciproca. Io dimostro alla controparte che si può fidare di me e l’altro fa lo stesso quindi la fiducia è una chiave di volta del modo in cui si gioca il dilemma del prigioniero. Non è detto che il dilemma del prigioniero porti all’equilibrio di Nash negativo ma può essere risolto positivamente. È il gioco più studiato dai teorici che si occupano di problemi di negoziato, contrattazione e cooperazione negli anni ’90, in particolare da Keohane, perché è quello che ha generato più problemi. La corsa agli armamenti è facilmente catturata dal dilemma del prigioniero. Keohane comincia a chiedersi come si può fare per risolvere situazioni analoghe al dilemma del prigioniero in politica internazionale? Come si può fare ad arginare la corsa agli armamenti? Cosa posso ideare come trasformazione delle regole per cui, invece della corsa agli armamenti e quindi la parte inefficienza io produco la Pareto efficienza e quindi un disarmo congiunto? Cosa c’è di simile in politica internazionale alla reiterazione del gioco e alla comunicazione? La creazione di tavoli negoziali permanenti, che sono le istituzioni. Le istituzioni internazionali sono principalmente un tavolo negoziale permanente, all’interno del quale si condividono alcune regole. Se si partecipa alla stessa istituzione, può essere un regime internazionale come quello del cambiamento climatico. Questi regimi internazionali sono stati importantissimi perché sono un modo per addivenire a delle regole, che sono condivise e che implicano che si possano stabilizzare le aspettative sul comportamento della controparte- ci si aspetta che rispetti le regole. Aumenta la fiducia ma non solo. Nel regime, così come in un’istituzione formale, le due parti si incontreranno un numero indefinito di volte. Il regime internazionale rappresenta quello che è la ripetizione del gioco nella teoria dei giochi. Il messaggio è forte: creare un regime internazionale o un’istituzione formale implica un salto, un atto di cooperazione, che ha la grande forza di generare ulteriore cooperazione e risolvere situazioni che potrebbero portare a esiti che vogliamo evitare, al conflitto, alla corsa agli armamenti. L’esistenza di istituzioni internazionali permette il superamento del dilemma del prigioniero in quanto una situazione analoga verrà giocata cooperativamente. Il risultato è congiuntamente positivo perché l’esito sarà Pareto ottimale. Le istituzioni, oltre a fornire il tavolo negoziale che si ripete, forniscono anche canali di comunicazione. In questo modo, la comunicazione è costante, non ci si incontra solo nel momento del negoziato ma con una regolarità. Le istituzioni prevedono meccanismi di trasparenza: i regimi internazionali per il controllo degli armamenti, per esempio, prevedono che si rediga un rapporto sulla quantità di armamenti di un certo tipo, ogni anno, da presentare alla controparte. Alcuni regimi di controllo degli armamenti prevedono anche meccanismi di verifica di comitati o agenzie predisposti per lo scopo. Sono modi per cercare di evitare che qualcuno si approfitti della fiducia che gli altri ripongono in lui e si dotino di armamenti nucleari. È quello che è successo con i paesi come Iraq (ha portato alla 11 guerra perché si sospettava l’arricchimento dell’uranio), delle sanzioni contro l’Iran (sospettato di arricchire uranio in modo da poter produrre l’arma atomica) e Corea del Nord (si era impegnata a non dotarsi di armi nucleari). Il regime per la non proliferazione nucleare è un regime internazionale; c’è il caso poi di vere e proprie organizzazioni: l’organizzazione internazionale del commercio era inizialmente un regime internazionale, il GATT, che si da una sede e una burocrazia e diventa un’organizzazione, il WTO. Sono comunque tutte forme di istituzione, che cercano di risolvere i problemi che possono essere generati dalla mancanza di fiducia che gli stati depongono nei confronti degli altri. La scelta dell’istituzione non è un atto di bontà ma risponde agli interessi stessi degli stati. Questo è un grande messaggio del liberalismo istituzionale= si concentra sulla funzione che le istituzioni internazionali, formali o no, svolgono nel permettere agi stati di trovare soluzioni congiuntamente positive per problemi che sarebbero trattati in modo da portare a esiti negativi. Nella teoria dei giochi classica si assume che i giocatori abbiano la conoscenza perfetta del gioco quindi sono attori razionali e onniscienti; questo è un ideal tipo. Nella teoria dei giochi rivista su assume la possibilità che la conoscenza del gioco possa non essere perfetta e che, anche se si conosce il gioco, se ne ha una percezione parziale (legata a un qualcosa meno razionale). Si farà una valutazione delle scelte strategiche sulla base della percezione che del gioco hanno le parti coinvolte e del grado di conoscenza. Le istituzioni sono fatte apposta per rendere chiare le regole del gioco fin dall’inizio a tutti (trattato istitutivo, regole condivise che si abbraccia nel momento in cui si diventa membri). Nella politica internazionale, quando si aderisce a un regime internazionale, nessuno stato può dire di aver infranto una regola perché non la conosceva. BATTAGLIA DEI SESSI: La storia che sottostà a questo gioco è rappresentata da una coppia di persone, due fidanzati, che vogliono passare una serata insieme (epoca pre forma di comunicazione). I due fidanzati si vedono la mattina e lei gli dice di voler andare al cinema. Lui dice che c’è fiorentina-inter, che non se la può perdere per cui c’è un dialogo. Tutti e due vogliono stare insieme più di tutto ma lei al cinema e lui allo stadio. Ad un certo punto si lasciano la mattina e lei dice di aspettarlo davanti al cinema e lui davanti allo stadio. Durante la giornata non possono comunicare e ognuno farà la propria valutazione. È una situazione rappresentata da questa tabella e quindi la situazione migliore per entrambi starebbe il 4, stare insieme. Per lui stare insieme allo stadio e per lei al cinema. La seconda è stare insieme nel luogo dove vuole l’altra parte. La terza possibilità è stare da soli dove si vuol stare, quella peggiore è trovarsi dove non vorresti essere da solo. Cooperare e defezionare sono le due situazioni. Se loro si mettessero d’accordo, quindi ci deve essere un atto forte all’inizio, sul trovarsi davanti allo stadio, la signora non ha incentivo a defezionare ed andare al cinema perché più di tutto è stare insieme- lo stesso vale per la controparte. Applicato alla politica internazionale, se la decisione sulla standardizzazione del sistema d’arma è presa, una volta presa non ci si torna sopra. È un regime semplice, che ha un grosso sforzo di investimento iniziale per la decisione che viene presa ma una volta presa non ci sono incentivi a defezionare quindi non c’è bisogno di un meccanismo di controllo, di un meccanismo sanzionatorio. In realtà le situazioni di questo tipo sono di più di quelle che si possono immaginare- si tratta di individuare una soluzione iniziale. Il regime internazionale per il buco dell’ozono è un esempio di questo tipo. Qualche anno fa c'è stato un periodo di grande emergenza perché l’ozono (=fascia che protegge la terra dai raggi solari diretti) si stava assottigliando e in alcuni punti si era bucato. Quanto più si assottiglia, tanto più siamo a rischio per gli effetti dei raggi solari. Si è cercato di capire cosa produceva il buco dell’ozono. Il buco dell’ozono si è scoperto che era prodotto dall’emissione di un gas che stava nelle bombolette spray e nei frigoriferi. Una volta individuato il problema, c’era un investimento da fare: 1) impegno politico a smettere di produrre bombolette spray e frigo con quel gas 2)costo economico perché bisogna riconvertire l’industria di produzione dei frigo sostituendo il gas. C’era una situazione ottimale perché gli scienziati erano 12 Donna Uomo 1,1 3, 4 Cinema (cooperare) Stadio (defezionare) Stadio (cooperare) Cinema (defezionare) 4, 3 2, 2 realista, il neorealismo. Nel dibattito tra neorealisti e istituzionalisti neoliberali la discussione è su elementi come: gli stati fanno una valutazione in termini di vantaggi relativi o di vantaggi assoluti? le istituzioni sono rilevanti o no? Non si chiedono se gli stati si comportano sulla base della razionalità o della cultura politica perché condividono la visione. Quello che accumuna il neorealismo e il neoliberalismo è una comune visione della politica internazionale, come giocata principalmente da stati, che possono essere considerati come attori razionali; quindi vengono trattati come attori unitari, razionali, che sulla base del calcolo costi-benefici compiono delle scelte. Lo fa Waltz nel suo neorealismo e Keohane nell’istituzionalismo neoliberale- entrambi ritengono che il sistema sia anarchico, e che questo abbia un’influenza sulla politica internazionale. La differenza dove sta? Per Waltz, siccome lo stato è anarchico, gli stati si preoccuperanno per la loro sicurezza, genereranno dilemma della sicurezza e quindi si potranno scontrare. Le istituzioni, nella visione di Waltz, non sono altro che strumenti nella mani di stati più forti (ma esistono). In questo contesto, secondo il neorealismo, gli stati si comportano guardando ai vantaggi relativi (=che gli stati confronteranno quanto più o meno guadagnano nella collaborazione con gli altri). Keohane dice che è vero che il sistema internazionale è anarchico, che può portare al dilemma della sicurezza e al confronto con gli stati, ma nelle aree de mondo in cui gli stati riescono a cominciare a collaborare e a creare delle istituzioni comuni, creano le condizioni per un circolo virtuoso di cooperazione per cui la cooperazione aumenta su se stessa. Gli stati hanno un incentivo razionale a creare istituzioni e a mantenerle. Le istituzioni non sono solo un vincolo m sono per tutti un vincolo e una opportunità e questo modifica il modo in cui gli stati si comportano. Una volta che sono state create, gli incentivi che queste creano fanno sì che gli stati coopereranno sempre di più quindi aumenterà la pacificità del sistema internazionale. Waltz gli chiede, com’è possibile che gli stati, preoccupati dei propri vantaggi relativi, cominciano a cooperare? Keohane gli risponde che lo fanno perché ragionano sulla base di calcoli di guadagni assoluti (si siedono al tavolo e pensano quanto hanno da guadagnare dalla cooperazione). Siccome da un atto cooperativo qualche guadagno se ne ottiene, guardare ai vantaggi assoluti spiega perché gli stati cominciano a cooperare; una volta che si è cominciato a cooperare, la cooperazione si amplifica su se stessa. Cosa rimane del pensiero liberale nell’istituzionalismo neoliberale? • La visione ottimistica del futuro, cioè la possibilità di trasformare domani in modo che sia migliore di oggi. È l’opposto del realismo, che ritiene che le dinamiche di fondo non cambino mai. Qui si ritiene che le dinamiche di fondo possano cambiare in modo incrementale, quindi c’è un’aspettativa per la possibilità di un futuro positivo, trasformazione dello status quo in senso positivo e trasformazione delle dinamiche del comportamento dello stato- Keohane dice che nelle aree del mondo in cui non si creano le istituzioni, le cose funzionano come hanno descritto i neorealisti, quindi non nega il neorealismo; quando è finita la Guerra Fredda, Keohane e altri hanno studiato l’evoluzione delle istituzioni in europa occidentale e orientale e hanno visto la diversa evoluzione: in europa occidentale sono sopravvissute e si sono approfondite perché erano istituzioni frutto di una scelta degli stati; in europa orientali invece c’erano istituzioni finte, nel senso che erano uno strumento creato dall’Unione Sovietica per controllare i paesi satelliti e queste vengono smantellate. In europa occidentale non c’è destabilizzazione, dove non esistono istituzioni storiche si rischia la guerra. Le istituzioni servono per stabilizzare le aree. • Possibilità di progresso • Possibilità di pace: capacità di pacificità grazie alle istituzioni. Una ricerca che mira a individuare le condizioni di maggiore pacificità del sistema. Cosa manca del liberalismo alla Kant? • Attenzione ai valori • Mancata attenzione rispetto ai regimi politici interni • Pluralismo = questa è una visione stato-centrica, sono stati e istituzioni create dagli stati, non ci sono gli individui. È un liberalismo fortemente semplificato. L’istituzionalismo neoliberale ha dato origine a un dibattito con il neorealismo, che ha colto molta attenzione. Bisogna ricordarsi gli elementi in comune e quelli di differenza perché saranno importanti nel quarto dibattito. 15 Il fatto che gli istituzionalisti neoliberali adottino un linguaggio razionalista, ha aiutato a fare entrare in un dibattito molto dominato dal realismo, l’idea che le istituzioni possono essere create non per un atto di bontà ma per un atto di interesse; questo ha cambiato il registro. Questo ha anche allontanato molto dal liberalismo tradizionale, che però ritorna fuori nell’altra scuola, nel LIBERALISMO REPUBBLICANO= corrente di pensiero che ritiene che occorra analizzare attraverso l’ottica liberale un fenomeno storico che è un’evidenza empirica, il fatto che storicamente, le democrazie non si sono fatte guerre tra loro. Storicamente i casi in cui le democrazie si sono fatte guerre tra di loro sono pochissimi e tutti spiegabili alla luce del fatto che almeno una delle due non era una democrazia. È quella che Levy ha chiamato legge: come lo si spiega? Negli anni ’80 DOYLE recupera il pensiero kantiano (liberalismo forte) e va a ricercare nel pensiero di Kant le motivazioni per cui le democrazie non fanno guerre tra loro. Le individua in meccanismi che esistono solo nelle democrazie: 1) Controllo popolare- opinione pubblica: in una democrazia la posizione dell’opinione pubblica conta quindi se uno deve decidere se entrare o no in una guerra ci pensa più volte. L’opinione pubblica si oppone alla guerra perché i cittadini sono coloro su cui ricadono i costi della guerra.
 2) Meccanismo istituzionale: in una democrazie ci sono pesi e contrappesi, forme di controllo. Un governo non può dichiarare guerra a un altro stato senza aver consultato il Parlamento e aver avuto l’approvazione parlamentare. Ci sono forme di controllo fra le istituzioni interne allo stato, governate da leggi che vigono in quello stato, che vincolano il comportamento delle democrazie. Questo meccanismo istituzionale è noto da Montesquieu in poi. 
 3) Nelle democrazie esiste una cultura politica volta alla soluzione pacifica delle controverse. Nelle democrazie ci sono tanti meccanismi (a tutti i livelli). Questa pratica della cultura di moderazione e di risoluzione pacifica della controversia tende ad essere adottata anche dalle democrazie verso l’esterno, in particolare verso regimi analoghi- fra democrazie si sono create una serie di istituzioni internazionali, regimi internazionali, che sono volti alla risoluzione pacifica della controversia. Se c’è una disputa sul confine si va dalla Corte di arbitrato internazionale e non ci si fa la guerra. I regimi che sono più in grado di mettere in piedi meccanismi di risoluzione pacifica sono le democrazie. L’elemento della cultura politica è sottolineato dai costruttivisti. Questo fa si che le democrazie si possano riconoscere tra di loro, perché sono regimi analoghi, si fidano di più. Si fidano molto meno di regimi non democratici.
 4) Le democrazie, per come si sono formate, sono democrazie a libero mercato, che hanno fortemente usato il commercio internazionale. Sono regimi che hanno forti interscambi economici e questo crea un incentivo a non farsi la guerra. Da Smith in poi il commercio è un fattore di pacificità- Le motivazioni per cui i regimi democratici non si fanno guerra tra di loro sono di molteplice natura : hanno a che fare con le leggi interne, con la cultura politica, con il ruolo dei cittadini e con il regime economico prevalente, che è di libero mercato. Sono tutti elementi che facilitano la cooperazione tra democrazie pacifica. Questo significa che le democrazie sono più pacifiche in termini assoluti? NO, empiricamente si vede che le democrazie fanno la guerra, ma non verso altre democrazie. Generalmente, quando fanno la guerra con regimi non democratici, tendono a vincerla. Un altro dato empirico è che, quando vincono la guerra con regimi non democratici, spesso portano a una transizione democratica del regime con cui hanno combattuto. Si nota anche che le democrazie fanno delle forme di guerra nascosta: interferiscono negli affari interni di un altro stato, anche democratico, non usando la guerra ma in modo nascosto. Tutte queste considerazioni sul fatto che le democrazie comunque facciano la guerra non scalfiscono l’idea che non fanno guerra contro altre democrazie quindi la tenuta della Teoria della pace democratica è molto forte. Si tratta di capire se l’espansione progressiva della democrazia nel mondo produrrà o produce un modo più pacifico. Le democrazie si sono espanse e questo porta a pensare a più pacificità ma nel frattempo è anche successo che, non solo sono emerse forze non governative (terrorismo 16 internazionale) ma anche che le democrazie che si sono realizzate nel mondo non sono democrazie in senso pieno: sono democrazie elettorali (illiberali), nelle quali c’è il meccanismo dell’elezione ma non c’è la libertà di informazione. Ci possiamo chiedere se anche la democrazia illiberale sia più pacifica o no. 17
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved